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Società Italiana di Scienza Politica XXVIII Convegno Università di Perugia – Dipartimento di Scienze Politiche Università per Stranieri di Perugia – Dipartimento di Scienze Umane e Sociali 11-13 settembre 2014 Il realismo e la “nuova scienza politica”. La prospettiva Reinhold Niebuhr e Hans J. Morgenthau di Luca G. Castellin [email protected] Sezione 2. Teoria Politica Panel 2.3 – 2.4 Una «nuova scienza politica»? L’eredità della critica al comportamentismo e i compiti della teoria politica contemporanea Chair: Damiano Palano

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Società Italiana di Scienza Politica XXVIII Convegno

Università di Perugia – Dipartimento di Scienze Politiche Università per Stranieri di Perugia – Dipartimento di Scienze Umane e

Sociali 11-13 settembre 2014

Il realismo e la “nuova scienza politica”. La prospettiva Reinhold Niebuhr e Hans J. Morgenthau

di

Luca G. Castellin

[email protected]

Sezione 2. Teoria Politica Panel 2.3 – 2.4 Una «nuova scienza politica»? L’eredità della critica al

comportamentismo e i compiti della teoria politica contemporanea Chair: Damiano Palano

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Abstract

L’intenso, seppur breve, dibattito interno alla Scienza politica americana che si sviluppa dalla sfida del Caucus for a New Political Science alla tradizione comportamentista assegna particolare rilievo alla critica delle presunte derive del positivismo, alla questione del problematico rapporto tra scienza e valori, e al labile confine tra descrizione e prescrizione. Già nei decenni precedenti, all’interno della tradizione realista Reinhold Niebuhr e Hans J. Morgenthau assumono posizioni di strenua opposizione all’impostazione assunta dalle scienze sociali nel Novecento. Da un lato, il teologo protestante analizza la politica interna e internazionale degli Stati Uniti opponendosi all’idealismo liberale e affermando un’impostazione anti-pelagiana rispetto alla realtà. Dall’altro, l’autore di Politics Among Nations riflette non solo sulla ‘povertà’ dello scientismo applicato allo studio della realtà politica, ma anche e soprattutto sui ‘limiti’ della potenza. Entrambi concordano con la necessità di rivedere la matrice razionalistico-scientista che accomuna la maggior parte degli studi politologici alla metà del Novecento. Al tempo stesso, affermano l’inestricabile dimensione etico-normativa – spesso consciamente o inconsciamente rimossa – tanto della riflessione quanto dell’azione politica. Non soltanto alla metà del XX secolo, ma anche e soprattutto nella contingenza attuale, riscoprire e analizzare criticamente le posizioni di Morgenthau e Niebuhr può (forse) rappresentare un’opportunità per verificare potenzialità e confini della relazione tra Scienza politica e Filosofia politica? Quale contributo possono offrire le loro riflessioni alla ri-definizione di una “nuova scienza politica”?

Luca G. Castellin è Ricercatore presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. I suoi principali interessi di ricerca comprendono la Teoria politica, le Relazioni Internazionali e la Storia del pensiero politico. È autore di Ascesa e declino delle civiltà. La teoria delle macro-trasformazioni politiche di Arnold J. Toynbee (Vita e Pensiero, 2010) e Il realista delle distanze. Reinhold Niebuhr e la politica internazionale (Rubbettino, 2014).

Luca G. Castellin Dipartimento di Scienze politiche Facoltà di Scienze politiche e sociali Università Cattolica del Sacro Cuore Largo Gemelli 1, 20123 Milano Italia [email protected]

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Il realismo e la “nuova scienza politica”. La prospettiva Reinhold Niebuhr e Hans J. Morgenthau Luca G. Castellin Premessa. L’ostinazione dei «fatti» «È un fatto», esclama con supponenza il professor Woland guardando dritto negli occhi la testa mozzata di Michail Aleksandrovič Berlioz, «e i fatti sono la cosa più ostinata di questo mondo»1. Il gelido rimprovero che la misteriosa e luciferina figura rivolge al defunto direttore dell’associazione letteraria Massolit nella notte del Venerdì Santo, mentre è in corso il satanico ballo del plenilunio primaverile, sembra cogliere in forma sintetica il senso più profondo de Il Maestro e Margherita. Oppresso per gran parte della sua vita dalla pervasiva invadenza della censura di regime, Michail Bulgakov intende rompere il clima di delazione e paura che impregna la dittatura staliniana. Nel suo capolavoro, da cui persino i Rolling Stones dichiarano di aver tratto ispirazione per la loro canzone Sympathy for the Devil, l’autore racconta «fatti» rocamboleschi e surreali attraverso cui intende smascherare il razionalismo materialistico che pervade l’Unione Sovietica. Le incredibili vicende narrate, che si intersecano all’esistenza ordinaria della popolazione moscovita, possiedono pertanto una finalità al tempo stesso dissacrante e prescrittiva.

Nelle pagine del romanzo, le giornate primaverili della città di Mosca sono sconvolte dall’irrompere improvviso del Diavolo e dei suoi bizzarri aiutanti, che hanno paradossalmente come loro obiettivo persino quello di dimostrare l’esistenza di Dio e l’avvenimento di Cristo. Intrecciandosi con la struggente storia d’amore tra il Maestro e Margherita, anche la vita quotidiana degli abitanti della capitale del socialismo reale viene scossa e ridestata. Bulgakov, muovendosi costantemente su un piano allegorico, desidera mostrare la pericolosa ‘miopia’ di un’ideologia che, autoproclamatasi scientifica e razionale, dimentica colpevolmente alcuni aspetti della realtà, finendo così per offrirne una visione parziale e deformata. Le scorribande del Maligno, l’insopportabile angoscia di Ponzio Pilato, la vicenda personale di Matteo Levi e il dramma umano di Gesù, sono tutti «fatti» che nelle intenzioni dell’autore de Il Maestro e Margherita servono per aiutare il lettore ad assumere uno sguardo più ampio e maggiormente comprensivo sul reale, in grado di cogliere la totalità dei fattori che lo compongono. In maniera soltanto all’apparenza paradossale, intorno agli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, e quindi in sostanziale e assai significativa concomitanza con la stesura delle prime bozze del romanzo di Bulgakov (che, tuttavia, verrà pubblicato – ancora in una versione censurata – a partire dal 1967), anche in un Paese completamente agli antipodi dell’Urss come gli Stati Uniti viene combattuta una strenua e coraggiosa battaglia – ma, per molti versi, anch’essa destinata al fallimento – contro un’impostazione culturale della società e delle scienze sociali che viene accusata di ridurre la realtà – i «fatti», per dirla con l’autore de Il Maestro e Margherita – esclusivamente a ciò che è quantitativamente misurabile ed empiricamente dimostrabile. Il pragmatismo nella culturale liberale e il comportamentismo nella Scienza politica, ossia le principali e più solide correnti della cultura popolare e accademica dell’America

1 M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, Dalai, Milano 2011, p. 306.

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per gran parte del Novecento, non vengono ritenuti in grado di comprendere e spiegare fino in fondo la contingenza della politica, la drammaticità della storia e l’ambiguità della natura umana. A imbracciare metaforicamente le armi sono due figure fondamentali della tradizione del realismo politico: vale a dire, Reinhold Niebuhr e Hans J. Morgenthau2. L’uno e l’altro, infatti, oltre a occuparsi di politica interna e internazionale, contrappongono allo scientismo apparentemente dominante nelle scienze politiche e sociali un approccio che, ritornando per strade (almeno, in parte) differenti alla natura dell’uomo e alla natura delle cose3, non solo avanza la pretesa di offrire un più profondo e adeguato intendimento della politica, ma afferma anche l’inestricabile dimensione etico-normativa radicata nella riflessione e nella prassi politica. Intellettuali assai importanti negli Stati Uniti, anche se in alcune circostanze invisi all’opinione pubblica o ad alcune frazioni del ceto politico per il loro «dissenso patriottico»4, che si rende evidente in particolar modo nella ferma opposizione alla Guerra del Vietnam5, entrambi sono ancora poco studiati in Italia. Nel nostro Paese, sono state loro dedicate un numero esiguo di analisi e persino la ricezione delle loro opere è avvenuta con ritardo di decenni e sempre in maniera poco organica.

Su Niebuhr sono stati prodotti rari lavori (per molti versi, conta ricordarlo, pionieristici) prevalentemente di carattere teologico e storico6. E, soltanto di recente, si è tentato di affrontare il contributo del teologo protestante sotto il profilo internazionalistico7. Il primo lavoro del teologo protestante ad avere un’edizione italiana 2 Sulla vita del teologo protestante si veda R. Niebuhr, Intellectual Autobiography of Reinhold Niebuhr, in C.W. Kegley, R.W. Bretall (eds.), Reinhold Niebuhr. His Religious, Social and Political Thought, MacMillan, New York 1956, pp. 1-24, trad. it. Autobiografia intellettuale, in R. Niebuhr, Una teologia per la prassi. Autobiografia intellettuale, editoriale e traduzione di Massimo Rubboli, Queriniana, Brescia 1977, pp. 43-76; e R.W. Fox, Reinhold Niebuhr. A Biography, Pantheon Books, New York 1985; sull’esistenza dello studioso di origine tedesca, invece, si veda rispettivamente H.J. Morgenthau, Fragment of an Intellectual Autobiography e Postscript to the Transaction Edition: Bernard Johnson’s Interview with Hans J. Morgenthau, in K.W. Thompson, R.J Myers (eds.), Truth and Tragedy. A Tribute to Hans J. Morgenthau, Transaction Books, New Brunswick 1984, trad. it. Memorie di un realista, in «Rivista di Politica», I (2010), n. 3, pp. 47-96; e C. Frei, Hans J. Morgenthau. An Intellectual Biography, Louisiana State University Press, Baton Rouge 2001. 3 Sul rapporto tra natura umana, natura delle cose e conoscenza scientifica della politica, si veda L. Ornaghi, Il realismo politico e la conoscenza scientifica della politica. Fine di una vecchia stagione, inizio di una nuova? (in corso di pubblicazione). 4 Cfr. V.S. Tjalve, Realist Strategies of Republican Peace. Niebuhr, Morgenthau, and the Politics of Patriotic Dissent, Palgrave MacMillan, New York 2008. 5 Cfr. L. Zambernardi, The impotence of power: Morgenthau's critique of American intervention in Vietnam, «Review of International Studies», 37 (2011), 3, pp. 1335-1356. 6 A proposito, si veda L. Giussani, Aspetti della concezione della storia in Reinhold Niebuhr, in «Rivista di Filosofia Neo-scolastica», LX (1968), n. 2-3, pp. 167-190; Id., Reinhold Niebuhr e i fondamenti della sua etica, in «La Scuola Cattolica», XCVI (1968), n. 6, pp. 491-507; Id., Teologica protestante americana, Marietti 1820, Genova-Milano 2003; G. Zorzi, Il realismo cristiano di Reinhold Niebuhr, Edizioni Dehoniane, Bologna 1984; M. Rubboli, Politica e religione degli USA. Reinhold Niebuhr ed il suo tempo (1892-1971), Franco Angeli, Milano 1986; G. Dessì, Libertà e storia in Reinhold Niebuhr, in «Annuario Teologico ISTRA», Edit, Milano 1985, pp. 89-111; Id., Reinhold Niebuhr. Il più influente e discusso «pensatore cristiano» degli Stati Uniti, in «Studium», LXXXVI (1990), n. 4, pp. 565-590; Id., Niebuhr. Antropologia cristiana e democrazia, Studium, Roma 1993; Id., Reinhold Niebuhr. Il realismo politico, in L. Alici, R. Piccolomini, A. Pieretti (edd.), Storia e politica. Agostino nella filosofia del Novecento, IV, Città Nuova, Roma 2004, pp. 205-231. 7 Sull’argomento, oltre a G. Dessì, Reinhold Niebuhr: la dimensione etica del realismo, in F. Andreatta (a cura di), Le grandi opera delle relazioni internazionali, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 71-87, mi permetto di rinviare al mio volume Il realista delle distanze. Reinhold Niebuhr e la politica internazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014.

