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Libertá di Parola 1/2012 —— IL TEMA RDP INVIATI NEL MONDO PANKA ROCK APPROFONDIMENTO Vita da ricchi La crisi! Dal 2009 se ne parla e sempre più questa recessione sta mettendo in ginocchio intere famiglie, quelle che fino a qualche anno fa lavoravano, pagavano regolarmente le tasse, consumavano. La crisi cambia le abitudini della maggior parte degli italiani, priva del diritto all’occupazione e fa crescere la fetta di popolazione a rischio povertà. Ma i ricchi, ci siamo chiesti, anche loro piangono? a pag. 16 Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire) L' EDITORIALE Eluana e Beppino Englaro, senza fare rumore di Pino Roveredo continua a pagina 5 continua a pagina 15 a pagina 13 a pagina 2 a pagina 8 NON SOLO SPORT In silenzio, chiudendo la con- fusione fuori dall’ascolto, sot- tovoce penso… Penso, e pro- vo a farlo senza adagiarmi alle sensazioni e impressioni che girano fuori alla porta, quelle che spesso ti concedo- no il risparmio di una riflessio- ne, perché, tanto, più che il pensiero, conta da che parte stai!... Da che parte sto? Chiedo scusa ma, io non vo- glio stare da nessuna parte, io ho bisogno di starmene per i fatti miei, chiuso a chia- ve dentro la mia coscienza, e davanti al suo specchio co- struire e sopportare il rumore intimo del suo riflettere. Allora, sottovoce penso che nessuno si può assumere la proprietà del dolore altrui. Il dolore è come un cognome, ognuno ha il suo. Il dolore è un sentimento che si può con- dividere solo con la distanza educata di una conoscenza, e mai col sapere presuntuoso di chi vorrebbe consumarlo ignorando l’entità del pezzo che bisogna pagare. Sottovoce, col ritmo del mar- tello che pesta sopra il chio- do, penso a un numero, e più ci ragiono sopra, più quel numero all’apparenza esi- guo, diventa cifra impossibi- le, distanza irraggiungibile, sofferenza inimmaginabile. Diciassette anni! Istintivamente, con la rifles- sione nello stomaco, provo a immaginare una ragazza che è diventata donna sen- za godere il diritto e il piacere di un passaggio. Diciassette anni, ferma, immobile, senza muovere un dito, accenna- re una smorfia, vivere uno specchio, concedere l’ipotesi illusa di un sorriso, o regala- re la speranza di un piccolo, minimo, impercettibile rumo- re. Niente, nemmeno la pie- tà di un lamento. Diciassette anni, senza riposo e senza sconto, trascorsi consumando una storia senza righe, pa- role, vita. Diciassette anni, e cioè, come: duecentoquattro mesi, seimiladuecentocinque giorni, centoquarantottomila novecentoventi ore, e quasi nove milioni di minuti. Ora, si può concepire una sofferenza che ritorna per novemilioni di volte?... Sottovoce, con l’ansia da pa- dre, penso a un altro padre, e misuro quel dolore col metro insopportabile della tragedia. No, mi dispiace, ma io non riesco ad entrare in quella tremenda immedesimazione, perché non sono coraggioso, e mi spaventa il peso del- la sciagura. Io ho paura. Da sempre, con la forza del ge- nitore innamorato, desidero, prego e scongiuro, che i miei figli godano del bene più as- soluto, e per quella condizio- a pagina 9 Violenza sulle donne, una emergenza senza fine Come l'Argentina è risorta dalle ceneri della crisi 2011, così la nostra vecchia sede ci ha permesso di operare Caparezza, « Mi sento leader solo di me stesso » Atletica a Pordenone TEMPO LIBERO Facciamo l'orto a pag. 18

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Libertà di parola il trimestrale di informazione de I Ragazzi della Panchina di Pordenone

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Libertá di ParolaN°1/2012 ——

IL TEMA

rdP

INvIATI NEL MoNdo

PANkA rock

APProFoNdIMENTo

vita da ricchiLa crisi! Dal 2009 se ne parla e sempre più questa recessione sta mettendo in ginocchio intere famiglie, quelle che fino a qualche anno fa lavoravano, pagavano regolarmente le tasse, consumavano. La crisi cambia le abitudini della maggior parte degli italiani, priva del diritto all’occupazione e fa crescere la fetta di popolazione a rischio povertà. Ma i ricchi, ci siamo chiesti, anche loro piangono?

a pag. 16

disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (voltaire)

L' EdITorIALE

Eluana e Beppino Englaro, senza fare rumoredi Pino roveredo

continua a pagina 5

continua a pagina 15

a pagina 13

a pagina 2

a pagina 8

NoN soLo sPorT

In silenzio, chiudendo la con-fusione fuori dall’ascolto, sot-tovoce penso… Penso, e pro-vo a farlo senza adagiarmi alle sensazioni e impressioni che girano fuori alla porta, quelle che spesso ti concedo-no il risparmio di una riflessio-ne, perché, tanto, più che il pensiero, conta da che parte stai!... Da che parte sto?Chiedo scusa ma, io non vo-glio stare da nessuna parte, io ho bisogno di starmene per i fatti miei, chiuso a chia-ve dentro la mia coscienza, e davanti al suo specchio co-struire e sopportare il rumore intimo del suo riflettere.Allora, sottovoce penso che nessuno si può assumere la proprietà del dolore altrui. Il dolore è come un cognome, ognuno ha il suo. Il dolore è un sentimento che si può con-dividere solo con la distanza educata di una conoscenza, e mai col sapere presuntuoso di chi vorrebbe consumarlo ignorando l’entità del pezzo che bisogna pagare.Sottovoce, col ritmo del mar-tello che pesta sopra il chio-do, penso a un numero, e più ci ragiono sopra, più quel numero all’apparenza esi-guo, diventa cifra impossibi-le, distanza irraggiungibile, sofferenza inimmaginabile. Diciassette anni!Istintivamente, con la rifles-sione nello stomaco, provo

a immaginare una ragazza che è diventata donna sen-za godere il diritto e il piacere di un passaggio. Diciassette anni, ferma, immobile, senza muovere un dito, accenna-re una smorfia, vivere uno specchio, concedere l’ipotesi illusa di un sorriso, o regala-re la speranza di un piccolo, minimo, impercettibile rumo-re. Niente, nemmeno la pie-tà di un lamento. Diciassette anni, senza riposo e senza sconto, trascorsi consumando una storia senza righe, pa-role, vita. Diciassette anni, e cioè, come: duecentoquattro mesi, seimiladuecentocinque giorni, centoquarantottomila novecentoventi ore, e quasi

nove milioni di minuti. Ora, si può concepire una sofferenza che ritorna per novemilioni di volte?...Sottovoce, con l’ansia da pa-dre, penso a un altro padre, e misuro quel dolore col metro insopportabile della tragedia. No, mi dispiace, ma io non riesco ad entrare in quella tremenda immedesimazione, perché non sono coraggioso, e mi spaventa il peso del-la sciagura. Io ho paura. Da sempre, con la forza del ge-nitore innamorato, desidero, prego e scongiuro, che i miei figli godano del bene più as-soluto, e per quella condizio-

a pagina 9

violenza sulle donne, una emergenza senza fine

come l'Argentina è risorta dalle ceneri della crisi

2011, così la nostra vecchia sede ci ha permesso di operare

caparezza, «Mi sento leader solo di me stesso»

Atletica a Pordenone

TEMPo LIBEro

Facciamo l'ortoa pag. 18

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«Il mio incubo ha avuto ini-zio nell’estate del 2008». F. ha una quarantina d’anni e un passato non facile. Accetta di raccontarsi, per necessità di sputare fuori una storia che ha reso il suo presente ancora più difficile. Lo fa seduta in un locale pubblico, perché nono-stante mi conosca da tempo ha paura. Io sono uomo come lo è lui, colui il quale la mia amica definisce «il mio aguzzi-no». «E’ iniziato tutto al termine di una breve relazione durata pochi mesi – spiega la donna -. Il mio ex non ha mai accet-

da amante a persecutoreUn incubo che continua notte e giorno da tre anni di Ferdinando Parigi

tato che fosse finita e da quel giorno mi è sempre stato ad-dosso ». Quest’uomo abitava vicino a lei, ad una ventina di metri dalla sua casa, e per questo è stato ancora più fa-cile per lui controllarle ogni movimento, minacciare ogni persona che le stava accanto, spaventarla di giorno e di not-te. «Mi ha sempre tenuta sotto strettissimo controllo – prose-gue la donna -. Si appostava per intere nottate sotto casa mia e quando accendevo la luce per andare in bagno, lui iniziava a tempestarmi di tele-

IL TEMA

In Italia ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal marito o fidanzato o da un ex, mentre una su tre è stata vittima nella sua vita dell'aggressività di un uomo. Gli ultimi dati Istat sono del 2006 e coprono la fascia di età tra i 16 e i 70 anni. Ri-sultava che nell’anno prece-dente il numero delle donne vittime di violenza ammon-tava a 1 milione e 150 mila (5,4%), soprattutto giovani dai 16 ai 24 anni (16,3%) e dai 25 ai 24 anni (7,9%). Il 3,5% aveva subito violenza sessuale, il 2,7% fisica. Sono dati parziali, quelli che citia-mo, rispetto alla drammatica fotografia tracciata dall’inda-gine: lo sono tanto più se si considera che quest’ultima è a sua volta un granello nel mare vasto della violenza sulle donne. Nella quasi tota-lità dei casi infatti le violenze non sono denunciate: il som-merso è del 96% per le vio-lenze da un non partner, del 93% per quelle da partner. Ancora troppe infine sono le donne che non parlano con nessuno delle violenze su-bite. Mobbing, stalking; vio-lenze psicologiche, fisiche e sessuali; in strada, al lavoro; da conoscenti o estranei, ma soprattutto dentro le mura domestiche da parte del proprio uomo. «La moglie o compagna che subisce vio-lenza – spiega Maria De Ste-fano presidente di Voce Don-na, Centro antiviolenza di Pordenone – pensa di poter-la controllare accontentando nei comportamenti il proprio uomo e di meritarla tanto da non realizzare che si tratta di violenza». Quando “il ne-mico ha le chiavi di casa” è cioè difficile accettarlo come tale e spezzare le barriere culturali che proteggono la

sacralità della famiglia, per chiedere aiuto. «La donna ha paura che una sua reazione scateni ancora più aggres-sività – spiega De Stefano - paura per i figli che spesso assistono, un annientamento psicologico quindi, a volte aggravato dalla dipendenza economica dall’uomo». Nel 2011 a Voce Donna di Porde-none (www.vocedonnapn.it) si sono tenuti 342 colloqui (31 le consulenza legali of-ferte, 7 quelle psicologiche); delle 147 donne accolte al centro di ascolto che hanno seguito il percorso di aiuto, il 65% erano italiane, il 35% straniere; nelle due case ri-fugio infine Voce Donna ha accolto 11 donne, di cui una sola italiana, e 11 minori. «Hanno per la maggior parte subito violenza domestica – spiega De Stefano – che è la forma più diffusa e anche la meno denunciata. Traccia-re un identikit della vittima e dell’aggressore è difficile, perché si tratta di un fenome-no trasversale per età e per status sociale ed economico». Nel 2010 più di 8mila donne in Friuli Venezia Giulia si sono rivolte ai quattro centri di ascolto provinciali e si stima sia solo un 3% del fenome-no totale. « La violenza non è una devianza – conclude De Stefano – ma un fenomeno culturale trasversale che na-sce da un concetto, errato ed arretrato, di potere e superio-rità del maschio sulla femmi-na. Nei nostri centri offriamo supporto psicologico e legale utile a far comprende alla donna che merita rispetto in quanto individuo, ad ab-bassare il livello di paura e a farle mettere in atto quella serie di comportamenti che le consentano di rompere le catene della sottomissione».

doNNE E vIoLENZA. QUANdo IL NEMIco HA LE cHIAvI dI cAsANel 2010, solo il tre per cento delle donne del Friuli Venezia Giulia ha chiesto aiuto ai centri di ascolto antiviolenzadi Milena Bidinost

Difendersi dalle aggressio-ni è un arte che si appren-de a partire dal proprio naturale istinto di soprav-vivenza. Consapevolezza (di ciò che ci circonda), cono-scenza (del corpo e della mente umana e delle loro reazioni) e concentrazione (fiducia in se stessi e domi-nio della paura) sono gli strumenti da perfezionare per prevenire innanzitut-to e, nella peggiore delle ipotesi, per rispondere in modo efficace e secondo legge al proprio aggresso-re. Salvandosi così la vita e l’equilibrio psicologico, minacciati dalla violenza. E’ questo quanto il maestro Filippo Gaspardo di Fonta-nafredda insegna nei suoi

Quando la mente impara a dominare la pauraMolte le donne che partecipano ai corsi di difesa personale del maestro Filippo Gaspardo

corsi di difesa personale, in cui le donne sono sempre di più le principali parte-cipanti. Tecnico della fede-razione mondiale Ykkfe e presidente della Budo life centre di Pordenone, Ga-spardo è istruttore di difesa per le forze militari e di po-lizia. «Quando entri in una foresta di lance ed esse ti circonda-no, ricorda, la tua mente è il tuo scudo protettivo». Questa citazione chiude l’opuscolo che Gaspardo ha scritto e che consegna ai suoi corsi di difesa e riassume effica-cemente la prima regola. «E’ fondamentale innanzi-tutto – spiega Gaspardo – essere lucidi e non entrare in panico, così da mettere in atto atteggiamenti pre-

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Prostitute e transessuali nel mirino di sfruttatori e uomini in divisaConsiderati cittadini di serie B, sono più esposti al rischio e meno tutelati dalla legge di Pia covre

