Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche · dromi da immunodeficienza primaria e...

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 1 Review Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche Descrizione di un caso di vasculite cutanea e revisione della letteratura Bianca Marasini, Marco Massarotti Istituto Clinico Humanitas, Università degli Studi, Milano (Italia) Bianca Marasini Unità di Reumatologia Istituto Clinico Humanitas Via Manzoni 56 29086 Rozzano (Milano) Tel 02.82244075/02.82246443 FAX 02.82242298 e-mail: [email protected] [email protected] Intravenous immunoglobulin for rheumatic diseases Description of a case and review of the literature Summary Intravenous immunoglobulins (IVIG) have become an important therapeutic tool not only for patients with idiopathic and acquired immunodeficiencies, but also in a number of immunorheumatic conditions. The mecha- nisms by which IVIG exert their immunoregulatory effects are not completely defined and probably differ in the various diseases. Although generally well tolerated, since severe side-effects can occur, patients at risk (IgA deficient patients, older patients, patients with kidney or heart disease) must be identified to minimize adverse events. At present, ANCA-associated vasculitis, dermatomyositis and probably fibrosing conditions may repre- sent the rheumatic diseases for which IVIG efficacy seem well documented. Controlled trials are however needed to provide guidelines for IVIG use in rheumatic diseases. Marasini B, Massarotti M. Intravenous immunoglobulin for rheumatic diseases. Description of a case and re- view of the literature. Trends Med 2007; 7(1):1-9. © 2007 Pharma Project Group srl Caso clinico M.S., donna, 42 anni, fumatri- ce, anamnesi famigliare nega- tiva. In apparente buona salu- te fino alla primavera del 2003 quando compaiono parestesie dapprima occasionali al piede destro, nei mesi successivi este- se a entrambi gli arti inferiori e alla mano sinistra. Ricove- rata in ambiente neurologico nel dicembre 2003, viene sot- toposta a esami ematici routi- nari, RMN dell’encefalo e del- la colonna vertebrale, risulta- ti nei limiti, e a EMG che evi- denziava una moderata condi- zione di ipereccitabilità delle membrane cellulari, con segni di sofferenza radicolare croni- ca in territorio L5. Dimessa con ansiolitici, FANS e sup- plementazione con calcio, potassio e magnesio, la sinto- matologia rimane invariata fino al febbraio 2004 quando compare ischemia al 3° dito del piede sinistro. Ricoverata nella nostra Unità Operativa, gli esami ematici routinari, gli indici di flogosi, gli esami di tipo immunologico (ANA, ENA, anticorpi antifosfolipi- di, ANCA, C3, C4, immuno- globuline, anticorpi anti Bor- relia), gli esami volti a valuta- re disturbi della coagulazione (antitrombina II, proteina C ed S, resistenza alla proteina C attivata, fattore II e V), e la ricerca di patologie virali, ri- sultano nei limiti. L’unico dato patologico risulta essere un modesto aumento dei livel- li circolanti di omocisteina (38 nmol/L), con presenza di po- limorfismo C677T del gene MTHFR in omozigosi. Nega- tivi un ecocolorDoppler car- diaco, un ecocardiogramma transesofageo e le indagini ese- guite nel sospetto di patologia

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 1

Review

Le immunoglobuline nella terapia dellemalattie reumatiche

Descrizione di un caso di vasculite cutanea e revisionedella letteratura

Bianca Marasini, MarcoMassarottiIstituto Clinico Humanitas, Universitàdegli Studi, Milano (Italia)

Bianca MarasiniUnità di ReumatologiaIstituto Clinico HumanitasVia Manzoni 5629086 Rozzano (Milano)Tel 02.82244075/02.82246443FAX 02.82242298e-mail: [email protected]@unimi.it

Intravenous immunoglobulin for rheumatic diseasesDescription of a case and review of the literature

SummaryIntravenous immunoglobulins (IVIG) have become an important therapeutic tool not only for patients withidiopathic and acquired immunodeficiencies, but also in a number of immunorheumatic conditions. The mecha-nisms by which IVIG exert their immunoregulatory effects are not completely defined and probably differ in thevarious diseases. Although generally well tolerated, since severe side-effects can occur, patients at risk (IgAdeficient patients, older patients, patients with kidney or heart disease) must be identified to minimize adverseevents. At present, ANCA-associated vasculitis, dermatomyositis and probably fibrosing conditions may repre-sent the rheumatic diseases for which IVIG efficacy seem well documented. Controlled trials are howeverneeded to provide guidelines for IVIG use in rheumatic diseases.

Marasini B, Massarotti M. Intravenous immunoglobulin for rheumatic diseases. Description of a case and re-view of the literature. Trends Med 2007; 7(1):1-9.© 2007 Pharma Project Group srl

Caso clinico

M.S., donna, 42 anni, fumatri-ce, anamnesi famigliare nega-tiva. In apparente buona salu-te fino alla primavera del 2003quando compaiono parestesiedapprima occasionali al piededestro, nei mesi successivi este-se a entrambi gli arti inferiorie alla mano sinistra. Ricove-rata in ambiente neurologiconel dicembre 2003, viene sot-toposta a esami ematici routi-nari, RMN dell’encefalo e del-la colonna vertebrale, risulta-ti nei limiti, e a EMG che evi-denziava una moderata condi-zione di ipereccitabilità dellemembrane cellulari, con segnidi sofferenza radicolare croni-ca in territorio L5. Dimessacon ansiolitici, FANS e sup-plementazione con calcio,potassio e magnesio, la sinto-matologia rimane invariatafino al febbraio 2004 quando

compare ischemia al 3° ditodel piede sinistro. Ricoveratanella nostra Unità Operativa,gli esami ematici routinari, gliindici di flogosi, gli esami ditipo immunologico (ANA,ENA, anticorpi antifosfolipi-di, ANCA, C3, C4, immuno-globuline, anticorpi anti Bor-relia), gli esami volti a valuta-re disturbi della coagulazione(antitrombina II, proteina Ced S, resistenza alla proteinaC attivata, fattore II e V), e laricerca di patologie virali, ri-sultano nei limiti. L’unicodato patologico risulta essereun modesto aumento dei livel-li circolanti di omocisteina (38nmol/L), con presenza di po-limorfismo C677T del geneMTHFR in omozigosi. Nega-tivi un ecocolorDoppler car-diaco, un ecocardiogrammatransesofageo e le indagini ese-guite nel sospetto di patologia

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B. Marasini, M. Massarotti

paraneoplastica. La biopsiacutanea evidenzia trombosidel microcircolo, assenza diinfiltrato infiammatorio. Lapaziente inizia terapia con an-ticoagulanti, vitamine delgruppo B, folati, vasodilatatorisia per per os (felodipina) chee.v. (Endoprost), con norma-lizzazione dei livelli di omo-cisteina e modesto e tempora-neo beneficio soggettivo edobiettivo. Controlli ematochi-mici e strumentali periodici ri-sultano sempre negativi. Allafine del 2004 per l’accentuarsidelle parestesie agli arti infe-riori esegue una nuova EMGche evidenzia una multineuro-patia prevalentemente sensiti-va: viene aggiunto Gabapen-tin, senza beneficio. Una nuo-va biopsia cutanea confermala trombosi del microcircoloma evidenzia una significati-va infiltrazione granulocitariadel vaso. Si inizia allora tera-pia steroidea (boli di metilpre-dnisolone, seguiti da predniso-ne per os, a scalare). Per lacomparsa di effetti collaterali(aumento di peso, amenorrea,facies lunare), per la pressanterichiesta della paziente di so-spendere lo steroide, non rag-giungendo un beneficio se noncon dosi elevate, si ricorre aboli in vena mensili di ciclo-fosfamide e si riduce progres-sivamente lo steroide. A no-vembre 2005, per il peggiora-mento della vasculite, si pro-pone terapia con immunoglo-buline in vena (IVIG) (Ke-drion) ad un dosaggio di 2 g/Kg in quattro giorni. Durantela prima somministrazionecompare una sintomatologiasimil-influenzale che scompa-re rallentando la velocità di in-fusione; nei giorni successivi,per la comparsa di eritemapruriginoso a volto e scollo,si ricorre a pretrattamento con

steroide. Già dopo la terza in-fusione le lesioni vasculitichee le parestesie appaiono in net-to miglioramento, e gli effetticollaterali in regressione. Adistanza di qualche giorno dal-la fine del primo ciclo, com-paiono artralgie diffuse, sensi-bili a paracetamolo, e lesionipruriginose bollose ai palmi dimani e piedi. La somministra-zione di IVIG viene ripetutadopo 1, 2 e 3 mesi, sempre conpretrattamento steroideo. Da

oltre 4 mesi la paziente nonassume alcun farmaco immu-nosoppressore, compreso losteroide, è asintomatica e nonsono più comparse nuove le-sioni cutanee (figure 1 e 2).

Cenni storici

I primi studi sull’applicazionedi immunoglobuline (Ig) incampo medico sono del 1890sul coniglio1. Nel 1930 al Bo-ston City Hospital, Finland2

Figura 1. Lesioni vasculitiche prima della terapia con IVIG.

Figura 2. Dopo 4 cicli mensili di IVIG, al dosaggio di 2 gr/Kg in 4giorni.

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Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche

utilizzò siero di cavallo neltrattamento della polmonitepneumococcica, ottenendoun miglioramento sulla so-pravvivenza. Nel 1952 Bru-ton3 ricorse con successo allasomministrazione di Ig, dap-prima per via sottocutanea, inseguito per via intramuscola-re, in un bambino affetto daagammaglobulinemia ed infe-zioni ricorrenti. Negli annisuccessivi, le Ig furono utiliz-zate come terapia sostitutivanelle immunodeficienze pri-marie4. Nelle malattie au-toimmuni le Ig furono usateper la prima volta nel 1981 invena (IVIG) da Imbach5 inbambini con porpora trom-bocitopenica autoimmuneche non avevano risposto alleterapie usuali.Da allora le IVIG sono uti-lizzate, oltre che per le sin-dromi da immunodeficienzaprimaria e come terapia sosti-tutiva in pazienti con graveipogammaglobulinemia se-condaria ed infezioni ricor-renti (mieloma, leucemia lin-fatica cronica, bambini conAIDS), per alcune malattieneurologiche (sindrome diGuillaine Barrè, polineuropa-tie infiammatorie cronichedemielinizzanti, miasteniagravis), per la prevenzione delrigetto di trapianto midolla-re allogenico e per alcunemalattie autoimmuni (sindro-me di Kawasaki e porporaidiopatica trombocitopeni-ca)6. Dati incoraggianti sonoriportati per la dermatomio-site, per alcune vasculiti, inparticolare per la vasculite as-sociata a presenza di anticor-pi anti-citoplasma dei neutro-fili (ANCA), mentre si aspet-tano risultati definitivi da trialcontrollati per l’utilizzo diIVIG in altre malattie autoim-muni e infiammatorie6.

IVIG

Le Ig vengono preparate se-condo standard minimi stabi-liti dalla WHO da un pool di3000-100000 donatori; do-vrebbero quindi conteneretutti gli anticorpi normal-mente presenti in individuinormali e necessari per i pro-cessi immunoregolatori me-diati dalle Ig. Le preparazio-ni commerciali contengonoIgG per oltre il 90% con di-stribuzione delle sottoclassiIgG corrispondenti a quan-to si ha fisiologicamente incircolo. Non tutte le prepa-razioni, tuttavia, sono ugua-li per tollerabilità, sicurezzae costi, a causa soprattuttodei processi di produzione7.Mentre la Food and DrugAdministration (FDA) haidentificato le preparazioniIVIG più idonee per ogni sin-gola malattia, in Europa unpreparato, una volta appro-vato, può essere usato indif-ferentemente6, anche se dif-ferenze del contenuto di zuc-chero, di sodio e di IgA, adesempio, possono avere con-seguenze dannose in alcunipazienti. Spetta quindi al me-dico scegliere il prodotto piùappropriato in base al rischiodel paziente. Molte prepara-zioni contengono tracce diIgA, ma è possibile, in casodi utilizzo in pazienti condeficit di IgA, ricorrere a pre-parazioni che ne sono virtual-mente assenti. L’arricchimen-to delle comuni preparazioniIVIG con IgM è stato recente-mente proposto per alcunemalattie autoimmuni8.

Via di somministrazioneLe Ig possono essere sommi-nistrate per via intramuscola-re, sottocutanea o endoveno-sa. Mentre la somministrazio-

ne intramuscolare, dolorosa espesso non in grado di rag-giungere ottimali livelli circo-lanti, è oggi sostituita dalla viaendovenosa, la somministra-zione sottocute viene utilizza-ta per evitare gli effetti colla-terali legati all’infusione e.v.e/o nei casi in cui l’accessovenoso è causa di complican-za; offre vantaggi legati al mi-nore costo, alla minore inci-denza di effetti collaterali e allapossibilità per il paziente del-l’autosomministrazione, conlo svantaggio di somministra-zioni spesso settimanali e del-la possibilità di reazione insede di infusione.

