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1 LE FORME FARMACEUTICHE LIQUIDE E SEMISOLIDE Le soluzioni – definizione ed elementi essenziali Per soluzione in senso lato si intende una dispersione molecolare e/o ionica di due o più sostanze che sia omogenea in ogni suo punto. Ciò è possibile con molecole o ioni di dimensioni inferiori a 1 x 10 -6 mm. Quando i componenti sono due (soluto e solvente), in base al loro stato fisico, sono possibili i seguenti tipi di soluzione: soluto solvente gas gas liquido gas solido gas gas liquido liquido liquido solido liquido gas solido liquido solido solido solido Gli eccipienti nella solubilizzazione La solubilità di elettroliti deboli e di molecole apolari, di regola poco solubili in acqua, può essere aumentata dall’aggiunta di un solvente miscibile con l’acqua e nel quale i predetti composti siano solubili. Per ragioni di tossicità i cosolventi, praticamente utilizzati a questo scopo, sono pochi: etanolo, glicerolo, glicole propilenico, sorbitolo. Tali sostanze, quando presenti, sono da considerare a tutti gli effetti degli eccipienti. Mediante l’uso di tensioattivi è possibile solubilizzare sostanze praticamente insolubili in acqua o dotate di bassa solubilità. E’ così possibile realizzare soluzioni “micellari” nelle quali la singola molecola di soluto viene incorporata nella “micella” che è un aggregato colloidale nel quale la singola molecola è “protetta” da un film di tensioattivo che si dispone con la parte lipofila verso l’interno e quella idrofila verso il solvente acquoso. Quando invece si tratta di solubilizzare un composto polare, cioè affine all’acqua ma in concentrazione superiore alla propria solubilità, le molecole del soluto si dispongono alla superficie delle micelle. In buona sostanza, mediante

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LE FORME FARMACEUTICHE LIQUIDE E SEMISOLIDE Le soluzioni – definizione ed elementi essenziali

Per soluzione in senso lato si intende una dispersione molecolare e/o ionica di due o più sostanze che sia omogenea in ogni suo punto. Ciò è possibile con molecole o ioni di dimensioni inferiori a 1 x 10-6 mm. Quando i componenti sono due (soluto e solvente), in base al loro stato fisico, sono possibili i seguenti tipi di soluzione: soluto solvente gas gas liquido gas solido gas gas liquido liquido liquido solido liquido gas solido liquido solido solido solido Gli eccipienti nella solubilizzazione

La solubilità di elettroliti deboli e di molecole apolari, di regola poco solubili in acqua, può essere aumentata dall’aggiunta di un solvente miscibile con l’acqua e nel quale i predetti composti siano solubili. Per ragioni di tossicità i cosolventi, praticamente utilizzati a questo scopo, sono pochi: etanolo, glicerolo, glicole propilenico, sorbitolo. Tali sostanze, quando presenti, sono da considerare a tutti gli effetti degli eccipienti.

Mediante l’uso di tensioattivi è possibile solubilizzare sostanze praticamente insolubili in acqua o dotate di bassa solubilità. E’ così possibile realizzare soluzioni “micellari” nelle quali la singola molecola di soluto viene incorporata nella “micella” che è un aggregato colloidale nel quale la singola molecola è “protetta” da un film di tensioattivo che si dispone con la parte lipofila verso l’interno e quella idrofila verso il solvente acquoso. Quando invece si tratta di solubilizzare un composto polare, cioè affine all’acqua ma in concentrazione superiore alla propria solubilità, le molecole del soluto si dispongono alla superficie delle micelle. In buona sostanza, mediante

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l’uso di tensioattivi è possibile ottenere in soluzione, ovviamente “micellare”, anche sostanze apolari e, quindi, insolubili in acqua.