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nel 1966 è Faith and History del 1949, mentre la sua opera più famosa, Moral Man and Immoral Society del 1932, viene tradotta nel 19688. The Children of Light and The Children of Darkness del 1944 e The Irony of American History del 1952 sono invece tradotte parecchi anni dopo, rispettivamente nel 2002 e nel 20129. Tuttavia, ancora molte pubblicazioni, compresa la sua opera più importante10, rimangono senza un’edizione italiana.

Una sorte anche peggiore tocca a Morgenthau. Seppur sia stato il più importante esponente del realismo classico nelle Relazioni Internazionali, fino a pochi anni fa all’autore di origine tedesca avevano rivolto attenzione – offrendo contributi ancora imprescindibili – soltanto alcuni grandi esponenti della Scienza politica italiana11. Con la sola eccezione di un lavoro sulla politica americana12, immediatamente tradotto nel nostro Paese, anche la penetrazione dell’opera di Morgenthau è avvenuta a rilento. Se si è scelto in maniera saggia – per impulso di Luigi Bonanate e Marco Cesa – di tradurre per il pubblico italiano la brief edition del 1985 di Politics Among Nations (curata dall’allievo e amico Kenneth W. Thompson)13, risalente nella sua prima e ben più estesa versione addirittura al 1948, occorre invece aspettare fino all’inizio del XXI secolo per veder pubblicata in Italia la prima – e, altrettanto, fondamentale – opera di Morgenthau, ossia Scientific Man vs Power Politics14 del 1946. Un altro decisivo contributo alla riscoperta della riflessione di Morgenthau, sempre impartito da Alessandro Campi, si realizza nel 2009, quando – sempre sotto la curatele di quest’ultimo e di Luigi Cimmino – vengono pubblicati in anteprima mondiale alcuni interessanti inediti giovanili dello studioso tedesco, in cui egli si confronta con la riflessione di Carl Schmitt15, e nel 2010, anno in cui viene data alle stampe la principale e più completa monografia italiana dedicata all’autore16.

8 R. Niebuhr, Moral Man and Immoral Society. A Study in Ethics and Politics, Charles Scribner’s Sons, New York 1932, trad. it. Uomo morale e società immorale, Jaca Book, Milano 1968; e Id., Faith and History. A Comparison of Christian and Modern Views of History, Charles Scribner’s Sons, New York 1949, trad. it. Fede e storia. Studio comparato della concezione cristiana e della concezione moderna della storia, Il Mulino, Bologna 1966. 9 R. Niebuhr, The Children of Light and the Children of Darkness. A Vindication of Democracy and a Critique of Its Traditional defense, Charles Scribner’s Sons, New York 1944, trad. it. Figli della luce e figli delle tenebre. Il riscatto della democrazia: critica della sua difesa tradizionale, Gangemi, Roma 2002; Id., The Irony of American History, Charles Scribner’s Sons, New York 1952, trad. it. L’ironia della storia americana, Bompiani, Milano 2012. 10 R. Niebuhr, The Nature and Destiny of Man. A Christian Interpretation, Charles Scribner’s Sons, New York 1941-1943, voll. 2. 11 Cfr. M. Cesa, La teoria politica internazionale di Hans J. Morgenthau, in «Teoria politica», III (1987), n. 2, pp. 27-52; L. Bonanate, Introduzione a H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni. La lotta per il potere e la pace, Il Mulino, Bologna 1997, pp. XIII-XXIX; e A. Panebianco, Hans Morgenthau: teoria politica e filosofia pratica, in D. Campus, G. Pasquino (a cura di), Maestri della scienza politica, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 209-226. 12 H.J. Morgenthau, The Purpose of American Politics, Knopf, New York 1960, trad. it. Lo scopo della politica americana, Il Mulino, Bologna 1960. 13 H.J. Morgenthau, Politics Among Nations. The Struggle for Power and Peace, McGraw-Hill, New York 1985, trad. it. Politica tra le nazioni. La lotta per il potere e la pace, Il Mulino, Bologna 1997. 14 H.J. Morgenthau, Scientific Man vs Power Politics, University of Chicago Press, Chicago 1946, trad. it. L’uomo scientifico versus la politica di potenza, Ideazione, Roma 2005. 15 H.J. Morgenthau, Il concetto del politico. Contra Schmitt, a cura di Alessandro Campi e Luigi Cimmino, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009. 16 L. Zambernardi, I limiti della potenza. Etica e politica nella teoria internazionale di Hans J. Morgenthau, Il Mulino, Bologna 2010.

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Sulla scia del rinnovato interesse per Niebuhr e Morgenthau, questo contributo intende proporre un’analisi critica del ruolo ricoperto e dell’eredità lasciata dai due autori nelle discipline politologiche. Intrecciando Scienza politica e Filosofia politica, gli autori criticano le (presunte) derive del positivismo, sottolineano il problematico rapporto tra scienza e valori, e cercano di smascherare il confine – per molti versi, labile – tra descrizione e prescrizione. L’obiettivo è quello di mostrare la pertinenza, le potenzialità e i limiti che le loro prospettive possono esercitare all’interno del dibattito politologico contemporaneo. Una «costruzione per molti versi parallela» Molto probabilmente, quando vengono menzionate le figure di Niebuhr e Morgenthau, la «prima immagine» che torna alla mente dei più è quella tratteggiata da Kenneth N. Waltz in Man, the State and War17. Nell’opera del 1959, il padre del realismo strutturale si sofferma – com’è noto – sul contributo di entrambi gli autori alla comprensione delle dinamiche internazionali, ma invita decisamente a superarlo per giungere a un successivo e – almeno, a suo giudizio – maggiormente esauriente livello di analisi. Ciononostante, la letteratura critica successiva all’elaborazione del neorealismo non ha certo mancato a sua volta di evidenziare i limiti intrinseci alla proposta dell’autore di Theory of International Politics. Al di là del valore più o meno elevato da riconoscere all’elaborazione di Waltz, non si può però nascondere che, seppur sotto molti aspetti corrette, le sue riflessioni riguardo a Niebuhr e Morgenthau potrebbero risultare fuorvianti. Esse, infatti, toccano soltanto tangenzialmente la feconda esperienza intellettuale di entrambi, lasciando pressoché insondato il loro profondo rapporto d’amicizia e la decisiva influenza che esercitarono reciprocamente l’uno sull’altro nel tentativo di combattere un’impostazione sia degli studi politologici sia delle linee di politica estera americana che appariva loro non soltanto ingenua ma anche pericolosa. Seppur sia ancora un argomento di dibattito all’interno del mondo accademico18, è infatti indubbio – come chiaramente emerge anche dalla loro corrispondenza privata19 – che intrattennero una stretta e duratura relazione culturale, tanto che risulta forse necessario chiedersi – come fa Martin Halliwell – «chi abbia influenzato maggiormente l’altro»20. In tal senso, è possibile sostenere che abbiano al tempo stesso valore sia l’idea di Michael J. Smith secondo cui Morgenthau avrebbe «inglobato» e «secolarizzato» nella propria teoria della politica internazionale le intuizioni di

17 K.N. Waltz, Man, the State and War. A Theoretical Analysis, Columbia University Press, New York 1959, trad. it. L’uomo, lo Stato e la guerra. Un’analisi teorica, Giuffrè, Milano 1998. 18 Se, da un lato, George O. Mazur sostiene la decisa influenza di Niebuhr (e, conta ricordarlo, anche di Kelsen) su Morgenthau, dall’altro, Christoph Frei ritiene che il teologo protestante sia stato soltanto strumentale per l’autore tedesco al fine di introdurre il proprio retaggio culturale continentale. A tal proposito, cfr. rispettivamente G.O. Mazur, Introduction, in Id. (ed.), One Hundred Year Commemoration to the Life of Hans Morgenthau: 1904-2004, Semenenko Foundation, New York 2004, p. 5; Id., Introduction, in Id. (ed.), Twenty-Five Year Memorial Commemoration to the Life of Hans Morgenthau: 1904-2005, Semenenko Foundation, New York 2006, p. iii; C. Frei, Hans J. Morgenthau, p. 111. 19 Sull’argomento si veda il materiale archivistico e la ricostruzione storiografica contenuti in D.F. Rice, Reinhold Niebuhr and His Circle of Influence, Cambridge University Press, Cambridge 2013, specie pp. 145-173. 20 M. Halliwell, The Constant Dialogue: Reinhold Niebuhr and American Intellectual Culture, Rowan & Littlefield, Lanham 2005, p. 210.

