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Università degli Studi dell'Aquila Facoltà di Lettere e Filosofia L'Asinaria di Plauto (vv. 1- 248). Saggio di commento di Gabriella Leonetti Relatore: Prof. Lucio Ceccarelli Correlatore : Prof.ssa Elena Merli A. A. 2008-09

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Università degli Studi dell'Aquila

Facoltà di Lettere e Filosofia

L'Asinaria di Plauto (vv. 1-248). Saggio di commento

di Gabriella Leonetti

Relatore:Prof. Lucio CeccarelliCorrelatore : Prof.ssa Elena Merli

A. A. 2008-09

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Introduzione

1. L’intreccio

Dopo un breve prologo di soli 15 versi, che non dà alcuna anticipazione sulla

trama1, entrano in scena Demeneto e il suo servo Libano: il dialogo tra il padrone e il

suo schiavo ha funzione di esposizione dell‟argumentum fabulae; dalle parole di

Demeneto si chiariscono infatti le premesse dell‟azione: il figlio di Demeneto,

Argirippo, è innamorato della meretrix Filenio e, avendo bisogno di venti mine per

ottenere la ragazza, ha chiesto aiuto al padre; questi è completamente sottomesso alla

tirannica moglie, Artemona, uxor dotata, che amministra autoritariamente il

patrimonio familiare, con l‟aiuto del potente sovrintendente Saurea. Demeneto,

deciso ad aiutare il figlio, incarica Libano e il suo compagno di schiavitù Leonida di

ordire un inganno ai danni della moglie e di utilizzare qualunque mezzo pur di

reperire le venti mine necessarie ad Argirippo. Presi gli accordi necessari, Demeneto

e Libano abbandonano la scena. Entra ora in scena un adulescens, che si dimostrerà

essere Diabolo, rivale di Argirippo2, il quale inveisce violentemente contro la lena

Cleareta e sua figlia Filenio, lamentandosi del fatto che, dopo aver dissipato tutti i

suoi averi, è stato cacciato fuori dalla loro casa; segue un dialogo tra l‟adulescens e

la lena, in cui Cleareta fissa il prezzo di venti mine per cedere esclusivamente al

giovane la meretrix per un anno e propone al ragazzo di fissare le sue condizioni

tramite un contratto (syngraphus). In apertura del secondo atto3, Libano torna dal

1 Il prologo dell‟Asinaria non è espositivo: mancano la narrazione dell‟antefatto e qualsiasi altra

informazione sull‟argumentum della commedia (cfr. v. 8: nam quod ad argumentum attinet, sane

breuest; vd. commento); tutte le notizie relative all‟intreccio sono contenute nella scena I, 1 (cioè nel

dialogo tra Demeneto e Libano), che ha pertanto funzione “protatica” (vd. G. E. Duckworth: 1952, pp.

211-212; C. Questa-R. Raffaelli: 1984, pp. 102-103; R. M. Danese: 1999, pp. 50-51). 2 Per la discussione sull‟identità del personaggio che parla in I, 2-3, vd. § 4.

3 La divisione in atti non è opera di Plauto, ma risale all‟età umanistica: essa compare nell‟edizione

curata da Giovanni Battista Pio datata al 1500, e poi nell‟edizione dell‟Angelio del 1514 (vd. E.

Paratore: 1957, p. 42); Questa (C. Questa: 1962, pp. 209-230) ha tuttavia accertato che la divisione in

atti delle commedie plautine è attestata già prima dell‟edizione di G. B. Pio in due manoscritti della

Biblioteca Vaticana: il Vat. Lat. 3304, scritto tra il 1449-1450 e il Vat. Lat. 2711, databile tra il 1465 e

il 1470. La divisione in atti dell‟Asinaria come di tutte le commedie plautine, proprio perchè ignota

all‟antichità e assente dalla maggioranza dei manoscritti, presenta delle discordanze: la maggior parte

degli editori segue la suddivisione di G. B. Pio, che però differisce sia da quella presente nel Vat. Lat.

2711, sia da quella proposta nell‟edizione di Havet-Freté (vd. F. Bertini: 1968, pp. 18-22).

