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1 Le cattedrali nel Medioevo: tecniche costruttive e simbolismo religioso di Alessandro Lantero Le cattedrali gotiche sono probabilmente l’esempio più noto e spettacolare di edilizia sacra in ambito cristiano: praticamente tutto il mondo ne conosce gli esempi francesi, quelli tedeschi ed inglesi, per non parlare del revival neogotico in auge a cavallo tra ottocento e novecento. Ciò nonostante, quello qui preso in esame è un periodo ben delimitato nel tempo e nello spazio 1 , in linea di massima compreso tra il rigore paleocristiano - romanico e l’armonia classicista del rinascimento 2 . Scopo di questo articolo è quello di analizzare i legami tra l’architettura e la teologia dell’epoca, certi che dalla differente visione teologico filosofica sia venuta ad originarsi anche la nuova tecnica costruttiva. Inizieremo quindi col prendere in esame la mutazione morfologica delle chiese di questo periodo, andando poi ad analizzare le soluzioni costruttive adottate per realizzare nella pratica tali forme. In conclusione, considereremo appunto il simbolismo insito nell’edificio gotico: si può in un certo senso dire che esso sia nato e si sia sviluppato proprio perché erano mutati i “contenuti”, i messaggi da trasmettere. 1 In area mediterranea il gotico cosiddetto “internazionale” non ha mai attecchito più di tanto, rimanendo legato ad una maggiore cura per le proporzioni e a un minor slancio verticistico. Anche l’apparato decorativo appare, in generale, meno esuberante. 2 Si tratta comunque di una semplificazione, in quanto il rinascimento come noi lo conosciamo ha sostituito il gotico solo in alcune regioni, tra cui l’Italia. Ci sono paesi in cui l’architettura gotica ha prosperato ancora per molti secoli. La cattedrale di Sens: una delle prime in stile gotico (1135)

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Le cattedrali nel Medioevo:

tecniche costruttive e simbolismo religioso

di Alessandro Lantero

Le cattedrali gotiche sono probabilmente l’esempio più noto e spettacolare di

edilizia sacra in ambito cristiano: praticamente tutto il mondo ne conosce gli

esempi francesi, quelli tedeschi ed inglesi, per non parlare del revival neogotico in

auge a cavallo tra ottocento e novecento.

Ciò nonostante, quello qui preso in

esame è un periodo ben delimitato nel

tempo e nello spazio1, in linea di

massima compreso tra il rigore

paleocristiano - romanico e l’armonia

classicista del rinascimento2. Scopo di

questo articolo è quello di analizzare i

legami tra l’architettura e la teologia

dell’epoca, certi che dalla differente

visione teologico filosofica sia venuta

ad originarsi anche la nuova tecnica

costruttiva. Inizieremo quindi col

prendere in esame la mutazione

morfologica delle chiese di questo

periodo, andando poi ad analizzare le

soluzioni costruttive adottate per

realizzare nella pratica tali forme. In

conclusione, considereremo appunto il

simbolismo insito nell’edificio gotico: si

può in un certo senso dire che esso sia

nato e si sia sviluppato proprio perché

erano mutati i “contenuti”, i messaggi da trasmettere.

1 In area mediterranea il gotico cosiddetto “internazionale” non ha mai attecchito più di tanto, rimanendo legato ad una maggiore cura per le proporzioni e a un minor slancio verticistico. Anche

l’apparato decorativo appare, in generale, meno esuberante. 2 Si tratta comunque di una semplificazione, in quanto il rinascimento come noi lo conosciamo ha sostituito il gotico solo in alcune regioni, tra cui l’Italia. Ci sono paesi in cui l’architettura gotica ha prosperato ancora per molti secoli.

La cattedrale di Sens: una delle prime in stile gotico (1135)

2

Chiunque abbia visitato una chiesa del

periodo romanico avrà inevitabilmente

notato le profonde diversità tra questo stile

e quello da noi preso in esame: tanto il

primo risulta massiccio, orizzontale e buio,

così il secondo si presenta come leggiadro,

verticale e luminoso.

