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Libertá di Parola 2/2010 —— IL TEMA L'ASSOCIAZIONE INVIATI NEL MONDO a pag. 18 Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire) L' EDITORIALE Voi che vivete sicuri… di Pino Roveredo continua a pagina 4 continua a pagina 16 a pagina 2 Le visite a zia Italia, spesso erano delegate a noi bambini, perché gli adulti avevano tanto da fare, ma soprattutto avevano poca o nessuna pazienza da mettere a disposizione. La zia Italia parlava tanto, parlava sempre, quando rammentava gli assenti, spesso si commuoveva, e quando acca- rezzava il viso di noi bambini, im- mancabilmente piangeva, La zia Italia usava omaggiare le nostre visite con piccole trecce di pane zuccherato: le code degl’angeli, così le chiamava lei, e poi, osser- vandoci, puntualmente si mette- va a piangere e ad applaudire i nostri appetiti. Ogni tanto si stac- cava dallo spettacolo e si sedeva vicino alla finestra, e con il solito libro in mano, iniziava, usando il tono della preghiera, a leggere sempre la stessa pagina. “Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tor- nando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo… “ Di tanto in tanto, interrompendo la sua preghiera, la zia Italia so- spirava lo zio Vittorio, compagno strappato dal loro momento mi- gliore, per essere internato, mal- trattato, offeso e umiliato, nell’in- famità prigioniera di Auschwitz. Quando l’avevano portato via, indossava lo splendore euforico dei vent’anni, un petto gonfio di coraggio, e una dignità rabbiosa che si sarebbe ingoiata il tempo- rale. Quando è tornato, gli ave- vano piegato la schiena, disossa- to il corpo, ucciso il sorriso, e tolto dal piacere di vivere la voglia di festeggiare la libertà… “ …Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no… “ La zia Italia, con le stesse scosse, raccontava i deliri che svegliava- no lo zio Vittorio… -Alles raus! Kapò feroci come una maledizione picchiavano sulle te- ste dei deportati stivati nelle cuc- cette: più si è lenti, e più si diven- ta bersaglio! Qualcuno perde lo zoccolo, un altro il berretto, e così Fare cultura nell'era dei tagli Pierpaolo Mittica "Benvenuti nell'inferno indonesiano" Commercio equo e solidale, l'altra metà del mondo APPROFONDIMENTO Noi... giovani Chi sono i giovani di oggi? È una domanda che abbiamo deciso di girare, sottoforma di questionario, direttamente ai protagonisti della nostra in- dagine: ovvero i ragazzi dai 15 ai 25 anni che vivono nella nostra provincia e che abbia- mo incontrato in diversi con- testi, dalla scuola al centro di aggregazione, dalla stazione delle corriere alla sede della nostra associazione. Un campi- one di risposte di cui abbiamo scelto di pubblicare quelle più significative, lasciando ai ragazzi la parola e al lettore l’interpretazione della stessa. a pagina 9 a pagina 6 a pagina 13 LA MOSTRA "Espiazioni" di Renzo Quaglia, dal carcere alla pittura a pagina 15 L'EVENTO DAL BON INTENDITOR... Nostalgia ramarra Kullander boys al torneo antirazzista

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Libertà di Parola il giornale de "i Ragazzi della Panchina" Pordenone

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Libertá di ParolaN°2/2010 ——

IL TEMA

L'ASSOCIAZIONE

INVIATI NEL MONDO

a pag. 18

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fi no alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

L' EDITORIALE

Voi che vivete sicuri…di Pino Roveredo

continua a pagina 4

continua a pagina 16

a pagina 2

Le visite a zia Italia, spesso erano delegate a noi bambini, perché gli adulti avevano tanto da fare, ma soprattutto avevano poca o nessuna pazienza da mettere a disposizione. La zia Italia parlava tanto, parlava sempre, quando rammentava gli assenti, spesso si commuoveva, e quando acca-rezzava il viso di noi bambini, im-mancabilmente piangeva, La zia Italia usava omaggiare le nostre visite con piccole trecce di pane zuccherato: le code degl’angeli,

così le chiamava lei, e poi, osser-vandoci, puntualmente si mette-va a piangere e ad applaudire i nostri appetiti. Ogni tanto si stac-cava dallo spettacolo e si sedeva vicino alla fi nestra, e con il solito libro in mano, iniziava, usando il tono della preghiera, a leggere sempre la stessa pagina.“Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tor-nando a sera / il cibo caldo e visi amici: / Considerate se questo è un uomo… “Di tanto in tanto, interrompendo la sua preghiera, la zia Italia so-spirava lo zio Vittorio, compagno strappato dal loro momento mi-gliore, per essere internato, mal-trattato, offeso e umiliato, nell’in-famità prigioniera di Auschwitz. Quando l’avevano portato via, indossava lo splendore euforico

dei vent’anni, un petto gonfi o di coraggio, e una dignità rabbiosa che si sarebbe ingoiata il tempo-rale. Quando è tornato, gli ave-vano piegato la schiena, disossa-to il corpo, ucciso il sorriso, e tolto dal piacere di vivere la voglia di festeggiare la libertà…“ …Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no… “La zia Italia, con le stesse scosse, raccontava i deliri che svegliava-no lo zio Vittorio…-Alles raus! Kapò feroci come una maledizione picchiavano sulle te-ste dei deportati stivati nelle cuc-cette: più si è lenti, e più si diven-ta bersaglio! Qualcuno perde lo zoccolo, un altro il berretto, e così

Fare cultura nell'era dei tagli

Pierpaolo Mittica "Benvenuti nell'inferno indonesiano"

Commercio equo e solidale, l'altra metà del mondo

APPROFONDIMENTO

Noi... giovaniChi sono i giovani di oggi? È una domanda che abbiamo deciso di girare, sottoforma di questionario, direttamente ai protagonisti della nostra in-dagine: ovvero i ragazzi dai 15 ai 25 anni che vivono nella nostra provincia e che abbia-mo incontrato in diversi con-testi, dalla scuola al centro di aggregazione, dalla stazione delle corriere alla sede della nostra associazione. Un campi-one di risposte di cui abbiamo scelto di pubblicare quelle più signifi cative, lasciando ai ragazzi la parola e al lettore l’interpretazione della stessa. a pagina 9 a pagina 6

a pagina 13

LA MOSTRA

"Espiazioni" di Renzo Quaglia, dal carcere alla pitturaa pagina 15

L'EVENTO

DAL BON INTENDITOR...

Nostalgia ramarra

Kullander boys al torneo antirazzista

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La cultura del cinema, la settima arte, a Pordenone e da oltre 30 anni porta la fi rma di Cinemazero, l’associazione culturale che ha in Andrea Crozzoli, socio fondatore e attuale responsabile della programmazione, una delle sue anime storiche.

Il pubblico pordenonese è cambiato profondamente, analogalmente al pubblico in tutta Italia. “Certo. Oggi, ad esempio, gli over 60, che 30 anni or sono erano una piccola percentuale, rappresentano un buon terzo del nostro pubblico. Questo perché la scolarizzazione ha cambiato la fi gura del nonno. Ci sono ex professori, docenti, liberi professionisti, impiegati che anche dopo la pensione continuano una loro vita sociale frequentando cinema, te-atro ed altri momenti di consumo culturale. Un terzo del pubblico è poi rappresentato dalla fascia di età media che ha gusti precisi, che è infor-mata e che si reca al cinema per vedere quell’autore di cui ha già letto. Il fenomeno dell’abbandono della sala a metà fi lm a Cinemazero è, infatti, praticamente assente. Il nostro in altre parole non è uno spettatore casuale. L’altro terzo del nostro pubblico è infi ne rappresentato da giova-ni, quelli sensibili al cinema di qualità”.

Com'è oggi il mercato cinematografi co?“Il mercato internazionale è vivo in quelle cinematografi e che sanno contaminarsi, che cercano coproduzioni ed escono dagli stretti confi ni nazionali come la Francia che ha contatti con le sue ex colonie e copro-duce fi lm in Vietnam o in Senegal e così via. Noi in Italia purtroppo siamo estremamente provinciali: le nostre storie sono diffi cilmente esportabili, perché riduciamo il nostro cinema ad un fatto condominiale, rischiando di seppellire defi nitivamente il glorioso passato. In generale il mercato cinematografi co è in rapida trasformazione, con il digitale che avanza a grandi passi in tutta Europa e a piccoli passi in Italia. Un cambiamento che non signifi ca solo cambio del supporto con il quale si proietta (da pellicola a fi le digitale), ma anche apertura a nuovi contenuti.”

Crozzoli, "Non temiamo internet e i multi-sala. Il vero nemico della cultura di qua-lità saranno i tagli ai fi nanziamenti"la nostra redazione culturale

Certo che i nostri sono tempi dif-fi cili: solo un ingenuo potrebbe dire il contrario. Ma se a ciò si aggiunge un “però è strano, al di là della botta dei tagli regio-nali e delle conseguenti diffi col-tà, come soddisfazioni a noi non è mai andata meglio”, allora la rifl essione si amplia. Questo in particolare lo afferma Ferruccio Merisi, bergamasco di 57 anni, “immigrato” direttore e fondatore a Pordenone, nel 1987, della Scuola Sperimentale dell’Attore. Siamo andati a tastargli il polso sullo stato della cultura in pro-vincia. Merisi da trent’anni sta aggiustando il tiro su come fare, tanta è la sua esperienza nel te-atro. Formatosi all’università Cat-tolica di Milano, in quei tempi l’unica al Nord in cui si poteva studiare cinema e teatro, dopo varie e “forti” esperienze è ap-prodato in città, dando vita alla Scuola. “Ora i mezzi sono quelli che sono – dice - e la cultura in ge-

Arte “a chilometri zero” e più collabora-zione tra i promotori. La ricetta anti tagli de L'Arlecchino Errante

di Guerrino Faggiani

CULTURA IN CRISI, MA NON DI IDEE

nerale ne sta facendo le spese; la nostra associazione dipende in gran parte dai fi nanziamenti pubblici per quanto riguarda la operatività sociale sul territorio; il Comune e la Provincia ci aiu-tano molto anche per quanto ri-guarda una sede che sia centro di formazione e aggregazione (che può vantare oltre quattro-mila presenze l’anno)". "A differenza di altri enti della Regione però - continua - non facciamo pesare i nostri stipendi sui contributi, nemmeno per un centesimo; i contributi vengono utilizzati solo per le attività e le manifestazioni; e dunque per quello che riguarda il nostro im-pegno in queste attività, poche o tante che riusciamo a farne, sia-mo dei veri e propri volontari”. “Per vivere – prosegue - mettia-mo dunque a frutto fuori casa la nostra capacità ed esperienza, con corsi, spettacoli e conferenze. Siamo un gruppo di liberi profes-sionisti. Ci unisce anche la rego-la di autotassarci (il 20 per cento

fi sso del guadagno personale) per sostenere la Scuola. Ma non siamo dei fi lantropi esaltati. Ci guadagniamo, a fare i volontari. Con l’attività sociale gratuita ab-biamo la possibilità di imparare molte cose e di migliorare nella nostra professione…E di vivere e far vivere meglio la nostra Cit-tà”. Del resto per Merisi non sarebbe nemmeno possibile fare in altro modo. “Credo che proprio in mo-menti come questo dobbiamo continuare a sacrifi care il nostro tempo, facendo sforzi di fantasia, producendo cultura di qualità a chilometri zero, riducendo i co-sti per la comunità”. Viene però da chiedere se tra le varie as-sociazioni ci sia collaborazione o piuttosto rivalità. “Io penso che la concorrenza faccia bene – risponde Merisi - se ti spinge a fare sempre meglio, ma la trovo stupida se la usi come unica re-gola in una zona come Porde-none, dove il bacino d’utenza è limitato. Mi piacerebbe perciò

che ci fosse più dialogo e siner-gia, noi abbiamo lavorato molto per questo ed ancora lo stiamo facendo”. La comunicazione tra i diversi promotori di eventi e di cultura quindi, secondo Merisi è la stra-da da percorrere per affrontare quello che sarà il momento più diffi cile. “Visto che dobbiamo fare con poco perché non col-laborare? Fondendo le nostre esperienze e risorse possiamo offrire una “tentazione” culturale e civile migliore, e tenere vivo l’interesse della gente”. Per Me-risi tutto questo rientra nella ne-cessità di scuotere le persone, a Pordenone come altrove, e allontanarle per qualche attimo dai suoi costosi riempi-tempo-li-bero individuali. “Che ci siano o non ci siano soldi pubblici – dice a chiusura del nostro incontro - non dobbiamo smettere di fare cultura, perché è solo la cultura che ci aiuta a comunicare e a capirci, a sperare in un futuro, e a lavorarci”.

Il cinema fi nisce a zero

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Sono una delle band giovanili più conosciute in Italia e vengo-no da Pordenone. I Tre Allegri Ragazzi Morti sono nati sedici anni fa, hanno pubblicato sei di-schi uffi ciali e si sono esibiti dal vivo più di mille volte. Il posto più lontano dove hanno suonato? L’Argentina, in un tour organizza-to dal Fogolâr Furlan nel 2005.Enrico Molteni, il bassista, dice: “Pordenone non è Londra, ma non ce la passiamo male, anzi. La nostra fortuna è che abbiamo un passato legato alla musica: alla fi ne degli anni Settanta il “Great Complotto” ha portato il punk in Italia e ha coinvolto un sacco di gente a Pordenone. In tanti sono rimasti anche profes-sionalmente nel settore”. I Tre Allegri hanno fondato l’eti-chetta “La Tempesta” nel 2000, all’inizio solo per i loro dischi, poi sono cresciuti aprendo ad altri musicisti. “Quello che guadagnia-mo lo reinvestiamo e i dischi ri-mangono di proprietà dell’artista: questo fa la differenza tra noi e le etichette classiche”, spiega Enrico. In tutto hanno prodotto 36 cd, dei pordenonesi Sick Tamburo ed Enrico Berto, ma anche Il teatro degli orrori, Le luci della centra-le elettrica… Una volta all’anno organizzano una data con tutti i gruppi della Tempesta: per il 2010 sarà il 10 luglio a “Ferrara sotto le stelle”. Da sottolineare che è l’unico appuntamento italiano della manifestazione.Il segreto del successo dei Tre Al-legri, per Enrico, è la capacità di comunicare ai tanti ragazzi che si identifi cano nella vita ordinaria della provincia. “L’Italia è fatta so-prattutto di piccole realtà come la nostra: Pordenone è la provincia - continua il bassista - chi ci se-gue sa bene da dove veniamo, anche se magari non saprebbe

LA MUSICA E LA RIVINCITA DELLA PERIFERIAMolteni, "Oggi le nuove band sperimentano

di tutto. È l'effetto dell'immigrazione"

di Elisa Cozzarini

indicarlo sulla carta geografi ca”.Ma Pordenone è anche viva dal punto di vista culturale. Secondo il musicista, “da una parte ci sono realtà consolidate e attive come Cinemazero, dall’altra c’è un in-teresse delle istituzioni a promuo-vere manifestazioni importanti come Pordenonelegge e Porde-none Pensa”. E c’è un pubblico attento e selettivo, anche diffi cile, che chiede di essere stimolato nel modo giusto. “Ma se riesci a intercettarlo – aggiunge - propo-nendo qualcosa di interessante, la risposta è positiva, anche se i numeri restano ridotti per la pic-cola dimensione della città”. E prosegue: “In questo momento di tagli alla cultura, bisogna impa-rare a usare i soldi nel modo più effi ciente possibile, evitando di spendere in produzioni sbagliate, che non interessano alla gente. È vero però che il cinema, ad esempio, costa molto più della musica e che attirare spettatori è sempre più diffi cile, perché fi lm e musica si trovano facilmente on-line. Noi non sappiamo neanche più quanta gente ascolta i nostri dischi”.L’ultimo album della band, “Pri-mitivi del futuro”, uscito il 5 marzo, è con Paolo Baldini degli Africa Unite e il risultato è musica reg-gae con i Tre Allegri. “Oggi nel panorama musicale pordenone-se c’è più libertà – commenta -. Mi spiego, negli anni Settanta fi -nivano tutti nello stesso calderone del punk e new wave. Adesso ci sono moltissimi microgruppi che fanno dal reggae al metal, dal rock all’hip hop. Entrano in scena persone e sonorità nuove, da tut-to il mondo, per effetto dell’immi-grazione. Io penso che sarebbe bello se riuscissimo a mischiarci ancora di più, ma per questo ci vuole tempo”.