DosaggioLa posologia più usata è di 2gr/Kg, somministrati in 2 o,più frequentemente, in 5 gior-ni consecutivi. La velocità diinfusione non dovrebbe supe-rare i 200 ml/ora e dovrebbeessere sensibilmente più bassain pazienti con patologia car-diovascolare o a rischio discompenso per sovraccaricoidrico.Poiché l’emivita delle Ig è at-torno alle 4 settimane, l’infu-sione dovrebbe essere ripetu-ta a distanza di 30 giorni; tut-tavia la ciclicità delle sommi-nistrazioni sembra dipenderedalla malattia e dalla rispostaindividuale. In genere, perl’immunodeficienza primariasi raccomanda una infusioneogni 3-4 settimane; una uni-ca somministrazione precoceè spesso sufficiente per la sin-drome di Kawasaki; nel tra-pianto di midollo osseo allo-genico, per il trattamento del-le infezioni e la profilassi delrigetto, è indicata una infusio-ne (0.5 g/Kg/die) ogni setti-mana iniziando sette giorniprima del trapianto fino a tremesi dopo e/o ogni mese se vi

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B. Marasini, M. Massarotti

è deficienza persistente nellaproduzione di anticorpi.

Effetti collateraliLa frequenza di eventi avversiè modesta (attorno al 10%)6,ma è consigliabile che la pri-ma somministrazione avven-ga in ambiente protetto.Le reazioni più frequenti sonorappresentate da sindromi si-mil-influenzali (febbre, brivi-di, artralgie, nausea e vomito),in genere precoci, comparen-do durante o subito dopo l’in-fusione. E’ sufficiente inter-rompere temporaneamentel’infusione e ridurne poi la ve-locità per risolvere i sintomi,senza ricorso, se non eccezio-nalmente, a steroidi.Le reazioni più gravi sono:insufficienza renale e anafilas-si9.L’insufficienza renale si mani-festa in circa il 7% dei pazien-ti, specie se anziani, con ne-fropatia preesistente o in tera-pia con farmaci potenzialmen-te nefrotossici, nei diabetici enei pazienti con deplezionedel volume circolante10. Sitratta di un fatto transitorio(sarebbe irreversibile in circail 10%), che si manifesta in ge-nere nei primi 5 giorni dopol’infusione con aumento dellacreatinina. Il meccanismo èverosimilmente plurifattoria-le: oltre all’ eccessiva presen-za di saccarosio nel preparatocon conseguente danno osmo-tico renale9, è possibile che ladeposizione di immunocom-plessi nei glomeruli giochi unqualche ruolo. Per evitare l’in-sufficienza renale la FDA con-siglia di identificare i pazientia rischio, nei quali le IVIGdevono essere infuse lenta-mente, la funzione renale at-tentamente controllata, ed ilpaziente sufficientementeidratato7.

Gravi reazioni anafilattichesono rare. In genere compaio-no nelle prime ore di infusio-ne in soggetti con deficit diIgA. Verosimilmente la causaè la formazione di macrocom-plessi fra IgA e anticorpi anti-IgA con conseguente attiva-zione del complemento. Nontutti sono d’accordo nel dosa-re preventivamente i livelli diIgA nei soggetti da trattare,dosaggio che comunque an-drebbe sempre eseguito neipazienti con immunodeficien-ze primarie, perché particolar-mente a rischio di eventi av-versi6. Per evitare reazioni ana-filattiche, è consigliabile l’usodi IVIG deplete di IgA, e, neipazienti con precedenti rea-zioni, la somministrazionesottocute.Altri effetti collaterali sonocefalea, responsiva a FANS;meningite acuta asettica, ri-portata nel 10-11% dei pazien-ti, soprattutto se con anamnesipositiva per emicrania, di bre-ve durata11; sindrome da iper-viscosità, rara, caratterizzatada eventi cardiovascolari arte-riosi quali ictus12 e IMA13, ovenosi14, appannaggio quasiesclusivo dei soggetti anziani,vasculopatici, con crioglobu-line o gammopatie monoclo-nali15. Si ricorda che la crioglo-bulinemia mista di tipo II conpresenza del fattore Reuma-toide ad alto titolo rappresen-terebbe una controindicazio-ne all’utilizzo di IVIG16. Ra-rissimi sono gli episodi di emo-lisi17, mentre relativamentepiù frequenti sono le reazionicutanee, in genere rappresen-tate da orticaria, lesioni liche-noidi e prurito ai palmi dimani e piedi. Sono state de-scritte a tutt’oggi poco più ditrenta casi di importanti rea-zioni cutanee, più tardive ri-spetto alle precedenti (10 gior-

ni vs 2-5 giorni), caratterizzateda lesioni inizialmente disidro-siche ai palmi che rapidamen-te evolvono in lesioni maculo-papulose diffuse, a lenta riso-luzione per le quali è necessa-rio ricorrere a terapia steroidealocale o sistemica18.

Meccanismo d’azioneSono stati proposti numerosimeccanismi d’azione, nessunosoddisfacente, poichè verosi-milmente i meccanismi sonomolteplici e complessi, e pro-babilmente differenti a secon-da della malattia per cui ven-gono utilizzate.I meccanismi già invocati sono:modulazione della funzionedei recettori Fc, interferenzacon liberazione e funzione dicitochine; interferenza con at-tivazione del complemento;presenza di anticorpi anti-idio-tipo; modulazione dell’attivi-tà dei linfociti B e T19.

IVIG e malattie reumati-cheL’utilizzo delle IVIG nelle ma-lattie reumatiche è “off-label”.Si ricorda infatti che le indica-zioni terapeutiche per IVIGsono: sindromi da immunode-ficienza primaria, mieloma eleucemia linfocitica cronicacon grave ipogammaglobuli-nemia secondaria ed infezioniricorrenti, infezione da HIVnei bambini, porpora trombo-citopenica idiopatica, sindro-me di Guillain-Barrè, neuro-patia motoria multifocale,malattia di Kawasaki, miaste-nia gravis, trapianto di midol-lo osseo allogenico.

Dermatomiosite ePolimiositeIl trattamento con IVIG è sta-to particolarmente studiatonella dermatomiosite (DM).Dal 1990 infatti vi sono nume-

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Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche

rose segnalazioni di pazienticon DM e Polimiosite (PM)refrattarie alle terapie abitua-li, che hanno favorevolmenterisposto a IVIG20. Lo studiopiù numeroso (20 pazienti),non controllato, riportava unbeneficio significativo nel 75%dei casi dopo una durata me-dia di terapia di 4 mesi, ed ef-fetti collaterali trascurabili21.Nel 1993 apparve uno studioin doppio cieco, controllatoverso placebo, che conferma-va l’efficacia della terapia conIVIG in pazienti con DM nonresponsiva alle usuali terapie22.Il beneficio è stato osservatoanche nei bambini23 e nella co-siddetta sindrome da antisin-tetasi24. L’effetto favorevoledelle IVIG non riguarda solola forza muscolare e le mani-festazioni cutanee, ma anchegli enzimi muscolari e l’isto-logia, che si normalizzano22.Del tutto recentemente è sta-to segnalato che la terapia conIVIG può determinare ripre-sa di risposta alla terapia con-venzionale25.Attualmente la somministra-zione di IVIG è considerata te-rapia di secondo livello perpazienti con DM refrattari aicomuni trattamenti25. Il bene-ficio, più facilmente presentein DM di recente insorgenza,spesso è già significativo dopola seconda infusione, ma è dibreve durata e sono necessa-rie infusioni successive ad in-tervalli regolari.Nella PM isolata il ruolo diIVIG è meno chiaro, ancheperché meno numerosi sonole osservazioni riportate in let-teratura; sembrerebbe che l’af-ficacia di IVIG sia minore inassenza della compromissionecutanea26. Pertanto, sono ne-cessari altri studi di conferma.Nullo sembra il beneficio nel-le miositi da corpi inclusi25.

E’ stato recentemente segna-lato che le IVIG, oltre ad ini-bire il complemento e ad in-terferire con la liberazione edattività di alcune citochine,modulerebbero i geni immu-nomodulatori e strutturaliassociati con l’architetturamuscolare, ed è stato prospet-tato che il profilo di alcunigeni possa servire come mar-catore della risposta a IVIG27.

Sclerosi sistemica(sclerodermia)La prima segnalazione dell’ef-ficacia di IVIG nella scleroder-mia (SSc) è del 1990 e riguar-da un caso di SSc associata amiosite28. SuccessivamenteLevy et al. trattarono conIVIG 3 pazienti sclerodermi-ci con interessamento cutaneorapidamente progressivo, indue dei quali si osservava unsignificativo miglioramentodella cute dopo 6 cicli, men-tre il terzo paziente veniva amorte dopo 3 cicli per insuffi-cienza renale29. Lo stesso grup-po successivamente riportavaun beneficio di IVIG anchesulla diffusione del monossi-do di carbonio30. Nel 2004 unostudio aperto confermava l’ef-ficacia di IVIG sulla cute scle-rodermica di altri 15 pazienti,soprattutto se la malattia eradi lunga durata31. Recente-mente Autori giapponesi han-no riportato il caso di una pa-ziente SSc in cui il trattamen-to con IVIG ha migliorato loscore cutaneo, ma avrebbeanche normalizzato l’alteratofenotipo dei fibroblasti sclero-dermici32. Sempre Autori giap-ponesi hanno riportato il casodi una paziente SSc con neu-ropatia cronica progressiva,non responsiva a steroide, nel-la quale la somministrazionedi IVIG determinava un signi-ficativo miglioramento33.

Può essere interessante segna-lare l’ottima risposta a IVIGriportata in 3 pazienti con sin-drome overlap (SSc/DM)26,ma non in un bambino conscleromiosite34.Vi sono osservazioni condot-te su animali con patologie si-mil-SSc in cui la somministra-zione di IVIG ha comportatoun beneficio sulla fibrogene-si35, e studi su pazienti con dif-ferenti condizioni fibrosantimigliorate dopo IVIG30. Allabase del meccanismo di azio-ne si ipotizza una interferen-za con la cascata del comple-mento e una riduzione di ci-tochine profibrotiche, in par-ticolare del TransformingGrowth Factor a35.

Lupus EritematosoSistemicoE’ difficile trarre conclusionidefinitive sul beneficio diIVIG nel Lupus EritematosoSistemico (LES) poiché lamaggior parte dei dati dellaletteratura sono case reports ostudi non controllati su picco-le casistiche spesso non omo-genee, nelle quali IVIG sonostate usate a dosaggio e con ci-clicità differenti. Uno studiosu 20 pazienti, pubblicato nel1999 dal gruppo di Shoen-feld36, riportava un effetto fa-vorevole nell’85% dei casi. Ilbeneficio riguardava soprat-tutto l’artrite, la febbre, i sin-tomi neuropsichiatrici e la pia-strinopenia. Un risultato par-ticolarmente importante sem-bra ottenersi in corso di nefri-te lupica, soprattutto se di clas-se WHO II e III37, anche sel’unico lavoro di paragone fraIVIG e ciclofosfamide nonporta a conclusioni significa-tive38. Zandman-Goddard etal.39 in un lavoro retrospetti-vo relativo ad articoli pubbli-cati fra il 1985 e il 2005 segna-

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B. Marasini, M. Massarotti

lano un range di risposta po-sitiva nel LES fra il 33% ed il100% e concludevano per unricorso a IVIG alla dose totaledi 2 g/Kg in 5 giorni in casodi risposta insufficiente alle te-rapie convenzionali, o laddo-ve queste fossero controindi-cate.

Sindrome da anticorpiantifosfolipidiIl razionale per l’utilizzo diIVIG in queste forme è rap-presentato dal riscontro di ne-gativizzazione, seppure tem-poranea, dei livelli di anticor-pi antifosfolipidi40, probabil-mente dovuto a interazionefra anticorpi anti-idiotipo eanticorpi circolanti con con-seguente clearance di questiultimi, anche se una azionelocale di blocco del legame fraautoanticorpi e cellule endo-teliali non può essere esclusa.La prima segnalazione del-l’utilizzo di IVIG nella sin-drome da antifosfolipidi è del1985 e riguardava una donnagravida in cui le IVIG deter-minavano aumento delle pia-strine e scomparsa degli au-toanticorpi41. In seguito l’ef-fetto favorevole di IVIG furiportato in casi aneddotici,differenti per tipologia di pa-zienti e terapia concomitan-te, ma studi controllati suc-cessivamente condotti su ca-sistiche più ampie, non sonostati in grado di evidenziaredifferenze significative sull’ou-tcome ostetrico e neonataledall’aggiunta di IVIG alla te-rapia tradizionale con eparinaa basso peso molecolare e an-tiaggregante42,43. Il ricorso aIVIG migliorerebbe i risultatidella fertilizzazione in vitro,anche se rimane da conferma-re se l’efficacia è limitata allapresenza di determinati auto-anticorpi44. Allo stato attuale,

sembra di potere concludereper un generale consenso a uti-lizzare IVIG nella sindrome daanticorpi antifosfolipidi solo inquei pazienti che non rispon-dono alla terapia convenziona-le45. La somministrazione diIVIG sembra efficace per lacosiddetta sindrome catastrofi-ca, possibile grave evoluzionedella sindrome da anticorpi an-tifosfolipidi46.