In realtà come prima cosa occorre

precisare che mai prima dell’architettura

gotica si era vista una sperimentazione e

una rottura così forte con il passato: in

fondo la chiesa romanica non era altro che

la naturale evoluzione di quelle dei secoli

precedenti. C’erano state senza dubbio

delle variazioni “sintattiche” nell’uso degli

elementi architettonici, ma esse non

avevano mai inciso così a fondo sui criteri

costruttivi e sulla concezione statica degli

edifici. In altre parole, una chiesa romanica

o paleocristiana non differiva poi di molto, dal punto di vista strutturale, da una

qualunque altra costruzione civile: pareti spesse e non molto alte, poche aperture

e talvolta un unico ambiente interno.

L’innovazione gotica prevedeva invece

di deformare innaturalmente verso l’alto

l’edificio, sventrando e per così dire

alleggerendo le pareti con enormi superfici

vetrate: per ottenere questo effetto

venivano però sacrificate le strutture

portanti, rese più fragili. Era quindi

necessario creare nuovi elementi in grado

di sostenere l’edificio, pur garantendo

l’apparenza leggera e luminosa. Si trattava

per lo più di una ricerca e sperimentazione

ex novo di nuove tecniche, in grado di

spostare ogni volta più in là la “fuga verso

l’alto” di questi edifici. Una continua

innovazione che ha avuto come inevitabile

contraltare i numerosi crolli ed i frequenti

ripensamenti in corso d’opera.

La cattedrale di Amiens (1220): la più grande di

Francia

Interno della navata centrale della cattedrale di

Notre Dame a Parigi (1163)

3

Bisogna precisare che l’aspetto delle

cattedrali gotiche è molto mutato nel

corso dei secoli, partendo dai primi

esempi a metà del XII secolo, dall’altezza

tutto sommato ridotta (in ambito

francese, ad esempio, Saint-Denis a

Parigi, e le cattedrali di Sens e Noyon),

fino all’esasperato verticalismo delle

duecentesche Amiens, Metz e Beauvais.

Lo “svuotamento” della struttura è poi

proseguito fino alla metà del XIII secolo,

quando, con il gotico cosiddetto “radiante”

o “fiammeggiante” (l’esempio più noto è

la parigina Sainte Chapelle), si ritorna ad

altezze un po’ più contenute ma si

sventrano ulteriormente le pareti, trasformando l’edificio quasi in una specie di

“serra”, in cui la luminosità è pressoché totale.

Dal punto di vista costruttivo, questa continua

ricerca della “leggerezza” ha trovato una soluzione

semplice ma efficace, fin dal primo gotico, nell’uso dei

contrafforti, sorta di pilastri esterni alla muratura

perimetrale. La loro funzione era quella di ricevere tutto

il peso proveniente dai carichi verticali, permettendo ai

muri dell’edificio (conseguentemente molto più

“scarichi”) di avere uno spessore più limitato. Non si

tratta però di un elemento

tipicamente gotico, poiché era già

presente in età tardo antica3, ad

esempio nella Basilica di Costantino

a Treviri. Un muro più sottile ha

come immediata conseguenza

una maggiore illuminazione interna dell’edificio: per ottenere

lo stesso risultato nelle chiese romaniche si ricorreva invece (su

pareti molto più massicce) alla tecnica della strombatura delle

finestre e cioè lo “smussamento” della parete in

corrispondenza delle aperture, così da permettere anche

l’ingresso della luce fortemente “di sbieco”.

3 Il tardo-antico rappresentò una vera fucina, paradossalmente, di modelli non classicistici: basti pensare a come le morbidezze curvilinee ed esotiche di Villa Adriana abbiano finito per essere reimpiegate nel barocco.