Recentemente ci sono stati atti violenti contro donne che si prostituivano conclusisi con l’omicidio, sono stati riporta-ti dalle cronache nazionali otto casi di donne uccise fra dicembre e gennaio, deci-samente troppe. La nostra Regione è stata coinvolta cir-ca un anno fa in un duplice caso di omicidio in cui l’as-sassino arrivava dal Friuli, e pochi mesi fa un gravissimo tentato omicidio a Udine. Il fenomeno della violenza di genere pervade ancora la nostra società che nonostante sia stata influenzata da molti cambiamenti, nelle relazioni fra uomini e donne mantie-ne asimmetrie di potere che si basano sulla differenza di genere e sulle diseguaglian-ze sociali. Le morti violente sono la punta di un iceberg di violenza che purtroppo esi-ste nell’ambito del lavoro ses-suale anche se quasi sempre rimane invisibile. Gli aspetti dei rischi a cui sono esposte donne e transessuali che si prostituiscono sono connessi alla identità di genere, per-ché sono donne, o all’identità transessuale, al fatto che sono straniere, al fatto che sono considerate cittadine di serie B. La privazione del riconosci-mento dei diritti lavorativi, e di cittadinanza, per la mag-gioranza delle sex worker che ora sono straniere, relega queste persone ai margini della società e le rende vul-nerabili a ricatti psicologici, abusi di potere, aggressioni fisiche, sfruttamento. Violenze fisiche e psicologiche che non vengono quasi mai denun-ciate per paura delle ritorsioni e per sfiducia verso le nostre istituzioni. Nel lavoro che il Co-mitato per i Diritti Civili delle Prostitute svolge sul territorio friulano si sono anche rac-colte le testimonianze delle donne e dei transgender che lavorano nel mercato del ses-so e che ci hanno raccontato

le proprie esperienze. Emer-ge un quadro abbastanza preoccupante. Atti violenti e prepotenze da parte di clienti sono abbastanza comuni, essi si approfittano della condizio-ne precaria e dell’isolamento in cui vivono le ragazze per pretendere servizi a rischio e per non pagare. Improvvisa-ti rapinatori che approfittano delle ragazze isolate per sot-trarre loro il denaro è anche un fatto comune. Purtroppo il clima di sfiducia che si è ve-nuto a creare verso le forze di polizia, le quali ormai vengo-no percepite come meri ese-cutori di repressione contro la prostituzione e l’immigrazione, impediscono quasi sempre alle straniere vittime di ag-gressioni di denunciare per la paura di essere scoperte ed espulse. Questa situazione dà un grande vantaggio ai malintenzionati che restano impuniti. D’altra parte alcune italiane ci hanno raccontato di aver subito durante le re-tate e il trattenimento nella questura di Udine violenze psicologiche e di essere state trattenute per ore in situazio-ne di disagio fisico e menta-le, schedate e fotosegnalate senza ragione e in violazione anche della legge Merlin. Si è portati a credere che le violenze contro chi fa questo lavoro siano compiute solo dagli sfruttatori e dai traffican-ti ma non è così, è vero che i trafficanti possono essere brutali, ma è altrettanto vero che anche chi dovrebbe pro-teggere ogni persona vittima di un crimine spesso non lo fa adeguatamente. Il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitu-te sostiene e da informazioni a chi intende presentare de-nuncia per casi di violenze e altro. Il numero di telefono a cui rivolgersi è 848-800017.

Comitato per i Diritti Civili del-le Prostitute Onluswww.luccioleonline.org

fonate e di sms». Lo stalker sa-peva in diretta chi entrava e chi usciva da casa sua e non ha mai esitato a creare situa-zioni di disturbo nei confronti dei suoi ospiti, prendendosela con le loro auto, rubando una bicicletta o bucando piuttosto le ruote di uno scooter. «Tutto questo – dice ora con rabbia e dolore - col passare del tempo ha finito col procura-re un gravissimo danno ai miei rapporti sociali, nel sen-so che conoscenti e amici, a scanso di grane anche gros-se, hanno preferito non farsi più vivi con me». F. è rimasta per questo motivo da sola a convivere con il suo incubo, nel quale anche il suono del telefono è diventato sinonimo di violenza psicologica feroce. «Questo individuo – confer-ma la mia amica – mi tele-fona da un minimo di dieci volte al giorno ad un massi-mo di 50, anche 100 volte, a seconda che abbia bevuto oppure no. Quando beve in-fatti diventa particolarmente violento. Ricevevo e ricevo, adesso per fortuna in misura leggermente minore, decine di sms al giorno, il cui conte-nuto va dalle suppliche “amo-rose” alle minacce alla mia incolumità, piuttosto che alle offese ai miei familiari, amici e conoscenti. Spesso minac-cia di farmi perdere il lavoro, che è la mia unica fonte di sostentamento – racconta la donna - facendo leva su miei vecchi problemi legati all’uso di sostanze». Tutto iniziò nel 2008. Tutto è andato avanti

uguale per oltre tre anni. A che fine, le chiedo? «Non c’è un obbiettivo – spiega lei – semplicemente, preso atto che non voglio saperne di stare con lui, preferisce susci-tare in me sentimenti di ostilità e odio, piuttosto che subire la mia indifferenza. L’aspetto pa-radossale, kafkiano, di tutta questa violenta, massacran-te, tremenda, sfinente azione di disturbo - denuncia ad un certo punto la vittima - è che, avendo io reagito fisicamente agli attacchi del mio stalker, sono stata pure denunciata tre volte per averlo graffia-to, per avergli sputato e per avergli spruzzato dello spray irritante in faccia nel tentati-vo di difendermi da lui». Per F. a fare male non sono solo le violenze verbali, le minac-ce anche di morte, i pedina-menti che in ogni momento il suo ex è capace di scaricarle addosso. C’è anche il senso di abbandono da parte del-la giustizia a creare dolore. "Dati i miei precedenti con e sostanze – è infatti l’amara considerazione che la donna fa a conclusione del nostro incontro - e sebbene oggi io ne sia finalmente fuori, la mia testimonianza non è mai stata considerata attendibile ai fini di un procedimento giudizia-rio contro il mio persecutore e per questo in questi anni non ho mai potuto veramente ap-pellarmi alla giustizia per ga-rantirmi una volta per tutte la tranquillità e la normalità di una vita che mi spetterebbe di diritto”.

Quando la mente impara a dominare la pauraMolte le donne che partecipano ai corsi di difesa personale del maestro Filippo Gaspardo

ventivi. Osserviamo sempre chi ci circonda, evitiamo i luoghi bui e isolati, diven-tiamo meno prevedibili mo-dificando spesso le nostre abitudini come, ad esem-pio, i tragitti abituali casa lavoro». Questo vale sempre, anco-ra di più se si è oggetto di azioni persecutorie da par-te del nostro aggressore. «Personalmente – prosegue il maestro – sconsiglio di ricorrere a dispositivi al pe-peroncino o simili, perché oltre che illegali sono peri-colosi anche per chi li usa a causa magari di un colpo di vento. Meglio è ad esem-pio – suggerisce – tenere tra le dita chiuse a pugno un arma di fortuna, come le chiavi dell’auto». Pugni

di ferro, nunchaku, spray sono vietati dalla legge, usarli potrebbe comporta-re il reato penale di “ec-cesso di difesa”. «Nei corsi – spiega infine Gaspardo – si apprendono le prese, i colpi, le fughe, l’uso della voce e le frasi giuste per chiedere aiuto, a partire dalla conoscen-za del corpo umano e dei suoi punti vulnerabili, ma soprattutto – conclude - si riacquista il controllo del-le proprie emozioni, in pri-mis la paura, la fiducia in se stessi e quella lucidità che viene meno in situa-zioni di pericolo, lascian-doci in balia del nostro aggressore, sia egli un co-noscente, un rapinatore o un maniaco”. (m.b.)

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Misure cautelari per gli imputati, no alle facili demagogieCombattere la violenza sulle donne nel rispetto della legge di Franca Merlo

Avevo sette anni e giocavo con i miei coetanei maschi. Avevamo in grande anti-patia le bambine, che chia-mavamo sprezzantemente “babe” perché trovavamo stupida tutta la loro passione per quegli oggetti inanimati che sono le bambole e trova-vamo assurdo il loro continuo parlare di cose da niente, il loro ridere per battute scioc-che, il recitare sciocche fila-strocche. Ma quelle “sciocchine” ci in-curiosivano, volevamo sape-re come erano fatte, perché sapevamo che erano diverse da noi ma non sapevamo in che modo. Fu così che un giorno io e il mio fidato ami-

co Michele decidemmo di sequestrarne una, di portarla in un posto sicuro e lì di spo-gliarla ed osservarla. Il posto sicuro era un box per auto che sapevamo essere inutiliz-zato. Lei si chiamava Miche-la, era figlia di meridionali ed abitava nel nostro palaz-zo. Non era particolarmente carina, ma per essere studia-ta si prestava benissimo. La spogliammo e la studiammo. Lei, muta come un pesce, si lasciava fare. Al termine del-la nostra esplorazione, lei si rivestì e ce ne andammo tutti molto soddisfatti. Qualche giorno dopo, la mia nonna materna, Fabia, venu-ta a sapere dell'accaduto, mi

prese da parte e mi disse una frase che mi rimase impressa e che fu il mio punto di riferi-mento con il sesso femminile per tanti anni a venire. “Lo sai che una donna non si tocca neanche con un fiore?”, mi disse. Se mia nonna avesse immaginato quali e quanti problemi mi avrebbe creato nella vita quella sentenza, avrebbe evitato sicuramente di pronunciarla.Da quell'istante in poi, per i successivi vent'anni e più, io credetti che a una donna non piacesse essere toccata, non piacesse essere “esplora-ta”, non piacesse in qualche modo essere presa. Errore capitale, il mio, visto e consi-derato che è vero tutto il con-trario. Ma io non conoscevo la verità, e per una vita ho creduto che fosse sbagliato, che fosse motivo di fastidio e di molestia, per una donna, l'essere oggetto delle atten-zioni maschili.All'età di quattordici anni (1976) eravamo nel pieno ful-gore, o, per meglio dire, furo-re femminista. “Io sono mia”, dicevano in tante. “Col dito, col dito, l'orgasmo è garan-tito”, dicevano altre. Ecco al-

Indignazione e proteste per la sentenza della Cassazione del 2 febbraio. Mentre il tri-bunale del Riesame di Roma aveva confermato la reclusio-ne per due giovani accusati di stupro, come unica misura cautelare applicabile, la Cas-sazione ha ritenuto che fosse-ro possibili altre misure. «Così si favorisce la violenza sulle donne e si permette ai ricchi di farsi una giustizia alternati-va», si affermava da più parti, sull’onda dell’emozione. E a molti personaggi politici non par vero di giudicare aber-ranti le decisioni della Magi-stratura. Alessandra Mussolini definisce la sentenza, appun-to, «aberrante», Mara Carfa-gna «impossibile da condivi-

dere, contro le donne, manda un messaggio sbagliato», Bar-bara Pollastrini «lacerante», Donata Lenzi afferma che «aumenteranno i silenzi delle vittime», Barbara Saltamari-ni parla di «Doppia violenza per chi subisce uno stupro di gruppo», Ombretta Colli ag-giunge che «Chi si macchia dell’infame reato di violenza sessuale non può scontare la propria pena comodamente a casa, seppur con le dovu-te misure cautelari», e via di seguito. Perfino Telefono Rosa attraverso la presidente Mo-scatelli afferma che si tratta di «un ennesimo passo indietro dove a rimetterci è la parte più debole ossia le donne vit-time di violenza». Ma, dico io

in coda a tutte loro: ci rendia-mo conto che si sta parlando di misure cautelari, da appli-care a imputati e non a col-pevoli? Non si sta parlando della pena, ma della misura cautelare in attesa della sen-tenza. Il giudice deve decide-re quali misure applicare ad indagati, che godono ancora della presunzione di innocen-za. Si tratta di una restrizione della libertà che è possibile in via eccezionale, solo quando c’è la concreta possibilità che l’indagato cancelli le prove o che ripeta il delitto, mentre è in attesa di giudizio. Nelle democrazie, per fortuna, una persona è innocente di fron-te alla legge finché non vie-ne dichiarata colpevole: la “presunzione d’innocenza” è

lora formarsi e consolidarsi in me la certezza che le donne non ne volessero sapere degli uomini, e che ogni rapporto sessuale fosse una cosa che la donna subiva, sopportava, per far piacere all'uomo. Essendo sempre stato una persona estremamente edu-cata e sensibile, sulla base di questi assunti fuorvianti, fal-sati, assurdi, demenziali, per i primi trent'anni della mia vita, dico trent'anni, non ho osato prendere l'iniziativa con le mie coetanee perché ero convinto di far loro un dispet-to, se non di arrecare loro un danno psicologico. A trent'anni suonati, una stu-penda ragazza, Cristina, mi fece perdere letteralmente la testa, mi innamorai follemen-te di lei, tuttavia, malgrado ne fossi pazzescamente attratto e fossi pienamente corrisposto, per i primi tre mesi del nostro rapporto non osai fare altro che baciarla teneramente sulla bocca. Così mi avevano insegnato, e così mi regolavo. Un bel giorno, fu veramente un bellissimo giorno, Cristi-na mi disse: “senti, ma si può sapere perché non mi salti addosso?”. Da trent'anni non

un caposaldo del diritto e ci garantisce come persone li-bere. Ma, come si arrivati alla sentenza della Cassazione? Nel 2009 il Parlamento aveva approvato una legge di con-trasto alla violenza sessuale per cui, per delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, non era consen-tito al giudice di applicare misure cautelari diverse dalla custodia in carcere. La Corte Costituzionale nel 2010 aveva ritenuto tale norma incompa-tibile con gli articoli 3 (ugua-glianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione; quindi aveva permesso delle alternative al carcere cautelare. La Cassa-zione non ha fatto altro che

«La donna non si tocca nemmeno con un fiore» Quel monito di mia nonna che mi condizionò la vita di Ferdinando Parigi

