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1 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA A CURA DI: Maria Carbone, Francesca Codazzi, Raffaella Dellera, Paolo Gualtieri, Margherita Gallina. Settembre 2013 Mandato consiliare 2009-2013

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L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

A CURA DI: Maria Carbone, Francesca Codazzi, Raffaella Dellera, Paolo Gualtieri, Margherita Gallina.

Settembre 2013

Mandato consiliare2009-2013

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Sommario

PRESENTAZIONE .................................................................................................................................3

INTRODUZIONE: DEFINIZIONE DI TUTELA OGGI .............................................................................4

Da WIKIPEDIA ........................................................................................................................................5

Da Dizionario di SERVIZIO SOCIALE Carocci Faber ...................................................................................6

FILOSOFIA ED EVOLUZIONE STORICA DEL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO ............................7

LA TUTELA OGGI ...................................................................................................................................9

I SERVIZI DI TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA:

ALCUNE RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE ................................................................................................11

LA RETE DEI SERVIZI .............................................................................................................................13

IL TERZO SETTORE ...............................................................................................................................14

LA FORMAZIONE DELL’ASSISTENTE SOCIALE CHE OPERA NEI SERVIZI DI TUTELA DELL’INFANZIA,

DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA ..............................................................................................15

Specializzazione non specialismo .........................................................................................................16

La Supervisione ....................................................................................................................................17

L’ASSISTENTE SOCIALE E GLI INTERVENTI DI SOSTEGNO E PREVENZIONE ..........................................18

GLI ATTORI E LE FASI DELL’AZIONE DI TUTELA ....................................................................................21

I SIGNIFICATI DELL’INTERVENTO DI TUTELA PER L’ASSISTENTE SOCIALE .............................................22

IL PERCORSO .......................................................................................................................................22

La segnalazione ...................................................................................................................................23

La valutazione sociale...........................................................................................................................25

Il progetto di interevento sociale ..........................................................................................................26

E la tutela degli Assistenti sociali? .........................................................................................................27

Rapporto con i servizi e con l’Ente .......................................................................................................28

APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO ....................................................................................29

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................................................34

CONTRIBUTI ........................................................................................................................................35

Il servizio di tutela e assetti organizzativi ..............................................................................................35

In copertina: Fernand Léger, Les loisirs sur fond rouge - particolare, 1944

2 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

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3L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

PRESENTAZIONE

Il percorso di rifl essione teorico-pratica che l’ Ordine professionale ha intrapreso ponendo crescente attenzione al proprio Codice Deontologico, trova una conferma suggestiva nel documento elaborato su un tema centrale per la nostra professione, quello che in termini correnti si defi nisce “tutela minori”, che in letteratura viene affrontato principalmente nelle sue implicazioni operative.

L’argomento “tutela” (nei confronti non solo dei bambini, ovviamente) rappresenta con la sua complessità il senso stesso dell’intervento professionale dell’assistente sociale che si identifi ca e viene identifi cato in questa dimensione. Le rifl essioni emerse nel lavoro presentato dal gruppo tematico consiliare toccano i diversi livelli della responsabilità e delle competenze della nostra professione: visione culturale-antropologica, riferimenti giuridico-amministrativi, metodologia dell’intervento e formazione e, non ultimo, riferimento al Codice Deontologico.

Perché questa nuova attenzione etico-deontologica? Perché, certamente, la legittimità sociale della professione chiede di interrogarci continuamente sulla permanente congruenza tra questi livelli che defi niscono un modello ideale di professionista che segue personalmente, in scienza e coscienza, regole e principi collettivi, concretizzandoli in pratiche corrette e giuste, verifi cate e validate nei contesti applicativi.

L’altro tema centrale nell’elaborazione culturale del servizio sociale professionale trattato nel documento è il richiamo alla famiglia (o meglio alle famiglie), chiaro e reiterato nel testo del Codice Deontologico vigente come in quello della 1^ e 2^ edizione. L’analisi dei legami famigliari, l’importanza della rete primaria, insieme alla “scoperta dell’infanzia” fanno parte dei paradigmi antropologici della relazione di aiuto professionale in quanto costituiscono l’humus dell’intervento “pubblico” nella sfera privata.

Che cosa signifi ca famiglia, cosa essa rappresenti nella storia delle persone nelle diverse fasi della vita, quali fenomeni la stanno cambiando, trasformando, e con essa come muta il nostro bisogno ancestrale di essere parte della “cellula costitutiva della società”, sono i signifi canti con i quali il nostro lavoro si confronta, a volte con consapevolezza, a volte con limitata attenzione all’autorevolezza delle teorie e dei modelli di riferimento.

La matrice fi lantropica e la dicotomia aiuto/controllo caratterizzano l’intervento sociale che è condizionato anche dai contesti organizzativi e istituzionali ai quali il professionista afferisce o ritiene di appartenere, generando nella quotidianità professionale vitali dilemmi etici.

La valutazione dei legami familiari è l’azione professionale che “apre” l’intervento di aiuto e sostegno (non solo quello di controllo) che porta con sé una grande sfi da: quella di saper comprendere senza giudicare, quella di capire senza interpretare, quella di sostenere senza sostituire.

La responsabilità di essere professionisti “collettivi” (il Codice Deontologico dell’ Assistente Sociale è il collettore dei valori – saperi – comportamenti che possono accomunarci) in una fase di crisi e declino dei sistemi di welfare è basilare per uscire dal bivio che rischia di essere fatale per i professionisti dell’aiuto: o intervento standardizzato e asettico, o all’opposto, intervento discrezionale e irripetibile. E per essere capaci di fare ciò occorre molta preparazione, sensibilità e autorifl essione individuale e collettiva.

Renata Ghisalberti – presidente CROAS Lombardia – mandato consiliare 2009-2013

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4 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

INTRODUZIONE: DEFINIZIONE DI TUTELA OGGI

Il gruppo di lavoro “tutela minori” ha lavorato in varie fasi, una prima fase si è conclusa nel 2009, quindi il gruppo ha ripreso il suo lavoro nell’aprile 2011. In questa seconda fase si è valutato la necessità di fermare la propria attenzione sugli aspetti connessi alla tutela dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia.

La prima fase del lavoro (2007/2009) si era conclusa con alcune considerazioni a partire da:

� i primi esiti dell’applicazione della legge 149 (o perlomeno di parte di essa) e dalle diverse interpretazioni che emergevano soprattutto in alcune sedi giudiziarie;

� i rapporti con altre fi gure professionali e/o servizi (Avvocati – Magistrati – Psicologi) per l’avvio di un per-corso di costruzione di linee condivise.

Queste note rimandavano ad una serie di approfondimenti, oltre che di chiarimenti, su alcuni aspetti legati al ruolo dei diversi professionisti coinvolti nell’applicazione di leggi inerenti la tutela del bambino/adolescente.A distanza di alcuni anni da quel lavoro ci è sembrato importante ripartire, nell’approfondire la tematica inerente la tutela, dalla professione e da quell’ottica fermarsi a ragionare su alcuni punti ritenuti critici:

� i cambiamenti legislativi hanno “costretto” la professione ad interrogarsi su quale ruolo dovesse assumere, in un momento in cui il percepirsi come unico garante della tutela del bambino/adolescente era messo in discussione dalle competenze di altri professionisti. Soprattutto il ruolo terzo del giudice (vedi giusto processo) ha indebolito un binomio, giudice-assistente sociale, che aveva determinato, giusto o sbagliato che fosse, da parte dell’assistente sociale un sentirsi “a fi anco” della Magistratura e non “parte” di un pro-cedimento di più ampio respiro;

� i cambiamenti socio-culturali ed il complessifi carsi della società che richiedono sempre di più un’attenzio-ne, una lettura, un intervento competente, che può essere garantito solo da una formazione e supervisione permanente;

� l’importanza di guardare la famiglia nel suo complesso e non più e non solo il singolo bambino scisso dal contesto dei suoi affetti e legami;

� la necessità di capire cosa vuol dire oggi occuparsi dei bambini e della famiglia in un contesto di aiuto e sostegno.

Il gruppo, costituito presso l’Ordine professionale, ha lavorato in parte per cercare di capire come il termine tutela non necessariamente era in binomio con il termine infanzia/bambino/adolescente, ed in parte a cercare di defi nire il termine tutela nella sua accezione più ampia, rivolta quindi a tutte le fasi di vita, o di situazione, di una persona in un momento di particolare fragilità. Sicuramente le analisi hanno riconfermato come la tutela rappresenti un ambito che non riguarda solo chi per età è in una situazione di particolare fragilità/delicatezza. A questo proposito va sottolineato come molteplici siano gli studi e le analisi fatte, con una ricchezza di prodotti, approcci e modelli di intervento , tanto che si potrebbe essere tentati di dire “forse è superfl uo continuare ad approfondire tale tematica “.Eppure ancora oggi è sulla tutela del bambino che si focalizza la nostra attenzione: perché è un ambito particolarmente delicato, perché occuparsi di bambini vuol dire necessariamente occuparsi delle loro famiglie (con tutta la complessità che questo comporta), perché è un ambito dove l’intervento deve essere il più adeguato e mirato possibile, pena il suo stesso vanifi carsi, perché lavorare in tale ambito vuol dire occuparsi del futuro di una comunità.Questo è il motivo per cui le rifl essioni, pur partendo da una visione più ampia di chi ha bisogno di tutela, di fatto sono ritornate a concentrarsi sul bambino e la sua famiglia.Un altro aspetto che nel merito ci è sembrato importante affrontare è guardare alla tutela non solo come protezione, ma anche come promozione di diritti. Solo operando questo passaggio si può passare da un concetto,

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5L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

sicuramente importante ed essenziale ma a volte riduttivo, ad un concetto di più ampio respiro. Promuovere i diritti vuol dire ritornare a parlare di inclusione, di pari dignità di tutti, di attenzione alle persone in quanto tali (soggetti e non oggetti degli interventi) ed alla collettività quale ambito naturale dello sviluppo di ognuno, di attenzione al benessere e quindi di attenzione a sostenere le fragilità/diffi coltà quando queste si presentano.

Non è una risposta giuridica quella che abbiamo cercato e cerchiamo di dare, ma una risposta professionale, con il limite di parzialità derivato dallo sguardo mono-professionale su un tema che necessariamente richiede multidisciplinarietà.Si impone, quindi, una rifl essione sul perché nella nostra legislazione il bambino/ adolescente (in quanto soggetto di minore età) è, a prescindere da qualsiasi ragionamento sulle sue competenze/capacità, per defi nizione soggetto da tutelare.

“La prevalenza, nel nostro paese, di una normativa in virtù della quale il minore di età non può stipulare alcun contratto, con un giudizio quindi di incapacità sul piano legale che di fatto gli impedisce la possibilità di rappresentare i propri diritti. Rappresentanza che viene quindi trasferita ad altri (in genere la famiglia di appartenenza). Tale logica, che potremmo defi nire contrattualistica, oltre a condizionare le vicende che riguardano il minore, infl uisce pesantemente sulla sussidiarietà, quale modalità regolatrice del sistema di protezione/benessere sociale. Tant’è che nell’approccio attuale tale sistema pone l’accento sulle capacità/possibilità di scelta tra una serie di opportunità offerte. Condizione da cui è, per defi nizione, escluso il minore”.“Il cambiamento culturale nella diade famiglia-minore. Un excursus delle modifi che del quadro normativo e sociale hanno portato a spostare l’attenzione dal bambino/ragazzo, prescindendo dall’adulto di riferimento, alla famiglia intesa come ambito privilegiato e perno del sistema degli interventi. Mai come in questo momento la famiglia è così enfatizzata, anche nel modello del welfare lombardo. Se è innegabile l’importanza del ruolo rivestito dalla famiglia, è altrettanto innegabile come questa, nelle situazioni di fragilità, rischi di essere spinta verso l’assunzione di responsabilità tanto da creare un vero e proprio paradosso – più non riesco ad assumere responsabilità rispetto al carico legato al compito di cura e crescita di un fi glio, tanto più vengo indicato come chi ha potere di rappresentarne l’interesse”1.

Si ritiene opportuno ripartire dal signifi cato etimologico, prima ancora che professionale e sociale, della parola “tutela”.

Da WIKIPEDIA

• dir. Cura, protezione e rappresentanza giuridica di un minore orfano o con genitori non in grado di esercitare la potestà genitoriale, oppure di un incapace o di un interdetto; è affi data dal giudice a una persona ritenuta idonea (tutore): avere la tutela sul nipote

• 2 dir. Protezione di un diritto, riconosciuto e assicurato per legge: tutela dell’immagine

• 3 estens. Difesa, protezione di beni e diritti singoli, salvaguardia: tutela dell’ordine pubblico; provvedimento a tutela dell’ambiente.

1 stralci tratti dal precedente documento dell’Ordine Assistenti Sociali Regione Lombardia in materia di tutela(2009).

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6 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Da Dizionario di SERVIZIO SOCIALE, Carocci Faber

Se ne riprendono i concetti. - Il concetto giuridico di tutela si compone di due accezioni:

� una restrittiva, attraverso la quale il termine indica l’istituto per cui un minore orfano o privo di genitori capaci di esercitare la potestà genitoriale oppure un interdetto viene affi dato a un tutore che lo rappresenta nel compi-mento di atti di rilievo e ne amministra i beni;

� l’altra, estensiva, dove la tutela,in ossequio al signifi cato etimologico dell’aggettivo latino tutus (sicuro) è sino-nimo di salvaguardia, difesa, protezione.

La Carta Costituzionale contiene sia nel Titolo II (rapporti etico sociali), sia nel Titolo III (rapporti economici) molte disposizioni che mirano al riconoscimento e alla conseguente garanzia di diritti sociali. Lo Stato attraverso la propria funzione sociale assume in ossequio all’art.3 comma 2° (principio di uguaglianza sostanziale), il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Questo principio, insieme al dettato contenuto nell’art.2 della Costituzione (“la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”) costituiscono il fondamento non solo del riconoscimento dei diritti sociali, ma anche della loro effettiva realizzazione.La tutela del diritto all’assistenza sociale si fonda su legislazioni e normative quali:L.N. 328/2000 legge quadroLa riforma del titolo V Costituzione, in particolare art.117, comma 2°, determinazione da parte dello Stato dei livelli essenziali – art.119 comma 5° dove vengono destinate risorse aggiuntive in favore enti locali per garantire l’effettivo esercizio dei diritti delle persone.Queste norme hanno allargato e vivacizzato il dibattito intorno all’esigibilità dei diritti.Parlare di tutela vuol dire quindi parlare di diritti che, come abbiamo sottolineato, sono sanciti dalla Costituzione:

� il diritto del minore ad avere la sua famiglia – ad essere educato – istruito – curato – amato.