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foro senza aver ancora trovato una soluzione per ottenere le venti mine; giunge poi

Leonida, il quale rivela al compagno l‟incontro fortuito che permetterà ai due schiavi

di macchinare l‟inganno: Leonida ha incontrato un mercante di Pella, venuto a

pagare venti mine a Saurea per l‟acquisto concluso in precedenza di alcuni asini

arcadici. Leonida racconta a Libano di aver fatto finta di essere Saurea per ricevere il

pagamento, ma il mercante ha dichiarato che, poiché conosce Demeneto ma non

Saurea, non pagherà finchè Demeneto non gli avrà garantito che la persona a cui darà

il denaro sia veramente Saurea. Dunque viene messo a punto l‟inganno: Leonida, che

continuerà a fingersi Saurea, uscendo di scena, va al foro per mettere al corrente

Demeneto degli sviluppi della vicenda, mentre Libano deve intrattenere il mercante,

nel frattempo giunto davanti alla casa di Demeneto. Di ritorno dal foro, entra in

scena Leonida-Saurea che, coadiuvato da Libano, cerca di convincere il mercante a

consegnargli il denaro, ma inutilmente.

Il terzo atto si apre con un dialogo tra Cleareta e Filenio in cui la meretrix si

dichiara innamorata di Argirippo e per questo viene rimproverata dalla madre. Segue

una scena in cui Libano e Leonida, parodiando i trionfi consolari, annunciano la

riuscita dell‟inganno: hanno ottenuto le venti mine. A questo punto i due schiavi,

vedendo uscire dalla casa di Cleareta Filenio e Argirippo, decidono di origliare le

parole dei due, che si stanno congedando. Dopo esser rimasti per un po‟ in disparte a

commentare parodicamente il patetico addio dei due amanti, i due schiavi entrano in

scena, decisi a prendere in giro il loro padrone (è la scena della ludificatio): essi

rivelano di avere le venti mine, ma le consegneranno ad Argirippo solo se

accondiscenderà alle loro buffe richieste: i due chiedono di abbracciare e baciare

Filenio, mentre Argirippo dovrà addirittura portare sul dorso Libano e pregare

Leonida, che si identifica comicamente con le divinità Fortuna e Salus. Conclusa la

ludificatio del padrone, i due schiavi rivelano ad Argirippo la condizione finale posta

da Demeneto: il giovane potrà ricevere le venti mine solo se permetterà al padre di

cenare e trascorrere una notte con Filenio. Argirippo acconsente senza protestare. Il

quarto atto consta di un dialogo tra Diabolo e il suo parasito, il quale dà lettura del

contratto che era stato richiesto da Cleareta; i due entrano in casa della lena e,

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avendo visto Demeneto e suo figlio insieme a Filenio, decidono di raccontare tutto ad

Artemona: il parasito si reca dalla donna, le narra il tradimento e l‟inganno di suo

marito Demeneto e la conduce a casa di Cleareta, dove Artemona assiste adirata al

banchetto cui stanno prendendo parte Demeneto, Argirippo e Filenio ed esce poi allo

scoperto insultando e minacciando il marito, che viene condotto a casa, mentre

Argirippo e Filenio sono finalmente liberi di godere del loro amore. Negli ultimi

versi, prende la parola il capo del grex, che si rivolge al pubblico chiedendo di

intercedere per la sorte di Demeneto con un applauso.

2. L’originale greco dell’Asinaria

Il nome del modello greco, del suo autore e il titolo della commedia latina sono

dichiarati ai vv. 10-12 del prologo: huic nomen Graece Onagost fabulae. /

Demophilus scripsit, Maccus uortit barbare; / Asinariam uolt esse, si per uos licet. Il

titolo dell‟originale greco dell‟Asinaria solleva però una difficoltà: accanto alla

lezione Onagost – in greco: ὀός, cioè “conducente di asini”4 – tradita dal codice

E e accettata da molti editori (Leo: 1895, Havet-Freté: 1925, Lindsay: 1910, Ernout:

1961, Bertini: 1968)5, i codici B e D tramandano la variante Onagrost, difesa da

Meister6 e Traina

7; la parola greca ὄς significa “asino selvatico”

8: Plauto

avrebbe sostituito l‟asino selvatico dell‟originale con due o più asini arcadici (cfr. v.

