Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

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LE VENTI COMMEDIE DI MARCO ACCIO PLAUTO p#$z<zt<izza/e DA PIERLUIGI DONINI co/ fato a VOIi. IV. CREMOSA MDCCCXLVI. COI tipi dell erede di a ni hi . Presso Cesare dlaffci librajo.

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Vol. 4/5 ripulito e con OCR. Contiene: PERSA, STICHUS, TRINUMUS e PSEUDOLUS.

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LE

VENTI COMMEDIEDI

MARCO ACCIO PLAUTO

p#$z<zt<izza/e

DA

P I E R L U I G I D O N I N I

c o / fa to a

VOIi. IV.

CREMOSA MDCCCXLVI.C OI t i p i d e l l ’ e r e d e di a n i h i .

Presso Cesare d laffc i librajo.

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L a presènte Edizione è posta tolto la pro­

tezione delle veglianti Leggi e convenzioni dei

Governi d‘ Italia, che concorrono ad assicurare

le proprietà letterarie.

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P E R S A

IL PERSIANO

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PIETRO GIORDANI

^cceééa- verdum e c/e/ £èeréieint>

jicec& nc/óféim ct cam m ec/cei £$ /zw àV itz

PIERLUIGI D01NINI

tn ù fo /z t/o n a yaccop ian e/a .

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PERSONE DELLA FAVOLA

T o x n v sS a g j r i s t i o

S j t u b i o

JSOPHOCLIDISCA

L e u x i s e l e k e .

P a e g n i v m

V i r g o

D q r q a i v s

Tossilo

Sagaristioke

Saturiohe

SOFOCLIDISCA

Lemjuseleke

Pegnio

F anciulla

Dordalo

jLa Scena è in Alene.

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ACTUS I.SC E N A I.

T o x n v s , S ag jristio .

Tox.Qui amatis egens ingressus esi princeps amoris invias,

Superavit aerumnis suis aerumnas Herculaneasj . N am cum leone et cum excetra, cum cervo, cum

apro Aetolico,Cum avibus Stymphalicis, cum Antaeo, deluctari m a-

velim,Quam cum amore. Ita fleo miser quaerendo argento

m utuojNec quidquam nisi « Non est » scitint m ih i respon­

dere, quos rogo. S j g . Qui hero suo servire volt bene servos servitutemj

Nae illum edepol mulla in pectore suo conlocareoportet,

Quae hero placere censeat praesenti atque absentisuo.

Ego nec lubenter servio, nec salis sum hero ex sen­tentiaj

Sed quasi lippo oculo meus me herus m anum ab­stinere haud quit tamen,

Quin m i imperet, quin me suis negotiis praefulciat. Tox.Quis illic est, qui contra me adstal?S jg . Quis illic est, qui contra me adstal?Tox. Similis est Sagaristionis.

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ATTO 1.

Tos.

Sag.

Tos.Sag.Tos.

.SCENA I.

T o s s il o ,. S a c a k is t io n e .

Quello spiantato il quale entro pel primo nello vie dell' amore, affé che nelle sue disgrazie è entrato

molto innanzi alle fatiche di Ercole; imperciocchéio mi torrei piuttosto da combattere col Jione, coll’ idra, col cervo, col verro d’ Etolia, cogli uc­celli di Stimfali, con Anteo, che coll’ amore. Oh tapino alla vita mia! io piango nel cercar questo danaro a prestito, ma quanti ne frusto, altro non mi sanno rispondere che un » Non ne ho. »Quel servo il quale vuol servir bene al suo pa­drone, in le mia pur le gran cose e’ dee porsi in cuore, le quali creda abbiano a piacere a quello, sia egli assente o non sia: nia io non servo nè volen­tièri, nè son tanto ben veduto dal padrone; ep­pure egli, come gli fossi un occhio pieno di cacca, non sa da me tener lontane le mani, egli ha sem­pre qualche ordine, egli ha sempre qualche fac­cenda cui mettermi alla testa.E chi è che mi sta contro?E chi è che mi sta contro?E’ simiglia a Sagaristione-

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i2£ Ja- Toxilus hic <juidcm incus am icusl.T o x . I s pròfec lo est.

S AG- Esse cum opinor.T°x - Congrediar.S JG- Conira adgrediar.T ox .O Sagarislio, di ament le.S JG' - O Toxile, di dabunt, quae exoptes.

Ut vales?Tox. Ut qiteo.S jg. Quid agitur?Tox. Viviltir.SjG .Salisne ergo ex senlenlia?Tox. S i eveniunt, quae exopto, salii.S jc .N im is stulle amicis ulere.Tox. Quid jam ?S jg . Imperare oportet.Tox.Mihi quidem tu ja m eras mortuos, quia non te vi­

sitavi.S jg. Ncgotiiim edepol . . .Tox. Ferreum fori asse?S jg. Plusculum annum

Fui praeferratus apud molas tribunus vapularis. ( \ ) Tox'. Veius jam islaec militia est tua.S jg. Satin’ tu usque valuisti?Tox. H aud probe.S jg .E rgo edepol palles.Tox. Saucius factus sum in Veneris proelio;

Cupido sagitla cor meum transfixit.S jg. Jam servi hic amant?Tox. Quid ergo faciam? disne advorser, quasi Titani?

Cum dis belligerem, quibus sal esse non queam?

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Sag. Egli è il mia sozio Tossilo.Tos. È lui certamente.Sag. Ha da esser lui senza fallo.Tos. L’ affronterò.Sag. Gli andrò incontro.Tos. 0 Sagaristione, Dio t’ ajyti!Sag. 0 Tossilo, Dio ti colmi d’ ogni bene. Come stai? Tos. Come posso.Sag. Che si fa?Tos. Si vive.Sag. Proprio come vorresti? bene?Tos. Se m’ avvengono le cose che voglio, bene.Sag. Tu non sai far conto degli amici.Tos. E che t’ intendi?Sag. Si ha da comandare.Tos. A me tu eri morto da un pezzo, perchè non t'ho-

veduto.Sag. Aveva una certa faccenda . . .Tos. Di ferro forse?Sag. Fui ferrato più d’ un anno presso le macine, tri­

buno di mazzieri.Tos. È da buon tempo che se’ a questo soldo.Sag. Se’ tu sempre stato sano?Tos. Non troppo.Sag. Ecco perchè se’ pallido.Tos. Fui ferito nella battaglia di Venere, Cupidine m 'ha

sparato il cuore d’ una stoccata.Sag. Anche i servi qui fanno all’ amore?Tos. E che vuoi? Ho io da far contra agli iddìi come i

. lltani? Ho da combattere contra gTi iddìi, co’ quali non posso farmela valere?

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S ac. Vide modoj ulmeae catapultae tuoni ne transfigantlatus.

Tox. Basilice ago eleutheria.S jg. Quid jam ?Tox. Quia herus peregri est.S jg. J in ’ tu? peregri est?Tox. Tute si libi bene esse pati poles, veni. Vives mecum.

Basilico accipere victu.S ag. Vah, jam scapulae pruriunt,

Quia te istaec audivi loqui.Tox. Sed hoc med unum excruciat . . .S jg.Quidnam id est?Tox. Haec dies stimma hodie est, liberati mea

siet amica, anSempiternam servitutem serviat.

S jg. Quid nunc vis ergo?Tox.Tuom libi me facere potis es sempiternum.S jg. Quemadmodum?Tox. Ut mihi des numos sexcentos, quos pro capite illius

pendam,Quos continuo tibi reponam hoc triduo aut quatri­

duo.'JgCj fi benignus! subveni!

S j g . Qua tu confidentia rogare a med argentum tantum JudeSj inpudens? Quin si egomet lotus veneant3 vix

recipiPolis est, quod Iu me rogas: nam tu aquam a pu­

mice postulas nunc,Qui ipsus sitiat.

Tox. Siene hoc tc milii facere?S jg. Quid faciam?

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ISSag. itfa guarda bene che catapulte d’olmo non ti squar­

cino i fianchi.

Tos. To me la passo in carnevale.

Sag. E che vuoi dirmi?

Tos. Che il padrone è vìa.

Sag. Che di' tu mai? è via?

Tos. Tu se puoi addattarti a uscir di stecco, vieni; vi­

vrai meco, farai fianchi da re.

Sag. Vah! ti prudono le spalle, dappoiché ne sento di

queste.

Tos. Ma ciò solo mi tormenta . . .

Sag. Che hai?

Tos. Oggi è T ultimo dì, che la mia amica o la sarà

libera, o serva a vita.

Sag. E che vuoi con questo?

Tos. È in tua mano il far me cosa tua in eterno.

Sag. E il modo?

Tos. Dandomi seicento denari da snocciolare per la te­

sta di colei, io te li darò tosto da qui a tre o

quattro dì: su via, siami cortese! soccorrimi!

Sag. Con che temerità domandi a me tanta moneta, o

sciocco? Che se anche mi vendessi tutta, appena

si potrebbe rastrellare quanto mi cerchi: tu ora cer­

chi acqua da un sasso che è anch’esso arsiccio.

Tos. Così tu fai con me?

Sag. Che ho da fare?

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Tox. Regas*Alicunde exora mutuom.

S ag. Tu fac idem, quod rogas me.Tox. Quaesivij nusquam reperi.S jg. Quaeramj equidem si quis credat.Tox. Nempe habeo in mundo?S jc . S i id domi esset m ihi, ja m pollicerer.

Hoc meum est, h/ faciam sedulo.Tox. Quidquid eritj recipe te ad me.

Quaero tamen égo item svdulo.S ag. S i quid erit, jam scies. "Tox. Obsecro

Resecroque tc} operam da hanc mihi fidelemj S jg. A h, odio me enicas/Tox. Am oris vitio, non meOj nunc tibi morologus fio. S jg . A t pol ego abs te concessero.Tox. Jàtn abis? Bene ambulato.

Sed recipe quam prim um poles! cave mihi quaestioni Fuas! Usque ero d o m im a lu m dum excoxero le­

noni.

SCENA IL

S a t i sio.

Veterem alque antiquom quaestum quaesitum mato, Servo atque obtineo et- magna cum cura colò: N am nunquam qnisqttam meorum majorum fuit, Quin parasitando paverint ventres suosj Pater, ■ avos, proavos, abavos, atavost tritavos, Quasi mures, semper edere aliènum cibum,

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To*. Dimandi*? cercane altrove a prestilo.Sag. E che noi fai tu quello che vuoi da me?Tos. I / ho fatto: ma imbottai nebbia.Sag. Cercherò, se alcuno vorrà fidarsi.Tos. Ho niènte io al mondo?Sag. Se quattrini io avessi, te 1’ avria già impromesso:

questo te lo posso fare, cercarne fuori a tu tt’uonìo.Tos. Qualunque cosa avvenga, ripara in casa mia: au-

ch’ io metterò il capo in qualch’ altro luogo.Sag. Se ve ne sarà, lo saprai.Tos. Deh! io ti scongiuro; dammi proprio un ajuto da

buon compagnaccio.S a g. Oh se m' hai fradicio!Tos. Non son io, è 1’ amore che mi fa bergolo.Sag. Ma io batterommela a rotta.Tos. Cosi tosto te ne vai? buona andata! torna quanto

prima! bada di non farti cercare da me? Io mi starò sempre iu casa, finché non ho trovato il ba­sto da stringere al ruffiano

SCENA II.

S a t u r io n e.

Io duro nel mio antico mestiero che uii son cercato cosi sottilmente, e lo conservo, e me lo tengo caro assai* imperciocché non fu alcuno de’ miei vecchi che scroccando non si gonfiasse la capanna; il padre,il nonno, il bisavo, il bisarcavolo, e il terzarcavolo, come sorci rossicchiarono sempre 1’ altrui cibo, e

Voi.. IV. Pi.a u t.

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Neque edacitate eos quisquam poterat vincere Neque his cognomcn erat duris capitonibus.Unde hunc ego quaestum obtineo et majorum lo•

cumjNeque quadruplari me volo: neque enim decet Sine meo periclo ire aliena ereptum bonas Neque illi, qui faciunt, m ihi placent ( plane loquor) Nam publicae re causa quicumque id facit Mage, quam sui quaesii, animus induci potest,Eum esse civem et fidelem et bonum j Sed legirupa, qui damnet, duit in publicum Dimidium. Atque est etiam in ea lege adscribier; Ubi quadruplator. quempiam injexit m anum , Tantidem illi ille rursum injiciat manum:Uti aequa parti prodeant ad Trisviros.S i id fiat, nae isti faxim nusquam adpareant,Qui hic albo reted aliena oppugnant bona.Sed stimile ego stultus, qui rem curo publicam.Ubi sunt magistratus, quos curare oporteat?N unc huc introibo: visam hesternas reliquiae, Quierint recte, nec ne- num fuerit febris,Opertaen' fuerint, ne quis obreptaverit.Sed aperiuntur aedes: rcmorandust gradus,

SCENA III .

T o x u v s , S atu rio.

Tox. Omnem rem invenij ut sud sibi pecunia JIodie illam faciat leno libertam suam.

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ne’ deuti non fuvvi alcuna mai che li potesse sga- rare, nè fecero al lor cognome alcun sfregio quei bravi capassoni. Per ciò conservando io questo me- stiero, conservo la dignità de’ mici antichi; nè io voglio Care lo scultore, conciossiacchè senza mio pericolo non conviene ch’io vada rubacchiando l’al­trui. Quelli che lo fanno, lo dico fuori de’ denti, punto non mi garbano, sebbene chiunque fa questo più per amore della repubblica che della borsa; lo si possa credere dabbene e leal cittadino. Ma un graflia- leggi che condanna, metta la metà nel pubblico. V’ ha cosa eh' esser dovria posta negli statuti: quando un soffione caccia le mani addosso ad al­tri, questi dal canto suo diagli una buona zaffata, acciò a partite pari tuttadue si presentino a trium­viri. Se ciò fosse, alla fé di Dio farci sì che più non se ne vedessero di questi spigolistri clic dan di piglio nell* avere altrui. Ma non son io il bel cervellino a pigliarmela calda delle cose pubbliche, in luogo ove sono i magistrati a posta? Ora io an­drò dentro, toccherò il polso a rilievi di jeri, se hanno riposato o no, o se hanno avuta la febbre, se furono riposti, perchè alcuno non faccia vento a loro. Ma s’ apre 1’ uscio: i(k devo fermarmi.

SCENA III.

T o s s il o . S a ix r io m e .

Tos. Io l'ho trovata la matassa: oggi il ruffiano col suo, farà sua libertà quella femmina; ma ve' lo scroc-

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soSed eccum parasitum, quojus m i auxuio est opus. Simulabo, quasi non videam: ita adliciam virum. Curate istic vos atque adproperate ocius.D/e mihi morae sit quidquam, ubi ego intro advenero. Conmisce mulsum: struthea coluteaque (2) adpara, Bene ut in sculris concaleant, et calamum injice. Jam pol ille hic aderit, credo congerro meus.

S at. Me dicit! eugé!Tox. Lautum credo a balineis

Jam hic adfuturum.S at. Ut ordine omnem rem tenet?Tox. Collyrae facile ut madeant et collyphia,

Incocta ne m ihi detis.S at. B,em loqtiilur meram:

Nihil sunt crudae, nisi quas madidas glutias.Tum nisi cremore crasso et jus collyricum,Nihil est macrum illud epicrocum (Z) perlucidum. Quasi juream esse jus decet collyricum.Nolo in vesicam quod eat, in ventrem volo.

Tox, Prope me hic nescio, quis loquitur.S at. Te, o m i Jupiler

Terrester, coepulonus conpellat tuos.Tox. O Salurio, opportune advenisti m ih i!S at. Mendacium edepol dicis, atque haut te decet:

Nam Esurio venio, non advenio Saturio.Tox. A t edes jam : nam intus veniris fumant focula.

Calefieri jussi reliquias.S at. Pernam quidèm

Jus est adponi frigidam postridie.Tox. Ita fieri jussi.S at. Ecquid halecis?

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SiCohe, che si m’abbisogna; m’ infingerà di non ve» derlo, e così vi casca più presto. Badate qua den­tro voi altri, e spacciatevi; acciò non. abbia a pe­nar di disagio quando ritorno. Sbatti quel mulso, e prepara que’ pomi cotogni e quelle mele appiolej falle cuocer bene ne’ tegami, e mettivi un po’ di droghe: a. momenti sarà qui avvisomi i l compa- gnon mio.

Sat. E’ dice me! allegri!Tos. E’ ci verrà dal bagno tutto di bucato:Sat. Come si ricorda appuntino! 'Tos. Fatemi bollir bene quelle lasagne e 1 ravioli; non

me li mettete innanzi crudi.Sat. E’ parla da filosofo: san di nulla le pappardelle se

cotte non le manichi, e il brodo è una colla: non so che farne di questo magro lustrin gialligno; ma questo brodo l’ha da esser grasso: quanto ingollo non vo’ coli nella vescica, ma ha da stagnare in pancia.

Tos. Io non so chi parla presso me.Sat. E’ il tuo sozio di tavola, o mio Giove terrestre,

che ti vuole.Tos. 0 Saturione, Iddio mi ti ha mandato.Sat. Tu or se’ falso., e non è da par tuo: imperciocché

Esurio son io, e non ci vengo Saturo.Tos. v Mangerai; fumano i confortini del ventre: ho fatta

riscaldar ì rilievi. *Sat. Ma quel prosciutto il giorno dopo ha da esiert

imbandito freddo.Tos. Cosi ho ordinato anch’ io.5at. E le alici?

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Tox. Fah, rogas?S at. Sapis mullum, ad Genium.Tox. Sed ecquid meministi tu here

Qua de re ego teciim mentionem feceram?S at. Memini: ut mura ena et conger ne calefierent:

Nam nimio melius oppeduntur frigida.Sed quid cessamus proelium conmittere?Dum mane est, omnis esse mortalis dccet.

ToX. Nimis pene mane est.S at. Mane quod tju occeperis

Negotium agere, id totum procedit diem.Tox. Quaeso, animum advorte huc. Jam here narravi tibi

Tecumque oravi, ut numos sexcentos mihi Dares utendos mutuos.

S at. Memini et scio,Et te me orare, et mihi non esse, quod darem. Nihili parasilustj quoi quidem argentum est domi: Lubido extemplo coepere est convivium,Tuburcinari de suo, si quid domi est.Cynica esse e gente oportet parasitum probum: Am pullam , strigilem, scaphium, soccos, pallium , Marsupium habeat,- inibi paulum praesidi.Qui familiarem vitam suam oblectet modo.

Tox. Jam nolo argentum: filiam utendam tuam Mihi da.

S at. JVunquam edepol quoiquam d iam utendam dedi. Tox.Non ad istoc, quod tu insimulas.S at. Quid cam vis?Tox. Scies:

Quia forma lepida d liberali est.S at. Res ila est.

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S3T os. D im andi?

S a t. Tu sai bene amicarli il Genio.Tos. Ma e che ti si raccorda di quanto ti ho detto

jeri?Sat. Tutto; che la murena e il grongo non si scaldas­

sero, imperciocché si pettinano meglio freddi: ma perchè indùgiam noi a venire a battaglia;-mentre è mattina'ronvien che tutti mangino.

Tos. E’ ancor troppo presto.Sat. Ed è buona cosa incominciar di buon ora: le fac*

cende fatte per tempo,, danno tutta la giornata di vantaggio.

Tos. Sta qui attento in grazia: già fin da jeri io t ’ ho pregato perchè tu mi trovassi a prestito seicento scudi.

Sat. Me ne ricorda, e so che pregato m’ hai, e che io sono in asso. Il parasito che è ben ferrato non vale un fiocco: gli verrebbe il ticchio di mettersi ogni tratto a tavola e diluviarsi quello che ha: chi fa Io scroccone ha da menar vita cinica, dee avere la sua boccetta, la spazzola, i zoccoli, la scodella, il mantello ed un po’ di gruzzolo per passarsene tal­volta alla casalinga.

Tos. Ornai non voglio più denaro, dammi la tua figliuo* la da servirmene.

Sat. Io non 1’ ho data ad alcuno sinora per servirsene.Tos. Non a quello che tu pensi.S at. Perchè la v u o i adunque?

Tos. Saprai, la è una bella presenza ili donna.Sa i. La è cosi.