La Sainte Chapelle di Parigi (1246): massimo esempio

di gotico fiammeggiante

Finestra strombata in

una chiesa romanica

Contrafforti in una chiesa gotica

4

Di medesima origine classica sono in realtà

anche le guglie, in origine assimilabili agli

obelischi4. Il nome deriva da “aguglia” ed

indicava appunto degli aghi, degli oggetti

appuntiti. Si potrebbe dire che il “prototipo”

della guglia sia proprio un obelisco messo a

coronamento dell’edificio, come possiamo

vedere in questo esempio decisamente più

tardo: la chiesa di Santa Croce a Bosco

Marengo (AL), capolavoro manieristico della

seconda metà del Cinquecento.

Discorso visivamente simile, ma non dal punto di vista costruttivo e strutturale,

per i pinnacoli, che possono essere considerati delle “piccole guglie” ma che

avevano una funzione statica ben precisa, ovvero quella di bloccare e di

annullare, col proprio peso e il carico verticale, le spinte laterali degli archi di una

cattedrale gotica. In altre parole essi fungevano da “tappo” per tenere ferme le

estremità di un arco, dal momento che esse tendono ad allontanarsi fra loro, e

addirittura a sollevarsi, se sottoposte ad un peso troppo intenso.

Perché però si era presentata solo in

quest’epoca l’esigenza di sfruttare il sostegno

statico dei pinnacoli? Il motivo risiede proprio

nell’adozione di un nuovo tipo di arco, quello

a sesto acuto5, che probabilmente è

l’elemento più noto e riconoscibile di tutta

l’architettura gotica. Anche in questo caso non si tratta di una

tipologia completamente nuova, ma, pur essendo già presente

nell’architettura islamica, è in quest’ambito che ha trovato la

sua maggiore consacrazione.

Sono proprio gli archi, e in particolare le diverse tipologie che

nel corso del tempo si sono introdotte in una continua ricerca di

innovazione statica e strutturale e allo stesso tempo estetica, a

permettere lo sviluppo continuo degli stili architettonici e quindi

la realizzazione dei grandiosi edifici gotici, passando dalle volte a crociera basate

sull’arco a tutto sesto (che avevano sostituito le volte a botte degli edifici più

antichi) a quelle basate sull’arco a sesto acuto. Se infatti le volte a crociera a tutto

sesto avevano l'indiscutibile vantaggio, rispetto alle volte a botte (a campata

4 Girolamo Masi, Teoria e pratica di architettura civile per istruzione della gioventù specialmente romana ... presso Antonio Fulgoni, 1788 - pag. 256. 5 Analogo discorso si può fare per le volte a crociera ogivali, costruite appunto con l’incrocio di archi a sesto acuto.

Santa Croce a Bosco Marengo: notare gli

obelischi a fianco alle volute laterali

Volte a crociera ogivali

5

unica), di convogliare il peso, anziché lungo tutta la linea d'imposta, solo sui

quattro sostegni d'angolo, semplificando la necessità di approntare controspinte

(quattro punti di scarico erano infatti più resistenti di due linee continue) con

l’introduzione delle volte a crociera ogivali questo vantaggio viene ancor più

aumentato, permettendo di alleggerire ulteriormente lo sforzo sulle pareti. La

campata sostenuta dalla volta ogivale offriva, inoltre, altre potenzialità nella

modellazione delle forme: poteva finalmente abbandonare la pianta quadrata

per sbizzarrirsi con quelle più allungate dei rettangoli, dando maggiore profondità

alla fuga prospettica verso l’abside.

L’adozione di questo elemento risulta quindi coerente col programma estetico

d’insieme. Oltre a questo, a parità di “luce” (l’ampiezza, la larghezza dell’arco),

esso risulta inevitabilmente più alto e slanciato. In altre parole una finestra, ma

anche una campata, realizzata a sesto acuto aveva una superficie più estesa di

una culminante con un arco a tutto sesto. Appare quindi evidente che anche

questo accorgimento fosse stato scelto proprio per aumentare la luminosità in

grado di penetrare nella chiesa.