Questo fenomeno, la solubilizzazione mediante tensioattivi appunto, avviene quando la concentrazione del tensioattivo supera, nell’acqua, una determinata concentrazione chiamata “concentrazione micellare critica: CMC”. I tensioattivi con proprietà solubilizzanti sono del tipo idrofilo, cioè con un HLB (Hydrophile-Lipophile Balance) avente valore, nella scala da 0 a 20, non inferiore a 15.0. I tensioattivi sono infatti classificati nella scala di Griffin in relazione alla loro capacità di favorire la formazione di emulsioni di tipo acqua/olio se hanno HLB compreso tra 0 e 10 e di tipo olio/acqua con HLB compreso tra 10 e 20. Ovviamente la formazione delle emulsioni non comporta una solubilizzazione ma solamente la stabilizzazione dei sistemi acqua/olio o olio/acqua nei quali la fase dispersa è, rispettivamente, l’olio o l’acqua. Degli emulsionanti si parlerà più avanti ma, fin da ora sia chiaro, che si tratta sempre di eccipienti, ora per la solubilizzazione e poi per l’emulsionamento. Esempi di solubilizzanti sono il gliceril (20) OE monolaurato, il sorbitan (20) OE monolaurato, dove 20 è il numero di moli di ossido di etilene, e il poliossietilen sorbitan mono- palmitato o laurato (Tween). Le sospensioni

Le sospensioni, come le emulsioni, appartengono alla categorie dei sistemi dispersi nei quali, rispettivamente, la fase dispersa è un solido e un liquido.

Soffermandoci qui sulle sospensioni, va detto che quando il farmaco non è solubile, o la sua presenza sotto forma di soluzione non è consigliabile per ragioni di stabilità, si ricorre, volendo una formulazione liquida, alla dispersione in un veicolo (quindi in un eccipiente) composto da numerose sostanze, aventi ognuna un preciso ruolo. Quando il mezzo sospendente è acquoso (ed è il caso più frequente), la polvere costituente la fase dispersa deve essere mantenuta in sospensione, rallentando perciò il più possibile la velocità di sedimentazione, mediante dei cosiddetti “mezzi sospendenti” che agiscono aumentando la viscosità del mezzo acquoso. Il rallentamento della sedimentazione, peraltro inevitabile, non è però sufficiente ad ottenere una sospensione stabile o, per semplice agitazione, facilmente ridispersibile. La lenta sedimentazione provocata dall’aumento della viscosità del liquido sospendente può, al contrario, favorire la formazione di un sedimento compatto e non più ridispersibile per agitazione, detto cake. E’ pertanto preferibile una sedimentazione, apparentemente rapida, nella quale il sedimento, molto voluminoso, si ridistribuisce omogeneamente nel liquido per semplice agitazione. E’ questo il caso

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delle sospensioni “flocculate” mentre quelle che determinano la formazione del cake sono dette “deflocculate”.

Una sospensione orale, per citare il caso più frequente di formulazione nei medicinali di origine industriale, presenta quindi una serie di eccipienti che potremmo così elencare:

- fase disperdente: generalmente acqua;

agenti viscosizzanti: colloidi idrofili quali derivati della cellulosa (alcuni usati anche nella filmatura delle compresse o nella granulazione come aggreganti;

- dolcificante: zuccheri quali saccarosio o glucosio oppure sorbitolo; - aromatizzanti; - flocculanti: prevalentemente elettroliti e/o tensioattivi; - bagnanti: sostanze, perloppiù tensioattivi, in grado di favorire il contatto del solido

con il liquido acquoso; - conservanti: derivati dell’acido paraidrossibenzoico (di metile: nipagina o di

propile: nipasolo), acido benzoico. Le emulsioni

Come le sospensioni, le emulsioni sono sistemi termodinamicamente instabili formati da due fasi, entrambe liquide, immiscibili tra loro. La fase “dispersa”, detta anche “interna” o “discontinua” può essere di natura lipofila, e allora si parla di emulsioni olio in acqua (O/A) ovvero idrofila ed in questo casi l’emulsione sarà acqua in olio (A/O). La fase dispersa si presenta sotto forma di globuli sferici del diametro da 0,5 a 100 µm. L’instabilità dell’emulsione è rappresentata dalla tendenza dei globuli a riunirsi in globuli più grandi fino alla separazione delle fasi, quando tutti i globuli si sono fusi. A questo punto l’emulsione sarà totalmente separata e le due fasi si disporranno una sopra all’altra (olio sopra, acqua sotto) separate dall’interfaccia tra le due.