L'ANgoLo dELLA FrANcA

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Tempo fa passeggiavo per il centro e sul corso mi sono imbattuto in un gazebo che inneggiava ai diritti della donna, manifesti, slogan e quant’altro tutti mirati a mo-strare l’ingiustizia di fondo a cui è soggetta la donna da parte dell’uomo. Raccoglie-vano firme per dare il peso del consenso popolare alla loro iniziativa, incentrata in questo caso sull’aumento della presenza femminile in politica. Facevano bella mo-stra le bandiere del partito promotore, perché fosse chia-ro da dove venisse tale lo-devole iniziativa. Indifferente al colore dello schieramento mi sono avvicinato per alfa-betizzarmi, pronto anche alla firma. Io di natura non sono marchiabile da idee di grup-po o partiti; trovo sia il modo migliore per svilire le singola-rità, vero tesoro dell’umanità. Sono tuttavia sempre pronto a schierarmi e ad appoggia-re quelle che secondo me sono “le buone idee”. L’offen-siva che proponeva il gaze-bo, per contrastare lo strapo-tere maschilista nelle poltrone delle stanze dei bottoni della nazione, era di imporre per legge la presenza di un tot per cento di donne al Parla-mento, se non ricordo male il 50. Ma non ha importanza il numero, quello che mi ha fatto trasalire è stato il concet-to di fondo, sbagliato a mio parere. Siamo d’accordo che non è giusto privilegiare una classe sociale o sessuale che sia, rispetto ad un’altra, poi-ché si tratterebbe di una vio-lenza in questo caso figlia di

impostazioni culturali, sociali, storiche e chi più ne ha più ne metta, generate da criteri di merito ingiustificati e bas-samente di parte, che defrau-dano la donna della giusta considerazione sociale. Ma se è ingiusto questo, per stesso concetto è anche sbagliato imporre il 50, l’80 o il 10% che sia della presenza femminile nella politica. Non si impone niente: al Parlamento come in qualunque altro posto non si deve sedere d’ufficio, per accordo tra le parti e perché è scritto su un foglio su cui si è legiferato. E’ sbagliato quanto il principio dell’impo-sto superpotere del maschio. Deve sedere chi merita, uomo o donna che sia, questo è il concetto da far passare. Le grandi conquiste sociali non sono state raggiunte in un giorno, ma goccia dopo goc-cia. La disparità della donna rispetto all’uomo è la madre delle lotte sociali, ed è per questo logico che rimuoverla richiede tanto tempo, poiché è radicata in noi da sempre. Ma per ogni donna la strada più breve verso questo cam-biamento deve essere quella di mostrare ogni giorno il pro-prio valore, fino al momento in cui nessuno potrà più ne-gare all'ingiustizia a cui le donne sono soggette. E non piuttosto cavalcando concet-ti sbagliati tanto quelli che si vogliono combattere. Non si cura una malattia con un farmaco che ha lo stesso prin-cipio attivo del virus, è clamo-rosamente sbagliato. Alla fine ho abbandonato il gazebo senza firmare.

sì ai diritti delle donne, no alle quote rosaImporre numeri rischia di sottolineare la separazione dall'uomodi guerrino Faggiani

aspettavo altro che questo. Ero vissuto per tre decenni in un terribile equivoco, nato durante la mia infanzia e consolidatosi nell'adolescen-za. La totale ingenuità di mia nonna e l'assoluta stu-pidità delle femministe, che all'epoca dei miei vent'anni erano la maggioranza, ave-vano creato nella mia testa un enorme equivoco. Saltai effettivamente addosso alla Cristina come una scimmia, e ricordo quel giorno come uno dei più belli della mia intera vita (e probabilmente anche della sua). Le donne amano più la forza che la dolcezza, amano esse-re possedute, amano essere prese senza troppi riguardi. Questo me l'ha insegnato la vita, non mia nonna Fabia, e di questo, oggi, sono asso-lutamente certo. Sono passati diciannove anni da quel ma-gnifico giorno di dicembre con Cristina, e di donne ne ho cambiate diverse, e tutte con caratteri e personalità molto differenti tra loro, ma tutte accomunate da un uni-co desiderio: che sia l'uomo a prendere l'iniziativa e che lo faccia in modo virile.

ne sarei disposto a truccare le carte, tradire la bandiera, e imbrogliare il Cristo lassù, perché per quel bene sono pronto a commerciare fede e dignità. Egoista? Può essere, ma anche l’egoismo, come la paura, è una debolezza che appartiene agli umani.Sottovoce, col silenzio che si dedica al rispetto, penso al costo esasperato di un uomo messo sulla croce dell’attesa, e poi negargli per diciassette anni l’azzardo di una speran-za. Penso anche quella croce stesa sotto il corpo di una ra-gazza con l’imposizione as-soluta d’invecchiare, senza il suo consenso. Con l’urlo, l’uni-co a disposizione, mi chiedo: ma chi è che decide il prezzo o la condanna verso chi ha avuto la colpa inconsapevole di scivolare in una maledet-ta fatalità. Chi decide che la scelta fatta in buona salute, non si possa rispettare quan-do quella salute è venuta meno al patto. E come si fa, senza aver mai sfiorato quel tormento, ma con la sola pre-sunzione dell’ipotesi, a impor-re l’obbligo di un’agonia?Col tono del sussurro, provo a uscire dalla storia, e per difesa provo ad aggrappar-mi all’uso del confronto. Così penso all’eutanasia morale, quella che da anni permette a milioni di creature africane di consumarsi con l’ingiustizia atroce della fame, e penso a quei bambini santi come Dio, buttati in mare perché inca-paci di sopportare il viaggio della speranza. Sono anni che quei diritti di vivere sono accompagnati da grandi co-sternazioni, indignazioni, ma con poche, minime, scarse prese di posizione e soluzioni. Oggi, pretendiamo di raccon-tare la storia di un pianto, con la verità di una sola lacrima.Sottovoce esco dalla coscien-za e penso, spero, credo, che il Padrone dei Cieli sarà sicu-ramente più magnanimo del-le severità terrene, e davanti alla fatica del signor Beppi-no Englaro e alla distrazione assegnata alla cara Eluana, riconoscerà la sofferenza e al-largherà il suo assenso.

confermare quella decisio-ne. Ricordo che lo Stato ogni anno paga svariati milioni di euro per risarcire persone che sono state tenute in carcere per misura cautelare e poi assolte nel processo. A questo punto, la mia riflessione ab-braccia diversi aspetti del vi-vere civile. Primo: perché indi-gnarci sempre e comunque, senza entrare nel merito di un problema? Dovremmo re-im-parare a pensare, per mirare meglio gli obiettivi della no-stra sacrosanta indignazione. Secondo: l’informazione par-ziale e pilotata non solo toglie spazi alla libertà di pensiero e di giudizio, ma toglie pote-re politico (cioè di far valere le proprie ragioni) mandan-do allo sbaraglio. Terzo: ciò che è davvero “aberrante” è l’ignoranza e la spudoratez-za di molti giornali e di molti uomini politici, che cavalca-no l’onda dell’emozione per avere consenso. Che qualcu-no affermi «così si manda un messaggio sbagliato» la dice lunga: è nelle dittature che le persone vengono usate per mandare messaggi attra-verso pene esemplari. Tutta questa confusione si chiama demagogia. A qualcuno fa comodo e spesso la gente ci cade, anche con le migliori intenzioni.

L' EdITorIALE

Eluana e Beppino Englaro, senza fare rumoredi Pino roveredo

segue dalla prima pagina

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Quando si scrive di qualcu-no, spesso si scrive fino ad un certo punto. Quel punto che solitamente esonera par-te della storia di un persona. In questo caso cito il vivere della friulana Tina Modotti, a molti donna sconosciuta, nata in Carnia 70 anni fa e morta in un taxi di Messico il 5 gennaio 1942 a 45 anni. Fu un personaggio scomodo per quei tempi, ma a mio pa-rere anche per quelli odierni, visto che di lei se ne parla,

ma … fino ad un certo punto. La Modotti lasciò la sua Car-nia appena diciassettenne perché comunista dichiara-ta e lesbica ufficiosamente. Passionaria in Spagna, poi in Argentina, Russia, Stati Uni-ti e Messico, sposò il pittore Roubaix "Robo" de l'Abrie Richey del quale rimase ve-dova, quando aveva già ini-ziato una relazione con il fo-tografo Edward Weston, che fu uno degli uomini della sua vita. L’ultimo su il triestino

Vittorio Vidali. Ho comincia-to queste righe affermando che, in questo caso, si para di Tina fino ad un certo punto, in quanto chissà perché non si accenna alla sua omo-sessualità. La Modotti infatti ebbe anche una relazione con la pittrice messicana Fri-da Kalo, ma di questo nel 2012 non se ne parla: si leg-ga ad esempio l’articolo di Luciano Santin tratto dal Mes-saggero Veneto del 3 gen-naio 2012. L’articolista tratta il

personaggio Modotti splendi-damente in quanto ad agio-grafia e note di vita, ma per il resto tace sulla sua essenza di donna. Tina, geniale fo-tografa e attrice, ma soprat-tutto comunista militante fu un personaggio scomodo per l’America di quei tempi. Tornò in Messico e concluse la sua vita in silenzio, pover-tà e dimenticata anche da quanti aveva aiutato. Anche a Udine e in regione, a mio parere, non viene ricordata come meriterebbe: scomoda da viva ed anche da mor-ta. Forse un giorno qualche articolista non avrà il buon senso di redigere un artico-lo quantomeno più sincero ed autentico di quanto scrit-ti sino ad oggi. Questo forse, ma vi sarà sempre il solito ma.. di troppo. Comunque, Tina, chi ti conosce per come hai vissuto ti ricorda per quel-lo che sei ed hai contribuito a costruire per voi donne. Il resto è solo vita ed articoli, frutto dei soliti redattori o diri-genti giornalistici che stanno al gioco o al giogo di chi li paga.

TINA, oMosEssUALITÀ scoModA?Ricordata sempre come fotografa rivoluzianaria, si tace ancora sulla sua essenza di donna di Franco de Marchi

ZIo FrANco

Non avevo mai fatto molta attenzione ai problemi della disabilità, perché mi sem-brava qualcosa di lontano, non tra le mie priorità più prossime. E invece mai dire mai: da un giorno all’altro mi sono ritrovato “carrozzel-lato” e vivo difficoltà tangibi-li e giornaliere, guardo tutto con occhi nuovi. È successo in seguito a una polmonite. Sono stato per due giorni in una sorta di coma, uno spa-zio sospeso tra qua e là, e quando ho ripreso coscien-za mi sono accorto di non essere più capace di stare in piedi, né di allungare le gambe. Così, anche se le

mie condizioni fisiche sono ancora abbastanza buone, mi trovo da solo ad affron-tare altre esigenze di vita normale, tipo i svariati lavori di casa, gli spostamenti per fare la spesa, per cui non posso usare i mezzi pubblici perché nel mio comune non c’è un buon servizio, come in altri posti. Scopro le tante barriere architettoniche che chi è in carrozzina si trova a do-ver superare e un ostacolo emerge sugli altri: “Mi scap-pa la pipì… e di corsa”, ma come fare se sono solo? Eh già, non tutti possono essere accompagnati da qualcu-

no, perché l’assistenza costa. Anche altre azioni che ho sempre considerato banali, come cambiare una lam-padina, rifare il letto, richie-dono inevitabilmente l’inter-vento di un’altra persona. Mi chiedo chi possa venire ad aiutarmi. Tutte queste mansioni potrebbero essere chieste alle istituzioni pub-bliche, ma per mille motivi il più delle volte vengono disattese. Allora l’unica cosa che questa situazione riesce a dipanare è la diversità tra le persone che ti hanno circondato in altri momen-ti e quelle che invece vedi oggi, che hai più bisogno di

solidarietà. La barriera più grande è il sentimento di ostilità e repulsione che la gente ancora cova riguar-do alla disabilità. Ne avrei abbastanza solo a contra-stare questo sentimento, ma non mi abbatto. So che c’è chi sta molto peggio di me, io ho ancora la speranza di riacquistare l’uso delle gam-be, sto facendo fisioterapia. Devo stare attento a non fini-re di nuovo in profondi abissi di depressione, come quelli che ho già passato, quando l’unica cosa che volevo era stare per conto mio. Non è un bene, devo reagire, altri-menti finisce tutto a carte 48!

«Mi scappa la pipì» Bisogni quotidiani di un uomo in carrozzinaLa barriera più grande? L’ostilità delle persone verso la disabilitàdi gino dain

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Giorni fa in tv hanno fatto ve-dere delle "interviste volanti". Agli intervistati il giornalista chiedeva cosa fossero lo “spread” ed i “future”. Su una quindicina di persone solo un uomo ha risposto corret-tamente, gli altri hanno dato risposte un po’ così. A me è sembrato strano visto che or-mai certi termini fanno parte del nostro vivere quotidiano, però è anche vero che “xe tuta roba che no va in pigna-ta” e fatica ad accendere l’in-teresse della gente. I media ci propongono continuamen-te l’andamento della borsa e terminologie di economia as-sortite e, che ci piaccia o no, la finanza è diventata parte

spread, future, pareggio di bilancio, recessione: il dizionario della crisiRiflessioni su una società dominata dal dio denarodi Manuele celotto

New York City, quante volte ci è capitato di vedere le famo-se Torri gemelle immortalate su poster, foto o nelle sequen-ze di qualche film? Davvero tante. Questi edifici (facevano parte di un complesso di set-te strutture tutte collegate tra loro) iniziati nel 1966 ed inau-gurati nel 1973 erano un pro-getto innovativo. La gabbia di acciaio di cui erano rivestiti doveva garantire elasticità e resistenza in edifici così alti perché lassù il vento arriva a 120 all’ora. Erano strutturati e pensati anche per resistere a grandi impatti o attentati. Nel febbraio del 1993 furono col-locati 680kg di esplosivo nei sotterranei. L’attentato causò sei morti ed oltre un migliaio di feriti, ma solo la hall del-le due torri ne uscì danneg-

cELoX

giata. Anche l’impatto degli aerei, del nefasto 11 settem-bre 2001, consi-derando la sola forza d’urto non fu sufficiente a di-struggere le torri, ma ne incrinò la struttura. Era-no in grado di resistere anche con i due terzi della strut-tura dan-neggiata, infatti non crollarono, ma si ac-casciarono su loro stes-se perché la gabbia

d’acciaio, per il calore dell’in-cendio che si era propagato con la benzina degli aerei, ne alterò la capacità di re-sistenza. Mentre scrivo ripen-so a quel che è successo. Quel giorno stavo a casa di un amico, quando gli arrivò una telefonata. Corse ad ac-cendere la televisione e mi chiamò. Guardavamo, ma nessuno dei due riusciva ad aprir bocca. Nella testa gira-va una sola domanda: «Ma è tutto vero?». Non avevo

nemmeno idea di dove stava succe-dendo quel disastro, ma ero sicuro fosse in America. «New York due aerei con-tro le torri gemelle», sembrò rispondere il giornalista dalla televisione. I morti furono oltre 2600 e più di 400 solo tra i soccorritori. Il dan-no economico (la borsa restò chiusa per una settima-na) fu notevole, ma peggio fu per i danni a medio lun-go termine. Il crollo delle torri aveva rilasciato nell’aria un sacco di polve-

ri nocive (amianto, piombo, mercurio) e il ritorno forzato alla normalità (anche e so-prattutto per motivi economi-ci) peggiorò le cose. Sia Giu-liani (allora sindaco di New York) che Bush avevano spin-to perché la situazione tornas-se quanto prima alla norma-lità; l’area fu dichiarata non pericolosa ed agibile dopo una settimana con gravi con-seguenze per la salute di chi gravitava attorno per lavoro o altro. A tuttora non è accer-tato quanti si siano ammalati per quelle polveri e numero-se vertenze sono in piedi per rimborsi spese di cure me-diche per malattie derivate da quel disastro. Non furono solo quelli gli effetti collaterali: attivisti della pace perseguiti e incarcerati, “esportazione della democrazia” e nuova corsa agli armamenti, infor-mazione manipolata e il li-vello di paranoia che invade il quotidiano degli americani. Alcune conseguenze le su-biamo ancora oggi. I morti in Afghanistan nelle “missioni di pace” e tutti i costi che queste comportano (economici e di vite umane) a tuttora non ve-dono la fine e in molte zone del paese nulla è cambiato se non addirittura peggiorato.