Riepilogando, il peso degli archi acuti e delle volte ad ogiva, nonché quello

delle stesse mura perimetrali (non più auto-sostenute da una muratura spessa

come nelle epoche passate) va nell’architettura gotica completamente a

scaricarsi sui pilastri e sui contrafforti esterni. Cosa

succede però alle pareti della navata centrale, così

lontane dagli elementi portanti della struttura? Certo

non si può dire che siano state concepite in maniera

massiccia e solida, essendo costituite da una

delicata trama di vetrate ed esili pilastri (in genere

del tipo “a fascio”, come nella figura a lato: un

artificio ottico che sembra snellirli ulteriormente).

L’effetto è quello di una serie di stuzzicadenti che

sostengono una nave, vale a dire l’immane peso

delle volte sovrastanti. Quale tecnica ha permesso

dunque questa illusione ottica? A renderlo possibile è

stata l’introduzione di un elemento profondamente

innovativo ed originale: l’arco rampante, che ha la

funzione di trasferire tutto il peso delle volte centrali

sui contrafforti lungo il perimetro esterno. Si viene in

sostanza a creare una sorta di gabbia esterna, un

“esoscheletro”, cui sono appesi tutti gli elementi

visibili da dentro la chiesa: se li si osserva dall’interno

essi sembrano quindi quasi “volare”. Questo proprio

perché, come avviene sul palcoscenico di un teatro,

tutti gli apparati scenici degli effetti speciali sono nascosti dietro le quinte.

6

Quali sono però state le ragioni che hanno indotto a tali e tante innovazioni

tecnologico-stilistiche? Alla base di questo cambiamento sta in realtà un

mutamento della sensibilità religiosa e una necessità dottrinale: comunicare cioè

un particolare, e nuovo, messaggio teologico ai fedeli.

Fin dall’inizio le chiese erano considerate delle vere e proprie “Biblia

pauperum”, dei “libri di pietra” con cui istruire il popolo analfabeta. A maggior

ragione questo è vero per le cattedrali gotiche: la “Vetrata della Madonna” a

York rappresenta ad esempio oltre cento episodi biblici, mentre nella facciata

occidentale di quella di Amiens pare sia rappresentata l’intera Bibbia6. Nella

fattispecie, analizzare per intero i simbolismi di una cattedrale sarebbe impresa

davvero titanica sia perché andrebbero citati i “simboli universali”, comuni con le

chiese di epoca più remota, sia perché oltre ai significati exoterici (all’epoca ben

noti e immediatamente riconoscibili) andrebbero presi in esame anche quelli più

“esoterici” (o supposti tali), ovverosia nascosti, sui quali si sono spesi fiumi

d’inchiostro e non sempre con cognizione di causa.

Ci limiteremo quindi qui ad analizzare solo ciò che é direttamente connesso

alle innovazioni strutturali elencate in precedenza: innalzamento verticistico delle

pareti, ampliamento delle aree finestrate ed apparato decorativo sulle coperture

(guglie e pinnacoli).

Nelle chiese paleocristiane e romaniche la distribuzione interna dei volumi era

impostata prevalentemente sul piano orizzontale: l’occhio di chi entrava era

invitato a percorrere la navata centrale, relativamente bassa nel rapporto

larghezza-elevazione, come fosse una specie di corridoio. Questa era una

metafora del “cammino del fedele” che, entrato dalla porta in facciata (la

nascita, la “porta degli uomini”) deve poi

attraversare l’intera chiesa (la vita) prima di arrivare

al cospetto di Dio. Questo “contatto con il divino”

era rappresentato dal punto d’incrocio tra la

navata e i transetti:

qui veniva realizzato

un tiburio, sorta di

ampia “torre” molto

più alta del resto della

chiesa, quasi uno

sfondamento in altezza a simboleggiare il cielo sopra

l’altare. L’interno era a spicchi ottagonali o

cupolato, evocando due simboli “celesti” molto

potenti: l’ottagono rappresenta infatti l’iniziazione, l’ingresso (e non a caso è la

6 Ivo Tagliaventi, La cattedrale gotica. Spirito e struttura della più grande opera d'arte della città occidentale, Alinea 2009, pag. 36.