Per stabilizzare un’emulsione si ricorre ad un terzo componente (non è immaginabile un’emulsione formata dalle sole due fasi) che, come eccipiente, interviene abbassando la tensione superficiale all’interfaccia tra le fasi (tensione interfacciale). L’interfaccia, della quale qui si parla, è quella tra la superficie esterna dei singoli globuli e la fase continua. L’emulsionante, che è un tensioattivo, si interpone, sotto forma di film monomolecolare, tra l’acqua e l’olio impedendo la fusione dei globuli tra loro.

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La preparazione di un’emulsione prevede quindi l’applicazione di energia meccanica che può essere fornita per semplice agitazione manuale in bottiglia o nel mortaio con il pestello nelle preparazioni estemporanee, mentre la preparazione industriale, ma anche quella galenica in farmacie attrezzate, avviene utilizzando apparecchiature da laboratorio, tra le quali le più efficaci sono dette turboemulsori.

Anche la viscosità delle fasi è importante ai fini della stabilità. La viscosità della fase disperdente, oltre un certo valore, è il grado di evitare, o almeno rallentare, l’affioramento della fase lipofila, nelle emulsioni O/A o la sedimentazione di quella acquosa nelle emulsioni A/O. Contribuisce inoltre alla stabilità, evitando sempre la coalescenza dei globuli, una più elevata viscosità della fase dispersa in quanto i globuli più viscosi, meno facilmente si riuniscono in unità di maggiori dimensioni.

Emulsionanti e viscosizzanti, oltre a conservanti (vanno bene quelli usati nelle sospensioni orali), eventuali edulcoranti in caso di somministrazione orale, aromatizzanti o profumi costituiscono i principali eccipienti delle emulsioni.

Gli emulsionanti, come si è detto, sono dei tensioattivi con HLB da 10 a 15 per le emulsioni O/A e compreso tra 3 e 9 per quelle A/O. Si tratta di valori indicativi perché ogni sistema richiede uno studio di stabilità accurato ed in grado di scegliere il tensioattivo più adatto o, spesso, una miscela di tensioattivi il cui HLB è la risultante delle caratteristiche dei singoli componenti in funzione della percentuale presente.

Dato l’elevato numero dei tensioattivi, con proprietà emulsionanti, presenti sul mercato è impossibile darne un elenco completo. Ci si limita quindi alla loro classificazione dal punto di vista chimico con qualche esempio: - Tensioattivi anionici: saponi, esteri solforici, solfonati; - Tensioattivi cationici: benzalconio cloruro, cetrimide bromuro (usati anche come

conservanti antimicrobici); - Tensioattivi non ionici: lipofili (monostearato di glicerile; monostearato del

glicole etilenico) o idrofili (esteri del polietilenglicole PEG), polisorbati (Tween); - Tensioattivi anfionici: lecitina, caseina.

Gli altri componenti citati (viscosizzanti, conservanti, aromatizzanti ecc.) appartengono alle classi di composti già descritti per altre forme farmaceutiche e vengono scelti in relazione alle loro proprietà e compatibilità con la forma farmaceutica da allestire.

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Le forme farmaceutiche iniettabili

Le preparazioni iniettabili sono dette anche “parenterali” in quanto vengono somministrate escludendo la più tradizionale via di somministrazione, che è quella orale. Sebbene tutte le forme non orali sarebbero parenterali, la comune accezione di preparati parenterali è diventata sinonimo di iniettabile. I preparati iniettabili sono presenti sotto varie forme:

- Le soluzioni pronte per l’uso (di piccolo volume e di grande volume,

rispettivamente inferiori o superiori a 50 ml); - polveri per preparazioni iniettabili (ottenute per liofilizzazione) da solubilizzare

immediatamente prima della somministrazione; - sospensioni pronte all’uso; - soluzioni concentrate da diluire al momento della somministrazione.

Alle più comuni vie di somministrazione: quella intramuscolare, la endovenosa e la sottocutanea, si aggiungono quelle più particolari quali l’intradermica, l’intraarticolare, l’intratecale, l’intraoculare e l’intraspinale, mentre altre sono senz’altro presenti nella casistica clinica.