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Tox. Hic letto neque te norti ncque gnatam tuam.S àt. Me ut quisquam norit, nini ilie, pracbet qui cibumf Tox. Ila est. H oc tu reperire m i argentum polcs.S àt. Cupio hercle.Tox. Tum tu me sine illam vendere.S àt. Tun’ illam vendas?Tox. • Imo alinm adlegavero,

Qui vendat, qui peregrinum se esse praedicet-,Sicut islic leno sex huc menses Megaribus Nondum est quom conmigravit.

S àt. Pereunt reliquiae.Posterius tamen istuc potest.

Tox. Scin quam potest?Nunquam hercle hodie hic prius edes, ne frustra sies, Quam, te hoc facturum,, quod rogo, ad firmas miliij Atque nisi gnatam tecum huc jam quantum potest Adducis, exigam hercle ego te ex hac decuria.Quid nunc? quid est? quin dicis, quid facturus sis?

S àt. Quaeso hercle, me, quoque eliam vendas, si lubet, Dum saturum vendas.

Tox. Hoc si facturus, face.S j t . Faciam equidem, quae vis.Tox. Bene facis. Propere obi domum:

Praemonstra docte, praecipe astu filiae,Quid fabuletur: ubi se natam praedicet;Qui sibi parentes fuerint, subrepta unde sit.Sed longe ab Athenis esse se gnatam autumetj £ t ut adfleat, quom ea memoret.

S àt. Etiam tu taces?Ter tanto pejor ipsa est, quam illam tu esse vis.

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iSTos. Questo pollastriere non conosce nè \te, nè la fi­

gliuola.Sat. E chi m’ ha da conoscere se non quei che m’em­

pie la ventraja!Tos. Così è. In tal guisa tu puoi trovarmi questo argento.Sat. Lo desidero.Tos. Lasciamela vendere.Sat. Vendere?Tos. Anzi allegherò un altro, che lo faccia, e che si

canti forastiero; imperciocché non sono ancora sei mesi che questo ruffiano ci capitò da Megara.

Sat. 0 miei rilievi, addio! non si può differire all’ in­domani?

Tos. Sai tu come si possa? Perchè non t’ apponga in fallo, oggi qui non sbocconcellerai cosa del ,mon-

_ do, prima che tu non mi dii certo, quello che ti cerco; e se non ci conduci al più presto la figlia, io ti sfratto da questa decuria. E sì ora? che hai? che non dici diamine che sii per fare?

Sat. Deh, se ti calza vendi anche me, ma vendimi satollo.Tos. Se sei per farlo, fallo.Sat. Poffar il mondo! tutto che vuoi.Tos. Ottimamente! mettiti la via tra le gambe e va a

casa. Sia bravo nell’ insegnarle, e da scaltro su- billa tua figlia, dille che debba dire, ove la debba predicarsi nata, chi le fossero parenti, e donde la sia stata rapita: ma la s'infinga nata assai lun­go da Atene, e pianga quando Io racconta.

Sat. E non la finisci! la è scodata tre volte più che non vorresti!

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2 GTox. lepide hercle dicis. Sed scinJ quid facias? Cape

Tunicam alque zonam, et chlamtjdem adferlo et cau­siam,

Quam ille habeat, qui hùnc lenoni huic vendat . . . S àt. Heu probe!Tox. Quasi sit peregrinus.S jt . Laudo.Tox. Tum gnatam tuam

Ornatam adduce lepide in peregrinum modum.S jt . IIo^«y ornamentad?Tox. Abs chorago sumito.

Dare debet: praebenda Aediles locaverunt.S j t .Jam faxo hic aderunt. Sed ego horumce nihil scio. Tox.N ihil hercle vero. N am ubi ego argentum accepero.

Continuo tu 'illam a lenone adserito manu.S j t . Sibi habeat, si non extemplo ab eo abduxero.T ox.A bi et istuc cura. Interibi ego puerum volo

Mittere ad amicam meam , ut habeat animum bo­num;

Med esse ecfecturum hodie. N im is longum loquor.

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Tos. Benel tu parli da valentuòmo! ma sai che abbi a fare? cerca una tonaca, una fascia, una clamide e una cappelliera per colui che la venderà al ruffiano.

Sat. Egregiamente.Tos. Come che fosse dJ Orinci.Sat. Benone.Tos. Indi conduci la figlia vestita alla forastiera.Sat. E donde queste tattare? .Tos. Dal Coragoi e' dee dartele; gli edili gliele hanno

locate per questo.Sat. Farò che sien qui: ma io non ne capisco un'acca.Tos. Proprio un’ acca. Appena io avrò tocco il denaro,

tu al ruffiano dichiarala subito libera.Sat. Se la tenga se non gliel’ accocco.Tos. Su va, e pensa a questo. Intanto io , voglio man­

dare il putto dalla mia amica a farle cuore, e che oggi sono per ispuntarla. Io ciarlo troppo.

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ACTVS lì.SC EN A I.

SOPBOCLIDISCJ, L e MNISELESE.

S op. Salius fuit, indoctae, inmemori, insipienti dicere to-lieti»

N im is tandem me quidem pro barda et prò rusticareor habitam.

Quamquam ego vinum ecbibOj at una m andala nonconsuevi.

Me quidem ja m satis tibi spectatam censueram esseet meos mores:

N am equidem te ja m sector quintum hunc annum ,quo interea, credo,

Cucus (k) si in ludum iret, posset ja m , ut literasprobe sciret.

Quom interim ut ingenium meum fans non edidi­cisti atque infans.

Potin ut taceas? potin ne moneas? Scio et calle etconmemini:

Pol amas miseraj id tuos scatet animus. Tibi istucplacidum ut sil, faciam.

L em. Miser est, qui am at.S op. Certo is nihili quidem, qui nihil amat. Quid

Ei homini opus vita? — Ire decet med, herae ob­sequens ut fiam:

Libera mea opera ocius ut sit. Conveniam huncToxilum: ejus

Aurisj quae mandata, onerabo.

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ATTO II.

SCENA I.

SOFOCLIDISCA, L eHNISELEHI.

Sof. Sarien state 'anche troppe queste chiacchere a una stupida, a una smemorata, a una balorda: affé affé eh’ io mi veggo avuta il duro e villan capoc­chio. Ben è vero che del vino me ne sugo, ma non fui solita mai a mandar giù gli ordini che mi si dànno. Pur mi credeva fossero in qualche conto sì io che le usanze mie, imperciocché siamo ornai ne’ cinque anni, ch’io ti vengo dietro; e credo che in tutto questo tempo, anche un cuculo, se fosse andato a scuola, saria divenuto un gran bacalare in lettere, e tu a tutto quest’ oggi, o eh’ io parlio eh’ io taccia, non mi hai conosciuto sinora. Puoi tacertene? puoi tu finirla? E la m’ è entrata, e l’ha mi ha fatto il callo nella memoria. Puh, se ti veggo incarognita! per questo ti senti mangiar 1’ animo. Io farò in modo di vederti quieta.

Lem. E’ pur sgraziato chi ama!Sof. E chi non ama, non vale un bioccolo: che vai la

vita a quest’ uomo? — Io me ne devo ire per ub­bidir la padrona, acciò per mezzo mio la sia li­bera quanto prima: troverò questo Tossilo, e la­scia a me il raccomandargli bene le feste.

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SCENA II.

TOXILVS, P aEGHIVM, SofHOCLlMSCJ.

Tox.Sa tin ’haec tibi snnt plana tl certa? satin’haec me­ministi et tenes?

P ae. 3Ielius, quam qui docuisti.Tox. A iin ‘ vero, verbereum caputiP ae. Ajo enimvero.Tox. Quid ergo dixi?P ae. Ego reete apud illam dixero.Tox. Non edepol scis.P a e . Da hercle pigmis, n i omnia memini et scio. Tox. Equidem, si scis tute, quol habeas hodie digitos in

manu,Eo dem pignus fecum.

P ae. ' . Audacter, si lubido est perdere.Tox. Bona pax sit potius.P ae. Tum tu igitur sine me ire.Tox. Et jubeo et sino.

Sed ita volo curare, ut domi sis, quom ego te esseilli censeam.

P ae. Faciam.Tox. Quo ergo is nunc?Pa e . Domum: uti domi sim, quom illi censeas.Tox. Scelus tu pueri es, atque ob istanc rem aliquid te

ego peculiabo.Pae. Scio, fide hercle herili ut soleat inpudicilia oppro­

brari,Nec subigi queanltir unquam , ut pro fido habeant

indicem.

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SCENA II.

Tos.

Peg.Tos.Peg.Tos.Peg,Tos.Peg.

Tos.

Peg.Tos.Peg.Tos.

Peg.Tos.Peg.Tos.

Peg.

Tossilo, Peghio, Sofoclidisca.

Hai tu bene capito tutto? le hai tu bene inchia- vellate queste cose nella memoria?Più di quello che m’ hai insegnato.Lo dici davvero, o muso da pugni?Da verissimo.E che ho detto io?Io le diciferirò tutto per punto.Non lo sai, no.Metti qua un pegno, s’ io non mi ricordo ogni cosa.Subito, se ben ti ricordi, io ci metto tanti diti, quanti tu n’ hai in Una mano.Vadano; se ti senti voglia di perderli.Facciam piuttosto la pace.E tu lasciami andare adunque.Cosi voglio, e ti lascio: ma pensa di trovarti in casa, quando farò conto che tu vi sia.Farò.Dove vai tu ora?A casa; per esser quivi, quando tu vuoi.Tu se' una buona volpe di putto, per questo ti darò qualche quattrino.Ecco, perchè alla fede de’ padroni si rimproverino quelle poche voglie che si cavano, perchè e’ non si lascia mai persuadere che una spia sia fedele,

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s sTox. Abi moilo.P ae. Fgo laudabis faxo.Tox. Sed has tubvllas, Paegnium,

Ipsi Lemniselcnae fac des, et, quae jussi, nuntiato. S op. Cesso ire ego, quo missa sum?P ae.E o ego.Tox. I sanej ego domum ibo. Face rem . hanc cum

cura geras/Fola curriculo!

P ae. Istuc marinus passer per circum solet.Ille hinc abiU intro huc. Sed quit haec est, quae me

adtorsum incedil?S op. Paegnium hic quidem est.P ae. Sophoclidisca haec peculiarist ejus,

Quo ego sum missus,S op. Nullus esse pejor hoc puero perhibetur

Hodie. Conpellabo.P ae. Conmorandum est apud hanc obicem.S op. Paegnium, deliciae pueri, salve, quid agis? ut vales? P ae. Sophoclidisca, di me amabunt.S op. Quid med? utrum?P ae. Hercle te,

S i, uti digna es, faciant, odio hercle habeant et fa ­ciant male.

Sgp. Mille male loqui.P ae. Quom, tU digna es, dico, bene, non

male, loquor.S op. Quid agis?P ae. Feminam scelestam te, adstans contra, contuor. S op. Certe, equidem puerum pejorem, quam, te, novi ne­

minem.

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Tos. Vattene.Peg. Resterai contento di ine.Tos. Ma trametti, o Pegnio, questa lettera proprio nelle

mani di Lemniselene, e dille quello che ti ho detto.Sof. A che più indugio io d’ andarmene pe’ fatti miei?Peg. Io vado,Tos. Va subito; io tornomi in casa: fa d’ essere ben

accorto! spicciati!Peg. Costui fa lo struzzolo pel circo. E’ se ne andò

dentro: ma che femmina è questa che mi viene incontro? '

Sof. Questi è Pegnio.Peg. Costei è Sofoclidisca, la compagna di colei a cui

io vado.Tos. È voce non vi sia in questo paese ragazzo più tri­

sto, lo chiamerò.Peg. Io già me la veggo! questa spranga la mi ferma.Sof. 0 Pegnio, o delizia di putto, sta bene; che fai?

come stai?Peg. 0 Sofoclidisca, mi dirà bene. Iddio.Sof. E a me? no forse?Peg. Oh! a te se volessero pagarti conforme le derrate,

ti farebbero brutta faccia, e ti darebbero il ma­lanno.

Sof. Lascia d’ augurarmi sì male.Peg. Io auguro secondo i tuoi meriti, parlo bene e non

male. - v .Sof. Che fai?Peg. Io mi trovo faccia faccia ad una femmina ribalda.Sof. Io son chiara di non aver visto mai ragazzo più

mai'iuolo di te.Vol, IV. Plavt. 3

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P j e . Quid m ali faciOj aut quoi male dico?S op. Quoi pol cunque

occasio esi.PjE .N em o homo ila arbtiralust unquam.Sop. _ A l poi multi esse ila sciunt.P ae. Ueja!S op. Heja!JPab, Tuo ex ingenio mores alienos probas.S op. Faleorego esse profecto me, ut dece! lenonis fam iliae. P ae. Sa lis ja m dictum habeo.S op. Sed quid tu? confitere, ut te autumo.P ae. Fatear, si ila sim.S op. Jam abi: vicisti.P ae, A bi nunc jam .S op. Ergo hoc m i expedi,

Quo te agis?P ae. Quo tu?Sor. Dic tu: prior rogavi.P ae, A t post scies.S op, Eo quidem hinc haud longe ego.P ae. Et quidem haud longe ego.Sop. Quo ergo scelus?Pae, Ni sciero. prius ex te, tu ex me nunquam hoc, quod

rogitas, sies.Sop. Nunquam ecaslor hodie scibis, priusquam ex tcd

audivero.P ae, Itane est?S op. Itane esi?P ae. Mala!S op. Scelestus!Pae. Decet mc.

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Peg. Che fo di male io? di chi parlo nrnlc io!Sof. Foffar il mondo! di tulli; purché ti balzi la palla

sul tetto!Peg. Uomo sinora non 1’ ha mai credulo.Sof. Ma son molti che lo sanno.Peg. Eh!Sof. Eh! .Peg. Tu misuri gli altri col tuo piede.Sof. Io confesso d’ essere qual si conia alla famiglia

d’ un ruffiano.Peg. Ornai basta.Sof, Ma e tu? ti dirai com’ io ti penso.Peg. Lo direi, se così fossi.Sof. Io ti lascio: te la do vinta.Peg. Vaitene adunque.Sof. Cavami di questa curiosità, dove tu muovi?Peg. E tu?Sof. Dillo tu: fui prima a domandartene.Peg. E sarai seconda a saperlo.JS)F. Ho a dire il vero? non lunge di qua.Peg. E non lunge anch’ io.Sof. Ma. dove, o ribaldo?Peg. Se non lo so prima da te, tu predichi a’ porri,

non lo saprai mai' più.Sof. E t’ accerto non lo saprai oggi, se prima nonT ho

udito da te.Peg. Proprio così?Sof. Proprio cosi?Peg. Traditora!Sof. Manigoldo!Peg. È da par mio.

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S op. Et me quidem addecet,P ae. Quid ais? cerlumne est celarej quo iter faciasj pes-

surnaPS op. Obfirmastin’ occultare, quo te inmiltasj pessume? Pae. P ar pari respondes dicto: abi jatrij quando ita certa

rest,Nihili facio scire. Valeas.

S op. A dsla/S*a e . A t propero.S op. Et pol ego item.P ae. Ecquid habes?S op. Ecquid tu?P a e. Nil quidem.S op. Cedo manum ergo.P ae. Esine haec manus?S op. Ubi illa est furtifica alteraj laeva?P ae. Domi eccomi

huc nullam alluli.S op. Nescio quid habes.P ae. N e me allrecta, subagilalrixfS op. Sin te amo?P ae. Male operam locas.S op. Qui?Vae, Quia enim nihil amas, quom in­

gratam amas.S op. Temperi hanc vigilare oportet formulam atque ae-> .

tatulam /Ne> ubi vorsipellis fias3 foede semper servias.Tu quidem haud etiam es octoginta pondo.

P a e . A t confidentiaMilitia illa militatur mullo mage, quam pondere,4 l ego hanc operam perdo,

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, s?S o f . È d e l le m ie p a r i .

Peg. E sì? se tu ferma, ribaldonaccia. a nascondermi dove tu corri?

Sof. E tu, rìbaldonaccio, se' proprio inchiodato a non voler dirmi ove ti ficchi?

Peg. Qual dài tal ricevi: spulezza, dappoi chè la è co-» sì: non ine ne monta, buon d i

Sof. Sta.P e g . Ho fretta.Sof. Anch’ io.Peg. £he hai?Sof. E tu?Peg. Nulla.Sof. Dammi la manti.Peg. E questa che vuoi?Sof. Dov’ è quell’ altra trafurella, la sinistra?'Peg. Eccola in casa: qua non ne ho portata alcun#. _Sof. Io non so che tu abbia.Peg. Stammi lontana, o frugolo.Sof. E s& ti amo?Peg. Peschi a secco.Sof. Perchè?Peg. Perchè 1’ amor tuo dà in cenci donandolo à ti«

ingrato.S o f . E’ ci devi pensare adesso che se’ bello e verde

come un aglio, per non far questa bruita vita del servo quando avrai cambiato pelo. Tu non se’ negli ottanta come si pii re all’ uscio.

Peg. A questa milizia più degli anni fa d' uopt) la co­stanza. Ma io perdo il tempo.

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S op. Quid ja n ?P j k . Quia peritis praedico.

Sed ego cesso.S op. Mane.P ae. Molesta e*.Sop. Ergo ero quoque, m i s i sciot

Quo agas te.P ae, A d vos.S op. Et poi ego ad vos.P ae. Quid eo?Sop. Quid id ad le allinei.9PAE.Enim non ibis nunc vicissim , nisi scio.S op. Odiosus's.P a e. Lubct.

Numqnam hercle istuc exterebrabis tu, ut sis pejor,qnam ego s/pm.

S op. M alitia certare lecnm miseria est.P ae. Merx tu mala es.S op. Quid id eslj quod metuas?P ae. Idem islud, quod tu.S op. Die ergo . . .P a e . Die ergo,

Ne hoc quoiquam homini edicerem, omnes muli, utloquerentur prius,

Edictum est magnopere mi.Sop. Et mihi, ne quoiquam ho­

m ini crederem,Omnes muli ut loquerentur prius hoc, quam ego.

A t tu hoc face:Fide data credamus.

P ae. Novi. Omnes sunt lenae levifidae,Neque tipullae fS) levius pondmt, quam fide lenoniae.

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Sof. Perchè?P e g . Perchè meno 1' oche a bere: io me la batto.Sof. Resta.Peg. Tu m’ hai fradicio.Sof. E non te ne torrai da questo fradiciume, se non

so dove tu vada.Peg. A voi.Sof. E io a voi.Pec. Perchè là?Sof. Che te ne importa?Peg. Or mi rimbecco, non andrai se non lo so.Sof. M’ annoj.Peg. E ciò mi va in sangue Oh questo non me Id

succhielli, benché tu sii scaltrita più di me.Sof. Il gareggiar teeo in malizia è una miseria.Peg. Tu se' pur la cattiva roba.Sof. Che è questo, che temi tu?Peg. Quello che tu.Sof. Dillo adunque . . .Peg. Dilla adunque: io mi son fatta questa legge; par­

leranno' i mutoli, prima che io sciorini questo a persona.

Sof. E sì anch’ io: questa cosa diranno i muti prima di me. Ma tu fa questo, diamoci fede l’ un l'altro.

Peg. Schiume vi conosco! So che parola è quella delle ruffiane, so che la è come 9 vino del fiasco, so che una tippola pesa assai più della fede ruffianesca.

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. 40S'op. Dic amabo.P a e . Dic, amabo.Sor. Nolo ames.P ae. Facile iupelras.-iS o p . TeCum habeto.P a e . Et Iu hoc taccio.S o p . Tacitum erit.P a e . Celabitur.S o p . Toxilo has fero tabellas, luo hero.P a e . Abi: eccillum domi.

Ast ego hanc ad Lemniselenem, tuam heram, ob­signatam abielem.

S o p . Quid istic scriptum?P a e . Juxta tecum, si t u nescis, nescio

Nisi fortasse blanda verba.S o p . Abeo.P a e . Atque ego abiero.S o p . Ambula.

SCENA III.

S a g a r i s t i o . .

Opulento, incluto, Ope gnato, supremo, valido, viri po­tenti,

Opes, spes, bonas copias commodanti,Lubens vitulorqne merito:Quia meo amico amiciter hanc commoditatis copiam Mutui dat nunc argenti, uti egenli opem adferam: Quod ego non mage somniabam neque opinabar

neque censebam,Eam fore m ihi occasionem, ea nunc quasi decidit

de coelo.