Artrite ReumatoideIn case reports o in casistichenon omogenee, che rappresen-tano la massima parte dei datidella letteratura, sono riportatirisultati contrastanti47-49. Stu-di randomizzati in doppio cie-co verso placebo non hannotuttavia evidenziato un signi-ficativo beneficio, neppurenell’artrite reumatoide giova-nile50, mentre un solo ciclo diIVIG alla dose di 0.4 g/Kg/diein 5 giorni ha determinato unmiglioramento significativo inalcuni pazienti con artrite in-differenziata non responsivaalle usuali terapie51.

VasculitiLe uniche vasculiti in cui èdimostrata l’utilità di IVIGsono la Sindrome di Kawasakie le vasculiti associate conANCA.Sindrome di Kawasaki. E’una delle prime condizioninelle quali fu dimostrata l’uti-lità della somministrazione diIVIG. Per essere efficace lasomministrazione di IVIGdeve essere precoce ad un do-saggio di 1.6-2.0 g/Kg che puòessere effettuato in singolasomministrazione o in dosirefratte in 2-5 giorni8.Vasculiti dei piccoli vasi. Ilrazionale del ricorso a IVIGnelle vasculiti non responsivealla terapia tradizionale è ba-sato su dati sperimentali che

documentavano una inibizio-ne del legame fra ANCA e ilsuo autoantigene, con conse-guente inibizione della loro at-tivazione52.Dopo alcuni studi in apertoapparsi nei primi anni ’90 chedocumentavano un beneficiodi IVIG, seppure non comple-to, in pazienti refrattari alleterapie convenzionali con ri-duzione dei livelli di ANCAe di Proteina C Reattiva53-55.L’efficacia del trattamento fuconfermata in uno studio suc-cessivo randomizzato versoplacebo condotto in Inghilter-ra su 34 pazienti, per i quali,essendo il beneficio nella mag-gior parte dei casi di breve du-rata, si rendevano necessaricicli successivi di mantenimen-to56. L’associazione IVIG, ste-roide e plasmaferesi è statasperimentata recentementecon successo in un gruppo dipazienti con sindrome diChurg-Strauss57.Dati aneddotici riguardano laPanarterite Nodosa58 e la Live-do Reticolare59.

Vasculiti e neuropatieperifericheLa somministrazione di IVIGè risultata efficace in caso divasculiti, sia primitive che se-condarie, nelle quali la neuro-patia periferica è sostenuta dauna vasculite dei vasa nervo-rum. In particolare, risultatipositivi sono stati ottenuti inneuropatie periferiche in cor-so di malattie reumatiche si-stemiche quali la sindrome diSjögren ed il LES, mentre nes-sun vantaggio è stato riporta-to in caso di sarcoidosi e dicrioglobulinemia60.Altre Malattie Reumatiche.Dati aneddotici, insufficientiper trarre conclusioni, in cuila somministrazione di IVIGsembra efficace sono riporta-

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Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche

ti nella malattia di Still del-l’adulto61, nella sindrome diSchönlein-Henoch62, nellaConnettivite Mista63, nell’inte-ressamento oculare e intesti-nale in corso di malattia diBehçet64,65 e in uveiti autoim-muni66.

In conclusione, il ricorso aIVIG sta diventando un ap-proccio sempre più impor-tante non solo nelle immu-nodeficienze primitive e se-condarie, ma anche in malat-tie autoimmuni. Fra le malat-tie reumatiche, le vasculiti e

la DM sembrano trarre mag-giori vantaggi dal loro utiliz-zo. Sono tuttavia necessariulteriori studi controllati suampie casistiche per poteredisporre di linee guida sulleindicazioni, posologia e cicli-cità.

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Le immunoglobuline nella terapia delle malattie reumatiche

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 15

Review

I fluorochinoloni respiratorinel trattamento della CAP

Respiratory fluoroquinolones for the management of community acquiredpneumonia

SummaryThe “respiratory fluoroquinolones” offer coverage of the likely pathogens in community-acquired pneumonia(CAP) and have been shown to be safe and effective drugs. The agents currently marketed and new moleculesin pipeline have a broad spectrum, excellent oral bioavailability, and once-daily dosing. This overview focuseson the use of fluoroquinolones in community-acquired pneumonia.

Cogo R. Respiratory fluoroquinolones for the management of community acquired pneumonia. Trends Med2007; 7(1):15-28.© 2007 Pharma Project Group srl

Key words:fluoroquinolone(s)pneumoniaswitch therapy

Roberto CogoU.O. Riabilitazione Cardio-RespiratoriaOspedale A. Zappatonivia Q. Di Vona20062 Cassano d’Adda -MI-

La polmonite rimane a tut-t’oggi fra le prime sei cau-

se di morte nel mondo e laprima causa di morte per ma-lattie infettive nei paesi occi-dentali1,2. Nei pazienti anzia-ni (>65 anni) residenti in areegeografiche con sistemi sani-tari meno evoluti (Europaorientale, Medio-Oriente, SudEst Asiatico), la polmonite co-stituisce di gran lunga la pri-ma causa di morte. Nel 1999in Italia sono stati ricoveratioltre 130.000 pazienti con pol-monite acquisita in comunità(Community Acquired Pneu-monia -CAP-). Con circa 3casi/1.000 abitanti/anno, l’in-cidenza italiana di ospedaliz-zazione per CAP risulta la piùbassa fra quelle dei Paesi eu-ropei limitrofi: nello stessoperiodo in Francia sono statiregistrati 5 casi/1.000 abitan-ti/anno e nel Regno Unitosono riportati circa 9 casi/1.000 abitanti/anno3. I tassi dimortalità si attestano in Euro-pa su valori abbastanza simili

per i vari Paesi, con un trendprogressivamente crescenteSud Nord, con 12-20 deces-si/100.000 abitanti in Italia edaltri Paesi mediterranei controi 48 decessi/100.000 residentinei Paesi scandinavi. I tassi dimortalità aumentano con l’au-mentare dell’età e, nella fascia65-80 anni, la mortalità si at-testa in Europa occidentaleintorno a 70 decessi/100.000pazienti/anno4,5.L’impatto economico dellaCAP in Italia è stimabile esclu-sivamente sulla base del tarif-fario DRG: per le sole polmo-niti ospedalizzate è stato sti-mato un costo pari a 500 mi-lioni di Euro. A questo am-montare si deve aggiungere ilcosto dei trattamenti domici-liari: se meno del 5% delleCAP è gestito in ospedale sipuò intuire quanto il costo deltrattamento domiciliare siaragguardevole: si stima peresempio che la spesa per i solitrattamenti antibiotici sia paria 500.000-700.000 euro/anno6.

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16 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

La stratificazione del ri-schio, ovvero la diagnosi digravità della polmonite èmisura necessaria per de-cidere il luogo dove tratta-re (domicilio o ospedale) ecome trattare (intensità deltrattamento).

Definizioni ed obiettivi

La polmonite infettiva è clas-sificabile con diversi criteri,benché il luogo o la modalitàdi acquisizione del contagio(comunità, nosocomio o pro-cedura diagnostica/terapeuti-ca) siano quelli più frequenti.Le polmoniti contratte in fa-miglia o sul luogo di lavorosono perciò definite “comuni-tarie” e sono distinte da quel-le acquisite in ambito ospeda-liero (Hospital AcquiredPneumonia - HAP). Inoltre, ladefinizione di polmonite co-munitaria assume che il pa-ziente non sia stato ricovera-to nei 14 giorni precedentil’esordio della malattia, circo-stanza che indurrebbe il so-spetto di un contagio in am-bito nosocomiale. Viceversa,sono definite nosocomiali lepolmoniti che insorgano incorso di degenza ospedalierao nelle due settimane succes-sive alla dimissione da un re-parto ospedaliero. In questocaso, il patogeno sarà quelloprevalente nel reparto pressoil quale il paziente si trovavaal momento del contagio.Fino alla prima metà deglianni ’90 questa suddivisioneera considerata adeguata perdescrivere le modalità di acqui-sizione del patogeno. Tutta-via, l’esperienza clinica dimo-stra l’esistenza di polmoniti adecorso più benigno (morta-lità <5%) se contratte in re-parti medici, più severe se con-tratte in reparti chirurgici(mortalità compresa fra 5% e15%) e molto severe (mortali-tà >15%) se contratte in Uni-tà di Terapia Intensiva (UTI).A partire dalla fine degli anni’90 questa differenziazione èstata sempre più spesso adot-tata in letteratura e sono stateredatte specifiche Linee Gui-

da per le polmoniti in UTI, daventilazione assistita (Ventila-tor Associated Pneumonia -VAP) o più in generale da pro-cedure diagnostiche e terapeu-tiche invasive (Health CareAssociated Pneumonia -HCAP)7,8.Infine, con il progressivo au-mento della popolazione an-ziana e la conseguente diffu-sione delle case di cura per lun-godegenti (Nursing Home) siè proceduto ad un’ulterioredistinzione nosografica, diffe-renziando le polmoniti cheoccorrono negli anziani istitu-zionalizzati dalle altre prece-dentemente riportate e, anchein questo caso sono state rila-sciate specifiche indicazionicirca la diagnosi, la prognosied il trattamento9,10.Obiettivo della presente trat-tazione è valutare le acquisi-zioni più recenti in tema digestione del paziente conCAP, in modo particolare daparte del medico di MedicinaGenerale (MMG), tentandouna sintesi pratica ed aderen-te alla realtà italiana delle nu-merose Linee Guida interna-zionali.

Gestire il pazientesulla base del rischio

Il primo aspetto che il clinicosi trova a gestire nel momen-to in cui ha posto diagnosi diCAP è valutare se il pazientepuò essere adeguatamente trat-tato in ambito domiciliare ose non sia prudente provvede-re al ricovero ospedaliero. Laconsuetudine è quella di ini-ziare un trattamento antibio-tico empirico e monitorarestrettamente il paziente per isuccessivi tre giorni: in presen-za di risposta clinica soddisfa-cente si proseguirà con il regi-me antibiotico già instaurato,

viceversa si opterà per il rico-vero in un reparto ospedalie-ro.La decisione relativa a qualetrattamento adottare (domici-liare o ospedaliero) è “critica”sia sotto il profilo clinico siasotto il profilo economico. Inun contesto di risorse sanita-rie sempre più esigue, la deci-sione di ricoverare un pazien-te che potrebbe essere adegua-tamente trattato a domiciliodeve essere basata su dati pro-gnostici sensibili e ben valida-ti, che da una parte consenta-no un sufficiente controllo deicosti e dall’altra garantiscanoun elevato tasso di successi cli-nici. Per tali motivi sono statimessi a punto vari sistemi divalutazione del rischio, di sem-plice esecuzione e validati dauna vasta esperienza clinica.

Stratificazione del rischioQuesti sistemi di stratificazio-ne del rischio sono dotati dielevata predittività e quindicapaci di indirizzare precoce-mente la decisione del clinicocirca il “dove” ed il “come”trattare in modo ottimale quelsingolo paziente. I due sistemimaggiormente adottati perstratificare il rischio di morte,e sulla base dei quali optare peril trattamento domiciliare oper quello ospedaliero, sono ilPneumonia Severity Index(PSI) ed il CURB-6511,12.

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 17

I fluorochinoloni respiratori nel trattamento della CAP

NO

Diagnosi di CAP

Età >50 anni?

Classe II-V(calcola

punteggio inpannello B)

Presenza di copatologie?NeoplasieEpatopatieCHFMalattie cerebrovascolariNefropatie

Valutare reperti obiettivi:Alterazione stato mentaleFrequenza respiratoria 30/minPressione sistolica <90 mmHgFebbre <35°C o 40°CFrequenza cardiaca 125

Classe I

SI

NOSI

SI

A

NO

Figura 1. Valutazione quantitativa del rischio di morte a 30 giorni in pazienti adulti con CAP secondo ilmodello di Fine (Pneumonia Severity Index). Un modello di questo tipo è utile sia per stabilire l’opportu-nità del ricovero ospedaliero sia per definire l’aggressività del trattamento. (Adattata da Fine et al 199711).