Le caratteristiche principali di tutte le forme iniettabili sono la sterilità, l’isotonia e l’isoidria. Senza dilungarci sugli aspetti legati alla sterilità che comprende anche l’apirogenicità (assenza di pirogeni quali sostanze del metabolismo batterico in grado di provocare l’innalzamento della temperatura corporea), va detto che gli altri parametri citati sono, entro certi limiti, derogabili in relazione a precise esigenze tecnologiche e di stabilità.

Gli eccipienti presenti nei preparati parenterali comprendono principalmente i solventi: acqua, oli vegetali, ma anche PEG (a basso peso molecolare: 400-600 in miscela con acqua), glicerolo, alcol etilico, propilenglicole e tensioattivi con funzioni solubilizzanti (derivati del poliossimetilene).

Tra gli eccipienti non possono essere trascurate le sostanze ausiliarie che contribuiscono sia alla preparazione che ad una migliore somministrazione. Si ricordano quindi i solubilizzanti, già citati, come vari tipi di tensioattivi ed i polimeri sintetici come il polivinilpirrolidone (PVP), gli anestetici locali adatti alle formulazioni ipertoniche o acide allo scopo di ridurre le sensazioni dolorose (lidocaina), gli stabilizzanti chimici (antiossidanti, tamponi ed agenti chelanti) e quelli microbiologici, nelle preparazioni multi dose (cloruro di benzetonio, cloruro di benzalconio in concentrazione al 0,01%, fenolo e clorobutanolo al 0,5%, alcol benzilico allo 0,2%, parabeni).

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Per quanto riguarda l’isotonia, se la soluzione di principio attivo è ipotonica, si aggiungono elettroliti quali il sodio cloruro o sostanze zuccherine come il glucosio. Le forme farmaceutiche semisolide per applicazione cutanea

Questa terminologia, derivata dalla Farmacopea Ufficiale e dalla Farmacopea Europea è comunque riconducibile, sostanzialmente, al vecchio temine di “pomate” comprendente gli unguenti, le creme, i geli e le paste. A tali preparazioni si aggiungono i cataplasmi, gli impiastri medicati, e le schiume medicate.

Gli unguenti sono preparazioni semisolide monofasiche. Col termine monofasiche si vuole differenziarle dalle creme che, invece, sono bifasiche. L’eccipiente degli unguenti è pertanto omogeneo perché costituito da una sola sostanza o da una miscela di sostanze miscibili tra loro. La natura dell’eccipiente degli unguenti è principalmente lipofila ma si trovano unguenti idrofili costituiti da miscele, opportunamente dosate, di polietilenglicoli (PEG = macrogol) a vario peso molecolare per ottenere una massa semisolida di consistenza adeguata e, quindi, spalmabile. Gli unguenti possono anche essere suddivisi in:

- unguenti idrofobi; - unguenti idrofili; - unguenti in grado di incorporare acqua;

Gli eccipienti impiegati per la preparazione degli unguenti idrofobi sono i grassi

animali (usati in passato), le cere, gli oli vegetali, i siliconi, i gliceridi semisintetici, la paraffina solida, semisolida e liquida. A questi va aggiunta la vaselina che rimane l’eccipiente d’elezione soprattutto nelle preparazioni estemporanee.

Nella preparazione degli unguenti idrofili il PEG rimane pertanto il principale eccipiente mentre, in quelli idrofobi, quando sono presenti grassi facilmente ossidabili, si aggiungono eccipienti con azione antiossidante come gli esteri dell’acido ascorbico, i tocoferoli, il butilidrossianisolo ed il butilidrossitoluene.

Le creme sono invece delle emulsioni, prevalentemente O/A, nelle quali il

principio attivo è sciolto massimamente nella fase nel quale è più solubile. Le creme A/O sono invece destinate a cedere il principio attivo sfruttando l’idratazione della pelle favorita dal potere idratante della fase lipofila che rallenta la perspiratio insensibilis e, quindi, provoca accumulo di acqua nello strato corneo.