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Sor. Deli! dillomi.Peg. Deh! fillomi.S of. N on v o g lio il tu o am or*.

Peg. T’ accontento facilmente.So f. Tienlo in te.Peg. Tu dillo a nessuno.S o f. S arà secre to .

P eg. Sarà celato.Sof. lo porto questa lettera a Tossilo tuo padrone.Peg. Vattene, vello in casa. Ed io questa d’ abete a

Lemniselene tua padrona.S o f. E che v’ ha di scritto.Peg* Fo come te: se tu noi sai io non lo so: forse pa­

role di mele.So f. V ado.

Peg. Andrò anch* io.So f. Buona andata.

SCENA III.

SàGARISTìONE.

A Giove ricco, glorioso, figlio d’ Opi, supremo, potente, formidabile, donator di doni, di speranze, di buo­ne venture, io pieno di giocondità rendo grazie immortali: perchè fa al mio amico un bel servigio in dargli questo denaro a prestito, acciò io cavi di pan duro chi trovasi nelle strette. Ciò che lo non mi sarei mai sognato, nè immaginato, nè cre­duto che mi venisse questa buona occasione, la m’è

. proprio quasi piovuta dal cielo: imperciocché il

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N am herus meus me Eretriam misit, domitos boves

ut sibi mercarer;

Dedit argentum: nam ibi mercatum dixit die esse

septimij

Stultus^ qui hoc m ihi daret argentum} quojus ingenium

noverat:

Nam hoc argentum abutar alibi; boves quos emerem,

non erant.

Nunc et amico prosperabo et Genio meo bona mulla

faciam.

Diu quo bene sitj die uno absolvam. Tax tax tergo

erit. Non curo:

Nam amico homini bobus domitis mea ex crumena

largiar.

Nam id demum lepidum est, triparcoSj vetulos, avidos

aridoss

Bene admordere, qui alliatum servo obsignant cum

sale.

Virtust, occasio ubi admonet^ dispicere. Quid faciet-

mihi?

Verberibus caedi jussit, compedes inponi. Vapulet!

N e sibi me credat supplicem fore. Vae illif m ihi ja m

m l novi

Obferri potis est, quin sim peritus.

Sed Toxili puerum Paegnium eccum.

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mio padrone man domini in Erclria a comperar buoi

da lavoro, e a tal uopo diemmi i quattrini, dicen­

domi che il di settimo era il mercato. Bufalol lasciar

quattrini in queste mani sì grifagne! Di questo

danaro me ne servirò altramente non v* erano

buoi da far buona spesa. Ora farò allegro l’ami-

co, e darò molti beni al mio Genio., e quello che

basterebbe in un anno io brucierò in un dì. Tac,

tac trionferammi in spalla. Ma vada il diavolo:

all’ amico tirerò fuori della mia borsa questi buoi

scozzonati. La è pur gioconda l’ inzampognar que­

sti spilorci, barbini, coi piè nella fossa e che non

darebber del fuoco al cencio, e che fan stentare

i servi con uno spicchio d’aglio e un pò’ di sale!

Così fanno i sapientuomini, le buone venture san

pigliarle pel manico: che ne verrà di me? frusta

e catena. Crcpa! ma non mi vedrà in ginocchio.

Tristo a lui! a me non può darmi nuovo affanno

eh’ io non abbia in pratica. Ma eceo Pegnio put­

to di Tossilo.

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uSCENA i r .

PjECKlUM, S agaristio.

P ae. Pensum, quod datum est, confecij nunc prodeo domimi. S ag. filane, etsi properas,

Paegnium/ auscultai P ae. Emere oporlet, quent obedire iibi velis.S jg. Adsta!P j e . Exhibeas molestiam, ut opinor, si quid debeam.

Qui nunc tamen sic es molestus.S jg . Scelerate, etiam respicis?P j e . Scio ego, quid sim aetatis: eo istuc maledictum in -

puiie auferes/S ag. Ubi Toxilus est, tuos herus?P ae. Ubi lubet illi, neque te consulit.S jg. Etiam dicis, ubi est, venefice?P j e . Nescio, inquam, ulmitriba tu,Sag. Maledicis majori.Pj e . P rio r promeritus perpetiare.

Servam operam, linguam liberam herus me jussithabere.

S jg. Dicisne m i, ubi sil Toxilus?P ae. Dica, ut perpetuo pereas.S jg. Caedere tu hodie restibus.P ae. Tua quidem, cucule, causa!

N on hercle, si os praeciderim tibi, metuam, m or­ticine.

SAG.Video ego te, ja m incubitatus es.P ae. Ita sum. Quid id attinet ad te?

A t non sum ila , ut lu, gratiis.

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SCENA IV.

Pegnìo, Sagaristione,

Peg. Io ho fatto il dover mio, ora torno a casa.Sag. Fermati, quanta sia la fretta che abbi nell' ossa,

Pegniol ascolta!Peg. Tu devi comprartelo chi vuoi a’ tuoi ordini.Sag. Sta!Peg. Dovresti annojarmi, com’ io credo, se io ti dovessi

cosa del mondo, ma non te ne devo e pur m’ an- noj istessamente.

Sag. Ribaldonaccio, e non ti volgi?Peg. So età che è la mia, per questo te la passi

netta.Sag. Dov’ è Tossilo, tuo padrone.Peg. Dove gli piace, nè cerca da te dove debba essere.Sag. E non mel dici ove sia, o stregonaccio?Peg. Noi so, ti dico, o schiena d’ olmi.Sag. Tu bistratti un più vecchio.Peg. Te le cerchi col fiscello, e perciò dattene pace: il

padrone m’ha ordinato operassi da servo e parlassi da libero.

Sag. Mei di' adunque, ove sia Tossilo?Peg. Ti dico che scoppi una volta.Sag. Tu oggi avrai gli staffili addosso.Peg. Sì per tua causa, o cuccolo! non li temerei s’anco

t’ avessi pesto il muso, o fantasima.Sag. Me n’ accorgo, tu se’ già un bardassa.Peg. Proprio: e a te che viene in tasca? ma non Io fo,

come te; per nulla,

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S jg . Confidens!P j e . Sum hercle vero:

Nant ego me confido libemm (ore, tu te nunquamtperes.

S jg . Politi’, ut molestus ne sies?P j e . Quod dicis, facere noti quis.S jg. Abi iti m alam rem!P j e . A l tu domum: nam ibi tibi parata praes est. SJG.Fadatur hic me.P j e . Ulinatn vades desini, iti carcerem ut sis!S jg. Quid hoc?P je . Quid est?S jg . Elianti scelus, male loquere?P je . Tandem ut liceale

Quom sen os sis, terroni tibi maledicere.S jg. Itane? speda!

Qtiitt dedero . . .P j e . Nil: nam nil habesS j c . D i deaeque le omttes perda tri,

R isi le hodie, si prehendero, defigam in terram co­laphis!

P j e . A m icut tum : eveniant volo tibi, quae optas. A t queid fiat.

Tu ut me defigasj te cruci ipsum propediem alii ad-figent.

S jg. Quin te di deaeque . . . Scitj quid hinc porro dic­turus fuerim ,

m linguae moderari queam. Potin’j abeas?P je , Abigis facile:

Nam jam umbra mea intus vapulat.SAo. Ut islunc di deaeque perdant!

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i 7Sag. Ardito!P e g . E son tale, ed oso sperarmi libero, ma tu puoi per

questo gittarti tra morti.Sag. E non puoi tu finirla dallo stancarmi?Peg. Tu non puoi fare quello che dici.Sag. Ya sulla forca.Peg. E tu a casa: ivi il malanno tJ è pronto.Sag. Costui mi chiama a corte.Peg. Dio volesse che mancassero i testimonii, chè tu

andresti nelle stinche!Sag. E sì?Peg. Che hai?Sag. E ancora vuoi parlar male, o mariuolo?Peg. Finché tu servi, lascia che un servo te ne dica

tante come ad un asino.Sag. Così eh? aspetta! e non ti darò io . . .Peg. Nulla: chè nulla tu hai.Sag. * Che t ' aifrangano li dei e le dee, se t'acciuffo, og­

gi ti stramazzo a furia di pugni.Peg. Io^sono amico, e Dio ti mandi quello che vuoi: ma

facciam questo patto tu cacciami a terra, ed altri, subito dopo t'inchiodino in croce.

Sag. • Un canchero che . . . sai tu che ci voleva ag­giungere, se non posso frenar la lingua puoi tu andartene?

Peg. Non c è tanto a fare: imperciocché or in casa chi è chioccato è la mia ombra.

Sag. Ch’ e’ possa rovinarsi dell’ ossa e delle carni! egli

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Tanqnam proserpens bestia, est bilinguis et scelestus. Hercle illum abiisse gattdeo. Foris aperite! Ecce aulem, Quem convenire maxume cupiebam, egreditur intus!

SCENA V.

T ó x i l v S j S a g a r i s t i o , S o p h o c l i d i s c a .

Tox. Paralum jam esse dicito, unde argentum sit futu­rum.

Jubeto habere animum bonum: dic me illam amaremullum.

Ubi se adlevatj ibi me adleval. Quae dixi ut nun­tiares■,

Satin ' ea tenes?S op. Mage calleoj quam aprugnum callum callet.Tox. Propere abi domum.S ac. Nunc huic ego graphice facetus fiam:

Subnixis alis me inferam atque amicibur gloriose. Tox. Sed quis hic ansatus ambulat?S a g . Magnifice conscreabor.Tox. Sagaristio hic quidem est. Quid ag itur Sagaristio?

ut valetur?Ecquidj quod mandavi libij est nunc in te speculae?

S àg. adito:Videbitur: facium volo. Venilo! promoveto!

Tox. Quid hoc hic in collo libi tumet?S ag. Vomica esi: pressare parce:

Nam ubi qui mala tetigit manu, dolores cooriuntur. Tox, Quando islaec innata est libi nam?

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è bilingue c furbo come un serpente. Son lieto perchè se 1’ ha -cólta. Apritemi questa porta! eccò, viensene fuori chi desiderava trovare!

SCENA Y.

Tossilo', Sagaristiohe, Sofocudisca.

Tos. Dille che ornai abbiam proprio noi dove rastrellai’ questo argento: falle pigliar buon cuore, e di’ che la è la mia vita, Quando lei, la si consola, la consola me. Ha’ tu bea fermo tutto che devi riferirle da parte mia?

Sor. L’ ho, e 1’ ho ai martellato in testa eh’ è oten du­ro un callo di verro.

Tos. Vanne a casa a gambe.Sor. Or voglio io costui mi creda un nomo d’alto af­

fare;. ficcherò le mani, sull’ anche, e mi porrò in gran pompa.

Tos. Ma chi sen viene a questa volta?Sag. . Spurgherommi alla magnifica.Tos. Sagaristione è desso, e non la fallo. Che si fa,

Sagaristione? come si vive? e di quello che t’ ho raccomandato, n ' hai ancora qualche speranzuccia?

Sag. Fatti in qua: si vedrà chiaro; io lo voglio. Vieni! sgranchiati!

Tos. Che natta hai tu qui sul collo?Sag. E’ un tincone: non me lo premere: se qualche cat­

tiva mano vi passa sopra, io mi sento gli spasimi della morte.

Tos. Quando ti diè fuori questo bernoccolo.Vol. IV. Plaut. 4

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S ag. JIodie.Tox. Secari jubeas.S ag. Meluo, ne inmaluram secem, ne exhibeat plus negoli. Tox. Inspicere morbum luom lubet, Sagaristio.S jg, Abi, atque cave, sis,

A cornu.Tox. . Quid ja m ?S ag. Quia boves bini hic sunt in crumena.Tox. Emitte, sodes; ne enices fame! sine ire pastum.S jg . Enim metuo, ut possim rejicere in bubilem, ne va­

gentur.Tox. Ego rejiciam: habe animum bonum.S jg. Credeturj commodabo.

Sequere hac, sis: argentum hic inest, quod dudumme rogasti.

Tox. Quid tu ais?S jg, Dominus me boves mercatum Eretriam misit;

N unc m i Eretria erit haec tua domus.Tox, . Nimis tu facete loquerej

M que omnes ego argentum tibi actutum incolumeredigam:

N am ja m omnis sycophantias instruxi et conparavi, Quo pacto ab lenone auferam hoc argentum . . .

Sjg. Tanto melior.Tox. Et mulier ut sit libera, atque ipse ultro duit argen­

tum.Sed sequere me; ad eam rem usus est tua mihi o-

' pera.S 4G, Utere, ut vis,

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5iSag. Oggi.Tos. Fallo tagliare.Sag. Io ho paura, non sia ancora a maluranza, e che

mi dia maggior pena.Tos. Vorrei vederla questa tua doglia, Sagaristione.Sag. Ah! sfattene alla larga, venir li potria una cornata.Tos. Come?Sag. Qua dentro sono due buoi chiusi in una borsa.Tos. Deh lasciali andare in buon ora: non ammazzarli

di fame! lasciali ire a pascolo.Sag. Ma io temo non mi facciano correre quando vo’

rimetterli nella stalla.Tos. Li ricondurrò io: sta tranquillo.Sag. Ti ho fede: mi addattcrò. Vien qua se li pare: qua

entro v’ è quel gruzzolo che pur dianzi tu in’ hai chiesto.

Tos. Oh che di’ mai?Sag. 11 padrone mi ha mandato in Eretria far compera

di buoi; Eretria sarammi per ora questa tua casa.Tos. Oh care parole son queste tue: io ti renderò su­

bito sana, e salva questa moneta: imperciocché ho teso e preparato io un cotal trabocchello, per quale possa raspar io quest’ argento dal ruffiano.

Sag. Tanto meglio.Tos. E la donna sia libera, ed cgìi stesso munga l’olio :

ma vienimi dietro, in altra cosa tu dèi servirmi.Sag. Io ti sono coppa e coltello.

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ACTUS 111.SC E N A I.

S j t u r i o , V i r g o .

S j t . Quae res bene vortat m i el tibi et ventri meOj Perennitatisque adeo huic perpetuo ciboj Ut mihi supersit, suppetat, superstitet.Sequere haCj mea gnata, me cum dis volentibus. Quoi re opera detur, scis, tenes, intellegis: Communicavi tecum consilia omnia.Ea causa ad hoc exemplum te exornavi ego: Venibis tu hodie, virgo.

Vir . Amabo, m i pater,Quamquam lubenter escis alienis studes,Tuin’ ventris causa filiam vendis tuam ?

S j t . M irum, quin regis Philippi causa aut A ttali Te potius vendam, quam mea, quae sis mea.

Vir. Utrum pro ancilla me habeas, an pro filia?S jt . Utrum hercle magis in veniris rem videbitur:

Meum, opinor, imperium in te, non in me tibiest.

Vir. Tua istaec potestas est, paters veruntamen,Quamquam res nostrae sunt, pater, pauperculae, Modice et modeste meliust vitam vivere:N am si ad paupertatem admigrant infamiae, Gravior paupertas fit, fides sublestior.

S j t . Enitnvero odiosa es.

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ATTO III.SCENA I.

Saturione, F anciulla.

Sat. Questa cosa la torni in bene a me, a te, alla mia pancia, e alla salva perpetuità di questa durevol cuccagna di cibo, acciò non mi fallisca mai, e n’ab­bia d’avanzo, e duri anche dopo la mia morte. Seguimi, figliuola mia, coll’ ajuto di Dio. Già ben tu sai, e hai ben fermo e inteso che si voglia da te: io ti ho posta in mano ogni cosa. Per que­sto io t’ ho così concia, tu oggi sarai venduta, figliuola mia.

Fan. Deh padre, è ben vero che tu al desco altrui alziil fianco volentieri, ma per amor della tua ca­panna vendi forse la figliuola?

Sat. Cazzica! la saria ben grossa s’ io ti vendessi, sen- do tu mia, pel bene del re Filippo o Attalo, più che pel mio.

. F an. M' h a i tu in serva o in figliuola?Sat. Come l ’ ingarba meglio a questa pancia; io ti posso

comandare io, c non tu a me.F an. Questo potere si che tu l’ hai, o padre, ma se pen­

siamo come sono i nostri averi e a che mal ter­mine si trovano; è meglio vivere pianettamcrite la vita. Imperciocché se alla strettezza si aggiugne l’ infamia, la povertà si fa più pesante, e più de­bole il buon nome.

(Sat. Affé che mi sci stucchevole.

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uFir . Non suni, nequeyme esse arbitror,

Quom parva nalu recte praecipio patri:Nam inimici fam am non ita, ut nata est, ferunt.

S at. Ferant eanlque in m axum am m aìam cruceml Non ego omnis inimicitias pluris aestumo,Quam mensa inanis nunc si adponatur mihi.

Fir . Paler, hominum inmortalis est infam ia j Etiam ttim vivit, quotn esse credas mortuam.

S at. Quid metuis, ne te vendam?F ir. N on metuOj palerj

Ferum insimulari nolo.S at. A t nequidquam nevis:

Meo modo istuc potius fiet, quam tuo Fiat. Quae haec res sunt?

Fin. Cogita hoc verbum, paler.Herus si minatus est malum servo suo,Tametsi id futurum non eslj ubi captum est fla­

grum,Dum tunicas»ponit, quanta adficilur miseria/Ego nunc, quod non futurum est, formido tamen.

S j t . Firgo atqne mulier nulla erit, quin sit mala,Quae praeter sapiet, quam placet parentibus.

F i r . Firgo atqne mulier nulla erit, quin sil mala,Quae reticel, si quid fieri pervorse videi.

S at. Male cavere m elim i te.Fin. A i sil non licet.

Cavere, quid agam? nam ego tibi cautum volo.S at. Mabisne ego sum?Fir. Non es, ncque me dignum est diceres

Ferum ei re operam do, ne alii dicant, quibus licet.

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F aPT.

Sat.

Fan.

SAt.Fan.Sat.

Fan.

*

Sat.

F an.

Sat.F an.

Sat.Fan,

UNon lo sono, nè per tale mi tengo, quando seb- ben più giovane metto il padre sulla buona via: imperciocché L malevoli non dicono le cose come le sono, ma dei grànchi ne fanno balene.Ne facciano quante sanno, e s’ impicchino! lo ho in tasca tutte le inimicizie, come se ora mi si preparasse una mensa vuota.Il cattivo nome non muore mai, o padre; e vive ancora, quando lo si crede spento.Diavolo! temi che ti venda da vero?Non lo temo, a padre, ma non vo' fingerlo.Questo tuo » non lo voglio * dà in cecL S’ ha da far piuttosto il » voglio » mio, che il tuo. Che te ne pare?Bada a queste parole, o padre. Un padrone se minaccia la mala ventura al servo, avvegnaché non voglia dargliela, pure e al veder questi la frusta, e mentre si cava la tonica, in quali forbici non credi abbia esso il cuore? Così sono io, ho paura anche di quello che non vorrà essere.Sia la donna maritata o fanciulla è sempre trista, 1a vuol far tu tt’ altro di quello che piace a' parenti. Sia là donna maritata o fanciulla è sempre trista, se la vuol tacere quando la vede i! mal fatto. Faresti meglio a guardartene.E se non posso guardarmene, che farò? tu dovre­sti esser più cauto.Sono un bindolo io?Non lo sei, nè è da me il dirtelo, ma io pei'6 tengo il sacco a cosa, sopra la quale il mondo vi fàrà mille novelle.

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5GS àt. Dical, quod quisque v o l i e g o de hac senlenlia

Aon demovebor. "V ir . Mi meo si liceat modo,

Sapienter potius facias, quam stulte.S àt. Lubet.V ir . Lubere per me tibi licere intellegoj

Ferum lubere haud liceat, si lubeat mihi.Sàt. Futura es dicto obediens, an tiottj patri?Vir . Futura.S àt. Scis nam> tibi quae praecepi?Vir. ' Omnia.S àt. Et id, ut subrepta fueris?Vir . Docte calleo.iS àt. Et qui parentes fuerint?Via. Habeo in memoria.

Necessitate me, mala ut fiam, facisj Verum videto, ubi me voles nuptum dare,Ne haec fam a faciat repudiosas nuptias.

S àt. Tace, stulta: non tu nunc hominum mores vides, Quojusmodi hic cum fam a facile nubitur?Dum dos sit, nullum vitium vilio vortitur.