Tiburio di una chiesa romanica: esterno

Tiburio di una chiesa romanica: interno

7

forma dei battisteri), mentre la cupola, e di base il cerchio, simboleggiano il cielo

ed il Paradiso. Era quindi solo dopo che l’osservatore aveva percorso

orizzontalmente tutta la navata che veniva invitato a guardare verso questa fuga

verticale. Era un avvertimento: solo dopo aver attraversato l’intera chiesa, poteva

avvicinarsi alla parte più santa, alla porta della vita eterna, ovvero l’altare e

l’abside.

Nel gotico invece questo gioco di spazi si attenua notevolmente: chi entra è

immediatamente investito da un senso di verticalità improvvisa e maestosa. Non ci

sono percorsi da fare per arrivare al divino: la cattedrale stessa è già, in toto, la

casa di Dio in terra, un’anticipazione di quello che si potrà trovare una volta

raggiunta la beatitudine.

Coerentemente con questo simbolismo, e con lo

svuotamento delle pareti dai carichi perché assorbiti dai pilastri

interni e dai contrafforti esterni, le cattedrali vengono inondate

dalla luce solare mediante l’apertura di enormi finestre, che

portano con sé anche la possibilità di sviluppare l’arte della

vetrata: una rottura completa rispetto al passato. In epoca

romanica, infatti, la luce entrava per lo più come una lama nel

buio della navata: un’apparizione, una teofania, che in genere

si verificava in momenti ben precisi della giornata e dell’anno,

esattamente quando la luce del sole si trovava nel giusto

allineamento per poter penetrare nelle limitate aperture dell’edificio, e sfruttata

quasi che la chiesa fosse un gigantesco orologio solare7.

7 Questi allineamenti archeastronomici tuttavia non scomparvero nel “luminoso” gotico ma bensì qualche secolo più tardi, con il perfezionamento degli orologi meccanici.

Confronto tra una navata romanica (a sinistra) ed una gotica: si notino le differenti proporzioni e

l’accentuato verticalismo della seconda

8

La funzione delle vetrate nell’architettura gotica si comprende meglio dalle

parole dell’abate Sugerio di Saint-Denis, il committente del primo edificio gotico

della storia: a suo dire esse erano “i vetri più sacri”, forma e rappresentazione di

Dio8. Le vetrate dunque permettevano a Dio, letteralmente, di entrare dentro la

chiesa e “sacralizzarla”. Il simbolismo è probabilmente ancora più spinto, visto che

nelle rappresentazioni di questi “vetri istoriati” c’era una vera e propria summa del

sapere dell’epoca: come la Luce passando attraverso quelle finestre colorate

rendeva visibili i disegni raffigurati in esse, così Dio attraverso l’opera dell’uomo ci

faceva conoscere la propria Sapienza.

Anche in questo caso la differenza con le

epoche precedenti è impressionante: la tecnica

della vetrata infatti era conosciuta già in età

romana ma aveva un utilizzo molto più limitato e

sporadico. Le aperture verso l’esterno erano di

dimensioni ridotte e azzeravano in pratica le

possibilità espressive consentite invece

successivamente e come loro rivestimento, se

presente, si preferiva l’inserimento di una sottile

lastra di alabastro, che essendo comunque opaca

manteneva l’ambiente in una penombra costante.

Abbiamo quindi visto che l’interno della

cattedrale gotica era pensata come il “luogo

della luce divina” in cui Dio entrava ogni giorno.

Come era però concepito l’involucro esterno

dell’edificio? Qui il simbolismo assume valenze

meno intuitive: come interpretare una zona

direttamente esposta all’illuminazione solare?

Verrebbe da pensare che anche l’esterno sia

concepito con la stessa logica precedentemente

esposta, ma non è così. Bisogna innanzitutto

distinguere l’apparato decorativo delle pareti da

quello delle coperture. Nel primo caso le

raffigurazioni (per lo più di carattere sacro) si

raggruppano in prevalenza in prossimità dei

portali e, in genere, delle aperture: ciò è

comunque coerente con la sacralità di questi

varchi e con il significato ad essi collegato,

ovvero quello dell’iniziazione ma anche della

8 Ivo Tagliaventi, La cattedrale gotica. Spirito e struttura della più grande opera d'arte della città occidentale, Alinea 2009, pag. 45.