Rischio Classe Punteggio Rischio di morte (a 30 gg)

Molto basso I vedi algoritmo 0.1-0.5%Basso II 70 punti 0.6-0.8%

III 71-90 punti 0.9-9.2%

Medio IV 91-130 punti 9.6-26.9%

Alto V >130 punti 27%

B

C

Caratteristiche Punti

Fattori demografici età ( 50 anni) maschi anni femmine anni -10

Case di riposo +10

Copatologieneoplasie +30epatopatie +20CHF +10malattie cerebrovascolari +10nefropatie +10

Esame obiettivoalterazione stato mentale +20frequenza respiratoria 30/min +20pressione sistolica <90 mmHg +20febbre <35°C o 40°C +15frequenza cardiaca 125 +10

Esami di laboratorio/radiologicipH <7.35 +30BUN +20sodio <130 mmol/L +20glucosio 250 mg/dL (14 mmol/L) +10ematocrito <30% +10pO2 <60 mmHg +10infiltrato pleurico +10

Punteggio totale xxx

Pneumonia Severity Index(PSI) o algoritmo di FineIl PSI si basa su un complessostudio retrospettivo eseguitoda Fine e collaboratori sullecartelle cliniche dettagliate di14.199 pazienti con diagnosidi CAP11. Sulla base dei daticontenuti nelle cartelle clini-che, i pazienti furono suddi-visi in cinque classi di rischiodi morte nei 30 giorni succes-sivi al ricovero. Per ciascunadi queste 5 classi sono stativalutati tutti i parametri clini-

ci, biochimici e microbiologi-ci riportati in cartella. L’ana-lisi di questi parametri ha per-messo di stabilire che 21 di essicostituivano fattori di rischioforti per decesso entro unmese dall’esordio. Sulla base diquesti parametri è stato costru-ito un sistema a punti che de-finisce la gravità della polmo-nite ed è in grado di predirecon buona sensibilità il rischiodi morte (figura 1).I pazienti con un punteggio≤90 hanno una probabilità di

morte ad un mese molto bas-sa (<1%) e possono quindiessere trattari in regime ambu-latoriale. Un punteggio >90e progressivamente crescentesi associa ad un rischio di mor-te compreso fra l’8% ed oltreil 27%. Come si può osserva-re, i pazienti giovani e senzapatologie concomitanti, ap-partengono alla classe I e sicaratterizzano per un bassorischio. I pazienti appartenentialla classe di rischio I ed allaclasse II (≤70 punti) possono

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18 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

Marker Punteggio Mortalità (%)

Nessuno 0 0.71 1 0.8-3.22 2 3.3-133 3 14-174 4 18-41.55 5 41.6-57

Legenda: i 5 marcatori prognostici presi in considerazione sono: 1)confusione definita come disorientamento spaziale e/o temporale;2) Urea (valore >7mmol/L); 3) frequenza respiratoria >30 battiti/minuto; 4) pressione arteriosa sistolica <90 mmHg o diastolica 60mmHg; 5) età >65 anni.

Tabella 1. Score prognostico di mortalità a 30 giorni in pazienti condiagnosi di polmonite comunitaria secondo il modello CURB-65. Inpresenza di più di due marker si suggerisce l’ospedalizzazione (Datida Lim WS 200312).

essere trattati in regime ambu-latoriale.I pazienti in classe III (71-90punti) costituiscono quelli più“critici” sotto il profilo deci-sionale: per i pazienti che ri-cadono in questa classe, l’algo-ritmo di Fine si affida preva-lentemente al giudizio ed al-l’esperienza maturata dal cli-nico. Per le classi IV (91-130punti) e V (>130 punti) si im-pone il ricovero ospedaliero.Il Pneumonia Severity Indexè stato validato in modo pro-spettico su 2.287 pazienti, con-fermando una elevata sensibi-lità soprattutto nei pazientifino a 65 anni di età; viceversanei pazienti con età >65 anniil PSI perde parte del suo va-lore prognostico. In questicasi, il CURB-65 si è rilevatoun sistema prognostico piùsensibile (e semplice) rispettoal PSI.

CURB-65

L’acronimo CURB-65 originadalle iniziali dei 5 sintomi/se-gni più fortemente correlati alrischio di morte a 30 giorni:1. Confusion (disorientamen-

to spaziale o temporale);2. Urea (valore >7mmol/L);

3. Respiratory (frequenza re-spiratoria >30 battiti/min);

4. Blood pressure (pressionesistolica <90 o diastolica≤60 mmHg);

5. 65 anni (età >65 anni).

Questo modello prognosticocostituisce il miglioramentodel precedente CRB-65 ed è ilnucleo di valutazione progno-stica accettato ed inseritocome standard di riferimentonelle Linee Guida della BritishThoracic Society (BTS)13,14.Questo modello presenta nu-merosi vantaggi ed è partico-larmente utile per la valutazio-ne del rischio in Geriatria poi-chè è: 1) sensibile (soprattut-to nella popolazione anziana);2) semplice da utilizzare; 3)semplice da ricordare. In tabel-la 1 è riportato, a fianco a cia-scun punteggio, il rischio dimorte a 30 giorni.Come già accennato, rispettoal Pneumonia Severity Index,il CURB-65 è di più sempliceapplicazione e dotato di mag-gior predittività nei pazientianziani. La presenza di alme-no due dei cinque criteri sum-menzionati, conferisce un ri-schio di morte >10% e corri-sponde ad un PSI di classe IV

(91-130 punti) e, come tale,impone un trattamento in re-gime ospedaliero.

Gestire la CAP fraLinee Guida e praticaclinica

Nel corso degli ultimi annisono stati “rilasciati” gli ag-giornamenti delle più impor-tanti Linee Guida internazio-nali. In questo contesto ricor-deremo solo quelle più recen-ti e verificheremo il peso daesse esercitato nella formula-zione del documento di con-senso italiano pubblicato nel2002 dal gruppo multidiscipli-nare FADOI (Federazionedelle Associazioni dei Diri-genti Ospedalieri Internisti)15.In linea generale si può affer-mare che le raccomandazio-ni del FADOI sono state in-fluenzate dai quattro maggio-ri documenti di consenso in-ternazionali, di cui si è tenta-ta una sintesi pratica ed ade-rente al contesto italiano: 1)Linee Guida della EuropeanRespiratory Society (ERS) del199816; 2) Linee Guida dellaInfectious Disease Society ofAmerica (IDSA) del 200017; 3)Linee Guida della CanadianInfectious Disease Society -Canadian Thoracic Society(CIDS-CTS) del 200018; 4)Linee Guida della AmericanThoracic Society (ATS) del200119. Più recentementesono state pubblicati gli ag-giornamenti dei documenti diconsenso IDSA (2003)20 e del-la British Thoracic Society(BTS) (2004)14.

Analogie e differenze fraguidelinesOltre ai documenti summen-zionati, ritenuti lo standard diriferimento a livello mondia-le, molte Istituzioni di malat-

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 19

I fluorochinoloni respiratori nel trattamento della CAP

Reparto Medico

Figura 2. Trattamento empirico della CAP in pazienti adulti sulla base delle Linee Guida CIDS-CTSinterpretate ed adottate del gruppo multidisciplinare FADOI.

CAP

Valutazionedella gravità

PSI>90o

CURB-65>3

Trattamento domiciliare Trattamento ospedaliero

Stratificazionedel rischio

Giovaneadulto

Adulto senzafattori di rischio

Adulto confattori di rischio

UTI

Se almeno uno dei seguenti fattori di rischio:

1) Necessità di ventilazione meccanicao

2) Incremento dimensionale degli infiltrati >50%o

3) Shock setticoo

4) Insufficienza renale acutao

5) Polmonite batterica o multilobulareo

6) Frequenza respiratoria >30 atti/min e PaO2/FIO2<250o

7) Pressione sistolica 90 mmHg e diastolica 60 mmHg

NO SI

Stratificazionedel rischio

Tabella 2

NO SI

Tabella 3

tie infettive e/o respiratoriehanno pubblicato a livellonazionale Linee Guida locali,sostanzialmente adattate aiprofili infettivi esistenti inquel determinato Paese ed allepolitiche sanitarie in essere. Aquesta quantità di documentinon corrisponde, purtroppo,una loro piena applicazionenella pratica clinica, ed essisono anzi fonte di confusione.A fronte delle molte sovrap-posizioni fra i vari documen-ti, esistono infatti anche alcu-ne significative differenze: peresempio le Linee Guida ERSdel 1998 definiscono l’approc-

cio alle infezioni delle bassevie respiratorie in modo uni-tario, senza distinzione frabronchite e polmonite; inol-tre, nell’ambito della polmo-nite non sono stati editati do-cumenti specifici per la pol-monite comunitaria o perquella nosocomiale. Diversa-mente, le Linee Guida ATS eCIDS-CTS sono più dettaglia-te e sono stati rilasciati docu-menti specifici per la CAP, perla HAP, per la VAP, etc. Neldocumento FADOI sono sta-ti integrati i quattro principa-li documenti prima menziona-ti, adattandoli alla realtà epi-

demiologica italiana. In figu-ra 2 è riassunto un algoritmoper la diagnosi ed il trattamen-to del paziente adulto conpolmonite comunitaria chetiene conto delle raccomanda-zioni FADOI.Si può rilevare che il contestonel quale matura il tratta-mento (domicilio o ospeda-le), e l’intensità del tratta-mento stesso, sono propor-zionali e direttamente corre-lati al rischio di morte. Inol-tre, definito il setting nelquale eseguire il trattamento,vengono imposte ulteriorisuddivisioni.

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20 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

Tabella 2. Trattamento empirico della CAP in regime domiciliare.

In presenza di migliora-mento clinico, il trattamen-to empirico della CAP vaproseguito per la durata di10-14 giorni anche in pre-senza di esame colturalenegativo.

Paziente/setting Trattamento

Giovane adulto • Fluorochinoloni respiratori (moxifloxacina, levofloxacina)• Macrolidi (azitromicina, claritromicina)• Ketolidi (telitromicina)

Adulto Senza fattori di rischio Monoterapia

• Fluorochinoloni respiratori (moxifloxacina, levofloxacina)(valutare per terapia sequenziale)

• Ketolidi (telitromicina)Terapia combinata• Amoxicillina/clavulanato

o• Cefalosporina orale II generazione

+• Macrolide (azitromicina, claritromicina)

Con fattori di rischio Monoterapia• Fluorochinoloni respiratori (moxifloxacina, levofloxacina)

(valutare per terapia sequenziale)

Terapia combinata• Cefalosporina parenterale

(cefotaxime, ceftriaxone, cefepime)+ (in caso di sospetta infezione da atipici)macrolide (azitromicina, claritromicina)

• Amoxicillina/clavulanato+ (in caso di sospetta infezione da atipici)macrolide (azitromicina, claritromicina)

Trattamento domiciliaredella CAPPosto come adeguato e sicuroil trattamento della CAP inambito domiciliare, il docu-mento FADOI, analogamen-te ai suggerimenti IDSA eCIDS-CTS, suggerisce l’ulte-riore stratificazione in tre fa-sce di rischio:1. giovane adulto;2. adulto senza fattori di ri-

schio;3. adulto con fattori di rischio.

Per ciascuna di queste tre con-dizioni si suggeriscono un ap-proccio diagnostico ed un trat-tamento antibiotico di inten-sità progressivamente crescen-te (tabella 2).Il trattamento in regime domi-ciliare è sostanzialmente em-

pirico, non dovendo il clinicoattendere i risultati dell’esamecolturale. Una radiografia deltorace, un campione di escre-ato ed un’emocoltura dovreb-bero essere raccolti prima diiniziare il trattamento antibio-tico, ciò anche per il successi-vo monitoraggio della rispo-sta. Nella maggior parte deicasi un miglioramento si os-serva entro il terzo giorno e,entro questa data dovrebberoessere disponibili i risultati del-l’antibiogramma. In presenzadi miglioramento clinico signi-ficativo (defervescenza e sin-tomi respiratori) il trattamen-to va continuato, anche se l’esa-me colturale dovesse risultarenegativo, circostanza che siverifica in oltre la metà deicasi.In presenza di ceppi sensibili

si prosegue con la terapia giàimpostata per almeno 10 gior-ni, in relazione alle condizio-ni generali del paziente ed algerme isolato. Viceversa, simodificherà il trattamentoimpostato sulla base dell’anti-biogramma.

Trattamento della CAP inregime ospedalieroSe sulla base del punteggio PSIo del CURB-65 il medico diMedicina Generale opta per

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 21

I fluorochinoloni respiratori nel trattamento della CAP

Tabella 3. Trattamento empirico della CAP nel paziente ospedalizzato. Indipendentemente dall’antibio-tico utilizzato, la via iniettiva è preferita alla via orale fino a miglioramento sensibile del quadro clinico(3-5 giorni).

Setting Trattamento

Reparto medico • Cefalosporina iniettabile (cefotaxime, ceftriaxone, cefepime)oppureAmoxicillina/clavulanato e.v./os+Macrolide e.v./os(in caso di sospetta infezione daLegionella, Chlamydia o Mycoplasma)

• Fluorochinolone respiratorio* e.v./os

Sospetta polmonite • Amoxicillina/clavulanato e.v.da aspirazione oppure

• Fluorochinolone respiratorio* e.v. + clindamicina/metronidazolo

UTI • Cefalosporina iniettabile e.v.Senza fattori di rischio per (cefotaxime, ceftriaxone, cefepime)Pseudomonas aeruginosa +

Macrolideo

• Fluorochinolone respiratorio* e.v.

Con fattori di rischio per • Beta-lattamina ad attività anti-Pseudomonas aeruginosa Pseudomonas (ceftazidime, cefepime,

imipenem, meropenem, piperacillina/tazobactam)+Aminoglicosideofluorochinolone (ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina)

*Moxifloxacina, levofloxacina

l’ospedalizzazione del pazien-te, esistono due possibilità: 1)ospedalizzazione in un repar-to medico, laddove il pazien-te presenti un PSI di classe III-IV o un CURB-65 con pun-teggio <4, ovvero con rischiodi morte <17% a 30 giorni;2) ospedalizzazione in Unitàdi Terapia Intensiva (UTI) perpazienti con PSI di classe V oCURB-65 con punteggio >4(rischio di morte a 30 giorni>17%). In tabella 3 sono sin-tetizzate le due condizioni.