333). Ma Plauto non avrebbe avuto alcun motivo per operare tale sostituzione;

inoltre, nella trama attuale è difficile ipotizzare uno spazio per un asino selvatico. Un

altro problema posto dal titolo della commedia greca consiste nel fatto che la parola

ὀόςè un dorismo: la corrispondente forma attica sarebbe il non attestato

*ὀός (cfr. ἱός, ἡός); non è chiaro il motivo per cui un titolo dalla

forma dorica sia stato attribuito ad dramma attico, quale è l‟Ὀός: attico è infatti

l‟autore (ός, contro la forma dorica ός) e Atene è il luogo dove si

4 Vd. Liddell-Scott, p. 1230 s. v. ὀός.

5 Vd. anche ThLL IX-2. 628. 51-55 s. v. onagos; ThLL IX-2. 627. 72-82 s. v. onager.

6 1921, pp. 103 sgg.

7 1954, pp. 179-185.

8 Vd. Liddell-Scott, p. 1230 s. v. ὄς.

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svolge l‟azione (vd. vv. 492, 793). Fraenkel9 osserva che siamo di fronte ad

un‟aporia: da un lato non si dovrebbe accettare la lezione Onagros perché nella

commedia non si parla di un asino selvatico, ma di due o più asini addomesticati (vv.

339-342), dall‟altro però rimangono dubbi anche su Onagos, perché si tratterebbe

appunto di un dorismo inserito nel titolo di una commedia attica. Analogamente,

Della Corte10

esclude la lezione Onagros perché la presenza di un asino selvatico è

scarsamente conciliabile con l‟intreccio della commedia e accetta Onagos: per

giustificare la presenza di questo dorismo, ipotizza che Plauto abbia preso come

modello una commedia dorica, che poi avrebbe rielaborato in senso attico,

rendendola più simile alla Commedia Nuova per conformarsi ai gusti del suo

pubblico. In seguito lo stesso Della Corte11

addusse altri argomenti a favore della

lezione Onagos: sostiene infatti che Onagos, essendo un hapax nella letteratura

latina, sia lectio difficilior, mentre la parola onagros, essendo diventata parola latina,

usata da Varrone, Columella e attestata anche in Plinio, Virgilio e Marziale, sarebbe

indubbiamente lectio facilior; pertanto un copista ignorante del greco avrebbe potuto

probabilmente correggere Onagos, termine ormai incomprensibile, con il più diffuso

Onagros; inoltre, a dimostrazione del fatto che Onagros sia lectio facilior e che il

termine fosse ancora usato nel X sec. nell‟area in cui furono redatti i codici B e D

che recano tale lezione, Della Corte adduce anche il fatto che nella Legatio di

Liutprando da Cremona, autore italiano vissuto in Germania in quell‟epoca alla corte

di Ottone I, si parli di onagri (Si uos periuolia, idest briolia, uel si in periuoliis

onagros uel cetera animalia haberetis12

).

Da ciò si evince che la lezione Onagrost è certamente spiegabile come

banalizzazione di una parola rara quale era Onagos; pertanto è evidente che tra le due

varianti Onagost è senza dubbio preferibile: è vero che nell‟Asinaria non si parla di

un conducente di asini, ma semplicemente di un mercante venuto da Pella per

concludere l‟acquisto di vecchi asini, anche se poi la vendita non viene

9 1922, p. 120.

10 1951, p. 302.

11 1961, pp. 38-39.

12 XXXVII, p. 194, 22 Becker³, vd. F. Della Corte: 1961, p. 39.

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effettivamente messa in scena nella commedia; tuttavia, mentre si può pensare che

Plauto abbia eliminato la parte del modello in cui si rappresentava l‟acquisto degli

asini e in cui, presumibilmente, poteva trovar posto anche un conducente di asini13

o

che la scena della vendita degli asini fosse assente anche nell‟originale nonostante il

titolo Ὀός14, riesce difficile immaginare la presenza di un asino selvatico nel

modello greco, se non altro perché nella commedia plautina si parla di asini

addomesticati e non selvatici.