Concorrenza su internet: il cinema è a rischio?“La televisione, dissero, avrebbe segnato la fi ne del cinema. Le video-cassette, dissero, pure, così come i dvd o l’home theater. Lo stesso diranno con la prossima televisione in 3D. Per non parlare di internet. Ma il cine-ma come rito collettivo non è certo a rischio per l’ingresso nella società di internet. Questo perchè la qualità della visione sul grande schermo, in una sala con centinaia di altre persone che vivono assieme le stesse emozioni, non è surrogabile con internet”.

Concorrenza multisala: cos'è cambiato in città?“La città si è arricchita, o meglio la periferia. Dopo decenni di chiusure dei cinema in città fi nalmente un multiplex alle porte di Pordenone ha invertito la tendenza. Questo permette alla massa dei giovani in età adolescenziale di frequentare e consumare cinema. Non perdere l’abi-tudine ad uscire di casa per andare al cinema è fondamentale per la sopravvivenza della settima arte. Poi, con il tempo, l’adolescente affi na i suoi gusti e cambia anche genere di fi lm passando a prodotti più maturi, prodotti che sollecitano i neuroni. Ciò che vedo perciò non è concorren-za, ma osmosi. Del resto a nessuno verrebbe in mente di affermare che i concerti rock fanno concorrenza alla musica classica”.

Come mantenere alta la qualità dell'offerta alla luce dei tagli alla cultura?“Il punto centrale della questione è che fi n dall’inizio della nostra storia abbiamo utilizzato i fondi in maniera ponderata, per noi quindi i tagli ai fi nanziamenti pubblici rischiano di incidere direttamente sulle propo-ste, di scarnifi care le iniziative, di cancellare tutto quello che non ha un ritorno economico immediato come le retrospettive, le pubblicazioni, gli incontri con l’autore. In questo modo si mortifi ca un ammortizzatore socia-le determinante nella convivenza di una società civile, com’è appunto quello della cultura”.

In città è buona la qualità delle proposte mentre aumentano i luoghi della culturadi Milena Bidinost

“Da anni a fare cultura in città è il volontariato. L’amministrazione si è as-sunta solamente un ruolo di coordinamento, ma i veri protagonisti sono le associazioni”. Onore al merito ai numerosi sodalizi della città nelle parole dell’assessore comunale alla Cultura, Gianantonio Collaoni, che sposta in-vece l’attenzione su ciò che il territorio offre dal punto di vista logistico. “Por-denone – spiega – negli ultimi anni si è lentamente dotata di spazi adatti a ogni tipo di offerta. Ai luoghi storici e prestigiosi, come il teatro Verdi, il palazzo Mantica e l’ex Convento di San Francesco, se ne sono aggiunti di nuovi”. Inaugurata proprio il 5 giugno è la nuova biblioteca multimediale e multidiscliplinare di piazza XX Settembre, mentre prossimi ad aprire i bat-tenti, tra settembre e novembre, sono la nuova galleria d’arte moderna in Villa Galvani e lo spazio espositivo dedicato alla fotografi a di via Bertossi. A seguire è atteso anche il completamento dei lavori di recupero delle ex offi -cine Marson alle spalle del castello di Torre che sarà sede museale per l’Im-maginario scientifi co di Trieste. “Anche a guardare alle proposte, il carnet di eventi che in città viene preparato ogni anno – prosegue Collaoni – riesce a coprire interessi di ogni tipo, dalla musica al teatro e al cinema. Le poten-zialità per continuare a fare bene della buona cultura quindi – conclude – ci sono. La sfi da del futuro sarà piuttosto la necessità per le associazioni di abbandonare i personalismi e unire forze e risorse”.

Offerte per tutti i gusti

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Padova, qualche anno fa. Le feste di Natale si avvicinano e non ho an-cora ricevuto nessuna comunicazione; la speranza di tornare a casa ai domiciliari si fa sempre più debole e devo passare un altro anno e mezzo qui dentro. Devo trovare qualcosa da fare nel modo più assoluto. Già ma cosa? Lavorare è quasi utopia; le possibilità non sono molte e le richieste un’infi nità. Per i pochi corsi che ci sono idem. Chiedendo un po’ in giro vengo a sapere che la cosa più facile a cui accedere è la scuola, istituto di ragioneria. Dopo la solita trafi la di domandine ed attese varie, mi con-vocano per un colloquio e poi per delle “prove”. Morale: potrei anche fare il terzo anno ma purtroppo siamo già alla metà di febbraio e le lacune in alcune materie (le mie ultime frequentazioni scolastiche risalgono a 15 anni fa o forse più) non mi consentono il recupero entro la fi ne dell’anno quindi mi ritrovo al secondo. Il giorno stesso vengo trasferito di braccio e il seguente inizia la scuola. Anche se sei sempre in carcere, quella è una realtà diversa; frequenti la scuola e quindi esci dalla cella alla mattina per rientrare verso l’una per il pranzo; la metà della giornata la passi fuori e fai qualcosa di interessante. Con la scuola non ho avuto diffi coltà perché si trattava di nozioni che dovevo rispolverare e riallacciare, ma questo vale per me; la maggior parte di chi frequentava la scuola non era italiano e spesso mi trovavo ad aiutare i compagni che si perdevano su tante ma-

Parigi, dicembre 2009. L’acqua torna al pubblico, dopo 25 anni di gestione privata. Eau de Pa-ris calcola che così il Comune, e dunque la collettività, risparmierà 30 milioni di euro l’anno. Italia, 2010. Andiamo nella dire-zione opposta: il decreto Ronchi del 2009 stabilisce che dalla fi ne di quest’anno la gestione del ser-vizio idrico dovrà essere affi data a privati attraverso gara. Le so-cietà a totale capitale pubblico, che oggi gestiscono i servizi “in house”, potranno continuare a lavorare solo se diventeranno a capitale misto pubblico-privato, dove il privato sia scelto attraver-so gara e detenga almeno il 40 per cento.In Italia la privatizzazione della gestione idrica è iniziata con la legge Galli del 1994. Ma questa norma stabilisce che sia data priorità agli affi damenti diretti a società pubbliche, “in house”, rispetto alla messa a gara. Inve-ce, nell’Italia di oggi, la parola

Dalla fi ne di quest’anno l’acqua in Italia potrebbe non essere più pubblica. A Parigi, per risparmia-re, vanno nella direzione oppostadi Gino Dain e Elisa Cozzarini

SAREMO PRIVATI ANCHE DELL'ACQUA

è facile che perderanno anche la vita! Gli appelli di notte sono i peggiori: il gelo picchia sulle ossa, la stanchezza ti afferra per il petto e ti trascina a terra, e chi chiude gli occhi corre il rischio di non aprirli mai più!... –“…Considerate se questa è una donna / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricor-dare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inver-no… “La vita gira dentro un dito: a de-stra il forno creamatorio, a sinistra il lavoro. <Arbeit macht frei> (Il la-voro rende liberi): la fame strozza, la fatica uccide, la disperazione si chiama fuori! In quel luogo <sen-zadio> la morte degl’altri non è più un dispiacere, muoiono tutti, e tutti non hanno più un nome, ma solo numeri tatuati, e zio Vittorio li scandisce ogni giorno, tutto il gior-no…“Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpi-tele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Corican-doci alzandovi; / Ripetetele ai vo-stri fi gli. / O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca / I vostri nati torcano il viso da voi”Lo zio Vittorio è morto con la tuber-colosi degli internati, e dopo anni di sospiro, la zia Italia lo ha seguito. Io, per spiegare il 25 Aprile ai miei fi gli, gli ho regalato il libro di Primo Levi… “Se questo è un uomo”.

“privatizzazione” sembra essere il dogma per il futuro. Sono diven-tati privati molti servizi che fi no a poco tempo fa lo Stato, con i propri limiti, era obbligatorio a erogare al cittadino, a prezzi ac-

cessibili. I servizi demandati allo Stato sono un bene imprescindi-bile per la comunità e il nostro paese, che si dichiara democra-tico, alla resa dei conti, sta to-gliendo terra da sotto i piedi dei cittadini, senza che vi sia alcun motto vero di indignazione per le decisioni prese. O forse sì: il 24 aprile è iniziata in tutta Italia la raccolta di fi rme per un referendum sull’acqua pubbli-ca. In regione già 7.500 persone hanno aderito alla proposta per i tre quesiti abrogativi, di cui 1.000 in provincia di Pordenone. «Vo-gliamo togliere l’acqua dal mer-cato e i profi tti dall’acqua - sot-tolinea il Comitato promotore del Friuli Venezia Giulia - vogliamo restituire questo bene comune alla gestione condivisa dei terri-tori. Per garantirne l’accesso a tut-te e tutti. Per tutelarlo come bene collettivo. Per conservarlo per le future generazioni».Acqua, energia e istruzione, a nostro parere, essendo servizi ver-so la comunità, non sono priva-tizzabili. Si dice che il passaggio ai privati è dettato dall’obiettivo di ridurre gli sprechi nella distri-buzione, meno burocrazia, più effi cienza. Dicono che le bollette non potranno lievitare a dismisu-ra. Chissà se sarà così?Il terzo quesito referendario ri-guarda proprio l’aumento delle tariffe. Si chiede di abrogare la parte del testo che consentirebbe al gestore di caricare sulla bollet-ta dei cittadini un 7% a remunera-zione del capitale investito, senza alcun obbligo di reinvestire i gua-dagni per il miglioramento della qualità ed effi cienza del servizio. Meditate gente, meditate.

segue dalla prima pagina

Voi che vivete sicuri…

terie, non solo con l’italiano. La prima soddisfazione è stata nello scoprire che, nonostante la ruggine degli anni, le mie nozioni erano ottime. Questo mi ha permesso di fare conoscenza con un po’ di persone che aiutavo per motivi di studio e con un paio di loro di fare una bella amicizia. L’am-biente scolastico era particolare per un’infi nità di motivi. Se per certi versi si può accostare ad una scuola serale per l’età, per tante altre cose non credo esistano paragoni. Chi frequenta la scuola spesso deve passare lì dentro un bel numero di anni e questo diventa un modo per impegnare il tempo; se poi riesce ad arrivare al diploma meglio. Spesso succedeva che la scuola, quando subentrava qualche problema, venisse messa un po’ in disparte; la presenza era solo fi sica. Ma quasi tutti avevano un paio di ma-terie in cui si appassionavano (che spesso erano storia e diritto), quindi le lezioni non erano mai noiose né diventavano un monologo del professo-re. Ovviamente anche chi insegna lì dentro deve un po’ modifi care i suoi metodi di insegnamento, soprattutto perché le classi sono un miscuglio di nazionalità e per quanto bene spieghi un prof., gli italiani sono minoranza. L’ambiente in generale (le persone che frequentano la scuola sono tutte allo stesso braccio) era tranquillo e questo mi ha permesso di dedicare allo studio la gran parte delle energie. Quando c’erano i compiti in classe tante volte ci si trovava per studiare visto che quasi tutti ci tenevano a prendere un bel voto se era possibile, quindi non mancavano impegno ne “spirito di squadra”. Le lezioni di ginnastica (se non pioveva) erano al campo sportivo ed erano sempre partite a basket o pallavolo; erano i momenti più simili alla vita reale. La scuola era diventata il mio impegno principale come da ragazzo. Sapendo che il periodo da passare lì termi-nava prima che l’anno scolastico fosse fi nito, avevo preso la scuola con una tale serietà ed impegno che ho fi nito il programma su (quasi) tutte le materie con più di due mesi di anticipo. La soddisfazione è stata grande anche perché la media voto raggiunta era molto alta. Anche se il “posto” non era eccezionale, conservo un ricordo positivo di (quasi) tutte le ore passate a scuola ma anche dei tanti momenti passati a studiare perché oltre allo studio (e l’arricchimento personale) ho potuto conoscere o fare amicizia con delle persone.

CELOX

Non si fi nisce mai d’impararedi Manuele Celotto

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grandi patimenti e lunghe preghiere. Vi è poi un invidia nobile perché muore per donarsi, senza volere niente in cambio, e per questo va all’opposto dell’invidia che genera la morte. Quindi l’invidia è un terribile morbo dell’anima, ma l’invidia può an-che essere buona. Se si invidia con innocenza, con cuore da bambino, la vita dei santi, questa invidia desidera il bene in tutte le anime e i doni, per comprendere, discernere, vigilare e pregare. Se invidiare signifi ca possedere una virtù, un carisma, la radice, l’ispi-razione di questa invidia va cercata e giudicata severamente; se ciò che si vuole ottenere è un grande desiderio di condividere e ridistribu-ire con gratitudine ciò che si è ottenuto, senza compromessi, donando completamente se stessi, la radice è buona. L’invidia è un umiliazione che fa alzare la testa. Vorrei, è questo un desiderio mio, che in cielo dimenticassimo la parola invidia, con tutto il male senza fi ne che essa ha provocato, e che sa sprigionare in un attimo nei nostri affetti. Invece, tutti coloro che si sentono invidiosi ma in modo benevole, chiamino pure il loro sentimento ammirazione. Perché ciò che è ammirato, fa nascere il desiderio naturale di essere imitato.