del nostro vivere quotidiano. Borsa, finanza e banche inci-dono sull’orientamento poli-tico economico di governi e nazioni come sul nostro quo-tidiano. Ma come siamo arri-vati a tutto questo? La finanza è piena di squali e le ban-che pensano solo al profitto? Sarà, ma se adesso hanno tutto questo potere è anche perché noi glielo abbiamo dato. Per tanto tempo il da-naro è stato il nostro vero dio, le banche erano le cattedrali ed i guru della finanza i no-stri sacerdoti. Esagero? Anni fa un giornale (Cuore) pub-blicava una classifica (votata dai lettori) dei cinque motivi per cui vale la pena vivere.

Al primo posto c’erano i soldi, al secondo l’amore che, som-mato a far l’amore e “scopa-re”, era ancora distante nelle preferenze. Suona un po’ triste e strano vero? Però per anni abbiamo vissuto con l’equa-zione: + soldi = + consumi, + consumi = + felicità e vai che vai bene; il denaro non è più un mezzo, è diventato un fine. Il rovescio di questo è che più consumi e più devi produrre e l’economia non può crescere sempre; l’impatto ambientale si fa sempre più alto e le risor-se diminuiscono sempre più in fretta. Magari questa crisi potrebbe diventare un’occa-sione per ripensare la nostra

vita e “rallentare” un po’, “the slow

way”.

A d e s s o nel nostro quotidia-no troviamo un’altra “priorità” che è il “pareggio del bilan-cio”. Dopo anni scellerati di debito pubblico e di finanza un po’ allegra, vengono chie-sti sacrifici e rigore. Rigore? Ri-

gore è quando arbitro fischia! Giova ricordare che il potere di acquisto dei salari negli ultimi dieci anni è sceso del 20% circa (i prezzi sono saliti del 25-27% le paghe aumen-tate del 5-8%). Un po’ diffici-le chiedere sacrifici e un po’ in contraddizione: l’econo-mia è in recessione, ci sono meno soldi e la gente spen-de meno, invece servirebbe maggiore liquidità per dare slancio ai consumi e rilancia-re nuovamente l’economia. Se importante è il pareggio in bilancio lo sono anche i debiti; i debiti servono sia per le famiglie che per le impre-se e poi… i debiti al-lungano la vita! Tutti i creditori augurano lunga vita ai debitori, o almeno fino a de-

bito estinto.

E poi che ci stanno a fare le ban-che se non concedono prestiti?

due torri si accasciarono davanti al mondo11 settembre, dopo il Cile nel '73 fu tragedia anche a New Yorkdi Manuele celotto

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Salgo le scale di un antico pa-lazzo di Avenida Corrientes, nel centro di Buenos Aires, la capitale della Repubblica di Argentina. Ad aspettarmi c'è Nora, militante della Liga Ar-gentina por los Derechos del Hobre, la più antica associa-zione per i diritti umani di tutto il continente latinoamericano. Ci siamo conosciuti quasi due anni prima, in occasione del mio precedente viaggio e a lei sono legati i ricordi più emozionanti delle mie prime manifestazioni in terra argen-tina. Il momento in cui ci ri-troviamo arriva dopo alcune settimane da una sentenza storica che condanna alcu-ni dei militari colpevoli della sparizione di un'intera gene-razione di militanti politici in lotta con la dittatura dei gene-rali inaugurata con il colpo di Stato del 1976. In questa causa la Liga, ha supportato Floreal Avellaneda, desaparecido a soli quattordici anni, con l'aiu-to di alcune associazioni che si trovano in Italia, tra cui Vien-tos del Sur di Udine che mi ha permesso di conoscere questo mondo fantastico e altrettan-to doloroso. Ed è proprio da una delle grandi finestre della sede in Av. Corrientes, l'arteria culturale della Càpital, con le sue centinaia di librerie, cine-ma, teatri che si può scorgere il famoso Hotel Bauen, consi-derato tra i più lussuosi della città, fu costruito per volere della giunta militare nel 1978,

INvIATI NEL MoNdo

anno dei Mondiali di calcio in Argentina. Dopo la crisi eco-nomica del 2001, scoppiata a causa delle politiche ultra liberiste dell'allora presidente argentino Mènem che aveva privatizzato qualsiasi settore pubblico, messo in vendita ai grandi colossi occidentali e soprattutto americani, l'hotel ri-schiava di chiudere. Successe invece che 13 lavoratori deci-sero di occupare le stanze lus-suose del Bauen e poco dopo si costituirono in una coopera-tiva, che oggi conta 150 soci e funziona a pieno regime, ge-stendo 200 stanze distribuite su 25 piani. Un'esperienza in-credibile, ma non solitaria. In-fatti esiste una vera e propria rete delle aziende recuperate chiamata Ert (Empresas Recu-peradas por sus Trabajado-res), di cui fanno parte anche la Fasinpat (ex Zanon), famo-sa fabbrica di ceramica della città di Neuquen, recuperata dagli stessi operai, dopo che il proprietario Luigi Zanon, ita-liano e politicamente vicino a

Menem, dichiarò il fallimento. Le piastrelle dell'hotel Bauen provengono da lì, come se-gno di solidarietà tra lavora-tori. Ed è proprio da questo hotel che io e Nora partiamo verso la periferia sud dell'e-norme capitale, il quartiere di Parque Patricios, dove si trova il barrio autogestito dal Movi-mento Teritorial de Liberaciòn, uno dei tanti movimenti pi-queteros, cioè di disoccupati, che si sono organizzati nelle lotte sociali durante la crisi economica di dieci anni fa. Di ispirazione marxista, mol-to vicino al Partito Comunista Argentino, l'Mtl è presente con la sua rete in 17 provincie ar-gentine con 20 mila militanti sociali. A Buenos Aires, il mo-vimento si occupa soprattutto dell'emergenza abitativa, che interessa migliaia di persone, in particolar modo nella zona sud della città, dove, secondo le statistiche esistono circa 200 mila abitazioni chiuse. Il Movi-mento Teritorial de Liberacìon, sposando la lotta di strada, con il lavoro legislativo e di gestione, nell'anno 2003 ini-

Argentina, dieci anni dopo Cooperazione e autogestione per risorgere dalla crisi di Fabio Passador

ziò un percorso che, grazie ad una legge speciale che per-metteva ad organizzazioni co-stituite in cooperative di gestire risorse statali e all'appoggio dell'allora amministrazione municipale, portò alla realiz-zazione del Projecto Montea-gudo, dal nome della strada dove sorse il grande quartiere autogestito, dove fino ad al-cuni anni fa funzionava una fabbrica ora abbandonata.

L'appena nata cooperativa Mtl ricevette un finanziamento di 16 milioni di pesos argen-tini per poter realizzare 326 appartamenti in 14.000 metri quadrati di terreno. Il comple-tamento avvenne nel tempo record di 30 mesi con un co-sto minore del 25% rispetto al mercato edile. Comprensivo di alcuni ambienti pubblici come una piazza ed una de-cina di esercizi commerciali, dal settembre 2008 vide inau-gurata anche la radio comu-nitaria Radio Sur Mtl Fm 88.3 (http://www.radiosur1027.org.ar/). Con una frequenza limi-tata all'area cittadina, la sua missione è quella di diffon-

dere i valori della democra-zia, partecipazione cittadina e cooperazione. Dallo scorso novembre, viene organizza-to anche un festival musicale d'integrazione latinoamerica-na, con musica folklorica na-zionale e continentale, dove non mancano le murgas, una forma di teatro di strada che coniuga musica, danza e re-citazione nate in Uruguay ma diffuse anche in Argentina, soprattutto durante il Carne-vale. La vivacità dei militanti in questo quartiere, nato dalla loro voglia di riscatto, attraver-so la lotta ed il lavoro sociale, conditi da una forte creatività, fa si che coloro che come me si avvicinano a questo tipo di esperienze, tornino a casa con un grande bagaglio culturale ed un entusiasmo che diffi-cilmente viene compreso da questa parte del pianeta.

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L'APProFoNdIMENTo

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ANcHE I rIccHI PIANgoNo?

Di recente una ricerca eseguita sul mercato occupazionale in Friuli Venezia Giulia col contributo dell'Agenzia e regionale del Lavoro, a partire dai dati del 2007, ha fatto emergere che nel corso del 2009 l'11,4% delle famiglie del Fvg è classificata come in stato di "deprivazione" (erano il 9,5% nel 2004) e il 10% di-chiara di arrivare a fine mese con grande difficoltà. Il reddito medio dichiarato nel 2006 è pari a 29.745 annui (meno 5mila euro di affitto figurativo) ed è più elevato tra le famiglie classi-ficate come "senza figli", che sono l'11,6% del totale. Le fonti di reddito derivano in primo luogo dal lavoro (circa 70%) seguiti da pensioni, capitali, affitti e trasferimenti sociali. La medesima ricerca dice che nella nostra regione, circa 1/3 della popolazio-ne ha un lavoro da dipendente a tempo pieno e un altro terzo è ritirato dal lavoro. Gli autonomi superano l'8%. Il 53,8% degli individui intervistati in regione percepisce un reddito da lavoro e il reddito netto medio è pari a 16.479 euro. Messa sotto i raggi x, la popolazione meno abbiente soffre: per la crisi occupa-zionale, l’aumento della pressione fiscale, la perdita di potere d’acquisto dei redditi. Sempre la medesima crisi, secondo i dati dell’Osservatorio Findomestic, ha fatto chiudere i cordoni della borsa nel 2010 alle famiglie del Friuli Venezia Giulia che hanno speso il 3,2% in meno (1.462 mln di euro) rispetto al 2009 per l'acquisto di beni durevoli. Ciò è avvenuto nonostante si sia registrato un aumento del reddito pro capite complessivo, attestatosi a 20.265 euro (+0,7% sul 2009), al quinto posto tra le regioni italiane. La riduzione della spesa in Friuli Venezia Giulia

e' stata maggiore rispetto al dato medio nazionale 2010 (-2,2%), ed e' stata condizionata dal calo del mercato delle auto e delle moto nuove. A salvarsi è stato invece il mercato degli elettrodo-mestici 'bruni', cioè tv e hi fi, con +142% e dei prodotti informa-tici, +7,1%. Nel complesso, è emerso dall’indagine, le famiglie della regione sono intenzionate a continuare ad acquistare, ma sono consapevoli di doverlo fare con più prudenza e maggio-re informazione rispetto al passato. Ebbene, ci siamo chiesti: ciò vale per la media delle famiglie. I ricchi però, quelli con reddito davvero elevato, stanno nella stessa barca? Ovvero ponderano e risparmiano come la maggioranza degli italiani? La domanda ci è nata considerando un’altra indagine con-temporanea, la “Digital Luxury Experience- Altagamma Obser-vatory”, uno studio che Fondazione Altagamma ha condotto su 187 aziende che operano nel settore del lusso con vendite per 60 miliardi di euro. E’ emerso che le vendite online dei prodotti di alta gamma aumenteranno del 20% annuo, raggiungendo gli 11 miliardi di euro nel 2015. Basti pensare che il numero di “amici” dei brand di alta gamma sulle pagine Facebook cre-sce ad un tasso del 136% annuo. Condotta sulla base di otto macro-categorie di prodotti (moda, arredamento di fascia alta, gioielli e orologi, alimentare, ospitalità, automotive, yacht, altri), l’indagine sottolinea come i prodotti di lusso rappresentino una fetta marginale per il settore (4,5 miliardi di euro, 2,6% sul totale vendite), ma la loro vendita è destinata a crescere del 20% an-nuo e raggiungerà gli 11 miliardi di euro nel 2015.