Esempio di finestre in alabastro

Villard de Honnecourt (XII sec.) – studi sulle

proporzioni naturali da applicare in

architettura

9

protezione. La stessa figura di Cristo è leggibile in quest’ottica: “Ego sum ostium”,

ovvero “Io sono la porta” (Giov. 10, 7) e proprio a questo tema rimanda la prima

decorazione conosciuta di un portale cristiano9. La Chiesa veniva quindi a

identificarsi con il Regno di Dio e solo attraverso la mediazione di Cristo era

possibile accedervi.

Ecco quindi spiegato il motivo per cui sull’esterno delle cattedrali gotiche

abbondano anche figure demoniache, i doccioni o gargoyles: che senso hanno

proprio su un luogo sacro, e per di più baciati dalla luce del sole, attributo divino?

Essi non sono “dentro” al regno divino (e cioè all’interno dell’edificio), ma bensì al

suo esterno, peraltro in zone marginali e poco visibili, generalmente in

corrispondenza dei tetti, delle guglie e dei pinnacoli, ben lontane dalle aperture

“sacralizzate”. Anche su di essi brilla il sole divino, come su tutti i peccatori: ma

esso non é “filtrato” dalla mediazione di Cristo e rimangono semplici servitori, con

la loro funzione pratica di canalizzare il deflusso dell'acqua piovana. Per questi

esseri non è quindi aperta la “porta” ed il futuro riserverà loro soltanto l’eterna

dannazione.

All’interno di questa chiave di lettura possono anche essere letti, al di là della

loro evidente funzione statica, anche guglie e pinnacoli: come detto in

precedenza essi erano assimilabili agli obelischi e, in analogia con il loro

simbolismo, possono essere considerati come dei “raggi di luce pietrificati”.10 Ecco

quindi che si completa il quadro: essi quindi rappresentano il Sole che colpisce ed

illumina l’edificio, il divino che abbraccia il suo tempio.

A conclusione di questo excursus, rimane però ancora una domanda a cui

rispondere: cosa ha determinato la mutata visione teologica, a cui ha fatto

seguito l’introduzione delle innovazioni architettoniche e tecnologiche fin qui

trattate? Quali sono le origini storiche dei mutamenti radicali che hanno

accomunato religione e architettura?

Al di là dell’influenza politica della corona di Francia, desiderosa di imporsi in

ambito europeo e sul Papa, le vere molle che hanno determinato indirettamente i

mutamenti sfociati nel gotico sono state probabilmente le Crociate. Queste due

concause sono tra l’altro strettamente interconnesse, in quanto la componente

francese è stata di gran lunga la più importante nell’armata cristiana. Non a caso i

regni cristiani in Terrasanta erano detti “Regni Franchi” o più semplicemente

“Outremer”, l’oltremare. I signori di questi regni erano tutti provenienti dalla

Francia o comunque di ambito francofono. Di più, persino i capi dei maggiori

9 Edouard Urech, Dizionario dei simboli cristiani, Arkeios 1995, pag. 212.

J. Hani, Il simbolismo del tempio cristiano, Roma, Arkeios, 1996, pag. 91 e segg. T. Burckhardt, Principi e metodi dell’Arte Sacra, Arkeios, 2004, pag. 91 e segg. 10 Julien Ries,Charles-Marie Ternes (a cura di), Simbolismo ed esperienza della luce nelle grandi religioni, Jaka Book 1997, pag. 53.

10

ordini religioso–cavallereschi erano in prevalenza provenienti d’Oltralpe (per citare

gli esempi più noti, il fondatore degli Ospitalieri era probabilmente francese,

mentre è certa la provenienza di Hugo de Payns e di Jacques de Molay,

rispettivamente fondatore e ultimo gran maestro dei Templari).