Stabilito che il testo corretto è probabilmente Onagost, rimane però la questione

della forma dorica del titolo. Havet e Freté15

tentano di spiegare la forma Onagost

come arcadismo, dato che nell‟Asinaria si parla della vendita di asini arcadici: questa

ipotesi non risolve comunque il problema, perché un titolo arcadico per una

commedia attica risulta altrettanto inspiegabile che un titolo dorico. La tesi di Della

Corte, secondo cui Plauto avrebbe preso a modello una commedia dorica

rielaborandola in senso attico, è passibile di un‟obiezione: le commedie con titolo

dorico provenivano dall‟ambiente siciliano e da quanto ne sappiamo Plauto non

prese mai originali siciliani come modelli16

. Vogt-Spira17

, riguardo alla parola

ὀός, osserva che accanto al suffisso attico -ός, sono diffuse in attico anche

alcune parole di origine dorica in cui il legame con il verbo ἄ è espresso tramite

il suffisso -ός: si tratta di termini militari, come ός o di termini usati dai

tragici, come όςquesta alternanza tra i due suffissi attico e dorico si

spiegherebbe, in base a quanto afferma Björck18

, con il fatto che il suffisso attico -

όςcristallizzatosi nell‟attico classico e avendo gradualmente perso il suo legame

etimologico con ἄ, sarebbe stato difficilmente impiegato in parole di nuovo conio,

lasciando così spazio alla possibilità di penetrazione in attico di parole di origine

extra-attica, come quelle con suffisso dorico -ός. Vogt-Spira conclude pertanto la

13

Cfr. L. Havet-A. Freté: 1925, pp. xxxii-xxxiii; E. Fraenkel: 1922, pp. 120-121. 14

Cfr. § 3.6. 15

1925, pp. xxxi- xxxii. 16

E. Stärk: 1989, p. 135 nota a tal proposito che è troppo comodo relegare le commedie plautine,

quando queste presentano enigmi irrisolvibili riguardo al rapporto con gli originali, nell‟ambito

totalmente sconosciuto della commedia siciliana (lo stesso discorso vale per la Commedia di Mezzo e

la έpost-menandrea). 17

1991, pp. 28-29. 18

1950, pp. 291-294 (vd. G. Vogt-Spira: 1991, p. 29).

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sua indagine linguistica sul titolo del modello greco dell‟Asinaria, affermando che la

possibilità che in attico sia stata diffusa la parola dal suffisso dorico ὀόςnon è da

escludere e che forse questa forma fosse perfino più probabile di *ὀός. Ora, a

parte la discutibilità di quest‟ultima affermazione, le considerazioni linguistiche dello

studioso tedesco indicano una possibile soluzione al problema del titolo dorico

dell‟originale dell‟Asinaria: se la lingua attica contemplava parole terminanti con il

suffisso dorico -όςnon c‟è motivo di ritenere sospetto il dorismo ὀός; ciò

rende dunque possibile e non problematica l‟esistenza di una commedia attica del

poeta Demofilo, chiamata, con titolo di origine dorica, Ὀός.

Per quanto riguarda Demophilus, si tratta di un commediografo il cui nome è

attestato solo nel prologo dell‟Asinaria (v. 11) e presumibilmente appartenente alla

Commedia Nuova, anche se il periodo esatto entro cui collocare la sua produzione è

sconosciuto19

. Il nome del poeta potrebbe forse essere attestato in un‟iscrizione del

Pireo20

, di cui restano scarse tracce: , ma tale ricostruzione è altamente

ipotetica. Tuttavia, dato che nell‟iscrizione questo nome è collocato insieme ad autori

della Commedia Nuova come Timocle, Menandro, Filemone, Apollodoro, Difilo, già

in passato si era pensato che anche l‟opera di Demofilo fosse ascrivibile alla έ;

soltanto Meineke22

rimase in dubbio se Demophilus dovesse essere annoverato tra i

poeti della commedia antica o della commedia di mezzo; ora, tutti i modelli di Plauto

identificabili appartengono alla έ: non vengono mai adoperati esemplari della

commedia antica e le poche proposte di riconoscere originali appartenenti alla

έsono state abbandonate23

. Dunque è chiaro, indipendentemente dall‟iscrizione

del Pireo appena ricordata, che Demofilo appartiene, con molta probabilità, se non