� il diritto della famiglia ad occuparsi del proprio fi glio, sostenuta laddove da sola non dovesse essere in grado.

� così come la stessa Costituzione, all’art.32, indica “la tutela della salute come fondamentale diritto dell’in-dividuo e interesse della collettività”, dando al termine salute un signifi cato ben più ampio del solo aspetto sanitario.

A partire dagli anni ’70, si è andata defi nendo nel nostro Paese una legislazione sempre più attenta al minore ed alla famiglia. Certo è una legislazione che seppur molto avanzata su alcuni aspetti, su altri non può che risentire dei cambiamenti culturali che hanno riportato l’attenzione dal minore alla sua famiglia. Passaggio estremamente delicato perché impone una seria rifl essione su quale è l’interesse prevalente da tutelare.Pensiamo utile, proprio per entrare nella complessità di tale tematica, partire da una declinazione della legislazione2 quale punto fermo, seppure in alcune parti controverso soprattutto per la ricaduta avuta sulla professione dell’assistente sociale – che da principale interprete della tutela del bambino/adolescente, si è trovata nella necessità di reinterrogarsi su quale ruolo - a tutela di chi – in che relazione con gli altri attori del sistema. Aspetto questo di non secondaria importanza perché va a toccare un aspetto delicato: chi è il detentore della tutela (i genitori sempre e comunque? il giudice? l’avvocato del minore? l’assistente sociale?). Probabilmente se al termine tutela diamo un signifi cato ampio, possiamo dire che la tutela diviene frutto di un concorso di più ambiti, dove non c’è prevalenza di uno o dell’altro, ma un modularsi di interventi che a seconda della situazione e della sua più o meno criticità assumono valenze diverse.

2 In appendice sono elencate le principali fonti legislative

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7L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

FILOSOFIA ED EVOLUZIONE STORICA DEL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

L’Assistente Sociale che si occupa di tutela dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia si confronta e conforma costantemente con il nostro sistema normativo, e trova i fondamenti del suo operato in due fi loni di norme che orientano la forma di tutto il quadro legislativo e dell’azione della pubblica amministrazione.Le leggi che direttamente si occupano del diritto di famiglia e delle responsabilità genitoriali e quelle che si occupano del diritto dei minori, prima fra tutte, anche se non temporalmente, in quanto sovraordinata, la Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo.Questo contributo si ispira liberamente alle mirabili lezioni e scritti di: Alfredo Carlo Moro, Valerio Onida, Silvia Vegetti Finzi a cui va tutta la nostra gratitudine per la profondità di pensiero e precisione delle opinioni.Per quanto attiene la legislazione che regola i rapporti familiari si rinvia al dettaglio in appendice, ove sommariamente sono elencati gli articoli del codice civile e le leggi specifi che, qui si ricorda soprattutto l’importanza della riforma del diritto di famiglia del 1975 e la conseguente corresponsabilità dei coniugi.

Nel 1975, una data storica per la nostra società, il nuovo codice di famiglia dispone che i due coniugi sono uguali tra di loro, hanno pari diritti e doveri e l’autorità familiare spetta all’uno e all’altro. Questa equanimità fa venire meno, una volta per tutte la struttura verticistica in cui tutto il potere apparteneva al padre di famiglia, il quale tra l’altro era anche l’unico a detenere pieni diritti di cittadinanza. Questa riforma ha inciso profondamente sul costume e le consuetudini familiari, in qualche caso anticipata nei fatti dai comportamenti dei cittadini, in altri anticipatrice di una vera e propria rivoluzione della concezione di famiglia.Le tipologie familiari ora sono molte, tanto che conviene utilizzare il termine “famiglie” piuttosto che “famiglia”. Nella società attuale convivono più modelli: la famiglia tradizionale, la famiglia nucleare (composta da padre, madre, fi gli), le famiglie di fatto, quelle separate; quelle che si sono successivamente ricomposte; le famiglie costituite da un solo genitore con fi glio o fi gli a carico. Inoltre vi sono famiglie che hanno adottato bambini, anche provenienti da paesi lontani, o ne hanno accolti in affi damento. Parliamo quindi anche di reti familiari.Ora i due aspetti - coniugalità e genitorialità - un tempo strettamente connessi, non coincidono più, per lo meno non necessariamente.Si è marito e moglie fi nché si può, fi nché dura, ma si è genitori per sempre. Il tempo sacro si è spostato dai coniugi, come coppia, al loro impegno in quanto padri e madri. La genitorialità è un impegno di cui si conosce l’inizio ma non la fi ne, e la scelta di fi liazione consapevole, grazie anche alla diffusione della contraccezione, costituisce il nucleo “forte” della famiglia attuale.Ciononostante sentiamo tuttora la mancanza di politiche che sostengano le famiglie così intese e accompagnino gli adulti in questo complesso impegno, come se nella mente del legislatore, e non solo, permanesse la famiglia modello, la famiglia borghese, composta di padre, madre, fi gli.Il riferimento più signifi cativo per quanto riguarda la tutela dei minori che segnala l’evoluzione normativa internazionale e nazionale è la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989.3

Altre leggi antecedenti avevano salvaguardato molti dei principi enunciati: per alcuni aspetti si potrebbe dire che la Convenzione non fa che precisare aspetti di diritti e di tutela che, in prospettiva almeno, dovrebbero essere patrimonio dei diritti umani in quanto tali, quindi indipendentemente dall’età.Alcuni articoli prevedono informazioni e indicazioni più specifi che e dirette all’infanzia, alla condizione di minore.Ad esempio quando si parla di riconoscere la responsabilità comune dei genitori per l’educazione e lo sviluppo del minore; il diritto alla protezione sostitutiva nei casi in cui manchi la famiglia, o i genitori siano inadeguati; la tematica dell’adozione, il diritto all’istruzione e all’educazione; il diritto ancora del minore ad essere udito, ad essere ascoltato in ogni procedura amministrativa o giurisdizionale che lo riguardi.

3 Ratifi cata dallo Stato Italiano con L. 176/91

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8 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

La Convenzione nel suo preambolo dice tra l’altro che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività.

Il principio fondante che preme qui ricordare, che si pone come ispiratore di tutti i provvedimenti che riguardano i minori, è contenuto nell’art. 34 ove si dispone che in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative, degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.Questo è lo spirito con cui guardare agli aspetti giuridici della condizione dei minori e a questo consegue l’impegno dello Stato di assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie per il suo benessere.Ove per interesse superiore dobbiamo intendere “il miglior interesse” (the best interest) per quel bambino specifi co, in quella situazione specifi ca, non un interesse generale che prevalga versus un altro interesse generale.L’interesse del minore è da intendersi come quell’insieme di fattori soggettivi, familiari e sociali che promuovono lo sviluppo armonico e favoriscono la crescita del bambino e dell’adolescente, e, in quanto tali, non si contrappongono per defi nizione agli interessi e ai diritti dei genitori, ma debbono e possono trovare compiuta espressione nella famiglia d’origine.L’interesse del minore che l’ordinamento italiano riconosce e richiama, non implica affatto un declassamento dei diritti soggettivi del minore in meri interessi e cioè in mere aspettative il cui appagamento è affi dato alla discrezionale volontà di altri soggetti: ormai per il nostro ordinamento minorile il soggetto in formazione è sicuramente portatore di autentici diritti soggettivi il cui godimento deve essere garantito e la cui promozione deve essere stimolata.

Questo vuol dire che qualunque operatore, amministrativo, giudiziario, quando applica la legge, non può considerare la Convenzione come un ideale, un’utopia, un qualcosa che sta un po’ al di fuori, perché anche questa è legge, anzi è legge in un certo senso prima di tutto.Da portatore di meri interessi che gli adulti avrebbero dovuto rispettare – ma che se non erano rispettati non erano garantiti in altro modo dall’ordinamento – il soggetto di età minore è divenuto un titolare di diritti che l’ordinamento è tenuto ad attuare anche rompendo, come nell’adozione, legami di sangue sempre ritenuti incomprimibili, qualora si rilevi una contrapposizione tra il diritto alla crescita e i comportamenti dei genitori.

A questo proposito è utile richiamare l’art 14 del Titolo III del Codice deontologico degli Assistenti Sociali che recita:L’assistente sociale deve salvaguardare gli interessi ed i diritti degli utenti e dei clienti, in particolare di coloro che sono legalmente incapaci e deve adoperarsi per contrastare e segnalare all’autorità competente situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, di adulti in situazioni di impedimento fi sico e/o psicologico, anche quando le persone appaiono consenzienti.

Il diritto afferma in tal modo i bisogni essenziali di crescita umana del soggetto in formazione e li ha assunti e tradotti in diritti soggettivi perfetti, come lo sono certi bisogni dell’uomo adulto, da tutelarsi con la stessa puntualità e intensità. E l’impegno del diritto non è più solo di garanzia ma anche di promozione della persona in diffi coltà.Accanto ai diritti individuali di personalità l’ordinamento ha inoltre riconosciuto una serie di diritti sociali e cioè i diritti all’istruzione, al lavoro, alla salute, all’assistenza, allo svago, alla protezione da ogni sfruttamento, alla regolare socializzazione e all’eventuale risocializzazione se si è interrotto o deviato l’itinerario formativo.

4 ART. 3 “In tutte le decisioni riguardanti i bambini di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale e dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente”

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9L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Sono, i diritti sociali, quei diritti che possono essere fatti valere non solo in caso di violazione di essi da parte di uno specifi co soggetto ma anche, anzi principalmente, nei confronti della comunità organizzata in Stato e delle sue diverse componenti territoriali. Attengono, questi diritti, a bisogni fondamentali di personalità che possono non trovare attuazione non perché uno specifi co soggetto si sottragga al compito di rispettarli ma perché situazioni particolari possono rendere diffi cile il loro pieno godimento. Se i classici diritti di libertà civile affondano le loro radici nel concetto di “libertà naturale”, i diritti sociali hanno la loro giustifi cazione teorica nel diverso concetto di “liberazione” da determinate forme di privazione e quindi hanno lo scopo di realizzare un’effi cace sintesi tra libertà ed eguaglianza, assicurando a tutti identiche chances e quindi un’eguaglianza non più formale ma sostanziale.

La promozione dei diritti effettivi fa parte dei compiti dell’assistente sociale, come declinato in tutto il Titolo IV del Codice che tratta delle “Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della società” a proposito della “Partecipazione e promozione del benessere sociale”. È chiamata non solo a proteggere i soggetti deboli, ma anche a promuovere tutte le iniziative che favoriscono il raggiungimento di uguali opportunità. La Convenzione e il Codice Deontologico non sono da intendersi come dichiarazioni di principio, ma indicazioni di comportamenti attivi e promozionali.

LA TUTELA OGGI

Come appare chiaro dall’analisi sin qui svolta, affrontare l’argomento della tutela è complesso in quanto facilmente si può incorrere o in semplifi cazioni o in problematizzazioni. Rischiando di ricorrere per defi nirlo a riferimenti ed a parametri legislativi – psicologici – sociologici, teorizzando sino all’esasperazione quello che è pur sempre un semplice e fondamentale concetto insito nel termine tutela.Con il termine tutela in lingua italiana si intende “ potestà costituita per curare gli interessi e l’educazione di una persona di età minore, o le cose di persona interdetta” ma anche “protezione” o “difesa”.Questo aspetto del difendere e proteggere sta ad indicare non solo la fragilità legata alla minore età, ma anche la situazione di malessere – disagio – diffi coltà che può coinvolgere la persona adulta. Ed è questo l’ambito in cui si sviluppa il senso della professione di assistente sociale.Questi concetti oggi sono in crisi su un piano culturale, e nonostante spesso si citino legislazioni internazionali piuttosto che le diverse Convenzioni Internazionali (in parte recepite dalla nostra legislazione) quali normative a favore della tutela del minore, di queste si estrapolano principalmente quelle parti che in qualche modo fanno prevalere i bisogni – esigenze dell’adulto/genitore.Affermare che il bambino ha bisogno della sua famiglia per poter crescere e che è un diritto avere la propria famiglia è tanto vero quanto ovvio, ma è altrettanto vero considerare che a volte quella famiglia è parte del disagio, anche grave, del bambino. Se è importante rimuovere le cause del malessere familiare è altrettanto importante mettere in atto quegli interventi, anche se dolorosi, che mettano il bambino al riparo da eventuali ed ulteriori danni. In questo senso vale la pena di sottolineare come il diritto del genitore è sancito dall’art. 30 della Costituzione che parla però di “diritto-dovere” e non di “potere”, potere che a volte emerge nel rapporto con alcuni nuclei familiari che vivono qualsiasi intervento, seppure di aiuto, come un’indebita ingerenza nel proprio ambito familiare. C’è, purtroppo, da rilevare come questo stesso “sentire” sia fatto proprio anche da chi “demonizza” l’intervento dei servizi sociali oltre che giudiziari, sottovalutando come alcuni problemi, se non trattati e sostenuti, lungi dal risolversi potrebbero mettere a serio rischio la stessa incolumità (fi sica e psicologica) dei minori. Proprio la crisi del concetto di collettività quale ambito di intervento delle politiche sociali, rischia di vanifi care un percorso che ha visto nel miglioramento del benessere sociale della collettività la dimensione ideale in cui sviluppare e tessere la rete di protezione del singolo individuo. Il rischio è quello di guardare al bisogno ed alla risposta da dare come ad un “fatto individuale”, che solo in questa dimensione può trovare la risposta migliore.