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Niebuhr21, sia l’analisi di Christoph Frei per il quale la riflessione di Niebuhr è servita soprattutto ad approfondire e stimolare il pensiero di Morgenthau ma non certo a indirizzarne i primi passi22. Come osserva Lorenzo Zambernardi, se la loro relazione intellettuale è «evidente», è però altrettanto difficile quantificare «quanto Morgenthau sia stato direttamente influenzato dal teologo protestante», dal momento che egli entra in contatto con gli scritti di Niebuhr soltanto «dopo che la formazione del suo pensiero aveva avuto luogo»: l’opera del teologo protestante «sembra quindi aver confermato le tesi di Morgenthau più che esserne stata l’originale fonte di ispirazione»23. Le traiettorie esistenziali di Niebuhr e Morgenthau s’incontrano per la prima volta nel 1944 all’Università di Chicago. Fino a quel momento avevano seguito percorsi assai differenti. Il primo era nato il 21 giugno 1892 a Wright City nel Missouri da genitori di origine tedesca e aveva ricevuto un’educazione influenzata dalla teologia liberale, dal metodo storico-critico di esegesi biblica e dal movimento del Social Gospel. Prima di intraprendere la carriera di pastore presso la Bethel Evangelical Church a Detroit, che avrà un effetto dirompente sul pensiero dell’autore spingendolo ad abbandonare definitivamente le illusioni della visione progressista del mondo (sia in termini cristiani, sia in termini secolari), Niebuhr aveva svolto i suoi studi all’Elmhurst College, all’Eden Theological Seminary e alla Divinity School della Yale University. Rispondendo all’invito dello Union Theological Seminary, nel 1928 si era trasferito a New York, dove aveva iniziato la sua fortunata carriera di intellettuale pubblico. Il secondo, invece, nato nel 1904 a Coburgo in una famiglia ebraica, aveva frequentato le università di Francoforte e Monaco, entrando in contatto con il pensiero di Max Weber24, Friedrich Nietzsche25, Sigmund Freud26 e Hans Kelsen. Dopo aver conseguito il dottorato in Giurisprudenza, e aver esercitato la pratica d’avvocato presso alcuni studi legali, aveva preso avvio il suo lungo e tortuoso peregrinare alla ricerca di una cattedra. Era stato docente a Ginevra e a Madrid. Tornato a Monaco, Morgenthau aveva deciso di attraversare l’Atlantico a causa dell’inasprirsi delle persecuzioni antisemite, giungendo sulle coste degli Stati Uniti nel 1937. In territorio americano, dapprima svolse un’intesa e logorante attività didattica presso l’Università di Kansas City, per poi trasferirsi all’inizio degli anni Quaranta all’Università di Chicago.

Nel momento del loro incontro, il teologo protestante – che aveva già pubblicato Moral Man and Immoral Society – era un personaggio pubblico ormai affermato,

21 Così M.J. Smith, Realist Thought from Weber to Kissinger, Louisiana State University Press, Baton Rouge-London 1986, p. 134. 22 Cfr. C. Frei, Hans J. Morgenthau, pp. 112-113. 23 L. Zambernardi, I limiti della Potenza, p. 29n. 24 H.-K. Pichler, The Godfathers of “Truth”: Max Weber and Carl Schmitt in Morgenthau’s Theory of Power Politics, «Review of International Studies», 24 (1998), 2, pp. 185-200; M.C. Williams, The Realist Tradition and the Limits of International Relations, Cambridge University Press, Cambridge 2005; S.P. Turner, Hans J. Morgenthau and the Legacy of Max Weber, in D. Bell (ed.), Political Thought and International Relations. Variations on a Realist Theme, Oxford University Press, Oxford 2009, pp. 63-82; e S. Turner – G. Mazur, Morgenthau as a Weberian Methodologist, «European Journal of International Relations», 15 (2009), 3, pp. 477-504. 25 Cfr. U.E. Petersen, Breathing Nietzsche’s Air: Morgenthau’s Concepts of Power and Human Nature, «Alternatives», 24 (1999), 1, pp. 83-118; M. Neacsu, Hans J. Morgenthau’s Theory of International Relations: Disenchantment and Re-enchantment, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2010. 26 R. Schuett, Freudian Roots of Political Realism: the Importance of Sigmund Freud to Hans J. Morgenthau’s Theory of International Power Politics, «History of the Human Sciences», 20 (2007), 4, pp. 53-78; Id., Political Realism, Freud, and Human Nature in International Relations. The Resurrection of the Realist Man, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2010.

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mentre l’autore tedesco era pressoché sconosciuto al panorama intellettuale statunitense. Seppur avesse già redatto alcuni interessanti saggi critici sul concetto del ‘politico’ elaborato da Schmitt (i cui contenuti ritorneranno anche nei lavori successivi)27, Morgenthau non aveva ancora terminato la sua prima opera ‘americana’ Scientific Man vs Power Politics, nelle cui pagine chiaramente riecheggia e viene sviluppata quella polemica contro lo «scientismo» già comparsa nelle riflessioni di Niebuhr nel 1932. Ciononostante, iniziò un rapporto di stima e amicizia destinato non solo a durare a lungo, ma anche ad approfondirsi costantemente. Se la loro reciproca influenza raggiunse il suo culmine soprattutto negli anni Cinquanta, quando entrambi presero parte alle riunioni del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato, un organismo che il generale George Marshall aveva predisposto per l’elaborazione di programmi di politica estera da sottoporre all’attenzione del Presidente, non venne meno negli anni della vecchiaia di Niebuhr. Ormai ritiratosi a vita privata presso Stockbridge, il teologo protestante ricevette numerose lettere e visite di Morgenthau fino al momento della sua morte nel giugno del 1971. E, l’anno successivo, Morgenthau dedicò la sua opera Science: Servant or Master? proprio alla memoria del teologo protestante.

Ad accomunare Niebuhr e Morgenthau, pur nell’evidente impossibilità – già sottolineata in precedenza – di far derivare unilateralmente il pensiero del secondo da quello del primo (come, troppo spesso, è accaduto nel corso dei decenni), sono in particolare due elementi, che permettono di scorgere anche la radice più profonda del loro realismo. Da un lato, la disponibilità di entrambi a imparare dall’esperienza. Niebuhr è convinto che esista una «relazione circolare tra fede ed esperienza» e che proprio l’esperienza sia l’«unica unità di misura della verità»28. Morgenthau ritiene che l’approccio razionalista, da cui originano tanto l’idealismo quanto lo scientismo, sia una «filosofia infondata» proprio perché «contraddetta dall’esperienza» e che pertanto «ha equivocato l’essenza della politica e dell’azione politica»29. L’intero magistero intellettuale dell’uno e dell’altro avviene attraverso una costante verifica con i fatti. L’elaborazione e la revisione delle teorie generali, così come l’esposizione di alcune prese di posizioni pubbliche (come nel caso, già ricordato, dell’opposizione alla guerra in Vietnam), si sviluppano a partire dall’osservazione attenta e appassionata del reale, senza che prevalga qualche forma di dogma ideologico. L’indagine delle dinamiche politiche interne e internazionali si evolve così seguendo un percorso lineare, ossia è in grado di cambiare nella continuità. Ciò è valido sia per Morgenthau, nel cui percorso culturale non ci sono svolte o strappi30, sia per Niebuhr, il cui pensiero – come osserva 27 Questo «brogliaccio», un «abbozzo embrionale di concetti e argomentazioni che avrebbero poi dovuto essere sviluppati, completati e stilisticamente ripuliti», contribuisce certamente «a formare quel fiuto per l’aggressività in tutte le sue forme, unito ad un profondo bisogno etico, che segnerà l’originale “realismo politico” dell’Hans Morgenthau “americano”» (cfr. L. Cimmino, Il giovane Morgenthau e la metafisica del potere, in H.J. Morgenthau, Il concetto del politico, pp. IX-LVIII, in particolare p. XXI e LVIII). 28 R. Niebuhr, Autobiografia intellettuale, p. 65. Ed è abbastanza singolare che Morgenthau si trovò a criticare – forse, per un’incomprensione – proprio alcune osservazioni del teologo protestante sul valore dell’esperienza (cfr. H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, pp. 45-46), quando poi riconosce come Niebuhr abbia «ripudiato il razionalismo in tutte le sue manifestazioni» (ivi, p. 57). 29 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, rispettivamente p. 8 e 12. 30 Concordo – come, peraltro, fa anche A. Campi, Hans J. Morgenthau e Carl Schmitt: un bilancio critico-bibliografico, in H.J. Morgenthau, Il concetto del politico, pp. LIX-CXII – con la posizione di Christoph Frei, che, nella sua già richiamata biografia del pensatore tedesco, rivede il paradigma fondato sulla ‘discontinuità’ tra il Morgenthau tedesco e quello americano precedentemente esposto da A. Söllner, German Conservatism in America: Morgenthau’s Political Realism, in «Telos», 72 (1987), pp. 161-172,

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Massimo Rubboli – è una «revisione continua, ma sulla base dei medesimi presupposti»31. Dall’altro lato, invece, il teologo protestante e l’autore tedesco sono portatori di una prospettiva assai simile. Entrambi esprimono «una concezione della politica, interna e internazionale, improntata al realismo», sebbene «sempre temperata da un forte senso morale e scevra da ogni cinismo», al tempo stesso entrambi sviluppano «un approccio allo studio dei fenomeni politici basato sul rifiuto del dogmatismo scientifico di matrice positivistica, dell’empirismo, dell’utilitarismo e di ogni forma di riduzionismo causale»32.

A differenziare maggiormente Niebuhr e Morgenthau sembra dunque il valore attribuito alla religione all’interno delle rispettive visioni del mondo. Il primo è alfiere del «realismo cristiano», mentre il secondo – muovendosi sempre all’interno della tradizione giudaico-cristiana – non conferisce ad alcuna religione una posizione privilegiata. Entrambi, però, mirano «a comprendere realisticamente in tutte le sue contraddizioni la vicenda personale dell’individuo e la vicenda globale dell’umanità»33. Niebuhr, attraverso quello che potremmo definire lo scetticismo della fede, intende demitizzare servendosi dell’antropologia cristiana le false sacralizzazioni della politica moderna34. Morgenthau, avvalendosi di quella che si potrebbe chiamare la fede nello scetticismo, rivede anch’egli – con un’impostazione la cui radice è psicologica e si fonda sul bisogno di autoaffermazione della natura umana35 – i più consolidati schemi interpretativi della modernità politica al fine di offrirne un più obiettivo e adeguato intendimento libero da condizionamenti ideologici. In questa prospettiva, le differenti sfumature del realismo espresse dall’uno e dall’altro si compenetrano, si integrano e (forse) addirittura si completano. Nella loro «fiera polemica» contro lo scientismo positivistico e contro l’idealismo sentimentale, Niebuhr e Morgenthau danno vita, seppur nelle loro peculiarità, a «una costruzione per molti versi parallela»36. Il ‘mito’ dell’uomo scientifico A partire dalla prima metà del XX secolo, Niebuhr e Morgenthau si pongono in netta contrapposizione con la cultura moderna, sia nella sua versione popolare sia nella sua declinazione accademica, denunciandone il «razionalismo» estremo e la tendenza a studiare l’uomo, la società e la politica, attraverso il metodo delle scienze naturali37.