Vir. Ergo istuc facilo ut veniat in mentem tibi,Me esse indotatam.

S àt. Cave, sis, tu istuc dixeris,Nec te indotatam dicas, quo dos sit domi.Pol ( deum virtute dicam et majorum meum ) Librorum eccillum habeo plenum soracum,S i hoc adcurassis lepide, quoi re operam damus, Dabuntur dolis tibi inde excenti logi,Atque A itici omnes, nullum Siculum acceperis. Cum hac dole poteris vel mendico nubere.

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Sat. Dicane ognuno (pianto può, ma io non mi smuovo d’ un pelo.

Fan. Ma se m’ avessi a udire tu faresfi cosa più da saggio, che da balordo.

Sat. E ci ho gusto.Fan. Io già men sono accorta che di me vuoi fare il pia­

cer tuo, ma non lo potresti se io avessi a pontar duro i piedi.

Sat. In somma vuoi fare a modo di tuo padre?F an. Voglio.Sat. Sai tutto che io t’ ho detto?Fan. Tutto.Sat. E questo, come tu sii stata rapita?Fan. AppuntinoSat. E quali ti sieno i parenti?Fan. Ricordomi. Vuoi ch’io mi faccia trista per forza; ma

poni, mente quando mi vorrai dar marito, che que­sta voce, dopo le nozze, non la mi dia un ripudio.

Sat. Taci, cerbiattola; non vedi tu come sono oggi gli uomini, e con che credito trovino facilmente la mo­glie? purché vi sia dota, niun vizio si mette a colpa.

Fan. Fatti adunque venir questo in mente eh’ io so­no senza dota.

Sat. Ah, guardati dal dirlo, nè crederti senza dota quando 1’ hai in casa. In fé mia, e dirò che que­sto è per grazia di Dio e se’ miei antichi, io ho quella cassa zeppa di libri; se tu ne avrai buona cura, "a quello che no facciamo, e ti verranno in dota un seicento motti, tutti fior di roba, Attici, e nessun Siciliano. Con questa dota ti puoi sposare anche ad uno che non abbia tanto da far cantare un orbo.

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f i s . Quin lu me ducis, si quo ducturus, pater?Vel tu me vende, vel face, quod tibi lubet.

S at. Bonum aequomque oxas. Sequere hac.F is . Dicto sum audiens.

SC EN A II.

D q r d j l v s .

Quidnam esse acturum hunc dicam vicinum meum,Qui m ihi juratust, sese hodie argentum dare? Quodsi non dederit atque hic dies praeterierit,Ego argentum, ille jusjurandum amiserit.Sed ibi concrepuit foris.Quisnam egreditur foras?

S C È N 4 I II .

■ Tox ILUS, D o s d a l v s .

Tox. Cura istuc intusj ja m ego domum me recipiam. DoR.Toxile, quid agitur?Tox. E3to lutum lenonium,

Conmixtum coeno, sterculinum publicum, lnpure, inhoneste, injure, m lex, labes popli, Pecuniai accipiter, avide atque invide,Procax, rapax, trahax ( trecentis versibus Tuas inpuritias traloqui nemo potesl )Accipin’ argentum? Accipe, sii, argentum! inpudensf Tene, sis, argentum! etiam tu argentum tenes? N o n m i h i c e n s e b j s t j k t v m a r g e n t i f o r e ? ( 6 )

Possum te facere, ut argentum accipias, luium ,Qui nisi jura lo mihi nil ansus credere?

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r 89Far. Che non mi conduci là dove mi vuoi o padre?

o vendimi, o fa di m e quello che ti grilla.Sat. Tu parli bene. Andiamo.Fan. Eccomi pronta.

SCENA n.

Dordalo.

Domin, che dirò io sia per fare questo vicino il quale diemmi sacramento che m’ avrebbe dato il danaro oggi? S’ egli non me lo dà, e questo giorno passa cogli altri, io; quattrini, egli avrà perduta la pa­rola. Ma qui si toccò la porta: chi è che vien fuori?

SCENA III.

T o ssilo, D ordalo.

Tos. Abbiate cura in casa voi altri a queste cose, io ritorno dentro in un attimo.

D or. 0 Tossilo, che si fa?Tos. Ohe belletta ruffianesca, mischianza di fango, cesso

del pubblico, impuro, disonesto, senza legge nè fede, peste del popolo, pelaborse, barbin maligno, pe­tulante, ladro, manigoldo, niuno in un libro po­

e tr ia raccór tutte le tue tristizie, prendi ora questo denarol Togli se lo vuoi l’ argento o sfrontataccio! su, ficcatelo nell’ ugne! e non lo prendi ancora? Tu eri certo che mai più avrei avuta io tanta moneta neh? poss’ io farò sì che tu la riceva, o poltiglia, chè non osasti avermi fede se prima non t’ avessi giurato?

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Don. Sine respirare me, libi ut respondeam.F ir summe populi, slabulum servilutium,Scortorum liberator, sudiculum (1) flagri, Conpedium tritor, pistrinorum civitas,Perenniserve, lurco edax, furax, fugax,Cedo, sis, m i argentum! da mihi argentum/ inpu-

deitsfPossum a te exigere argentum? argentum, inquam,

cedo!Quin tu m i argentum reddis? nilne te pudet?Leno te argentum poscit, solida servitus,Pro liberanda amica, ut omnes audiant.

T ox. Tace, obsecro, hercle nae tua vox valide valet! D oR.Referundae ego habeo linguam n atam gratiae.'

Eodem m ihi pretio sa l praehibetur, quo tibi.Nisi me haec defendet, nunquam delinget salem.

Tox.Jam omitto iratus esse. Id tibi suscensui,Quia te negabas credere argentum mihi.

D or. Mirum quin tibi ego crederem, ut tu idem mihi Faceres, quod passim faciunt argentarii!Ubi quid credideris, citius extemplo a foro Fugiunt, quam ex porta ludi quom emissusl lepus.

Tox. Cape hoc sis.D or. Quin das?Tox., Num i sexcenti hic em nt

P robi numerali: fac sit mulier libera,Alque huc continuo adduce.

D or. Jam faxo hic erit.Non hercle, quoi nunc hoc dem spectandum, scio.

Tox. Fortasse meluis in m anum concredere.D qr. Mirum, quin. — Citius jam a foro argentarii

Abeunl, quam in cursu rotula circumvortitur.

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Dor. Lasciami raccor 1’ alito e ti risponderò. Colonna del popolo, postribolo di servo, liberator di manze, manico di sferza, tritume di catene, e cittadin di macine, schiavo in eterno, diluvion mai sazio, la­dro, fuggiasco, dammi 1’ argento, o svergognato! e non poss’ io aver da te l’ argento? dammi qua 1’ ar­gento? e che non mi rendi tu l’argento? non ti ver­gogni? un ruffiano vuol da- te 1’ argento, o schiu­macela di schiavo, peV liberar l’ amica, e tutti m; a- scoltino.

Tos. Taci una volta per Dio! poffar il mondo che voce tu hai!

Dor. Ho buona lingua da render merito. Io pago il sale come te, se questa non mi difende, che mai più la non lecchi sale.

Tos. Or io lascio andar ogni cosa: per questo mi son scaldato teco, perchè non m’ avevi fede del danaro.

Dor. Saria stato un miracolo eh’ io t ’ avessi fede, e che tu non mi facessi conforme alcuni banchieri, i quali appena hai loro dato in mano qualcosa, sen fug- gono di piazza sì ra tti, come una lepre nei giuo­chi fuori della porta.

Tos. Prendilo se lo vuoi.Dor. Chè non me lo dai?Tos. Qui saranno seicento denari sonanti e noverati, fa

sia libera la donna, e conducila qua tosto.Dor. Sarà qui subito. Io non so a chi farlo vedere.Tos. Forse hai paura di darlo a peic§Bha?Dor. Saria meraviglia del no. — Dileguano si presto

di piazza i banchieri, che n’ è men ratta iu volgersi una ruota.

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Tox.Abi islac advorsis angiportis ad fortini;Eadem istaec facito mulier ad me transeat Per hortum.

Don. Jam hie faxo aderit.Tox. A t ne propalam.Dos. Sapienter sane.Tox. Supplicatum cras eat.D or. Ita hercle vero.Tox. Dum stas, reditum oporluit.

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63Tos. Va da questa parte per questi clwassolini in piazza,

e di qua fammi passar la donna nell’orto.Dor. La sarà qui a momenti.Tos. Ma non sugli occhi del mondo.Dor. Ben pensata.Tos. Vada domani pel sacrificio.Dor. Cosi.to s . Intanto che stai qua, tu dovevi già esser tornato.

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ACTUS IV.SC E N A I.

T o x il v s , S a g a r is t io , V ir g o .

Tox. S i quam rem adcures sobrie aut frugaliter,Sotet illa recte sub manus succedere.Atque edepol ferme ut quisque rem adcurat suant,

/Sic ei procedunt post principia denique.S i malus aut nequam est, male res vortunl, quas

Sin autem frtigi est, eveniunt frugaliter.H anc ego refn exorsus sum facete et callide:Igitur bene proventuram confido mihi.Nunc ego lenonem ila hodie intricatum dabo,Ut ipsus sese, qua se expediat, nesciat.Sagaristio, heus, exi atque educe virginem,Et istas tabellas, quas consignavi tibi,Quas tu allulisti ab hero meo usque e Persia.

S ag. Numquid moror?Tox. Euge, euge, exornatus basilicel

Tiara ut lepidam lepide condecorat schemam!Tum hanc hospitam autem crepidula ut graphice

agit;

S a g .

Tox.Age, illuc abscede procul e conspectu et tace. Ubi cum lenone me videbis conloqui,Id erti adeundi teihpusj nunc agilej ile vos.

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ATTO IVSCENA I.

T o ssil o, Sa g aristio ne, F a n c iu l l i.

To«.. Se tu hai cosa a fare, mettevi buon’ attenzio­ne e diligenza, e sì la avrà buon fine. Conforme che ciascuno pone l’animo a qualche faccenda, ol­la suole averne dopo 1’ esito, Se è un qualche gnoccolone, e’manda a male tutto che fa; ma se è un cervello capace di pensier graniti, ogni cosa gli vien sotto mauo. Io ho incominciata questa ragia coll’ astuzia la più cimata, e però spe­ronai di vedermela riuscir a bene. Or’ io vo' oggi dar tanti viluppi a questo ruffiano, che ha da esser più intricato di una formica nella cenere. Ehi, Sagaristione, vien fuori e piglia teco la putta, e questa lettera ch'io ho sigillata, e che tu hai por­tato di Persia dal mio padrone.

Sa». A che mi fermo io?Tos. Viva, evviva, vestito come un re! come questa tiara

la dice bene a questo bell’ abito! Guarda come que­ste pianelle van ben attillate al piè di quest' ospi­ta! Avete ben in mente la parte vostra?

Sag. Tanto che non v’ ha tragico o comico che sì ben sappia la sua.

Tos. Oh bene! oh egregiamente! Su via tirati un po’ più in là giù di vista, e sta zitto. Quando mi ve­drai in parole col ruffiano, allora sarà tempo di farsi avanti: ora fate questo, andatevene,

Vol. TV. Flavi. 5

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SCENA II.

D o r d jl v s , T o x il v s .

Don. Quoi homini di propitii sunt, aliquid objiciunt lucri. Nam ego hodie conpendi feci binos panes indies:Ila mea ancilla quae fuil hodie, sua nunc est: ar­

gento vicit:Jam hodie alienum coenabit, nil gustabit de meo. Sum ne probus, sum lepidus civis, qui Allicam ho­

die civitatem M axum am majorem feci atque auxi civi femina? Sed ut ego hodie fu i benignus! ut ego mullis credidi! Nec salis a quiquam homine accepi: ita prorsus

credebam omnibusj Nec melilo, quibus credidi hodie, ne qui in jure m i

abjurassil.Bonus volo ja m ex hoc die essej quod neque fiel ne-

que fuit.Tox. Hunc ego hominem hodie in transennam doctis in­

ducam dolis;llaque huic insidiae paratae sunt probe: adgrediar

virum.Quid agis?

D or. Credod.Tox. Unde agis te, Dordale?D or. Credo tibi.Tox. D i dent, quae velis! Eho, ja m m anu emisisti m ulierem? D or. Credo pol, credo, inquam j tibi.Tox. Jam libertà aucltts?Don. Enicas?

Quin tibi dico credere.Tox. Dic bona fide; jam libera est?

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SCENA II.

D ordalo, T o ssil o .

Don. Gli uomini cui Dio vuol bene, egli dà loro «enft- pre qualche vantaggio. Ora io oggi mi son spa­ragnati due pani al giorno, così colei che fu mia serva, adesso è sua: il denaro l’ ha vinta: oggi mangerà dell’ altrui, e nulla si papperà del mio. Non son io il valentuomo, non sono il buon citta­dino io, se oggi ho fatto crescere il novero de’ cit­tadini d’ Atene di una donna? Qual cortesia fu la

. mia di quest’ oggi! a quanta gente io ebbe fede! nè io aveva malleveria bastevole, e pur tanta fidan­za aveva in tutti; nè ho paura che, coloro a’ quali og­gi ho creduto, mi spergiurino in giudizio. Da questo di io vo’ fare il dabben uomo, il che non sarà, nè è stato giammai.

Tos. Oggi caccierò ben io costui nella ragna, tante trappole gli pendono addosso: 1’ affronterò 1’ uomo che fai?

Dor. Son pieno di fede.Tos. Donde vieni, o Dordalo.Don. T’ ho piena fede.Tos. Dio t’ accontenti in ogni tua voglia! e sì, hai già

fatta libera la donna?Dor. T’ho fede, ti dico, t ’ ho buonissima fede.Tos. E ti se' già fatta la liberta?Dor. T u in’ uccidi: ma se ti dico che ti credo.Tos. Dillomi in buona fede; è già libera?

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D o s.I ad forum ad praetorem: exquaere, siquidem cre­dere mihi non vis.

Libera, inquam, est. Ecquid audis?Tox. A l libi di benefaciant omnes!

Nunquam enim posthac tibi nunc tuorum quod nolisvolam.

D or. A bi, ne ju ra : salis credo.Tox. Ubi nunc tua libertà est?Dos. Apud ted.Tox. Ajin?

Apud me est?D or. AjOj inquam; apud ted est, inquam.Tox. Ita me di ament, ut ob istanc rem

Mulla libi bona inslant a me: nam est res quaedam,quam occtillabam

Dicere tibi; nunc eam narrabo, unde tu pergrandefucrtim

Facias. Faciam, uti memineris mei, dum vitam vivas. D or. Benedictis luis benefacta aures meae expostulant au­

xilium.Tox.Tuom promeritum est, merito ut faciam. Et factu­

rum ul scias, tabellasHas tene; perlege.

Dos. Haec quid a me?Tox. Im o ad te allinent: tua refert.

Namque e Persia ad me adlalce modo sunt islae ameo domino.

D or. Quando?Tox. J/aud dudum.D or. Quid islaec narrant?Tox. E x ipsis perconlare:

Ipsae tibi narrabunt.

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Dor. Va in piazza dal pretore: domanda, se pur non vuoi avermi fede; è libera, ti ripeto: e non m 'a - «colti?

Tos. Dio ti dia cento buon’ anni di bella .vita. Or io non vorrò altro se non che il voler tuo, e quello de’ tuoi.

Dor. Va: non giurarmelo, te lo credo abbastanza.Tos. Ora dov’ è la tua liberta?Dor. In casa tua.Tos. Proprio? in casa mia?Dor. In casa tu a ti dico, in casa tua , in casa tua.Tos. Così Dio mi dia vita, come per questa faccenda ti

verranno mille vantaggi da me: imperciocché v’ha cosa che non mi ricordava dirtela! ora te la dirò, e tu ne trarrai una grande cuccagna. Farò sì che tu m 'abbi sempre nella memoria, finché tu porti vita addosso.

Dor. Io non vorrei di queste tue belle parole, ma dei buoni fatti.

Tos. E pe’ tuoi meriti ne te darò. E perchè sappi se io son proprio »jom da fatti: to’ questa lettera, e leggila.

Dor. E che ha questo co’ fatti miei?Tos. Anzi questo è de’ fatti tuoi, è tutta cosa tua: im­

perciocché questa lettera la mi venne pur ora dal mio padrone recata di Persia.

Dor. Quando?Tos. Non ha molto.D or. E che cosa conta?Tos. Cercane questa, la ti dirà tatto.

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Don. Cedo sane mi.Tox: A l recitalo clare.Dojt. Tace, dum perlego.Tox. Verbum haud faciam.D or.» Salutem dicit Toxilo Timarchides

» El familiae omnt. Si valetis, gaudeoj » Ego valeo tecte et rem gero et facio lucrum,» Neque isto redire his octo possum mensibut.» Itaque hic est, quod me delinet, negotium:» Eleusipolim (&) Persae cepere in Arabia,* Plenum bonarum rerum alque antiquom oppidum;> Ea conparalur praeda, ut fiat auctio» Publicitus: ea res me domo expertem facit.» Operam alque hospitium eqo isti praehiberi volo, » Qui tibi tabellas adfert. Cura, quae is volet:> Nam is honores mihi suae domi habuit m axu-

mos. »'Quid id ad me aut ad meam rem refert, Persae

quid rerum gerant,A u t quid herus tuos?

Tox. Tace, stultiloque: nescis, quid téinstet boni.

Nequidquam tibi Fortuna faculam lucrificam adln-cere volt.

Don. Quae istaec est Fortuna lucrifica?Tox. Islas, quae norunt, roga;

Ego tantundem scio, quantum tu, nisi quod per-• legi prior.'

Sed, ut occoepisli, ex tabellis nosce rem.Don. . Bene me mones.

Fac silentium.Tox. Nunc ad illud venies, quod refert tua.

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Dor.Tos.Dor.Tos.Dor.

Tos.

Dor.Tos.

Dor.Tos.

Dammela.Leggila forte.Sta zitto, ch’ io leggo.Non apro bocca.> Timarchide saluta Tossilo e tutta la famiglia. So » state bene, rallegromi; io sto bène, bado alle » cose mie, e fo quattrini, nè posso tornar qui se » non dopo otto mesi. Ecco quello che qui mi so- » stiene: i Persiani presero Eleusipoli in Arabia, » città antica e piena d’ ogni ben di Dio; or si » raccoglie il bottino, per metterlo pubblicamente » all' incanto, e questa faccenda la mi tien fuori » di casa mia. A chi ti arreca questa. lettera vo- » glio che tu dia opera e albergo: fa quello che » egli vuole, imperciocché egli è de* primi uomini » della sua terra > E che entra questa cosa con me, o co’ fatti miei, e de' Persiani e del tuo pa** drone?Taci, pazzarello, tu non sai bene che ti piova In capo. Non per nulla la fortuna li mostra il lumi­cino della cuccagna.E che lumicin di cuccagna è mai questo? Domandalo a questa lettera, ben lo sà ella: anch’io non ’ne sapeva tanto, se non 1' avessi letta in pri­ma. Ma come hai cominciato conoscerai la cos» dalla lettera.Tu m’ avvisi da amico: non fiatare.Ora tu vieni a quello clic ti fa.

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Don. a Iste, qui tabellas adfert, adduxit simul• Forma expetunda libet'alem mulierem,» Furtive advectam ex Arabia penitissuma;» Eam ie volo adcurare, ut istic veneat;» A t suo periculo is emat, qui eam mercabitur:» Mancupio neque promittet neque quisquam dabit. » Probum et numeratum argentum ut accipiatt face. » Haec cura, et hospes cura ut curetur. Vale. •

Tox. Quid igitur? postquam recitasti, quod erat cerae cre­ditum,

Jam mihi credis?D or. Ubi nunc ille est hospes, hasce qui attulit?Tox. Jam hic, credo, aderit: arcessivit illam a navi. D or. Nil m i opust

Litibus neque tricis. Quamobrem numerem ego ar­gentum foras?

Nisi mancupio accipio, quid eo m ihi opus merci­monio?

Tox.Tacen’, an non taces? Nunquam ega ie tam essematulam credidi.