L’invidia è un sentimento nascosto che uccide l’anima e la rende triste e la induce a tristi tentazioni; una morte che genera morte continua nell’animo, quando il desiderio di diventare come la persona ammira-ta, con l’occhio dell’invidia, rende l’animo inquieto e inappagabile. Da qui l’invidia diventa un moto nascosto nell’animo, che studia mille pos-sibilità per raggiungere l’appagamento desiderato, la soddisfazione di essere fi nalmente come la persona ammirata. Oh! Che triste sentimento, che prende licenza di sentire mille pensieri in modi oscuri per ottenere con la nostra volontà il bene che possiede un anima, un uomo, una donna. L’odio divide, l’amore unisce, e l’invidia è un moto tra questi due che è omicida, ma che può essere motivo di

C’è un aforisma dell’antico saggio cinese Lao Tze: "Quello che il bru-co chiama fi ne del mondo, il resto del mondo chiama farfalla". Inter-pretare ciò che accade è forse più importante dell’accadimento stes-so, perché dà il senso di ciò che sta succedendo. Una ricerca di senso oggi ci è più che mai necessaria, in un mondo che va alla deriva. Inquinamento, guerre, corruzione dilagante, graduale riduzione del-la democrazia, speculazione che porta recessione, tanta comuni-cazione e tanto isolamento... Che amarezza, se ci guardiamo intor-no. Il saggista e poeta Marco Guzzi esamina questa deriva e la coglie come fragilità: la modernità ha messo in crisi ideologie e credenze religiose, adesso è in crisi lo stesso strumento critico: non c’è più una fondazione razionale alla nostra vita, mancano signifi cati condivisi. Ci prende il senso del vuoto e c’è allora chi vorrebbe ritornare al pas-sato e diviene fondamentalista, chi invece si rassegna a vivere accon-tentandosi delle piccole concrete gratifi cazioni che può raggiunge-re. Ma la crisi si può davvero supe-

MONDO ELPY

I due volti dell’invidiadi Mauro La Placca

L'ANGOLO DELLA FRANCA

TRASFORMAZIONI

"Quello che il bruco chiama fi ne del mon-do, il resto del mondo chiama farfalla"di Franca Merlo

rare solo vivendola fi no in fondo. Comprendendo che la fi gura di umanità che sta tramontando in questa nostra cultura occidenta-le, deve tramontare. Perchè, dice Guzzi, “ciò che sta tramontando è il nostro io bellico, quella modalità di essere umani, di costruire la nostra identità (sessuale o religiosa o po-litica) contrapponendoci polemi-camente all’altro da noi: odiando, separandoci, escludendo, facendo insomma la guerra. E’ questa la fi -gura di umanità che sta tracollan-do dentro e fuori di noi. Questo è il segno più grande di questi tempi. Questo è il segno da capire. Tutto ciò che in me si regge sulla sepa-razione, sull’autosuffi cienza, sulla chiusura autorifl essa, sta misera-mente mostrando la propria nullità essenziale. Questo è il senso evolu-tivo del nichilismo. E tutto ciò che a livello storico-culturale e religioso abbiamo costruito su quella forma mentis ego-centrata, escludendo e uccidendo l’altro, sta crollando e crollerà fi no in fondo.” Si fa sempre più strada la convinzione che non si può andare avanti così, pena l’autodistruzione. Da questa perdi-

ta, compresa e accettata, può na-scere qualcos’altro. E’ necessario morire come bruco, per diventare farfalla. Guzzi si domanda: abbia-mo un modello di questa dina-mica, dove si mostri che l’estrema fragilità costituisca il luogo di nasci-ta di nuovo Uomo? “A me sembra che i misteri della Pasqua non ci parlino d’altro. Tra il venerdì santo e la domenica di Pasqua l’essere umano si trans-fi gura infatti proprio attraversando la crisi defi nitiva di ogni pretesa di autosuffi cienza. In tal senso la disperazione odierna può essere il luogo propizio di un passaggio di umanità… la porta stretta della trans-fi gurazione.” ”Le donne e gli uomini di oggi hanno bisogno (…) di percepire in questa fi ne ineluttabile il fresco e profuma-to respiro di un Ricominciamento. Hanno bisogno di un annuncio credibile della Pasqua, che ci sap-pia dire nelle nostre concretissime situazioni: “Sì, una forma della tua personalità si sta sfaldando, un certo modo di essere maschio o femmina non ha più senso, una certa modalità di essere cristiano o musulmano o buddista sta letteral-mente scomparendo, determinati modi di essere (…) di sinistra, di destra etc. sono svuotati di senso, sono maschere vuote ormai, ma-schere mortuarie. Ma tutto ciò è un bene. Ti stai liberando di infi nite illusioni, presunzioni, arroganze, egoismi inconsci. Stai crescendo. Non avere paura. La tua fragilità, perfi no la tua disperazione, sono il luogo privilegiato del mutamento (…) Ciò che c’è di buono non an-drà mai perduto. Al fondo di ciò che può sembrare un fallimento c’è l’invenzione di Dio, la sua cre-atività, la sua bontà, il suo disegno che vuole fare di te ben altro rispet-to a tutto ciò che tu credi di essere e che continui disperatamente a difendere.” ”Io penso che se sapre-mo trasmettere questo messaggio, che è davvero una buona notizia, il Vangelo sarà compreso e accol-to ad un nuovo livello, proprio at-traverso la grande crisi pasquale che stiamo attraversando.”

CODICE A SBARRE

In redazione c’è stato recapitato a mano questo scritto indirizzato a Bchatnia, il ragazzo di cui ab-biamo pubblicato una lettera nel numero scorso di Ldp. Ne diamo opportuna pubblicità.

Ciao Bchatnia ho 43 anni e sono italiana. Ho passato vent’anni in quello che tu chiami tunnel della droga, ne sono uscita ed anche da tanto, ma mi sono infi lata in un altro: quello del metadone, altra bestia nera da combattere. Abito in un paesello bello bello ma con la gente che parla parla, con un pseudo fi danzato che pic-chia picchia ed una mamma che amo amo, ma che non mi vuole più. Leggo tanto, forse troppo, e scrivo per un paio di settimanali nazionali che ormai pubblicano i miei scritti da 10 anni. Vado da racconti d’amore strappa lacrime, a febbrili vicende di fantomatici personaggi cibernetici che mi in-trippano più del lettore, tutta farina del mio sacco e della mia mente contorta. Sono le 5 del mattino, caffè caldo tv al minimo il cane ai miei piedi il cuore batte il giorno nasce.. ed il mio aguzzino è di la che dorme e fa il padrone anche con i cuscini: tutti a terra. Pazienza questa violenza sta per fi nire. Pen-sa che per 8 anni ho pesato più di cento kg, ora dopo solo sei mesi di distacco da “lui” sono tornata al mio peso originale di 51. Nessu-na dieta, i chili se ne sono andati senza che cambiassi una virgola della mia vita, a parte l’averlo abbandonato. E nonostante per forza maggiore sia tornata da lui non ho rimesso su neanche un etto. L’auto stima è cresciuta ed anche il senso di inadeguatezza è sparito. Anche aver scritto questa lettera mi ha fatto bene e spero che ti tenga compagnia, che muri porte e sbarre svaniscano presto. Ora mi accoccolo sul divano col mio esserino peloso, spengo la luce chiudo gli occhi e aspetto che il giorno si faccia.

Lettera fi rmata

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L’unico elemento che accomuna una tazzina di caffé del commercio equo e solidale ad una di una qualsiasi marca da supermercato è la provenienza. Non un solo chicco di caffé, infatti, è prodotto nei paesi occidentali. Tutto il resto è una questione di percentuali. Nel commercio tradizionale, circa il 90 per cento del costo del caffè si ferma nel Nord del mondo. Solo il 10 per cento fi nisce nel Sud del mondo e al contadino va solo il 3 per cento del prezzo totale, una percentuale che copre a ma-lapena i costi di produzione. La parte che fi nisce nel paese produttore, infatti, viene divisa tra più attori: l’esportatore, il grossista, la fabbrica che si occupa della lavorazione. E noi consumatori fi nali paghiamo un prezzo al dettaglio di ben sette volte più alto rispetto a quello pagato ai paesi produttori. Il commercio equo, invece, punta a una logica opposta: instau-ra collaborazioni dirette con i produttori, senza intermediari, e garantisce rapporti duraturi e prezzi stabili, calcolati in base al costo di una vita di-gnitosa nel paese produttore. Di un pacco di caffé del costo di 2,95 euro, il 32,8 per cento va al contadino: una bella differenza, sia per noi che lo consumiamo, sia per i piccoli coltivatori del Sud del mondo.

Quando bere un buon caffè non è solo una questione di gusto

La prima casa del commercio equo e solidale a Pordenone è stata un piccolo negozio in via Gorizia, una laterale di corso Vitto-rio Emanuele. Alla fi ne degli anni ’80 un coordinamento di gruppi per la pace, di diversa estrazione politica e religiosa, comincia a organizzare eventi sui temi della pace e campagne di sensibiliz-zazione sui paesi più poveri del Sud del mondo. È’ in occasione di queste iniziative che vengono proposti alla città anche i primi prodotti del commercio equo e solidale. La risposta della gente è positiva ed emerge la richie-sta di una presenza continuativa sul territorio, così nel 1990 nasce l’idea di creare un’associazione con lo scopo di promuovere a Pordenone e provincia i principi e i prodotti del commercio equo. Apre solo alcuni giorni la settima-na, in base alla disponibilità di tempo dei volontari.La bottega, come altre in Italia, nasce infatti come un’esperienza

Commercio equo e solidaleNasce in Europa negli anni ’60, con lo scopo di stabilire rapporti com-merciali più giusti con i paesi poveri. La prima centrale italiana di im-portazione del commercio equo e solidale, Ctm Altromercato, nasce nel 1988 a Bolzano. Oggi è un movimento globale che coinvolge oltre un milione di piccoli produttori e lavoratori, più di 3.000 organizzazioni di base in 50 Paesi nel Sud del mondo. In Italia i prodotti del commer-cio equo si possono trovare in alcuni supermercati e nelle 350 Botte-ghe del Mondo, socie del Consorzio Ctm Altomercato, Il commercio equo opera nel maggior rispetto del benessere sociale, economico e ambientale dei piccoli produttori del Sud del mondo: questi ultimi sono sostenuti nello sviluppo delle proprie abilità e nella consapevo-lezza dei propri diritti, rispettando le tradizioni artigianali, agricole e culturali dell’ambiente in cui vivono, e promuovendo un ambiente la-vorativo sicuro e salutare, libero da ogni forma di discriminazione so-ciale. Ricevono una retribuzione equa, ovvero concordata tra le parti tramite il dialogo e la partecipazione, considerata equa dai produttori stessi e sostenibile per il mercato. Per saperne di più www.altromercato.it

di puro volontariato. Solo suc-cessivamente, quando cresce la vendita dei prodotti e la gestione si fa sempre più complessa, si de-cide di assumere dei dipendenti. Così, nel 1994, viene fondata la cooperativa “L’Altrametà”, per se-guire gli aspetti più propriamente commerciali e fi nanziari. Il nego-zio prosegue il suo cammino tra-sferendosi in via della Motta, al numero 18. «I volontari continua-no ad avere un ruolo fondamen-tale - spiega l’attuale presidente, Cinzia Florean - . E’ anche grazie al loro contributo che si riescono a mantenere prezzi equi per il consumatore e per i produttori, riducendo i costi di distribuzione. Sono loro i primi promotori e testi-moni dei principi che animano il commercio equo». Fare commercio equo e solida-le non signifi ca solo vendere: è necessario promuovere la cono-scenza delle dinamiche di pro-duzione e distribuzione a livello globale, informando sugli squili-

bri economici tra Nord e Sud del mondo, per scardinare i mecca-nismi di sfruttamento economico dei paesi più poveri. Negli anni “L’Altrametà” si è impegnata a promuovere campagne informa-tive come quella contro il debito e quella contro l’impiego di lavo-ro minorile. Ha organizzato incon-tri sul tema della fi nanza etica e ha attivato progetti nelle scuole primarie e secondarie sull’educa-zione allo sviluppo e sull’intercul-tura. L’associazione “L’Altrametà” ha continuato a esistere, accanto alla cooperativa che gestisce la bottega, proprio per promuovere queste iniziative di informazione. In vent’anni di attività, inoltre, circa quaranta produttori prove-nienti da diversi paesi del Sud del mondo, dai produttori di carcadè del Kenya a quelli di cacao della Bolivia, dai designer della bigiotteria messicana alle tessitrici degli slums della perife-ria Mumbai (India), sono passa-ti per Pordenone per portare la loro testimonianza e raccontare del loro paese, della loro cultura, della loro cooperativa, del loro rapporto con le organizzazioni del commercio equo. Nel 2001 "L’Altrametà" cresce an-cora e si trasferisce in un negozio più ampio, sempre in via della Motta, ma al numero 12. Si forma

anche un nuovo gruppo di volon-tari e apre la bottega di Sacile. Dagli inizi del 2000 a oggi, il com-mercio equo in Italia è cresciuto molto e si è ampliata l’offerta dei prodotti, dall’alimentare (caffè, tè, cacao, frutta secca e frutta fresca, legumi, cereali), all’oggettistica, al tessile per la casa (ceramiche, tovaglie, tendaggi, lampade), all’abbigliamento e alla recente linea di cosmetici. «Questa crescita ha spinto L’Altra-metà a tentare una nuova sfi da: ci siamo ingranditi ulteriormente, aprendo un nuovo spazio di ven-dita in viale Martelli – prosegue Florean - Il negozio è molto più grande e la posizione permette di dare maggiore risalto e visibili-tà ai prodotti del Sud del mondo e alle nostre attività». Oggi “L’Al-trametà” ha in tutto quattro di-pendenti, per le botteghe di Por-denone e Sacile. Accanto a loro, i soci volontari continuano a svol-gere un lavoro insostituibile: sono cinquanta persone che a titolo gratuito si mettono a disposizione, chi prestando un turno in botte-ga, chi occupandosi di sistemare e riordinare il magazzino, chi or-ganizzando banchetti e vendite sul territorio, chi dedicandosi alle iniziative culturali e agli incontri nelle scuole.