e G. Russell, Hans J. Morgenthau and the Ethics of American Statecraft, Lousiana State University Press, Baton Rouge-London 1990. 31 M. Rubboli, Politica e religione negli Usa. Reinhold Niebuhr e il suo tempo (1892-1971), Franco Angeli, Milano 1986, p. 72. 32 Così, riferendosi in realtà soltanto all’autore di Politics Among Nations, A. Campi, Hans J. Morgenthau e Carl Schmitt, p. LX. Tuttavia, la precisione della definizione offerta sembra renderne possibile l’utilizzo anche nei confronti di Niebuhr. 33 S. Cotta, Una teologia antiperfettista dell’esistenza e della storia, in R. Niebuhr, Fede e storia, pp. VII-XVIII, p. X. Anche in questo caso, come nel precedente, le osservazioni di Cotta vengono riferite al solo teologo protestante, ma possono tranquillamente essere rivolte anche a Morgenthau. 34 A tal proposito, mi permetto di rimandare a una mia recente riflessione sull’approccio del teologo protestante al problema della democrazia: L.G. Castellin, Una possibile necessità. Metodo ed ethos della democrazia nel pensiero politico di Reinhold Niebuhr, in «Storia del pensiero politico», III (2014), 2, (in corso di pubblicazione). 35 Cfr. A. Campi, Introduzione, H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, pp. VII-XXII, specie p. X. 36 Così L. Bonanate, Introduzione, p. XVII. 37 A tal proposito, rifiutando il razionalismo di Lippmann, Morgenthau osserva: «Yet Herbert Butterfield,

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Entrambi gli autori, però, non si pongono in un atteggiamento denigratorio verso la scienza in senso lato, ma intendono combattere quella che a loro giudizio è soltanto un’applicazione errata del metodo scientifico, ossia ciò che definiscono «scientismo»38. Compiono una tale impresa – in maniera (forse) velleitaria – non solo attraverso le loro opere principali, ma anche in numerosi saggi e articoli. L’intera struttura argomentativa di Moral Man and Immoral Society, avendo come scopo quello di «trovare metodi politici che rendano quanto più possibile la realizzazione di obiettivi sociali eticamente soddisfacenti»39, serve – come il teologo protestante osserva fin dal principio dell’opera – a mettere in evidenza l’«importante differenza che corre tra le scienze naturali e quelle sociali»40. Niebuhr, fermamente convinto che la «cultura contemporanea» sia ancora troppo legata «alle illusioni e ai sentimentalismi dell’Età della Ragione»41, durante la quale si è diffusa una concezione ridotta della ragione, denuncia con forza e critica duramente il liberalismo progressista moderno, sia religioso sia laico, che aveva caratterizzato l’America tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo42. Nel far ciò, egli evidenzia, innanzitutto, l’inevitabile realtà del male, dell’interesse e dell’egoismo, che dominano la vita politica, economica e sociale. E, di conseguenza, afferma l’imprescindibile (ma sempre problematico sotto il profilo etico-morale) ruolo del potere e della violenza sia all’interno di ciascuno Stato, sia nei rapporti di questi ultimi nel sistema internazionale.

Questa convinzione sulla povertà dello scientismo, già presente fin dal 1932, viene espressa dal teologo protestante più volte nel corso dei decenni. Ne è un esempio, il seguente passaggio di Fede e storia del 1949, dove egli osserva polemicamente: La credenza moderna che la «oggettività scientifica» può essere semplicemente estesa dal campo della natura a quello della storia offusca l’unità dell’io che agisce nella storia ma è anche determinato dalla storia. […] La speranza che tutto ciò che è ribelle nel comportamento umano possa essere ricondotto sotto il controllo delle finalità più vaste della «ragione» mediante le stesse tecniche che permisero all’uomo di dominare la natura, non è semplicemente un’illusione accidentale, causata dai fenomenali risultati delle scienze naturali: è l’errore fondamentale del fraintendimento che l’uomo moderno ha di se stesso43. Gli ingenui limiti dello scientismo sono ribaditi anche nel 1953, quando, in un saggio contenuto nella raccolta Christian Realism and Political Problems, egli afferma:

Reinhold Niebuhr, myself, and others have tried to show how much more ambiguous and involved the relations between reason and politics are than is suggested by this simple rationalistic faith» (H.J. Morgenthau, The Revival of Objective Standards: Walter Lippmann (1955), in Id., Politics in the Twentieth Century. III. The Restoration of American Politics, University of Chicago Press, Chicago 1962, pp. 63-67, specie p. 66). 38 Come afferma, per esempio, R. Niebuhr, Christian Realism and Political Problems, Charles Scribner’s Sons, New York 1953, p. 80: «Many modern liberal theories derive their defects from the failure to make a sufficiently sharp between the natural and the socio-historical sciences between Naturwissenschaft and Geisteswissenschaft. Many think that it is a fairly simple task to apply the “scientific method” first perfected in the natural sciences, to the world of historical events and social judgements, thereby eliminating and correcting ideological distortions». 39 R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 9. 40 Ivi, p. 3. 41 Ivi, p. 9. 42 Cfr. S. Molloy, Realism: A Problematic Paradigm, in «Security Dialogue», 34 (2003), 1, pp. 71-85, p. 72. 43 R. Niebuhr, Fede e storia, p. 20.

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Una cultura scientifica, malgrado i suoi grandi risultati, manifesta una curiosa ingenuità nell’indagine della scena umana. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che i misteri del bene e del male nella natura umana sono nascosti per coloro che insistono nel fare dell’uomo un oggetto di analisi scientifica e tentano di collocare la sua libertà radicale in qualche tipo di schema44. La critica a quello che Niebuhr considera senza appello un uso ridotto – e, pertanto, scorretto e pericoloso – della ragione è espressa in maniera assai significativa anche nelle pagine della breve autobiografia intellettuale dell’autore. Ripercorrendo un segmento della sua traiettoria all’interno della cultura americana, il teologo protestante ribadisce: Qualunque siano i successi della sociologia e della psicologia, in genere hanno affrontato il campo dell’analisi politica con sentimentalismo e scarsa chiarezza, probabilmente perché sono così intente ad uguagliare le scienze naturali nella scientificità e così ridicolmente fiduciose nella capacità dell’era tecnologica di controllare la vasta area della vitalità storica attraverso gli stessi metodi da essa usati per ‘domare’ la natura45. Se le aspre critiche a una certa impostazione – al tempo, secondo il teologo protestante, piuttosto diffusa – della cultura moderna vengono continuamente riproposte da Niebuhr, ancora più decisa è l’opposizione a una tale situazione di quel Morgenthau, «molto meno conosciuto e discusso, che riflette sulla natura delle scienze sociali, sui rapporti fra scienza e filosofia, sui compiti della scienza politica, sui rapporti fra scienze sociali e pratica politica, nonché sui vincoli morali che gravano sull’azione politica»46. In Scientific Man vs Power Politics, che «rimane ancora oggi una delle più severe critiche mai scritte contro il metodo scientifico applicato alla prassi e allo studio della politica»47, l’autore non ha – al pari di Niebuhr – come obiettivo polemico la ragione, ma «gli abusi a cui essa è stata sottoposta dagli scienziati a lui contemporanei»48. Infatti, il suo scopo ultimo, come afferma lo stesso Morgenthau nella Prefazione dell’opera, è quello di «mostrare perché la fede nei poteri taumaturgici della scienza sia mal riposta»49. Secondo l’autore di Politics Among Nations, lo scientismo è soltanto la più recente e (forse) seducente ‘maschera’ che il razionalismo indossa per tentare di dirigere i problemi sociali e politici, ma in una tale impresa è destinato al fallimento. Infatti, egli ritiene che «[l]a moderna fiducia nella soluzione scientifica anziché nell’azione politica affonda le radici in un’errata visione della filosofia razionalista, rivelatasi incapace di comprendere tre aspetti fondamentali del proprio oggetto: la natura dell’uomo, la natura

44 R. Niebuhr, Democracy, Secularism and Christianity, in Id., Christian Realism and Political Problems, pp. 95-103; trad. it. Democrazia, secolarismo e cristianesimo, in G. Dessì, Niebuhr, pp. 105-112, p. 111. 45 R. Niebuhr, Autobiografia intellettuale, p. 61. 46 A. Panebianco, Hans Morgenthau: teoria politica e filosofia pratica, pp. 219. 47 L. Zambernardi, Postfazione, H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, pp. 299-345, p. 300. È un opera molto apprezzata anche dal teologo protestante (R. Niebuhr, Review of Scientific Man vs Power Politics, «Christianity and Society», Spring 1947, pp. 33-34). 48 L. Zambernardi, I limiti della potenza, pp. 50-51. 49 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 4. «In quella sede», osserverà poi l’autore a proposito dell’opera, «cercai di mettere a confronto quelli che ritenevo essere i problemi esistenziali, politici e sociali e il modo in cui la tradizione americana tentava di affrontarli. Questa tradizione parte dal presupposto che tutti i problemi siano suscettibili di una soluzione razionale e che nel caso risultino ostici, è solo questione di energia, di tempo, di sforzo e di soldi. Alla fine, i problemi verranno risolti. Ho tentato di dimostrare il carattere tragico dei problemi politici e sociali, che eludono una soluzione netta, che debbono essere accettati e gestiti e che non possono essere esorcizzati tramite un qualche espediente tecnologico, sociale o politico» (H.J. Morgenthau, Memorie di un realista, p. 80).

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del mondo – soprattutto sociale – e infine la natura della ragione stessa»50. Come aveva già fatto il teologo protestante, anche Morgenthau sottolinea la fallacia di una equiparazione acritica tra scienze naturali e scienze sociali, e, quindi, fra i rispettivi campi di analisi: L’analogia tra mondo sociale e mondo naturale è errata per due ordini di ragioni legate al controllo pratico e alla struttura teorica. Da un lato, l’agire umano non è in grado di plasmare il mondo naturale e quello sociale con il medesimo grado di perfezione tecnica; dall’altro il concetto di natura fisica come paradigma della ragione, da cui deriva appunto l’analogia tra mondo naturale e mondo sociale, è confutato dallo stesso pensiero scientifico moderno e sopravvive solo nella scienza e nella filosofia razionalista51. Per fuggire le illusioni ingenerate dallo scientismo, Morgenthau invita a esaminare i problemi sociale e politici alla luce della tradizione filosofica occidentale prerazionalista. In altri termini, ad allargare la ragione, non rendendo l’uomo misura di tutte le cose52. E, pertanto, osserva: La politica va compresa attraverso la ragione, ma non è nella ragione che trova il suo modello. I princìpi della ragione scientifica sono sempre semplici, coerenti e astratti, mentre il mondo sociale è complesso, contraddittorio e concreto. Applicare i primi al secondo può essere inutile, giacché la realtà sociale è impermeabile all’attacco di quella «ragione miope, così inadeguata nella sua visione della complessità», oppure fatale, poiché produrra risultati contrari all’obiettivo perseguito. La politica non è una scienza ma un’arte, e per penetrarla non serve la razionalità dell’ingegnere, ma la saggezza e la forza morale dello statista. Il mondo sociale, sordo all’appello della ragione pura e semplice, si piega solo di fronte a quella complessa rete di pressioni morali e materiali che l’arte dello statista crea e mantiene53. Il tentativo di «trasformare la politica in scienza» tipico dell’età moderna ne rivela – secondo Morgenthau – il «disorientamento intellettuale», la «cecità morale» e la «decadenza politica»54, evidenziando al tempo stesso il «generale declino del pensiero politico occidentale»55 e, per molti versi, anche e soprattutto quello della scienza politica.