Il gap fra Linee Guida e“mondo reale”A fronte delle numerose LineeGuida summenzionate, varistudi di sorveglianza indicanoche la loro applicazione nella

pratica clinica è ancora assaimodesta21. I motivi per i qualivi è una bassa ricaduta dei do-cumenti di consenso nella pra-tica clinica sono riconducibilia tre fattori: 1) minore dispo-nibilità di diagnostica rapidaed avanzata nella pratica am-bulatoriale rispetto a quantosi verifica negli studi clinicicontrollati; 2) abbondanza di“suggerimenti” provenienti dadocumenti di consenso nonsempre univoci; 3) diffusionenon capillare del documentopresso la classe medica.A fronte di questa frattura fra“mondo reale” e “mondo deitrial”, esistono chiare eviden-ze che la mancata applicazio-ne delle Linee Guida nelle fasiprecoci della CAP (valutazio-

ne diagnostica), e nelle fasisuccessive (trattamento acutoe dimissione), determina unconsistente aumento dellamortalità, il prolungamentodella degenza ed, in ultimaanalisi, un ingente aumentodei costi22. Una maggiore im-plementazione dei documenti diconsenso nella gestione del pa-ziente con polmonite comunita-ria è quindi un obiettivo forte-mente auspicabile, soprattutto inMedicina Generale, il contestonel quale è trattata la maggiorparte dei pazienti con polmoni-te comunitaria.

L’antibiotico ideale

Tutte le Linee Guida più re-centi suggeriscono di iniziare

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22 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

Patogeno MIC90 (mmmmmg/mL)

MXF LVX CLT

Gram positiviS. pneumoniae 0.12-0.5 1.0 0.015-0.06S. pyogenes 0.12-0.25 0.5-1.0S. aureus (MS) 0.06-0.12 0.25 0.12S. aureus (MR) 2.0-4.0 4.0-8.0

Gram negativiH. influenzae 0.01-0.06 0.01-0.06 2.0-8.0K. pneumoniae 0.03-0.25 0.12M. catarrhalis 0.03-0.13 0.03-0.13 0.12-0.25AtipiciL. pneumophila 0.015 0.032 0.25C. pneumoniae 0.03-1.0 0.25-0.50 0.007M. pneumoniae 0.06-0.12 0.5 0.5

Tabella 4. Efficacia intrinseca (MIC90 range) di moxifloxacina (MFX),levofloxacina (LVX) e claritromicina (CLT). (Dati da Saravolatz RD200323, Keating GM 200424, Kanatani SM 199425).

il trattamento in modo empi-rico e con aggressività propor-zionale al rischio di morte sti-mato con uno degli algoritmicitati. Per ciascuna fascia dirischio sono suggerite una opiù classi di antibiotici, senzaindicare necessariamente unapriorità di classe e, nell’ambi-to di ciascuna classe, senza in-dicare una priorità di moleco-la. La scelta dell’antibiotico èquindi demandata al giudiziodel singolo clinico, ed essadovrebbe basarsi su vari para-metri: età del paziente, pato-geno presunto, comorbilità,farmaci assunti ed esperienzapersonale. In linea di princi-pio l’antibiotico ideale per iltrattamento della polmonitecomunitaria dovrebbe esseredotato di cinque proprietàfondamentali:1) elevata attività battericida

verso i patogeni più fre-quentemente coinvolti;

2) elevata penetrazione neifluidi e nei tessuti respira-tori;

3) poche interferenze farma-cologiche, ovvero elevatasicurezza;

4) poche somministrazioni,ottimale la monosommini-strazione;

5) possibilità di attuareuna“terapia sequenziale”.

Sulla base di queste necessitàdovrebbero essere individua-te di volta in volta le moleco-le che meglio rispondono aquesto profilo. Gli antibioticipiù utilizzati in regime domi-ciliare sono i fluorochinolonirespiratori (moxifloxacina elevofloxacina), i macrolidi(azitromicina e claritromicina)e l’amoxicillina/acido clavula-nico. Nel paziente ospedaliz-zato, o con PSI di classe IIItrattato a domicilio, tornanoutili le cefalosporine iniettivedi III generazione (ceftriaxo-ne e cefotaxime) eventualmen-te associate ad un amminogli-coside (P. aeruginosa) o ad unmacrolide (germi atipici). Ifluorochinoloni respiratoripresentano tuttavia caratteri-stiche molto favorevoli, qua-le che sia il setting, e di segui-to esamineremo in quale mi-sura essi sposano le caratteri-stiche summenzionate.

I fluorochinoloni respira-tori nella CAPPer “fluorochinoloni respira-tori” si intendono i fluorochi-noloni di penultima genera-zione (levofloxacina) e di ulti-ma generazione (moxifloxaci-na). Queste molecole sonodefinite fluorochinoloni respi-ratori perché particolarmenteattive sui principali patogenirespiratori ed approvate (qua-si) esclusivamente per le infe-zioni respiratorie (sinusite, ria-cutizzazioni della bronchitecronica, polmonite).

Attività antimicrobica deifluorochinoloniLe caratteristiche microbiolo-giche e farmacocinetiche deifluorochinoloni respiratori nefanno i farmaci di elezione neltrattamento delle infezionirespiratorie, soprattutto quan-do la gestione del paziente av-viene in regime domiciliare. Intabella 4 sono riportate leMIC90, espressioni di efficaciaintrinseca di moxifloxacina elevofloxacina rispetto ad unmacrolide di riferimento (cla-ritromicina). Come si può os-servare i fluorochinoloni sonoefficaci contro tutti i principalipatogeni respiratori, ivi com-presi gli atipici, un gruppoetiologico di importanza cre-scente e sui quali le penicilli-ne sono sostanzialmente inat-tive.

Moxifloxacina. Moxifloxaci-na presenta uno spettro parti-colarmente ampio, con MICbassissime per gli atipici emolto basse anche per i Grampositivi, il punto di debolezzadei fluorochinoloni di I e IIgenerazione. Essa presenta lamiglior attività dell’intera clas-se verso S. pneumoniae, il pa-togeno più frequentementeisolato nelle infezioni delle

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I fluorochinoloni respiratori nel trattamento della CAP

L’impiego di molecole do-tate di elevata attività bat-tericida intrinseca, e conaccumulo preferenziale neifluidi e nei tessuti respira-tori, costituisce una garan-zia per ottenere elevati tas-si di risposta (clinica e mi-crobiologica) e per ridurrel’induzione di ceppi resi-stenti.

Molecola Dose Cmax AUC MIC90 Cmax/MIC90 AUC/MIC90(mg) (mmmmmg/mL) (mg x h/L) (mmmmmg/mL)

Moxifloxacina 400 4.5 48 0.125 30 384

Ciprofloxacina 750 3.6 32.6 2.0 1.8 16Levofloxacina 500 5.7 48 1.0 5.7 48

Tabella 5. Rapporto fra concentrazione plasmatica di picco (Cmax), area sotto la curva (AUC) e MIC90

dopo una singola dose. I valori di MIC si riferiscono a quelli relativi ad S. pneumoniae per ciascunamolecola. (Dati da Saravolatz RD 200323).

basse vie respiratorie (50-60%).In termini di MIC su S. pneu-moniae moxifloxacina risulta16 volte più attiva di ciproflo-xacina ed 8 volte più attiva dilevofloxacina. A fronte dellamaggior attività sui Gram po-sitivi, non è stata compromes-sa l’efficacia sui Gram negati-vi (H. influenzae, K. pneumo-niae e M. pneumoniae). Anchesu P. aeruginosa moxifloxaci-na si dimostra molto efficace(8 volte più di levofloxacina).

Fluorochinoloni vs altreclassiL’amoxiclavulanato, pur dota-to di un’elevata efficacia neiconfronti di Gram positivi eGram negativi tipici non è at-tivo su clamidie e micoplasmi,che stime recenti indicanocome responsabili del 15-20%di tutti i casi di CAP in Europae di un elevato numero di ria-cutizzazioni della BPCO26,27.Per queste ragioni, qualora sisospetti una polmonite atipi-ca, il trattamento di scelta è co-

stituito dai fluorochinoloni odai macrolidi, e questi ultimidevono essere aggiunti allepenicilline o alle cefalospori-ne se è gia stata impostata unaterapia con questi farmaci o siritiene prudente una terapiacombinata.Claritromicina presenta buo-na attività su S. pneumoniaema il suo impiego deve essereprudente a causa degli elevatitassi di resistenza registrati(~30% in Italia). Grazie al suometabolita 14-idrossilato è at-tiva sul 20-25% dei ceppi di H.influenzae ed è attiva sugli ati-pici.

Diffusione tissutale deifluorochinoloni e rispostaclinicaL’attività battericida dei fluo-rochinoloni è concentrazione-dipendente. Ne consegue cheoltre alla MIC, l’altro parame-tro direttamente correlato allabatteriocidia è la concentrazio-ne raggiunta dalla molecola nelfocolaio infettivo, ovvero neifluidi e nei tessuti adiacenti. Perottenere quindi un’elevata ef-ficacia clinica e microbiologi-ca, a MIC molto basse si devo-no associare anche elevate con-centrazioni locali del farmaco,ovvero elevati valori locali diCmax ed AUC. Elevate concen-trazioni plasmatiche del farma-co non sono necessariamenteun buon indicatore di efficaciase la molecola non penetra enon si accumula soprattutto

nei tessuti e nei fluidi respira-tori. Per queste ragioni il rap-porto AUC/MIC90 ed il rap-porto Cmax/MIC90, più che lasola MIC90 costituisce un in-dicatore più sensibile di effi-cacia microbiologica. Quantomaggiore è il rapporto fraAUC, Cmax e MIC tanto mag-giore è quindi l’azione batte-ricida. In tabella 5 sono ripor-tati i principali parametrifarmacocinetici e farmacodina-mici dei fluorochinoloni respi-ratori oggi disponibili in Italia,rispetto alla ciprofloxacina.Come si rileva dalla tabella 5,i rapporti fra Cmax/MIC90 edAUC/MIC90 sono molto ele-vati per tutti e tre i farmaci,ma moxifloxacina supera digran lunga sia ciprofloxacinasia levofloxacina per entram-bi i parametri. Il rapporto fraMIC90 per S. pneumoniae eCmax di moxifloxacina è 5 vol-te maggiore rispetto a levoflo-xacina e oltre 16 volte maggio-re di quello registrato per ci-profloxacina. Poiché questivalori sono stati calcolati suiparametri plasmatici di AUCe Cmax, si deduce che in corsodi batteriemia, S. pneumoniaesi trova esposto a concentrazio-ni di farmaco 16 volte maggio-ri se il paziente è trattato conmoxifloxacina rispetto ad unpaziente trattato con ciprofloxa-cina, ciò indipendentementedalla MIC, ovvero dall’azioneantibatterica intrinseca del far-maco.

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24 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

Tabella 6. Valori farmacodinamici dei principali macrolidi nei con-fronti di S. pneumoniae. I valori si riferiscono al rapporto fra Cmax/MIC90 misurato in due siti respiratori rilevanti, i fluidi bronchiali (ELF)ed i macrofagi alveolari (MA). Dati analoghi possono essere ottenutidopo dosaggio del farmaco in altri distretti corporei. (Dati da ShamsWE 200532).

Farmaco Dose (mg) Cmax/MIC90

ELF MA

Ciprofloxacina 500 0.93 17.5Ciprofloxacina 750 nv nvLevofloxacina 500 10 98Levofloxacina 750 22 105Moxifloxacina 400 83 227

Rapporti farmacodinamicie prevenzione dei ceppiresistentiAncora più significativo sem-bra essere, sotto il profilomicrobiologico, il rapportofra AUC/MIC90 e Cmax/MIC90 all’interno del singolotessuto. Purtroppo ad oggi, larelazione esistente fra questidue rapporti farmacodinami-ci ed i tassi di risposta clinicasono stati esaminati in pochistudi e con risultati non sem-pre coerenti28-30. Per gli anti-biotici dotati di attività batte-ricida concentrazione-dipen-dente, quali sono i fluorochi-noloni, è fondamentale chenei tessuti target le concentra-zioni della molecola non scen-dano mai al di sotto di un va-lore soglia, definito MPC(Mutant Prevention Concen-tration).La MPC costituisce la concen-trazione minima in grado diprevenire la crescita dei primiceppi mutanti, e quindi la len-ta diffusione di stipiti a bassaresistenza. La differenza fraMIC90 ed MPC costituiscequella che Dong e collabora-tori hanno definito la “finestradi selezione dei mutanti”31. Intabella 6 è riportato il più im-portante marcatore di effica-

cia microbiologica (Cmax/MIC90) nei confronti di S.pneumoniae. Moxifloxacina elevofloxacina si concentranoabbondantemente sia nel liqui-do di contatto degli epitelibronchiali (Epitelial LiningFluid -ELF-) sia nei macrofagialveolari (MA).I tassi di risposta clinica delleCAP ai fluorochinoloni respi-ratori sono molto elevati, ge-neralmente superiori al 90%,con tassi di eradicazione mi-crobiologica compresi fra il75% ed il 90%, in relazione aipatogeni isolati33,34. In tabella7 sono riassunti i principalitrial condotti con i due fluo-rochinoloni respiratori dispo-nibili in Italia rispetto a variantibiotici comparatori.