di Milena Bidinost

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Mario è un nome di invenzio-ne dietro il quale abbiamo voluto raccontarvi la vita di A.M.P., un uomo di 49 anni, impr.enditore nel settore della distribuzione di abbigliamen-to. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare come se la vive la crisi una persona che agli occhi dei più potrebbe essere considerata ricca. Ma-rio ha dichiarato un reddito di circa 700.000 euro nel 2008, un reddito analogo nel 2009, 800.000 euro nel 2010. Nel 2011, a causa di ingenti inve-stimenti, il suo reddito dichia-rato è stato di alcune decine di migliaia di euro. Mario è sposato da 25 anni e ha due figli maschi. Abita in provincia di Pordenone, in un apparta-mento che definisce “carino”. Noi lo abbiamo visitato in parte, trovandolo decisamen-te bello e molto grande. Ha anche una bellissima villa a Formentera. E' lì che trascorre buona parte della stagione estiva, compatibilmente con i tanti impegni di lavoro e i nu-merosi hobby. «Mi piace fare sport – ci facciamo raccontare da Mario tanto per rompere

il ghiaccio - gioco a tennis, a golf, a calcetto ogni tanto. In estate mi piace andare per mare, sempre abbastanza vicino alla costa, con la mia barca a motore da 9 metri. Viaggio molto spesso e so-prattutto per affari, prevalen-temente negli Stati Uniti e in Canada». Quando non pren-de l’aereo, il nostro imprendi-tore viaggia in auto, con la sua Aston Martin Rapide. «E’ stata una spesa “folle” – am-mette - che mi sono concesso per dimenticare che siamo in tempo di crisi. Tanto per dare dei numeri, le dico che è un 6.000 di cilindrata, ha quasi 500 cavalli e sfiora i trecento km l'ora. Il prezzo? E' meglio che non glielo dica. Okay, l'ho pagata un po' più di 200.000 euro, full-optional, ma le ripe-to che considero folle questa spesa». Viene da chiedersi che cosa ne se possa fare di un’auto così potente, su strade in cui il limite massimo è di 130 km orari. «Il motore ha un suono stupendo – risponde - e poi di tanto in tanto vado in Germania per lavoro in auto e nelle autostrade tedesche i

limiti riguardano solo alcuni tratti critici, per il resto, traffico permettendo, si può correre». A questo punto la domanda non la possiamo più evitare e chiediamo a bruciapelo: «Lei si considera ricco?». «Tutto è relativo – esordisce a questo punto -. Voglio dire che sono ricco rispetto alla maggior parte dei contribuenti, ma ri-spetto ad altri, pochi a dire il vero, sono uno “sfigato”. Un ricco per me è qualcuno che può permettersi spese anche molto ingenti senza pensarci due volte. Se dovessi fissare un limite minimo per definire un vero ricco – azzarda - di-rei che deve avere un red-dito imponibile di almeno 2 milioni di euro l'anno». Mario, il nostro imprenditore di euro come detto ne è arrivati a di-chiarare fin sotto il milione. De-finisce per questo il suo stile di vita “equilibrato, rispetto alle sue possibilità”. Chiarito que-sto passaggio, passiamo alle note dolenti. «Dal 2008, 2009 si parla di crisi – gli chiedia-mo quindi ad un certo punto – Ma per lei la crisi c’è dav-vero?». «La noto soprattutto in-

torno a me – ci dice - ma non ne sono se-riamente preoccupato. Credo che oltre alla crisi, ci sia so-prattutto la paura della crisi. Personalmente, mi è capitato di rinviare degli acquisti, ma non per motivi strettamente economici. E poi, noto che sia-mo in crisi per il fatto che c'è una caduta dei consumi che si riflette in un rallentamen-to delle attività, compresa la mia». Nulla tuttavia per il mo-mento di tanto preoccupan-te da indurre Mario ad un radicale cambiamento nel suo stile di vita. «Non adotto particolari accorgimenti per risparmiare – confessa infatti – e continuo a togliermi dei piccoli sfizi per provare sod-disfazione e, come ho detto, per dimenticare che c'è la cri-si: acquisto dei vini particolar-mente pregiati, ad esempio».

«La mia Aston Martin? Un regalo per non pensare alla crisi»Per Mario, imprenditore con 800mila euro di reddito, a preoccupare è il pessimismo di Ferdinando Parigi

La crisi allarga la forbice tra ricchi e poveri: il gap di red-dito tra la fascia sociale più benestante e quella meno abbiente continua cioè ad aumentare, come da circa trent’anni a questa parte. Se-condo l’Ocse, nel 2008 il red-dito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), mentre a metà anni Novanta era appena otto volte più gran-de. Secondo l’Associazione artigiani e piccole imprese (Cgia) di Mestre, tuttavia non è vero che la manovra Mon-ti e le ultime due redatte dal governo Berlusconi per fare fronte alla crisi non colpiran-no anche i ricchi. L’autorevole centro di ricerche veneto ha infatti calcolato le conseguen-ze economiche delle ultime tre manovre correttive sulle ta-sche di tre tipologie di ricchi: un manager d’azienda con

550mila euro di reddito l’an-no; un dirigente con un reddi-to di 350mila e un pensionato con un reddito di 220mila. A fronte della patrimoniale che graverà sui loro dossier titoli, del contributo di solidarietà introdotto da Berlusconi, dal peso dell’Imu che interesse-rà le loro abitazioni (prima e seconda casa) e la tassa di lusso che colpirà le loro auto di grossa cilindrata, per que-ste due tipologie di dirigenti gli aumenti saranno notevoli. Nel primo caso, la maggiore tassazione sarà già quest’an-no di quasi 8.500 euro, per

oscillare poi nei prossimi tre anni tra i 16mila euro e i 21.300 euro per ciascuna an-nualità. Non va molto meglio nemmeno per il super pensio-nato. Se si considera anche l’ulteriore contributo di solida-rietà introdotto dalla mano-vra Monti sopra i 200mila euro (aliquota del 15%), le maggiori tasse da versare all’Erario e agli enti locali am-monteranno a 4mila euro per l’anno in corso e tra i 10.700 euro e i 12.300 euro per cia-scuno dei prossimi anni. Se è vero che – si potrebbe obbiet-tare - quando si è ricchi pa-

gare diventa più facile, non è detto che qualche sacrificio in più cominci ad essere richie-sto anche a loro. Secondo il dizionario della lingua italia-na Sabatini Colletti, ricco è colui che dispone di beni e mezzi economici in abbon-danza. Rispetto a cosa, tutta-via? Qualcuno può credere che ricco sia colui il quale può permettersi di licenziarsi senza dover più lavorare per tutta la vita; qualcun altro che lo sia chi guadagna 10, 20 o più mila euro al mese. Ricco, da un altro punto di vista può essere colui il quale non deve fermarsi a riflettere davanti al desiderio di un acquisto. Per questo motivo e per mancan-za di indagini sul tema che siano aggiornate ai tempi della crisi, tracciare una fo-tografia di quelli che, in Friuli Venezia Giulia, sono i cittadi-ni più ricchi, anche solo sulla base dei redditi dichiarati, di-venta un impresa ardua.

stangata MontiNon risparmia i grandi redditi, ma non rende poveri i ricchidi Milena Bidinost

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Con la crisi che attanaglia l'Italia di questi tempi e che riduce la disponibilità finan-ziaria dei cittadini, o per lo meno della maggior parte di questi, i ricchi, quelli che di soldi ne guadagnano davvero tanti continuano a concedersi gli stessi lussi di una volta? E’ una domanda che ci siamo posti, per dare risposta alla quale, abbia-mo pensato bene di andare a prendere come esempio quello che per antonoma-sia è da sempre ritenuto un

lusso per pochi e il sogno di tanti: la rossa di Maranello. La Ferrari, si sa, si è conqui-stata il podio della notorietà nella Formula Uno, ma non di rado la si vede sfrecciare anche per le vie cittadine. E’ un investimento da centinaia di milioni di euro, poco meno se ci si accontenta dell’usato, senza contare i costi di man-tenimento. Chi se la può comprare di questi tempi? «Innanzitutto serve fare una distinzione – spiega Enzo Za-ghet titolare dell’omonima

rossa di Maranello, sempre più un sogno per pochiCalano le vendite e a comprare restano i ricchi dell’ultima ora di Luca gaspardis

concessionaria di Sacile - ci sono le persone che sono nate ricche e quelle invece che lo sono diventate. Appu-rato questo c'è da dire che con la crisi anche i ricchi stanno più attenti a conce-dersi beni di lusso. Ciò av-v i e -n e

s i a per la maggiore ri-gidità dei controlli fiscali e in termini di studi di settore (ovvero lo stile di vita che una persona può permettersi paragonato alla sua dichia-razione dei redditi n.d.r), sia che per la diffidenza di inve-stire liquidità in beni super-flui». Tra i clienti della conces-sionaria, nata nel 1969 con il marchio Alfa Romeo ed entrata a far parte dal 1985 dell’organizzazione Ineco

Auto Spa, con il prestigioso marchio della Ferrari e, suc-cessivamente, della Maserati, ci sono poi come detto quelli che Zaghet definisce «gli ar-ricchiti dell’ultima ora che vogliono togliersi la soddisfa-

zione di

rega la r s i un sogno.

Questo tipo di persone a quanto vedo

la crisi la sentono di meno, perché hanno una percezio-ne diversa del denaro». Da ultimo e in via di estinzione ci sono “gli esibizionisti” o gli “snob” che dir si voglia: i classici “figli di papà” che un tempo la macchina di lusso se la compravano a occhi chiusi, ma che ora con la stretta ai portafogli due conti in tasca sono costretti a farse-li anche loro.

MANOVRE FISCALI 2011: MAGGIORE TASSAZIONE Rispetto al 2010

Descrizione

2011 2012 2013 2014

Contributo solidarietà (DL 138/2011) 835 830 830 0 Stima aggravio introduzione tassazione 20% sulle rendite finanziarie (DL 138/2011) 1.327 1.327 1.327

Imposta di bollo dossier titoli (DL 201/2011) 646 736 1.121 1.121

Addizionale erariale tassa automobilistica (DL 98/2011 e DL 201/2011) 950 2.700 2.700 2.700

Accisa sul carburante (DL 201/2011) 82 336 338 338

IMU Prima abitazione (DL 201/2011) 952 952 952

IMU seconda abitazione a disposizione (DL 201/2011) 0 -53 -53 -53

Tributo comunale sui servizi (DL 201/2011) 84 84

Incrementi aliquota IVA (DL 138/2011 e DL 201/2011) 120 870 2.226 2.669

Addizionale regionale IRPEF (DL 201/2011) 1.020 1.020 1.020 1.039

Maggiore tassazione dopo le Manovre Monti-Berlusconi 3.653 8.719 10.545 10.176 MANOVRE FISCALI 2011:MAGGIORE TASSAZIONE rispetto al 2010

Descrizione 2011 2012 2013 2014

Contributo di solidarietà (DL 201/2011) 2.552 6.088 6.088 6.088

Stima aggravio tassazione ritenute interessi attivi (DL 138/2011) 0 1.169 1.169 1.169

Imposta di bollo dossier titoli (DL 201/2011) 646 596 911 911

Addizionale erariale tassa automobilistica (DL 98/2011 e DL 201/2011) 0 800 800 800

Accisa sul carburante (DL 201/2011)* 82 336 338 338

IMU Prima abitazione (DL 201/2011) 647 647 647

IMU Seconda abitazione a disposizione (DL 201/2011) 0 -67 -67 -67

Tributo comunale sui servizi (DL 201/2011) 69 69

Incrementi aliquota IVA (DL 138/2011 e DL 201/2011) 84 603 1.531 1.835

Addizionale regionale IRPEF (DL 201/2011) 670 591 591 591

Maggiore tassazione dopo le Manovre Monti-Berlusconi 4.033 10.763 12.077 12.380

Pensionato con Pensione di 220.000 euro. Patrimonio fi-nanziario di 650.000 euro di cui 20.000 in conto corrente. Auto di 225 Kw a benzina con la quale percorre 20.000 km annui (consumo pari a 10 km con 1 litro). Premio assicu-rativo RC auto di 1.512 euro annui. Abitazione principale di 150 mq e con rendita (al lordo della rivalutazione del 5%) pari a 1.324 euro. Secon-da casa di 80 mq e con ren-dita di 893 euro.Elaborazione: Ufficio Studi CGIA di Mestre

Pensionato reddito 220.000 Euro

dirigente reddito 350.000 EuroDirigente con reddito di 350.000 euro. Patrimonio fi-nanziario di 800.000 euro di cui 30.000 in conto corrente. Auto di 320 Kw a benzina con la quale percorre 20.000 km annui (consumo pari a 10 km con 1 litro). Premio assicu-rativo RC auto di 2.091 euro. Abitazione principale di 200 mq, con rendita (al lordo del-la rivalutazione del 5%) pari a 1.800 euro. Seconda casa di 80 mq con rendita (al lordo della rivalutazione del 5%) pari a 700 euro.

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IL VISIONARIO IMU-NITÀ

Le organizzazioni mafiose pre-senti sul territorio nazionale hanno inviato un documento unitario al Governo in cui chie-dono di essere esentati, al pari delle confessioni religiose, dal pagamento dell’Imu. «Questa nuova imposta - si legge nel documento - rischia di mettere in ginocchio un’intera econo-mia ed è a nostro avviso ves-satoria nei confronti di chi, sia esso commerciante o piccolo imprenditore, versa già a noi con regolarità il pizzo. Questo ulteriore balzello lo metterebbe

in ginocchio, costringendolo a scegliere, in questo momento di crisi, tra noi e lo Stato, con conseguenti danni per en-trambi». Le mafie stimano in un miliardo di euro l’anno il mancato introito conseg-uente all’introduzione dell’Imu e minacciano «di aumen-tare il prezzo della cocaina all’ingrosso e se necessario di indire una serie di scioperi nei cantieri delle opere pubbliche da noi controllati. È in gioco il futuro delle nostre famiglie, dei nostri figli, del nostro Paese».