50 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 169. 51 Ivi, p. 174. «L’era scientifica», prosegue l’autore qualche pagina più in là, «interpreta erroneamente la natura dell’uomo poiché, da un lato attribuisce alla ragione un potere di conoscenza e di controllo sul mondo sociale che essa non possiede e, dall’altro, non considera che la comprensione – e l’agire che ne deriva – non è l’unica dimensione da cui l’uomo affronta il mondo sociale. L’uomo non si limita a conoscere il mondo sociale e ad agire sulla base di questa conoscenza, ma riflette ed esprime giudizi sulla natura e il valore di quel mondo, oltre che sulla natura e il valore dei suoi comportamenti sociale e della sua esistenza nella società. In sintesi, l’uomo è anche un essere sociale. L’era scientifica ha oscurato e distorto, se non addirittura annullato, questo aspetto della natura umana nel tentativo di ridurre i problemi morali a proposizioni scientifiche» (ivi, p. 229). 52 Su un tale aspetto, si vedano, per esempio, le considerazioni contenute nel saggio giovanile H.J. Morgenthau, Sul senso della scienza nella nostra epoca e la missione dell’essere umano (1934), in Id., Il concetto del politico. Contra Schmitt, pp. 79-152. Ma, si osservi anche la ricomparsa di elementi – già presenti nell’opera di Morgenthau del 1946 – nelle riflessioni del teologo protestante: cfr. R. Niebuhr, L’ironia della storia americana, pp. 269-307. 53 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 18. 54 Ibidem. 55 Ivi, p. 4. Pochi anni dopo una tale perentoria affermazione, Morgenthau in maniera assai significativa attribuisce a Niebuhr – unico tra i pensatori novecenteschi – il merito di aver riconosciuto chiaramente e di aver esposto in maniera acuta e brillante proprio questo essenziale difetto (cfr. H.J. Morgenthau, The Surrender to the Immanence of Power: E. H. Carr (1948), in Id., Politics in the Twentieth Century. III. The Restoration of American Politics, pp. 36-43, p. 42).

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La ‘povertà’ della scienza politica Per l’autore di Politics Among Nations, la società contemporanea dimostra un’incapacità di comprendere e affrontare i problemi politici che le vengono costantemente posti di fronte da un’epoca di grandi trasformazioni e cambiamenti. Seppur sia pienamente cosciente che attraverso la propria attività accademica egli riuscirà soltanto a evidenziare questioni la cui risoluzione è assai più complessa, Morgenthau è convinto che sia la stessa natura umana a essere in grado di «confutare definitivamente l’analogia razionalistica tra natura e mondo sociale», che costituisce – a suo giudizio – il «vero e proprio fondamento» della «scienza della politica», in particolare di quella nordamericana56. Niebuhr non si distanzia molto da un tale giudizio. In maniera altrettanto netta e caustica, nelle pagine di The Irony of American History, egli sottolinea come gli Stati Uniti siano ironicamente in prima fila nel perseguimento di un tale impostazione. Secondo il teologo protestante, infatti, «nessun’altra cultura nazionale è stata così assidua» nel tentativo «di forzare le possibilità proprie delle scienze sociali e politiche, e in fondo di tutte le arti liberali, entro i limiti delle scienze naturali»57. E il principale esito di tutto ciò è un generalizzato smarrimento della capacità conoscitiva delle scienze politiche e sociali, che risultano impoverite e incapaci di offrire una visione e una comprensione della realtà in grado di superare l’angusto orizzonte a cui le consegna il riduzionismo scientista. A tal proposito, egli afferma:

quando la scienza politica è separata dalle sue antiche radici umanistiche e “arricchita” dalla saggezza di sociologi, psicologi ed antropologi, in genere il risultato è una preoccupazione per le piccolezze che trascurano i grandi e tragici affreschi della storia contemporanea, e offre soluzioni insipide per problemi profondi58.

Se le osservazioni di Niebuhr contro questa impostazione prevalente delle scienze sociali mantengono sempre un accento (certamente) polemico, ma al tempo stesso alquanto indefinito, con l’unica ma assai significativa eccezione della radicale opposizione al pensiero di John Dewey59, la critica di Morgenthau ha un bersaglio

56 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 196. 57 R. Niebuhr, L’ironia della storia americana, p. 261. 58 Ibidem. 59 Già nelle prime pagine della sua opera del 1932 che gli diede notorietà verso il grande pubblico, il teologo protestante affermava con forza: «questo saggio si rivolge contro quei moralisti, religiosi o “laici”, i quali ritengono che l’egoismo degli individui sia destinato ad essere progressivamente imbrigliato dallo sviluppo della razionalità o dal crescere di uno “zelo morale” religiosamente ispirato, e credono che per il trionfo dell’armonia sociale in tutte le società e collettività umane non c’è bisogno di altro se non della continuazione di tale processo» (R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 1). Ciò che manca a questi moralisti, aggiunge poco dopo l’autore, «è la comprensione del carattere brutale del comportamento di tutte le collettività umane, e della forza dell’interesse personale e dell’egoismo collettivo in tutte le relazioni tra gruppi. Quando non ci si rende conto dell’ostinata resistenza dell’egoismo di gruppo all’impegno per qualsiasi obiettivo morale socialmente rilevante, si finisce inevitabilmente per giungere ad un pensiero politico irrealistico e confuso» (ibi, p. 6). Fondamentali dubbi sulla validità di un tale approccio, inoltre, vengono sollevati anche da H.J. Morgenthau, Memorie di un realista, pp. 79-80: «Ero stato allevato all’interno di una tradizione totalmente differente dal pragmatismo americano, influenzata dal pensiero di Max Weber e Hans Kelsen. Per cui rimasi alquanto sorpreso dall’ottimismo e dal pragmatismo tipici della tradizione intellettuale americana».

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preciso: il comportamentismo e quella «fazione Merriam»60 che influenzava ancora profondamente la Scuola di Chicago e gli studi politologici negli Stati Uniti61. Oltre che nel fondamentale volume Scientific Man vs Power Politics, che – come ricorda l’autore, proprio per tale motivo – «fu fatto a pezzi», ricevendo «le recensioni più disastrose che si possano immaginare»62, Morgenthau affrontò il problema della ‘povertà’ della scienza politica, per come veniva intesa e praticata dalla maggior parte dei suoi contemporanei, anche in altri due brevi scritti ‘gemelli’. Il primo è un articolo – dal significativo titolo Reflections on the State of Political Science – comparso sulla «Review of Politics» nell’autunno del 1955, mentre il secondo è il testo di una conferenza del 1966, tenuta sotto gli auspici della American Academy of Political and Social Science, che riporta l’altrettanto suggestivo titolo di The Purpose of Political Science63. In entrambi questi lavori, l’autore tedesco esprime in maniera sintetica ed efficace alcune convinzioni che, oltre a ritornare costantemente nella sua riflessione intellettuale, hanno degli importanti punti di contatto con l’elaborazione teorica di Niebuhr. Innanzitutto, egli denuncia con forza il «formalismo accademico» imperversante negli studi politologici, che tendono sempre più a costringere la teoria in un «letto di Procuste», nel quale si adagiano soltanto quelle argomentazioni accademiche che seguono un prestabilito criterio metodologico o rispettano precisi parametri procedurali senza alcuna attenzione all’effettivo valore che il singolo contributo può offrire alla comprensione delle dinamiche politiche64. Egli non ritiene che la scienza politica possa essere determinata a priori o in astratto. E, in tal senso, è uno strenuo oppositore sia dell’intrusione del governo centrale statunitense nella pianificazione della ricerca politologica65, sia della riduzione della scienza politica esclusivamente ai metodi quantitativi (di cui non disconosce certo il contributo, ritenendolo però circoscrivibile soltanto ad alcuni ambiti)66.

In secondo luogo, Morgenthau afferma – utilizzando un argomento tipicamente niebuhriano67 – che l’oggetto di analisi della scienza politica è l’uomo non come mero prodotto della natura, bensì come «creatura» e, al tempo stesso, «creatore» della storia68. Per tale motivo, deve essere compreso a partire dalla sua libertà, dai suoi interessi e dalle pulsioni psicologiche che ne muovono ogni azione politica. Una conoscenza della 60 H.J. Morgenthau, Memorie di un realista, p. 74. 61 A tal proposito, si vedano le più estese e fondamentali osservazioni di L. Zambernardi, I limiti della potenza, pp. 19-76. 62 H.J. Morgenthau, Memorie di un realista, p. 74. «Fui fortunato», aggiunge sarcastico, «ad ottenere la cattedra un paio di settimane prima che il libro uscisse», «se fosse uscito prima non avrei ottenuto affatto la cattedra oppure sarebbe stata un’ardua impresa» (ibidem). Un’ottima rassegna delle critiche all’opera è offerta in L. Zambernardi, Postfazione, pp. 300-321. 63 H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, «Review of Politics», 17 (1955), 4, pp. 431-460; e Id., The Purpose of Political Science, in J.C. Charlesworth (ed.), A Design for Political Science: Scope, Objectives, and Method, The American Academy of Political and Social Science, Philadelphia 1966, pp. 63-79. Nel medesimo volume sono anche contenute le vibranti critiche dei suoi detrattori e le risposte di Morgenthau (cfr. ivi, pp. 80-148). 64 Cfr. H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, pp. 452-457; e Id., The Purpose of Political Science, pp. 75-79. 65 H.J. Morgenthau, The Purpose of Political Science, pp. 69-71. 66 H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, p. 442. 67 Si veda, per esempio, R. Niebuhr, The Nature and Destiny of Man, I, pp. 150-177; Id. Fede e storia, p. 25; e Id. L’ironia della storia americana, p. 271. 68 Cfr. H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, p. 441; e Id., The Purpose of Political Science, p. 68.