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10 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Se è vero che alcune volte è il malessere stesso della famiglia a produrre il problema per quel bambino, è altrettanto vero che nella famiglia possono essere presenti potenzialità che se sostenute ed aiutate di certo potranno permettere di affrontare, ed anche superare, quel malessere all’origine dell’intervento dei Servizi.Il guardare alla famiglia non solo e non tanto nei termini di ciò che non c’è - che manca, ma anche per ciò che ha e potenzialmente può esprimere vuol dire recuperare i principi alla base di molte leggi ma anche il senso che dalle leggi stesse è dato ai servizi: la possibilità cioè di intervenire a sostegno ed aiuto.Questa lunga premessa appare utile nel tentativo di capire quale signifi cato assume, per i Servizi, l’azione della tutela. Soprattutto oggi in presenza di diffi coltà, carenze (economiche e di personale) da parte degli Enti competenti.Come sappiamo, sin dal DPR 616/77 è apparso chiaro come il trasferimento di una materia, sino ad allora in capo allo Stato, non ha prodotto sino in fondo quei cambiamenti che il legislatore si era posto con l’emanazione di leggi che da un lato scioglievano innumerevoli enti che a vario titolo si occupavano dei Servizi socio-assistenziali, dall’altro cercavano di ricomporre tutto il sistema dei bisogni e delle risposte/risorse in un ambito (quello territoriale) più vicino e più raggiungibile da parte del cittadino.Questo obiettivo sicuramente condivisibile, di razionalizzazione dell’esistente, di professionalizzazione di un intervento (quello di sostegno/aiuto) spesso confuso con interventi di benefi cenza e mera assistenza, si è da subito “scontrato” con l’assenza di una legge quadro di riferimento (per averla bisognerà aspettare il 2000), con la presenza di servizi sanitari che proprio in virtù di una specifi ca legge di riforma (833/1978) acquisivano una maggior forza, relegando i servizi sociali, anche in quelle regioni dove veniva fortemente teorizzata una integrazione dei due ambiti per una risposta puntuale ed effi cace, ad un ruolo sempre più fragile. A questo si aggiunge un rapporto con la Magistratura minorile che ha visto l’Ente locale (anche nelle realtà più grandi e con una lunga tradizione nella costruzione di Servizi sempre più attenti nel progettare risposte ed attivare risorse a favore di soggetti più fragili) porsi spesso in posizione di “mero esecutore dei provvedimenti emessi dalla Magistratura” e non di Istituzione cui spetta il compito di costruire la rete di interventi di protezione e promozione della salute sociale dei suoi cittadini, oltre che del territorio in cui essi vivono.Questo processo, grazie anche al complessifi carsi delle realtà urbane (in particolare in quelle più grandi) ha prodotto un progressivo arretramento degli interventi di sostegno ed aiuto in ambito spontaneo (in presenza cioè di un mandato da parte delle persone stesse) ed un esponenziale aumento delle richieste in ambito coatto.Non si vuole riproporre ancora una volta una sterile diatriba fra spontaneo e coatto, sono due modalità che sicuramente sono presenti nella presa in carico, ma va recuperato, da parte di chi opera nei servizi sociali (in primis l’assistente sociale), la capacità professionale di strutturare il proprio intervento a prescindere dalla presenza di un mandato della Magistratura.L’azione di tutela può tornare in tal modo ad assumere quel signifi cato forte di protezione e sostegno della fragilità, quale essa sia, protezione quindi non solo del bambino/a ma anche dell’adulto in una situazione di diffi coltà (malattia – disoccupazione – deprivazione – immigrazione - anziano solo – etc..).Certo, l’aspetto della protezione assume una maggior delicatezza se riferita ai bambini, proprio perché l’intervento non può prescindere dal fatto che il bambino è inserito in un tessuto familiare, in un ambito che rappresenta una componente importante, di cui si deve tener conto anche quando è all’origine di una situazione di malessere disagio rischio del bambino.

Uno degli aspetti che sin da subito è emerso in tutta la sua complessità è la stretta interrelazione tra i servizi tutela e gli assetti organizzativi.Va sottolineato come da una ricostruzione, risultata peraltro molto faticosa e parziale, delle diverse forme organizzative dei territori riguardo alla tutela emerge un quadro eterogeneo, caratterizzato da continui cambiamenti, a volta anche radicali, con ricadute sui servizi in generale ed in particolare sulla fi gura dell’assistente sociale e sul suo ruolo all’interno di una materia delicata, articolata e diffi cile.

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11L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

I SERVIZI DI TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA: ALCUNE RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE

L’organizzazione dei Servizi che si occupano di tutela minori è, nel territorio lombardo, come già sottolineato, molto diversifi cata. È legata ad una storia locale e territoriale specifi ca, pur all’interno di quadro formale normativo comune. Nella costituzione dei diversi Servizi hanno pesato indubbiamente i rapporti di collaborazione e/o di forza tra le Asl e i Comuni, nonché il diverso sviluppo che ha avuto la gestione associata dei servizi (tra cui appunto la tutela minori) dopo il ritiro delle deleghe alle Asl.Elemento di diversifi cazione è inoltre quello della dimensione: le città capoluogo (Milano in particolare) hanno una storia ed una organizzazione dei servizi per molti aspetti non confrontabile con quella del resto dei territori.L’organizzazione attuale dei Servizi tutela di molti territori è generalmente centrata su équipe interistituzionali (Asl + Comuni attraverso protocolli formali). Nel concreto questa doppia appartenenza degli operatori a due organizzazioni diverse, con modalità organizzative e di gestione del personale diverse, rende complessa l’attività professionale. Le istituzioni, a prescindere dalle dichiarazioni di principio e formali, hanno fi nalità e interessi non sempre coincidenti (autoreferenzialità e auto centralità di ogni organizzazione), che condiziona in modo differenziato i margini di autonomia degli operatori. Vi è come conseguenza una prevalenza degli aspetti legati alle procedure in senso formale piuttosto che alle relazioni professionali orientate all’utente. Alcuni territori hanno sviluppato forme organizzative più autonome, quali Aziende di Servizi (comunque denominate) costituite dai Comuni associati nell’ambito dei Piani di zona; in Lombardia sono 42 su 98 ambiti territoriali5 e quindi un soggetto ormai rilevante. Alcuni di questi soggetti hanno sviluppato modalità organizzative autonome dall’ASL, un po’ per scelta propria e un po’ come conseguenza della chiusura o della limitazione dei consultori pubblici da cui derivavano le risorse professionali (psicologi) dedicati, anche spesso solo parzialmente ai servizi tutela.La contemporanea partecipazione degli psicologi alle attività del consultorio non semplifi ca la situazione, sia tale consultorio pubblico o privato accreditato. La remunerazione delle attività a tali servizi come pagamento di prestazioni sulla base di un modello strettamente sanitario (o meglio di contabilità sanitaria), spinge infatti tali servizi ad orientare la propria attività verso prestazioni più remunerative.Si sta inoltre facendo strada una tendenza, peraltro non nuova in altri settori, all’esternalizzazione del servizio tutela minori mediante l’affi damento a soggetti del privato sociale (cooperative o associazioni). Questa scelta, oltre che su valutazioni di natura economica (per altro di dubbia validità), si basa sul falso convincimento di poter “scaricare” una funzione (e quindi una responsabilità) che è per defi nizione pubblica e non può essere altro che tale (almeno nel nostro ordinamento).Un modello organizzativo minimo necessita di un servizio tutela minori strutturato, che oltre alle fi gure professionali dell’assistente sociale e dello psicologo (per un numero di ore lavoro adeguato e proporzionale alle situazioni in carico), dovrebbe poter disporre di un coordinatore che oltre ad svolgere funzioni di raccordo istituzionale, ha la funzione di dare unitarietà al servizio garantendo una rifl essività complessiva sulle attività e lo stimolo per un confronto continuo sulle situazioni, anche al fi ne di evitare eccessive personalizzazioni. È inoltre opportuna una consulenza giuridica stabile sia in forma di tutela degli operatori, sia come esperto consulente per le attività più strettamente connesse al percorso giudiziario dell’azione di tutela. È importante anche una supervisione periodica e stabile sia a livello singolo che di gruppo da parte degli operatori dell’équipe professionale.In realtà l’organizzazione attuale di buona parte dei servizi nei diversi ambiti presenta molte criticità: il coordinamento è spesso molto ridotto, la consulenza giuridica non è sempre presente e quando c’è, è generalmente molto limitata; la supervisione (a volte è curata dallo stesso coordinatore) è frequentemente una rarità. È evidente un limitato investimento verso un servizio strutturato e stabile che comporta una frammentazione e uno scarso coordinamento delle azioni che vengono attivate, azioni molto spesso determinate da un’emergenza organizzativa. In molti territori il personale dei Servizi è inoltre assunto con contratti a termine, dove non a prestazione professionale (specialmente gli psicologi), e pagato a ore e con un monte-ore minimo.

5 Dato riferito al 2011 – fonte: Regione Lombardia

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12 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

L’Assistente Sociale si muove dunque in un contesto organizzativo caratterizzato da molti aspetti critici, che spesso costituiscono, suo malgrado, degli elementi determinanti per le scelte che sono portate avanti nella relazione d’aiuto con l’utente:

� da un lato si esprime come un professionista dotato di competenze che mette in campo per fronteggiare, insieme all’utente, la situazione di disagio, costruendo e co-gestendo un progetto di aiuto;

� dall’altro è esso stesso l’espressione di una organizzazione fatta di regole, di vincoli, di limiti (compresa la disponibilità di risorse proprie e/o attivabili), ma anche di relazioni ed equilibri interni e dell’organizzazione stessa verso l’esterno.

La “mission” dell’Assistente Sociale e della sua organizzazione per quanto teoricamente coincidenti, nella realtà concreta non sempre viaggiano di pari passo; le scelte istituzionali (di politica sociale per intenderci) non sono necessariamente nella medesima direzione dell’attività professionale. Questo aspetto è di per sé ineluttabile in tutte le attività professionali che agiscono all’interno di organizzazioni complesse e, a maggior ragione ove centrale è il rapporto diretto utente-operatore, ove quest’ultimo esercita (o può esercitare) una certa discrezionalità.Le ipotesi di soluzione (o meglio di gestione) di questo dualismo si muovono normalmente in due direzioni:

a) una “valorizzazione” dell’autonomia attraverso la costruzione di “buone prassi” di lavoro il più condivise possibile ai vari livelli. Questo comporta un forte investimento da parte dell’organizzazione sulla “professione”, ovvero investimento in formazione e in “tempi di rifl essività”;

b) una “standardizzazione” dei comportamenti sempre più accentuata, che, con una brutta parola “in burocratese” signifi ca per l’organizzazione investire in “regole/procedure”.

Nonostante tutte le dichiarazioni di facciata la tendenza attuale delle organizzazioni per i servizi alla persona (comuni, ambiti, Asl,…) è orientata in questa seconda direzione. L’attività degli assistenti sociali, e di altre professionalità coinvolte, è sempre più caratterizzata da schede, moduli di validazione, protocolli operativi rigidi, con regole spesso defi nite da esigenze di un sistema informatico più che da una rifl essione sulla realtà del caso/delle situazioni sociali. Per dirla con una battuta: la capacità di ascolto-risposta a un problema personale/sociale è determinata dalla capacità di adattarla ad un qualche logaritmo.

È comunque chiaro (o forse no?) che l’assistente sociale che lavora in una organizzazione, asl o comune o altro, agisce in nome e per conto della stessa e quindi, se da un lato risponde alla stessa per il suo operato, dall’altro l’organizzazione risponde verso l’esterno (gli utenti o benefi ciari dei servizi in particolare) in quanto tale.L’eccessiva personalizzazione della relazione d’aiuto (comunque essa sia confi gurata) è altrettanto negativa della “spersonalizzazione” creata dalla standardizzazione esasperata a cui si accennava. In tema di servizi per la tutela dei minori tale rischio è molto reale e presente: il “caso” non è (non deve essere) dell’assistente sociale A o B, ma del servizio/sistema di servizi di cui l’assistente sociale fa parte (e ne è solo una parte); il “problema” (inteso come mandato per la situazione da fronteggiare) non è del professionista, ma dell’intero “sistema organizzazione”.Questo signifi ca semplicemente che si è di fronte ad una responsabilità condivisa, anche se molto spesso negata. ll dirigente e/o l’amministratore che nega una proposta di intervento (o addirittura nega la situazione problematica) per quanto sposti verso altri la questione è comunque parte dell’organizzazione, tra l’altro con un ruolo preciso, e quindi co-responsabile delle azioni (o delle non azioni) degli operatori che a lui riferiscono in qualche modo. È vero ovviamente anche l’opposto, ovvero quando il dirigente o l’amministratore valida la scelta di intervento dell’Assistente Sociale. Questo non vuol dire che ogni proposta da parte dell’operatore assegnato al caso/alla situazione è aprioristicamente buona o positiva: è semplicemente “messa in comune” (almeno in termini di responsabilità) perché diventa propria dell’organizzazione di appartenenza. Questo dato presupporrebbe, all’interno di un sistema organizzativo “normale” (cioè orientato al proprio mandato), una comunicazione professionale (e se vogliamo gerarchica) fl uida, anche se comunque svolta attraverso norme e/o procedure, caratterizzata da una chiarezza di intenti e di relazioni, oltre che da una condivisione dei linguaggi. In generale, ma a maggior ragione per quanto concerne i servizi per la tutela dei minori, dev’essere più che mai chiaro qual è l’obiettivo, ovvero la “tutela del prioritario interesse del minore”, ma non in quanto esigenza etica (“prima i bambini”), ma in quanto obbligo istituzionale fi ssato dalla legge che è, peraltro, il motivo fondante del servizio stesso.