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Gli eccipienti impiegati sono rappresentati principalmente dall’emulsionante che, talvolta, si forma per reazione tra una sostanza presente nella fase idrofila ed una presente in quella lipofila. E’ il caso dello stearato di trietanolammina che si forma per reazione tra la trietanolammina, presente nella fase acquosa, e l’acido stearico presente in quella oleosa. Per gli altri aspetti riguardanti le creme si rimanda alla trattazione delle emulsioni in quanto appartenenti a tale categoria. La preparazione delle creme avviene per incorporazione a caldo (circa 70°C) della fase idrofila in quella lipofila mantenendo in agitazione fino a gelificazione. La realizzazione di una crema comporta la scelta di una serie di eccipienti, idrofili e lipofili, comuni ad altre forme farmaceutiche semisolide.

In generale la scelta degli eccipienti, non solo per le creme, dipende dalla natura del principio attivo e del suo coefficiente di ripartizione in quanto deve essere evitato il rischio di competizione tra eccipiente e strato corneo quando dovesse prevalere l’affinità per il primo. In sostanza l’affinità del principio attivo per l’eccipiente deve essere sufficiente ad ottenere una buona forma farmaceutica ma non deve essere eccessiva, a pena di inefficacia della preparazione.

I geli sono preparati semisolidi costituiti da due fasi: una liquida ed una solida.

La solida (dispersa) si organizza in un reticolo tridimensionale nelle cui celle è trattenuta la fase liquida (disperdente). In base alla natura della fase disperdente, i geli sono classificati in geli idrofobi e geli idrofili. Tra i geli idrofobi sono da ricordare quelli che hanno come fase liquida l’olio minerale (paraffina liquida) gelificato con polimeri plastici, tipo il polietilene a basso peso molecolare.

Tra i geli idrofili, il più noto è l’amido glicerolato dove la fase solida (amido) è dispersa nella fase liquida (glicerolo e acqua). Il carbossipolimetilene (Carbopol) rappresenta poi un comunissimo agente gelificante idrofilo.

I geli, così come descritti, non possiedono un’azione farmacologica ma costituiscono, loro stessi, ottimi eccipienti per preparazioni nelle quali il farmaco è incorporato in base all’affinità per la fase disperdente liquida.

Infine le paste sono costituite da una sospensione di una o più polveri in un

eccipiente, liquido o semisolido, che può essere idrofilo come lipofilo. Nella fase liquida o semisolida può essere incorporato uno o più principi attivi sia in sospensione che in soluzione. L’elevata consistenza delle paste è attribuibile alla percentuale di polveri (anche oltre il 50% in peso) rispetto al totale. La loro azione topica è particolarmente indicata nelle patologie cutanee caratterizzate da secrezioni sierose che possono macerare lo strato corneo determinando l’apertura di ulteriori e più vaste lesioni cutanee. Gli eccipienti più impiegati, per questo tipo di paste, sono

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la vaselina bianca, la lanolina e qualunque altro eccipiente lipofilo. Le paste idrofile invece sono costituite da glicerolo, acqua, polietilenglicoli. Per entrambi i tipi di pasta la fase solida è costituita da amido e/o ossido di zinco.

Le forme farmaceutiche oftalmiche

Con questo termine si indicano preparazioni, confezionate in contenitori adatti alla somministrazione in modo tale da ridurre al minimo il rischio di contaminazione microbica. Sono rappresentate dalle seguenti categorie: colliri (soluzioni e sospensioni), preparati semisolidi (unguenti e geli idrofili), dispositivi solidi (inserti oftalmici). Oggi, per collirio, si intende quasi esclusivamente una preparazione liquida in cui il principio attivo è in soluzione acquosa. Le sospensioni sono raramente impiegate anche a causa del rischio di irritazione dovuto alla presenza di una fase solida che, comunque, non può contenere particelle di diametro superiore ai 50µm. Le pomate oftalmiche e le soluzioni e sospensioni oleose sono praticamente scomparse dall’uso clinico, mentre gli inserti oculari, per quanto in grado di garantire l’esattezza della dose di principio attivo somministrata effettivamente, stentano ad entrare nell’uso comune. La somministrazione di principi attivi, talvolta ad elevata attività, mediante colliri trova un limite nella ridotta capacità del sacco congiuntivale, cioè dello spazio tra la palpebra inferiore e la congiuntiva. L’instillazione di una o due gocce di soluzione in tale zona, comporta una perdita rilevante di preparazione