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politica inoltre non può mai essere realmente indipendente o estranea dalla comunità in cui viene perseguita. Come osserva anche Niebuhr, benché la cultura moderna «si illuda di operare un’analisi meramente ‘scientifica’ degli eventi storici, invariabilmente rivela che la sua ricerca è guidata da una fede che è qualcosa di più della fede dello scienziato nell’ordine della natura», proprio perché «determina le conclusioni a cui giunge lo scienziato anche se egli le ritiene il frutto della sua indagine empirica»69. Il metodo scientifico, al pari dell’opinione o del giudizio di ogni uomo o di ciascun gruppo, non sfugge dal fatto di essere sempre interessato e non oggettivo, anche se proclama di aver eliminato o corretto qualsiasi distorsione ideologica dal proprio paradigma70. La ragione – egli osserva, anche nella sua ultima opera – non si muove mai in un vuoto: i presupposti individuali o sociali da cui prende spunto la rendono serva e non padrona degli impulsi umani71. Pertanto, quello che il teologo protestante non smette mai di sottolineare è il fatto che nel rapporto dell’uomo con la realtà vi è sempre un’opzione iniziale in grado poi di determinare tutto il suo percorso conoscitivo. L’idea che il moderno metodo ‘scientifico’, che si auto-connota come ‘empirico’ e ‘razionale’, garantisca una conoscenza delle dinamiche storiche e politiche priva di pregiudizi è per Niebuhr profondamente falsa: alla base di tale metodo, infatti, vi sono il presupposto della perfettibilità umana e quello del progresso72. Egli ritiene che gli «scienziati sociali, che sono tanto ansiosi di offrire alla nostra generazione consigli di salvezza e sono tanto scandalizzati che la gente sia così ignorante e pigra da non accettare i frutti della loro saggezza, tradiscono pregiudizi borghesi in quasi ogni pagina dei loro scritti», dal momento che una «completa obiettività razionale è impossibile»73. In tal senso, come Morgenthau osserva in Scientific Man vs Power Politics, le «scienze sociali sono scientifiche solo muovendo da premesse di cui esse presuppongono l’accettazione universale senza mai raggiungerla», infatti «le condizioni sociali determinano non soltanto il secondo fine, ma anche l’oggetto di indagine, la relazione tra l’oggetto e lo studioso nonché i suoi assunti, metodi e scopi immediati»74. Per tale motivo, ribadisce in Reflections on the State of Political Science, la «verità della scienza politica è necessariamente una verità parziale»75.

Piuttosto che subire la pressione della società e adattarsi al conformismo, la scienza politica deve a giudizio di Morgenthau avere infine il coraggio di rischiare l’«impopolarità» (come lo stesso autore fece nel caso della Guerra del Vietnam), superando il pericolo dell’autoreferenzialità e, pertanto, dell’irrilevanza. Egli, infatti, considera una tale disciplina al pari di un’«istituzione sociale», la quale non potrà mai sfuggire dalle contingenze della società in cui è nata e opera, ma può e deve mantenere vivo un anelito ideale alla ricerca della «verità»76. Affinché ciò sia possibile, Morgenthau ritiene indispensabile che la scienza politica «risponda alle sfide della

69 R. Niebuhr, Autobiografia intellettuale, pp. 63-64. 70 A tal proposito, si veda R. Niebuhr, Christian Realism and Political Problems, p. 75 e p. 80. 71 Cfr. R. Niebuhr, Man’s Nature and His Communities. Essays on the Dynamics and Enigmas of Man’s Personal and Social Existence, Charles Scribner’s Sons, New York 1965, pp. 30-83; queste pagine sono tradotte in italiano: La natura dell’uomo e le sue comunità. Uno studio critico delle teorie politiche realiste e idealiste, in «Rivista di Politica», III (2013), n. 4, pp. 113-133, la citazione è a p. 129. 72 Cfr. ivi, pp. 2-4. 73 R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 3. 74 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 220. 75 H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, p. 446. 76 Cfr. H.J. Morgenthau, The Purpose of Political Science, pp. 72-73.

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realtà politica», essendo in grado di separare le contingenze dagli elementi perenni77. E, soprattutto, invita alla necessaria riaffermazione di quell’importante legame che ha sempre stretto «filosofia politica» e «scienza politica»: tagliando le radici da cui trae la sua vita, la sua crescita e che le conferiscono significato, la politologia non può che risultarne «mutilata», ossia incapace di comprendere il «mistero», la «sete di potere» e la «tragedia» della politica78. Esiste infatti, secondo Morgenthau, un «rapporto organico» e «per niente casuale» tra «filosofia politica» e «una particolare situazione storica o un concreto problema politico», che costituisce il «presupposto» per qualsiasi «pensiero politico creativo»79.

Il superamento delle ‘illusioni’ della cultura liberale e della ‘povertà’ della scienza politica possono avvenire soltanto attraverso l’approdo a una posizione più ragionevole sulla politica, in grado di tenere conto di tutti i fattori del reale. Mentre l’uomo «solo scientifico», osserva Morgenthau, è «il dogmatico che universalizza principi cognitivi di validità limitata e li applica ad ambiti a essi inaccessibili», l’uomo «più che scientifico» rappresenta l’unico «interprete della ragione autentica», ossia «il vero realista che rende giustizia alla vera natura delle cose»80. Pertanto, un più efficace intendimento delle dinamiche e dei processi interni e internazionali può avvenire soltanto attraverso una riscoperta dell’uomo politico e della sua inevitabile dimensione morale. La riscoperta dell’uomo politico e l’etica del realismo Il 20 ottobre 1961 viene organizzata a New York una giornata di studi in onore di Niebuhr. In quell’occasione, Morgenthau tiene una relazione in cui, riflettendo sul pensiero del teologo protestante, non nasconde affatto di averlo sempre considerato «il più grande filosofo politico vivente degli Stati Uniti»81. Al tempo stesso, dopo aver riconosciuto come «tipico» della politica americana il fatto che «a meritarsi tale definizione non sia uno statista né un politico e tanto meno un docente di scienze politiche o di filosofia, ma piuttosto un teologo», aggiunge che ciò è molto probabilmente dovuto alla sua capacità di «osservare la società americana così com’era dall’esterno, sub specie aeternitatis»82. Quasi sicuramente, è proprio per tale motivo che Morgenthau ritiene Niebuhr un autore in grado di fare scuola, definendolo il vero «responsabile della riscoperta dell’Uomo Politico» all’interno della cultura americana. In questa prospettiva, egli infatti osserva: Se si volesse ridurre a una formula il contributo di Reinhold Niebuhr alla vita e al pensiero politici degli Stati Uniti, si potrebbe affermare che il teologo americano è responsabile della riscoperta dell’Uomo Politico. Sotto cinque aspetti diversi: ha riscoperto l’autonomia della sfera politica; ha riscoperto il dilemma intellettuale di comprendere la politica e agire nell’ambito della sfera politica; ha riscoperto il

77 Ivi, p. 77. 78 Cfr. H.J. Morgenthau, Reflections on the State of Political Science, pp. 448-452. 79 Cfr. H.J. Morgenthau, The Influence of Reinhold Niebuhr in American Political Life and Thought, in H.R. Landon (ed.), Reinhold Niebuhr: A Prophetic Voice in Our Time, Seabury Press, Greenwich 1962, pp. 97-109; trad. it. parz. Alle radici del realismo. Il pensiero politico di Reinhold Niebuhr, in «Rivista di politica», I (2010), 3, pp. 131-135, p. 133. 80 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, pp. 292-293. 81 H.J. Morgenthau, Alle radici del realismo, p. 135. 82 Ibidem.

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dilemma morale dell’azione politica; ha ristabilito il rapporto organico tra pensiero politico e azione politica; e, infine, ha riscoperto il carattere tragico dell’atto politico83. Ben lontane dall’essere mere parole di circostanza, quelle di Morgenthau sono un tributo sincero all’opera di Niebuhr, il quale a sua volta definirà il suo più giovane amico come il «realista più autorevole e geniale»84 della sua generazione. Inoltre, esse permettono anche di mettere in luce un ulteriore aspetto che accomuna – seppur con accenti differenti – la riflessione di entrambi: vale a dire, la dimensione etica del realismo. Molto spesso sottaciuta dai critici, la riflessione sul rapporto tra politica e morale è essenziale e ineluttabile sia in Niebuhr sia in Morgenthau. Entrambi rifiutano il moralismo della cultura borghese, ma non dimenticano mai di riflettere sulle implicazioni morali di ogni idea o prassi politica.

Come osserva Morgenthau in Scientific Man vs Power Politics, «[a]nche quando l’umanità sembra occuparsi dell’aspetto scientifico della natura politica dell’uomo e considera l’etica una scienza empirica ovvero stabilisce di ignorarla del tutto, le questioni morali levano la propria voce ed esigono una risposta», cosicché la «storia del pensiero politico» diventa «storia della valutazione morale del potere politico»85. Inoltre, anche se il realismo si è frequentemente confuso con un cinismo compiaciuto, che non esita a dileggiare le comuni aspirazioni alla giustizia e a mostrare l’impotenza politica delle prescrizioni morali, Morgenthau e Niebuhr sembrano andare oltre il realismo cinico di Niccolò Machiavelli e Thomas Hobbes. «Il realismo politico», afferma l’autore tedesco in Politics Among Nations, «è consapevole del significato morale dell’azione politica e della ineluttabile tensione fra il principio morale e i requisiti di una politica di successo; né esso vuole sorvolare su tale tensione, dimenticarla e confondere i termini tanto del problema morale quanto di quello politico»86. Per molti versi, attingendo dal pensiero di Sant’Agostino, Niebuhr fa eco alle conclusioni di Morgenthau ed esprime una visione secondo cui gli esseri umani, nonostante vivano sotto il dominio degli impulsi naturali, sono anche animati da un’insopprimibile tensione a trascendere la natura. Infatti, come sottolinea nel saggio Augustine’s Political Realism, «[s]e il realismo di Agostino è contenuto nelle sue analisi della civitas terrena, il suo rifiuto dell’idea che il realismo debba condurre al cinismo o al relativismo è incluso nella sua definizione della civitas Dei, che egli dichiara connessa con la “città di questo mondo” e che ha l’amore di Dio, piuttosto che l’amor proprio come suo principio guida»87. E, significativamente aggiunge, «[u]n realismo diviene moralmente cinico o nichilistico quando assume che una caratteristica universale del comportamento umano deve essere considerata anche come normativa»88. Invece, proprio perché «riconosce che la corruzione della libertà umana può rendere universale un modello di comportamento senza farlo diventare normativo», la descrizione del comportamento umano proposta da Agostino è in grado secondo il teologo protestante di evitare sia «l’illusione» del perfezionismo sentimentale, sia «il

83 Ivi, p. 131. 84 R. Niebuhr, La natura dell’uomo e le sue comunità, p. 142. 85 H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, p. 230. 86 H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, p. 18. 87 R. Niebuhr, Augustine’s Political Realism, in Id., Christian Realism and Political Problems, pp. 119-146; trad. it. Il realismo politico di Agostino, in G. Dessì, Niebuhr, pp. 77-104, p. 88. 88 Ibidem.