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13L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

LA RETE DEI SERVIZI

Se si allarga la prospettiva all’intera rete dei servizi il quadro attuale delle cose non è certo incoraggiante. Nell’ambito dei servizi di tutela dei minori, nella realtà delle situazioni, l’attivazione di servizi di supporto e di sostegno al progetto di tutela del minore sono molto spesso oggetto di una continua e diffi cile mediazione tra l’operatore incaricato del caso e i vari soggetti istituzionali del territorio, in particolare comuni e Asl. Parte del tempo e delle risorse professionali è spesa in tali mediazioni a scapito dell’attività con l’utenza.In particolare nei comuni piccoli l’attivazione di servizi anche minimi è oggetto di mediazione con la componente politica e basata su elementi non sempre strettamente legati alla situazione di tutela e protezione (principalmente di natura economica, ma non solo). Soprattutto nei piccoli comuni, dove non è presente un fi ltro costituito dai capi settore e/o dirigenti, la pressione degli amministratori sugli assistenti sociali è molto presente. Oltre alla dispersione di energie in mediazioni, il condizionamento sul lavoro degli operatori si fa sentire su molti aspetti, che creano una linea di comportamento professionale “più gradita”:

� le scelte operative sono condizionate da una valutazione di autotutela da parte dell’operatore, che, specie se con contratto precario, cerca comunque, anche inconsciamente, di difendere il proprio posto di lavoro;

� gli interventi di tutela e/o di protezione sono orientati al massimo ribasso e non a una valutazione com-plessiva costi-benefi ci, effi cacia-effi cienza;

� prevale un “attendismo decisionale”, le azioni sono attivate quando “non se ne può fare a meno”.

Emerge quindi un aspetto che può di per sé sembrare ovvio: la tutela dell’assistente sociale che opera nell’ambito della tutela. Il contesto organizzativo che crea un clima di “appartenenza” e quindi in qualche modo “protettivo”, permette all’assistente sociale una serenità che permette a sua volta l’impiego in senso professionale della sua ”umanità” nella relazione d’aiuto con l’utente.

È quindi evidente come il contesto determinato dall’organizzazione a cui l’assistente sociale appartiene (per cui lavora) è fondamentale per la reale capacità di azione professionalmente qualifi cata (ed effi cace) che riesce svolgere. È quindi importante presidiare alcuni aspetti che in qualche modo possono rappresentare la condizione minima perché un servizio dedicato alla tutela dei minori possa avere un senso:

� essere costituito da Assistenti Sociali con una suffi ciente competenza specifi ca in materia, anche se non dedicati esclusivamente;

� avere un monte-ore-lavorativo suffi ciente in relazione alle situazioni in carico; l’organizzazione di tale mon-te ore può non essere (non deve essere) necessariamente rigida (es: 15 settimanali il martedì e il giovedì), ma deve tuttavia essere evidenziata la sua specifi cità. Viceversa il rischio è venga condizionata dalle emer-genze “altre” e dagli adempimenti formali tralasciando una progettualità orientata alla persona;

� essere “strutturato”: avere cioè delle fi gure professionali di riferimento più meno stabili e dedicate e mo-dalità di comunicazione e relazione tra le stesse chiaramente defi nite;

� avere spazi/momenti di “rifl essività” che devono essere assolutamente presidiati per dare “senso” alle azioni proposte e/o attivate. Meglio sarebbe se tali spazi fossero organizzativamente defi niti attraverso il coordinamento e la supervisione;

� garantire una logica progettuale, poiché non si può prescindere dal presupposto che un intervento di tute-la è comunque un “progetto di vita”(a volte condiviso a volte imposto), agisce cioè in modo determinante sulla vita reale delle persone coinvolte.

Una breve rifl essione riguarda inoltre le risorse concrete che l’assistente sociale può attivare effettivamente in un progetto di tutela. È chiaro, che se da un lato il lavoro professionale si muove all’interno di una relazione diretta di aiuto con l’utente (sia essa spontanea o coatta), fi nalizzata alla valorizzazione delle possibilità di cambiamento della situazione di disagio che la famiglie (e tutti i protagonisti della situazione) possono agire, dall’altro è necessario che vi sia un “pacchetto” di risorse immediatamente attivabili (comunità, famiglie affi datarie, reti familiari, servizi

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14 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

di sostegno territoriali). Tali risorse non possono tuttavia essere “inventate” al momento in cui se ne ravvisa la necessità, ma devono pre-esistere, devono cioè essere il risultato di una programmazione e una politica sociale del territorio. L’Assistente Sociale della tutela può e deve essere un protagonista tecnico-professionale per la costruzione di dette politiche sociali. Sono poi necessarie delle scelte che competono alla componente politica.La rete di Servizi (intesa nel senso più ampio) è quindi una variabile fondamentale per l’attività dei servizi dedicati alla tutela dei minori e l’impostazione (o il principio organizzativo di fondo) è quindi determinante: la capacità di risposta è connessa al numero e soprattutto alla qualità (alla coerenza) delle opportunità.

IL TERZO SETTORE

Nella rete dei Servizi un ruolo importante è rivestito dal terzo Settore, sia che ad esso si guardi come attore della tutela, in quanto attuatore di un progetto dell’assistente sociale, sia che ad esso venga delegato lo svolgimento e l’organizzazione del servizio tutela da parte dell’Ente.Tutte le diverse sperimentazioni di Servizi, nella realtà milanese senza ombra di dubbio, sono nate da una collaborazione non solo fattiva ma anche di pensiero, di progettazione dell’ente pubblico e del privato sociale.Sotto questo aspetto la legge 328 del 2000 (anche altre in precedenza ma non con la stessa incisività) all’articolo 1 (Principi generali e fi nalità) recita:

1. la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, diffi coltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.

3. “… la programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, effi cacia, effi cienza ed economicità, omogeneità, copertura fi nanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali”.

4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

5. Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata.

Uno dei concetti cardine che la legge sottolinea è quello della sussidiarietà, cui andrebbe restituito il signifi cato che nello spirito del legislatore era quello vero: reale e concreto concorso nel creare il sistema di risposte ai bisogni del cittadino, e non mera delega di un soggetto all’altro come spesso purtroppo è avvenuto.

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15L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Sicuramente al terzo settore va riconosciuto un ruolo importante, a livello più generale, in particolare interroga la professione sotto molteplici aspetti, ne delineiamo alcuni dei più signifi cativi:• terzo settore come partner nella progettazione/attuazione di alcuni servizi/interventi;• terzo settore come soggetto attuatore del progetto di intervento elaborato dal Servizio sociale e che in questa

interazione permette al servizio di rispondere al bisogno: di verifi care la possibilità di un reale cambiamento tale per cui è possibile un ripristino della funzione tutoria dei genitori, di osservare e di capire, di verifi care;

• terzo settore come luogo di appartenenza di una parte della professione, e come tale ambito in cui è necessario la professione si esplichi in tutte le sue sfaccettature e con tutti i suoi saperi ed i suoi riferimenti etici/deontologici. Questo aspetto spesso non ha goduto della necessaria attenzione in quanto si parla di una professione che si è espressa soprattutto all’interno del Servizio pubblico e solo da un tempo più breve si muove nell’ambito del terzo settore.

In questo caso, paradossalmente, la stessa appartenenza professionale non ha giocato come collante o facilitatore di un dialogo fra due mondi (pubblico-privato) che, se guardati con occhio “libero”, non possono che procedere di pari passo.

LA FORMAZIONE DELL’ASSISTENTE SOCIALE CHE OPERA NEI SERVIZI DI TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Anche in questo ambito l’assistente sociale rimanda l’immagine di una certa fragilità della personale formazione professionale a confronto con professioni dallo status più elevato che spesso operano in servizi dello stesso settore, quali psicologi e medici.Il percorso formativo attuale risente di alcuni vincoli e limiti: la laurea triennale, prevista nella formazione di base, ha permesso l’acquisizione di una maggiore cultura teorica, necessariamente generalista, d’altro canto le stesse organizzazioni di lavoro tendono ad utilizzare l’assistente sociale più per rispondere in modo universalistico e standardizzato alle molteplici richieste, riducendone la funzione all’erogazione di prestazioni più o meno proceduralizzate.Forse in passato era possibile tenere separati il momento dell’apprendimento, la scuola, da quello del lavoro, la fabbrica, l’uffi cio, la professione, quasi fossero due grandi scansioni biologiche della vita dell’individuo, oggi questo non è più possibile. Nessuno, neanche chi si presenta al lavoro con il più ricco curriculum scolastico, riesce a vivere per più di qualche anno dell’eredità che la scuola gli lascia in termini di preparazione professionale.Il tempo per apprendere, inoltre, deve servire soprattutto ad “imparare ad imparare” e ad “imparare a lavorare”.Si rende pertanto indispensabile impostare l’attività formativa attraverso la ricerca del giusto equilibrio tra teoria e pratica, evitando il prevalere esclusivo di una dimensione a sfavore dell’altra. Troppo spesso, invece, la costruzione dei piani di studio per le lauree dei professionisti del lavoro sociale privilegiano un approccio di tipo disciplinare teorico che porta a leggere i fenomeni attraverso lenti mono-oculari, in grado di mettere a fuoco una parte del fenomeno ma non di trovare le possibili connessioni con le altre parti. Per altro, le stesse aspettative degli studenti sono spesso invece orientate sugli aspetti pratici, ovvero su apprendimenti in grado di abilitare – possibilmente nel più breve tempo possibile – alla messa in atto di interventi chiari, effi caci e replicabili.La professione richiede, invece, la capacità di reinterpretare le teorie di riferimento e le buone prassi ogni volta che s’incontra un utente, rispettandone la specifi cità, insomma di saper mettere in pratica attraverso la lente della creatività quanto appreso.

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16 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Specializzazione non specialismo

Nella realtà operativa non è possibile affrontare le tematiche della tutela dell’infanzia e della famiglia, ma non solo di questo settore, se non si è acquisita la capacità di elaborare un pensiero complesso, se non si è abituati ad esercitare una pratica rifl essiva, ad utilizzare processi di auto osservazione.Quanto richiamato ci porta a defi nire il percorso di formazione permanente (ma forse anche durante il biennio della cosiddetta laurea specialistica) in termini di specializzazione, ben differente da uno “specialismo” che riduce le competenze a tecniche di “problem solving”, che rincorrono neoteorie di moda, sovente poco verifi cate e certamente non sempre contestualizzate in relazione all’utenza e alle culture di appartenenza. Riteniamo utile chiarire il concetto espresso citando un intervento di Franca Olivetti Manoukian:

“….Sull’etimologia di “formazione”: è una declinazione di “forma” che (forse contrariamente a quel che si potrebbe immaginare) è parola dall’etimo oscuro in cui sembra si leghino un termine latino (forma) con uno greco (morphé) attraverso una mediazione dall’etrusco e attraverso una metatesi, ovvero una trasposizione di lettere tra l’uno e l’altro. È interessante però annotare che la parola latina “forma” corrisponde più specifi camente a “stampo”, ovvero a forma che viene data o presa da una sostanza, attraverso qualche cosa che la defi nisce e la consolida. Il rimando più immediato è a “formaggio”. La parola greca “morphé” sembra indicare piuttosto le confi gurazioni, le variazioni che prendono varie parti per e nell’interagire con il mondo che le circonda ( si parla di morfologia embrionale, grammaticale, geografi ca), per essere e stare nel mondo con grazia e bellezza, anche se forse solo in “apparenza”, con gesti e con parole. Le due etimologie sono oscuramente compenetrate ma non sono così pacifi camente sovrapponibili. Il signifi cato di forma come modello rinvia all’esistenza nella formazione di relazioni di potere, al peso di un potere/sapere costituito che detta il modello a cui sottomettere, sottomettersi. Il signifi cato di forma come morphé è più aperto ai rapporti multipli, è più provvisorio e costruttivo, più vissuto tra interno e esterno…più trasformativo, “metamorfosi” nel bene e nel male…”6

La professione sociale è paragonabile al lavoro di un artigiano, colui che pratica un’arte, che realizza lavori su misura, unici e irrepetibili, ricercando le formule più adatte per interagire e rispondere ai bisogni dei clienti , con una attenzione costante e approfondita sulle domande e sui bisogni stessi. Domande e bisogni che sono spesso dinamici, mutevoli, ambigui, aperti a signifi cati diversi, che cambiano (e non necessariamente in senso evolutivo e positivo) nel corso dell’intervento, che obbligano a ricalibrare la propria azione accettando una dimensione costante di incertezza.Nessuna teoria è in grado di rappresentare la complessità umana. Ogni approccio apporta strumenti che possono essere utili per formulare ipotesi e modalità di valutazione degli interventi, tuttavia una teoria può solo aiutarci a raffi nare ed indirizzare tale lettura, ma non ne defi nisce mai la veridicità e l’assoluta validità. La creatività di un operatore o di un’équipe si sviluppa nella capacità di ascoltare, raccogliere, approfondire i diversi punti di vista per elaborare letture circolari della situazione, superando la logica lineare di causa-effetto. Ciò è possibile solo riconoscendo come validi tutti i punti di vista, in quanto rappresentazioni di molteplici sfaccettature possibili della stessa realtà, utilizzando i contributi dei diversi attori coinvolti ma anche i concetti di diversi approcci teorici per elaborare letture coerenti e articolate, che contengano maggiori possibilità di interpretazione in cui gli interlocutori possano in gran parte riconoscersi.

6 (Franca Manoukian in Rivista Spunti n° 13/2010 – edizioni APS - www.studioaps.it/rivista-spunti.html)

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17L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Occorre perciò formare l’assistente sociale alla fl essibilità nell’uso dei modelli e alla loro integrazione in meta-modelli, funzionali alle singole situazioni ed in grado di ampliare il campo delle ipotesi. In ultima analisi ciò che può aiutare ed avere effetti “terapeutici” è la capacità del professionista di stabilire una relazione signifi cante con l’utente più che l’aver perseguito con fedeltà un metodo piuttosto che un altro.

Sembra indispensabile privilegiare un modello formativo interdisciplinare che sappia valorizzare l’esperienza professionale a partire da situazioni reali e concrete, da casi problematici, che permettano anche attraverso il confronto in gruppo, sia l’utilizzo pratico di conoscenze teoriche e metodologiche di osservazione, di analisi, di ipotizzazione e di valutazione delle scelte intraprese, sia una costante auto-osservazione del proprio profi lo di competenze professionali.È necessario, per gli assistenti sociali, vivere esperienze formative dove provare a sviluppare diverse forme della conoscenza, dove confrontarsi con altri punti di vista, dove provare a interrogarsi sulla propria operatività per andare oltre il consolidato, “il routinario: si fa così perché si è sempre fatto così”; dove attrezzarsi per affrontare il dolore che sempre più spesso si genera nell’operare in questo campo e affrontare i nuovi fenomeni di disagio sociale, per elaborarlo e trasformarlo in energia per andare oltre.