Quid metuis?Do/1. Meiuo hercle vero: sensi ego jam conpluriens,

Neque m i haud inperilo eveniet tali ut in luto hae­ream-

Tox. Nil periculi videtur.D or. Scio istucj sed metuo mihi.Tox.M ea quidem nihil istuc refertj tua ego refero gratia,

Tibi uti recte conciliandi primo facerem copiam. D or. Gratiam habeo, sed te de aliis, quam alios de te,

suaviustFieri doctos.

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Dor. » L’ uomo che t’ arreca questa lettera conduce seco » una donDa, ma d’una presenza che smaglia, rubata » nel cuor dell'Arabia, io voglio che ti adoperi ac - » ciò la venda, lasciandola a pericolo di chi la com- » pera; egli non promette sicurtà, nè alcuno sarà » per dargliela. Fa sì eh' ci riceva argento di buon » peso, e ben contato: bada a questo, e fa in » modo che 1’ ospite sia contento. Addio. »

Tos. E sì ora? dappoi che hai letto questo scritto mi credi ornai?

-Dor. Dov’ è l’ uomo che ha portata la lettera?Tos. E’ sgrà qui presto: è andato a chiamarla di nave.D or., ’ Non nè ho bisogno io di liti, nè di piastricci. Perchè

devo tirar fuori io questo deoaro? se non son si­curo dell’ acquisto, che uopo ci ho io di un tale negozio?

Tos. Vuoi tacere o no? non t’ho ereduto io mai di pelo così.tondo: che paura è la tua?

Dor. Che paura è la mia, eh? m’ han scottato molte volte: nè questa la saria la prima, da lasciar le scarpe nelle malafitte.

Tos. Io non ci vedo pericolo.Dor. Lo so, ma io temo di me.Tos. Io di questo m’ intasco nulla; Io l ' ho fatto pel

tuo bene, di parlartene difilatamente pel primo.Dor. Te ne fo grazie; ma la è pur buona cosa l'im ­

parare alle spalle degli altri, che gli altri alle tue.

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Tox. Ne quis vero ex Barbaria peniiissumaPersequalurI Eliam tu ili am destinas?

Don. , rideam modoM erc im on ium .

Tox. Aequa dicis. Sed optume, eccum, ipse advenitHospes ille, qui has tabellas attulit.

Doni Hiccine est?Tox. Hic est.Don.Haeccine illa est furtiva virgo?Tóx. Juxta tecum aeque scio,

N isi quia adspexi. Et quidem edepol liberatisi, quis­quis est.

D or. Sal edepol concinna facie est.Tox. XJl contemlim carnufex! —

Taciti contemplemur form am .Dos. Laudo consilium luom.

SCENA III .

S j g a r i st io, V irgo, T o x il v s , D o r d a l v s.

S jg . Satin" Alhenae tibi sunt visae fortunatae alque opi­parae?

Vm. Urbis speciem vidi, mores hominum perspexi parum. Tox.Num quid principio cessavit verbum docte dicere? D or. Haud potui etiam in primo verbo perspicere sapien­

tiam.S ag. Quid id, quod vidisli? ut m unitum m uro tibi visum

oppidum est?Vm. S i incolae bene sunt morati, pulcre munitum arbi-

trorj

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Tos. Si che le si vorrà dietro correr fin dal cuor dell’ Arabia! e ancora indugi a comperarla?

D o r . Vedrò la mercanzia.Tos. Dici bene. Ma ve’, a tempo: ecco se ne viene l’o­

spite che ha portalo la lettera.Don. È costui?Tos. Costui.Dor. E ja fanciulla rubata è questa?Tos. Io ne so tanto come te, perchè non l’ho veduta:

ma gli è pure il bel visin fiorito, chiunque ella sia.

Don. La è belloccia davvero.Tos. Ve’ con che mal garbo il manigoldo: adocchiamola

senza parlare.Dor. Sono col tuo consiglio.

SCENA III.

Sa g a r istio n e, F anciulla, T o ssil o, D o r d a lo.

Sag. E ti parve Atene città abbastanza fortunata e ricca?

F an. Ho veduta la città, ma poco ne ho conosciuto gli uomini

Tos. Non T ha già sin da principio sputata fuori una bella parola?

Dor. Non ne ho potuta ritra rre così di botto la sapienza.Sag. £ sì mo in quello che hai veduto? E non la ti

sembrò ben munita di mura la città?F an. Se chi l’ abita è buona gente, allora ben munita

la credo io; se dalla città son bandite la mala fede,

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Perfìdia et peculatus ex urbe et avaritia si exidant, Quarta invidia, quinta ambitio, sextad obtrectatio, Septumum perjurium . . .

Tox. Euge!V ia , Octava Indiligentia,

N ona injuria, decumum, quod pessumum adgressu,Scelus.

Haec n i aberunt, rebus servandis centuplex murusparum est.

Tox. Quid ais tu?D or. Quid vis?Tox. Tu in illis es decém sodalibuss

Te in exilium ire hinc oportet.D or. Quid ja m ?Tox. Quia perjurus es.D or. Verba quidem haud indocte fecil:Tox. Ex tuo, inquam, uSu est: eme hanc.DoR.Edepol quin, quom hanc mage contemplo, mage

placet.Tox. S i hanc, emeris,

D i immortales/ nullus leno te alter erit opulentiorj Evorles tuo arbitratud homines fundis, familiisj Cum oplumis viris rem habebisj gratiam cupient

tuam:Venient ad te commissatum.

D or. A t ego intromitti vetuero.Tox A t enim illi noctu occentabunt ostium, exurent fo­

ris:/Proinde tu libi jubeas concludi aedis foribus ferreis, Ferreas aedis conmutes, limina indas ferrea, Ferream seram atque anellum: ne, si ferro parseris, Ferreas tibi tute inpingi jubeas crassas conpedis.

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l’estorsione, l’ avarizia; per quarta l’ invidia, quinta l ’ ambizione, sesta la maldicenza, settimo lo sper­giuro . . .

Tos. Viva!Fam. La pigrizia per l’ ottava, nona l’ ingiuria, e per

decimo quello che è più tristo di tutti la scelle- raggine. Se non sori lontani questi mali, a conser­varla són pochi ancora cento muri.

Tos. Tu che dici?Dor. Che vuoi?Tos. Tu se' di quel buon dieci, tu dovresti pigliar il

bando.Dor. • Perchè?Tos. Perchè sé' spergiuro.Dor. La non ha parlato male.Tos. Ella è fatta pel caso tuo: comperala.Dor. Poffar’ il mondo! quanto più la guardo, di dieci

tanti la mi piace.Tos. Se tu ne fai 1’ acquisto, domine! qual pollastriere

nuoterà meglio nel lardo? a tuo senno scorticherai gli uomini e de' fondi e de’ servi: tu avrai a che fare cogli ottimati: vorranno la tua grazia: verranno a pranzare in casa tua.

Dor. Ma io serrerò 1' uscio.Tos. Ebbene? eili di notte verranno a farvi fracasso, e

t ’ abbrucieran le imposte: infine per salvarti dovrai chiuder la casa con porte di ferro! tu dovrai farti una casa di ferro, le soglie di ferro, di ferro la toppa e la spranga, perchè, se sparagni il ferro, non abbi tu a dar ordine che ficchino te in pastoje di ferro ben grosse.

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Don. I in malum cruciatum!Tox. I sane/ — Ilanc eme. Ausculta mihi.D or. Modo uti sciam , quanti indicet.Tox. F in’ huc vocem?Don. Ego illo accessero.Tox. Quid agis, hospes?S j g . Fcnioj adduco istanc, u t dudum dixeram.

Nam heri in portum noctu navis venitj venire hancVOlOj

S i potest, si non potest, ire hinc volo, quantum potent. D or. Salvos sis, adulescens.S jg. S i quidem hanc vendidero pretio suo.T o x .A tq u i aut hoc emlore vendes pulcre, aut alio non

p&tcs.S jg . Esne tu huic amicus?Tox. Tanquam di omnes, qui coelum colunt.D or. Tum tu m i es inimicus certus nam generi lenonio

Nunquam ullus deus tam benignus fuit, quin fu­erit — propitius.

S jg . Hoc age. Opusne est hac libi emta?D or. S i libi venisse est opus.

Mihi quoque emta estj si tibi subiti nihil est, tan­tundem est mihi.

S jg . Indicaj fac pretium.D or. Tua merx est: tua indicatio est.Tox.Aequom hic orat.S jg . Fin’ bene emereD or. Fin ' tu pulcre vendere?Tox. Ego scio hercle, ulrnmqtie velle.Don. Age_, indica prognariter.S jg. Prius dico: hanc mancupio nento tibi dabit. Jam scis?

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Dor. Vann* al diavolo!Tos. Va tu. — compera costei: fa a modo mio.Dor» Purché sappia a che prezzo la si abbia.Tos. Vuotu che il chiami qua?Dor. Mi farò io più dappresso.Tos, Ospite, che si fa?Sag. Vengoj e ho meco costei, come avea dello pur

ora. Imperciocché toccò jeri la nave al porto, e sé è possibile io voglio vendere questa femmina, e se non si può, voglio andarmene quanto prima.

Dor. Iddio t’ ajuti, o giovane.Sag. Se pur io venderò costei al suo prezzo.Tos. Meglio di costui, non ti puoi imbattere kin [altro

compratore.Sag. Se' tu amico di costui?Tos. Come tutti gli Iddii che stanno in cielo.Dor. Cagna! tu mi se’ cordial nemico: imperciocché alla

razza ruffianesca non v’ ha Dio così benigno, che, puh! — le abbia fatto buon viso.

Sag. Or bada qua. Ha tu bisogno di questa compera?D o r. Se tu vuoi farne vendita, fa conto 1’ abbia compe­

ra: se tu hai nulla che ti faccia fretta altrettanta ne ho anch’ io.

Sag. Su adunque: fa tu il prezzo.D or. Tua è la roba, sta a te il farla.Tos. E ' parla bene.Sag. Yuotu ben comprarla?Dor. E tu vuoi ben venderla?Tos. Io so che vuol l’ uno e 1’ altro.Dor. Su adunque, dàlia fuori.Sag. Anzi ogni cosa ti dico: di questa femmina niuno

ti darà malleverìa. Lo sai.

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Don. Svio.Indica, minumo dalums qui sitj qui duci queat.

Tox. Tace, tace: nimis tu quidem hercle homo stultus espueriliter.

D or. Quid ila?Tox. Quia enim te ex puella prius percontari volo,

Quae ad rem referunt . . .D or. A tquin hercle tu me m onuisti

haud male.Fide, sis: ille ego doctus leno pene in foveam decidi. Ne hic adesses. Quamlum est adhibere hominem a-

inicum, ubi quid geras/ Tox. Quo genere aut qua iit patria sit nata, aut quibus

purentibus:Ne temere hane te emisse dicas suasu atque in-

pulsu (9) meo.Nisi molestum est, percontari hanc paucis hic volt.

S jg. M axum t,Suo arbitratu.

Tox. Quid stas? adi tute, atque ipsus itidem roga, Ut ibi percontari liceat, quae velis, etsi mihi Dixit dare potestatem ejus; sed ego le malo tamen Ipsu eum adire, ut ne contemnat te ille.

Dos. - Salis recte mones.Hospes, volo ego hanc percontari.

S jg . A terra ad coelum quid lubet.Don. Jubedum ea huc accedat at me.S j g . I sane, ac morem illi gere. —-

Percontare, exquaere quidvis.Tox.- Age, age nunc tu, i prae. Fide, ul

Ingrediaris auspicato.

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Dor. Sonimelo. Sentiamo: ma ristretto a cui tu puoi, lasciarla.

Tos. Zitto, zitto: mai più non crédeva io che tu avessi cosi mangiato il pan de’ putti. '

Dor. Perchè?Tos. Perchè prima vo* ricercar alla giovane, quelle cose

che fan duopo . . .Dor. Tu m’ hai dato un avviso che vale un mondo-

Guarda che quel ruffian si trincato, come son io, a momenti dava in trappola, se qui tu non eri. Oh quanto dice buono a fianchi un amico, se fai qual­cosa!

Tos. ' Di qual loco, in qual patria sia nata e da quali parenti: acciò tu non abbi a cantar poi d’ averla compera a chius’ occhi, per consiglio e spinta mia. Se non t ’ è di noja; vorrei chieder poche cose a costei.

Sag. Niente affatto: quante ne vuoi.Tos. E che stai lì dunque? fatti innanzi, e ricercala? af­

finchè tu possa richiederla di quello che vuoi, av­vegnaché mi abbia detto di lasciarmi ogni agio: ma io amo meglio che sii tu a parlargli, acciò egli non faccia poco conto di te.

Dor. Viva, e un altro buon consiglio! Ospito, io vo’ do­mandar costei.

-Sag. Alto e basso finche ti calza.Dor. Fammela avvicinare adunque.Sag. Va! e sàppi bene irgli alla seconda. Domanda,

e ridomanda quello che vuoi.Tos. Su presto, va innanzi: guarda con che auspicio ti

metta in cammino.Vol. IV. Plait. 0

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V in . L iquidum est auspicium.Tox. Tace. —

Concede, sis: ja m ègo illam adducam.Don. Age, ut rem esse in ttosiram putas.Tqx. Sequere me. — Adduco hanc, si quid vis ex hac

perconlarier.Don. Enim volo te adesse.Tox. Haud possum, quin huic operam dem hospiti,

Quoi herus jussit. Quid, si hic non volt me adesseuna?

S jg . Im o i modo.Tox. Do ego tibi operam.Don. Tibi ibidem das, ubi tu tuom amicum adjuvas. Tox.Exquaere. — Heus tu, advigila.Fm . Satis est dictum. Quamquam ego serva sum,

Scio ego officium meum; ut, quae rogitet, vera, utaccepi, eloquar.

Tox. Virgo, probus est hic homo.Fm . Credo.Tox. Non diu apud hunc servies.V in .Ita pol spero, si parentes facient officium suom. Don. Nolo ego te m irari, si nos ex te percontabimur

Aut patriam tuam, aut parentes.Fm . Cur ego id mirer, m i homo?

Servitus mea m i interdixit, ne quid mirer meumm alum .

Tox.D ivi istam perdant! ita cata est et callida.Habet cor. Quam dicit, quod opust/

Don. Quod nomen tibi est?Tox, Nunc metuo ne peccet.Vin. Lucridi tiotnen in patria fuit.

Page 81: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

F ar. L 'auspicio non può esser più bello.Tos. Sta zitta. — Vien qua, ornai te la condurrò io.Dor. Adoperati, come tu fossi un altro noi.Tos. Seguimi. — Io ti conduco costei se bai qualcosa

a chiederle.Dor. Ma voglio che tu sii presente.Tos. Non posso: io bisogna che ajuti quest’ ospite con­

forme ha ordinato il padrone, fi che se egli non vuole eh' i’ mi ritrovi?

Sag. Anzi va pur franco.Tos. Io aro il tuo fondo.Dor. Anzi il tuo, quando fai servigio all' amico.Tos. Animo a chiedere. — Ehi tu, non fare il dormi.Far. Quante chiacchere. Sebben sia serva, so qual è il

dover mio, di risponder vero a quello eh’ ei mi cerca.

Tos. Fanciulla, questi è dabben uomo.F an. Credolo.Tos. Non starai molto al suo servizio.Fan. Sì spero anch’ io, se i parenti sanno il dover loro.Dor. Non farti le maravigfie, se noi ti ricerchiain della

patria e de’ parenti.Fa&. Perchè ho da meravigliarmene, buon uomo? La mia

schiavitù la mi costringe a non maravigliarmi di nulla.

Tos. Il canchero che la mangi! che volpe bercttina è costei! che senno! la non ne dice una fuori di tempo!

Do». Qual nome è il tuo?Tos. Ahimè! qui temo d’ uno scapuccio.Fan. Lucridc mi chiamai a casa mia.

Page 82: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Tox. Nomen'atque àmen quanlivis esi prèti. Quin tu hanc) emis? —

Nimis pavebam ne peccaret. Expedivit.Don. S i te emam,

Mihi quoque Zticndem confido fore te.Tox. Tu si hanc emeris,

Nunquam hercle hunc mense m vortentem, credo, te r rvibit tibi.

Dos. Ita velim quidem hercle.Tox. Optata ut evenant, operam addito.—

Nihil adhuc peccavit etiam.D or. Ubi tu naia es?V i r . Ut mihi

Maler dixit, in ( \0 ) culina, in angulo ad laevammanum.

Tox, Haec eril libi fausta meretrix: nata est in calidoloco,

Ubi rerum omnium bonarum copia est sapidissuma.— Tàctust leno, qui rogarat, ubi naia esset, dicerel. Lepide lusit.

D or. A t ego patriam te rogo quae sit tua.V ir . Quae m ih i sit, n isi haec ubi nunc sum?D or. A t ego illam quaero, quae fuil.V is . Omne ego pro nihilo esse ducto quod fuit, quando

fuit.Tamquam hominem, quando ànim am eeflavit, quid

eum quaeras, qui fuil? Tox.Jta me di bene ament, sapienter! atque quidem mi­

seret lamen.Don. Sed tamen, virgo, quae patria est tua? age, m i ac­

tutum expedi.Quid taces?

Page 83: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

ToS. Oh bèl nome! oh bell’ augurio! e che? non la coin- peri? io avea le febbri che la uni desse in uno spro­posito: seppé cavarsene.

Dòr. S’ io ti compero spero che sarai Lucride anche a me.

Tos. Tu, se fai questo acquisto; avvisomi, non l’ avrai per serva questo mese vertente.

Dor. Cosi vorrei anch’ io.Tos. Mano a’ martelli quando il ferro è caldo. — Sino­

ra la si portò bene.Dor. Dove se’ nata?F an. A quello che, dissemi la madre, in cucina, in un

angolo, a mano manca.Tos. Costei la ti sarà pur la fausta cortigiana, ella na­

cque al caldo, in un luogo ove è l’ abbondanza del miglior ben di Dio. — È tocco il ruffiano che le avea detto la manifestasse dove fosse nata. L’ ha burla fu assai bella.

Dor. Ma io domando qual sia la tua patria.F an. E quale tu vuoi che siami, se non questa dove

sono?D o r. I o intendomi quella che ti fu una volta.F an. Io non fo caso nè del passato, e del quando ei

sia passato. Allorché un uomo ha sputato l’ anima, a che vuoi tu dimandargli chi sia stato egli?

Tos. Cqsì Dio mi prosperi, d i che cima di senno! mera sa proprio male.

Dor. Ma pur, Fanciulla mia, qual’ è la tua patria? deh cavami presto questa spina, che non rispondi?

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F ir . Ùico equidem. Quando hic servio, haec pairia estmea.

Tox. Jam de tsloc rogare omitle. Non vides, noìle eloqui, Ne se suarum miseriarum in memoriam inducas?

Don. Quid esl7Captusne est pater?

F ir . Non caplusj sed, quod habuit, perdidit.Tox.Haec erit bono genere nata: uil scit, nisi verum

loqui.D or.Q uìs fuit? dic nomen.F ir . Quid illune miserum memorem , qui fuit?

Nunc et illune Miserum et me Miseram aequom estnominarier.

D or. Quojusmódi est in populo is habitus?F i r . Nemo quisquam acceptior:

Servi liberique amabant.Tox. Hominem miserum praedicas:

Qnom ipsns perditus probe est et benevolentis per­didit.

D or. E m am , opinor.Tox. Eliam « Opinor? »D or. Sum m o genere esse arbitror.Tox. Divitias tu ex istac facies. -D or. Ila di faxin llT ox .- Eme modo.F i r . Jam hoc tibi dico: actutum ecaslor meus pater, ubi

me scietFenisse, aderit huc, et abs te me ‘redimet . . .

Tox. Quid nunc?Don. Quid est?Tox. Audin’, quid ait?

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F an. Anzi io parlo: dappoiché io son qua serra, la mia patria è questa.

Tos. Ornai finiscila dal richiederle cotesto. Non vedi, ch’ ella non vuol parlare, per non recarsi alla mente le sue disgrazie?