Si è da poco svolta a Verona la fiera del lusso “Luxury & Yachts”, e la “filosofia” che ha fatto da sfondo all’esposizio-ne è stata: “Lusso come eccel-lenza, come esclusività, come bellezza, come stravaganza, lusso come appagamento dei propri gusti”. In sostan-za, l’essenza del lusso. L’altra sera ero a cena con il ti-tolare di un’azienda di medie dimensioni, un signore distinto

a modo e di buoni prin-

ricchi da morireCase, yachts, gioielli. La fiera di un lusso che non sarà mai eternodi Emanuela greggio

IL VISIONARIO Diversamente poveriFlash mob dei “Diversamente Poveri” in mattinata di fronte a palazzo Chigi, per protestare contro il caro benzina. Un cen-tinaio di Ferrari hanno colorato di rosso la piazza, facendo rom-bare per dieci minuti i poten-tissimi motori della scuderia di Maranello. «È inutile che faccia-mo miracoli per non pagare le tasse, ha detto ai nostri microfo-ni il portavoce dei DP, se poi lo Stato ci spreme colpendoci sulla benzina. Lei ha idea di quanto consumi il Testarossa che ho

intestato a mia nonna? E lo yacht, crede che vada ad ac-qua di mare?» I motori si sur-riscaldano per un attimo quan-do da un’Alfa 33 di passaggio parte un sonoro «A stronziiiii!!» É infine giallo sul mancato ar-rivo di Lapo, annunciato dagli organizzatori con il suo Ferrari mimetico a solidarizzare con i manifestanti. «È bloccato in autostrada - chiarisce infine il solito portavoce. - No no, non è colpa dei No Tav. Ha finito la benzina».

cipi, che ha esposto in questa fiera uno dei suoi prodotti di uso comune impreziosito da intarsi d’oro e di platino, e di-venuto quindi per definizione “un prodotto di lusso”. E’ stato

naturale soffermarsi a ri-flettere su chi del lusso ha fatto la base della pro-

pria vita. Mi racconta-va che ha avuto

modo di pre-

stare la propria opera in un’abitazione a Cortina, che si sviluppa in modo sotterra-neo per 3000 mq, 1000 mq per piano e per ben 3 volte. C’era la sala fitness, il sola-rium, la piscina e addirittura la possibilità di direzionare il moto ondoso dell’acqua. Ci sono voluti esperti, geologi e non so cos’altro per architetta-re un’abitazione sotterranea di questo tipo. Se penso che le case a Cortina viaggiano sui 20.000 euro a mq e faccio due calcoli, raggiungo cifre che non riesco nemmeno a pronunciare e devo fermar-mi a contare gli zero. Mi dice-va questo signore che dopo una prima fase di stupore e di apprezzamento per questa abitazione come autentico gioiello di architettura, inge-gneria, cura di ogni detta-g l i o , anche il più superfluo,

è seguito un secon-do momento di smarrimento e di repulsione. Mi ha

guarda ta f i s s a

negli o c -c h i e mi h a det -

to: «Ma hanno bisogno di tut-to questo per stare bene? Ma lo sanno che poi lasciamo tutto qui?». Da lì sono partite alcune mie personali rifles-sioni. Il lusso, la ricchezza, la fama, quando raggiungono questi impressionanti livelli arrivano a trasmettere a chi guarda dall’esterno, un senso di onnipotenza e immortalità. Sembra che davvero questi Titani del Dio Denaro e del-la Fama, siano “per sempre”, e non possano essere colpiti da ciò che di comune inte-ressa la vita di ciascuno di noi, non da ultima la morte. Mi ha presa una sensazione strana ascoltando la voce del Big Luciano nella pubblicità della Nutella. Anche a lui la notorietà e la ricchezza han-no dato un senso di eterno. E quando canta “buongiorno a questo giorno che si sveglia oggi con te, buon giorno al latte ed al caffè, buon gior-no a chi non c’è”, ho davvero creduto che lui ci sia ancora. E mi son dovuta concentrare per ricordare che è morto. Come se la mia mente inva-ghita e confusa dalla manife-stazione di tanta opulenza e tanta notorietà abbia potuto pensare che i grandi e i ricchi non possono morire!

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dati 2011, un'eccezionale vetrina del territorio

di stefano venuto

E’ stata totale la presenza alla con-ferenza stampa di febbraio di me-dia e istituzioni

PANkANEWs

Mercoledì 8 febbraio con-ferenza stampa del’asso-ciazione “I Ragazzi della Panchina”di presentazione del rendiconto delle attività 2011, le prospettive 2012 e le questioni aperte. Erano pre-senti per giornali e televisioni: Messaggero Veneto, Gazzet-tino, Ufficio stampa Comune di Pordenone, Ufficio stampa Coop Itaca; RAI Regione, Tele Pordenone, Pn Box, Triveneta FVG. Ci hanno contattati te-lefonicamente ed acquisito i dati via mail: Il Friuli, Il Popo-lo, Il Momento, ANSA e Video Regione. Ospiti presenti all’in-contro: per il Comune di Por-denone: il sindaco Claudio Pedrotti, l’assessore Vincen-zo Romor, l’assessore Flavio Moro, il responsabile Servizi sociali Giovanni Di Prima e la collaboratrice Monia Guari-no. Per l’Ass6: i direttore sani-tario Mario Casini, il primario del Dipartimento per le di-

pendenze Roberta Sabbion, il referente del Ser.T per “I Ragazzi della Panchina” Ales-sandro Zamai, il coordinatore “Genius Loci” Francesco Stop-pa, il responsabile servizio promozione ed educazione alla salute Virgilio Beacco. Per la Questura di Pordeno-ne: il responsabile ufficio pre-venzione generale e soccorso pubblico Francesco De Zorzi, due poliziotti di quartiere. Per la Prefettura di Pordenone il referente dell’Urp Silvano Romanin, il presidente del Tribunale di Pordenone Fran-cesco Pedoja. Per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pordenone: Sara Rizzardo. C’erano poi il direttore della Casa circondariale di Porde-none Alberto Quagliotto e il presidente della Cooperativa Itaca Leo Tomarchio. Il motivo di questo elenco non vuole avere il fine di una autoce-lebrazione. Come abbiamo

molte volte detto durante la conferenza i numeri da soli vogliono dire tutto e significa-no niente! Così questo elenco. Il significato vero è la territo-rialità. Ciò che sta “dietro” a queste rappresentanze, vale per noi la possibilità di infor-mare e coinvolgere diretta-mente gli amministratori sul potenziale espresso dalla no-stra associazione sul territorio e al tempo stesso di informa-re i cittadini perché sappiano dell’impegno ai risultati che anche per loro l’associazione e l’intera rete cercano di met-tere in atto. Indubbiamente la presenza di così tante televi-sioni, giornali ed autorità ci rallegra, perché è indicativo di come siamo stati capaci negli anni di far diventare centrale un problema, quello delle dipendenze da sostan-ze, per l’intera comunità cit-tadina, evitando di relegarlo come spesso accade all’inter-

no di un rimbalzo senza solu-zione di continuità tra denun-ce, tribunali e carcere. Siamo soddisfatti perché se il primo obiettivo dell’associazione è quello di porsi come anello di congiunzione, come ponte da percorrere per legare la “stra-da” alle istituzioni, ci sentiamo di aver fatto un bel passo avanti in questa direzione.

senza sede, persone abbandonate a loro stesse per le strade

di stefano venuto

Chiusa la casa di viale Grigoletti, le dif-ficoltà de “I Ragazzi della Panchina” a proseguire la azione di monitoraggio e recupero del disagio sociale

Sono state ben 233 le persone che nel corso del 2011 hanno varcato la soglia dell’oramai ex sede di viale Grigoletti 11 a Pordenone. Una casa che, lo ricordiamo, ci han-no costretto in fretta e furia a lasciare a metà dicembre, senza un’alternativa pronta ad accoglierci. Ebbene, di quelle 233 persone, 109 non sono seguite da nessun ser-vizio, né associazione. In 244 giorni di apertura della casa di viale Grigoletti le presenze totali sono state 5687, per una media giornaliera di 23 per-sone. La lettura di questi dati deve necessariamente parti-re da una considerazione: le persone che hanno varcato la soglia della sede nell’anno 2011 non venivano per otte-nere qualcosa di materiale in cambio. Il ritorno era piuttosto di tipo relazionale. La sede de “I Ragazzi della Panchina” si presentava principalmente come un luogo dove veniva data dignità ad un proble-ma. Per gli operatori avere un approccio etico alle pro-blematiche delle dipendenze

significa proprio questo: agire secondo una logica non ri-vendicativa e non basata su vantaggi materiali, ma piutto-sto relazionali; porsi nella pro-spettiva di un cambiamento in termini comunitari e cul-turali. Questo approccio per-mette anche al Dipartimento per le Dipendenze dell’ospe-dale civile cittadino, con il quale esiste una stretta col-

laborazione, di ottimizzare il lavoro sulla singola persona. L’approccio alle dipendenze dell’associazione consiste nel lavorare non solo sul singolo utilizzatore di sostanze, ma an-che e soprattutto sul contesto, per dare modo a chi vive il problema di sentirsi parte del mondo in cui abita e di met-tere in atto, di conseguenza, tutta una serie di modifiche

al suo modus operandi ver-so il miglioramento. Oggi più che mai, la mancanza di una sede demolisce la possibilità di lavorare in questo senso, in quanto non c’è una siste-maticità quotidiana di ragio-namento con i ragazzi, un luogo visibile e raggiungibile da chicchessia, un lavoro in prospettiva con la città. L’im-portanza della metodologia di lavoro dell’associazione si evidenzia ulteriormente nel numero di persone non in carico ad alcun servizio che hanno scelto di frequentare la sede: a queste gli operato-ri fornivano piani relazionali adeguati per fare in modo che solitudine, disagio, di-pendenza, non portassero ad un crollo personale e conse-guentemente sociale. Oggi queste 109 persone non sono più seguite da nessun’altra struttura pubblica o privata. Senza la sede de “I Ragazzi della Panchina” sono tutte sul territorio completamente ir-raggiungibili, non contenibili, se non in ultima istanza dalle forza dell’ordine.

Totali presenze 5687Giorni di apertura 244Media giornaliera 23Contatti diversi 233In carico al Ser.T 63Non in carico ad alcun servizio 109In carico al C.S.M. 6Stranieri 14Operatori 6Mondo istituzionale ed amici 35

I NUMERI

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Loris Mazzetti, regista e gior-nalista, è capostruttura di Rai Tre, ha realizzato con Enzo Biagi “Il Fatto” e con Fabio Fazio “Che tempo che fa”. Nel libro ”Sono venuto per servire”, edizioni Aliberti 2010, scritto a quattro mani con il protagonista, racconta del prete “scomodo” Andrea Gallo. Lo fa proponendo al lettore una conversazione amichevole, dove segue la storia del fondatore della comunità di San Benedetto al Porto, dalla sua infanzia, alla sua scelta di stare con gli “ultimi”. Mentre leggo, la considerazione che mi faccio è la stessa sulla quale riflette l’autore: “Peccato don che lei sia un prete, se fosse un politi-co, avremmo trovato il nostro il leader”. E Don Gallo, con il suo immancabile sigaro tra le labbra credo rispondereb-be serenamente: “Io ho solo seguito le impronte lasciate da altri”. Apostrofato in ogni modo: chierico rosso, prete comunista, protettore dei tos-sici, don Andrea Gallo non si scalfisce, anzi, ci tiene a pre-cisare che lui è anche amico delle prostitute, dei deviati, dei migranti, insomma di tutti coloro che stanno ai margini della società. Questo è il suo impegno alla Comunità di San Benedetto al Porto, dove, racconta, lavora di notte, per-ché solo in quelle ore gli ul-timi sono ben visibili, mentre durante il giorno si mimetiz-zano. C’è l’osteria “A’Lanter-na”, dove lavorano i ragazzi che lui ha aiutato ad uscire dal tunnel della droga e che lo circondano ogni qualvolta entra per salutarli. A quindici anni, come volontario, entra nella Marina: “Perché ho sempre amato il porto – dice - considerando che il porto è il luogo che accoglie chiun-que. Era il 1943, in piena seconda Guerra Mondiale, l’anno in cui scoppiò l’8 set-tembre e suo fratello Bernar-do era tenente dei pionieri in partenza per il fronte russo, il cui reparto fu trasferito a Mi-lano dopo i bombardamenti per ripulire le macerie. Con la caduta di Mussolini Gallo en-tra a far parte della Resisten-za, dove il giovane comin-ciò a prendere per la prima

rUBrIcA LIBrI

sono venuto per servire

recensione di Fabio Passador

Il libro di don Andrea Gallo e Loris Mazzetti per le edizioni Aliberti

volta coscienza delle parole “democrazia” e “liberazione”. Ed è proprio da lì che nasce l’uomo che noi tutti conoscia-mo, nome di battaglia “Nan”, diminutivo di Nasan, che in genovese significa nasone. Il suo ricordo dopo la libera-zione va al momento delle prime elezioni libere, quelle in cui anche le donne vo-tarono per la prima volta, come sua madre e le sue zie. La sua famiglia era povera, il padre analfabeta, reduce della Grande Guerra, face-va il ferroviere, ma insegnò tanto ad Andrea. Cresciuto in una famiglia profondamente cattolica, ma non bigotta, la madre gli ricordava sempre la figura di don Giovanni Bo-sco, colui che stava con i po-

veri e i contadini, segnando così quel percorso di impe-gno civile e di fede. L’espe-rienza che tuttavia finì per cambiare per sempre il pre-te di Genova fu sicuramen-te la sua missione in Brasile, dal quale decise di tornare quando capì che la chiesa locale era complice della dittatura dei militari. Riprese così gli studi universitari ad Ivrea, dove incontrò l’attuale

segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Nell’intervi-sta Gallo ricorda quindi i suoi contrasti durante le lezioni o alla festa del Primo maggio, che organizzò con un fou-lard rosso al collo, e di come, spesso, finiva convocato dal rettore. E poi il suo ritorno a Genova, non senza proble-mi, dopo aver prestato opera in un carcere. E’ così che na-sce il don Gallo che ora noi conosciamo: quello schierato a favore della legalizzazione delle droghe leggere, colui che lotta per i diritti dei mi-granti e dei transessuali, il prete che condanna l’acca-nimento terapeutico sui ma-lati terminali e che marcia insieme al popolo antiglo-balizzazione durante i tragici giorni di Genova nel 2001. Il prete che difende i valori della democrazia, che si defi-nisce senza paura di retorica, ancora antifascista, uno dei pochi amici di Fabrizio De André, che ha incontrato nel-la sua vita tutte e tutti coloro che lottano contro le ingiusti-zie e ha dato loro una voce.