Dal 1990, L'Altrametà promuove uno stile di vita contro lo sfruttamento dei paesi poveridi Alessandra Gabelli

VOGLIO ESSERE CONSUMATORE EQUO E SOLIDALE

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Dall’istante in cui entri a El Ceibo il profumo di cacao ti inebria e ti segue da un uffi cio all’altro, fi no ai laboratori della storica cooperativa. Sono nella periferia più povera di La Paz, la capitale della Bolivia, nella fabbrica dove lavora Bernardo Apaza. È forte l’emozione di ri-trovare una persona conosciuta anni prima, e che mai avrei pensato di rivedere, ed è intensa anche l’emozione di vedere con i miei occhi quello che c’è dietro ai prodotti che noi volontari del commercio equo vendiamo dall’altra parte del mondo. Ogni anno uno o due produttori vengono a visitare le botteghe italiane. È importante che vedano dove sono commercializzati i loro prodotti e per noi volontari è utile ascol-tare la loro esperienza. Bernardo venne a Pordenone nel 2004. Così, quando tre anni fa, volai in Bolivia per un’esperienza di volontariato, mi venne l’idea di andarlo a trovare sul posto di lavoro. Neanche il tempo di rifl etterci su, che in una stradina di La Paz mi imbatto proprio in un negozio de El Ceibo. Entro, spiego alla commessa che sono una volontaria italiana del “comercio justo” e che vorrei rintracciare Bernar-do, così lei mi dà le indicazioni per incontrarlo. Chiamo, mi presento e ci accordiamo per vederci qualche ora dopo. Per raggiungere la fab-brica prendo un “micro”, un furgoncino di trasporto collettivo, diretto a El Alto, la parte alta della città dove le case si affastellano una sull’altra. Qui, nella strada principale, non in una zona industriale come mi sarei aspettata, si trova El Ceibo. In questa fabbrica si produce il cacao per il mercato interno, mentre all’estero si esportano le fave di cacao, che

In Bolivia, tra i profumi di cacao de El CeiboNei laboratori della storica cooperativa della periferia di La Pazdi Alessandra Gabelli

La signora Antonia la potrete trovare ad accogliervi dal ban-co del negozio di viale Martelli 6, attuale punto vendita della cooperativa "L’Altrametà". Il suo apparire non stona con i grazio-si articoli che la circondano, e

vengono lavorate e trasformate in cioccolato negli stessi paesi dove il prodotto fi nito è venduto. Le fave provengono dalle piantagioni della zona amazzonica della Bolivia, una regione dove è molto diffuso lo sfruttamento dei lavoratori da parte degli intermediari. El Ceibo ha re-almente cambiato le cose per ottocento famiglie di campesinos, com-mercializzandone i prodotti all’estero grazie al commercio equo e soli-dale. La visita è l’occasione per Bernardo di ricordare le tappe di quei dieci giorni intensi in giro per l’Italia e per me di sentire più forte questo legame che unisce Sud e Nord del mondo, attraverso un commercio che a molti sembra utopico, ma che concretamente fa la differenza.

Da tredici anni Antonia fa la volontaria per la cooperativa. È lei che oggi accoglie il cliente nel negozio di viale Martelli

di Guerrino Faggiani

spenderà volentieri due parole sulla biodiversità e il commercio equo solidale con i neofi ti curio-si di spirito, che entrano a dare un’occhiata. Antonia è una dei volontari che mette a disposizio-ne il suo tempo per la cooperati-

va. E’ la fedelissima del gruppo, dato che la sua collaborazione è iniziata tredici anni fa.

Chissà quanti operatori avrà visto passare in questo tempo. Che genere di persona sceglie di fare volontariato da voi?I volontari sono soprattutto ra-gazzi Possiamo dire che il dato prevalente del nostro opera-tore è la giovane età. E’ in ge-nere preparato ben motivato e di buona cultura, e solitamente donna. Per quanto mi riguarda, è stato da mio fi glio che ho rice-vuto la folgorazione. Lui gestiva un banchetto equo solidale per l’oratorio, fui arruolata un Nata-le e da allora da questo mondo non mi sono ancora congedata. Ho sempre amato viaggiare e lo faccio ogni volta che posso. Ovunque vado ne approfi tto per assecondare la mia passione e per cercare con i miei occhi, pro-dotti e manufatti fuori dai circuiti di massa. Con i clienti del nego-zio, così, mi ritrovo a parlare del-la cooperativa di sole donne di Gujant, nell’India, che tanto mi sta a cuore. Oppure dei fi ori che mi sono rimasti impressi, fatti a mano con materiali inusuali da un’altra comunità”.

In altre parole serve passione. L’equo solidale è un commercio che permette a comunità locali dei paesi poveri di sottrarsi allo sfruttamento e alla legge della distribuzione delle corporazio-ni, immettendo i loro prodotti direttamente sui nostri scaffali

senza intermediari“Infatti, la fi losofi a della coopera-tiva non è la carità, ma l’acqui-stare il prodotto pagandolo per il suo reale valore, dando loro così anche la dignità e l’orgoglio di guadagnarsi da vivere con il lavoro delle proprie mani. Nel nostro negozio sono innumere-voli gli articoli: dall’artigianato agli alimentari, dalla cosmesi e l’editoria a articoli per nozze e cerimonie. Particolarmente vivo il laboratorio interno di bombo-niere che, visto il successo ottenu-to, richiede un impegno partico-lare in energie. Come riesce un volontario a conciliare il tempo con gli impegni e la famiglia? Semplicemente assecondando la sua passione e il piacere che essa sa dare. E poi è meglio la-vorare qui che non a casa".

"Ho scoperto il valore dell'altra metà del mondo"

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“Cossa falo quel la? Chi che le?” In mezzo al niente in una stradina bianca della Meduna tra canne alte di mais e sotto il sol leone, con la mia bici stavo guadagnando strada verso il paese. Un tipo in lontananza poggiato con i gomiti sulla capote della sua Panda stava chiedendo troppo al tele-fonino che strapazzava tra le mani. Man mano che mi avvicinavo vedevo sempre più chiaro che la Panda pendeva verso il ciglio della strada in modo esagerato. “Ardito come parcheggio, aaa.. ma lè dentro el foss.” Le due ruote destre erano dentro uno scavo stretto ma fondo seminascosto da erba incolta. Il tipo accortosi di me fermandosi ridette un futuro al tele-fonino e cominciò a guardarmi. Vidi che la sua curiosità diventò stupore e un sorriso gli accese il volto. Lo guardai bene.. “Ma varda.. ma quel li lè.. porco bestia vara chi che lè!”Ou Stefano l’atu messa cusì in parte par via del trafi co?Tasiii.. stavo ciolendo el telefono sul sedil in parte.. croc dentro el fossE no te riesi più a vignir fora?Macchè!Ma atu visà qualchi dun par telefono? Vegnelo a tirarte fora?Mah.. sto stupido de telefono qua nol funsiona nientVara che piomba che te ga.. par forsa nol funsiona! Vutu che fasso mi?Ou.. ho fat par cior el telefono.. croc dentro el foss. A lè maledetto, el cede de colpoDame qua dai, ciamo miNo no, peta.. eco eco.. pronto? Chi elo? A giusto son mi che ciamoOu Stefano ara chel riva un gippon. Sto qua el te tira fora come nientCosa?Vara un gippon Aaa speta.. ma mi lo conoso sto qua, si si lè lu!Dal fuori strada ormai fermo a quattro passi da noi una faccia uscì dal fi nestrino. Elo cussì che se parcheggia?Ou.. ho fat par cior el telefono.. croc dentro el fossLa faccia rientrò e disse qualcosa ad altre facce. Come risposta le portiere si aprirono e tre tipi sorridenti scesero. Me par che l’ultimo bicer el te gà fato malCome fatu a saverlo?Perché lè sempre cussì, lè sempre l’ultimo chel te frega, quei prima noi conta (?!) ti te gà da eser el più inteligente quaGatu na corda? Un traino qualcossa?Gò bira! Dai che se fasen na bira.. ciapè qua. Vara gò anche formaioDal cofano della panda apparirono: una motosega con tanica di benzi-na, un quarto di forma di formaggio ed uno scatolone di birra.Vedo che te gà viveriStavo andando a taiar legne qua de la boschetaTe pol star fora tre giorni co tuta sta roba qua Ciapa un toc de formaio, lè bon, senti mo..

Bon veramenteEi vardè un trator. Quel li l’ha sicuro qualcosa, vutu che un trator nol abi drio na cadena na robaVaraa.. a lè Toni Meloc col fi ol. Ei toniiCosssa sucedelo qua?Ou.. ho fat par cior el telefono.. croc dentro el fossToni atu qualcossa par tirarla fora?Gò un toc de cadena coi ganci se te volOro oro, ei riva n’altra machinaAh lè i me amici, quei del telefono Comincia a esser frequentà sto postoBon giorno a tutti. Cossa atu combinà qua? Sotu andà dentro el foss?No te scampa niente a! Ti invese te ga da eser el più scaltro. Ciapa qua, meti in boca un toc de formaio che lè meioNo noCiapè anca na biraOu dai che la gò ganciada, dai che la tiremo fora, monta dentro Stefano chel va in retromarcia col tratorPronti quaDai che la vien, dai dai.. eco. Bon bon te son foraIn che senso?No digo co la machinaAa.. ciapa qua na bira, ciapè qua formaioStefano tirete in parte che lè na machina che là da pasarMa lè un dei Buranel, quel li lè quel chel lavora ala Sanussi. Eila Buranel Sa elu u chi, na fi esta?Ou.. ho fat par cior el telefono.. croc dentro el foss Ee, chel fosal u li a leis propitu..Giust! A lè proprio giust pa andà dentro, a lè maledeto, el cede de colpo Ma no tu has neancia frenat!Ou.. ho fat par cior el telefono.. ciapa qua na bira No no, hai da si a ciasaDai ciapa qua!No voi vado via. Ma stait atens che ve ten de uoli Lè andà via.. a lè andà via veramente! Quel li l’ha chiuso co mi, no lo saludo più. Ciapè qua formaioBon ades vado via anca mi, devo ingrasar el tratorCiapa n’altra biraNo vado via se vedemo, va pian e sta a destraOu, come sta a destra? Più a destra de cussì!? Andemo via anche noi va, lè meio, che qua la ga ciapà na bruta piega, so gia mi come che la va a fi nir, meio che andemoBon anca noi lora, se vedemoAlla prossima adunata, gavenio da spetar tant Stefano? Ou.. gò fat par cior el telefono..Quel giorno ho ribevuto una birra dopo tanto tempo che non lo facevo, e non l’ho fatto in occasione di chissà quale grande evento, ma con una compagnia creatasi dal nulla in pochi minuti e scioltasi in altrettanti. Ci siamo trovati in mezzo al nulla, tutta gente con cui ci si era persi di vista e per incredibili coincidenze ci siamo ritrovati quel giorno, quel momento, in mezzo alla Meduna. Quale migliore occasione per bere una birra, man-giare un po’ di formaggio buono e fumare una sigaretta. E poi.. potevo non farlo? Stefano me l’avrebbe permesso?

EL CANTON DE GUERI

Ou... go fat par cior el telefono

PANKA A SCUOLA

Gli alunni della 2Aso dell'Istituto Flora all'indomani dell'incontro con i Ragazzi della Panchina

A LEZIONE DI VITA

“Sentendo parlare i ragazzi delle loro esperienze siamo riusciti a percepi-re la loro fragilità e quindi anche perchè hanno fatto questo. Ci sarebbe-ro molte altre cose da scrivere ma sono diffi cili da spiegare e con queste poche righe volevamo ringraziare i ragazzi dell'associazione per aver avuto il coraggio, la voglia e la pazienza di raccontarci le loro storie che ci sono servite da insegnamento. Grazie”.

Cristina, Giada, Gilda, Laura,Maicol e Susi

“È stato molto istruttivo perché al contrario di quello che pensiamo, anche le sostanze che noi consideriamo “droga leggera”come la canna creano indipendenza. È stato interessante ascoltare le loro vite e tutte diffi coltà vissute mentre si drogavano e quando si disintossicavano. Infi ne abbia-

mo capito che ci si può divertire senza sostanze che possono rovinare la vita”.

Linda, Sara e Jennifer

“Noi siamo liberi di fare ciò che vogliamo nella vita ma ci sono scelte che è meglio non fare e la droga è una di queste perchè se non si riesce ad uscire da quel giro il prima possibile c'è il rischio di esagerare con le dosi e morire; infatti una scelta e anche quella di smettere e accorgersi che la vita è bella senza fare scelte fare che continuando a ripeterle possono rivelarsi dannose”.

Kevin, Serenella, Anna, Giulia, Cristina, Alex, Laura e Cristian.

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L'APPROFONDIMENTO

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NOI .... GIOVANIdi Luca Marian

Chi sono i giovani di oggi? Qual è il loro aspetto, le emozioni che colorano i loro pensieri, le bussole che scelgono come orientamento? Sono domande che in occasione di questo approfondimento di Ldp abbiamo deciso di girare, sottoforma di questionario, direttamente ai protagonisti della nostra indagine: ovvero i ragazzi dai 15 ai 25 anni che vivono nella nostra pro-vincia e che abbiamo incontrato in diversi contesti, dalla scuola al centro di aggregazione, dalla stazione delle corriere alla sede della nostra asso-ciazione. Un campione di risposte di cui nelle pagine successive abbiamo scelto di pubblicare quelle più signifi cative, lasciando ai ragazzi la parola e al lettore l’interpretazione della stessa. La domanda non è di certo origi-nale, dato che chi siano i giovani se lo sono chiesto puntualmente tutte le generazioni una volta diventate adulte, quasi a voler segnare un confi ne tra “noi” e “loro”. Ciò che cambia sono le defi nizioni, gli interessi, l’interazione con il tessuto sociale e sicuramente il sentire. Chi sono dunque gli hippy, i rocker o i mod, i punk o i paninari, i dark o i gabber, i grounger o i metal-lari del 2010? In modo semplicistico con la parola “Truzzo” si può indicare una persona appartenente alla cultura moderna "house" o una persona amante delle discoteche, della musica techno e, negli ultimi anni, anche chi predilige macchine con elaborazioni o impianti audio modifi cati. Gli “Emo”, d'altra parte, ascoltano di solito musica alternativa e anch'essi pre-stano molta attenzione al look, che è androgino, con frange asimmetriche e trucco sugli occhi per entrambi i sessi. Nella lettura dei circa 60 questio-nari consegnati il look, appunto, è risultato un elemento da sottolineare: il defi nirsi in base all'aspetto e allo stile piuttosto che alle idee sottostanti (“Io sono Truzzo perchè me lo sento dentro, e soprattutto dagli abiti che porto...”). L'elemento fondamentale sembra il basarsi sull'esteriorità nell'argomenta-re la maggior parte delle questioni poste, ad esempio la descrizione di sé, descrivendosi a prescindere dai propri obiettivi di realizzazione attraverso il

modello scelto, spesso, inoltre, facendolo per negazione (“sono Truzzo per-chè non mi piacciono gli Emo...”). Per questo motivo persone non particolar-mente attente al proprio look, o non simpatizzanti per l'una o l'altra “cultura” si sono spesso espresse in modo molto sintetico, dando la sensazione di non volersi raccontare ad un livello “altro” rispetto a quello di adesione ad un determinato canone suggerito dalla tendenza del momento. Le risposte si sono talvolta dimostrate sintetiche, inoltre, probabilmente anche perchè i giovani d'oggi non si sentono in generale portatori di un desiderio di co-municare un cambiamento che trascenda il proprio “guscio vitale”. Assor-bono ciò che basta al proprio vedersi allo specchio in modo ammiccante e convincente. In questo trova forse ragione d'esistere il diffuso disinteresse per la politica, per la religione, per la lettura di quotidiani, in favore di mezzi (internet, facebook) con i quali amplifi care la sensazione di poter entrare in contatto con il mondo intero restando seduti in camera propria. Forse anche i giovani respirano un'aria in cui non c'è sudore e bandiere che sventolano, ma uno strisciante qualunquismo, i mille click di un mouse e tanta velocità, diventata, per assurdo, quasi paralizzante. Insomma la dittatura dell'immagine sta svuotando di contenuto e di propositività l'agire dei giovani? Davvero i giovani d'oggi sono diversi da quelli di un tempo? Potrebbe sembrare, anche se forse è un'illusione ottica. Ogni società è in evoluzione, ed è quasi ironico e dolce vedere come i giovani siano nello stesso tempo motore del cambiamento e ansiosi segugi timorosi di rimane-re indietro. Forse anche oggi i giovani semplicemente cercano un modo per rispondere alle domande di sempre, che tutti ci siamo posti in tutte le epoche, vestendo nei colori degli abiti una qualche verità sussurrata incon-sapevolmente, come il desiderio di essere protetti da un mondo che alza l'asticella, tutto questo aggrappandosi ad un treno che pensano di sicuro non passerà più, ma che, probabilmente, l'ultimo non sarà.