19

Vd. G. Kaibel, RE V, 1, col. 146 s. v. Demophilus. 20

Vd. U. Koehler: 1877-1888, vol. II, 997g. (vd. F. Bertini: 1968, p. 11). 21

Vd. J. L. Ussing: 1972, vol. I, p. 352. 22

1839, vol. I, p. 491 (vd. F. Bertini: 1968, p. 11). 23

L‟ipotesi avanzata da Wilamowitz: 1893, pp. 260-274 secondo cui l‟originale del Persa

apparterrebbe alla έ, già messa in dubbio da Sonnenburg RE, XIV, 1. 109. 59-68 s. v. Maccius, G.

E. Duckworth: 1952, pp. 24, 53-54 e G. L. Müller: 1957, pp. 91-92, è stata definitivamente confutata

da E. Woytek: 1982, pp. 12-17, 65-79: poichè il contenuto e la struttura del Persa non forniscono

alcun indizio per datare il modello greco ad un periodo antecedente la έ, l‟originale deve essere

ascritto alla Commedia Nuova. Altre proposte di originali appartenenti alla Commedia di Mezzo

riguardano il Poenulus, se il modello greco viene attribuito ad Alessi e non a Menandro (anche se una

parte della produzione di Alessi può rientrare nella έ) e l‟Amphitruo (vd. D. M. Christensen: 2000,

pp. 46-55).

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con assoluta certezza, alla Commedia Nuova. Ma proprio per l‟incertezza che grava

intorno alla figura del commediografo, in passato sono stati proposti vari

emendamenti del testo: il tentativo di Ritschl24

, che corresse Demophilus in eam

Diphilus, è stato poi abbandonato dallo stesso studioso25

. Della Corte26

ritenne che

Demophilus fosse corruzione di Deinolochus, poeta dorico operante in ambiente

siciliano, contemporaneo di Epicarmo; risulta evidente che il passaggio da un

originario Deinolochus alla lezione Demophilus è paleograficamente difficile: lo

stesso Della Corte27

ritrattò in seguito questa ipotesi. La via migliore da seguire è

probabilmente quella di mantenere il testo tradito dai codici e arrendersi al fatto che

di Demofilo, a parte questa testimonianza plautina che lo dice autore dell‟Onagos,

non si può sapere nulla di più.

È ora opportuno accennare, riguardo al rapporto tra le commedie plautine e gli

originali greci su un piano generale, alla scuola di Lefèvre che negli ultimi decenni

ha impresso un nuovo orientamento agli studi sull‟originalità plautina, cercando di

svincolare Plauto dalla diretta dipendenza dai modelli greci e rivendicandone, in

antitesi alle opinioni espresse a riguardo da Leo e Fraenkel, la piena autonomia

drammatica: si ricordino ad esempio le analisi di varie commedie plautine condotte

dallo stesso Lefèvre28

o lo studio del suo allievo Stärk29

riguardo ai Menaechmi, in

cui si cerca di dimostrare, attraverso una puntuale disamina dell‟azione e dei

personaggi, che la commedia sia stata costruita interamente da Plauto, il quale non

avrebbe preso spunto, per i temi e la tecnica drammatica, né dalla Commedia Nuova

né dalla έ, ma da forme farsesche e preletterarie del teatro italico, come la fabula

Atellana. All‟interno della scuola di Lefèvre, si colloca anche Vogt-Spira30

, che in

24

1845, p. 271, n. 2. 25

F. Ritschl: 1868, p. 683, n. 3. 26

1951, pp. 303-305. 27

1967, p. 141, n. 32. 28

Per la Casina ,vd. E. Lefèvre: 1979, pp. 311-339; per il Trinummus, vd. E. Lefèvre: 1995; per lo

Pseudolus, vd. E. Lefèvre: 1997; per i Captivi, vd. L. Benz-E. Lefèvre: 1998; per l‟Aulularia, vd. E.

Lefèvre: 2001; per la Rudens, vd. E. Lefèvre: 2006 (per quanto riguarda l‟originalità di Plauto in

generale, vd. E. Lefèvre: 1991). 29

1989, pp. 13-26, 134-146. 30

1991, pp. 11-69.