Interferenze farmacologichedei fluorochinoloni

Il profilo tossicologico deinuovi fluorochinoloni è con-trassegnato da elevata sicurez-za e maneggevolezza in maniesperte, con decine di milionidi pazienti trattati a livellomondiale32. Gli effetti avversipiù frequenti sono quelli a ca-rico dell’apparato digerente,soprattutto nausea (4-8%) ediarrea (4-5%); cefalea e verti-gini sono presenti nel 2-4% dei

trattati. La rottura del tendi-ne è un evento temibile marelativamente raro, soprattut-to con le molecole di ultimagenerazione39. Questo rischiopuò essere aumentato dallacontemporanea assunzione dicortisonici per via sistemica,che va dunque evitata.Prudenza deve essere postanell’impiego dei fluorochino-loni in pazienti ad elevato ri-schio di aritmie a causa delprolungamento dell’intervalloQT. Questo rischio aumentasensibilmente nei pazienti an-ziani, in quelli trattati con pro-tocolli antibiotici contenentimacrolidi ed in presenza diipopotassiemia e/o ipomagne-siemia.

Terapia sequenzialeNei pazienti con forme seve-re o che richiedano il tratta-mento in regime ospedalierola possibilità di passare dallavia parenterale a quella oralecostituisce un’interessanteopportunità clinica, cui si as-sociano vantaggi economicinon trascurabili40,41. Sia moxi-floxacina sia levofloxacinasono dotate di curve cinetichee di biodisponibilità sostan-zialmente equivalenti fra laformulazione endovenosa equella orale: ciò consente ilpassaggio dalla prima alla se-conda via di somministrazio-ne mantenendo le concentra-zioni plasmatiche e tissutalipoco alterate. Nei pazientiospedalizzati, la via parentera-le può essere sostituita da quel-la orale dopo i primi 3-4 gior-ni di terapia ed in presenza dimiglioramento sensibile deiparametri respiratori e vitali.In questo caso, il paziente puòessere dimesso con prosegui-mento della terapia a domici-lio. Varie valutazioni clinichee farmacoeconomiche indica-

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 25

I fluorochinoloni respiratori nel trattamento della CAP

Autore (anno) Regime Eradicazione (%) Guarigione (%)

Petitpretz et al MFX 400 mg po uid x 10 gg Globale=90(2001)35 S. pneumoniae=90

H. influenzae=100 92vs

Amoxicillina 1 g po tid x 10 gg Globale=83S. pneumoniae=85H. influenzae=83 90

Finch et al MFX 400 mg ev uid x almeno Globale=94(2002)36 3 gg seguito da 400 mg po S. pneumoniae=100

x 7-14 gg C. pneumoniae=100H. influenzae=100M. pneumoniae=100 93

vsAmox/ac clav 1.2 g ev tid Globale=82x massimo 3 gg seguito da S. pneumoniae=77amox/ac clav 625 mg po tid x H. influenzae=897-14 gg ±CLT 500 mg ev C. pneumoniae=80o po bid M. pneumoniae=94 85

Katz et al MFX 400 mg ev uid seguito Globale = 80(2004)37 da 400 mg po x 7-14 gg S. pneumoniae = 86

H. influenzae = 67 83vs

CRO 1.2 g ev ± AZT 500 mg Globale=69ev uid ± metronidazolo 500 mg S. pneumoniae=78ev qid fino a miglioramento, H. influenzae=50 80quindi passaggio a cefuroxime500 mg po bid ± AZT 250 mgpo uid ± metronidazolo 500 mgpo quid.

Gotfried et al LVX 500 mg po uid x 7 gg Globale=88(2002)33 S. pneumoniae=91

H. influenzae=96C. pneumoniae=85 86

vsCLT a rilascio prolungato Globale=87500 mg po uid x 7 gg S. pneumoniae=91

H. influenzae=96C. pneumoniae=85 88

Fogarty et al LVX 500 mg ev quindi po uid200438 x 7-14 gg

vsCRO 1.2 g ev + ERT 500-100 Globale=82mg ev qid fino a miglioramento, S. pneumoniae=95quindi passaggio ad H. influenzae=100amoxiclavulanato 875 mg po bid C. pneumoniae=40 83+ CLT 500 mg po bid x 7-14 gg

CRO=ceftriaxone; Amox=amoxicillina; Ac clav=acido clavulanico; CLT=claritromicina; ERT=eritromicina;LVX=levofloxacina; tid=tre volte al giorno; bid=due volte al giorno; uid=una volta al giorno; po=per os;ev=endovena.

Tabella 7. Efficacia clinica e microbiologica dei fluorochinoloni respiratori nella polmonite comunitaria.

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26 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

R. Cogo

TiM

no che tale procedura è sicurae cost/effective. Nel recentestudio di Katz e collaboratorila terapia sequenziale conmoxifloxacina parenterale (diimminente introduzione inItalia), seguita dalla via oralesi è dimostrata efficace e sicu-ra almeno quanto la terapiacombinata con ceftriaxone piùazitromicina37. I risparmi eco-nomici della terapia sequenzia-le sono facilmente intuibili sesi considera che il pazientepuò essere dimesso in quartao quinta giornata, con dimez-zamento della degenza.

ConclusioniI nuovi fluorochinoloni si de-lineano come farmaci di scel-ta nel trattamento della pol-

monite comunitaria, sia perla loro attività intrinseca neiconfronti dei principali pato-geni respiratori (tipici ad ati-pici) sia per le favorevoli ca-ratteristiche farmacocinetichee di penetrazione nei fluidi re-spiratori. Allo stato dei fatti,i tassi di resistenza a moxiflo-xacina e levofloxacina sonomolto bassi, ma esiste la fon-data preoccupazione che l’in-sorgenza di “rapidi ed elevati”bacini di resistenza possanoessere preceduti da lunghi pe-riodi di “bassi tassi di resisten-za”, come è avvenuto per glienterococchi vancomicina-re-sistenti o per la penicillino-re-sistenza di S. pneumoniae42.Per evitare questo fenomeno,oltre ad un uso giudizioso del-le terapie antibiotiche, è pre-

feribile utilizzare molecolecon la massima capacità dieradicazione, ovvero con ele-vati rapporti farmacodinami-ci (Cmax/MIC90 ed AUC/MIC90) e con una ridotta fi-nestra di selezione dei mutan-ti (MPC)43. Sulla base di que-sti concetti, di recente acqui-sizione ed ancora poco diffu-si nella pratica clinica, i fluo-rochinoloni con elevati rap-porti farmacodinamici do-vrebbero essere preferiti aquelli con bassi rapportiCmax/MIC90 ed AUC/MIC90,;ciò al fine di garantire nonsolo elevati tassi di eradicazio-ne batterica, e quindi di rispo-sta clinica, ma anche e soprat-tutto per evitare lo sviluppodi popolazioni batteriche re-sistenti.

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 29

Trattamento della lombosciatalgia cronica conPresso Espansore Magnetico (dispositivo PESM)

Paolo Mario Pedicino, Rosa Carmela Ripoli,Mario Turani, Marco Ottorino Pedicino, StefanoTassin, Massimo DonatiAIRPA (Associazione Italiana per la Ricerca PosturologicaAvanzata) - R.S.A. Fondazione L. Porro, Barlassina.

Paolo PedicinoAIRPA (Associazione Italiana per la Ricerca PosturologicaAvanzata)via Longoni, 10 - 20030 Seveso -MI-fax 0362 575534 - tel 3939462524email: [email protected]

Introduzione

E’ una condizione frequente nella popolazio-ne, specie anziana (>65 anni) e nei soggetti arischio. Questa condizione, su base posturaleprima e poi osteoartrosica degenerativa, é spes-so complicata dalla contemporanea presenzadi ernia/protrusione discale, con ingravescen-za della sintomatologia legata alla pressionemeccanica sulle strutture nervose. L’osteoar-tropatia lombosacrale trae scarso beneficio siadal trattamento farmacologico classico che dalricorso alla fisioterapia, alla massoterapia, alla

ionoforesi, alla chinesiterapia ed altri tratta-menti che assumono valenza palliativa e/oadiuvante. Questi trattamenti possono risulta-re ancor più scarsamente efficaci se il doloreda osteoartropatia è esacerbato dalla presenzadi un’ernia discale, più o meno protrusa, consofferenza radicolare a causa della neuropatiada compressione o stiramento.Presso il nostro Centro adottiamo da alcunianni un sistema innovativo di terapia con cam-pi magnetici, definito Presso-Espansore-Magne-tico (PESM). Il sistema PESM si basa sull’uti-lizzo di magneti permanenti al neodimio inte-ragenti fra loro in senso attrattivo per confron-to di poli eterologhi o repulsivo per confron-to di poli omologhi. I magneti vengono postisu precisi punti muscoloscheletrici, individua-ti per ogni singolo caso da personale sanitarioappositamente formato, e lasciati in sede perdue settimane. Usiamo, in genere, due tipi dimagneti che si interfacciano, da 30 Kg di tra-zione e 15 Kg. di trazione. Il gioco di forze cheviene a crearsi dall’interazione dei campi ma-gnetici interagisce con le strutture biologicheinterposte, determinando importanti modifi-che strutturali a carico dei tessuti intrappolatinella zona compressa e flogisticamente interes-sata (specie nervosi e fibrocartilaginei). Talimodifiche, spesso, si manifestano in tempi ra-pidi attraverso un notevole miglioramento deldolore e del movimento articolare. Quando èrichiesta una trazione di minor entità, ad unmagnete viene contrapposta una strutturametallica inerte (da noi denominata neutrone).I dispositivi magnetici possono essere utilizza-ti anche singolarmente con polarità Nord ri-volta verso la cute, con un, peraltro noto inletteratura, effetto antidolorifico ed antiflogi-stico.Di seguito riportiamo i casi di due pazienti condolore lombosacrale e presenza di ernia disca-le, già trattati negli anni con numerosi cicli diterapie farmacologiche e riabilitative, conmodesto o assente risultato. Entrambi i sog-

Pedicino PM, Ripoli RC, Turani M, et al. Treatment ofchronic lombosciatalgy with Magnetic Presso-Expan-der (PESM dispositive). Trends Med 2007; 7(1):29-31.© 2007 Pharma Project Group srl

Clinical case

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30 Trends in Medicine Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1

P.M. Pedicino, R.C. Ripoli, M. Turani, et al.

getti erano accomunati dalla stessa patologia:una osteoartrosi lombare complicata dalla pre-senza di ernia discale e con segni di neuropatiada stiramento/compressione delle radici spi-nali, confermata da diagnosi per immagini divario tipo.

1° Caso

M.B., donna, anni 40 con dolore lombosacra-le e sciatalgia per ernia discale presente da 10anni. Le indagini radiografiche ed una RM ave-vano accertato l’esistenza di osteartropatia lom-bare complicata da ernia discale.

Storia ClinicaTrattata nel corso degli anni sia con opportu-na terapia farmacologica sia con trattamentivari - ultrasuoni, marconiterapia, TENS, tra-zioni - i risultati sono stati giudicati dalla pa-ziente scarsi o di breve durata. Già un esameeffettuato il 22.05.1989 per comparsa di dolorialla colonna nel tratto cervicodorsale, eviden-ziava accentuazione della lordosi cervicalemedio-inf. e inclinazione a sn dell’asse longi-tudinale del rachide cervicale secondaria a sco-liosi dorsale dx convessa, con sacralizzazionedi L5. Ulteriori esami cui si era sottoposta pres-so altra struttura in periodi successivi avevanoconfermato asimmetria del bacino per innal-zamento dell’ala iliaca sinistra ed evidenziatouna “deviazione posturale del rachide”.In data 12.10.2005 la paziente esegue TACcolonna lombosacrale con il seguente esito:“Potrusione discale circonferenziale a livellodel terzultimo spazio intersomatico. A livellolombare si dimostra protrusione discale circon-ferenziale, nettamente evidente in sede intra-extra foraminale dx. A livello dell’ultimo spa-zio intersomatico lombare si conferma protru-sione discale paramediana dx con evidente qua-dro di ernia discale”.

Trattamento (Presso Espansore Magneti-co)

Seduta 1In data 16.11.2005 la paziente si presenta pres-so la nostra Struttura, accusando dolore inregione lombosacrale irradiato alla coscia dx.Richiesta di dare una valutazione su scala VASdel dolore (0=nessun dolore; 10=dolore in-sopportabile) lo indica di intensità pari a 8. Allasintomatologia algica si accompagna elevata

riduzione della mobilità con presenza di pare-stesie e disturbi del sonno per riacutizzazionealgica ad ogni cambio di posizione.Si inizia il trattamento con applicazione di duemagneti monopolari, di potenza 30 polaritàNord (N) tra L5-S1 e 15 N sul repere gluteodello sciatico dx. La finalità di questa primaseduta è esclusivamente di tipo antalgico e an-tiinfiammatorio. Obiettivo di questa primaseduta era ridurre le componenti infiammato-rie e dolorose. Richiesto dopo qualche minu-to di dare una valutazione del dolore, il sog-getto esprime che il dolore è ridotto e dà diesso una valutazione numerica pari a 4 (inten-sità medio/lieve); inoltre la mobilità, la cuicompromissione era stata giudicata elevata (siadal Medico sia dalla paziente), appare ora di-screta. I magneti rimangono in situ 14 giorni.