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... quelli del nuovomillennio

ALEXANDRA 17 anni di Azzano Decimo

Di nazionalità rumena, studia al liceo psico-pedagogico. Si allena a pallavolo due volte alla settimana, ha il fi danzato e nel tempo libero ascolta musica e legge. Tra i suoi interessi c’è la religione e l’attualità: ama infatti tenersi aggiornata grazie ai mass media. Quanto invece alla politica, confessa: “Proprio non mi piace”.

Ti senti più Truzzo o Emo e perchè?Sinceramente non mi sento particolarmente né l'una né l'altra, però ho più dell'Emo poiché sono una ragazza solitaria, che ama i propri amici per cui farebbe di tutto. Certo non mi deprimo però mi piace pensare alla mia vita e a ciò che mi appartiene.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazione di oggi?I mezzi di comunicazione mi legano al mondo che mi circonda, che non conosco, che magari vorrei conoscere meglio e non ne ho l'occa-sione o l'opportunità. Mi sento parte di questo universo, e so cosa e chi mi circonda.

Pregi e difetti degli adulti?Sanno consigliarti e aiutarti quando ne hai bisogno, visto che le loro esperienze le hanno già fatte. Difetti? A volte dimenticano di essere stati anche loro giovani.

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Da grande?? Ho tanti sogni, diciamo che ho sogni XXXXL. Vorrei di-ventare mamma e moglie, avere una famiglia felice e unita, basata e fondata sull'amore e sulla fi ducia. Ecco come mi vedo da grande: spo-sata con il ragazzo che amo e mamma. Sul profi lo lavorativo mi vedo come psicologa per bambini o disabili. Voglio avere un futuro felice e tranquillo, so che ci saranno momenti diffi cili, ma vicino a coloro che amo e mi amano ce la posso fare.

CLAUDIA, 15 anni di Valvasone

E’ studentessa all’Istituto d’arte. Dice no a tutto: non pratica sport, non hai il ragazzo, non si inte-ressa di politica né di religione. A volte le capita di vedere un notiziario e in assoluto le piace dormire.

Ti senti più Truzza o Emo e per-chè?Emo anche se mi defi nisco alter-nativa, ascolto rock, punk metal e anche emocore, non mi piace il modo di essere dei Truzzi per-chè non mi piacciono le disco e perchè per me sono fatti tutti con lo stampino, cioè sono tutti uguali. Gli Emo invece si vesto-no meglio, hanno uno stile più personale.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunica-zione di oggi ?Seguo la Tv (mi piace Mtv) e na-vigo su internet. Secondo me la vita oggi con internet è più sem-plice. Adesso è più facile avere amici, ma spesso sono falsi ami-ci, perchè con internet non cono-sci le persone veramente.

Pregi e difetti degli adulti?Gli adulti sono rimasti indietro, non capiscono che siamo nel 21° secolo e che chiunque può vestirsi come vuole senza che gli altri giudichino. Non è giusto che gli adulti pensino male dei propri fi gli. Gli adulti non hanno pregi, sono solo dei rompiballe.

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Non ho un'idea del mio futuro e penso che non l'avrò per tanto, ma di certo non mi vedo né spo-sata né con fi gli.

FEDERICO, 22 anni di Porde-none

E’ disoccupato, single, bicicletta e ginnastica sono gli sport che di solito pratica, la moto uno dei suoi hobby. Di politica non si interessa, così come nemmeno di religione. In questo caso però dice: “Ho una mia concezione e mi considero di mentalità aperta”. Ogni tanto gli capita di vedere un Tg.

Ti senti più Truzzo o Emo e per-chè?Mi sento più Truzzo. Secondo me essere Truzzo è principalmente uno stile di vita basato sul divertimento senza pensare troppo al futuro e avendo questa leggerezza anche nel rapportarsi con le persone. Ci piace andare alle feste con della musica “spinta” e ballabile e co-noscere ragazze. Gli Emo non mi piacciono. Sono dei gruppi di per-sone all’interno dei quali le distin-zioni sessuali sono meno marcate e c’è maggiore ambiguità nei com-portamenti, ad esempio anche a livello di look: smalto, trucco, tintu-ra per capelli anche per i ragazzi, frange enormi, capelli sparati in aria...Tutto questo mi sembra una forzatura nel modo di apparire. Non condivido questo modo che loro hanno di esprimere le emo-zioni, ad esempio nella sofferenza e nel pessimismo.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazio-ne di oggi?Internet la vedo come un’opportu-nità di conoscere nuove persone per poi incontrarsi. Secondo me in-vece non è una cosa positiva usa-re il computer come un modo per rifugiarsi in un mondo virtuale. Sui giornali e la tv mi sembra tutto en-fatizzato per far notizie e vendere.

Pregi e difetti degli adulti?Un difetto degli adulti è che spesso pensano di avere una maggior for-za nel sostenere le proprie opinioni solo in base alla loro esperienza e alla loro età. Nonostante questo mi trovo bene con loro perchè le loro maggiori esperienze sono fonte di insegnamento.

Come ti vedi da grande, cosa vor-resti diventare?Un signore “pien de schei”. Fare di uno dei miei hobby o passioni la mia professione, ad esempio per-sonal trainer o istruttore di qualche sport. Mi piacerebbe anche aprire un locale, dove ci sia ogni sera il pienone, per stare in mezzo a tan-ta gente. In futuro mi piacerebbe diventare papà, e avere un “bel pezzo di moglie”.

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ALEX, 18 anni di Brugnera

Attualmente è in cerca di un lavo-ro e quanto alle donne si limita a dire: “Esco con qualcuna”. Per lui niente politica, né religione. L’at-tualità la segue al Tg e quanto al resto il tempo libero lo dedica alla pratica delle arti marziali e alle uscite in disco con gli amici.

Ti senti più Truzzo o Emo e per-chè?Io sono Truzzo perchè me lo sento dentro, e soprattutto si vede dagli abiti che porto. La differenza tra Truzzi e Emo è che noi abbiamo il nostro stile tutto colorato, con col-lane e braccialetti di colori strani e soprattutto tipi di capigliatura diversi, mentre gli Emo sono tutti dark e soprattutto hanno l'usanza di tagliarsi, sono sempre tristi, non aprono mai bocca e non escono molto a divertirsi, al contrario di noi Truzzi che siamo aperti e usciamo sempre. In pratica dal mio punto di vista e da quello di molte per-sone hanno una vita monotona e noiosa. Spesso comunque la cosa centrale è l'aggregazione. A volte persone emarginate e considera-te sfi gate scelgono dei modelli di comportamento o look per sentirsi parte di qualcosa.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazio-ne di oggi ?Riguardo alla televisione penso sia un modo molto effi cace per mandare informazioni ecc... e anche molto infl uente. I giornali non sono molto seguiti dai gio-vani, piuttosto noi usiamo internet con Facebook,e le chat che sono molto utili per conoscere persone ecc...

Pregi e difetti degli adulti?Secondo me gli adulti (non tut-ti, però la maggior parte) sono troppo ossessivi nei confronti dei propri fi gli ed è per questo che la maggior parte dei fi gli è ribelle e non segue le regole perchè più si impedisce una cosa più la si fa...mentre i genitori un po' più per-missivi crescono fi gli un po' più normali e equilibrati, essendo che hanno qualche libertà in più.

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Non ho le idee molto chiare es-sendo che ho appena fi nito la scuola...per ora prendo quello che arriva, anche se mi piacerebbe lavorare in un negozio di abbi-gliamento, insomma vorrei buttar-mi sulla moda.

DINO, 15 anni di Chions

Nella vita studia e gioca a rugby, la sua passione. Dice di essere un single, “impegnato” un po’ con tutte, di interessarsi di politica, la sua, e di rispettare tutte le fedi. Segue l’attualità quando capita e in cima ai suoi hobby ci mette il riposo.

Ti senti più Truzzo o Emo e perchè?Truzzo, perchè mi piace la musica truzza e l'abbigliamento colorato, e non Emo perchè sono dei fi gli di papà e si tagliano le vene perchè soffrono, e da grandi diventeranno capi e direttori che comanderanno. Comunque anche se il mio stile tende ad essere Truzzo ci metto anche uno stile un po' mio. In generale, comunque, penso che questi momenti e queste mode, nello sviluppo di ognuno, vengano poi abbandonati.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazione di oggi?L'informazione è tutta una mafi a, è fatta solo per interessi propri dei po-tenti, ma alla fi ne ci aiuta ad andare avanti. Facebook ad esempio mi ha fatto conoscere molta gente e mi ha fatto anche lavorare, ma la cosa più brutta è che la gente si fa i “cazzi” miei.

Pregi e difetti degli adulti?Io oggi sono in marina e mia mamma lo sa perchè è comprensiva, tra noi c'è un forte dialogo e con lei mi confi do, mentre se mio padre mi becca mi ammazza... Penso che gli adulti in generale cerchino di farci mettere la testa a posto, ma a volte comprendono le nostre “pazzie” per-chè anche loro da giovani ne hanno fatte di cretinate!

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Vorrei diventare una persona importante e buona, ma senza farmi met-tere i piedi in testa da nessuno.

ELISA, 18 anni di San Giovanni di Casarsa

Studentessa del liceo Majorana di Pordenone, non è proprio quella che si dice un’amante dello sport. Le attenzioni le riserva piuttosto al suo fi danzato, e ai suoi amici, compresi quelli del gruppo Scout di cui fa parte.. Di politica non si interessa, di religione invece si e quanto all’infor-mazione, la cerca qualche volta nei telegiornali.

Ti senti più Truzza o Emo e perchè?Mi sento più Truzza, se proprio devo scegliere. Gli Emo sono defi niti “de-pressi” e non mi sento parte di questa categoria perchè mi piace goder-mi la vita e cercare di affrontare da sola e in modo intelligente i miei problemi

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazione di oggi?Il mezzo che più seguo è Facebook perchè riesco a trovare vecchi amici, tipo delle medie. A volte vorrei non essermi mai iscritta perchè perdo un sacco di tempo che potrei impiegare in modo differente. Alla sera guardo anche la Tv, ma non giornali e Tg perchè non mi interessano. Preferisco programmi poco impegnativi (Grande Fratello, La pupa e il secchione, Chi vuol esser milionario...).

Pregi e difetti degli adulti?Con gli adulti non ho un buon rapporto perchè non riesco a parlarci, le nostre idee e visioni di vita non sono affatto compatibili. Ogni cosa che dicono la prendo come una critica. Sarà l'età, ma anche coi miei genitori non trovo feeling!

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Da grande mi vedo sposata, con fi gli. Sarò psicologa e avrò una mia famiglia cresciuta e educata secondo i miei valori.

GIACOMO, 16 anni di Porde-none

Studia al liceo classico e gioca a basket, suo hobby principale. Si interessa poco di politica, per niente di religione, ma è abituato a tenersi informato su ciò che ac-cade leggendo giornali o ascol-tando i Tg. Libero da impegni sentimentali, ama divertirsi con gli amici e ascoltare musica.

Ti senti più Truzzo o Emo e per-chè?Essere Truzzo signifi ca ascoltare musica house e uscire un sacco con gli amici, mentre essere Emo essere depressi e chiusi in sé. Gli Emo sono masochisti: dopo eventi traumatici si deprimono e si taglia-no per trasferire il dolore emotivo a quello fi sico. Io mi sento più Truz-zo perchè sono legato alla musica e alla mia compagnia.

Cosa pensi, cosa ti piace e cosa segui dei mezzi di comunicazio-ne di oggi?Attraverso internet e i social net-work i giovani si fanno un'impres-sione diversa rispetto a quella reale e tendono a estraniarsi dal mondo. In genere trovo differen-ze tra le notizie presenti nei vari giornali, io ne leggo diversi e poi cerco di farne una “media”. La Tv ormai è un mezzo di comunica-zione solo per rincretinire le perso-ne. Anche se sappiamo che certi programmi sono stupidi, comun-que, spesso li guardiamo lo stesso. C'è anche qui un farsi del male (come gli Emo), questa volta livel-lo cerebrale.

Pregi e difetti degli adulti?Oggi si parla meno con i genitori, si preferisce dire le cose agli amici (spesso virtuali). Gli adulti non ti ripagano a suffi cienza del lavoro (scuola) e anche se sanno di aver fatto le “cazzate” non lo ammetto-no di fronte a noi per essere dei punti di riferimento e farci rigare dritto.

Come ti vedi da grande, cosa vorresti diventare?Vorrei avere una famiglia, non mi piacerebbe avere una vita solita-ria. Riguardo al lavoro: vorrei un lavoro dinamico, dove potermi relazionare con altre persone, non centrato solo sul mio benessere ma anche su quello degli altri.