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dalla quale consegue l’impossibilità di determinare la quantità esattamente disponibile all’assorbimento. Le soluzioni acquose pertanto vengono addizionate di agenti viscosizzanti. Tali eccipienti, prevalentemente appartengono ai polimeri e, tra questi, si ricordano i derivati della cellulosa, l’alcol polivinilico, il PVP, l’acido ialuronico ed gli acidi poliacrilici. La loro funzione è prevalentemente quella di rallentare l’eliminazione del collirio nell’area prossima alla cornea, migliorando la biodisponibilità del principio attivo. Inoltre la leggera viscosità del preparato è meglio accettata dal paziente.

Nei colliri confezionati in dose unica non vengono aggiunti conservanti mentre, in quelli multidose (per quanto il volume è sempre ridotto e non supera i 5 ml) è necessaria la presenza di un antimicrobico. I più comuni eccipienti con funzione conservante sono quindi: il cloruro di benzalconio, il clorobutanolo, i parabeni, la clorexidina acetato e gluconato, mentre i derivati mercuriali, quali il fenilmercurio nitrato, sono oggi quasi totalmente abbandonati. Altri eccipienti sono costituiti da sostanze, quali il cloruro di sodio, introdotte nei colliri dotati di tonicità inferiore a quella di una soluzione di cloruro sodico allo 0,9% p/v. L’occhio sopporta comunque la somministrazione anche di soluzioni ipertoniche con esclusione dei bagni oculari (dove la quantità applicata è rilevante) e delle preparazioni per somministrazione intraoculare.

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I suppositori e gli ovuli La Farmacopea inserisce le supposte tra le “preparazioni rettali” che elenca

come: supposte; capsule rettali; soluzioni, emulsioni e sospensioni rettali; polveri e compresse per soluzioni e sospensioni rettali; preparazioni semisolide rettali; schiume rettali; tamponi rettali. La definizione che da la F.U. è la seguente: le supposte sono preparazioni solide a dose unica. La forma, il volume e la consistenza delle supposte sono adatti alla somministrazione rettale. Le supposte contengono uno o più principi attivi dispersi o disciolti in una adatta base che può essere solubile, dispersibile in acqua o che può fondere alla temperatura corporea. Eccipienti quali diluenti, adsorbenti, tensioattivi, lubrificanti, conservanti antimicrobici e coloranti, autorizzati dall’autorità competente, possono essere aggiunti se necessario.

Passando direttamente agli eccipienti impiegati nella preparazione di supposte ed ovuli, va detto che la Farmacopea ne cita alcuni. Per le supposte: grassi solidi, macrogol, burro di cacao e varie miscele a consistenza gelatinosa costituite, per esempio, da gelatina, acqua e glicerolo.

Gli ovuli sono invece annoverati tra le “preparazioni vaginali”, comprendenti: ovuli; compresse vaginali; capsule vaginali; soluzioni, emulsioni e sospensioni vaginali; preparazioni vaginali semisolide; schiume vaginali; tamponi vaginali medicati. Gli ovuli sono definiti dalla Farmacopea come preparazioni solide a dose unica. Hanno forme diverse, di solito ovoidale, con volume e consistenza idonei all’inserimento nella vagina. Contengono uno o più principi attivi dispersi o disciolti in una base adatta che può essere solubile o dispersibile in acqua o può fondere a temperatura corporea. Se necessario, possono essere addizionati eccipienti come diluenti, assorbenti, tensioattivi, lubrificanti, antimicrobici e coloranti autorizzati dall’autorità competente.

Come eccipienti per ovuli, la Farmacopea cita: grassi solidi, macrogol, burro di cacao e varie miscele gelatinose costituite, per esempio, di gelatina, acqua e glicerolo. Le forme farmaceutiche a rilascio modificato

Queste forme farmaceutiche si differenziano da quelle convenzionali per le modalità con le quali il principio attivo si libera dalla forma farmaceutica per rendersi disponibile all’assorbimento. Nelle forme convenzionali, infatti, il rilascio del principio attivo dipende essenzialmente dalle sue caratteristiche chimo-fisiche, mentre gli eccipienti svolgono solo un ruolo unicamente finalizzato alla realizzazione della forma farmaceutica.