Seduta 2In data 30.11.2005 la paziente conferma il mi-glioramento e si procede a un nuovo posizio-namento con un dispositivo di potenza 30 Nsu L4-L5 e due 15 polarità Sud (S) sulle cresteiliache superiori. Questa seconda applicazio-ne ha lo scopo di mettere in trazione i capiossei articolari. Richiesto di rivalutare i segniprima presi in considerazione, indica ancoramigliorato il dolore (2) e molto buona la moti-lità.

Seduta 3Il 14.12.2005 residuando una dolenzia al baci-no nella deambulazione si procede con unaterza applicazione 30 N-30 N in espansionesulla testa femorale destra e una 15 N in L5-S1a ulteriore scopo antiflogistico. Dopo l’appli-cazione, il soggetto dichiara di non avvertirepiù alcun dolore; il miglioramento della mo-bilità appare ottimo.

Seduta 4In conseguenza delle deviazioni posturali delrachide, in data 28.12.2005 si è proceduto al-l’applicazione di due magneti posizionati sullaspalla destra (30 N) e sulla spalla sinistra (30N), più un neutrone anteriore per ottenere“l’apertura” delle spalle, intervenendo sul cin-golo scapolare. Il risultato definitivo raggiun-to è l’aver posto il soggetto in condizioni dimantenere una postura eretta corretta.

Al follow-up eseguito a sei mesi dalla sospen-sione del trattamento il soggetto riferisce di starbene.

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 31

Trattamento della lombosciatalgia cronica con Presso Espansore Magnetico (dispositivo PESM)

2° Caso

B.E. donna, anni 56, presenta dolore lombosa-crale e sciatalgia dx da circa 6 anni.

Storia Clinica

Nella primavera del 2000 comparsa di dolorelombosacrale irradiato alla gamba destra.Non risolvendosi il dolore, il 14.06.2000 haeseguito TAC rachide lombosacrale da cui ri-sulta: “in L4-L5 documentata l’esistenza di er-nia discale foraminale Dx che comprime sia laradice L4 che la L5 nel recesso radicolare”.In data 31.07.2000 la R.M. conferma quantogià evidenziato dalla TAC: “in L4-L5 degene-razione del disco intersomatico con riduzionedello spazio intervertebrale, si conferma il ri-lievo di ernia discale lateralizzata a destra de-terminante compressione sulla superficie an-terolaterale destra”. Il 25.08.2000 lo specialistaneurologo referta: “confermata l’esistenza diernia discale espulsa L4-L5 dx con interessa-mento del forame di coniugazione, in caso dipersistenza della sindrome dolorosa si con-siglia intervento chirurgico”.Trattata nel corso degli anni con terapia far-macologica e con trattamenti fisioterapici vari,con scarso beneficio, prima di optare per l’in-tervento chirurgico si rivolge presso la nostrasede.

Trattamento (Presso Espansore Magneti-co)

Seduta 1Il 25.01.2006, dopo accurato esame clinico dellecondizioni e valutazione delle immagini offer-te dagli esami eseguiti, vengono applicati: undispositivo da 30 N in posizione L5-S1, un 15N dorsale e un 30 N sciatico dx. allo scopo diottenere come primo risultato un effetto anal-gesico e antiflogistico. Dopo posizionamentodei dispositivi la paziente è invitata ad espri-mere un giudizio sulle possibili modifiche del-le condizioni inziali e dichiara di osservare di-screta riduzione del dolore e miglioramentodella motilità.

Seduta 2La seconda applicazione è fatta dopo 14 giorniin data 08.02.2006 posizionando un 30 N suL5 e due neutroni sulle creste iliache anteriori.Questo posizionamento dei dispositivi ha lo

scopo di mettere in trazione magnetica il trat-to del rachide interessato. La paziente osservaun’ulteriore riduzione del dolore con un resi-duo numerico 2 rispetto ad un iniziale 8 e lamotilità è giudicata buona.

Seduta 3In data 22.02.2006 si procede ad una terza ap-plicazione allo scopo di stabilizzare i risultatiraggiunti con trazione magnetica scapolo-ome-rale alta con posizionamento di un 30 N bisca-polare e due 15 S contrapposti in posizioneomerale. Si aggiunge una “tutela” lombare conun 15 N su L5-S1.

Al follow-up eseguito a sei mesi dalla sospen-sione del trattamento il soggetto riferisce di starbene.

Conclusioni

Entrambi i casi segnalati dimostrano un qua-dro clinico omogeneo di osteoartropatia lom-bosacrale complicata da ernie discali con sin-tomatologia dolorosa per presenza di una neu-ropatia da stiramento/compressione delle ra-dici spinali, con riduzione significativa dellamotilità. Da segnalare che uno dei due casiera stato candidato ad intervento per asporta-zione di ernia discale. E’ ragionevole consi-derare che la patologia osteoarticolare lom-bosacrale complicata dalla presenza di erniediscali e segni sciatalgici, si giovi in modo re-lativamente modesto e per tempi brevi, del-l’uso dei trattamenti farmacologici e fisici. Lesofferenze radicolari, causa di sciatalgie e ri-duzione della funzionalità dell’arto con tuttoil corredo di altri segni che l’accompagnano,permettono di indicare detto quadro “invali-dante” con una qualità di vita del soggettonotevolmente compromessa. Al momentopuò essere opportuno riflettere sul fatto chein questi due casi il ricorso a questa nuovametodica di terapia con impiego del disposi-tivo PESM (Presso-Espansore-Magnetico alneodimio) ha consentito di ottenere risultatigiudicati eccezionali, tanto che si prospettaper entrambi i casi una qualità di vita presso-chè normale. Non è di secondaria importan-za considerare che i risultati raggiunti a finetrattamento si sono mantenuti nel tempo (6mesi) senza trascurare l’opportunità di un ul-teriore controllo periodico.

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Gennaio 2007 Volume 7 Numero 1 Trends in Medicine 33

Endoarterectomia carotidea e rivascolarizzazionemiocardica effettuate durante lo stesso intervento:

risultati clinici immediati e tardivi

Nicola Troisi, Giovanni Battista Pinna, ChiaraSomma, Mario Monaco, Luigi Di TommasoDipartimento di Medicina Interna, Geriatria, PatologiaCardiovascolare e Immunitaria e Cardiochirurgia - Università“Federico II” di Napoli

Nicola TroisiVia Dei Mille, 12550131 FirenzeCell. 328 020 55 30e-mail: [email protected]

Carotid endarterectomy and myocardial revascularization in a singlestage procedure: early and late clinic results

SummaryThe strategy for treatment of combined carotid and coronary arteries disease is still controversial. From Fe-bruary 1995 to September 2002, 73 patients underwent in our department combined myocardial revasculari-zation and carotid endarterectomy using a single stage procedure during cardiopulmonary bypass time. In thisstudy we report our experience with this surgical technique, that can be considered effective and safe.

Troisi N, Pinna GB, Somma C, et al. Carotid endarterectomy and myocardial revascularization in a single stageprocedure: early and late clinic results. Trends Med 2007; 7(1):33-39.© 2007 Pharma Project Group srl

Key words:carotid endoarterectomymiocardial revascularization

Introduzione

Gli eventi cardiaci sono complicanze moltofrequenti nell’immediato periodo postopera-torio dopo endoarterectomia carotidea, conun’incidenza del 7% se si considerano pazientisintomatici e dell’1% se si tengono in conside-razione pazienti che non presentano i sintomitipici degli accidenti cerebrovascolari1.Dopo un intervento di rivascolarizzazionemiocardica, gravi patologie cerebrovascolari,come un ictus o un nuovo deterioramento dellafunzione intellettiva, possono presentarsi nel2-6.1% dei pazienti; questi eventi neurologicidopo bypass aortocoronarico in circolazioneextracorporea si accompagnano ad un tasso dimortalità compreso tra il 14 e il 21%2. Unastenosi non trattata dell’arteria carotide inter-na uguale o maggiore dell’80% incrementa ilrischio di ictus del 15-20%3. Si pensa che ilbypass aortocoronarico sia la maggiore causadi ictus iatrogeno2.Numerosi studi4 indicano che il 35-45% deipazienti con prevalente malattia ateroscleroti-ca a livello del distretto carotideo mostra allacoronarografia una concomitante coronaropa-tia di origine aterosclerotica; viceversa, il 2.4-14% dei pazienti con indicazione all’interven-to di bypass aortocoronarico mostra all’eco-grafia con color-Doppler una stenosi di unadelle arterie carotidi interne uguale o maggio-

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re del 50%, come confermato in un secondomomento dall’angiografia digitale5,6.La strategia per il trattamento combinato del-la malattia aterosclerotica che colpisce contem-poraneamente il distretto carotideo e quellocoronarico è ancora controversa. In questo la-voro riportiamo la nostra esperienza con l’in-tervento combinato di endoarterectomia caro-tidea e rivascolarizzazione miocardica effettua-te nello stesso intervento durante bypass car-diopolmonare, ponendo particolare attenzio-ne alla valutazione retrospettiva dei risultaticlinici immediati e tardivi.

Materiali e metodi

Da Febbraio 1995 a Settembre 2002, 73 pazientivenivano sottoposti presso la nostra strutturaad intervento combinato di endoarterectomiacarotidea e rivascolarizzazione miocardica ef-fettuate nello stesso intervento durante il tem-po di circolazione extracorporea. L’età mediaera 69.3±6.7 anni; 52 pazienti (71.2%) aveva-no più di 65 anni al momento dell’interventoe 61 pazienti (83.5%) erano di sesso maschile. Ifattori di rischio comprendevano: pregresso in-farto del miocardio in 47 pazienti (64.3%); fra-zione di eiezione ventricolare sinistra minoredel 30% in 21 pazienti (28.7%); diabete mellitotipo 2 in 36 pazienti (49.3%); broncopneumo-patia cronica ostruttiva (BPCO) in 22 pazienti(30.1%); ipertensione arteriosa essenziale in 58pazienti (79.4%). Le caratteristiche preopera-torie dei nostri 73 pazienti sono riportate nel-la Tabella 1.

Tutti i pazienti venivano valutati preoperato-riamente con un’ecografia con color-Dopplera livello carotideo. Se si riscontrava una ridu-zione del lume maggiore del 50%, allora si ef-fettuava un’angiografia digitale a sottrazionedi immagini, in concomitanza dello studio co-ronarografico, in modo da ottenere un’esattadefinizione della malattia aterosclerotica a li-vello del distretto carotideo.Le indicazioni all’intervento di bypass aorto-coronarico venivano poste in presenza di unao più delle seguenti condizioni: angina insta-bile; malattia trivasale; malattia del tronco co-mune. Le indicazioni all’intervento di endoar-terectomia carotidea, invece, erano le seguen-ti: stenosi dell’arteria carotide interna superio-re al 70%; stenosi superiore al 50% con arteriacarotide interna controlaterale chiusa, in assen-za o presenza di sintomi neurologici; lesioneulcerata sintomatica a livello dell’arteria caro-tide interna, indipendentemente dal grado distenosi (Tabella 2).Tutti i pazienti sono stati sottoposti alla pro-cedura combinata con la stessa tecnica. Attra-verso un’incisione anteriore al muscolo ster-nocleidomastoideo venivano esposte ed isola-te le arterie carotidi comune, interna ed ester-na. Successivamente veniva effettuata la ster-notomia mediana. L’eparinizzazione sistemi-ca veniva garantita con la somministrazionedi 300 UI/kg di eparina e successivi boli di 5000UI venivano somministrati allo scopo di man-tenere costantemente l’ACT al di sopra delvalore di 480 secondi. Dopo la somministra-zione dell’eparina venivano attuate le cannu-

Numero di pazienti Percentuale

Età (anni): 69.3±6.7Età >65 anni 52 71.2Sesso maschile 61 83.5Pregresso infarto del miocardio 47 64.3Angina instabile 49 67.1Frazione di eiezione <30% 21 28.7Stenosi carotidea sintomatica 37 50.2Attacco ischemico transitorio (TIA) 26 35.6Ictus 9 12.3Ipertensione 58 79.4Diabete mellito tipo 2 36 49.3Ipercolesterolemia 43 58.9

Tabella 1. Caratteristiche demografiche e cliniche preoperatorie dei 73 pazienti.