Dor. E si? fu preso tuo padre?Far. Non fu preso: ma ha perduto quanto ebbe.Tos. Costei l’ ha da essere di buona famiglia: la non

sa dir altro che la verità.Dor. E chi fu egli? dimmene il nome.Fan. E perchè devo ricordar io quello 'sgraziato? ora

si potria chiamare lui Misero, e me Tapina.Dor. E come era egli avuto dal popolo?Fan. Non vi avea persona più ben voluta .di lui: era

1’ amore de’ servi e de’ cittadini.Tos. Egli è misero daddovero: essendo egli ridotto alla

candela ha perduto anche tutti benevoli.Dor. Io sono per farla mia.Tos. E ancora, » Io sono? »Dor. Io la credo di buon Casato.Tos. " Tu per costei farai denari a mucchi.Dor. Dio il volesse!Tos. Purché la compri.Fan. Or io non ti dico altro: appena risaprà mio padre,

, dove io son venduta, verrà qua, e tosto mi ricom­pererà da te . . .

Tos. E che ora?Dor. Che hai?Tós. Non le senti queste parole?

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F ih. N am elsi res s u n i fractae, am ici sunt tam en. D or. JYe sis plora: libera eris actutum, si crebro cades.

Fin' mea esse?Fir . Dum. quidem ne nimis diu tua sim, volo.Tox. Satin’ ut meminit libertatis? Dabit haec tibi grandis

bolos.'Age, si quid agis/ Ego ad hunc redeo. — Sequere. —

Reduco hanc tibi.D or. Adulescens, vin’ vendere istanc?S ag. Mage lubet, quam perdere.'Tox. Tum tu pauca in verba confer: qui datur, tanti

indica.S jg . Faciam ita, ut te velle video. Habe tibi centum minis. D or. Nimium est.S jg . Octoginta,-D or. Nimium est.S jg . Numus abesse hinc non potest.

Quod nunc dicam.D or. Quid id est ergo? eloquere actutum atque indica. S jg. Tuo periclo sexaginta haec dabitur argenti minis. DoR.Toxile, quid ago?Tox. D i dcaeque te agitant ira ti, sqelus,

Qui hanc non properes destinare/Dos. Habebo.Tox. Eu, praedatus probe/

(A b i, argentum effer huc.)Non edepol minis trecentis cara est. Fecisti lucri.

S jg . Heus tu, etiam pro vestimentis huc decem accedentminae.

D or. Abscedent enim , non accedent.

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Fan. Imperciocché, sebbene noi siam ridiati al lastrico* tuttavia amici abbiam molti.

Dor. Non piangere: sarai presto libera, se ‘saprai ca­scar di spesso. Vuoi tu esser mia?

F an. Purché non lo sia per molto, lo voglio.To«,.' E non se’ contento? la si crede ancor libera: costei

la ti farà cascar i fegatei dalle calcagna: or che t 'è venuta la palla al balzo, su, dàlie di colpo! io torno a costui. — Seguimi: — io te la rimeno.

Dor. Dimmi, quel giovine, vuoi tu venderla?Sag. Si, piuttosto che perderla.Tos. Allora reca tutte le parole in una, dicci prezzo

a che ce la dài.Sag. Farò così conforme vedo che vuoi. È tuar per cento

mine.iDor. Troppo.Sag. Ottanta.Dor. Troppo.Sag. Non vi si può to r via un quattrino da quanto ho

detto.Dor. E sì a d u n q u e ? s b r ig a t i , s e n t ia m o .

Sag. A tutto risico tuo darai sessanta mine d’ argento.Dor. Tossilo, che fo io?Tos. Tu se’ in odio agli dei e alle dee, mariuolaccio, e

che non t ’ affretti a comprarla?Dor. È mia.Tos. Viva! l’uccello è nel carniero! ( va, porta fuori il da­

naro ). Non la saria cara per trecento mine: hai fatto buon guadagno.

Sag. Ohe! per le vesti ci aggiungerai dieci mine.Dor. Anzi saran disgiunte e non aggiunte.

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Tox. Tace, sis: non tu illune videsQuaerere ansam, infectum ut faciat? Abin’ atque

argentum pelis?D or. H em iu, «erto islunclTox. . Quin tu intro is?D or. Abeo alque argen ton i adfero.Tox. Edepol dedisti, virgo, operam adlaudabilem.

Probam et sapientem et s o b r i a m 'Fir . S i quid bonis

Boni fit, esse idem et grave et gratum solet.Tox.Audin’ tu, Persa ubi argentum hoc acceperis,

Simulato J quasi eas prorsum in navem.S jg. N e doce.Tox. Per angiportum rursum te ad me recipito

Illae per hortum.S jg . Quod futurum est, praedicas.Tox. A t, ne cum argento protinam permutes domum.

Moneo te.S jg . Quod te dignum est, me dignum esse vis?Tox. Tace; parce voci:-praeda progreditur foras.D or. Probae hic argenti sunt sexaginta minae,

Duobus nnmis minus.S jg . Quid ei num i sciunt?Don. Crumenam hanc emere, aut facere uti remigret do­

mum .S jg. N e non sat esses leno, id metuebas, miser,

Inpure, avare, ne crumenam amitteres?Tox. Sine, quaeso: quando leno est, nil m irum facit.Don. Lucro faciundo ego auspicavi in hunc diem:

N il mihi tam parvi est, quin me id pigeat perdere. Age, accipe hoc, sis.

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Tos. Taci, o bestia, non vedi tu cIk* e ’ cerca qualche tra­ghetto per romper il negozio? va, e reca fuori#i quat­trini.

Dor. Ehi tu, guarda che non mi scappi!Tos. E che non vai dentro? ..Dor. Vado, e porto 1’ argento.Tos- In fè, putta mia, che ci hai tenuto il sacco assai

bene, e proprio da valente e brava donna.Fan. Se si reca servigio agli uomini dabbene, e’ non

se ne dimenticano c 1’ hanno caro.Tos. E tu, Persiano, ascolta; appena hai nell’ ugne i

quattrini, fingi che te ne debba andar subito in nave.

Sag. Non farmi il maestro.Tos. E pel chiassetto vieni in casa mia dalla parte dcl-

1’ orto.S ag.. T u di’ quello che vorrà essere.Tos. Ma te lo dico, perchè non vorrei che tu col denaro

avessi a cambiar porta.Sag. Quello che è de’ pari tuoi, vuoi che lo sia de’ mici?Tos. Sta zitto, bassa la voce: vien fuori la starna.Dor. Qua entro sono sessanta mine d’ argento, men

due denari.Sag. E che si vogliono questi denari?Dor. 0 che la borsa si comperi, o chè la torni a casa.Sag. Gaglioffo! e temevi forse di non esser ruflian cimato,

o sozzo barbino? avevi paura di perder la borsa?Tos. Oh cessa in grazia: egli è ruffiano, e non fa cosa

nuova.Dor. Ho tratti i miei auspici oggi di far buon civanzo,

nè v’ ha patacca che non -m’ Innesca perdere. Togli, prendi questo, se lo vuoi.

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Sa g . H unc in collum , n isi-p iget.Inpone.

D or. Fero fiat.S jg . . Numquid ceterum

Me vollis?Tox. Q u id ta m properas?S ag. Ita negotium est:

Mandatae quae sunt, volo deferre epislolasj Geminum autem fratrem servire audivi hic meum: Eum uti requiram ego atque uti redimam, t olo.

Tox. Atque edepol tute me conmonuisti haud male: Videor vidisse hic form a persimilem tui,Eadem statura.

S ag. Quippe qui frater siet.D or. Sed scire velimus, quod tibi nomen siet.Tox. Quid allinet, nos scire?S ag. Ausculta ergo, ut scias:

Vaniloquidorus, f i i ) Virginisvendonides,Ntigipalamloquides, Argentiexterebronides, Tedigniloquides, Numdesexpalponides, Quodsemelarripides, Nunquameripidet postea.

D or. Heu hercle nomen multimodum scriptu est tuom .S ag. Ita sunt Persarum mores: longa nomina

Conlorplicata habemus. Numquid ceterum , Voltis?

D or. Vale.S ag. Et vos. Jam animus in navi est meus.D or. Cras ires potius, hodie hic coenares. Vale.Tox. Postquam illic abiit, dicere hic quidvis licet.

Nae, hic tibi dies inluxil lucrificabilis:N am non emisti hanc, verum fecisli lucri

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Sac. Se, non t ’ è fatica mettimelo sul collo.Dor. Niente affatto.Sag. Mi volete voi altro?Tos. Perchè tanta fretta?Sag. Si voglion le faccende mie: vo ricapitar quelle let­

tere che m’ han raccomandate; ho sentito che qui serve mio fratello, io vo cercarne e ricompe­rarlo.

Tos. In fé del mondo che tu non m’ hai avvisato male: panni aver veduta persona che ti rassimjglia, del­la tua stessa statura.

Sag. £ ’ sarà mio fratello.Dor. Ma noi vogliam sapere il nome tuo.Tos. E che importa saperlo?Sag. Ascoltami adunque e lo .saprai. Vaniloquidoro.,

Verginisvendonide, Nugipalamloquide, Argentestere- bronide.,'Tedegnoloquide, Numdesespalponide., Quod- semelaripide, Unquameripide.

Dor. Cacasangue! ià quante forme si scrive il tuo nome.Sag. Cosi sono i nomi de’ Persiani: noi gli abbi am lunghi

e bitorzoluti. Vi possJ io in qual cosa?Dor. ; Sta bene.Sag. Anche voi altri. Io ho tutto il .cuore in nave.Dor. Avresti potuto ire domani, e oggi far qui carità

con noi. Buon dì.Tos. Dappoi eh’ e’ se n’ andò, noi qui possiam parlare

a sicurtà. Cazzica! giorno che ti fu questo di cuc- . cagna: imperciocché tu non 1’ hai compera costei,

ma 1’ hai avuta a macca.

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D or. Ille quidem ja m sc it, quid negali gesserit,Qui mihi furtivam m ea periclo vendidit Argentum accepit, abiit j qui ego nunc scio,A n ja m adseratun haec manii? quo illum sequar? In Persas? nugas.

Tox. Credidi gralum foreBeneficium meum apud le.

D or. Im o equidem gratiamTibi, Toxile, habeo: w m le sensi sedulo Mihi dare bonam operam.

Tox. Tibm ’ ego? imo; — sed mihi.D or. A lia i! oblittis sum intus dudum edicere,

Quae volui edicta. Adserva, hanc.Tox. Salva est haec quidetn.Vi r . Pater nunc cessat.Tox. Quid, si admoneam?V im. Tempus est.

SCENA IV.

S j t (j r i o , To xilu s, V irgo.

Tox. Hem, Salurio, ex i! nunc est illa occasio Iuim icum ulcisci.

S j t . Ecce me! numquid moror?Tox. Age, illuc abscede procul e conspectu et tace.'

Ubi cum lenone me videbis conloqui,Tum turbam facilo.

S j t . D idum sapienti sat est. •

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Dor. Ma sallo meglio di me quell’ altro, negozio che si abbia fatto; avendomi venduta una' putta rubata a tutto mio pericolo. Intascato che si ebbe l’argento, e’ se l’ ha fatta con Dio; e che mi so io adesso se la si verrà a dichiarar franca? dove dovrò se­guirlo? in Persia? Sogni.

Tos. Io credeva che tu me ne sapresti buon grado.Dor. Anzi te ne ho moltissimo, o Tossilo, imperciocché

ho veduto che per me ti se' messo a piedi e a ca­vallo.

Tos. A te io? anzi, — a me.Dor. Sta, sta! mi son dimentico, d’ ordinare in casa

quello, che voleva dire. Attendi a costei.Tos. Questa è salva.F ar. Pena un po' troppo mio padre.Tos. E che se lo chiamo?F an. È tempo.

SCENA IV.

Saturione, Tossilo, F anciulla.

Tos. Ohe, Saturione, vien fuori, venne 1’ ora di rifarsi del nèmico.

Sat. Eccomi! son pigro io?Tos. Va, dilungati un po' giù di vista e non far motto.

Quando mi .vedrai in chiacchere col ruffiano, al­lora tu vien qua a far scalpore.

S at. A buono intenditor poche parole.

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SC E N A V.

D oRDJLUSj T o x il v s .

Don. Transcidi loris omnis adveniens domi,Ila mihi suppellex squalct alque aedes meae.

Tox.Redis tu tandem?D or. Redeo.Tox. Nae ego hodie bvtiatn

Tibi vilam feci.D or. Faleor: habeo gratiam.Tox.N um quidpiam aìiud me vis?D or. Vi bene sii libi.Tox. Pol istuc quidem omne jam ego usurpabo domi:

N am ja m inclinabo me cum liberta tua.

SCENA VI.

S aturio, D obdalus, F irgo.

S a t. Nisi ego illune hominem perdo, perii. Alque opiume Eccum ipsum ante aedis!

V i r . Salve mullum, m i paler.S at. Salve, mea gnata.D or. Hei, Persa me pessumdediUV ir . Pater hic meus est.D or. Hem, quid? pater? Perii oppido/

Quid ego igitur cesso infelix lamentatici'?Slinas sexaginta?

S at. Ego pol te faciam, scelus,Te quoque etiam ipsum ut lamenleris.

Page 95: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

SCENA V.

D orda lo, T o ssil o.

Dor. Appena messo piè in casa ho ro tte tutte le fruste: v’eran tre dita di polvere in te rra e sulle robe.

Tos. Torni sì presto?D o r. Torno.Tos. Io t’ ho proprio oggi cresciuta di cento buoni

anni la vita.D o r. È v e ro , e te n e fo g ra z ie .

Tos. T’ abbisogno io adesso in qualcosa?D o r. In buona salute.Tos. Così mi troverò io in casa, imperciocché vo’ pro­

prio godermela colla tua liberta.

SCENA YL

Saturio ne, D ordalo, F an ciulla.

Sat. Se. io non sconfiggo quest’ uomo, io son diserto. Ottimamente, vello qui in anima ed in carne sopra la porta.

F an. Iddio vi prosperi, o padre.Sa t. _ Addio, figliuola.D o r. Ahi! quel Persiano m ’ ha rovinato.F an. C o s tu i è m io p a d re .

Dor. Che? come? padre? io son morto! e che non caccio fuori lagrim e a ciocche? e le sessanta mine?

S a t. Io farò, o manigoldo, che tu abbi a piangere te stesso.

Yol. IY. Pia v i. 7

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D or. Occidi!S at. Age, ambula iti jus, leno.D or. Quid me in ju s vocas?S j t . Illi apud praetorem dicam.D or. Sed ego . . .S a t. In jus voco.D or. Nonne antestaris?S a t. Tuan* ego causa, carnufex,

Quoiquam mortali libero auris alleram,Qui hic conmercaris civis homines liberos?

D or. Sine dicam.S a t. Nolo.D or. Audi.S j t . Sum surdus. Ambulal

Sequere hac, scelesta feles virginaria!Sequere hac, mea nata, me usque ad praetorem.

Vir . Sequor.

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Dor. Son perduto! "Sai;. Su, ya in giudizio, ruffiano.Dor. Perchè mi chiami tu a corte?Sat. L o dirò al pretore.Dor. . Ma io . . .Sat. Ti chiamo in giudizio.Dor. E non hai testimoni?Sat. Cagion tua, assassino, logorerò le orecchie io ad

uu libero, quando qui tu fai mercato di carnè cittadina?

Dor. Lasciami parlare.Sat. Mai no. 'Dor. Ascolta.Sat. Son sordo. Cammina da questa parte, o gatto

di donne! e tu vien per di qua meco fino al pre­tore.

F ax Ti seguo.

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a c t u s r.SCENA I.

T o x ilv s, S agaristio, L e m m s e l e n e .

T o i .Hostibus vic iis, civibus salvis, re p lacida , pacibusperfectis,

Bello exlinlo, re bene gesta; integro exercitu et praesidiis, Cum bene, Jupiler, ju v is ti, dique a lii omnes coeli-

potentes,E a vobis gratis habeo alque ago: quia probe sum

ultus m eum in im icum . N unc ob eam rem in ter participes d ividam praedam

et partic ipabo ,Ile foras: hic volo ante ostium et ja n u a m meos p a r­

ticipes bene accipere ego. S ta tu ite hic Lectulos: ponite hic, quae adsolent. <H ic sta tu i volo p rim u m aquolam ( i 2 ) m ihi, unde

ego om nis hilaros, lubenlis, L aetificantis fa c ia m ut fiant, quorum opera haec

m ih i facilia factu F acta sunt, quae volui ecficere: n am im probus est

hom o, qui accipere S cit beneficium et reddere nescit.

L em. Toxile m i, ego cur sine le sum ?Cur tu autem sine m e es?

Tox. A gedum ergo, accede, m ea, ad m e, et am plecteris. L em. Ego vero. Oh, nihil m age dulce estt

Sed, am abo , oculus meus, quin lectis non actu tumcommendamus?

Page 99: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

ATTO V

SCENA I.

T ossilo, Sa g aristio ne, L em n isilen e.

Tos. Vinti i nemici^ salvi i cittadini, quieta ogni cosa, conchiusa la pace, estinta la guerra, condotta a buon termine l ' impresa, intero 1* esercito e i pre- sidii, io fo a te moltissime grazie, o Giove, e a tutti voi altri dei potenti del cielo perchè mi son presa buona vendetta del mio nemico. Ora per tanto dividerò il bottino a miei commilitoni. Venite fuori, qui fra 1’ andito e la porta vo’ render mer­cede a’mici sozii, preparate le letta: e qui mettete le mense al solito. Io voglio che mi si metta in ta­vola 1’ acqua, dond’ io farò che tutti sieno allegri, piacevoli, giovialoni, quelli per la cui opera spezial­mente m’ avvenne questa buona ventura. Imper­ciocché troppo è tristo quell’ uomo che sa ricevere e non rimunerare il beneficio.

Lem. 0 mio Tossilo, perchè io sono senza di te? per­chè tu se' lontano da me?

Tos. Vien qua, viso mio fiorito, vieni a me ed abbrac­ciami.

Lem. Io, con tutto il cuore. Oh! non ho delizia più gran­de! ma deh, pupilla mia! e perchè non ci poniamo a letto noi?*

Page 100: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Tox. Omnia quae vis, ea cupio.L em. M utua flunt a me.Tox. Age, age ergo.

Tu, Sagaristioj adeumbe in summo. ( lo )S ag. Ego nil mororj cedo parem, quam pepegi.Tox. Temperi.S ag. M i islue tem peri sero est.Tox. Hoc age: adeumbe! hunc diem suavem

Meum nalaleni agitemus amoenum! date aquammanibus! ponite mensam!

Do hanc libi florentem florenti. Tu hic ens dicta­trix nobis.

Age puere, a summo septenis cyathis hos conmilteludos.

Move manus! propera! tarde cyathos, Poegnium ,m ihi das. Cedo sane!

Bene mihi! bene vobis/ bene amicae meae! bene om­nibus nobis!

Optalus m i hic dies dalus hodie est ab dis, quia telicet amplecti

Liberam me.L em. T ua facium opera.

Hoc mea manus tuae poclum donat, amantem a-m anti uli decet.

Accipe!Tox. Cedo! Bene ei, qui m i invidet, el qui hoc gau­

det gaudiot

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Tos. Io voglio ogni piacer tuo.

Leu. E io lo ne ripagherò.

Tos. Su prèsto adunque. Tu, Sagaristione, mettiti in capo.

Sag. Non me ne monta: dannai solo quello che ho sbor­

sato.

Tos. A suo tempo.

Sag. Questo a suo tempo a me è un anno.

Tos. Oh vien qua; siedi! passiamo allegramente questo bel

giorno che m’ è il natalizio! Date 1’ acqua alle mani,

mettete le tavole!, io do questa ghirlanda a te, mio

bel fioré1. Tu qui sarai la regina del convito. Su,

o fanciullo, fa baloccar là in capo sette be’ pe-

cheri; muovi quelle mani! fa presto! se’ pur lento,

o Pegnio, in darmi queste ciotole. Dammele! prò a

me! prò a Voi! prò alla amica mia! prò a tutti!

Questo giorno da me sì desideralo me lo diedero

gli Iddii, perchè finalmente ti possa abbracciar li­

bera.

L em. Egli è per tua special grazia. Questa mia mano

t’ offre questa ciotola, conforme dee far l’ amante

all’ amante; prendila!

Tos. Dammela! prò a colui che m’ ha invidia! prò a lui

che di questa mia gioja si rallegra!

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SCENA II.

D o r d jl v s , S a g j m s t io , L e u x is e l e x e , Pà e c n iv m , Toxito.

D or. Qui suiti; qui erunt, quique fuerunt, quique sunt fu­tu r i posthac,

Solus ego omnibus facile antideo, miserrumus ho­m inum ut vivam.