La comunità di San Bene-detto al Porto (Ge) inizia le proprie attività nel 1975 nei locali di una canoni-ca messa a disposizione da don Federico Rebora. Si costituisce come asso-ciazione il 2 marzo 1983, promuovendo e cofondan-do con il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti il Coordina-mento nazionale comuni-tà di accoglienza (Cnca). In essa vengono accolti tutti coloro che si trovano in situazione di disagio, in particolar modo le perso-ne dipendenti da sostanze e soggetti con disturbi psi-chiatrici. La San Benedetto collabora attivamente con i servizi pubblici ed i Ser.T, anche in territorio piemon-tese, dove si trovano alcu-ne comunità residenziali associate. L'azione che questa comunità svolge non vuole essere né assi-stenziale né sostitutiva: il suo scopo è piuttosto quel-lo di offrire una forma di emancipazione da ogni tipo di dipendenza, all'in-terno di una partecipa-zione e confronto sociale critici con il sociale e con il politico. All'interno del progetto avviato da don Andrea Gallo c'è l'osteria

LA COMUNITA' SAN BENEDETTO AL PORTOA'Lanterna. Qui lavorano alcuni degli ospiti della co-munità. Vi è quindi un ca-loroso angolo dove poter assaggiare le migliori spe-cialità di pesce. La libreria, assieme all'osteria, costitui-sce inoltre quell'opportunità di inserimento lavorativo per persone svantaggiate, così come la tipografia e il negozio di abbigliamen-to, tutti uniti sotto la sigla della società cooperativa sociale Onlus La Lanterna. In un quartiere della città, la San Benedetto gestisce poi lo sportello informativo Sans Papiers. E’ questo un servizio mirato soprattutto a cittadini immigrati, ma fondamentalmente aperto a tutti coloro che sono in cerca di una consulenza gratuita. Inoltre si è costi-

tuita una compagnia te-atrale chiamata Il Teatro degli Zingari che, oltre a proporre degli spettacoli figurativi, organizza anche corsi di musica e balli afri-cani. Ed è infine perché a tutto il mondo si vuole ri-volgere, la Sambe, come la chiamano a Genova, è presente anche nella Repubblica Dominicana, dove un gruppo di autoc-toni ed italiani ha fondato una Ong che si occupa di sviluppo sostenibile insie-me alle comunità locali, promuovendo azioni di as-sistenza umanitaria, edu-cazione ambientale, cultu-rale e formativa.

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PANkA rock

Michele Salvemini in arte Caparezza, ha fatto tappa al forum di Pordenone lo scorso fine febbraio. Il nome gli de-riva da "capa rezza", ovve-ro "testa riccia" in dialetto di Molfetta, paese natale dell’ar-tista. Grazie all’Azalea Promo-tion che ha gestito l’evento siamo riusciti ad incontrarlo per scambiare qualche bat-tuta e saperne di più su di lui.

La sua carriera è stata una escalation di eventi sempre più importanti, da rapper a conduttore fino a diventare uno dei maggiori fenomeni musicali italiani, ora che al-tro verrà? Il dimenticatoio! A parte gli scherzi, non lo so cosa succe-derà, mi sorprendo sempre di continuare con la musica e di avere questo seguito, non era nelle mie intenzioni diventare

un leader. Come ho anche già scritto non sarei proprio contento a capo di un movi-mento: non mi ci vedo, non fa per me. Pur sapendo di dare la possibilità a diverse perso-ne, che si identificano sotto una unica bandiera, di espri-mersi attraverso quello che faccio, io comunque quando si tratta di rappresentare resto un passo indietro. Sono lea-der solo di me stesso, e non lo faccio neanche bene perché a volte mi disobbedisco.

È convinto di avere il talento che tutti dicono?No, assolutamente. Anzi mi preoccupa. E’ come dice-va Oscar Wild: «Quando tutti sono d’accordo con me, io penso di avere torto».

Di lei si dice che è un pen-satore libero, in che maniera

si deve pensare per essere tale? Mah non lo so. In realtà per me il fatto di riuscire ad eser-citare il pensiero è già una li-bertà, perché tante volte non si riesce ad esprimere nean-che i pareri, soprattutto quan-do si è in una posizione come la mia, in cui tutto quello che dico ha un seguito, si ha pau-ra a prendere una posizione.

L’industria del divertimento non ha scrupoli, sarà la pia-ga del futuro?Lo è già, è la piaga del pre-sente. Tra l’altro è una piaga in cui spesso hanno tentato di infilarmi dentro, forse per anestetizzare quello che dico, però ho cercato di rimanervi fuori.

Caparezza lo scorso ottobre è stato una delle star dell’Hit Week, il più grande festival di musica italiana in Ame-rica, esibendosi a New York,

Se c’è una cosa che ho no-tato nei personaggi che piacevolmente ho avuto modo di conoscere trami-te le interviste per Ldp, è che coloro che godono di appellativi come pensatori liberi, liberi pensatori e via dicendo, hanno in comune oltre alla fama di alterna-tivi anche un buon umore di fondo, quasi una spen-sieratezza che li stacca dai caratteri della maggioran-za delle persone. Anche se magari con problemi esistenziali e fragili emoti-vamente, loro comunque prendono la vita in questo modo. Anche Caparezza è di questo genotipo di per-sona. Per dire le cose non disdegnano la strada del-

LIBERI PENSATORIla battuta, la loro indole di fondo è che “messa là” con un sorriso è sempre meglio che con la serietà. Sono persone con cui è facile parlare ed intendersi per-ché alla fine, con questo atteggiamento, risultano brillanti non noiosi e posi-tivi, in una parola: gagliar-di. Dunque il buon umore è una costante, e allora se anche noi vogliamo prova-re ad essere liberi pensato-ri, cominciamo proprio da lì, con il tirarci su il mora-le e farci una bella risata. Meglio allenarsi tra quat-tro mura però, lontano da occhi indiscreti altrimenti più probabile che da liberi pensatori si passi da liberi andati.

caparezza: «sono leader solo di me stesso»

di guerrino Faggiani

Il cantante pugliese, in concerto a Pordenone, si racconta tra libertà di pensiero e sogni

Los Angeles e Miami. È un evento che considera come una consacrazione finale e punto d’arrivo?No per me è stata solo una esperienza, che tra l’altro non credo mi abbia fatto esplode-re come fenomeno. E’ succes-so solo per la semplice voglia di andare li, a fare tre date per arricchire il mio bagaglio personale.

Guardando a tutta la sua carriera c’è qualcosa che non rifarebbe?Tante cose non rifarei, però a volte penso che quello che ho fatto e che sul momento ave-vo considerato un errore, alla fine sia comunque servito. La vita non è fatta di soli passi giusti, ma anche di passi falsi, e non credo che sarei quello che sono senza di loro.

Un sogno nel cassetto?Avere un cassetto pieno di sogni.

Photo by Simone Di Luca

Photo by Simone Di Luca

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NoN soLo sPorT

Atletica Pordenone, quando lo sport va incontro ai giovaniDal 2011 con la presidenza Tropeano il rilancio della societàdi guerrino Faggiani

Le persone di buona volon-tà possono raccogliere sfide in ogni momento, anche se esulano dalle loro competen-ze professionali. Così ha fatto Pietro Tropeano, responsabile del Day Hospital del nostro ospedale Santa Maria Degli Angeli e presidente del Cir-colo di Pordenone, quando nell’aprile del 2011 ha ac-cettato di assumere la presi-denza dell’Asd Atletica Por-denone, società storica che quest’anno è al suo trentesi-mo anniversario. Il suo com-pito era rilanciare la società sportiva dallo stato di flessio-ne in cui si trovava.

È riuscito a ritagliarsi il tem-po per fare anche questo si-gnor Tropeano?Non è stato facile in effet-ti, ma mi affascinava l’idea di un’avventura simile. Con l’appoggio dei nostri fratelli dell’Equipe, l’altra società di atletica di Pordenone, e la no-mina di due vice presidenti, alla fine sono riuscito a deli-neare un assetto societario in grado di reggere gli impegni e di avere ragazzi che faccia-no sport. Noi non cerchiamo infatti atleti per vincere. Certo che se ci sono ci fa piacere, ma il nostro compito è pri-ma di tutto quello di portare lo sport ai ragazzi. A tal fine il prossimo aprile organizze-remo un importante incon-tro sul tema “L’atletica va a scuola” rivolto ai 600 alunni della elementare Pasolini di Pordenone. Accompagnere-mo inoltre i ragazzi per due giornate al campo d’atleti-ca, facendo testare loro tutte le specialità. In questo modo potremo verificare attitudini ed eventuali interessi a prose-guire nello sport. È un even-to che ripeteremo ogni anno con una scuola diversa e che per noi è importante perché è la missione della nostra so-cietà: non caccia ai campioni dunque ma semmai crearne da zero attingendo dal primo bacino d’utenza che sono le scuole di Pordenone.

Recentemente c’è stato un aumento degli stanziamenti

pubblici sul fronte dell’atleti-ca pordenonese. Come mai secondo lei tanta attenzione adesso? Credo sia dovuto alla cre-scente consapevolezza della necessità di salvaguardare tutto ciò che ruota attorno ai giovani, e nella comprensio-ne che investire nello sport e

nelle società sportive significa investire proprio per loro. E poi io dico che comunque gli enti erogatori devono essere stimolati, nessuno ti dà niente per niente, e vanno stimola-ti con obiettivi e progetti seri. Non si otterrà 100, si otterrà 2 o 15 ma intanto con quelli si inizia il percorso.

I giovani stanno risponden-do a questi sforzi e quali i vostri programmi futuri?Si c’è una bella risposta spe-cialmente nella palestra indo-or che alla sera è frequentata da decine e decine di atleti, quindi le nuove strutture fan-no da richiamo. Per quanto riguarda l’agonismo, grazie all’aiuto tecnico dell’Equi-pe, abbiamo un gruppo già consolidato di una ventina di ragazzi che parteciperan-no alle varie manifestazioni in regione e nel Triveneto, ed eventualmente a qual-che campionato nazionale. Per quanto riguarda l’educa-zione allo sport investiremo tanto nelle scuole. In futuro avvieremo anche un proget-to per i meno giovani, ovve-ro per quelli come lei o me che si mettono una maglietta e vanno a correre, ma que-sto lo vedremo con il tempo, perché non posso dirle ogni cosa altrimenti le svelo tutte le nostre carte. Va bene è giusto, non si guar-da le carte degli altri. Allora diamo solo appuntamento a breve anche ai meno giova-ni, sempre al campo Mario Agosti, per una sana sgam-bata - e qui lo dico e qui lo nego - magari con aiuto da parte di tecnici. Grazie signor Tropeano e tanti auguri alla Asd Atletica Pordenone per i suoi progetti.

Se fate un giro per Porde-none non troverete nessun cartello che indichi la via per raggiungerlo. Anzi, ben pochi sanno che cos’è, anche se tutti lo vediamo passandogli accanto in treno nei pressi della sta-zione, percorrendo la lun-ga curva parabolica. È il campo di atletica della nostra città, che ora dispo-ne anche di un impianto indoor. E’ quest’ultimo un piccolo gioiello, l’unico in Italia realizzato sospeso dal suolo, al di sopra del-le gradinate del campo, al quale una parte di esso gli fa da tetto. Motivo di soddi-sfazione per l’amministra-zione della nostra città, è il fatto che tutta la progetta-zione dell’impianto sia sta-ta eseguita dai tecnici del Comune di Pordenone, con l’architetto Guido Lutman in prima fila, che si è pre-

IL CAMPO "MARIO AGOSTI"stato anche a seguire i lavo-ri di realizzazione dell’ope-ra. Non secondario motivo d’orgoglio è poi il fatto che la struttura sia stata costrui-ta in dieci mesi, a suffragio della buona organizzazio-ne messa in campo dagli addetti e del buon lavoro generale. La ristrutturazio-ne del campo Mario Ago-sti e l’impianto indoor sono nati da un sogno di Ezio Ro-ver, presidente dell’Atletica provinciale, condiviso con pochi intimi. Per renderlo concreto e realizzabile sono intervenute la Regione Friuli Venezia Giulia e il Comune di Pordenone, che in egual misura hanno coperto l’oltre milione e mezzo di euro ne-cessario alla realizzazione dell’opera. Grazie all’impe-gno di Elio De Anna nelle vesti di assessore regionale allo Sport per la Regione e di Sergio Bolzonello, all’e-

poca sindaco della cit-tà e titolare della delega allo Sport. Come sempre un sogno realizzato porta con sé aria nuova e vita nuova. Da qui è nato il “1° Meeting Indoor Città di Pordenone”, che si è svolto a gennaio. Infatti in occa-sione della ricorrenza del proprio trentennale di vita, l’associazione dilettanti-stica Atletica Pordenone in collaborazione con l’E-quipe, ha portato sulla pi-sta del neo impianto una specialità difficile come le corse ad ostacoli, facendo incrociare tra loro le mi-gliori scarpette chiodate italiane della specialità. Per la sua completa con-sacrazione anche a livello ufficiale però manca una dettaglio: i cartelli stradali che indichino la direzione per raggiungerlo

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L'arrivo a Pordenone di Pie-tro Mennea in occasione del Meeting è stata per me una buona occasione per incon-trarlo di persona. Avevamo dei precedenti in comune, non sportivi ben inteso ma di lavoro. Si trattava di un’in-tervista telefonica che gli feci la scorsa estate e che fu poi pubblicata nel numero di set-tembre di Libertà di Parola. In quell’occasione visto il mezzo di comunicazione che fui co-stretto, per ragioni di distanza, ad utilizzare, non si era potuti andare oltre ad una conver-sazione via cavo, senza quindi nemmeno la canonica stretta di mano. L’occasione per ri-mediare alla lacuna però è arrivata a gennaio con la sua visita in città. All’incontro come biglietto da visita ho

La prima edizione del mee-ting indoor di atletica leggera “Città di Pordenone”, che si è disputato l’ultimo sabato di gennaio nel nuovo impianto del campo d'atletica “Mario Agosti”, ha rappresentato una

portato una copia cartacea dell’Ldp dove si parlava di lui. Copia che ha messo da par-te assieme ad altri suoi effetti. Durante le gare Mennea era continuamente coinvolto in premiazioni, incontri e pubbli-che relazioni. Un lavoro vero e proprio quello del testimonial con pochi momenti di pausa. Ed è stato proprio durate uno di questi suoi break che nel mio girovagare con la mac-china fotografica in cerca di scatti, l’ho incontrato assieme ad un altro signore, brizzolato faccia pulita in ottima forma, che vedendomi mi ha chie-sto: «Ci fai una foto?». « Certo, stringetevi un po’», ho risposto io. Qualche scatto e poi l’ine-vitabile domanda: «Ma a chi le mando?». Entrambi si sono messi alla ricerca di carta e

novità assoluta nel panora-ma sportivo pordenonese e ha avuto come testimonial d’eccezione Pietro Mennea. L’evento ha proposto note in-teressanti e risultati lusinghieri per gli atleti chiamati a ga-

penna, finché Mennea ha messo a disposizione la sua, assicurandosi però che alla fine tornasse nel suo taschino, e ha scritto la sua mail. Poi è toccato al signore scriver-la, che ha voluto aggiunge-re anche l’indirizzo. Leggevo lettera per lettera mentre lo scriveva. «E-n-z-o D-e-l F-o-r.. Enzo Del Forno? Lei è Enzo Del Forno??». L’uomo non è riusci-to a rispondere senza un sor-riso. «Si, sono io». «Ecco perché! - mi sono illuminato - ora si spiega perché vi conoscete». Quel signore era il sette volte primatista italiano di salto in alto e nostro azzurro di punta negli anni Settanta, con un li-mite personale di 2”22 allora inattaccabile primato italiano: uno degli ultimi alfieri dell’arte dello scavalcamento ventrale

dell’asticella, ora abbando-nato per il più noto Fosbury. Lo seguivo da ragazzo e sco-prirlo di colpo davanti a me è stata una bellissima sorpresa. Un piacere spedire loro le foto ed essermi fatto da tramite per un ricordo che a loro detta terranno tra le cose care. Non solo belle sorprese però quel giorno. Al saluto con Mennea infatti, c’è stato un clamoro-so colpo di scena. Nella foto si svela tutto: vedete quanto alto è lui? Ma non è così. Si è messo in posa salendo su un gradino. Proprio allo scat-to stavo dicendo al fotografo che Mennea stava barando. «Ma ti rendi conto? - gli dice-vo - Il grande Pietro Mennea esempio di correttezza lealtà e tutto il resto.. che bara? Ma è il crollo di un mito!”. (g.f.)