La crociata era considerata come un cammino di espiazione e di

avvicinamento alla Gerusalemme celeste, e allo stesso tempo, attraverso il

pellegrinaggio di massa e la visione dei luoghi del martirio di Cristo, come un

percorso per poterlo conoscere più profondamente, anche nella sua natura

umana e terrena11. E’ proprio da questo desiderio di umanizzare il divino, di

ricercarlo nella realtà deperibile di questo mondo, che si è originata questa nuova

mentalità, e con essa un’architettura in grado di incarnarne con precisione il

messaggio12. Nel gotico la chiesa si configura quindi come un punto d’incontro tra

il divino e l’umano: da una parte il fedele, seguendo con lo sguardo il movimento

ascensionale delle linee architettoniche, si avvicina al suo Creatore, e dall’altra

quest’ultimo sembra discendere dal cielo in forma di raggi solari attraverso le

ampie aperture vetrate.

Questa concezione era sì presente nel

simbolismo d’epoca precedente, ma

solo a livello embrionale, con l’uomo e il

divino avvicinati grazie all’associazione

tra l’edificio ecclesiastico e il corpo

umano, e più precisamente con la

sovrapposizione della figura del Cristo

crocefisso con la pianta a croce latina

delle chiese.

Associazione d’altronde già richiamata

implicitamente nel Vangelo di Giovanni:

“Gesù rispose loro: Disfate questo tempio,

e in tre giorni lo farò risorgere. Allora i Giudei

dissero: Quarantasei anni è durata la

fabbrica di questo tempio e tu lo faresti

risorgere in tre giorni? Ma egli parlava del

tempio del suo corpo.” (GV 2, 19-21).

11 Questo desiderio di conoscere più a fondo il luoghi della Bibbia, di “vedere di persona” ha originato indirettamente anche la tradizione del presepe, istituito per la prima volta da San Francesco d’Assisi a Greccio (Rieti). In un periodo in cui la Terrasanta è ritornata inaccessibile,

questo desiderio di “toccare con mano” la storia sacra viene soddisfatto nell’unico modo possibile: con una rievocazione teatrale. 12 Ivo Tagliaventi, La cattedrale gotica. Spirito e struttura della più grande opera d'arte della città occidentale, Alinea 2009, pag. 29-30.

11

Concepire dunque il luogo sacro come punto di congiunzione tra l’umano ed il

divino ci fa capire in maniera abbastanza eloquente come i tempi, all’epoca

delle nostre cattedrali, stessero cambiando. Cercare un contatto con Dio non era

uno sforzo trascurabile, considerando soprattutto qual’era la separazione,

l’enorme distanza che intercorreva tra fedele e divinità solo pochi secoli prima.

Ancora in pieno romanico, l’abbiamo appena visto, il “percorso verso Dio”

rappresentato dall’incedere attraverso la chiesa stessa metteva in evidenza

proprio l’estrema fatica del viaggio, a conclusione del quale solo in pochi

avrebbero attraversato la “porta stretta” del Regno dei Cieli.

Per capire meglio questo concetto,

basti pensare anche a un elemento

architettonico molto usato nelle chiese più

antiche, a partire dall’epoca in cui il

cristianesimo divenne la religione di Stato

dell’Impero Romano, e ancora in uso nel

mondo ortodosso: l’iconostasi. Si tratta di

un recinto posto a separare, e a

nascondere alla vista, la zona dell’altare

dal resto della chiesa. I fedeli riuniti nella

navata non potevano quindi assistere

direttamente alle funzioni celebrate nel

presbiterio, “misteri” cui solo pochi avevano

accesso, secondo il principio che le cose sante

non potevano essere svelate immediatamente e

completamente, perché esiste una gradualità

con la quale l’uomo viene educato e si avvicina

alla fede.

E’ vero che tale separazione venne nelle

chiese occidentali ridotta sempre più, tramite il

posizionamento rialzato del presbiterio,

raggiungibile con scale e poi, riabbassatosi, con

semplici scalini, secondo il principio che per

incontrare Dio è necessario “vedere” (e non a

caso l’elevazione dell’Ostia dopo la sua

consacrazione inizia grosso modo nel XIII secolo, cioè in piena cultura teologica

scolastica), ma quanta differenza con il senso di comunanza del gotico dove simili

elementi, se anche fossero stati presenti, si sarebbero persi nella scala

monumentale dell’edificio!