La Supervisione

La specializzazione nella professione di Assistente Sociale richiede costantemente un investimento di intelligenza e creatività che non appartengono alla sola sfera cognitiva: non esiste una sfera cognitiva indipendente da quella emotiva.Oggi sempre più il welfare mostra le sue debolezze di sistema a fronte all’aumentata pressione del disagio, con una contrazione senza precedenti delle risorse disponibili per far fronte ai problemi portati dai cittadini. Queste risorse appaiono oggi “povere” sia economicamente sia in relazione all’affacciarsi di questioni inedite per l’esperienza dei servizi, questioni per le quali è necessario il riconoscimento e la presa in carico sociale dei problemi insieme alla ricerca di soluzioni professionali socialmente sostenibili.Gli assistenti sociali, nonostante l’impegno organizzativo prestato, risentono l’impatto con le richieste degli utenti che possono farsi pressanti e rivendicative: allo stress da routine si associa quindi anche la percezione di inadeguatezza, nonostante l’evidenza che le risposte non dipendano dalla loro volontà, che produce stress o la fuga nel distanziamento che produce indifferenza.Il confronto quotidiano con situazioni anche dolorose, nello spazio temporale a volte di un solo incontro, genera risonanze emotive che hanno ricadute in ciascuno, nel gruppo di lavoro e più in generale sull’intera organizzazione.Anche se il confronto con alcuni utenti è connotato dalla brevità dell’incontro è frequente che sorgano elementi confl ittuali che segnano inevitabilmente la relazione intersoggettiva.

Nella realtà operativa può accadere di sentirsi investiti della ricerca di “soluzioni defi nitive”, con la conseguente deriva di una consistente insoddisfazione lavorativa (la sensazione di lavorare continuamente a fare e disfare senza arrivare mai ad esiti concreti), o ancor peggio a senso di colpa, che producono oscillazioni pericolose tra l’onnipotenza e l’impotenza dell’intervento.

Nelle professioni di aiuto è in causa la “soggettività” dell’operatore, intesa come dimensione profonda del proprio essere, che viene sollecitata al di là del livello di consapevolezza.Per fronteggiare queste sfi de è opportuna e necessaria l’elaborazione di elementi affettivi, relazionali, emotivi sempre connessi ad una situazione di relazione diretta con gli utenti: uno spazio di supervisione garantito, all’interno del proprio tempo di lavoro: è una supervisione “del” lavoro da collocare “nel” lavoro.

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18 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

L’ASSISTENTE SOCIALE E GLI INTERVENTI DI SOSTEGNO E PREVENZIONE7

L’orientamento ad un lavoro preventivo discende oltre che dai fondamenti normativi, anche da una serie di altri fattori che hanno segnato l’evoluzione di servizi sociali.

Soprattutto, oggi, la famiglia e i suoi componenti si presentano ai servizi non più e non solo come persone bisognose di aiuti materiali, di sostegno o di controllo da parte di un operatore che interviene prevalentemente in situazioni d’emergenza per contenere o ridurre i danni, ma come soggetti attivi di diritti, portatori di competenze e risorse proprie.L’Assistente Sociale non ha più il compito di “elargire”, con maggior o minor benevolenza sussidi assistenziali, ma soprattutto quello di promuovere il benessere e le condizioni favorevoli perché le stesse famiglie possano affrontare e superare una condizione di bisogno o diffi coltà.

A questo proposito è utile richiamare l’art. 11 del Titolo III del Codice Deontologico che recita:

“L’assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per promuovere la autodeterminazione degli utenti e dei clienti, la loro potenzialità ed autonomia, in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto, favorendo l’instaurarsi del rapporto fi duciario, in un costante processo di valutazione.”

Il rapporto servizi-utente, quindi anche servizi e bambino, è regolato all’interno di una relazione in cui sempre l’utente è considerato soggetto attivo e partecipe, non solo in relazione all’intervento che lo riguarda, ma anche nella promozione e organizzazione dei servizi e delle attività a suo favore.Poiché l’interesse del minore non va inteso come contrapposto all’interesse di genitori carenti, in diffi coltà, marginali, impreparati o immaturi – il compito fondamentale dell’assistente sociale è di promuovere interventi volti a ridefi nire i comportamenti, le modalità relazionali e gli stili pedagogici delle famiglie in crisi.Non si possono fare alleanze privilegiate ed esclusive solo con qualcuno degli attori in gioco in una vicenda di intervento familiare: il minore è utilmente partecipe al progetto, se tutti coloro che stanno attorno a lui sono ugualmente tenuti in considerazione per quanto riguarda le loro esigenze.

Certamente il concetto d’interesse del minore è di per sé vago e apre al rischio di parzialità e interpretazioni discrezionali e soggettive, d’altro canto la materia mal si presta a criteri universalistici e, proprio nel rispetto dell’unicità delle persone, all’assistente sociale spetta il compito di decodifi care la situazione e declinare caso per caso le possibili mediazioni e concrete soluzioni che devono tener conto delle specifi cità che mutano nel tempo: le condizioni sociali, l’età del minore, le caratteristiche personali, le relazioni affettive con tutto il loro carico di ambivalenza e irrazionalità.

Da questi presupposti ne discende che l’assistente sociale che si occupa della cosiddetta “tutela dei minori e della famiglia” debba affrancarsi dall’interpretazione restrittiva del proprio mandato che la confi na alla collaborazione con l’Autorità giudiziaria (quando non vera e propria passiva esecuzione di decreti).L’intervento del magistrato è utile e necessario solo in quanto, a fronte di un grave danno per il minore, si incontri una totale non collaborazione dei genitori, non può essere invocato a supplenza delle inadempienze delle amministrazioni locali o nell’illusione che modifi chi alcuni comportamenti sociali.

7 Il testo è liberamente tratto da: Margherita Gallina. Lavorare con la L.285/1997 L’intervento socio-educativo con le famiglie in diffi coltà. Carocci Faber Roma , 2003

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19L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Il decreto della magistratura ha il valore di un limite che permette la nascita di qualcosa di nuovo: compito dell’assistente sociale e del servizio di appartenenza, è offrire una nuova possibilità di economia vitale per tutti, lavorando nella direzione della composizione.

Da questi principi discende anche l’importanza delle attività a carattere preventivo promosse dall’assistente sociale. È necessario chiarire anzitutto la defi nizione di prevenzione: non va intesa come possibilità dell’operatore di evitare diffi coltà o confl itti.Non dobbiamo pensare che la responsabilità genitoriale sia sempre nell’ordine dei buoni sentimenti: esistono il confl itto, lo scontro, la ribellione, ma esiste anche la capacità di elaborare il confl itto, di ricominciare su basi più elevate, perché quando un confl itto è stato elaborato bene non si torna al punto di partenza, ma si costruisce una nuova, più avanzata piattaforma, dalla quale procedere in avanti. È chiaro che non esiste il genitore perfetto, ma solo il genitore che sa apprendere dall’esperienza, far tesoro dei suoi stessi errori. Solo i genitori che sanno errare senza negare i torti che hanno inferto ai fi gli e senza cadere nella depressione per il fatto di non essere perfetti possono insegnare ai ragazzi che crescere signifi ca anche sbagliare e che, in ogni caso, si può rimediare e ricominciare.

A partire da questa concezione di prevenzione intesa come “lavoro di composizione” si può condividere l’idea che per prevenzione si intendano almeno quattro funzioni fondamentali: la promozione, la prevenzione del disagio, le pari opportunità, l’educazione ai diritti.L’Assistente Sociale può svolgere un’azione di promozione del bambino e dell’adolescente, ma anche del genitore, quando orienta il suo intervento, la sua competenza diagnostica anzitutto a riconoscere e poi a sviluppare le potenzialità e le competenze del suo interlocutore, anche il bambino piccolo non è totalmente dipendente dagli adulti, ha strategie proprie da mettere in campo: capacità relazionali molto precoci, risorse emotive, facilitazioni intellettive, prerogative nei rapporti sociali; quando riesce a garantire uno spazio d’ascolto individuale e specifi co – troppo spesso il bambino o l’adolescente sono ascoltati e conosciuti attraverso il racconto che di loro fanno i genitori o gli insegnanti – a stabilire un rapporto di fi ducia che permetta una contrattualità diretta e la possibilità di riconoscere e valorizzare i cambiamenti e i risultati.Quanto più l’Assistente Sociale è orientato verso attività promozionali, tanto più la prevenzione del disagio diventa un terreno congeniale e fertile per il suo lavoro. Chi opera nel settore è portato alla convinzione di dover parlare di prevenzione, in modo concreto, relativamente alla possibilità propria della professione sociale di essere sul campo, in questo caso è più corretto parlare di prevenzione secondaria, che è il livello su cui ciascun operatore può intervenire direttamente. L’assistente sociale ha la possibilità di essere un sensore sensibile ai mutamenti, alle involuzioni e agli sviluppi dei singoli, dei gruppi e dei contesti di vita; le visite domiciliari, le riunioni con le reti di organizzazioni e di servizi, la presenza frequente nelle scuole, nei centri di aggregazione, la conoscenza dei gruppi di pari e delle relazioni del quartiere sono fonti d’informazione preziosa, e nello stesso tempo strumenti d’intervento che consentono di rilevare precocemente i segnali di diffi coltà e sostenere le situazioni in crisi.Una terza funzione riguarda la promozione di pari opportunità, in questo caso il riferimento è a quell’insieme di attività che hanno lo scopo di contenere le disparità dovute a differenze socioeconomiche e culturali acutizzate da eventi straordinari, ad esempio le particolari e specifi che condizioni dei minori stranieri che richiedono indubbiamente attenzioni e iniziative mirate, esclusive per superare il divario originale (linguistico, di socializzazione, di integrazione) con i loro coetanei; oppure le azioni di sostegno dove è ancora evidente il divario di genere, fi nalizzate a promuovere la partecipazione femminile come l’orientamento scolastico post obbligo e l’orientamento ad attività professionali signifi cative e qualifi cate.

Infi ne, ma altrettanto rilevante, segnaliamo il compito relativo all’educazione ai diritti.Educare ai diritti non signifi ca far sperimentare ai bambini o agli adolescenti gli stessi modelli degli adulti in materia d’esercizio di diritti; piuttosto, ma sono forse i temi su cui è più diffi cile misurarci come adulti, dovremmo sviluppare il senso critico dei ragazzi, consentire la loro espressione autonoma mettendoli a confronto con i diritti degli altri, adulti e ragazzi, quindi dare signifi cato anche ai loro doveri, rispetto ai quali la tendenza attuale è di ritenerli soggetti poco competenti o poco affi dabili.

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20 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Un contributo fondamentale in questa direzione è stato dato dalla L.285/97: Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza.Anzitutto si può affermare che è una legge che rivela una precisa teoria pedagogica e sociale di riferimento, ossia pur essendo una legge di settore (il riordino del comparto avverrà successivamente grazie alla legge quadro 328/2000 ed alle successive conseguenti disposizioni regionali), non si limita a fornire risorse condizionate da generici criteri di bisogno e specifi ci vincoli di bilancio, ma defi nisce una cornice teorica per lo sviluppo dello stato sociale per l’infanzia e l’adolescenza.La novità è insita anche nella duplice defi nizione adottata diritti - quindi ciò che va difeso e fatto valere in caso di violazione - e opportunità ossia la sostanziale e non formale eguaglianza di possibilità che devono essere offerte a tutti. Formula che quindi non si limita a sancire un principio defi nito, un concetto risolto e chiuso nella norma stessa, ma evoca altre responsabilità, chiama in causa immediatamente altri livelli di regolazione della società, come la capacità di prevedere e di organizzare del buon amministratore o la perspicacia critica e il sapere degli operatori, esprime un invito all’ intelligenza di chi sa immaginare un modo diverso di comporre le diversità e sanare lo svantaggio. La formulazione indicata dalla legge presenta un orientamento favorevole all’inclusione dei ragazzi in diffi coltà in percorsi educativi che potremmo defi nire fi siologici, ma preparati ad accoglierli e predisposti ad un affi ancamento educativo individualizzato.

Sembra opportuno a questo punto citare un intervento di Enriquez 8 sulla Hýbris (dal greco ) dell’operatore:

“La trappola dei risultati possibili.Ricapitoliamo. Abbiamo fi n qui visto come vi sia un primo gruppo di fantasmi in cui l’operatore sociale si pone in una posizione di superiorità nei confronti di coloro con cui lavora, singoli o gruppi, per (far) fare un’operazione di rinnovamento; nel secondo gruppo prevale l’aspetto di condivisione della sofferenza da parte dell’operatore e il cercare di fare di tutto per eliminarla; nel terzo c’è l’idea di accompagnare le persone per far uscire la positività che è in loro.Naturalmente questi diversi fantasmi non sono condivisi dallo stesso operatore. E ciascuno presenta criticità specifi che che abbiamo tentato di mettere in evidenza.

C’è però un elemento critico che accomuna le rappresentazioni fantasmatiche che ho descritto e su questo vorrei soffermarmi. Ossia il fatto che tutte generano nell’operatore l’attesa che dal suo lavoro si giunga sempre e comunque a dei risultati positivi. Ma questa attesa non tiene conto di un fatto fondamentale: che la persona o il gruppo con cui gli operatori lavorano possono avere delle resistenze, possono cioè non voler cambiare.Infatti, anche se una persona ha diffi coltà estremamente gravi può preferire vivere con i propri problemi piuttosto che cambiare anche se a parole sostiene il contrario.

Prendiamo un esempio semplice: vi sono casi di persone alcoliste o tossicodipendenti che dicono «voglio smettere, voglio chiudere con questa storia», ma nella realtà non riescono a intraprendere strade di emancipazione e spesso, molto velocemente, ricadono nella dipendenza. Perché? Perché in una certa misura preferiscono avere una malattia o una condizione di disagio che conoscono piuttosto che guarire e trovarsi in una situazione totalmente nuova per loro e che per certi aspetti rappresenta l’ignoto e incute loro paura. Dunque, come criticità generale in tutti questi fantasmi dell’operatore sociale, vi è la prevalenza di un lato ottimista - «si possono trasformare le cose»- mentre manca una visione lucida che metta bene a fuoco il fatto che non tutti hanno voglia di staccarsi dalle situazioni di disagio in cui si trovano, di trasformarle, di essere «riparati», di essere terapeutizzati... Ci sono resistenze individuali e sociali molto forti.