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IL VISIONARIO: REAL LIFE

QUANDO AD ESSERE GIOVANI ERAVAMO NOI

di Ennio Rajer

Dovrei raccontare degli anni ‘80? Ho 52 anni, molti ricordi sono sepolti, ma ci posso tentare. Poco tempo fa un tizio mi saluta:“Ciao, come va?”, dice. Io lo guardo, mentre mi parla dei bei tempi, della compagnia, della Nerina, di questo e di quello, ma non c’è alba: non mi ricordo un bel niente. Lo assecondo, annuisco mentre lui continua a descrivermi volti e situazioni, ma riesco solo a ricordare il punto di ritrovo, il mitico bar Municipio di Pordenone ed il suo gestore, Bruno, che ha speso tutta la sua vita come barman, perfetto nella sua professionalità, cinquant’anni spesi dietro un bancone. Pordenone era piccola, ma di certo migliore, soprattutto lo era la gente. Se avevi sete, “no problem”, c’erano fontane d’acqua fresca a bizzeffe, addirittura potevi entrare in un bar e, se lo chiedevi con gentilezza, potevi berti un bicchiere di acqua naturale, gra-tis. Il motorino potevi fartelo e disfartelo, non c’era l’obbligo della targa e nemmeno quello del casco e questo, sotto lo stretto profi lo della sen-sazione di libertà, per un centauro appassionato come me, non è cosa trascurabile. Oltre a tutto questo, molti altri fattori, economici e sociali, rendevano la vita più semplice per la gioventù. Penso che adesso la vita per un giovane sia molto più complicata, impegnativa e deludente, solo che non se ne accorgono. D’altronde come potrebbero? Sono venuti al mondo “l’altro giorno”! Una cosa rimane immutata, quella voglia di vivere, l’entusiasmo e le passioni che li spingono, come il motore di una “Formula uno”, a muoversi freneticamente nelle vie e nelle piazze, indaf-farati come formichine operose. Sono belli, curati, vestiti bene, con il cel-lulare in tasca che utilizzano con maestria, quasi fosse una protuberanza del corpo, una terza mano intelligente. Onestamente provo una piccola vena d’invidia nei loro confronti, anche perché io ho sprecato tanto tem-po nel correre dietro a vicende negative, in una forma di autolesionismo non ho dato ascolto alle persone giuste. D’altro canto, il futuro per loro, a mio avviso, non è affatto roseo, la crisi che sta strozzando l’Europa e molti altri paesi sviluppati è la punta di un iceberg che sta affi orando inesorabilmente. Trovare una collocazione nel mondo del lavoro diven-terà un’ardua impresa. La fi ne degli anni ‘70 e l’inizio degli ‘80 sono stati, per me, il periodo più felice della mia vita. Penso lo sia stato anche per i miei amici e per chi mi era vicino dato che quello che possedevo, sia materialmente che “spiritualmente”, lo condividevo con loro. In cambio ottenevo amicizia, stima, considerazione ed ammirazione. Nel maggio

del 1976, a 18 anni ed un giorno, dopo aver speso diecimila lire in tutto, avevo la patente B in tasca. Ho comprato e rivenduto una quantità di moto e macchine tale che nemmeno io non ricordo con esattezza come abbia avuto il tempo ed il modo di farlo e con quale ordine cronologi-co. Ricordo bene alcuni episodi e personaggi e vorrei avere la capa-cità di trasmetterli telepaticamente, con tutte le immagini, gli oggetti, le facce, le corporature, gli odori ed i colori, i sentimenti e le sensazioni. La Comina, l’ampio spiazzo sterrato in periferia di Pordenone, era il nostro santuario, con buchi e collinette era abbastanza grande per sfogare la passione per il motocross, il sabato pomeriggio eravamo numerosi, un piccolo esercito di centauri. Avevo costruito un go-kart artigianale, motore 150 cc due tempi a tre marce smontato da una vecchia vespa, correvamo lontani dalla pista per le moto, nello sterrato piano, a tavo-letta potevi sterzare di colpo, il veicolo si imbarcava, le ruote all’esterno si alzavano da terra, ma non si “cappottava” mai. Ricordo una sera che Ezio, poi diventato vigile urbano a Cordenons, stava con due amici comuni al bar dove si poteva ascoltare musica country-rock. Io arrivai con la mia auto, loro con una vecchia Fiat 600. “Perché non ci facciamo un paio di derapate in Comina?”, dissero. Non lo avessero mai detto! Con il piglio dell’esperto pilota mi misi alla guida della 600, gli altri tre a bordo riponevano incondizionata fi ducia nelle mie doti di guidatore. All’inizio fu uno spasso, i fari illuminavano ben poco le piste e le curve apparivano all’improvviso, colpi di freno, scalate, derapate ci coinvol-gevano, tra emozioni di paura, sollievo, divertimento: meglio del luna-park. Improvvisamente, in terza piena, mi apparve la buca, ampia, inaspettata ed inevitabile, ci entrai dentro in frenata, la macchina perse aderenza e si intraversò, poi iniziò a ribaltarsi, quando si fermò adagiata sul fi anco, uscimmo dalla portiera come gli astronauti della Gemini 7, nemmeno un graffi o, più divertiti che preoccupati. Alla fi ne della fi era quello che mi resta nel cuore di quel periodo è un tesoro inestimabile di sensazioni vissute intensamente. Sono sicuro che molti miei coetanei lo possono capire e condividere con me nel loro cuore e nella loro mente. Nel nostro piccolo siamo stati degli eroi, quello che abbiamo fatto è stato illuminato dal sole, la luce rifl essa è partita dalla terra verso lo spazio infi nito. Sta ancora viaggiando incontrastata, intoccabile, inattaccabile, ammantata di gloria.

In una Pordenone anni Settan-ta più piccola e senza cellulari e computer ci sentivamo degli eroi

In treno, di fi anco a me due madri e i rispettivi fi gli adolescenti. “Allora Amsterdam?” . “Ah benissimo! Van Gogh poi è la mia passione..” “Mamma, andiamo in bagno” “Sì ok… E poi ti dirò, adesso che non sono qua i ragazzi, che una cannetta me la sono anche an-data a fare al coffee shop. Mi è toccato dire a Elisa che ero stanca una mattina e l’ho lasciata an-dare in giro con suo fratello. Sai com’è loro manco sanno cosa sono ‘ste robe da sessantottini..” “Ahahaha..” Pochi minuti dopo.. “ Com’era il bagno? Pulito?”

“Treno,mamma”. “Mi sa che devo andarci anch’io”.“Vengo con te”. “Insomma ti dicevo che non sapevo come togliermi mia ma-dre dai coglioni per andare al coffee shop. Per fortuna che una mattina era stanca. Io e mio fra-tello l’abbiamo mollata in alber-go e ci siamo tirati su due botti da paura. Meritava.”“E quando siete tornati non si è accorta di niente?”“Figurati se lei si immagina. Mia madre, ma l’hai vista? Quando siamo tornati dormiva come un ghiro”.

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INVIATI NEL MONDO

Piepaolo Mittica"Benvenuti all'inferno"In anteprima per Ldp, il fotore-porter pordenonese racconta la vita dei minatori dell'Indonesia di Milena Bidinost

Quando ho realizzato questa foto io e Alice eravamo appena usciti dalla nube tossica. Ho visto la faccia sconvolta di Arsito, questo è il suo nome. Facevo fatica a tenere gli occhi aperti a causa del bruciore e delle lacrime e continuavo a tossire incessante-mente. Arsito era così impegnato a cercare di respirare che non si è accorto della mia presenza, se non quando ci siamo incrociati e “consolati” a vicenda con una pacca sulla spalla per essere usciti dalla nube. Solo in un secondo momento ho pensato alla mia faccia, che doveva essere molto più sconvolta della sua. Pierpaolo Mittica

“A sud dell’isola di Java, in In-donesia, esiste un vulcano chia-mato Ijen. All’interno del suo cra-tere negli anni Sessanta i primi minatori piantarono dei tubi di metallo per estrarre lo zolfo. Da allora ogni giorno i minatori par-tono dal campo base ai piedi del vulcano e, dopo tre chilome-tri di arrampicata, discendono le pareti del cratere. Arrivati in fondo, con una lancia di metal-lo spaccano le lastre di zolfo in condizioni estreme a temperatu-re che superano i 200 gradi, im-mersi in fumi tossici. I gas sulfurei bruciano i polmoni, la pelle, gli occhi. Li senti tossire, arrancare in mezzo alla nube tossica. Finita l’estrazione i minatori si caricano sulle spalle dai 60 ai 100 chili di zolfo e ritornano, con due ore di cammino, fi no al campo base. Questo per due volte al gior-no, per sei euro al giorno. Uno stipendio che permette loro a mala pena di sopravvivere”. Così Pierpaolo Mittica, odontoia-tra spilimberghese per necessità, fotoreporter freelance di fama internazionale per passione, an-ticipa sulle pagine del suo sito internet (www.pierpaolomittica.

com) l’ultimo dei suoi inferni: luoghi dimenticati dall’informa-zione, in cui la gente vive al li-mite del concepibile. Luoghi che Mittica incontra nei suoi viaggi e che immortala nei suoi scatti. Dopo Chernobyl, il suo progetto più famoso, dopo l’India, ora il giovane fotoreporter pordenone-se sta lavorando alla sua pros-sima mostra e alla sua nuova pubblicazione, che sarà distribu-ita dal suo prestigioso editore, la Trolley di Londra. L’Indonesia e i minatori del-la miniera di zolfo del vulcano Ijen sono i protagonisti di questi scatti, immortalati nel novembre del 2009 mentre era in viaggio assieme alla compagna Alice. Si tratta di un progetto inedi-to, che il fotoreporter ha scelto di anticipare in esclusiva a “Li-bertà di Parola”. “All’interno del cratere – è il suo racconto – la-vorano circa 400 minatori, con turni di 15 giorni di lavoro e 15 di riposo. Sono uomini che non arrivano quasi mai ai 55 anni di vita, che vivono nei villaggi e che fanno ciò per guadagnare il 30 per cento in più di quanto guadagnerebbero dalla terra”. I

minatori vivono al campo base: un dormitorio fatto di baracche di lamiera prive di luce e acqua. “Abbiamo trascorso con loro 15 giorni, fotografando e riprenden-do a video la vita nel campo e tutte le fasi del viaggio dentro e fuori dal cratere – prosegue Mittica –. La prima volta che sia-mo scesi è successo di notte ed è stato come ritrovarsi alle porte dell’Inferno. Un caldo umido in-sopportabile, le nubi tossiche che improvvisamente ti avvolgono, ti tolgono il respiro e la vista, bru-ciandoti gli occhi e impedendoti di fare un passo. Noi avevamo l’attrezzatura per proteggerci -

dice - e ci sembrava di morire. I minatori lavorano senza nulla”. Sono scorci di un luogo diffi cile da raccontare, perché al confi ne dell’immaginazione: altri foto-grafi di fama li hanno già rubati, come lo stesso Salgado, inseren-doli però all’interno di lavori più ampi. Il reportage che nel 2011 vedrà la luce per mano del fotorepor-ter pordenonese sarà invece la prima monografi a sullo Ijen, sul campo base e soprattutto su que-gli uomini che si guadagnano la sola sopravvivenza combattendo i fumi tossici che escono dalla gola della terra.

Professione fotoreporterPer lui la fotografi a è una risposta alla sete di verità di un pubblico di nic-chia, che sa fermarsi a guardare e a rifl ettere. Pierpaolo Mittica, classe 1971, è odontoiatra e fotoreporter freelance. Ha realizzato reportage sociali in Cina, Vietnam, Cuba, Bosnia-Herzegovina, Kosovo, Serbia, Bielorussia, Ucraina, In-dia, Indonesia. Due le pubblicazioni, “Balcani, dalla Bosnia al Kosovo” e “Chernobyl l’eredità nascosta”, da cui è nata una mostra scelta dal Chernob-yl National Museum di Kiev in Ucraina per le celebrazioni del ventennale del disastro. Due i premi, il Friuli Venezia Giulia Fotografi a (2006) e l'EIUC Photography Competition (2009). Le foto dell’Indonesia partecipano al Pa-ducah Photo '10 exhibition allo Yeiser Art Center negli Stati Uniti.

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L’alluvione del 2002, un incidente d’auto, Gigi Di Meo in tv. Il più cliccato però resta il video sull’Ufo avvistato nel 2007. A cinque anni dalla nascita del sito più popola-re al mondo, questa è Pordenone vista dal web Gli Ufo, Gigi Di Meo che «si cala le braghe in diretta», l’alluvio-ne del 2002, Anna Ciriani alias madameweb, un incidente in Piazza Duca D’Aosta, i Tre Allegri Ragazzi Morti, la playlist con i vi-deo di Marco Travaglio, il Great Complotto, il country Christmas, etc: questa è Pordenone secondo YouTube. O meglio, questi sono i primi risultati video che compa-iono digitando la parola chiave “Pordenone” nella maschera di ricerca di youtube.com. YouTube compie cinque anni

LA CITTÀ SECONDO YOUTUBEDa Di Meo a I Tre Allegri Ragazzi Morti, ecco

la Pordenone dell'era di internet

di Elisa Cozzarini

quest’anno e ogni mese si ar-ricchisce di oltre venti milioni di nuovi fi lmati. Il primo fu caricato il 23 aprile 2005 e si intitola “Me at the zoo”, cioè “Io allo zoo”, dura 19 secondi e mostra un ragazzo davanti al recinto degli elefanti in uno zoo. Il video più clicca-to della storia, invece, a oggi è “Charlie bit my fi nger – again!”, cioè “Charlie mi morde il dito – di nuovo!”. È stato visualizzato quasi 185 milioni di volte. Come mai un tale successo? Le immagini non mostrano altro che due bambini e quello più piccolo che morde il dito del più grande. «Le carat-teristiche principali dei fi lmati di YouTube sono la brevità, l’acces-sibilità e la semplicità», spiega Marco Rossitti, direttore artistico de “Le voci dell’inchiesta”, festi-