Perii, interii! pessumus hic mihi dies hodie inluxit:conruptor

Ita me Toxilus perfabricavit, itaque meam rem di­vexavit.

Verriculum argenti miser ejecij neque, quamobrem, tjeci habeo.

Qui illum Persam atque omnis Persas atque etiamomnis personas

M ali di orti nes perdant: ita misera Toxilus haecmihi concivit:

Quia fidem ei non habui argenti, eo m i has ma­chinas molitust.

Quem pol ego ut non in cruciatum atque in con-pedis si vivam,

S i quidem huc unquam herus redierit, quod spero...Sed quid ego adspicio?

Hoc vide! quae haec fabula est? Pol hic quidem po­tant. Adgrediar.

Bone vir, salve, et tu, bona liberta.Tox. Dordalus hic quidem est.S j g . Quin jube adire.Tox. Adi, si lubet. — Agite, adplaudamus. Dordale, homo

tepidissime, salve. Locus hic tuos est: huc adcumbe. Fer aquam 'pedi­

bus! praeben', puere?

Page 103: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

SCENA II.

D ordàlo, Sa g aristio ne, L eh n iseleh e, P eg n io / T o ssil o .

D or. A quelli che sono, che saranno, che furono, e che verranno da qui a miir anni, io solo corro facil­mente innanzi a tutti nell' essere sgraziato alla vita mia. Son m o rto !, sono scassinato affatto! Questo giorno scellerato m’ è pur sorto con brutta luce: cotanto quel ladro di Tossilo seppe aggi­rarmi, cotanto egli m’ ha piallato d’ ogni aver mio. Io ho gittato un sacco d' argento, ne ho in man mia il perchè questo 1’ ho fatto. Che Dio af- franga dell’ ossa e delle carni quel Persiano, e tutti i Persiani: tanto stoscio di grandine me 1’ ha rovinato addosso Tossilo. Perchè non gli ebbi fede de' quattrini, ecco trappola che m’ ha tesa! Cui io non ne’ tormenti o ne’ ferri, se mi basterà la vita, se pur qui ci verrà il padrone conforme spero . . . Ma che vedo io? Guarda! che storia è questa? Cazzica! costoro si piglian buon tempo. Li affronterò. Iddio ti salvi, buon uomo e tu, mia buona liberta.

Tos. In fè mia questi è Dordalo.Sag. E che non lo fai venire innanzi.Tps. Fatti avatìti, se ti piace. — Su, stiamo allegri e

facciam plauso. 0 Dordalo, o pasta d'uomo! buon vento qui t ’ ha portato. Qui v' è luogo por te: siediti — Portagli il calino a piedi! glielo dai, o ragazzo?

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Don. Ne, sis, me uno digito attigeris: ne te ad terram,scelus, adfligam.

P j e .A t tib i hoc ego continuo cyatho oculum excutiamtuam!

Don. Quid ais, crux, stimulatorum tritor? quomodo mehodie vorsavisli?

Ut me in tricas conjecisti? quomodo de Persa ma­nus m i adita est?

Tox. Jurgium auferas, si sapias.D or. A t, bona liberta , haec scivisti!

( Et me celavisti. J L eu. Stultitia est, quoi bene licet esse, eum praetorti liti­

bus.Posterius istaec te magis par agere est.

D or. Cor m ihi urilur!Tox Da illi cantharumj txlingue ignem, si uritur, caput

D or. Ludos me facisti, intellego, intellego.Tox. Fin' cinaedum notom libi dari, Paegnium?

Quin elude, ut soles, quando hic liber locust! —

ne ardescat.

H ui!Babae, basilice te intulisti et facete!

P j e . Decet me facetum esse, et hunc inridereLenonem lubido est, quom dignus est.

Tox. Perge, ut coeperas.P j e . Hoc leno, tibi!Dos. Perii, perculit me prope!P j e . Hem, serva rursum!D or. Delude, ut lubct, herus dum abest hinc! P j e . F iden, ut

Tuis diclis pareo?

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Dor. No, per Dio: non mettermi dito addosso: se non vuoi, o furfantonaccio, eh’ i’ ti sfracelli it capo in terra .

Peg. Ma io con questo bicchiere ben tosto ti schianterò un occhio di capo!

Do». Che dici* o ' forca, che aggiungi, staccio di boja? e come hai fatto oggi a inzampognarmi? in che modo tu m’ hai ficcato in queste cetere? in che modo ha’ tu trovato il tranello di questo Persiano?

Tos. Non verrai qui a far batoste, se hai senno.Dor. Ma tu , o buòna liberta, beu la sapevi la taccola!

ma 1' hai tenuta secreta.Leu. È ben pazzo colui che potendo star bene, vuol

appiccar lite: è meglio che a questo ci pensi dopo.Dor. Mi brucia il cuore.Tos. Dògli un cantaro: ammorza le fiamme, acciò se ti

senti caldo, non vada in vampe la tua testa.D or. Voi mi giuocate, me n" aw eggio, 1' intendo.Tos. Vuotu vedere un nuovo ballerino in Pegnio? é che

non giuochi tu come se’ liso, essendo qua sgom­bero? — hui! bene, bravo, oh bello!

Peg. Io devo esser allegro: e n ’ ho voglia di pallare questo ruffiano quanto n ’ è degno.

Tos. Fa come avevi cominciato.Peg. Questo, o ruffiano, per te.Dor. Ohimè! e’ m’ ha ro tta una costola.Peg. Ecco te 1’ accomodo!Dor. Sì, giocami finché ti calza, finché il padrone è lon­

tano di qui!' Peg. Guarda, come sto al tuo ordine.

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408D o n .l!P j e . Sed quiti tu meis conira item diclis te n n i,

Atque hoc, quod tibi suadeo, facis?D or. Quid est id ?P jE .R eslim lu cape lib i crassam ac suspende le! D on.C ave, tis , m ed al tingas: ne lib i hoc tc ip ione m alum

demM agnum!

P j e . Ulere: te condono.Tox. Jam , Paegnium, da pausam.D or. Ego pol vos eradicabo.P j e . A l te ille, qui supra nos habitat,

Q ui tib i m ale volt maleque faciet. N on hi dicuntjverum ego.

Tox. Age, circumfer mulsum! bibere da usque plenis can­tharis!

Jam diu facium est, postquam bibim usj n im is d iusicci sum us.

D or D i fa c ia n t, ut id a ibalis, quod 'vos nunquam tra n ­seat!

P j e . Nequeo, leno, qui« tibi sallem staticulum, olim quemH egea

Faciebat. Fide vero, si libi salis placet.S j g . Me quoque volo

Reddere, Diodorus quem olim faciebat in Jonia. D or. 3Ialum ego vobis dabo, nisi abilis!S ag. E liam m ullis, inpudens?

Jam ego libi, si me in rilassi*, Persam adducam dentio. Dos. Jam lacco hercle. At tu Persa es, qui me usque

mulilavisli ad culem! Tox. Tace, i tulle: hic ejus geminust frater.

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Dor. Vattene!Peg. £ tu perchè non stai alle parole mie; perchè non

fai quel consiglio che io ti do?Dor. Che è questo?Peg. P rendi un buon canapo e fa un dondolo.Dor. Guardati dal toccarmi: se pur non vuoi che ti dia

questo legno addosso!Peg. Servitene: lo lascio a te.Tos. Finiscila ornai o Pegnio.Dor. Io vi sradicherò dal mondo.Peg. E quegli che sta oltre le tegole, a cui tu se' in

odio, ti darà il flagello; se non tei dicono costoro, tei dico io.

Tos. Su, su, porta intorno quel Yin melato! dàcci a bere a tazza rasa! è già un anno che non abbiam be­vuto! ornai siam troppo arsicci.

Dor. Volesse Iddio, che non v' andasse giù dalla gola!

Peg. Io non posso più tenermi, o ruffiano, dal farti far quel saltetto, che fece una volta Egeo. Guarda se abbastanza ti calza.

Sag. E io quello che Diodoro faceva nella Jonia.Dor. Il malanno vi darò io, se non andate via.Sag. E parli ancora, sfrontataccio? Ornai, se tu mi stuz­

zichi, io conduco di huovo il Persiano.Dor. Io non parlo altro, ma se’ tu quel Persiano che

m’ ha rimondato sì ben della zucca!Tos. Taci, o siocco, questi è il fratei gemello?

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Don. Jliccinc?Tox. A c geminissumus.Don. D i daeque et te et geminum fratrem excrucient! S ag. Qui le perdidit:

Nam ego nihil merui.D or. A t enim, illic quod meruit, libi id obsit volo. Tox. Agile, suilis: ludificemus, nisi si indignum est.S ag. Nunc opust.L e b .A I m e haud par.T ox. Eo credo quia ne inconciliavit, quom te emo. L em. A t tam en . . .Tox. Non »At tamen!» Cave ergo, sis malo, et sequere me.

Te mihi dicto audientem esse addecet: nam hercleabsque me

Foret et meo praesid io , hic faceret te prostibilempropediem.

Sed ila pars libertinorum est, nisi patrono qui ad-vorsalust,

Nec salis liber sibi videtur, nec salis frugi, nec salhonestus,

N i ei obfecil, ni male dixit, n i grato ingratus re~perlust.

L eu. P ol benefacta tua me h ortan tur, tuo ttt im perio. * paream.

Tox. Ego sum libi patronus plane, qui huic pro te ar­gentum dedi:

KoXatpi^e hunc. Volo ludificari.L e k . Ego meo in loco curabo

Sedulo.Don. Certo illi homines nescio quid mihi mali

Consulunt, quod faciant.

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D or. Questi?Tos. *E gemellissimó.Don. Il.malan che Dio ti dia a te, e al tuo gemello.Sag. Quello che t ’ ha diserto: io non ci ha colpa.Dor. E a lui che 1’ ha meritato, e a te.Tos. Su via adunque ridiamo, se non ci par fuor di

proposito.Sag. Ora è tempo.Lem. Ma non è da me.Tos. Certo, perchè nou mi si volle intraversare quando

t’ ho compera.Lem. Ma pure . . .Tós. Np, ma pure, guardati dal flagello; e fa quello che

io voglio. Tu devi fare il modo mio, imperciocché se io non ci fossi stato, e non fosse venuto il mio ajuto, costui t ’ avria fatta presto da postribolo. Ma così è la più maggior parte de’ libertini, che non si credono nè abbastanza liberi, nè abbastanza valentuomini, nè abbastanza onesti, se non han a-

. vuto qualche contrasto col patrono, se non gli fan qualche sfregio, se non gli dicon villanie, se non sono ingrati a chi loro ha fatto del benie.

Lesi. Poffar’ il mondo! i tuoi fatti dicono eh’ io t’ abbi a obbedire.

Tos. Io sono patrono di te, nè altro v’ ha; io solo per te hò sborsati i quattrini: bevi questo, voglio ridere.

Lem. I o starò ferm a al mio luogo.D o r . I o non so diamine che pensano a farmi.

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412Su;. Heus vos!Tox. Quid ais?S ag. -Hiccine Dordalus leno

Est, qui hic liberas m ercatur virgines? Mene est,qui fuvit

Quondam fortis?Dor. Quae resi? IIcu, %o%aptZei! malum vobis dabo. Tox. A l

Tibi nos dedimus dabitnusque eliam.D or. . Heu, natis pervellit.P a e. Licei.

Jam diu saepe sunt expuntae.D or. Loquere tu eliam, frustum pueri?L em. Patrone, i inlro, amabo ad coenam.Don: Ignaviam num meam tu inrides?L em. Quiane te voco_, bene Ubi ut sii?D or. Nolo m ih i bene esse.L em. Ne sii.Tox. Quid igitur? sexcenti numi quid agunt? quas turbas

danunt?D or. Male disperii/ sciunt referre probe inimico gratiam . Tox. Salis sumsimus ja m supplici?D or. Faleorj manus do.Tox. E t post dabit

Sub furcis. Intro abi igilur.D or. In crucem!S ag. A n parum hic exercilum

Hice habent me?Tox. Convenisse Toxilum te memineris

T vnc quando abiero. Qu in taces? scio f iA JQUID TELIS .

Specta tores, bene valete, Leno periit: plaudile,

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Sag. Ehi, voi altri?Tos. Che hai?, - •

Sag. E questa quella buona schiuma di Dordalu che compera le putte libere? E costui che fu una volta sì valentuomo?

Dor. Che faccenda è questa? Schiaffi che piombano! vi darò il flagello.

Tos. Siam noi che te lo abbiam dato, e daremo an­cora.

Dor. Ahi! mi strappa le natiche.Peg. Viva! e son state piluccate più volle.Dor. E anche tu parli, cefTo da’cembali.Lem. Patrono, deh vieri dentro a cena.Dor. Tu ora minchioni la mia bessagine?L em. Anzi ti chiamo per farti allegro.Dor. Non vo’ esserlo.Lem. Non sia.Tos. E sì ora? i seicento denari che fanno? che met­

tono sottosopra?Dor. Io son disparato affatto: san render coltelli per guai­

ne al nemico.Tos. Ci siam già veudicali?Dor. Vendicatissimi: vi do la mano.Tos. E dopo la darai sotto la forca; va dentro adun­

que.Sag. Al diavolo!Dor. E qui non m’ hanno torm entato abbastanza?Tos. Ricordati d’ aver conosciuto Tossilo, appena me ne

sarò ito. Perchè se’ mutolo?.— Il ciel vi dia vita, o spettatori, il ruffiano è disfatto, applaudite.

Vol. IV. I’laut. S

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NOTE

(1) Cosi leggiamo in Lipsio: festivus jocus, cum allusione,quasi Tribunus militaris apud Nolani,

(2) Sono stato colla correzione di Gronovio.(3) In questa forma difmiscc Festo, 1’ Epicroco: •Epicro-

' cum genus amiculi croco linctum, tenue et peliti-cidum.

(4) Lanibino legge: catiis.(5) Troviamo in Festo: Tippula, bestiolae genus sex pe­

dis habentis, sed tantae levitatis, ut super, aquam currens non desidat.

(6) Verso dei codice Ambrosiano.(7) Così Bothe: Corrupte libri, subiculum, quod quid sibi

velit, scio cum ignarissimis. Recte Meursius Exer- cilalt. Crill. i . pag. 245, sicut olim .el Pius su­diculum. Paulus, Festi epitomator: a sudiculum flagelli genus erat quod vapulantes sudantes fa­cit . . .

(8) I frammenti Ambrosiani leggono, Chnjsopolim.(9) II codice Ambrosiano legge in vece in questa forma:

Ne temere hanc te emisse dicas me impulsore autinlice.

V olo te percontari. Quin laudo consilium tuom.

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A16(10) Guarda tristizia di Fanciulla!(U ) Nella versione io ho voluto conservarei nomi latini,

perchè si proprio sono lupghi e contorti.(12) Aquam duplicem initio statim poni mos erat. Calidam,

Frigidam. Faceta autem allusio comici servi. Lips.(13) Accumbere in summo ( nam plures lectos hic stra­

tos fuisse, apparet ex vs. 13 .) hoc est in summo lecto. Haec duobus modis intelligi debent: si enim plures lecti fuere., erit accumbe in summo lecto: 6Ì vero unus tantum fuerit lectus, erit accumbe in summa parie lecti. Tota ratio lectorum et triclinii apud veteres haec erat. Tribus lectis plerumque cocnabant; singulis lectis recumbebant terni, aut summum quaterni apud lautiores; si plures sordi­dum habebatur. Cic. in Pisonem 27 exprobrat ei: Nihil apud hunc laulum , nihil elegans elc. Graeci quini slipati in lectulis, saepe plures. Imo et apùd lautiores bini tantum in quoque lecto recumbebant. Hinc apud Macrob. in coenae pontificiae descrip­tione, in duobus tricliniis decem modo convivae nomiuantur, u t appareat in magnificis epulis vix binos lectum unum tenuisse. De lauto homine Ju- venal. Sat. I;

Optima silvarum inlerea pelagique vorabat Rex horunij vacuisque loris tantum ipse jacebal.

Accumbebant autem reclinati superiori parte corporis in cubitum sinistrum, inferiori in longum porrecta ac jaccnte, capite leviter erecto, dorso a pulvillis mo­dice suffulto. Ex lectis tribus, unius triclinii sci-

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licet, is, qui ad sinistram erat, dicebatur summus ìeclus-, qui ad dexteram, imus, qui inter utrumque, medius. Ratio discumbendi hoc faciebat: etenim ut liberam et excrtam habere possent dextram ma­num, in sinistrum latus decumbebant. Ét qui ordo lectorum, idem etiam fuit in singulis lectis accu­bantium. Summus quippe locus in unoquoque lecto erat ejus, qui nullum supra se habebat, imus vero quem infra medium accumbens tenebat vel occupa­bat: medius infra primum seu summum, u t imus infra medium. Schemate rem delineabimus:

MEDIUS LECTUS

S

£o-3

i . Locus primus, qui et summus lecti summi.а. Locus medius lecti summi.3. Locus imas, lecti summi.4- Locus primus, qui et summus, lecti ms4U>5. Locus medius lecti medii.б . Locus imus lecti medii, qui et Consularis.7 . Locus primus, aut summus lecti imi, qui et domini.8 . Locus medius lecti imi.9 . Locus imus lecli imi.

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Honoratissimum ex his locis ducebant Romani medii lecti locum imum, sive ultimum, eum nempe qui infra medium ad dextram erat ejus Iccti. Is dabatur convivarum honestissimo et dignissimo: ideo et Consularem vocabant. Piat. Sympos. lib. I. 3: Topaioii; de o jet; fiear^ xZ iyqc reZevraioy o* vn a r ix o v itpoaayopevovei* Romanis vero medii lecti ullimus, quem Consularem vocant. Imus autem medii lecti erat, quem occupabat is, qui infra medium ad dexteram erat lecti. Praeter imum medii lecti in summo et imo lecto, summus utrobiqtie habebatur honoratior. Vide Mostell. I, i 42; Stich. III, 2, 37. Ideo miratur Plutarchus, cur honos et dignitas praecipua data illi consulari loco apud priscos fuerit, qui nec medius erat, nec sum­mus, quum hi duo loci videri possent primatus hono­rem maxime mereri. Caeterum ex tribus lectis duo

. priores medius ac summus invitatis cedebant. Domi­nus convivii cum uxore et liberis in tertio, seu imo ac­cumbebat, isque in eo primum locum tenebat, teste eodem. Plut. cit. loc, T o dvo x favov anodeòopevov t ois yrapaxexbi(jievcii} vi rpvrvi teat ravT ttf o

trpOTOf ro x o s { i a h a r a i o v eario i> ro( e a r i. Quum duo lecli invitatis tribuerentur, tertius leclus ejusque primus locus domino convivii cedebat. Sue- ton. Aug. LXIV: Neque coenavit una, nisi, ut in imo lecto assiderent. Sic fiebat, u t dominus in primo loco accumbens tertii lecti, et honestissimus convivarum In ultimo medii, sese prope contingerent, quippe quum in fine uterque sui lectuli locatus esset, hic io summo tertii, ille in imo medii. Eximius est lo-

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cus Sallustii in liane rem in Fragm. Igitur discu* huere, Sertorius inferior in medioA supra L. Fa- bim Hispaniensis senator ex proscriptis: Antonius in summo , infra scriba Sertorii Versius: A lter Scriba Maecenas in imo, medius inter Tarquitium et Perpernam. Tres hic sunt lecti, medius, sum­mus, im us: in medio ut et in summo duo tantum, in imo tres discubuere. Sertorius, u t imperator ( qui erat honoratiore loco) in -medio inferior, su­pra se habuit L. Fabium: in summo superior An­tonius, infra eum scriba Sertorii Versius: in tertio summus fuit Perperna, utpote doiyinus convivii, medius alter scriba Sertorii Maecenas, infra eum Tarquitius. Videndus hic omnino Salmasius. Horat. Satyr. lib. II, 8, 20.

Summus ego, et prope me Fiscus Thurinus, et infra ( S i memini ) Varius: cum Servilio Balatrone Vibidius: quos Maecenas adduxerat umbras. Nomentanus erat super ipsum , Porcius infra.