8 Eugenié Enriquez, I fantasmi del cambiamento. Per un operatore autorifl essivo. Animazione sociale, 2006

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21L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Non bisogna mai dimenticarsi che la pulsione di morte ha un peso, come diceva Freud; spesso addirittura è più potente della pulsione di vita e di questo dobbiamo tenere conto. Ci sono persone che sono più attaccate al loro sintomo che al desiderio di volersene liberare.

Questo è un limite, spesso purtroppo invalicabile del lavoro dell’operatore sociale. È saggio tenerne conto, per non cadere nella trappola di avere-aspettative illusorie e idealizzate del proprio lavoro e delle persone con cui lavoriamo, con il conseguente carico di frustrazionie demotivazioni.Naturalmente l’operatore sociale, se non vuoi essere disperato, deve essere ottimista. È normale che si situi in una visione ottimistica delle cose, non varrebbe neanche la pena di lavorare se non ci fosse quest’apertura. Però mi sembra importante avere una visione più completa e più complessa delle situazioni, soprattutto per capire come mai in alcune circostanze ci sono dei successi mentre in altre, malgrado si sia fatto tutto quello che si poteva fare, si è andati incontro a fallimenti. Può darsi che avremmo potuto fare altre cose, è vero; tuttavia ci sono scacchi che sono inevitabili. Certamente attraverso la propria attività gli operatori sociali possono trasformare alcune cose, ma è importante anche poter accettare che in certi casi si può fallire.

GLI ATTORI E LE FASI DELL’AZIONE DI TUTELA

Il Codice Deontologico all’articolo 20 recita:L’assistente sociale, investito di funzioni di tutela e di controllo dalla magistratura o in adempimento di norme in vigore, deve informare i soggetti nei confronti dei quali tali funzioni devono essere espletate, delle implicazioni derivanti da questa specifi ca attività.

Chi sono quindi gli attori del processo di sostegno, protezione e tutela:

� il minore e la sua famiglia

� gli Enti Locali

� le Aziende Sanitarie Locali (ASL) e le Aziende Ospedaliere (AO)

� La rete di sostegno: scuola, associazioni del privato sociale e del volontariato

� Tutore e curatore del minore

� L’Autorità Giudiziaria (Tribunale e Procura per i Minorenni - Giudice tutelare - Tribunale ordinario)

Nel corso degli anni anche sul territorio regionale si sono andati sviluppando, sulla base di singole esperienze, storia, sensibilità, diverse modalità ed assetti organizzativi per la gestione dell’attività di tutela, che potremmo sintetizzare in grandi fi loni quali:

� la gestione in capo all’ente locale

� le forme di gestione associata

� protocolli di delega/collaborazione con l’ASL

� creazione di aziende sociali/ fondazioni

� l’affi damento di questa parte di lavoro a cooperative/associazioni

In alcune realtà si è assistito ad un cambiamento continuo, passando da una modalità all’altra con la perdita di storia, esperienza e competenza che ha reso la materia, già di per se delicata e complessa, più fragile e frammentata, con il rischio concreto di interventi sempre più di riparazione e sempre meno di presa in carico tempestiva, dove prevalgono invece aspetti di cura e trattamento.

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22 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Tutto questo è aggravato da oggettive diffi coltà economiche, che hanno investito i diversi enti.Paradossalmente, ma non troppo, in questa fase il ruolo e la competenza della fi gura professionale dell’assistente sociale assumono una grande importanza e signifi catività.

Quali sono gli elementi del percorso di sostegno, protezione e tutela che la professione deve guardare con attenzione?

I SIGNIFICATI DELL’INTERVENTO DI TUTELA PER L’ASSISTENTE SOCIALE

L’assistente sociale che accoglie una prima richiesta di intervento da parte di un genitore spesso ha la sensazione di sentirsi investito da una serie di richieste non organizzate e caratterizzate dall’urgenza. Non dobbiamo però “leggere” l’urgenza e l’effettiva necessità di intervenire con una logica prevalentemente di “emergenza”, rinunciando in questo modo alla costruzione di un progetto.Sapere che il percorso di tutela di cui si occuperà l’assistente sociale è composto da fasi e che ogni fase è parte del processo più ampio, consente all’operatore “di agire e muoversi con maggiore tranquillità e lucidità, senza sentirsi assillato dal bisogno di fare tutto subito e dalla preoccupazione di perdere dei pezzi per strada, sapendo che ogni altra fondamentale esigenza troverà una sua risposta in un altro tempo e luogo” 9.Ogni fase dell’intervento di tutela risponde a bisogni, domande, esigenze specifi che, spesso poste da una pluralità di interlocutori, che non sempre coincidono con chi deve stare al centro del pensiero progettuale degli operatori, il minore.La complessità degli interventi di tutela pone l’assistente sociale di fronte all’esigenza di conciliare i principi etici della professione con le necessità che di volta in volta emergono nelle diverse fasi del percorso di intervento.Obiettivo del presente contributo è cercare di attraversare trasversalmente il codice deontologico al fi ne di rifl ettere su quali siano i possibili punti di incontro tra la deontologia professionale e la concretezza dell’operatività all’interno degli interventi di tutela.

Il percorso

Quando si apre un intervento nell’ambito della tutela è necessario prendere parte ed impostare un lavoro che sia processuale e che può riferirsi schematicamente a due ambiti di intervento: quello spontaneo e quello in presenza dell’Autorità Giudiziaria.Una buona organizzazione delle prime fasi di “intervento”, un’approfondita osservazione delle condizioni di vita dei minori e della famiglia possono consentire all’assistente sociale di porre le basi per individuare i passi successivi.Aver chiaro in quale area (diagnosi precoce, riduzione del rischio, progettualità diffusa, valorizzazione delle risorse/competenze, valutazione del danno, trattamento, ecc.) si colloca l’avvio della presa in carico è un pre-requisito indispensabile che si connette a tutto il lavoro di osservazione e valutazione sociale sul quale andranno a costruirsi i passaggi successivi.La presa in carico è un processo che deve tener conto di molte variabili legate alla specifi cità delle problematiche, al grado di condivisione e riconoscimento delle diffi coltà che si riesce a defi nire con i genitori, ma anche del fatto che l’intervento prescinde dalla volontarietà degli adulti di chiedere aiuto.

9 Bertotti, in Ghezzi-Vadilonga, 1996

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23L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

In tal senso l’Assistente Sociale si trova di fronte ad una prima questione che richiama la deontologia professionale: la necessità di riconoscere la “centralità della persona in ogni intervento…come portatrice di una domanda, di un bisogno, di un problema” (art. 7 del Codice Deontologico, da qui in poi C.D.).Quale persona si accoglie avviando un intervento nell’ambito della tutela? Qual è la domanda, il bisogno? La delicatezza e la complessità dell’ambito della tutela pongono da subito in evidenza che la persona che si accoglie come portatrice del bisogno non è mai quella che andrà poi posta al centro del percorso e degli interventi successivi.La “voce” dei minori arriva ai Servizi sempre attraverso una domanda di un intermediario, sia esso un familiare, un insegnante, un esponente delle Forze dell’Ordine o dell’Autorità Giudiziaria.

Il primo elemento di complessità con cui l’assistente sociale si trova a dover fare i conti, costante poi di tutto il percorso, sarà di ricordare che è il minore con i suoi bisogni ed esigenze cha vanno tenuti al centro dell’intervento, anche quando essi vanno a confl iggere con quelli degli adulti di riferimento.

L’Art 7 del C.D. sottolinea la necessità per l’assistente sociale di collocare la persona “entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico -culturale che fi sico”.All’interno del percorso di tutela a volte l’assistente sociale è invece costretto a fare i conti con la necessità di prevedere che proprio il minore a volte debba essere, in nome del suo interesse, collocato al di fuori del proprio contesto di vita e di relazione.Si tratta indubbiamente di un dilemma etico che deve trovare la propria risposta all’interno dell’ambito giuridico, ma l’enunciazione di questo principio sottolinea l’importanza del contesto socio- culturale e ciò per l’assistente sociale signifi ca:

� contemplare, insieme all’Autorità Giudiziaria, l’allontanamento del minore dal proprio contesto di vita esclusivamente come misura necessaria alla sua tutela (in tal senso si veda il documento Osservazioni sulle linee guida per la regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore (CNOAS) – presente sul sito dell’Ordine regionale al link http://www.ordineaslombardia.it/ArchivioFile/Pdf/VERBALI%20CR/do-cumento%20minori%20defi nitivo.pdf)

� prevedere un rientro del minore o un riavvicinamento al proprio ambiente di vita e di relazione non appe-na le condizioni lo consentano

� tenere sempre e comunque conto, nella previsione degli interventi e dei progetti, della provenienza socio culturale del minore e della famiglia.

Rispetto al percorso degli interventi della tutela occorre anche richiamare la necessità che l’assistente sociale debba “conoscere i soggetti attivi in campo sociale,… contribuendo alla promozione di un sistema di rete integrato” (Art. 38 C.D.): non è infatti possibile costruire un percorso di interventi prescindendo da un’approfondita conoscenza del territorio, delle risorse, dei Servizi, sia per garantire una valutazione necessaria preliminare alla costruzione di qualsiasi intervento, sia per offrire la possibilità di accesso a Servizi e agenzie che possano costruire una buona rete di sostegno per le famiglie e i minori.

La segnalazione

La prima azione che apre un intervento di un Servizio di Tutela è la segnalazione di una situazione familiare che, in seguito ad un primo fi ltro di valutazione, viene ritenuta pertinente al mandato del Servizio stesso.La segnalazione può avvenire ad opera di cittadini, membri della famiglia, altri Servizi (Servizi pubblici, privati, Scuole), Forze dell’ordine territoriali, Procure, Tribunali o altri soggetti che in qualunque modo vengano a conoscenza di una situazione familiare in cui si ravvisi un possibile pregiudizio per il minore.La modalità con cui una situazione viene segnalata ad un Servizio di tutela determina fi n dall’inizio il tipo di rapporto che per l’assistente sociale è possibile instaurare con la famiglia.

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24 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

La segnalazione ad un Servizio che si occupa di Tutela può essere di diversa natura, a seconda di:

� chi è il soggetto che segnala

� quale lavoro di sensibilizzazione e contatto i Servizi hanno impostato e portato avanti con il territorio.

Questi elementi infl uenzano necessariamente la modalità di contatto e presa in carico delle situazioni: l’Assistente Sociale, come prima interfaccia dei Servizi, spesso si trova a doversi confrontare con una richiesta che sottende numerosi bisogni, che va accolta e “rielaborata” per poter comprendere:

� l’effettiva domanda

� la coerenza tra la richiesta e i bisogni

� le possibilità di risposta e il livello di intervento possibile per l’operatore ed il Servizio.

L’assistente sociale, già nel momento in cui accoglie una segnalazione che non provenga direttamente dai genitori o dagli esercenti la potestà genitoriale, si trova davanti ad un dilemma etico:

“L’assistente sociale, investito di funzioni di tutela e di controllo dalla magistratura o in adempimento di norme in vigore, deve informare i soggetti nei confronti dei quali tali funzioni devono essere espletate delle implicazioni derivanti da questa specifi ca attività”.(art. 20 C.D.)

L’informazione ai soggetti interessati è uno dei temi più delicati all’interno degli interventi di tutela ed è strettamente connesso da un lato agli obblighi giuridici derivanti dall’incarico di pubblico Servizio che l’assistente sociale si trova a rivestire per quanto riguarda le segnalazioni all’Autorità Giudiziaria ed ai vincoli di riservatezza e segretezza connessi a eventuali procedimenti penali, dall’altro all’obbligo derivante dal Codice Deontologico di informare i soggetti nei confronti dei quali l’assistente sociale deve operare.Inoltre l’art. 13 C.D. afferma che l’assistente sociale, nel rispetto della normativa vigente e nell’ambito della propria attività professionale, deve agevolare gli utenti ed i clienti, o i loro legali rappresentanti, nell’accesso alla documentazione che li riguarda, avendo cura che vengano protette le informazioni di terzi contenute nella stessa e quelle che potrebbero essere di danno agli stessi utenti o clienti.

I delicati equilibri tra gli obblighi giuridici, i vincoli di riservatezza e il rapporto fi duciario con gli utenti sono materia quotidiana del lavoro degli assistenti sociali che operano nei Servizi di tutela e sono anche gli aspetti su cui è necessario aggiornare le proprie conoscenze, ma anche potersi avvalere di un costante confronto attraverso il lavoro di équipe e percorsi di supervisione.È comunque fondamentale che determinati obblighi, professionali ed istituzionali, vengano subito spiegati agli utenti, sin dai primi incontri, soprattutto quando una richiesta di intervento non proviene dall’Autorità Giudiziaria. In questo caso infatti la cornice giuridica, pur complicata e foriera di altri rischi e ambiguità, aiuta da subito a chiarire vincoli e ruoli.Diversamente, quando un intervento viene attivato su richiesta spontanea da parte dei familiari o di altri Servizi, è necessario che l’assistente sociale defi nisca chiaramente quali sono gli obblighi che esulano dal rapporto fi duciario e di riservatezza.In tal senso anche il C.D. recita chiaramente che:

“La natura fi duciaria della relazione con utenti o clienti obbliga l’assistente sociale a trattare con riservatezza le informazioni e i dati riguardanti gli stessi, per il cui uso o trasmissione, nel loro esclusivo interesse, deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati, o dei loro legali rappresentanti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge”.(Art 24 C.D.)

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25L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

A questo aspetto fa riferimento anche l’art. 27 C.D.:

”L’assistente sociale ha facoltà di astenersi dal rendere testimonianza e non può essere obbligato a deporre su quanto gli è stato confi dato o ha conosciuto nell’esercizio della professione, salvo i casi previsti dalla legge”.