PANKAKULTURA

“Imperi di carta e poteri forti” è stato il tema della serata dedicata alla grande editoria dalla rassegna “Pordenone Pensa”. Per sviluppare il tema, sul tavolo dei relatori assieme a Gianluca Vigo moderatore della sera-ta, sono convenuti Martina Mondadori, consigliere di amministrazione dell’omonima casa editrice, e Martin Angioni, amministratore delegato di Mondadori Electa, l'holding specializzata nell'editoria dedicata all'arte. Sin dalle prime battute partendo dalla fondazione delle prime case editrici, i relatori hanno evidenziato l’importanza per la crescita di un paese, dei testi scelti e pubblicati dagli editori che diventava un’arma potentissima che ambiva a diventare di massa. Ma in quei tempi gli italiani piuttosto che alle librerie erano costretti a campi e fabbriche. Una scelta coraggio-sa fu allora quella di portare i libri nelle edicole, pubblicandoli a stralci sui giornali. Da cosa nacque cosa e gli italiani cominciarono a farsi dei propri gusti e ad entrare nelle librerie per soddisfarli, fi no a quando il libro fu pronto a camminare con le proprie gambe e pian piano diventare il fenomeno più o meno di massa dei nostri giorni, dove a detta di Martina Mondadori e Martin Angioni: “Anche se la regola del profi tto regna so-vrana, ogni casa editrice comunque si porta addosso il dna delle proprie origini e ancora svolge il proprio lavoro con passione ed etica come ai tempi pionieristici dei fondatori. “Ora le dinamiche sono diverse – hanno detto - non basta più la letteratura classica a reggere il sistema, le stra-tegie sono più complesse ed incerte e richiedono dei veri professionisti di ruolo”. La ricerca continua di nuove pubblicazioni e di autori anche non di nome, richiedono però un forte tributo al prodotto di qualità. Pur di far introiti vengono pubblicati libri anche poveri di contenuti, ma di sicuro ritorno. In Italia i maggiori successi di incasso non derivano affatto dai classici. Però la legge del business obbliga a queste strategie. E infatti grazie a questo che gli editori possono pubblicare testi che altrimenti non vedrebbero mai la luce e lanciare dei perfetti sconosciuti. E’ un ruolo che loro stessi si attribuiscono di dovere. E a forza di pubblicazioni ogni tanto c’azzeccano e scoppiano delle stelle. Un esempio è Paolo Giordano che a 26 anni con il suo primo libro ha vinto lo “Strega”. L’editoria del futuro invece è un grande enigma, è in atto una rivoluzione epocale, la nuo-va frontiera si chiama “libro multimediale”, suoni colori e movimento, la tecnologia è ancora agli albori ma la strada ormai è inesorabilmente segnata. La carta stampata verrà surclassata? Secondo Martin Angioni il libro diventerà come una bella cosa da possedere, uno sfi zio: “Come pia-ce avere un bel paio di scarpe, allo stesso modo piacerà avere una bella copia di un libro”. Il futuro dunque è ancora tutto da scrivere.

val del documentario e inchie-sta giornalistica organizzato da Cinemazero. Prosegue Rossitti: «Il contenuto dei fi lmati su YouTube è dimesso, spesso quotidiano e con la presenza dell’autore all’in-terno del video. Ricorda i primi fi lm del cinema, come “Le repas de bébé”, “Il pasto del bambino”, dei fratelli Lumière, realizzato nel 1895, anche questo disponibile su YouTube».Tra i video che parlano della nostra città, quello più cliccato è “Video eccezionale UFO in pieno giorno a Pordenone”, caricato il 24 luglio 2007: da allora l’hanno visto ben 1.468.559 persone e il dato è del 1^ maggio. La descri-zione è: «Eccezionale video di un Ufo che in pieno giorno sorvola i cieli della Val Cellina, Montereale

di Vajont PN. A detta degli esperti il miglior fi lmato dell’esistenza de-gli Ufo esistente al mondo. Tratto dal Tg di Antenna3». Non è l’uni-co video sull’Ufo di Pordenone, è solo quello più visualizzato. Altri vorrebbero dire l’ultima parola proclamando: “La verità sull’Ufo di Pordenone”.E poi ci sono tante altre miniveri-tà, perché chiunque può pubbli-care gratuitamente un fi lmato sul più noto sito di video sharing. C’è ippoperrita che mostra Porde-none dal suo terrazzo “from my house”, skullfriend che racconta la città natale sua e di bruschet-ta 93 fi lmandola col cellulare dal motorino e supera le 2 mila visualizzazioni. Se volete fare un salto nel passato cliccate “Porde-none 1975”.

Mondadori: "Oggi siamo alle prese con ricerca di qualità e logiche di profi tto. Quanto al domani, la nuova frontiera si chiama libro multimediale"di Guerrino Faggiani

Editoria, un futuro ancora da scrivere

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È la prima volta che i Ragaz-zi della Panchina affi dano alla pittura il ruolo di strumento di comunicazione con la città. E si-gnifi cativo è il titolo che l’autore, il pordenonese Renzo Quaglia, 49 anni e un passato diffi cile, ha scelto per questa sua esposizione. “Espiazione”, è stata inaugurata il 29 maggio e fi no al 27 giugno sarà visitabile nella bastia del Castello di Torre di Pordenone il sabato dalle 15 alle 19 e la do-

L’arte è tante cose, per fortuna: è, o per lo meno è stata, bellezza, equili-brio, passione, concetto… ma anche impulso, istinto, inconscio, gesto che parte da tutto l’essere dell’artista e agisce sulla tela così che questa risulta quasi un’estrinsecazione di sé, un territorio dove permane l’impronta di un evento interno – alla psiche, o forse al cuore, o anche alla pancia, si potrebbe dire. Un’arte “di pancia”: lo è stato molta arte dal dopoguerra in poi, all’inter-no del vasto mondo dell’informale e delle sue ramifi cazioni, soprattutto quelle più gestuali come l’action painting. “Di pancia” è anche il lavoro di Renzo Quaglia, che rientra così in uno dei linguaggi più vitali dell’ar-te contemporanea, e questo non per studiata intenzionalità quanto per un’adesione profonda, forse addirittura inconsapevole, alle istanze più genuine di quel movimento.L’aspetto gestuale, di forte istintualità, si percepisce soprattutto nelle opere esclusivamente pittoriche, dove il segno si fa particolarmente dinamico e violento, un turbinare di segni, con le spatolate di nero che aggrediscono le pennellate colorate dello strato sottostante come se volessero cancel-larle e ricoprire tutta la tela. Sembra di assistere a un combattimento corpo a corpo, nel corpo del colore, che non a caso in altre opere, in cui è utilizzata una caratteristica tecnica polimaterica, prende letteralmente “corpo” trasformandosi in rilievo. Qui il colpo di spatola affonda in una massa spessa di colore-materia, il gesto perde forse un po’ della sua velocità ma in compenso acquista il senso dello sforzo, dell’energia con cui è stato impresso e che si è resa necessaria per plasmare la materia resistente e inerte.L’origine ideale di questi lavori in realtà non è gestuale, sta in una gran-

Un artista libero dalla colpaDal carcere alla pittura, Quaglia rovescia su

tela la rabbia di un vissuto non facile

di Chiara Tavella

de tela astratta, stipata di minuscole forme geometriche intensamente colorate e incastrate le une con le altre, simili a circuiti elettronici o a una moderna metropoli vista dall’alto: un ingranaggio senza fi ne che riem-pie, con una sorta di horror vacui, tutto lo spazio della tela e dal quale non restano vie di fughe, un “meccanismo mentale” (la defi nizione è dell’artista) che acquista un senso simbolico e, come l’enorme macchi-nario di Tempi moderni, ma senza l’ironia di Chaplin, ingloba tutto ciò che gli si avvicina. Qualcosa di questo “meccanismo” resta anche in mol-ti lavori polimaterici, in certi grafi smi, certe incisioni come ruote dentate, certe fi le di tasselli che sembrano cremagliere, impresse nello spessore del colore. Ma il segno qui è più forte, si libera e fi nisce per avere il so-pravvento, impazzando sulla tela come bora.Espiazioni è il titolo dato dall’artista a questa mostra, un titolo signifi cativo, che indica un passaggio e salda insieme la colpa, l’espiazione della colpa e la liberazione da essa perché possa fi nalmente aprirsi una fase nuova. Ed è veramente un gesto liberatorio quello a cui si assiste, un gesto che rovescia sulla tela, spazio-simbolo del mondo, tutta la rabbia di un vissuto non facile e travolge, con questa sua selvaggia bellezza, ogni residuo del “meccanismo mentale” che ingabbia il nostro mondo tanto “bello e buono”.

Le "Espiazioni" di Renzo QuagliaPromossa da Rdp, la mostra è ospitata alla

bastia del Castello di Torre fi no al 27 giugno

di Andrea Picco

menica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19. La mostra, come scrive la critica d’arte Chiara Tavella, “indica un passaggio e salda in-sieme la colpa, l’espiazione della colpa e la liberazione da essa perché possa fi nalmente aprirsi una fase nuova.” Se sul versante individuale i conti con se stesso sono in pari, questo tuttavia può non bastare se nell’intimo resta una sorta di colpa pubblica non saldata, di conto rimasto aper-

to con il tessuto sociale, proprio perché il proprio percorso non è stato conosciuto e quindi ricono-sciuto come tale dagli altri. Emer-ge così dal profondo il bisogno di ricomporre anche una propria immagine sociale che restituisca quella dignità pubblica persa in quelle che sono a tutti gli ef-fetti cerimonie pubbliche di de-gradazione (il proprio nome sui giornali, il carcere, la condanna sociale) e la necessità di un atto per così dire riparatorio, condivi-so, pubblico. Ecco il perché della mostra. Nel passaggio dal “mon-strum”, ossia qualcuno etichettato in quanto diverso della norma, che subisce quindi passivamen-te lo sguardo giudicante di chi rispetta la norma, alla “mostra”, ossia permettere volontariamen-te agli altri di accedere alla sfera più intima di sé, sta la sintesi di un percorso doloroso, in cui “si guarda dentro l’abisso e l’abisso ci guarda dentro”. E tuttavia tut-to questo può non bastare, se il

cambiamento non modifi ca an-che l’atteggiamento degli altri nei nostri confronti. Oltre ad es-sere opere di indubbio valore, le tele di Quaglia assumono quin-di anche il ruolo di veri e propri manifesti, invitati illustri alla ceri-monia che sancisce la fi ne della sua espiazione, l’estinguersi del suo debito sociale. Perché tutto ciò avvenga, e qui sta il ruolo dell’Associazione “I Ragazzi della Panchina” , è necessario che ci sia un mediatore tra i due atto-ri, individuo e società. Qualcuno riconosciuto da entrambi che li porti ad incontrarsi in una cornice diversa da quella in cui si erano incontrati in precedenza. Qualcu-no che ristabilisca la comunica-zione tra due parti distanti tra loro, che permetta loro di conoscersi e riconoscersi a vicenda. L’apertura della mostra è anche l’apertura di un nuovo territorio d’incontro e di scambio, in cui ognuno porta la propria ricchezza ed è perciò indispensabile.

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DAL BON INTENDITOR...

NOSTALGIA RAMARRALa domenica pomeriggio al Bottec-chia il vero spettacolo era sulle gradi-nate.di Gigi Dal Bon

“Certo, si può fare di meglio in un pomeriggio domenicale, se hai più di quarant’anni, una donna che ti stressa per spendere me-glio e assieme a lei il tempo piut-tosto che star con i soliti quattro fenomeni di tifosi”. E’ questo un pensiero che mi viene dettato dall’aria fredda che punge le ossa e dall’umidità che sale dal cemento freddo delle mini gradi-nate dello stadio. Un altro amico ci sta per lasciare, niente di grave si trasferisce altro-ve, ma noi perdiamo un’altra co-lonna portante, una voce che si faceva sentire molto bene anche fuori dal coro. Ormai il mini grup-po “Out-law” si è sciolto defi niti-vamente. E va bene così, senza rimpianti. Il suo contributo “ener-getico” per rallegrare l’ambiente si era del resto esaurito da tempo. Il movimento era nato per colpa della passione verde nera di tre o quattro amici all’interno dell’as-sociazione “I Ragazzi della pan-

china”: io “Capezzone” (ma quel-lo vero e non la faccia da sberle che oggi fa da portavoce ad un’altra faccia da sberle), l’amico che parte e il gran “Muso da sca-gno che sponze” (solo quando è carico, ben si intende). Da un po’ di anni ci portiamo dietro nei vari stadi un sgualcito pezzo di lenzuolo quadrato con un ramarro al centro e la scritta “Aut-law-Pn”. Così per ridere, visto che la maggior parte dei sim-patizzanti del gruppo ha prece-denti penali; così per dissacrare pregiudizi e fare gioia di gruppo con una variegata fauna cittadi-na. Il nome ha vinto le primarie prevalendo sull’altrettanto qualifi -cante “Kool-under-Pn” che effetti-vamente era troppo avanti. Così l’amico “Pugnetta”, artista bello, intelligente e culturalmente avan-zato come ama defi nirsi, ha dise-gnato l’araldo, “el stemma della fameia ramarra”. I componenti per lo più ruotavano intorno al

Sert, chiaramente consumatori di sostanze, illegali e non solo, visto le birrette.Con gran bontà le varie società che si sono passate il timone ci hanno sempre fatto entrare gra-tis, così per noi era più facile ri-chiamare personaggi allo stadio: già per molti di noi di soldi ce ne sono pochi in tasca e di certo non li avrebbero mai spesi per qual-siasi spettacolo che non avesse lo sballo incluso. E’ vero, il nostro stadio cittadino non è l’allegria del San Paolo, ma anche noi abbiamo un panorama di com-pagni non male, che si trovano volentieri, non tanto per la partita di cui a diversi frega poco, ma per il gusto di stare assieme. Tantissimi amici hanno avuto il piacere reciproco di accompa-gnarci in questi ultimi anni nelle grandi sofferenze e nelle piccole gioie dell’esistenza. Incontrando-ci per strada o dopo un giro di telefonate, l’appuntamento era sempre fuori dallo stadio, settore

«Il nome, Out-law Kullander, racchiudeva i nostri orizzonti di gloria fatti di guai, solitudine, dignità, rabbia e poesia»

“Ramarro” gradinate popolari, un’ora circa prima dell’inizio. Al-cuni sono venuti poche volte, altri per una o due stagioni, chi sal-tuariamente in base alle fasi lu-nari dell’umore, altri non ci sono più, spariti defi nitivamente dalla tribuna della vita. I volti li rivedo ancora qui sulle gradinate, rivivo-no nei miei ricordi, anche perché qui ognuno era libero di dare il meglio nello sfogo spontaneo di sé, restituendoci un’abbondante varietà di ben vividi ricordi. Nella memoria di questo vecchio che sono diventato risuonano ancora le voci e i volti di tanti compagni di avventura. Li rivivo al rallen-tatore, in una moviola personale: tanti momenti di sana e liberato-ria allegria che ci voleva proprio, se non altro per dimenticare al-meno per due ore il pensiero di esistenze problematiche. Per ognuno di noi, bene o male in tutti questi anni quelle ore di sano sfogo giovavano lo spirito delle anime perse. Certo quan-