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Endoarterectomia carotidea e rivascolarizzazione miocardica effettuate durante lo stesso intervento

lazioni dell’atrio destro per la linea venosa edell’aorta ascendente per la linea arteriosa, inmodo da dare inizio alla circolazione extracor-porea. Questa veniva indotta lentamente conuna pressione arteriosa sistemica media mag-giore di 70 mmHg e con una leggera ipotermiacon temperatura rettale di 31-33 OC. A questopunto veniva effettuata durante il tempo dibypass cardiopolmonare per prima l’endoar-terectomia carotidea con l’utilizzo di un patchdi allargamento in vena safena autologa o dimateriale protesico, allo scopo di ridurre il gra-do di restenosi postintervento. Dopo l’endo-arterectomia carotidea si procedeva all’inter-vento di bypass aortocoronarico, che venivaeseguito anch’esso con tecnica standard; tuttele anastomosi, prossimali e distali, venivanorealizzate previo clampaggio aortico e solodopo aver somministrato una soluzione ante-rograda fredda cardioplegica per la protezionedel miocardio.Dopo 4.5±2.1 anni di follow-up (range com-preso tra 1.7 e 9.4) i dati dei pazienti venivanoottenuti mediante visite personali o questio-nari telefonici. La sopravvivenza dei pazientiè stata determinata con l’analisi attuariale di

Kaplan-Meier e le morti ospedaliere sono stateincluse nelle curve di sopravvivenza. Inoltre,le differenze tra i due gruppi rispetto ai datiperioperatori e ai dati tardivi sono state valu-tate con il test di Student. Una p uguale o mi-nore di 0.05 è stata considerata statisticamentesignificativa. I calcoli sono stati realizzati gra-zie all’utilizzo del programma STATISTICA5.0 STAT SOFT. Inc. USA.

Risultati

Il bypass cardiopolmonare e il clampaggio aor-tico duravano in media, rispettivamente,107.0±26.4 minuti (range compreso tra 69 e127 minuti) e 58.3±12.1 minuti (range com-preso tra 37 e 78 minuti). Il numero medio digrafts per paziente era compreso tra 1 e 4 (me-dia 2.6±0.7).Tre pazienti (4.1%) decedevano nell’immedia-to periodo postoperatorio, di cui 1 a causa diuna polmonite 12 giorni dopo l’intervento, 1a causa di una sindrome da bassa gittata e 1 acausa di un infarto acuto nel miocardio. Cin-que pazienti (6.8%) mostravano complicanzeneurologiche temporanee con risveglio ritar-

Endoarterectomia carotidea Rivascolarizzazione miocardica

Stenosi carotide interna >70 % Angina instabile

Stenosi carotide interna >50% con Malattia trivasalecontrolaterale chiusa (indipendentemente dai sintomi)

Lesione ulcerata sintomatica dell’arteria carotide Malattia del tronco comuneinterna (indipendentemente dal grado di stenosi)

Tabella 2. Indicazioni all’intervento di endoarterectomia e/o di rivascolarizzazione miocardica.

Numero di pazienti Percentuale

Mortalità ospedaliera 3 4.1

Complicanze neurologiche temporanee nell’immediato periodo postoperatorio 5 6.8Ictus postoperatorio 1 1.3

Infarto del miocardio perioperatorio 1 1.3Sindrome da bassa gittata postprocedurale 4 5.5

Tempo di degenza in Unità di Terapia Intensiva (UTI) (giorni) 2.1±0.9Tempo di degenza ospedaliera (giorni) 8.1±2.1

Complicanze neurologiche nel follow-up 6 8.6Complicanze cardiache nel follow-up 8 11.4

Tabella 3. Risultati.

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dato e/o agitazione e delirio causati da edemacerebrale, che necessitava di un prolungamen-to del tempo di supporto ventilatorio mecca-nico, che in ogni caso permetteva la completarisoluzione della sintomatologia. Un paziente(1.3%) subiva un accidente cerebrovascolarecon deficit neurologici tardivi permanenti.In nessun caso si rendeva necessaria la riaper-tura per sanguinamento. Il tempo di degenzain Unità di Terapia Intensiva (UTI) e quello didegenza ospedaliera totale erano, rispettiva-mente, di 2.1±0.9 e 8.1±2.1 giorni; questi tem-pi erano paragonabili a quelli necessari per ipazienti sottoposti al solo intervento di riva-scolarizzazione miocardica. I risultati sono rias-sunti nella Tabella 3.Per quanto riguarda il follow-up, durato inmedia 4.5±2.1 anni (range compreso tra 1.7 e9.4), 9 pazienti decedevano: 5 pazienti (7.2%)a causa di eventi cardiaci, 2 (2.8%) per causecerebrovascolari e 2 (2.8%) a causa di proble-mi né cardiaci né neurologici. La sopravviven-za attuariale (Figura 1) era del 92.9±3.1%,dell’83.8±5.1% e del 73.3±7.2%, rispettiva-mente, a 3, 5 e 7 anni di distanza dall’interven-to. Inoltre, durante il follow-up 6 pazienti su-bivano un accidente cerebrovascolare e 8 pa-zienti mostravano problemi di natura cardia-ca.

Discussione

Nel passato, l’intervento combinato di endo-arterectomia carotidea e rivascolarizzazionemiocardica era giustificato a causa dell’alta fre-

quenza di infarto del miocardio durante chi-rurgia carotidea e dell’alta incidenza di com-plicanze neurologiche durante chirurgia coro-narica, quando queste due procedure veniva-no realizzate in momenti diversi. Il tasso diinfarto del miocardio perioperatorio duranteendoarterectomia carotidea in pazienti concoronaropatia sintomatica è compreso tra il 6e 7%1,7, un dato sensibilmente elevato se con-frontato con il tasso di infarto perioperatorionei pazienti operati di endoarterectomia caro-tidea con coronaropatia asintomatica (0.8-1%)2,8. Il rischio di complicanze neurologichein pazienti sottoposti a bypass aortocoronari-co si attesta tra il 3 e il 7%, dato influenzato dauna bassa pressione di perfusione cerebrale, daun prolungato tempo di bypass cardiopolmo-nare, dall’incidenza della sindrome da bassagittata postoperatoria e dall’età del paziente4,5.Il rischio di eventi neurologici in pazienti dietà inferiore ai 65 anni senza lesioni carotideescende a valori compresi tra lo 0.9 e l’1.8%,mentre l’incidenza di stroke in pazienti di etàsuperiore ai 75 anni è di circa il 9%, dimostran-do ciò che l’incidenza di stroke è legata sensi-bilmente all’età del paziente9. La presenza diuna severa stenosi non trattata dell’arteria ca-rotide interna aumenta il rischio di stroke avalori di 7.4-20%, con un elevato tasso di mor-talità e un sensibile aumento dei tempi di de-genza ospedaliera3.Non esiste allo stato attuale una strategia uni-versalmente riconosciuta per il trattamentocombinato di queste patologie. I pazienti pos-sono essere trattati con una procedura chirur-

Figura 1. Curva di sopravvivenza attuariale secondo il metodo di Kaplan-Meier. E’ considerata anche lamortalità ospedaliera.

100

90

80

70

60

50

40

30

20

10

00 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Anni dopo l’intervento

Sopra

vviv

enza

att

uar

iale

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Endoarterectomia carotidea e rivascolarizzazione miocardica effettuate durante lo stesso intervento

gica in due tempi, effettuando l’endoarterecto-mia carotidea prima o dopo l’esecuzione delbypass aortocoronarico oppure, in alternati-va, le due procedure possono essere effettuatedurante lo stesso intervento, con o senza l’au-silio della circolazione extracorporea. Hines etal.10 hanno dimostrato che l’esecuzione diun’endoarterectomia carotidea profilattica,prima o dopo l’intervento di rivascolarizzazio-ne miocardica, in pazienti con stenosi caroti-dea asintomatica maggiore dell’80% riduce si-gnificativamente l’incidenza di eventi neuro-logici sia temporanei che permanenti.Negli ultimi anni si è andato sempre più affer-mando l’intervento ibrido: lo stenting caroti-deo può associarsi all’intervento chirurgico dirivascolarizzazione miocardica e, analogamen-te, l’angioplastica coronarica percutanea coneventuale apposizione di stent si associa fre-quentemente all’intervento di endoarterecto-mia carotidea.Nella nostra esperienza abbiamo consideratouna serie omogenea di pazienti che si sono sot-toposti a procedura combinata fino al 2002, inmodo da effettuare un follow-up a lungo ter-mine. La nostra strategia chirurgica non è sta-ta influenzata dalla crescente esperienza inter-nazionale riguardo alla chirurgia coronaricaoff-pump; noi abbiamo considerato la mode-rata ipotermia durante il bypass cardiopolmo-nare come un importante fattore di protezio-ne cerebrale, visto che in questo modo si pre-servano i meccanismi autoregolatori cerebro-vascolari.La pressione sanguigna e il flusso della mac-china cuore-polmone non influenzano il flus-so cerebrale, poiché il cervello mantiene la ca-pacità di autoregolare la perfusione cerebraledurante il bypass cardiopolmonare; i limiti disicurezza per mantenere l’autoregolazione alivello cerebrale sono: una moderata ipotermia(30 OC), una pressione arteriosa media supe-riore a 70 mmHg, un flusso di pompa maggio-re di 1.6 l/min/mq e un’età inferiore ai 65 anni.La pressione di perfusione cerebrale varia alvariare del flusso di pompa e del fabbisognometabolico cerebrale; quest’ultimo è influen-zato fortemente dalla temperatura sanguigna11.Quindi, i fattori più importanti che influenza-no il flusso cerebrale durante il bypass cardio-polmonare sono: temperatura sanguigna; pro-fondità dell’anestesia; consumo cerebrale diossigeno; equilibrio acido-base; pressione arte-riosa di anidride carbonica (PaCO2). L’ipercap-

nia aumenta la perfusione cerebrale in quantoprovoca vasodilatazione, viceversa l’ipocapniadetermina una diminuzione del flusso cerebralecon aumento delle resistenze vascolari a livel-lo del sistema nervoso centrale.Power e colleghi12 hanno trovato una leggeracorrelazione tra il grado di stenosi carotidea el’emodinamica intracerebrale, illustrandol’estrema importanza dell’autoregolazione perla circolazione cerebrale. Le cause potenzialidi complicanze neurologiche perioperatorie inpazienti sottoposti ad intervento in elezionedi rivascolarizzazione miocardica, oltre allamalattia aterosclerotica del distretto caroti-deo13, sono: embolia gassosa; embolizzazionedi frustoli o trombi dalla sede di cannulazioneaortica; dissecazione aortica; sindrome da bas-sa gittata. Numerosi autori14 hanno dimostra-to una diminuzione dell’incidenza di acciden-ti cerebrovascolari maggiori nei pazienti sot-toposti a chirurgia coronarica off-pump.La tecnica chirurgica che abbiamo adottatooffre parecchi vantaggi; uno di questi è la mo-derata ipotermia che riduce il consumo cere-brale di ossigeno (il cervello richiede menoossigeno e così esso è meglio protetto control’ischemia che si determina dopo il clampag-gio aortico per la circolazione extracorporea).In più, una moderata ipotermia, se associataad un flusso pulsatile con normale pressionearteriosa media, permette una perfusione ce-rebrale efficiente controllata da meccanismiautoregolatori del sistema vascolare cerebrale.Abbiamo scelto di non considerare l’ipotermiaprofonda a causa della possibilità che essa pos-sa determinare ischemia cerebrale in alcune re-gioni con circolo scarso nel territorio di irro-razione della carotide stenotica. Altri impor-tanti vantaggi sono rappresentati dall’epariniz-zazione sistemica, che previene gli episoditromboembolici come possibili complicanzedell’endoarterectomia carotidea, e l’emodilui-zione preoperatoria normovolemica, che pre-viene l’acidosi metabolica, la vasocostrizionee la cianosi.Altri Autori1,5,15-18 hanno dimostrato che l’ope-razione combinata può raggiungere risultatieccellenti in termini di morbidità e mortalitàin pazienti asintomatici con stenosi carotideasuperiore al 70%; l’esperienza clinica indica cheuna stenosi carotidea asintomatica superioreal 70% è associata con un tasso di stroke entro5 anni che varia dal 20 al 30%19.I nostri dati relativi alla morbidità e alla mor-

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talità sia nell’immediato periodo postoperato-rio che nel follow-up a lungo termine con laprocedura combinata associata a prolungatotempo di bypass cardiopolmonare sono para-gonabili con quelli presentati in altri studi (Ta-bella 4).

Conclusioni

La procedura combinata di endoarterectomiacarotidea e rivascolarizzazione miocardica ef-fettuate durante lo stesso intervento in circo-

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Autore Anno Numero di pazienti Mortalità ospedaliera

Numero Percentuale

Jahangiri M et al.15 1997 64 0 0Trachiotis GD et al.16 1997 77 2 2.6

Takach TJ et al.17 1997 106 4 3.8Minami K et al.5 1999 340 9 2.6

Khaitan L et al.18 2000 121 7 5.8Zacharias A et al.1 2002 189 5 2.6

Tabella 4. Review dei risultati di altri Autori dopo intervento combinato di endoarterectomia carotidea erivascolarizzazione miocardica.

lazione extracorporea può essere consideratauna tecnica efficace e sicura, che riceve van-taggi anche: 1) dalla moderata ipotermia conflusso pulsatile con normale pressione arterio-sa media che preserva i meccanismi autorego-latori cerebrovascolari; 2) dall’eparinizzazionesistemica; 3) dall’emodiluizione normovolemi-ca preoperatoria. Inoltre, questo tipo di pro-cedura permette una riduzione del tempo didegenza ospedaliera totale, se confrontato conla somma dei tempi necessari per eseguire se-paratamente i due interventi.

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TiM

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