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cinismo» del realismo nichilista89. «Il bene ed il male», sottolinea infatti Niebuhr, «non sono determinati da strutture fisse dell’esistenza umana»90.

Pur nel riconoscimento dell’inevitabile tensione fra etica e politica, che mette in evidenza il carattere drammatico, tragico o ironico della storia, Niebuhr e Morgenthau non intendono mai affermare come possibile o auspicabile una netta separazione tra politica e morale. Il primo crede che il problema del dilemma morale della politica nasca dalla divaricazione tra il comportamento dei singoli e quello delle comunità91. Il secondo ritiene ciò sia un riflesso della divergenza tra i valori della cristianità e la prassi politica92. Il teologo protestante si trova soltanto in parte d’accordo con quest’ultima osservazione di Morgenthau, proprio perché sottolinea che il cristianesimo e la politica non sono affatto in stridente e insolubile contraddizione: secondo Niebuhr, l’ambiguità morale della politica non può essere ridotta a una completa mancanza di contenuti morali93. Infatti, una «moralità politica adeguata», come aveva già osservato in Moral Man and Immoral Society, «non può che mettere in crisi tanto le idee dei moralisti che quelle dei fautori della Realpolitik»94. Riconoscendo come inevitabile il conflitto sociale, il teologo protestante non lo considera però normativo: può essere arginato e messo sotto controllo, attraverso la ricerca di un sostenibile schema di giustizia, il quale non può che fondarsi «sulla fiducia nella capacità degli uomini di raggiungere accordi temporanei, ma tollerabili, tra gl’interessi in gioco e di arrivare ad una concezione comune della giustizia che trascenda tutti gl’interessi parziali»95.

Entrambi ritengono inoltre che la politica sia una lotta per il potere, nella quale l’animus dominandi dell’uomo esprime tutta la sua insaziabile voracità, ma non è in grado di esaurire totalmente l’orizzonte dell’azione politica. L’origine di una tale insopprimibile brama di potere è rinvenuta nella natura umana, ossia nell’ansietà e nell’insoddisfazione che si generano a causa della sproporzione tra la tensione all’ideale che costituisce l’uomo e gli esiti precari o parziali a cui è in grado di giungere. Ma, nella riflessione sul potere, si coglie forse uno degli aspetti che più distanziano le prospettive degli autori. Se, da un lato, Niebuhr considera l’acquisizione, il controllo e l’estensione del potere come una corruzione dell’agape causata dal peccato originale, Morgenthau, dall’altro, scorge nello spirito di potenza un impulso naturale analogo e parallelo all’amore96. Pertanto, nella visione di Niebuhr la ricerca del potere viene imbrigliata dalle residue capacità creative della persona, che è capace di trascendere i limiti della natura umana, mentre nella prospettiva di Morgenthau risulta impossibile scogliere il dilemma morale che accompagna l’azione politica, cosicché l’unica soluzione rimane il ricorso al «male minore»97. Benché Morgenthau affermi che l’«etica politica» è l’«etica del male», proprio perché la politica è chiamata spesso ad agire contro gli interessi o i 89 Ibidem. 90 Ibidem. 91 Cfr. R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 1. 92 Si veda H.J. Morgenthau, Alle radici del realismo, p. 132. 93 Sulle risposte del teologo protestante a Morgenthau, si veda R. Niebuhr, The Response of Reinhold Niebuhr, in H.R. Landon (ed.), Reinhold Niebuhr, pp. 120-123. 94 R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 165. 95 R. Niebuhr, Figli della luce e figli delle tenebre, p. 47. 96 Cfr. R. Niebuhr, The Nature and Destiny of Man, I, pp. 179-264; H.J. Morgenthau, L’origine del politico a partire dalla natura umana; e H.J. Morgenthau, Love and Power (1962), in Id., Politics in the Twentieth Century. III. The Restoration of American Politics, pp. 7-14. Sul termine-concetto di potere in Morgenthau, si veda anche il recente F. Rösch, Pouvoir, puissance, and politics: Hans Morgenthau’s dualistic concept of power?, «Review of International Studies», 40 (2014), 2, pp. 349-365. 97 Cfr. H.J. Morgenthau, L’uomo scientifico versus la politica di potenza, pp. 270-271.

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valori di individui e gruppi, egli è altrettanto fermo nell’osservare che «[n]on si può ripudiare la ricerca di un’etica senza ripudiare la natura dell’uomo»98. «Scegliere tra diverse azioni opportunistiche quella meno malvagia», egli d’altronde prosegue, «comporta un giudizio morale», tanto che «nella combinazione di saggezza politica, coraggio e giudizio morale, l’uomo riconcilia la sua natura politica con il suo destino etico»99.

La moralità della politica investe soprattutto il comportamento degli Stati all’interno del sistema globale e introduce il tema dell’«interesse nazionale». Ambedue rifiutano una visione consequenzialista del «governo mondiale»100, ritenendolo un risultato possibile ma (per molti versi) illusorio, e pensano che un «travagliato e difficile equilibrio di potenza»101 – sia a livello interno, sia a livello internazionale – sia il principale risultato a cui è possibile giungere in ambito politico102. Tuttavia, Niebuhr e Morgenthau mostrano una concezione dell’interesse nazionale (almeno in parte) differente103. Il primo lo ritiene un aspetto in grado di essere in qualche modo traguardato, il secondo invece si mostra assai meno incline a considerarlo un fattore aggirabile nelle dinamiche internazionali (anche se crede che le azioni degli Stati siano soggette a principi morali universali104). Di fronte alle inevitabili distanze tra i due autori, rimane comunque un punto di contatto molto importante, ossia il riconoscimento che interessi nazionali divergenti o contrastanti possono trovare una qualche forma di convivenza e coabitazione105.

Un tale obiettivo viene ritenuto raggiungibile soltanto con il rifiuto non solo di qualsiasi «fanatismo da crociata» che «distrugge nazioni e civiltà in nome di un principio, di un ideale, o persino in nome di Dio stesso»106, ma anche e soprattutto di ogni «devozione religiosa» e «assoluta» a «fini politici relativi», proprio perché «tutti i fini politici sono relativi»107. In tal senso, esprimendo un giudizio che riecheggia le argomentazioni di Niebuhr, Morgenthau osserva come le nazioni che si scontrano sull’arena internazionale, «convinte di seguire il mandato della storia, di fare per l’umanità ciò che solo apparentemente fanno per se stesse, e di svolgere una missione sacra ordinata dalla provvidenza», ignorano invece di scontrarsi «sotto un cielo vuoto, dal quale anche gli dèi sono fuggiti»108. Così come l’autore tedesco, anche il teologo protestante sconfessa ogni forma di eccezionalismo, soprattutto americano. Il successo degli Stati Uniti nella politica mondiale, infatti, «richiede una consapevolezza sincera degli elementi contingenti nei valori e negli ideali della nostra fede, anche quando ci sembrano universalmente validi; e un generoso apprezzamento degli elementi positivi 98 Ivi, pp. 268-269. 99 Ivi, p. 271. 100 Cfr. H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, pp. 465-500; e R. Niebuhr, The Illusion of World Government, «Foreign Affairs», 27, 1949, 3, pp. 379-388; trad. it. L’illusione del governo mondiale, «Rivista di Politica», IV, 2013, 4, pp. 117-124. 101 R. Niebuhr, Uomo morale e società immorale, p. 163. 102 Sulla centralità dell’equilibrio di potenza nella riflessione dell’autore tedesco si veda H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, pp. 261-307. 103 A tal proposito, si veda, per esempio, R. Niebuhr, La natura dell’uomo e le sue comunità, pp. 142-145. 104 Cfr. H.J. Morgenthau, Another “Great Debate”: The National Interest of the United States, «American Political Science Review», XLVI (1952), 4, pp. 961-988, p. 985. 105 Sull’argomento si vedano le riflessioni di W.E. Scheuerman, The Realist Case for Global Reform, Polity, Cambridge 2011. 106 H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, p. 19. 107 R. Niebuhr, Figli della luce e figli delle tenebre, cit., p. 137. 108 H.J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, p. 349.

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nelle azioni e istituzioni delle altre nazioni, anche quando si allontanano dalle nostre»109.

Richiamando ancora una volta l’autorità intellettuale del Vescovo di Ippona, il teologo protestante ritiene di doversi pertanto affidare a una sua continua riscoperta per superare una concezione eccessivamente miope dell’interesse nazionale e troppo riduttiva del realismo: La formula di Agostino corregge il «realismo» di coloro che sono realisti in modo miope nel vedere soltanto i propri interessi e nel trascurare di fare giustizia ai loro interessi quando essi siano coinvolti con gli interessi di altri. Ci sono dei realisti moderni, per esempio, che, nella loro reazione alle forme di idealismo internazionale astratte e vaghe, consigliano alla nazione di consultare soltanto i propri interessi. In un certo senso l’autointeresse collettivo è così consistente che è superfluo raccomandarlo. Ma un forte autointeresse da parte di una nazione opererà contro i propri interessi, perché mancherà di fare giustizia a più ampi ed elevati interessi che sono coinvolti con gli interessi delle altre nazioni. Un’angusta fedeltà nazionale da parte nostra, per esempio, oscurerà la nostra ampia serie di interessi laddove essi siano coinvolti con quelli di una completa alleanza di nazioni libere. Perciò la fedeltà di una crescente parte di cittadini di una nazione ad un valore trascendente l’interesse nazionale salverà una nazione «realista» dal definire i propri interessi in termini così ristretti e limitati, come dall’abbandonare gli interessi reali della nazione110. D’altronde, secondo Niebuhr, il realismo di Agostino, risulta ancora nel XX secolo la «guida più affidabile» per muoversi in un «mondo pericolante e in decadenza»:

I «realisti» moderni conoscono il potere dell’autointeresse collettivo come Agostino; ma essi non comprendono la sua cecità. I pragmatisti moderni hanno compreso l’irrilevanza di norme fisse e dettagliate; ma non hanno compreso che l’amore deve prender posto come norma finale in luogo di queste norme inadeguate. I cristiani liberali moderni sanno che l’amore è la norma ultima per l’uomo; ma essi cadono nel sentimentalismo perché sbagliano nel considerare il potere e la persistenza dell’amor proprio. Perciò Agostino, qualunque possano essere i limiti del suo approccio alla realtà politica, e qualsiasi possa essere il pericolo di una devozione troppo sottomessa alle sue intuizioni, nondimeno dimostra di essere una guida più affidabile che ogni altro pensatore conosciuto. Una generazione che trova il suo mondo pericolante e in decadenza, dalla comunità più piccola e primordiale, la famiglia, alla più ampia e recente, la potenziale comunità mondiale, può ben consultare Agostino per risolvere le sue perplessità111. E le perplessità certamente non mancano sia agli scienziati sociali sia agli uomini politici nel corso del Novecento, soprattutto durante la Guerra fredda e l’epoca nucleare112. In tale contesto, Niebuhr e Morgenthau propongono un approccio alla realtà politica, con le sue ambiguità e i suoi dilemmi, che sottolinea il valore della prudenza e della saggezza e la necessità della moderazione e del compromesso. Piuttosto che dar forma definitiva a una Filosofia politica o a una Teoria delle relazioni internazionali, entrambi trascorrono la propria esperienza intellettuale producendo numerosi scritti che da una prospettiva critica affrontano le principali tematiche interne e internazionali del loro tempo. La prassi rappresenta infatti un termine di paragone fondamentale per l’uno e per l’altro. È dalle situazioni politiche concrete che Niebuhr e Morgenthau partono per le loro riflessioni e al tempo stesso si rivolgono per offrire un contributo a una loro realistica e ragionevole soluzione. L’opposizione alla Guerra in Vietnam, così come le critiche alla politica estera o i dubbi sulla strategia nucleare, costituiscono un esempio 109 R. Niebuhr, L’ironia della storia americana, p. 291. 110 R. Niebuhr, Il realismo politico di Agostino, pp. 94-95. 111 Ivi, p. 104. 112 A proposito del problema nucleare, i due autori si trovarono a dialogare in The ethics of war and peace in the nuclear age, «War/Peace Report», 7 (1967), 2, pp. 3-8.

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adamantino della loro predisposizione a implicarsi con l’esperienza reale per mostrare all’America le fragili illusioni dell’idealismo sentimentale e la controproducente tracotanza del realismo cinico. Nella politica internazionale gli autori auspicano pertanto che gli Stati Uniti siano in grado di muoversi con umiltà e responsabilità, ossia che gli uomini di Stato, trovandosi di fronte a questioni morali o dilemmi etici, si mostrino capaci di discernimento e lungimiranza. Conclusioni. L’enigma e lo specchio Se, com’è stato suggerito, il realismo fosse considerato non solo una tradizione costante del pensiero internazionale, ma anche e soprattutto una particolare risposta novecentesca ad alcuni eventi contingenti113, quale rilevanza potrebbero avere oggi le riflessioni di Niebuhr e Morgenthau per la Scienza politica, la Filosofia politica o la Teoria delle relazioni internazionali? Quali limiti potrebbero evidenziare e quali prospettive potrebbero offrire le loro opere? Quale eredità, in altri termini, lasciano questi autori?

Entrambi hanno goduto di estrema notorietà all’interno dell’opinione pubblica e della vita accademica, ma sono stati anche vittime di aspre incomprensioni o strenue opposizioni. Nonostante ciò, continuano ad avere in maniera carsica una forte influenza e un indiscusso fascino sulle discipline politologiche. E sono proprio la loro polemica contro lo scientismo e la loro professione della dimensione etica del realismo ad avere maggiore successo e popolarità. Un’opera come Scientific Man vs Power Politics, per esempio, dopo essere stata sostanzialmente messa all’indice dal comportamentismo contro cui rivolgeva i propri strali polemici, ha beneficiato di una vera e propria riabilitazione, tanto che «la netta maggioranza delle considerazioni che Morgenthau avanzò vengono oggi date per scontate e non sono più oggetto di discussione»114. La stessa disciplina, infatti, ha preso (almeno, in parte) coscienza delle possibili derive di un eccessivo razionalismo. Niebuhr, a sua volta, ha finito per assumere addirittura i contorni di una figura profetica all’interno della cultura americana115, la cui riflessione viene utilizzata per giustificare posizioni diverse, spesso persino antitetiche116. Di fronte a questo ritorno dell’interesse per l’opera di Niebuhr e Morgenthau, è necessario pertanto cercare di evidenziarne gli aspetti critici, così come quelli ancora validi e attuali.

Tra i primi, vi è certamente una mancanza di chiarezza concettuale che accomuna entrambi gli autori117. Alcuni concetti centrali (come quello di balance of power) possiedono significati plurimi, così come qualche definizione assume caratteri molto sfumati. Un altro elemento non meno problematico è l’assolutezza di pensiero118 che accompagna il realismo dell’uno e dell’altro, rendendolo tetragono per molti versi alle critiche dei detrattori e rischiando in qualche caso di trasformarlo in un sistema chiuso proprio come quello del razionalismo contro cui avevano rivolto la loro intensa attività critica. Anche se, conta ricordarlo, la pretesa di esporre una visione ‘realista’ e 113 Così suggerisce, non senza ragioni, I. Hall, The Triumph of Anti-liberalism? Reconciling Radicalism to Realism in International Relations Theory, «Political Studies Review», 9 (2011), 1, pp. 42-52, p. 49. 114 L. Zambernardi, Postfazione, p. 335. 115 Cfr. H.R. Landon, Editor’s Introduction, in Id. (ed.), Reinhold Niebuhr, pp. 11-25, p. 13. 116 Cfr. M.J. Smith, Realist Thought from Weber to Kissinger, p. 130. 117 A tal proposito, si veda M. Cesa, La teoria politica internazionale di Hans J. Morgenthau, pp. 43-47; e L.G. Castellin, Il realista delle distanze, p. 173. 118 L. Bonanate, Introduzione, pp. XXVII-XXIX.

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‘realistica’ della politica viene dichiarata fin dall’inizio come fondata su un presupposto prepolitico e antropologico (e, forse, biopolitico) ben preciso, che può essere accolto o rifiutato, ma che non deve essere scartato prima di averne trovato uno maggiormente esaustivo e includente.

Tra i secondi, invece, è opportuno ricordare il carattere polemico del pensiero di Niebuhr e Morgenthau con la denuncia dei vizi dello scientismo applicato alle scienze politiche e sociali e la critica ante litteram dei limiti del comportamentismo, ma, soprattutto, lo sforzo di offrire un’ipotesi alternativa e più ragionevole. Entrambi propongono un approccio filosofico allo studio dei fenomeni politici119, tipicamente europeo-continentale120, in grado di integrare, depurare e completare la metodologia politologica a loro coeva. E, per molti versi, è quindi corretto ritenere l’opera di questi due autori come un riferimento e una ‘matrice critica’ anche per la Teoria politica e la Teoria delle relazioni internazionali contemporanee121.

Ciò si rende soprattutto evidente per il fatto che «molti dei bersagli contro i quali Morgenthau si è scagliato all’epoca», ma una tale osservazione vale anche per Niebuhr, sono ancora, «debitamente trasmutati, gli stessi che abbiamo dinnanzi ai nostri giorni»122. Seppur le loro opere non sono state in grado di fornire previsioni sicure, né d’altra parte era (forse) quello il loro obiettivo, dal momento che erano rivolte come monito innanzitutto agli uomini di Stato, mantengono intatta la loro attualità. L’acuta riflessione di Niebuhr e Morgenthau, le differenti (quasi impercettibili o ben più marcate) sfumature del loro realismo, sembrano utili ancora oggi, proprio perché rimettono di fronte all’uomo contemporaneo i costanti paradossi e gli inaggirabili dilemmi della politica. Paradossi e dilemmi che un’acritica adesione alle ultime frange del razionalismo scientista – con il loro metodologismo, il loro provincialismo o la loro auto-referenzialità – non sono capaci di cogliere.

Niebuhr e Morgenthau rimangono importanti, e la loro (ri)scoperta necessaria, dal momento che si sono rivelati maestri in grado di offrire uno sguardo critico sulla realtà politica123, consapevoli della ambiguità dell’agire umano e dalla drammaticità della storia (non risolvibili da alcuna conoscenza scientifica). Come osservava retrospettivamente l’autore di Politics Among Nations in alcune cartelle dattiloscritte di natura autobiografica, quando «aneliamo ad un oracolo in grado di fornirci una risposta netta», quello che otteniamo è «un enigma che si somma all’enigma», così ciò che resta «è una mente che indaga, consapevole di sé e del mondo, che vede, che ode, che sente, che pensa e che parla», «cercando la verità ultima oltre l’illusione»124. Allo stesso modo, sostenendo che la conoscenza non possa che compiersi per avvenimento, ossia tramite l’incontro fra l’energia della ragione umana e un’irriducibile alterità che si presenta nel reale, Niebuhr ribadisce come nella storia si introducano sempre elementi

119 Cfr. A. Panebianco, Hans Morgenthau: teoria politica e filosofia pratica, pp. 225-226. Le osservazioni del politologo italiano valgono anche per Niebuhr. 120 Non è un caso che alcuni autori abbiamo sottolineato il decisivo impulso dei ‘migranti’ nella nascita delle Relazioni Internazionali negli Stati Uniti. In tal senso, si veda, per esempio, il recente F. Rösch (ed.), Émigré Scholars and the Genesis of International Relations. A European Discipline in America?, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2014. 121 Cfr. F. Rösch, The Human Condition of Politics: Considering the Legacy of Hans J. Morgenthau for International Relations, «Journal of International Political Theory», 9 (2013), 1, pp. 1-21; e L.G. Castellin, Il realista delle distanze, p. 172. 122 A. Campi, Introduzione, p. XIX. 123 Cfr. L. Zambernardi, I limiti della potenza, p. 244; e L.G. Castellin, Il realista delle distanze, p. 174. 124 H.J. Morgenthau, Memorie di un realista, p. 96.

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imprevedibili e incalcolabili125, per cui l’uomo osserva il proprio presente e scruta il proprio futuro sempre in «uno specchio, in modo oscuro»126.

125 R. Niebuhr, L’ironia della storia americana, p. 177. 126 Cfr. R. Niebuhr, Discerning the Signs of the Time. Sermons for Today and Tomorrow, Charles Scribner’s Sons, New York 1946, pp. 152-173.