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do la partita andava male ci si incazzava pure ma almeno ci si sfogava un po’. Ogni domenica era condita dalla gustosa esibi-zione di quello che a turno si era carburato più del solito, regalan-do momenti memorabili. L’istin-to animale, che l’uomo reprime nella quotidianità si liberava la domenica, come negli stadi delle grandi città così anche negli “sta-dietti” di provincia come il nostro. Con la differenza che noi abituali frequentatori della trasgressione non eravamo scesi a patti con la repressione degli istinti, che anzi allenavamo quotidianamente, così che la domenica lo spasso di qualche piccolo show era as-sicurato, e non generava certo violenza. In questo siamo certamente mol-to diversi dallo spirito dei grandi stadi, diciamo che siamo più ru-spanti. Non potrò mai dimenticare il “Toto”, che ci manca tantissimo. Era un uomo che appartene-va alla vecchia guardia in via d’estinzione, aveva viaggiato tantissimo sia con il corpo che con la mente. Era un vero poe-ta. Quando parlavo con lui era come mettere le ali al cuore, era capace di astrarre e deconte-stualizzare tutto ciò che capitava attraverso la poesia di un bambi-no, persona veramente autentica, fragile e sensibile. Se né andato per sua scelta, lasciando dietro di sé un gran vuoto. Fra i tanti ri-cordi alla moviola lo vedo sven-tolare il bandierone nero-verde in una meravigliosa giornata di sole, lui che saltella allegramente su e giù dalle gradinate e into-na una sua hit personale (forza eroina, forza eroina, forza eroi-na), strappando il sorriso di tutti i presenti, compresi i giovani della “Naonian-armi”, che rappresenta-vano la bella faccia della città e il cuore vivo della tifoseria, anche se ogni tanto qualcuno andava troppo sopra le righe e allora il loro capo storceva il naso e mi di-ceva che non era lì per fare l’assi-stente sociale, sono certo che non avrà molte altre occasioni nella vita di assistere ad esibizioni sur-reali come quella.A volte anche le donne ci allieta-vano della loro presenza in veste di compagne dei tifosi, solidali o rassegnate, oppure solitarie amazzoni di strada, pronte ad esplodere in urli di battaglia oltre al limiti della volgarità maschile: “Pordenone ce l’hai duro come un mattone” e sentirlo uscire con frequenza dalla bocca di una donna, credetemi, fa il suo effet-to. L’autrice di questo slogan era un’amica, l’apprezzavamo così com’era, riconoscendo in lei tutta la forza e la fragilità del mondo, fuse assieme in una concentra-zione di potenza esplosiva. Tutta la sofferenza di un’amica minata alla radice della vita e che mal-grado tutto aveva la capacità di risollevarsi e andare avanti. Fino

alla penultima volta. O il grande “Lebombski”, spudorato come la sua bella faccia tosta, capace di parcheggiare l’auto all’interno dello stadio, tra quella del pre-sidente e la pantera degli sbirri, lui, senza patente. Dotato di una voce da far tremare lo stadio, tanto smaliziata e fi nemente iro-nica, sempre rivolta ai giocatori mercenari o scarsi, al suo insin-dacabile giudizio di tecnico degli spalti. Dirigenti antipatici e alcuni giocatori presi di mira se lo ri-cordano molto bene. Senza mai dimenticarsi del direttore di gara con la classica battuta, arbitri da dirigere il traffi co in camera di tua moglie, se qualcuno gli face-va notare che stava esageran-do, la risposta era scontata: “Io pago il biglietto e dove che pago cago”. E che dire della simpatia dell’ormai accasato “Zozzo”, me-glio conosciuto dagli intimi “Vutu do sciafe” come amava chiude-

re con stile le discussioni che lo scaldavano o che lo annoiava-no. Poi le varie decine e decine di adolescenti: i “Rude Boys”, sani antirazzisti che ho avuto la for-tuna di conoscere e con cui ho condiviso le domeniche consa-crate alla causa “Pn”. Con tanta voglia di cantare, ironia, storia e colori della città.E “Fegato”? Che aspetta e spera in stretta compagnia la libertà o la chance di qualsiasi comunità terapeutica, per porre rimedio ai propri sbagli e ai guasti di leggi ordine e repressione ad perso-nam, per i frequentatori del disa-gio sociale. Certezza della pena, che nel nostro bel paese è sicu-ra solo per i poveracci sprovvisti di colletti bianchi o di famiglie borghesi pronte a scucire conti bancari per pagare avvocati in carriera politica per difenderli. Il pungente sarcasmo della “Perpe-tua” lo incrocio spesso in centro

e la dolce “Vedobeee” che era sempre pronta a cantar e fare su un boto, chissà dov’è ora: “Lam-padina” e i suoi Depeche Mode, anche lui chissà dov’è ora. E “Caio” con la sua radiolina sin-tonizzata sul calcio dilettantistico. E il “Sordo”? Poi c’era anche il “Muto”, nel vero senso della pa-rola. L’impeccabile “The First”, il primero sempre più in discoteca che allo stadio. ”Innominabile”, che veniva solo per tifare con-tro. Incontenibile l’energia dello “Zulù”, il “Pensilvenico” imbron-ciato che pensa ai numeri del lotto. “El Madur” e i suoi “Brother” sempre sulle ali dell’entusiasmo, il “Lord” anima culandera del gruppo, il “Pedro” e il “Checco” che va sempre via dopo il primo tempo, “El Putti” duro, massiccio e incazzato sempre. Oggi come è vuoto e triste il nostro stadio senza questi personaggi perdenti per il resto del mondo e la loro pseudo tattica per vincere. Tutti quelli che sono passati dal-le vecchie gradinate di cemento ora coperte dalle nuove tribune, per questo teatro vivente a cielo aperto in un palasport al chiuso seduti al cospetto dell’educata e veloce intelligenza cestistica? È impensabile. Tutti assieme abbia-mo formato un gruppo compatto e per niente scontato, spudorato, già il nome, “Aut-law Kulander”, è un programma che racchiude i nostri orizzonti di gloria, fatti di guai, malattie, inquietudine, de-pressione, disoccupazione, eti-chette, solitudine, sbronze, dignità, rabbia, poesia e soprattutto autoi-ronia. Tutto questo senza pretese di comprendere fi no in fondo la stessa passione e ansia. Altri tem-pi. Non si può far niente, ognuno è padrone del proprio destino. Tristemente ora che tutto questo è fi nito mi rendo conto di quanto sia stato importante per me. Ogni tanto mi sento un po’ ridicolo e mi stupisco di come mi lascio en-tusiasmare da questa storia dei ramarri, anche perché il più delle volte si vede uno spettacolo fi ac-co, lento in queste categorie, non avrei mai immaginato di emozio-narmi per gambe che corrono, saltano, si scontrano, cadono rin-correndo una palla per un goal da niente. “Anche sta sera, festa verde nera”

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KULLANDER BOYSAnche quest'anno gli amici e i ragaz-zi della panchina hanno rappresen-tato l'associazione al 5° torneo aniraz-zista di calcio a 5 di Stefano Venuto

I Ragazzi della Panchina si sono impegnati nel Torneo antirazzista organizzato dal Circolo Libertario E. Zapata di Pordenone. Le date di gioco sono state il 5 ed il 6 giu-gno, lo scenario invece il campo sportivo di Villanova di Pordeno-ne. Erano presenti 20 squadre di ogni origine e provenienza. Anche noi in realtà siamo scesi in campo a ranghi misti, con gio-catori provenienti da Pordenone e provincia, altri direttamente da Udine e provincia, altri dal Gha-na e non ultima una presenza colombiana. Insomma erava-mo pronti per far pesare a tutte le altre squadre quel potere di integrazione, leggerezza mista a strapotere fi sico, umiltà ma con-sapevolezza nei propri mezzi, responsabilità, grinta agonistica, intelligenza tattica sopraffi na as-sicurata senza soluzione di conti-nuità dal mister Bepy… Pronti via persa, pronti via persa, pronti via pareggiata, pronti via… via… a

casa! Ci siamo guardati in fac-cia e abbiamo deciso di buttarla sull’importanza dell’esserci, dello stare assieme, del divertimen-to, della condivisione. A dirla tutta questi erano i presupposti iniziali. Questo non solamente in quest’occasione sportiva, ma tutte le volte che I Ragazzi della Panchina “escono”… dalle loro paure, dai pregiudizi degli altri, dalle proprie case o dalla sede (che per molti risulta esser quasi la stessa cosa) fuori dal mondo sommerso che ci relega osservatie quasi mai conosciuti. Eravamo sul quel campo guidati dalla vo-glia di mostrare l’altro lato della medaglia, il lato oscuro della luna così affascinante perché na-scosto e così pauroso, proprio per-ché nascosto. Certo che perdere così… al di là di tutto, ci ha fatto inca… volare!!! Grazie a Bepy, Davide, Nicola, Mauro, Gigi, Luca, Walmy, Massimo, Emanue-le ed a tutti i simpatizzanti.

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LDP - LIBERTÁ DI PAROLAGiornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi

Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009

Direttore ResponsabileMilena Bidinost

Direttore EditorialePino Roveredo

Capo RedattoreGuerrino Faggiani

RedazioneAndrea Picco, Franca Merlo, Gigi Dal Bon, Ada Moznich, Luca Marian, Manuele Celotto, Elisa Cozzarini, Gino Dain, Mauro La Placca, Alessandra Gabelli, Chiara Tavella, Ennio Rajer, Stefano Venuto

EditoreAssociazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Viale Grigoletti 11, 33170 Pordenone

Creazione grafi caMaurizio Poletto

ImpaginazioneAda Moznich

Fotografi eA cura della redazioneFoto a pagina 4 e 12 da sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/Main_Page

Stampa La GrafotecaVia Lino Zanussi 233170 Pordenone

Chi vuole scrivere, segnalare, chiedere o semplicemente conoscerci, contatti la redazione di LDP: [email protected]

Questo giornale é stato reso possibile grazie al contributo della Fondazazione CRUP attraverso il Comune di Pordenone

Associazione i Ragazzi della Panchina ONLUS Viale Grigoletti 11, 33170 PordenoneTel. 0434 363217email: [email protected]

Per le donazioni:Codice IBAN:IT 69 R 08356 12500 000000019539Per il 5X1000 codice fi scale:91045500930

La sede dei Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 14:00 alle 19:00

Hanno collaborato a questo numero

——————————————Franca MerloO Francesca, non lo capiremo mai… Altra colonna portante dei RdP, ha recentemente pubblicato un libro, “Noi!! Viviamo", sulla sua esperienza nel gruppo prima come volontaria e poi come Presidente dell’Associazione. Ha un blog molto frequentato: http: //rosaspina_mia.ilcannocchiale.it

——————————————Elisa CozzariniÈ riuscita a far scrivere a Ginetto un articolo intero, impresa non da poco. Giornalista in bici da corsa e zainetto, è una tipa che vedresti meglio sfrecciare a NY piuttosto che nella pista ciclabile di PN. In-somma, Freelance Amstrong

——————————————Manuele CelottoScrittore, nuotatore, scacchista, atto-re. Memorabili le sue performance nel ruolo del carcerato, con tanto di lancio della canotta al pubblico e pettorali in bella mostra. Per un po’ di tempo, purtroppo, si è dimentica-to di uscire dalla parte.

——————————————Pino Roveredo"Attenti alle rose" è il suo ultimo regalo letterario. Capriole in salita, Caracreatura: nei suoi romanzi più che scrivere dipinge. Ha portato in turnèe la Compagnia Instabile a Napoli e Milano: eroico!

——————————————Andrea PiccoSu Fb alla voce orientamento reli-gioso ha scritto integralista juven-tino. Dunque non sa chi ha vinto quest’anno il campionato, la cham-pion e la coppa italia. Non lo sa e non lo vuole sapere.

——————————————Guerrino FaggianiRinasce nel maggio 2006 all’ospe-dale di Udine. Da lì in poi è blog-ger (www.iragazzidellapanchina.it/gueriblog ), attore, ciclista.. Come giornalista, o gli date 5000 battute oppure non si siede neanche da-vanti al computer. “Cosa? Taglia-re?!? Piuttosto non sta neanche metterlo..”

——————————————Luca MarianBasta doppi sensi sulla viola, di sen-so ormai ce n’è uno solo. memora-bili le sue veglie con Andrea nella camera da cinque della compa-gnia instabile. Chissà chi sarà mai la prossima fortunata protagonista dei loro interminabili discorsi…

——————————————Ada MoznichRiconfermata presidente dell’asso-ciazione, la sua prima mossa è sta-ta tentare d’ingaggiare Cannavaro coi Kullander. La seconda sarà fare una sede staccata a Dubai per seguirlo nella sua “scelta di vita”.

——————————————Gigi Dal BonUno di quelli a cui i Ragazzi della Panchina devono tutto. Ramarro militante, ha scritto un libro, Karica vitale, che è il ritratto di una gene-razione. Chi entra in sede chiede: C’è Gigi? e Gigi c’è, sempre.

——————————————Milena BidinostPremessa: il direttore non si discute, si ama. Mai si sarebbe immagi-nata nella vita di fi nire a Napoli coi RdP e forse un giorno scriverà, di quell’abbraccio totalizzante. Ma a noi preme di più un’altra vicen-da: che fi ne ha fatto, il tappetino del bagno?!?

——————————————Marta Bottos e Tiziana De PieroPur di disegnare in esclusiva con il nostro giornale hanno rinuncia-to a un faraonico contratto con la Disney. La storia dei RdP a fumetti sta riscuotendo un grande succes-so. Sono pronte per il grande salto. www.nerogatto.it per credere!

——————————————Gino DainUn medico un giorno gli ha detto: se continui cosi non duri più di sei mesi. Era il 1980. Da allora per sca-ramanzia non è cambiato di una virgola. É la dimostrazione vivente che la medicina non è una scienza esatta

——————————————Ennio RajerDi nobile stirpe, il conte Rajer è av-viato ad una fulgida carriera di scrittore. È l’unico ad essersi presen-tato in sede con le paste la prima volta che vi ha messo piede. Paste nel senso di bignè: i soliti malizio-si…

——————————————Mauro La PlacaBici, immancabile maglietta nera, occhiali da sole, jeans, testa rasata. Dentro di lui un intreccio di compu-ter e fede, che lo fanno un uomo buono. Insomma: lo hacker che bontà!

——————————————Alessandra GabelliSi mormora che quando era monel-la cantava in un gruppo pordeno-nese, ora da grande è solidale con il sud del mondo. Insegna italiano agli stranieri, che se avessero il voto la vorrebbero come sindaco.

——————————————Stefano VenutoIl nuovo operatore che si è insedia-to a febbraio, ha ricevuto il batte-simo da "Zio Franco" che appena visto lo ha insultato e lui gli ha ri-sposto: "un attimo che apro la porta e poi ne parliamo" da quella volta sono amiconi.

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PROVA ACALPESTAREL'ERBA DI UNPRATO A PIEDINUDII RAGAZZI DELLA PANCHINA

CAMPAGNA PER LA SENSIBILIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALEDEI RAGAZZI DELLA PANCHINA CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI PORDENONE