È quindi necessario che l’assistente sociale non solo conosca quali sono “i casi previsti dalla legge”, ma che ne informi con la massima trasparenza anche gli utenti, per contenere vissuti di tradimento ed accuse nei propri confronti e in quelli del Servizio nel caso in cui si renda necessario segnalare una situazione pregiudizievole all’Autorità Giudiziaria o fornire informazioni nel corso di procedimento giudiziario.Che tali reazioni possano scatenarsi è un rischio da tenere sempre presente, ma se sin dall’inizio la comunicazione viene improntata alla chiarezza e alla trasparenza, si preserva la possibilità di mantenere il rapporto fi duciario necessario alla prosecuzione del percorso degli interventi.

La valutazione sociale

La cosiddetta “indagine sociale” viene spesso descritta come uno strumento professionale utilizzato nel processo di aiuto, nella fase di analisi della situazione e di valutazione della domanda.Nella prassi dei Servizi per i minori e la famiglia, il termine “indagine sociale” solitamente tende a essere “circoscritto” a contesti in cui l’Autorità Giudiziaria chiede al Servizio Sociale di raccogliere informazioni sulla situazione di un minore e della sua famiglia, nell’ambito di procedimenti volti a valutare la necessità di provvedimenti di limitazione della potestà genitoriale e/o di affi damento dei fi gli.In questi casi si tratta di esprimere un parere in merito alla sussistenza (o meno) di condizioni di “grave pregiudizio” o di “condotte gravemente pregiudizievoli” da parte dei genitori nei confronti dei fi gli.

Preme sottolineare come la valutazione si svolga in un’intensa relazione tra l’operatore e la famiglia, e spesso in un condizioni che poco favoriscono una condivisione delle opportunità inerenti la valutazione: i genitori sono

“esplicitamente sottoposti ad un dubbio in merito alle loro capacità parentali e vivono l’indagine con timore e diffi denza, i minori sono implicitamente defi niti come vittime da difendere dai comportamenti dannosi dei loro genitori e possono vivere con elevata ambivalenza gli interventi volti a verifi care la situazione e a proteggerli”10.

L’Assistente Sociale, a sua volta, si avvicina alla famiglia con un “mandato deontologico e professionale” che tende a privilegiare più gli aspetti di aiuto e di sostegno che quelli di verifi ca e controllo insiti nella stessa valutazione e ciò, come anche sopra citato in merito alla segnalazione, pone l’operatore in una delicata posizione, nella quale è necessario tener conto dell’infl uenza esercitata dal mandato sulla possibilità di instaurare un rapporto fi duciario con la famiglia.

Risulta importante sottolineare, e non dare per scontato, come sia di rilevante importanza avere una precisa conoscenza della realtà socio-territoriale in cui si opera e un’adeguata considerazione del contesto culturale e di valori, identifi cando le diversità e la molteplicità come una ricchezza da salvaguardare e da difendere, contrastando ogni tipo di discriminazione (art. 34 C.D.).

A partire dalla vasta letteratura sul tema, si è cercato di individuare quali siano gli aspetti prevalentemente sociali nel campo della valutazione.

10 Bertotti, 2012

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26 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Quali sono le variabili, tra quelle proposte, che possono essere oggetto di una competenza esclusivamente sociale?

Non volendo (o non potendo) fornire una “ricetta pronta” ma nell’ottica di una funzione di rifl essione e pensiero che caratterizza questo lavoro, ci si limita a dire che, nello svolgimento di un’indagine, esistono alcune “questioni metodologiche” che vanno tenute in considerazione tra cui:

� identifi cazione degli attori e del contesto

� costruzione ed utilizzo di un linguaggio comune e chiaro (fra Assistente Sociale e famiglia, fra Assistente Sociale ed altri operatori, fra Assistenti Sociali e l’Autorità Giudiziaria)

� distinzione degli elementi descrittivi da quelli valutativi

� costruzione di una mappa delle aree su cui si vuole “volgere lo sguardo” (dimensioni di criticità, rischio e di malessere accanto a dimensioni positive e risorse protettive), tenendo presente gli eventuali vincoli legati ad un mandato dell’autorità giudiziaria.

� oggettività e soggettività del valutatore.

Come riportato dall’art. 19 del C.D., qualora la complessità di una situazione lo richieda, l’Assistente Sociale si consulta con altri professionisti competenti con cui scambiare (art. 30 C.D.) informazioni e dati strettamente attinenti e indispensabili alla defi nizione di un intervento, motivo per cui la collaborazione con altri professionisti (art. 41 C.D.) deve essere improntata a correttezza, lealtà e spirito di collaborazione, utile anche alla soluzione di possibili contrasti, prevedendo in tal senso un sostegno particolare a favore di colleghi che si trovano all’inizio dell’attività professionale.In questo senso trova “applicazione” anche quanto previsto dall’art. 10 C.D., che lega l’esercizio della professione a fondamenti etici e scientifi ci, all’autonomia tecnico-professionale, all’indipendenza di giudizio e alla scienza e coscienza dell’Assistente Sociale, nonché al dovere di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti, qualora la situazione la mettesse a rischio.

Il progetto di intervento sociale

Come già sopra detto, anche su questo argomento ci si limita ad evidenziare quelli che sono i signifi cati per la professione rispetto a cosa debba prevedere un progetto:

� sostegno/controllo al minore

� sostegno/controllo alla famiglia

� attenzione alla protezione

� lavoro di rete e coinvolgimento soggetti

� valutazioni e riprogettazioni

Il presupposto della presa in carico è la cura nella sua prospettiva più ampia, che si estende al sistema di relazioni con i genitori e la famiglia estesa.Il progetto di lavoro non può essere circoscritto alla “cura” del bambino, come riparazione dei danni generati dalla situazione di incuria, trascuratezza o maltrattamento.Il decreto è una delle possibili cornici (in questo caso giuridica) che legittima l’avvio di un progetto di intervento, i cui contenuti e le responsabilità progettuali sono in capo all’Ente affi datario e al gruppo di lavoro che si andrà a costituire sul progetto di presa in carico della situazione familiare.

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27L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

Lavorare per il cambiamento della famiglia d’origine è un’esigenza fondamentale nel processo complessivo di tutela del minore, sia quando l’intervento di tutela avviene con il minore che resta nel proprio nucleo familiare, sia quando viene attuato in presenza di un allontanamento dal nucleo familiare.La professione è al servizio delle famiglie… per contribuire al loro sviluppo. In tal senso ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità e le sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie … e nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio, promuovendo ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione (art. 6 C.D.)

In cosa consiste questo lavoro? tutti gli interventi debbono avere, in un’ottica di effi cacia, un comune denominatore: devono aiutare i genitori a diventare genitori competenti e per fare ciò è indispensabile che agiscano sulla e con la storia personale, familiare e di coppia degli interessati. Il punto di snodo è perciò l’aspetto processuale e dinamico della vicenda: i cicli di vita, gli eventi signifi cativi, le risorse ed i limiti presenti e possibili.In tal senso pare appropriato nominare il codice deontologico che prevede, all’art. 33 C.D., il riconoscimento della famiglia nelle sue diverse forme ed espressioni come luogo privilegiato di relazioni stabili e signifi cative per la persona e la sostiene quale risorsa primaria.Inoltre, l’art. 11 C.D. sottolinea il necessario impegno della competenza professionale a favore della promozione dell’autodeterminazione dei clienti, …in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto, favorendo l’instaurarsi del rapporto fi duciario, in un costante processo di valutazione.

E la tutela degli Assistenti sociali?

Una delle questioni che, da sempre, caratterizza il lavoro dell’Assistente Sociale è legata ai tempi.Il C.D. sottolinea che l’operatore deve adoperarsi affi nché le sue prestazioni professionali si compiano nei termini di tempo adeguati a realizzare interventi qualifi cati ed effi caci (art. 47 C.D.), intrattenendo il rapporto professionale solo fi no a quando la situazione problematica lo richieda o la normativa glielo imponga (art. 18 C.D.)

Nell’affrontare l’ambito della tutela non si può non affrontare l’aspetto delicato e complesso della Tutela – Sicurezza dell’Assistente Sociale determinata:

� dalla chiarezza del mandato – chi fa che cosa (carico lavoro-condivisione)

� dalla chiarezza del contratto stipulato con le persone interessate

L’attenzione ai contratti e alle relazioni in campo, è protettivo per tutti (l’assistente sociale, l’utente e i suoi familiari) e rimanda all’etica e alla deontologia, che defi niscono nel contratto lo spazio relazionale possibile ed utile.Si possono esercitare funzioni di “tutela” verso gli altri se si è attenti alla propria tutela, compreso:

� la possibilità di muoversi con autonomia sulla base di una valutazione di opportunità e di un percorso professionale di intervento;

� e quindi come affrontare problemi che si muovono tra autonomia professionale e tutela del minore;

� chiarimento e defi nizione del ruolo del professionista e del ruolo dell’ente di appartenenza in ordine alla tutela/sicurezza.

Tali tematiche incrociano in modo trasversale alcuni ambiti particolarmente signifi cativi e cruciali sul piano professionale quale:

� Tutela della privacy (di chi e rispetto a chi);

� “buon uso” degli strumenti professionali (ad es.raccolta della documentazione-relazione e restituzione alla Magistratura).

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28 L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

� riappropriarsi di un concetto di tutela/benessere del minore e della sua famiglia è apparso a questo punto l’unica strada per non “soccombere” ad un dettato legislativo che tende a incasellare l’azione dell’assisten-te sociale in un ambito di osservatore dei fatti, qualifi cato ma pur sempre osservatore.

� l’azione professionale, che si traduce in progetti di intervento, si nutre di quella continua interazione con la persona che si sta seguendo, anche nei casi più complessi, che va ben al di là del semplice osservare per riportare i fatti”.

Rapporto con i servizi e con l’Ente

La fi tta rete in cui si trova ad operare l’Assistente Sociale risulta caratterizzata da diverse tipologie di relazioni professionali talvolta “formalizzate” e, in altri casi, basate su prassi operativamente concrete legate al rapporto costante tra servizi e tra questi e i clienti.Se da un lato ciò che emerge è che alcune “connessioni” tra servizi sono spesso legate alla presenza di un certo “rapporto” tra operatori, dall’altro la traduzione delle stesse in prassi operative “codifi cate” non sempre trova una concreta realizzazione. L’art. 42 del C.D. sottolinea che l’operatore deve adoperarsi affi nché, nel rapporto di lavoro con i colleghi e con le organizzazioni pubbliche o private, vengano rispettate le norme etico-deontologiche che ispirano la professione. È l’Assistente sociale che fornisce informazioni sulle specifi che competenze e sulla metodologia applicata per salvaguardare il proprio ed altrui ambito di competenza e di intervento.In tal senso l’AS deve chiedere il rispetto del suo profi lo e della sua autonomia professionale, la tutela anche giuridica nell’esercizio delle sue funzioni e la garanzia del rispetto del segreto professionale e del segreto di uffi cio (art. 44 C.D.).

In ultima analisi, l’art. 50 C.D. differenzia due livelli di responsabilità riguardanti il rapporto gerarchico funzionale tra colleghi: verso la professione e verso l’organizzazione, improntato al rispetto reciproco e delle specifi che funzioni. L’articolo specifi ca altresì che, nel caso in cui non esista un ordine funzionale gerarchico della professione, l’Assistente Sociale risponde ai responsabili dell’organizzazione di lavoro per gli aspetti amministrativi, salvaguardando la sua autonomia tecnica e di giudizio.

APP

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29APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

In questa sezione sono segnalate soltanto le leggi cui fanno riferimento gli operatori sociali nella loro attività, fermo restando che altre norme che sanciscono i diritti dei minori sono altrettanto signifi cative: ad esempio il diritto allo studio, le norme sull’inserimento al lavoro, quelle sul ricovero ospedaliero eccetera.

Legislazione internazionale

Convenzione ONU dei diritti del fanciullo, New York, 1989, ratifi cata dallo Stato Italiano con L. 176/91, che all’art. 3 precisa che “In tutte le decisioni riguardanti i bambini di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale e dei tribunali, delle autorita’ amministrative o degli organi legislativi , l’interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente”

Risoluzione A3-0172/92 conosciuta come “Carta europea dei diritti del fanciullo” 08/07/1992 che presenta in modo compiuto la condizione del bambino come essere vulnerabile che necessita di protezione e condizioni particolari per crescere tranquillo e diventare un adulto equilibrato.Determina che “ sul territorio della Comunità nessun fanciullo potrà essere oggetto di discriminazioni per motivi di nazionalità, fi liazione, orientamento sessuale, origine etnica, colore, sesso, lingua, origine sociale, religione, credenze, stato di salute o altre circostanze, né per nessuno di questi motivi imputabili ai suoi genitori”>Inoltre indica che “ogni decisione familiare, amministrativa o giudiziaria che si riferisca al fanciullo dovrà essere ispirata in modo prioritario alla difesa e alla salvaguardia dei suoi interessi; a questo fi ne, e sempre ché ciò non implichi alcun rischio o pregiudizio per il fanciullo, questi deve essere ascoltato fi n da quando la sua maturità e la sua età lo consentano; allo scopo di favorire la decisione da parte delle persone competenti, il fanciullo deve essere ascoltato specialmente in tutti quei procedimenti e decisioni che implichino la modifi ca dell’esercizio della patria potestà, la determinazione della tutela e dell’affi damento, la designazione del suo tutore legale, il suo affi damento in adozione o l’eventuale collocamento in un’istituzione familiare, educativa o di reinserimento sociale; a questo proposito il rappresentante dello Stato o il suo equivalente dovrà essere parte in causa in tutte le procedure con il compito principale di tutelare i diritti e gli interessi del fanciullo”.

Convenzione dell’Aja “Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale” 29/05/1993.Prevede che ‘le adozioni internazionali vengano poste in essere unicamente in funzione dell’interesse del minore, nel rispetto dei suoi diritti come riconosciuto dal diritto internazionalÈ; che ‘si realizzi tra gli stati contraenti, un sistema di cooperazione onde prevenire la vendita e la tratta dei minori’; che ‘si assicuri il riconoscimento, negli stati contraenti, delle adozioni realizzate in conformità ad essa’.

Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, siglata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 - ratifi cata con legge dello Stato Italiano con L. 77/03 – che all’art. 1 co. 2 defi nisce quale “ oggetto della presente convenzione è promuovere, nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionabili e facilitarne l’esercizio facendo in modo che possano, essi stessi o tramite altre persone od organi, essere informati e autorizzati a partecipare ai procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria”.I successivi articoli 3, 4 e 5 specifi cano la natura di tali diritti e la loro azionabilità nei procedimenti che riguardano i minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria.

Legislazione Nazionale

COSTITUZIONE

ART. 29 TUTELA DELLA FAMIGLIALa Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare

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30 APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

ART. 30 DOVERI E DIRITTI DEI GENITORIÈ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i fi gli, anche se nati fuori del matrimonio.Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.La legge assicura ai fi gli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. ART. 31 AGEVOLAZIONI A FAVORE FAMIGLIALa Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Modifi ca Titolo V della Costituzione art. 111 detto “del Giusto Processo”, che cosi’ recita “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parita’ davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”…..”Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”

CODICE CIVILE

ART. 147 DOVERI VERSO I FIGLIIl matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei fi gli

ART. 148 CONCORSO NEGLI ONERII coniugi devono adempiere l’obbligazione prevista nell’articolo precedente in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi suffi cienti, gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affi nché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei fi gli.In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.Il decreto notifi cato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifi ca.L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili.Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modifi cazione e la revoca del provvedimento.

ART. 235 DISCONOSCIMENTO PATERNITÀL’azione per il disconoscimento di paternità del fi glio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del

fi glio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il fi glio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità. (1)

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.L’azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal fi glio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.

(1) La Corte costituzionale con sentenza 6 maggio 1985, n. 134 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non dispone per il caso previsto al n. 3 che il termine dell’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie.

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31APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

ART. 250 RICONOSCIMENTO**(articolo modifi cato dalla legge 219 del 10/12/2012, in vigore dal 1/1/2013)

Il fi glio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamenteIl riconoscimento del fi glio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso.Il riconoscimento del fi glio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.Il consenso non può essere rifi utato se risponde all’interesse del fi glio. Il genitore che vuole riconoscere il fi glio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifi utato, ricorre al giudice competente, che fi ssa un termine per la notifi ca del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifi ca, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del fi glio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fi ne di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affi damento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262.Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del fi glio.

ART. 251 AUTORIZZAZIONE AL RICONOSCIMENTO**(articolo modifi cato dalla legge 219 del 10/12/2012, in vigore dal 1/1/2013)

Il fi glio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infi nito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affi nità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del fi glio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni.

ART. 253 INAMMISSIBILITA’ DEL RICONOSCIMENTO In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di fi glio legittimo o legittimato in cui la persona si trova.

ART. 261 DIRITTI E DOVERI DERIVANTI AL GENITORE DAL RICONOSCIMENTOIl riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei fi gli legittimi.

ART. 269 DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITÀ E MATERNITÀLa paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere fi glio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale.

ART. 279 RESPONSABILITÀ PER IL MANTENIMENTO E L’EDUCAZIONEIn ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il fi glio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Il fi glio naturale se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti.L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell’articolo 274.L’azione può essere promossa nell’interesse del fi glio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la potestà.

ART. 315 STATO GIURIDICO DELLA FILIAZIONE **(articolo modifi cato dalla legge 219 del 10/12/2012, in vigore dal 1/1/2013)Tutti i fi gli hanno lo stesso stato giuridico.

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32 APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

ART. 315 BIS DIRITTI E DOVERI DEL FIGLIO**(articolo introdotto dalla legge 219 del 10/12/2012, in vigore dal 1/1/2013)Il fi glio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.Il fi glio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti signifi cativi con i parenti.Il fi glio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.Il fi glio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia fi nché convive con essa.

ART. 316 ESERCIZIO DELLA POTESTA’ DEI GENITORIIl fi glio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o alla emancipazione.La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori.In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il fi glio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili.Il giudice, sentiti i genitori ed il fi glio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del fi glio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del fi glio.

ART. 317 IMPEDIMENTO DI UNO DEI GENITORINel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio della potestà, questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro.La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i fi gli vengono affi dati ad uno di essi. L’esercizio della potestà è regolato, in tali casi, secondo quanto disposto nell’articolo 155.

ART. 317 BIS ESERCIZIO DELLA POTESTÀAl genitore che ha riconosciuto il fi glio naturale spetta la potestà su di lui.Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell’articolo 316. Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore col quale il fi glio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interesse del fi glio, può disporre diversamente; può anche escludere dall’esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore. Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del fi glio minore.

ART. 318 ABBANDONO DELLA CASA DEL GENITOREIl fi glio non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la potestà né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare.

ART. 330 DECADENZA DALLA POTESTA’ SUI FIGLIIl giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del fi glio.In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del fi glio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. (1)

(1) Comma così modifi cato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.

ART. 333 CONDOTTA DEL PREGIUDIZIEVOLE AI FIGLIQuando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al fi glio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. (1)Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.

(1) Comma così modifi cato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.

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33APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

ART. 337 VIGILANZA DEL GIUDICE TUTELARE Il giudice tutelare deve vigilare sull’osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l’esercizio della potestà e per l’amministrazione dei beni.

ART. 343 APERTURA DELLA TUTELASe entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori (1), si apre la tutela presso il tribunale del circondario (2) dove è la sede principale degli affari e interessi del minore.Se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro circondario, (3) la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale.

(1) L’originaria espressione “patria potestà” è stata sostituita dall’art. 146 L. 24 novembre 1981, n. 689. In conseguenza, ogni riferimento in norme di legge alla” patria potestà” va corretto, anche per mancato adattamento delle disposizioni o sviste del legislatore.

(2) Le parole: “la pretura del mandamento” sono state sostituite dalle parole:“il tribunale del circondario” dal D. L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

(3) La parola: “mandamento” è stata sostituita dall’attuale: “circondario” dal D. L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

ART. 403 INTERVENTO DELLA PUBBLICA AUTORITA’ A FAVORE DEI MINORIQuando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere, all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo defi nitivo alla sua protezione.

DPR 448/88 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di minorenni”

Legge 285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”La legge dispone l’organizzazione di servizi rivolti ai bambini ed agli adolescenti qualifi candoli già nel titolo quali soggetti di diritti nel senso più ampio del termine: in relazione quindi alla crescita, al benessere e allo sviluppo armonico della personalità negli ambiti naturali di vita.

Legge 149 del 28.03.2001- Modifi che alla legge 4 maggio 1983, n. 184 « Disciplina dell’adozione e dell’affi damento dei minori»

Al Tit.1, art. 1 sancisce il diritto del minore a “crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” modifi ca della legge n. 184 del 4 maggio 1983. Ma soprattutto al Capo II - (Della dichiarazione di adottabilità) - art. 8 comma 4 afferma “.. Il procedimento di adottabilità deve svolgersi fi n dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2 dell’articolo 10…”.Prevede inoltre all’art. 9 l’obbligo di segnalazione per il pubblico uffi ciale o lì’esercente di pubblico servizio

Legge 54 del 8/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affi damento condiviso dei fi gli”In caso di separazione dei genitori, i fi gli saranno affi dati come regola ad entrambi i genitori e, soltanto come eccezione, ad uno di essi quando in tal senso spinga l’interesse del minore e l’affi damento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso.In tal senso viene capovolto il sistema attuale in materia di affi damento in base al quale i fi gli sono affi dati o all’uno o all’altro dei genitori secondo il prudente apprezzamento del presidente del tribunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi.

Le nuove norme attuano il principio della bigenitorialità; principio affermatosi da tempo negli ordinamenti europei e presente altresì nella Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991.

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34 APPENDICE NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Normativa sull’organizzazione dei servizi

Legge 328 del 8 novembre 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”L’art. 2 defi nisce il “diritto alle prestazioni” mentre l’art.16 riguarda la “valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari”, pur non facendo esplicito riferimento ai minori, defi nisce comunque le priorità di intervento delle politiche sociali a sostegno dei nuclei familiari.

Sullo sfondo di tali normative si muove la legislazione statale sul piano dell’organizzazione dei servizi in ambito sociale, e per quanto riguarda la Regione Lombardia l’emanazione di normative in materia socio-sanitaria, ci riferiamo a:

26 ottobre 2006 “Il Piano socio/sanitario 2007/2009, Regione Lombardia che ha qualifi cato la presa in carico dei minori e delle loro famiglie.

L.R. 3 del 12.03.2008 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e socio-sanitario”.

Riorganizza la rete dei servizi nel territorio lombardo. All’art. 4 defi nisce i compiti delle unità d’offerta sociali ed alla lettera d) specifi ca tra i compiti di cui si fa carico “la tutela dei minori, favorendone l’armoniosa crescita, la permanenza in famiglia e, ove non possibile, sostenere l’affi do e l’adozione, nonché prevenire fenomeni di emarginazione e devianza”

Tale normativa ha determinato cambiamenti, a volte anche profondi, nell’assetto del quadro istituzionale, nei rapporti fra i diversi enti e fra questi e l’ambito della giurisdizione, con un sempre più diffi cile equilibrio fra i soggetti che a diverso titolo e con un diverso ruolo sono presenti nelle vicende che riguardano alcuni minori e le loro famiglie.

BIBLIOGRAFIA

Galli, Tomé - La tutela del minore: dal diritto agli interventi. Verso una condivisione di esperienze e prassi tra magistratura ed enti locali – Franco Angeli, 2008

L.Volpini – Valutare le competenze genitoriali. Teorie e Tecniche. Carocci, 2011

Bertotti, De Ambrogio – la valutazione nelle indagini sociali – PSS 2/2003

Bertotti, Galli – la valutazione nelle indagini sociali: un caso – PSS 2/2003

L. Morini – tutela del minore, tutela della famiglia – PSS 18/2007

M. Gallina - Lavorare con la L.285/1997. L’intervento socio-educativo con le famiglie in diffi coltà - Carocci Faber - Roma , 2003

E. Enriquez - I fantasmi del cambiamento. Per un operatore autorifl essivo - Animazione sociale, 2006

Franca Manoukian in Rivista Spunti n° 13/2010 – edizioni APS http://www.studioaps.it/rivista-spunti.html)

Bertotti, in Ghezzi-Vadilonga, 1996 – la tutela del minore – Cortina – 1996

*Alcuni stralci del documento sono liberamente tratti da interventi e scritti predisposti per Convegni, Seminari, Percorsi Formativi da M.Carbone.

T. Bertotti - Bambini e famiglie in diffi coltà. Teorie e metodi di intervento per assistenti sociali. Carocci Faber, 2012

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35L’ASSISTENTE SOCIALE E LA TUTELA DELL’INFANZIA, DELL’ADOLESCENZA E DELLA FAMIGLIA

CONTRIBUTI

A conclusione di questo lavoro è sembrato utile inserire una pagina aperta a chiunque vorrà, o riterrà opportuno, contribuire con ulteriori arricchimenti su una tematica che riteniamo essere, per sua stessa natura, in continua evoluzione.Evoluzione che a partire da cambiamenti normativi, sociali, organizzativi e metodologici continuamente in atto, modifi ca ed amplia il senso stesso della tutela.Il contributo potrà essere inviato sotto forma di documento alla sede dell’Ordine Regionale e verrà vagliato da un gruppo di Assistenti Sociali.Il materiale che man mano verrà raccolto costituirà le basi per eventuali ed ulteriori gruppi di lavoro nell’ambito di tale tematica.Tutte le informazioni e/o le modalità individuate, saranno indicate alla pagina del sito appositamente adibita.

Un primo contributo, a nostro avviso signifi cativo, è quello che ci ha inviato l’Assistente Sociale Ariela Casartelli, Formatrice dell’IRS.

Il Servizio di tutela e gli assetti organizzativi

di Ariela Casartelli

L’esternalizzazione dei servizi tutela viene attuata con diversi assetti organizzativi che infl uenzano pesantemente l’operatività a volte al di là della consapevolezza degli operatori che ci lavorano. Alcuni servizi intervengono solo per minori con decreto dell’Autorità Giudiziaria, altri per tutti i minori che i Comuni afferenti al servizio ritengono in situazione di possibile rischio. Questi modelli pongono un forte problema rispetto alla collaborazio-ne, alle responsabilità e alle competenze dell’uno e dell’altro.Si corrono dei rischi. Da parte del servizio sociale del Comune c’è una tendenza a delegare in toto l’intervento per poi sentirsi escluso o considerato solo come erogatore di interventi che non condivide e alla cui progetta-zione non ha partecipato.Quando il servizio tutela, dopo aver svolto la sua valutazione, torna al Comune con un progetto da realizzare, che richiede impegni di spesa, si aprono nuove possibili confl ittualità “C’è un rimbalzarsi antipatico di respansa-bilità”.

I servizi tutela si sentono incompresi, ostacolati nell’operatività dai Comuni che pensano solo agli aspetti eco-nomici e non gli consentono di mettere in atto quegli interventi che servirebbero a risolvere la situazione.Si creano contrapposizioni, piuttosto che collaborazioni, destinate a fossilizzarsi in comportamenti stereotipati di reciproca diffi denza.Un altro momento critico è quello della segnalazione, le assistenti sociali dei Comuni vivono una condizione di solitudine nel momento della valutazione e nutrono delle aspettative verso Tutela di specializzazione,di competenza nella valutazione, di risoluzione dei problemi.Il servizio Tutela si difende perché si sente accusato, perché molte volte le richieste dei Comuni non vengono da loro condivise, il Comune vorrebbe che la Tutela prendesse in carico e desse risposte; la tutela non può, non riesce, non condivide e a volte aspetta il Decreto prima di intervenire lasciando dei tempi di vuoto in cui le situazioni sono destinate a peggiorare o a sfociare in urgenze.Responsabilità degli assistenti sociali che in questo momento operano sia in servizi di base che in servizi ester-nalizzati è quella di portare avanti e condividere un’attenta rifl essione sulle ricadute operative dei modelli or-ganizzativi dei servizi a partire dall’esame delle reciproche aspettative e competenze rispetto all’intervento di Tutela dei minori.A ciò si aggiunge la responsabilità di una cura specifi ca e meticolosa dei processi di collaborazione tra Comune e servizio esternalizzato.