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Le modifiche di rilascio possono riguardare: il luogo, cioè la zona corporea dove il farmaco si libera dalla forma farmaceutica per iniziare il processo di assorbimento. Ad esempio può essere citato il caso di forma solida orale che rilascia il principio attivo solo quando raggiunge il colon. Il fenomeno è definito anche targeting da target=bersaglio.

Altre modifiche delle modalità di rilascio riguardano il tempo. Si possono avere forme farmaceutiche mediante le quali la velocità di rilascio – si badi bene che per rilascio si intende la dissoluzione del principio attivo – può essere accelerata, per avere un’azione farmacologica, dopo l’assorbimento, particolarmente rapida, oppure rallentata, per ottenere dei livelli ematici di farmaco, all’interno dell’intervallo terapeutico, per un tempo relativamente lungo.

Sembra utile, a questo punto, ricordare che un farmaco, per dare la risposta farmacologica desiderata, deve raggiungere nel sangue una concentrazione definita minima efficace al di sotto della quale non si riscontra l’effetto atteso mentre gli eventuali effetti collaterali possono presentarsi ugualmente. La concentrazione minima tossica invece è quella concentrazione ematica oltre la quale il farmaco provoca le prime manifestazioni tossiche. E’ chiamato intervallo terapeutico l’intervallo di concentrazione plasmatica compreso tra il livello minimo efficace e quello minimo tossico. Viene definito indice terapeutico il rapporto tra concentrazione minima tossica e concentrazione minima efficace. E’ pertanto facilmente comprensibile che un farmaco ad alto indice terapeutico, è attivo a bassa concentrazione mentre, perché si manifestino i primi effetti tossici, occorre raggiungere concentrazioni molto elevate. Un farmaco ad alto indice terapeutico è pertanto molto più sicuro di uno a basso indice terapeutico. La figura sotto riportata mostra un diagramma dove sono riportati gli andamenti della concentrazione plasmatica di due formulazioni convenzionali. La curva più scura, invece, mostra l’andamento del livello ematico di un principio attivo ceduto da una formulazione non convenzionale ad azione prolungata.

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Una terza ipotesi è quella del tempo a cui, dal momento della somministrazione , il principio attivo viene rilasciato. In alcuni casi, il rilascio può essere ritardato oppure può essere pulsante, cioè rilasciato a intervalli predeterminati. Le tecniche di realizzazione sono molteplici ma tra queste vanno ricordati i sistemi che sfruttano una membrana polimerica che controlla il rilascio da un “serbatoio” di farmaco o quelli che sfruttano la miscelazione intima del farmaco con il polimero in polvere, dove la miscela, dopo compressione, costituisce una matrice monolitica dalla quale il farmaco viene ceduto. Con quest’ultimo sistema si possono realizzare forme orali (matrici insolubili) ma anche la parte principale di un sistema transdermico, cosiddetto “a matrice”, per distinguerlo da quello a serbatoio dove è la membrana polimerica a controllare la velocità di rilascio.

Senza entrare qui nella molto complessa teoria della cessione modificata tramite i materiali, prevalentemente polimerici, utilizzati, si ritiene utile elencare, con qualche esempio pratico, le categorie di sostanze destinate alla realizzazione di forme a rilascio modificato.

I siliconi costituiscono una classe di polimeri molto vasta e varia per struttura e composizione. Possono essere lineari o reticolati. Tra i più comuni si ricordano i polisilossani dove gli atomi di silicio, legati a gruppi organici, sono alternati ad atomi di ossigeno.

Il PVP o polivinilpirrolidone, già citato in precedenza, è largamente impiegato sia per realizzare pellicole di rivestimento che sistemi a matrice per la cessione lenta di sostanze, anche in campi industriali molto diversi da quello farmaceutico.

Il polietilene vinil acetato è anch’esso utilizzato in maniera diffusa nelle forme a rilascio controllato, sia per la realizzzione di membrane che di sistemini matriciali.

I poliesteri, servono per preparati solidi a rilascio prolungato o per la realizzazione di microparticelle e microsfere. Quelli a più alto peso molecolare prevedono la polimerizzazione di derivati dell’acido lattico e dell’acido glicolico.