Tra i presenti anche Mennea e del Forno Per caso dietro le quinte mi son sento chiedere: «Ci fai una foto?»

reggiare nel nuovo impianto cittadino, sui 60 metri ostacoli. A cominciare proprio dall’az-zurra pordenonese Marzia Caravelli, portacolori del Cus Cagliari e ostacolista di ver-tice in ambito nazionale. La Caravelli ha onorato la prova in città con il suo nuovo pri-mato personale, andando a vincere in 8”06, abbassando così il suo precedente record di 3 centesimi. Un risultato che è stato un successo, per-ché oltre ad essere stato il suo terzo “personale stagionale”, era anche la terza presta-zione mondiale assoluta del 2012, nonché la conferma del tempo di qualificazione per i mondiali indoor di Istanbul. Bello rivederla così determi-nata nella sua azione, con tali riscontri cronometrici già ad inizio di stagione. Sul versante maschile invece, è stato l’al-tro azzurro Emanuele Abate, atleta delle Fiamme Oro, ad impressionare per la deter-minazione. Nonostante fosse al debutto stagionale, Aba-te ha vinto la concorrenza staccando subito alla prima uscita un 7”76 che promette molto bene per la stagione entrante, in quanto distante di soli due centesimi dal bi-glietto per Istanbul, appunta-

Primo meeting indoor in cittàL’azzurra Caravelli regala alla sua Pordenone un record

mento cruciale della stagione indoor. Anche tra le categorie giovanili non sono mancate le buone prestazioni. Da se-gnalare tra i cadetti l’ottimo 8”47 di Bekiri, della Triveneto Ts. Dunque gli sforzi organiz-zativi hanno trovato giustizia nelle prestazioni degli atleti, i tempi confortano l’impianto e indicano che quella del “Ma-rio Agosti” è una pista veloce, buona per chi è in cerca di soddisfazioni o di conferme. Auguriamoci che si sparga la voce, così oltre alla fruizio-ne dell’impianto da parte dei nostri ragazzi, potremo avere in città ancora atleti di vertice e assistere a gare di questo li-vello. (g.f.)

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Dalla preparazione del ter-reno all’uso sapiente dell’ac-qua: fare l’orto è un’arte che si impara solo sperimentando e scoprendo che non c’è mai un’unica soluzione. Ne abbia-mo parlato con Valerio Sal-vador, imprenditore agricolo che da trent’anni pratica il biologico.

Valerio, ci dai qualche con-siglio per partire con il pie-de giusto?Per prima cosa bisogna de-cidere come posizionare le cuiere, termine intraducibile in italiano: sono le parcelle di terra da coltivare. È impor-tante che le piante ricevano luce da mattina a sera, van-no posizionate in direzione nord-sud, facendo attenzione che vicino non ci siano alberi o muretti a fare ombra, anche per poche ore al giorno. Ri-cordo che le piante da frutto, come i pomodori o i pepero-ni, hanno bisogno sempre di luce.

Fatte le cuiere si inizia a se-minare, giusto?Eh no, prima la terra va la-vorata. Qui dobbiamo sfatare un mito: si pensa di doverla rivoltare in profondità, invece la parte superiore del terreno, quella esposta all’aria e alla luce, è la più fertile, e non va buttata sotto. Altrimenti è come se servissi una torta alla panna montata con la panna nel fondo. Una forca a quat-tro denti va benissimo per smuovere la terra in superfi-cie, sminuzzarla e farle pren-

Chi ha un orto in città è custode di un tesoro, un pezzo di terra salvato dalla cementificazione. Oggi lo mette a frutto per sé, un giorno servirà alle generazioni future, per-ché di cemento non si vive. Così, mentre attorno alle città spuntano come funghi centri commercia-li, capannoni e palazzi-ne, si diffondono anche le esperienze di chi resiste e fa orti urbani e sociali, a Pordenone come nel re-sto d’Italia ed Europa.Gli orti sono oasi di sviluppo lento, in cui il tempo è an-cora segnato dal passag-gio delle stagioni e non porta in tavola, per esem-pio, le fragole a Natale o il vino del Cile. Il con-sumo di frutta e verdura di stagione, a chilometro zero, fa bene all’ambien-te perché fa risparmia-

Chilometro ZERO

re tonnellate di emissioni di Co2, responsabili del cambiamento climatico, che servirebbero per il tra-sporto dei prodotti.E per chi non ha un pezzo di ter-ra, ci sono altre soluzioni, come i gruppi di acquisto solidale o i farmer’s mar-ket di Campagna Amica di Coldiretti, associazione di agricoltori che più del-le altre è impegnata nella promozione della filiera agricola italiana, come garanzia di qualità e sicu-rezza alimentare. Sul sito www.friuliveneziagiulia.coldiretti.it è disponibile il calendario dei mercati contadini. A Pordenone ha aperto in dicembre anche la “Bottega di Campagna Amica”, in via della Mot-ta, la prima in provincia e seconda in regione dopo Grado.assessore regionale allo. (e.c.)

dere aria. A questo punto si passa alla concimazione, che nella coltivazione ecocompa-tibile usa letame ben maturo o altri compost non chimici. Un consiglio a chi fa l’orto è di fare anche il compost, per fertilizzare il terreno in modo naturale. E importante è non coltivate la terra quando è bagnata.

Finalmente è l’ora della se-mina…Sì, facendo attenzione a come distribuiamo i semini: non bi-sogna ammucchiarli, perché hanno bisogno di spazio vita-le per diventare piantine. Per distribuire in modo uniforme quelli più fini, come i semi dell’insalata, consiglio di me-scolarli con un po’ di sabbia. Quelli della zucchina, inve-ce, sono più grandi e vanno messi in buchetti uno o due alla volta, tenendo presente che, se nascono due pian-te molto vicine, una va tolta, altrimenti non ci sarà spazio quando cresceranno. Dopo aver seminato, si bagna, usando uno spruzzo delicato,

che non smuova il terreno e non sposti i semi.

A questo punto aspettiamo che nascano le piantine…Adesso è necessario bagnare, quando serve, possibilmen-te al mattino o nelle ore fre-sche della giornata. L’acqua è veicolo di vita, ma anche di morte, se in eccesso. Se dosa-ta nel modo giusto, invece, ci saranno meno rischi di malat-tie, ma queste sono cose che si imparano solo facendole, allenando l’occhio a vedere come sta la pianta, che come

gli uomini è un organismo vi-vente con i suoi alti e bassi.

Molti usano il telo nero per evitare di togliere erbacce, va bene?È consentito anche nel biolo-gico, ma ci sono altri sistemi di pacciamatura, per esem-pio con la paglia, che è più naturale, protegge meglio il terreno ed è bella estetica-mente. A proposito, in mezzo alle cuiere si possono pianta-re anche dei fiori, come le ta-gete, che attirano alcuni inset-ti e respingono quelli nocivi.

Altri consigli?Attenzione alle consociazio-ni: il pomodoro non sta bene vicino al cetriolo, mentre con il cavolo cappuccio va d’ac-cordo. E di anno in anno va praticata la rotazione, quin-di dove c’era una pianta da frutto si possono mettere o piante da foglia, o radici (come le carote), un bulbo (la cipolla per esempio) o piante da fiore, come il cavolfiore. Semplificando, sono queste le grandi famiglie delle piante dell’orto.

Chi volesse approfondire e sperimentare, il lunedì pome-riggio alla Casa San Giusep-pe di Vallenoncello, Valerio collabora al progetto dell’orto sociale biologico “Le cuiere di San Giuseppe”, un’iniziativa della cooperativa Abitamon-do e Caritas.

www.lecuieredisangiuseppe.blogspot.com

L’arte di fare l’orto, la passione del mangiare sano Valerio Salvador, imprenditore agricolo, ci svela i segreti del me-stieredi Elisa cozzarini

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LDP - LIBERTÁ DI PAROLAGiornale di strada dei Ragazzi della Panchina ad uscita trimestrale o quasi

Registrazione presso il Tribunale di Pordenone N. R. G. 1719/2008 N. Reg. Stampa 10 del 24.01.2009

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Capo RedattoreGuerrino Faggiani

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La sede dei Ragazzi della Panchina é aperta dal lunedí al venerdí dalle ore 14:00 alle 19:00

Hanno collaborato a questo numero

——————————————Guerrino FaggianiSe è vero che della nascita non ci si ricorda nulla, chiedetelo a lui, vi saprà raccontare ogni secondo, è rinato nel 2007! Da cinque anni con la Panka ca-valca la vita, non tanto per sal-tare gli ostacoli, ma proprio per abbatterli

——————————————Milena BidinostIl direttore non si discute, si ama. Penna libera, riesce ad immer-gersi nella bolgia dell’Associa-zione con delicatezza e costan-za, impegno ed esperienza. Quando le parli ti chiedi se le tue parole finiranno in un arti-colo! Ma confidiamo nella sua amicizia

——————————————Franca MerloPresidentessa onoraria dell’As-sociazione affronta la vita come una eterna sperimentazione. Oggi è a Londra, più avanti.. si vedrà. Non manca mai di commentare il blog, non man-ca mai di sentirsi Panchinara, ovunque sia.

——————————————Pino RoveredoPenna in mano, foglio davanti agli occhi, cuore e cervello per riempire gli spazi, colorarli. To-scano, non di origine ma fede-le compagno tra le labbra, a profumare parole da sentire o leggere.

——————————————Elisa CozzariniBici gialla per passare inosser-vata, capello corto per non ri-schiare mai di non osservare. Fedelissima firma di LDP, pre-senza eterea in una fossa di leoni.

——————————————Franco De MarchiFrate mancato, tra i fondatori degli RdP, poeta cambusiere per sua stessa ammissione si è lavato qualche volta il viso con gli occhiali da sole su. Oltre agli occhiali c'è una cosa da cui è inseparabile: la... polemica

——————————————Andrea PiccoSceglie di vivere anche lavo-rativamente la sua Gorizia per-ché, a pochi metri di distanza, la benzina costa molto meno! Se la storia è partenza e slancio verso il futuro, lui la rappresen-ta per questo luogo, indelebil-mente

——————————————Manuele CelottoScrittore, nuotatore, scacchista, attore. Presenza morbida e mai sopra le righe, nonostante que-sto difficilmente non fa quello che pensa. Con la caricatura l’omaggio dell’affetto per lui nella folta chioma, ormai ricor-do di antichi fasti e disavventu-re inenarrabili

——————————————Fabio PassadorAttualmente panchinaro di lus-so! Come ogni giocatore di cal-cio dal baricentro basso, non gli si può chiedere di aspettare i cross in area per colpire di te-sta, ma offre dinamismo, scatto breve e bruciante, dribbling secco e magnifici assist

——————————————Ada MoznichDelle quote rosa lei se ne infi-schia, non le servono! Essere presidente donna di un’asso-ciazione di tossici è da solo un miracolo in termini. Si ama e si teme nello stesso istante, tiene tutti e tutto sotto controllo, anche il conto in banca: - Ada ci ser-virebbe una penna.. “scrivi con il sangue che le penne costa-no..!”

——————————————Stefano VenutoMimica facciale e gestualità ne fanno un perfetto attore! Lui però ha deciso di rinunciare alla fama per concedersi a noi. Magistrale operatore, tanto da confondere le idee e mettere il dubbio che lo sia veramente, penna delicata e poetica del blog, chietegli tutto, ma non appuntamenti dopo le 19.00!

——————————————Gino DainProbabilmente l’unica persona al mondo capace di arrivare così vicino alla morte da poter-la guardare in faccia per dir-le: “..ci vediamo un’altra volta!” Non basterebbe un libro per raccontare tutte le cose che ha combinato e che sta facendo, ma per noi resta Ginetto, finissi-mo rappresentante di una ge-nerazione di fenomeni

——————————————Luca GaspardisE’ il più piccolo della compa-gnia ma non certo per l’altezza! Quando ci ha incontrati per la prima volta sembrava impau-rito anche della sua ombra, adesso è diventato un fiume in piena! Siamo sicuri che abbia molte cose da dare, anche se per ora non ricorda dove le ha messe!

——————————————Ferdinando ParigiVoce tonante, eleganza innata, modi da gentiluomo che si tro-vano raramente, la nostra nuo-va penna si fa sempre notare, tanto che le sue mail sembrano lettere direttamente uscite da un romanzo dell’800

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Umido Plastica Vetro lattinei ragazzi della Panchina

campagna per la sensibilizzazione e integrazione socialeDei ragazzi Della pancHina con il patrocinio Del comune Di porDenone