Il recinto dell’iconostasi in una chiesa paleocristiana

L'iconostasi di una chiesa vista dalla parte

del presbiterio negli affreschi di Giotto ad

Assisi

12

Dal punto di vista teologico si è infine ritenuto di accostare il

simbolismo gotico alla filosofia Scolastica, come sostenuto in

particolare dallo storico dell’arte Erwin Panofsky13 e

dall’architetto tedesco Gottfried Semper (che addirittura

vedeva in questo stile una pura e diretta emanazione dello

scolasticismo). Riportiamo quindi qui di seguito alcuni dei punti

in comune che accomunerebbero la dimensione filosofica

scolastica con la concezione dell'architettura gotica, rinviando

alle opere dei citati autori per eventuali approfondimenti14 e

limitandoci ad elencare le seguenti corrispondenze esistenti:

� fra la ricerca che sta alla base della metodologia scolastica ed il

carattere sperimentale dell’architettura gotica;

� fra l’interpretazione dei sacri testi e la traduzione della “sacra pagina”

in murature, vetrate, ornamentazioni;

� fra i molti rivoli e sofismi del pensiero scolastico e la frantumazione

dell’unitarietà spaziale, la molteplicità della percezione prospettica,

l’abbondanza degli accessori decorativi proprie di alcune cattedrali

gotiche;

� fra la vertiginosa altezza del pensiero in cerca di Dio ed il sublime

svettare delle “frecce”, delle guglie, dei pinnacoli nel cielo;

� fra il dubbio, l’indecisione, l’ansia incessante e mai appagata di uno

stato di perfezione attraverso l’inesplorato della fede e quasi l’ostilità

dell’architettura sacra gotica alla forma conclusa, univoca, permanente;

� fra l’estasi mistica del credente e la qualità fiabesca dello spazio

costruito;

� fra il principio di Dio luce creatrice e non creata, nonché della

creazione come atto luminoso, e la luce dello spazio interno concepita

come trasposizione teologica della potenza e dell’unità del Creato, simbolo

tangibile e visibile dell’Essere invisibile e ineffabile cui tutto deve tendere e

ritornare attraverso una serie di atti purificatori, secondo le parole di Suger:

“lo spirito cieco si desta alla verità perché è materiale e, vedendo la luce,

emerge dalla sua prigionia interiore” (per questo la cattedrale è intesa

proprio come specchio di Dio, rappresentazione magica e radiosa della

religione salvifica mediante la luce);

13 Erwin Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica, Napoli, Liguori ed., 1986. 14 Per un elenco più completo e dettagliato si veda: Ivo Tagliaventi, La cattedrale gotica. Spirito e struttura della più grande opera d'arte della città occidentale, Alinea 2009, pag. 46-47.

San Tommaso d’Aquino

13

� fra il primato della dialettica, attraverso la logica tanto formale

quanto materiale, sulle altre “arti liberali” e quello dell’architettura,

mediante la geometria e l’aritmetica, sugli altri generi artistici;

� fra l’eredità morale e spirituale che da Sant’Anselmo, San Cipriano,

Sant’Agostino […] giunge ai colossi pocanzi citati [San Tommaso d’Aquino e

gli altri teologi duecenteschi] e l’eredità tecnico-artistica che dall’antichità

approda ai “maestri” gotici;

� fra il rigore della costruzione teologica, l’ordine intellettuale spinto sino

ai domini dell’etica e la precisione strutturale dell’organismo chiesastico, la

coerenza della prodigiosa ideazione artistica con la disciplina dei gravosi

comportamenti statici;

� perfino tra l’artificio dialettico, l’enfasi di certe argomentazioni

scolastiche e l’ornamentazione capricciosa, appesantita, ostentata,

nonché il lusso gratuito di certe cattedrali.

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