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uno studio sull‟Asinaria ha formulato l‟ipotesi secondo la quale Plauto avrebbe

scritto la commedia non basandosi su un preciso modello attico, ma coniugando

spunti provenienti dalla έ con elementi tratti dal teatro farsesco e

d‟improvvisazione. La tesi della mancanza di un originale greco dell‟Asinaria è

argomentata da Vogt-Spira, oltre che dalla totale mancanza di notizie relative

all‟Onagos e al suo autore, soprattutto sulla base della situazione giuridica presentata

nella commedia plautina: il totale controllo della situazione economica familiare da

parte di Artemona e la conseguente dipendenza di Demeneto dalla moglie (cfr. v. 87:

argentum accepi, dote imperium uendidi) sarebbero condizioni impensabili nel

diritto attico, dove l‟istituto giuridico della ίprevedeva che la donna fosse

posta per tutta la vita sotto la tutela di un ύςche dopo il matrimono era

rappresentato dal marito), unico responsabile del mantenimento economico della

donna; il marito, in qualità di unico detentore del potere decisionale riguardo alla

gestione del patrimonio familiare, disponeva pertanto anche della dote della donna31

.

Altra incongruenza rintracciata da Vogt-Spira rispetto alle norme del diritto attico è

la presenza di Saurea come seruus dotalis (cfr. vv. 85-86: dotalem seruom Sauream

‹huc› uxor tua / adduxit, quoi plus in manu sit quam tibi): dato che il marito, in

quanto ύς,era l‟unico responsabile della dote della moglie, la figura di uno

schiavo preposto all‟amministrazione della dote non trova posto nella giurisdizione

attica; dal fatto che uno schiavo dotale non sia mai attestato nella letteratura attica32

,

si evince che ad Atene non esistesse una simile istituzione. D‟altra parte, non si può

neppure presupporre che il seruus dotalis sia un‟aggiunta plautina rispetto al

modello: Saurea, sebbene non compaia mai in scena, si configura come personaggio

indispensabile per l‟intreccio della commedia (il fatto che Leonida finga di essere

Saurea consente ai due schiavi di realizzare l‟inganno e dà luogo alle divertenti scene

II, 2, 3, 4).

In realtà, alla tesi di Vogt-Spira si può obiettare che dubitare dell‟attendibilità

giuridica di Artemona come amministratrice della propria dote e della conseguente

31

Cfr. R. Hunter: 1985, pp. 90-91. 32

Vd. E. Schuhmann: 1977, p. 49, n. 17.

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totale dipendenza economica di Demeneto dalla moglie, significa mettere in

discussione la figura della uxor dotata33

, personaggio topico presente in varie

commedie plautine (Cleostrata nella Casina, la moglie di Memecmo I nei

Menaechmi, Dorippa nel Mercator)34

. Quanto alla figura del servo dotale,

l‟argomento addotto da Stockert35

e Brown36

per confutare la tesi di Vogt-Spira, in

base al quale nell‟Ὀός Saurea poteva essere non uno schiavo, ma un liberto non

risolve il problema, perché la figura di uno schiavo affrancato che amministra la dote

della padrona non è comunque attestata nella letteratura attica. Piuttosto, in proposito

si può affermare che la totale estraneità del seruus dotalis al mondo greco non è

certa: Fredershausen37

ad esempio, nel porre una distinzione tra il seruus recepticius

e il dotalis, considera quest‟ultimo estraneo al costume romano e di derivazione

greca38

. Inoltre, tenendo conto del fatto che la nostra conoscenza della Commedia

Nuova e della letteratura greca in generale è molto limitata rispetto a quanto fu

effettivamente prodotto nell‟antichità, la possibilità che nel diritto attico la figura del

seruus dotalis sia esistita – e che presumibilmente sia stata menzionata in qualche

opera perduta – non è da escludere del tutto. Pertanto, le argomentazioni di Vogt-

Spira non sono sufficienti per dubitare dell‟affermazione contenuta ai vv. 10-11 del

prologo: nella composizione dell‟Asinaria, Plauto dovette realmente basarsi, seppur

apportandovi contributi di personale originalità, sull‟Ὀός di un non altrimenti

noto Demofilo.