Le poliammidi spaziano dalle proteine ai materiali plastici idrofobi come il nylon. Si va quindi da forme farmaceutiche dove le proteine svolgono un ruolo di eccipiente fino a materiali plastici quali il nylon 6.6.

Tra le sostanze naturali ricordiamo le cellulose delle quali si utilizzano prevalentemente i derivati eterei ed esterei e dei quali si è già parlato.

Infine i poliureatani ed poliacrilati. I primi utilizzati anche i campi vicini al settore farmaceutico come quello dei dispositivi medici ma anche per la realizzazione di microsfere contenenti principi attivi. Alcuni poliacrilati sono usati come carrier di farmaci ad essi legati, in varie forme farmaceutiche. Il loro impiego è noto poi per la realizzazione di compresse in sistemi matriciali o per la filmatura di compresse.

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Per concludere sembra indispensabile citare le ciclodestrine che sono degli oligosaccaridi ciclici in grado di includere le molecole attive (si parla infatti di complessi di inclusione) all’interno della ciclodestrina che ha forma, generalmente, troncoconica. La più nota è la β-ciclodestrina che viene usata sia per migliorare la stabilità di alcune molecole e mascherando i gusti sgradevoli, che per modificare la cinetica di dissoluzione. Le forme farmaceutiche innovative

In vari capitoli di questo corso si è già detto della tecnica della bioadesione o muco adesione per protrarre l’assorbimento di un farmaco in una determinata area corporea. Questa tecnica si applica prevalentemente al tessuto mucoso (buccale, gastrointestinale o corneale), nel caso della bio o muco- adesione, mentre per quanto riguarda l’applicazione sulla cute, ampiamente diffusi sono i sistemi transdermici detti anche TDS (trans dermal systems) o TTS (therapeutic transdermal systems). In questi ultimi, largamente diffusi per la somministrazione sistemica di farmaci in vari ambiti terapeutici, è di estrema importanza il controllo del rilascio per unità di tempo. Il sistema può cedere tramite una membrana polimerica che regola la liberazione del farmaco dal dispositivo, oppure tramite un sistema matriciale. In entrambi i casi, la velocità di cessione deve essere inferiore a quella con cui il farmaco attraversa lo strato corneo che è la vera barriera da superare. In caso contrario si avrebbe un accumulo di farmaco nello strato corneo e sarebbe questo a condizionare l’assorbimento sistemico del principio attivo, con estrema variabilità da soggetto a soggetto.

Ritornando ai bioadesivi, tenuto conto della loro applicazione sul tessuto mucoso, va detto che sono costituiti da compresse rigonfiabili o geli. Il fenomeno di bioadesione avviene in più stadi: 1) idratazione e rigonfiamento dei polimeri per permettere un intimo contatto con i tessuti biologici; 2) compenetrazione delle catene dei polimeri bioadesivi formanti il reticolo di polimero e le catene di mucina (presente nel muco); 3) formazione di deboli legami chimici tra le catene.

A titolo di esempio si riporta la tebella contenente i dati relativi alle proprietà di alcune sostanze bioadesive.

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Altre sostanze, con proprietà simili sono, ad esempio, il chitosano. Si tratta di una sostanza poliammidica presente negli esoscheletri di crostacei quali: gamberi, gamberetti, aragoste dai quali viene isolato per parziale deacetilazione della chitina. Con esso è possibile realizzare dei geli dai quali i farmaci riescono a penetrare nel tessuto mucoso al pari, almeno, del carbopol e dell’acido ialuronico.

Della bioadesione nel tessuto oculare si è già detto ma, preme dirlo, la ricerca tecnologica in tal senso è in continua evoluzione per la realizzazione di forme farmaceutiche sempre più “mirate” ad obiettivi terapeutici che si possono definire “di nicchia” sovvertendo, ci si consenta il termine, una tecnica farmaceutica ormai superata dalle moderne acquisizioni che, sempre più spesso, possono rivalutare anche principi attivi che, non solo per ragioni dovute alla scadenza dei brevetti, incontravano, più dei più moderni, difficoltà di assorbimento sulla base delle proprie caratteristiche chimico-fisiche.