33

Vd. R. Hunter: 1985, pp. 91-92. 34

Vd. E. Schuhmann: 1977, pp. 48-49. 35

1994, pp. 45-48 (vd. J. C. B. Lowe: 1999, p. 13). 36

1995, p. 680 (vd. J. C. B. Lowe: 1999, p. 13). 37

1912: pp. 231-232. 38

Vd. R. Perna: 1955, pp. 246-247, n. 2; cfr. nota al v. 85.

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3. La struttura dell’Asinaria e il rapporto con il modello greco

3.1 Le incongruenze nella trama dell’Asinaria

L‟Asinaria presenta varie incoerenze: la chiusura della scena I, 1, in cui Demeneto

chiede a Libano dove sia diretto dopo che lo schiavo ha già espressamente affermato

che si recherà al foro (vv. 108-110); l‟apparizione improvvisa di Diabolo in I, 2-3; la

supposta duplicità di carattere di alcuni personaggi (Cleareta, Filenio, Demeneto); la

mancanza della scena dell‟inganno, cioè la vendita degli asini, su cui si basa lo

scioglimento dell‟intreccio; il fatto che in III, 3 Argirippo sappia che il suo rivale

debba pagare le venti mine in quello stesso giorno (v. 634); l‟annuncio inaspettato

della richiesta da parte di Demeneto di cenare e trascorrere una notte con Filenio

come ricompensa per l‟aiuto offerto al figlio (v. 736). Tali incongruenze hanno

attirato l‟attenzione della critica e sono state interpretate in vario modo: una delle

spiegazioni addotte dagli studiosi per giustificare le incoerenze nell‟intreccio della

commedia è l‟ipotesi che l‟Asinaria sia frutto di contaminatio. Prima di esaminare in

dettaglio il problema della contaminazione nell‟Asinaria, è opportuno ripercorrere

brevemente la storia degli studi riguardo al concetto di contaminatio.

3.2. Il significato del termine contaminatio

Il verbo contaminare è attestato in due prologhi terenziani: Andria (v. 16) e

Heautontimorumenos (v. 17); si tratta della replica del poeta all‟accusa di

contaminare i modelli greci rivoltagli dai suoi rivali, in particolar modo dall‟anziano

poeta Luscio Lanuvino. In questi due passi il verbo contaminare può essere

interpretato in tre modi: “rovinare, guastare”, “combinare, mescolare”, “guastare

mescolando”; il primo significato conferisce al verbo una generica accezione

negativa; il secondo contiene un‟accezione neutrale; il terzo si riferisce alla pratica

che sarebbe stata adottata dai commediografi latini di fondere in maniera maldestra

più modelli greci, sconciandoli. Quest‟ultimo significato, attestato in riferimento ai

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due passi terenziani anche nella voce del Thesaurus curata da Goetz39

che spiega

contaminare come miscendo deprauare e sostenuto da Leo40

, Jachmann41

e

Fraenkel42

, in passato era quello generalmente accettato dalla critica plautina e

terenziana43

.

I primi dubbi sulla validità di questa spiegazione di contaminatio furono sollevati

da Schwering44

, secondo il quale contaminare, a partire dal significato neutro

originario di “combinare”, avesse successivamente assunto il senso di “beflecken”:

“macchiare, sporcare” e in tale accezione negativa il verbo dovesse essere inteso nei

due prologhi terenziani; come prova del fatto che contaminare significhi polluere,

maculare, Schwering adduce due espressioni in cui il verbo assume il medesimo

significato: manus suas scelere aliquo contaminare e manus/ enses sanguine

contaminare45

. La tesi di Schwering fu poi ripresa da Beare46

il quale dimostrò

correttamente che contaminare, nei prologhi terenziani come altrove, significava

semplicemente “rovinare, deturpare”47

. Beare riteneva che l‟accusa rivolta a

Terenzio dai suoi rivali fosse quella di aver guastato i propri modelli a causa delle

alterazioni e delle libertà che il poeta si era concesso rispetto all‟originale48

; il poeta

nel prologo dell‟Andria replica affermando che la presunta alterazione da lui

compiuta consiste semplicemente nell‟aver inserito nell‟Andria di Menandro una

scena tratta dalla Perinthia, commedia affine alla prima dal punto di vista

dell‟intreccio. A ben vedere, Terenzio non risponde esattamente all‟accusa di aver

“rovinato” gli originali greci, ma, con abilità dialettica, sposta i termini della

questione, facendo passare il verbo contaminare dal significato generale di

39

Vd. ThLL IV. 629. 10-17 s. v. contamino. 40

1912, pp. 99, 167-168; 1913, p. 246. 41

1931, pp. 144-147. 42

1922, pp. 243-244, 382; 1922 [1960], pp. 431-432. 43

Vd. p. e. A. Körte: 1916, pp. 979-981; H. Tredennick: 1952, p. 28 e E. Paratore: 1957, pp. 73-74;

1962, pp. 74-78; H. Haffter: 1966, pp. 56-57, 130-132. 44

1916, pp. 167-185. 45

Vd. W. Schwering: 1916, p. 168. 46

1937, pp. 106-109; 1940, pp. 28-42; 1959, pp. 7-11; 1963, pp. 110-123. 47

Cfr. P. Ferrarino: 1947, pp. 92-93. 48

Cfr. P. Ferrarino: 1947, pp. 93-94: l‟accusa mossa a Terenzio dai suoi detrattori è quella di

“guastare, sconciare” i modelli greci; il verbo contaminare indica il biasimo e la riprovazione dei

rivali del poeta nei confronti del modo terenziano di trasporre gli originali greci liberamente, senza

rispettarne l‟inviolabile integrità unitaria.

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“guastare”, a quello specifico di “combinare più modelli o parti di essi”. Questo

astuto stratagemma, se da un lato permette a Terenzio di costruire una solida difesa

(l‟argomentazione utilizzata dal poeta è: dato che le trame delle due commedie

menandree sono molto simili, il far uso di una scena della Perinthia non può in alcun

modo guastare l‟Andria49

), dall‟altro però ha ingenerato negli studiosi, antichi e

moderni, la falsa convinzione che il verbo contaminare avesse, per Terenzio e i suoi

detrattori, il significato tecnico di “combinazione di diversi originali greci”. La

testimonianza più antica che ci sia arrivata di questa spiegazione risale alla tarda

antichità: la dobbiamo a Donato, che commentando il v. 16 dell‟Andria affermava:

contaminari non decere: id est: ex multis unam non decere facere: l‟errore

interpretativo degli studiosi moderni, come già notava Schwering50

, deriverebbe

anche da un‟eccessiva importanza attribuita all‟affermazione di Donato. Sempre nel

prologo dell‟Andria, Terenzio aggiunge che l‟accusa dei suoi detrattori dimostra la

loro ignoranza: tacciare il poeta di contaminare gli originali greci, significa colpire

con la stessa accusa anche Nevio, Plauto ed Ennio; Terenzio preferisce imitare la

neglegentia dei suoi predecessori piuttosto che l‟obscura diligentia dei suoi rivali.

Da questa asserzione la critica, sulla base dell‟interpretazione del verbo contaminare

come miscendo deprauare, aveva dedotto che anche Nevio, Plauto ed Ennio

nell‟intreccio delle loro commedie avessero fuso diversi originali greci; Beare

dimostrò che ancora una volta si trattava di un fraintendimento delle parole di

Terenzio: l‟accusa a lui rivolta non poteva essere realmente quella di intrecciare

diversi modelli, poichè il poeta non avrebbe potuto certo sperare di difendersi

ammettendola; inoltre, sottolinea Beare, una cosa è la specifica pratica di fondere più

originali, altra cosa è la neglegentia (“incuria”) di cui parla Terenzio a proposito dei

suoi predecessori: essa indica genericamente la libertà e la creatività con cui i poeti

precedenti avevano trasposto gli originali greci in antitesi all‟obscura diligentia

praticata dai suoi oppositori, cioè la pedissequa e ottusa fedeltà ai modelli.

49

Vd. G. Chiarini: 1986, pp. XVI-XVII. 50

1916, pp. 167-185.