Tres fuere lecti, ( nam meminit imi inferius: Im i convivae lecti m inimum nocuere lagenis ) novem coenantes. In summo lecto summus Horatius, me­dius Viscus Thurinus; imus Varius: in medio lecto imus, loco honoratissimo, Maecenas, supra quem Servilius Balatro et Vibidius: in imo medio domi­nus Nasidienus, supra Nomentanus, infra Porcius, Atque in triclinio discumbere in imo, in medio, in summo dicebantur, qui in lecto aut summo, aut medio, aut imo recumbebant. At supra et infra,.

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qui' summus et imus, id est, in primo aut ultimo lecti loco recumbebant. Suet. Calig. XXIV: Pleno convi­vio singulos infra se collocabat, uxore supra cu­bante: Tacit. III. Annal. 44: in convivio Germanici: Quum super eum Piso discumberet, infectos mani­bus ejus cibos arguentes. Si uxor una non coena- ret, umbris is locus destinabatur et vilioribus per­sonis: Superior accumbere, Stich. IV, 5, 44. Horat. I. Epist.

Alter in obsequium plus aequo pronus et im i Derisor lecti.

Juv. Tertia ne vacuo cessaret culcita lecto,Una simus ait.

Aliud fuit, quum accumbebant in toro continuo, cui nomen erat a numero accumbentium, quos caperet. Hexaclinon, heptaclinon, octoclinon voca­bant. Illud genus mensae o tifia d io v dicebatur; et referebat figuram literae Sigma, Graecorum, aut Latinorum C, atque ex numero accumbentium in- digitabatur. Octoclinium, que octo convivas cape­ret, memoratur apud Martial. in Apophoretis 851.

Accipe lunata scriptum testudine sigma Octo capit, veniat quisquis amicus erit.

tx ta x k iv o v a nP ad iov describit. In his quum una serie discumberent, is primum locum tenere cen­sebatur, qui omnium summus erat, hoc est, in si-

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lnìstro cornu stibadii primus accumbebat; ultimus qui infra caeteros, hoc est, postremus in dextro cornu. Sic capiendus Festus: Itaque . in conviviit solus rex supra caeleros accubat, sed Dialis su­pra Martialem et Quirinalem; Martialis supra proxim um , omnes deinde supra pontificem. TaciL XIII Ann. 1 4 : 'vide Manut. ad Cic. lib. IX, ep. ult. ad Fam. (Alia quoque ratio fuisse in biclinio vi­detur, Cicer: lib. IX, ep. 26 ). Lips. lib. III Antiq. lect. Cosi Gronovio.

(14) Verso Ambrosiano.

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S T I C H U S

LO STICO

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£ L u eó /a fo a j /a /a z c o n &

deflo S/%ico eh tséb. *s£ccio ^Béattfo

PIERLUIGI DONINI

t r tv e t

af/f uomo cAùt tiiéimo

BARONE CAMILLO UGONI

p u a tft

n aw an eto c/e& z ùfa/t'cKc fóàere

incita, t fitteéenfc a i ven ture

a . cowepe d/i&ncJida, v ta ckpà ave

e c o // eéetn/uo

m epào cety&rmanc/o c / e/etfufo

jfttcrm e p u e fla m efa

a cuc m o f ó ' a n e /a n o

e tocca-no fiocA t.

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PERSONE DELLA FAVOLA

P a n e g y r is

D in ac l u x

A n t ip h o G e l a s im u s

Cro c o tiu m

D i N ACI USj p u e r

E p ig n o k u s P a m p h il ip p u s

S t ic b u s

SAG ARI jv US

S t e p h a n iu m

P a n eg ir id e

D inacio

An tifo ne

Gelasimo

C ro co zio

DlNACIOj f a n c iu l l o

E pignom o

P a m filippo

Stico

Sagarino

S tefa n io

La Scena è in Mene.

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ACTUS I.SCENA I.

pAN EG rRlS'f DlNACIUM.

P a n . Miseram, fuisse credo ego Penelopam, soror, ex a-nimo,

Quae tam diu vidua suo viro caruil: nam nos ejusanimum

De nostris faclis noscimus, quarum hinc viri absunt. Quorumque nos negoliis absentum, ut aequom est, Sollicitae noctis et dies, soror, sumus semper.

D i n . Nostrum officium aequom est facere nos: neque idmage facimus.

Quam nos monet pietas. Sed huc, mea soror, ad-sisdunt:

Volo multa loqui de re virum tecum.P a n . Salvene,

Am abo?D i n . Spero quidem, et volo. Sed hoc, soror, crucior,

Patrem tuom meumque adeo, unus unice qui Civibus ex omnibus probus perhibetur, eum nunc Firi inprobi officio utier, qui absentibus lanias Injurias nostris facil viris inmerilo,Nosque ab iis volt abducere. Haec res me vitai. Soror, salurantj haec dividiae mihi et senio sunt.

P a n . Neu lacruma, soror, neve id tuo fac animo,Quod libi pater minatur. Spest, melius facturum. Novi eum: joculo istaec dicit, nec sibi ille mereat

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ATTO I

SCENA I.

P a n eg ir id e, D in a cio.

Pam. I o credo, sorella mia* che Penelope abbia avuto ii cuore su mille croci, essendo stilla tanti anni vedova del marito, onde che possia'm per noi me-

" desiale ben conoscere duolo clic sarà stalo il suo, avendo noi lontani i nostri: per 1’ assenza de’ quali, conforme è dovere, noi abbiain sempre i triemiti della m orte addosso notte e di.

Dm. Noi dobbiam far ciò che è giustizia; e tante cose mai non faremo, quante ne comanda 1’ amore. Ma fermali qui, o sorella, io ho a dirti assai cose in­torno ai nostri uomini.

P an. Stanno elli bene?Diix. Io lo spero, e voglio. Ma sentomi spaccar l’anima,

o sorella, che tuo padre, il quale è <mche il mio, uomo che di tanti cittadini è avuto il più onestissi­mo, ora dia un tulio nel malvagio; apponendone tan­te, senza una ragione al mondo, ai mariti nostri, e volendoci spiccar via da essi. Cotesto, o sorella, mi fa sazia della vita, e mi colma di angoscia e di noja.,

Pan. Non piangere, sorella, nò figurarti vivo quello, che colie sue minaccio il padre non lascia che iff fumo: spera in meglio; so io uomo che sia egli. Questi sono spau­racchi, ma non li farebbe mai daddovepo se anco gli

Y ol. IV. P la ct. 9

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Persarum montis, aurei qui esse perhibentur,Ut istuc faciat, quod tu metuis. Tam si faciat, Minume decet irasci, neque id inmerito eveniet: N am viri nostri ut domo abierunt, hic tertius annus.

D i n . Ita , ut tu memoras.P j n . Quom ipsi inlerea vivant, valeant,

Ubi, sint, quid agant, ecquid agant, neque partici­pant nos,

Neque redeunt.D i n . J n id doles, soror, quia illi

Suom officium non colunt, tuom quom facis?P j n . I ta pol.D in . Tacej sis! cave sis audiam ego istuc ex te,

Cave posthac!P j n . N am qui ja m ?D i n . Quia pol meo animo omnis

Sapientis officium suom aequom est colere et facere. Quamobrem ego te hoc, soror, tametsi es major,

moneo.Officium ut memineris tuom,- et, si inprobi sint Illi ac nos faciant aliter, quamde aequom est, ta­

men polNe quid mage simus omnibus obnoxiae opibus. ( \ ) Nostrum officium meminisse decet.

P j n . Placet: taceo.D in , J t m em ineris 'facito.P j n . Nolo ego, soror, me credi esse inmemorem viri,

Neque eos honores, mihi quos habuit, perdidit: Nam mihi pol graia acceptaque hujus benignitast, Ftl me quidem haec condilio nunc non poenilet, Neque est cur studeam has nuptias mularier;

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arcasi a dare Roma • Toma. Ma se anche fosse incapato a farlo proprio, non istarebbe bene pi­gliarne sdegno, perchè non lo faria egli al torto. Or fa tre anni che i nostri uomini andarono via!

Dm. La è cosi.Pan. E se trattan to sieno essi vivi e sani, non ci fanno

però assapere; nè dove-sieno, nè che facciano, o che non facciano, nè pensano al ritorno.

Dm. T’ incresce forse, o sorella, di fare il dover tuo quando essi noi fanno?

Pah. M’ incresce.Dm. Oh taci per carità! deh non farmene sentir più

di così fatte; guardatene da questo dì !Pan. É perebè?Dm. Perchè, conforme la penso io, ogni dabben persona

dee badare e star salda al dover suo. Per il che, sirocchia mia, quantunque negli anni tu sii più innanzi di me, ti fo accorta del dover tuo; se quelli han del bindolo e non fanno di noi quel conto che dovrebbero, noi dobbiam sapere il no­stro, non dobbiam troppo con esso loro fare le arrendevoli.

P an. La mi calza: sto zitta.Dm. Ma fa di ricordartene.Pam. Non voglio, sorella, che mi giudichino affatto sme­

morata del marito, nè egli ha perduto niente di quegli onori che m’ ha fatti una volta. M’ è cara e accetta la benignità sua, e io di tal condizione, non me ne pento, nè ho cagione di aver voglia

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Ferum postremo in palris potestate est situm: Faciundum id nobis, quod parentes imperant.

D in . SciOj alque in cogitando moerore augeor:N am propemodum jam oslendil suam sententiam.

T a n . Igitur quaeramus, nobis quid facto usus sit.

SC E N A II.

A n t ip h o , P a n e g y r is , D i n a c i u x .

/ Ì n t .Q uì manet ut maneatur semper servos homo offi­cium suffm,

Nec voluntate id facere meminit, servos is habituhaud probust.

Fos meministis quotcalendis petere demensum cibum: Qui minus meministis, quod opust facto, facere in

aedibus?Jam quidem suo nisi quidque loco m i erit situm

supelleclilisjQuom ego revortar, vos monumentis conmonefaciam

bubulis!Non homines habitare mecum m i hic videnltir, sed

sues.

Facilej suitis, nitidae ut aedes meae sitit, quom re­deam domum.

Jam ego domi adero. A d meam majorem filiam in­viso domum.

S i quis quaeret, inde vocatote aliquij aut ja m ego-mel hic ero.

P in . Quid agimus, soror, si obfirmabit pater advorsumn o s?

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d‘altre nozze: ma il padre può tutto, a noi è giocc^

forza chinar la testa alla volontà de’ parenti.

Dm. So, e in pensarlo me ne sento morire: egli oggi-»

mai ci ha aperto 1’ animo suo.

Pah. E perciò non lasciamoci mettere la mano innanzi.

SCENA II.

An t ifo n e, P a n eg ir id e, D iha cio.

à s t . Quel servo che aspetta per far le sue faccende d’es­

sere pungolato, questi non sarà mai dabben uomo.

Altro in memoria non avete se non chiedere alle

calende il vostro salario; ma di quello che far do­

vete in casa ve ne ricordate voi? Nè stovigli, nè mas­

serizie erano a posto, ma vi dico io che, quando

ritorno* a suon di. frusta vo’ rinfrescarvi la me­

moria. Pare wche la casa mia non sia albergo

di uomini, ma di troje. Su, escitevene di cacchione,

spazzatemi la casa, e fate siami jietta alla mia ve­

nuta. Non penerò tanto, vado a trovare, la mia fi­

gliuola maggiore, se alcuno mi cerca, chiamatemi;

già torno subito.

D in . E che faremo, o sorella, se il padre ha proprio

ribadito il chiodo?

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P j n . PaliNos oportet, quod illic faciat, quojui potestas phts potest.

A n i . S i manere hic sese malint polius quam alio nubere, Non faciant! Quid mihi opust decurso aetalis spa­

tio cum eisGerere bellum, quom nil, quamobrem faciam , me­

ruisse arbitror?> Minume! nolo turbas. Sed m i hoc optumum faclu

arbitror,'Principium , ego quo pacto cum illis occipiam, id

ratiociner:Utrum ego perplexim lacessam oratione ad hunc

modum,Quasi nunquam quidquam in eas simulem, quasi

nil indaudiverim,Eas in se meruisse culpam, ac potius tentem leniter; A n minaciter. Scio litis fore: ego meas novi oplume.

D i n . Exorando, haud advorsando, sumendam operamcenseo.

Gratiam si a patre petimus, spero ab eo impetrassere. Advorsari sine dedecore et scelere summo haud pos­

sumus.Neque ego sum faclura, neque tu ut facias, consi­

lium dabojVerum ut exoremus. Novi ego nostros: exorabilist.

A n t . Sic faciam, adsimulabo, quasi culpam aliquam insese admiserint;

Perplexabiliter earum hodie perpavefaciam pectora; Post id agam igitur deinde, ut anim us meus erit,

faciam palam.Multa scio faciunda verba. Ibo intro. Sed aperta

est foris.

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P an. Noi dobbiam rassegnarci alla sua voglia, concios* siachè egli puote più di noi.

ÀNt. Se ancora pontano i piedi al muro di voler star così, piuttosto che maritarsi con altri, sia in buon ora! E che mi giova, or che son vecchio, di ve­nire aJ denti con loro, quando non ci veggo buone ragioni per farlo? Io non voglio il diavolo! Però credo buono adesso masticar le parole colle quali debba affrontarle. Io non son chiaro ancora se debba dar loro una buona sbrigliata, quasi abbia gran che da rimprocciarle per cose udite da qual­cuno; o piuttosto se abbia a toccarle leggermente, o spaventarle di min'accie. So che avremo da bat- tostare un pezzo, bene lo conosco i mici polli.

D in . I o sono d’ avviso che in questo affare occorra an­dargli a versi, e non a ritroso: se noi vogliam grazia dal padre, io spero che la otterremo da lui. Noi non possiamo essergli contrarie senza nostra vergogna e cattivezza; nè io sono di tanto, nè vo’metter su te acciò che tu lo faccia, ma andia* mogli davanti colle preghiere. Io conosco l’animo de’ nos.tri, egli è uom che si lascia muovere.

ànt. Farò così: m’ infingerò, come se avesser fatto qual­che fallo, e mostrando negro il bianco, vo’ loro agghiadare il sangue per la paura; dopo tutto questo manifesterò 1’ animo mio, ben so io quante storie si diranno. Andrò dentro, ma è aperta la porta.

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D i n . Cerio en im m ih i p a te rn a e vocis so n itu s a u r is a cc i­

d it.!

P j n . Is ecaslor. Ferre advorsum hominem occupemusoscu lu m .

D i n . Salve, m i pater. .A n t . Et vos ambae. Eloco, agile, absecditeT D i n . Osculum . . .A n t. Sat osculi est m ihi vostri.D i n . Qtti, amabo, pater?A n t . Quia ita meae animae salsura evenit.D i n . Adside hic, paler.A n t . Non sedeo istic ; vos sedetej ego sedero in stibsellio. D i n .Mane pulvinum.A n t . Bene procuras mihi; sat sic fultum est mihi.D i n . Sine paler.A n t . Q u id opus?D i n . Opus.

A n t . Morem tibi geram. Atque hoc est salis.D i n . Nunquam enim nimis curare possunt suom paren-

re n tem filiae.

Quem aequius nos potiorem habere, quam te posti­dea pater,

Viros, quibus voluisti tu nos esse matres familias? 'Ant. Bonas ut aequom est facere, facitis, quom tamen

absentis virosPerinde habetis, quasi praesentes sint.

D i n . Pudicitiae, paterEst nos magnificare, qui nos socias sumserunt sibi.

ANT.Numquis hic alienus nostris didis auceps auribus? P j n . Nullus praeter nosque leque.

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Dm. Di certo è la voce del padre quella che mi ferì. 1’ orecchio.

P ar. È lui in carne ed ossa. Andiamogli incontro a ba­ciarlo.

Dm. Iddio ti ajuti, o padre.Ant. Anche voi due. Su fate presto, tiratevi in là!Dm. Un bacio . . .Ant. Non ne vo' altro de* baci vostri.Din. Deh, perchè, o padre?A n t . Perchè alla piaga che ho nell’ anima voi vi spriz-

-• zate sopra delfà salamoja.Dm. Siedi qua, padre.Ant. Li non siedo io; sedete voi: io mi porrò sullo

scabello.Dm. Aspetta il cuscino.Ant. Vuoi proprio darmi tu tti i commodi; ma basta; sto

bene così.Din. Lascia, o padre.Ant. A che serve?D in. Serve.A n t. Facciata quello c h e vuoi: adesso basta.Dm. - Non possono le figliuole onorar mai abbastanza il

padre loro: e chi dobbiam avere più caro di te, o padre, dopo quelli, coi quali tu hai voluto fossimo madrifamiglie?

Art. Voi vi dimostrate pur lfc dabben donne, facendo quel conto de’ vostri m ariti Jontani, come fossero presenti.

Dm. È della pudicizia, o padre, 1’ aver in onore quelli che ci vollero compagne.

Ant. V’ ha qui alcuno che ci potria far lo scultore?P an. Nessuno, siam sole noi con tc .

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A n t . Vostrum animum adhiberi volo.Nam ego ad vos nunc, inperilus rerum et morum

mulierum jDiscipulus venio ad magistras. Quibus matronas

moribus,Qttae optumae sunt, esse oportet? Sed utraque ut di­

cat mihi.P j n . Quid istuc est quod exquaesitum huc m ulierum m o­

res venis:A n t . Pol ego uxorem quaero, postquam vostra mater-

mortua est.P j n .Facile invenies et pejorem et pejus moratam, paler,

Quam illa fuit: meliorem neque tu reperies nequesol videt.

A n t . A t ego ex te exquaero alque ex istac tua sorore . . . P j n . Edepol, paler,

Scio, ut oportet esse, si sint ita, ut ego aequomcenseo.

A n t . Volo scire erg», ut aequom censes.P j n . Ut, per urbem quom ambulent,

Omnibus os obturent: ne quis merito maledicat' sibi

A n t .D ìc vicissim nunc ja m tu.D in . Quid vis libi dicam , paler?ANT.'Ubi facillume spectatur m ulier quae ingenio est

bono?D in . Quom m ale faclundi est potestas, quae ne id facia t,

temperat.A n t.H aud male istuc. Age tu altera: utra si conditio

pensior jVirgiuemne an viduam habere?

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Aivr. Io voglio che mi stiate attente; imperciocché, m a l

pratico de’ fatti e dell’ animo delle dònne or’ io sono «a voi come un puttino dalla maestra. Quali costumi han da aver le matrone che sono in tra 1’ ottime? me lo dica l’ una e 1’ altra.

Pan. Che storia è questa? perchè vuoi sapere da noi le usanze delle dom e.

Ant. Io mi vo riammogliare, da poi che morimmi la madre vostra. ,

P an. Voi darete del petto facilménte in una più trista e

cianghcllina, migliore non la troverete voi, nè la vi.ha sotto la cappa del sole.

Ant. Ma io cerco da te e da' questa tua sorella . . .Pan. Ve ne do la fede mia, o padre, so come dovreb­

bero essere, se pur elle fossero come le vorrei io.

Ant. Dimmi adunque come le vorrestu?P an. Che quando vanno per la città turassero a tutti

la bocca, acciò alcuno non abbia meritamente a

tagliar loro le legne addosso.Ant. Or parla tu.Din. E che vuoi da me, o padre?Ant. Come s i può conoscere senza difficoltà il buon a -

nimo della donna?D in . . Quando trovandosi in pericolo di far male, sa tenersi

in su- la bfiglia.Ant. .Non ha detto male. Su, dimmi tu, qual trovi par­

tito migliore l’ avere una fanciulla, o una ve­dova?

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P j n . Quanta mea sapientia est,E malis multis malum quod m inum um est id m i-

num um est m alum , Qui pole mulieres vitare, vitet is: ut quotidie Pridie caveat ne faciat, quod pigeat postridie.

jN T .Q u a e libi m ulier videtur m ulto sapientissuma?D i n . Quae lam en quom res secundae sunt, poterit no-

sceyej etI l la , q u a e , a eq u o a n im o p a tie tu r , s ib i esse pejtis

q u a m fu it ,

ÀNT.Edepol vos lepide tentavi vostmmque ingenium in­geni.

Sed hoc est, quod ad vos venio, quodque esse at»-*bas conventas volor

Mi ita auctores sunt amici, ut vos hinc abducamdomum.

P j n . A t enim nos, quarum res agitur, aliter auctores su±m u s t

N a m aut olim , nisi libi placebant; non datas opor­tu itj

J u t nunc non aequom est abduci, paler j illisce ab^sentibus. 1

A n t . Fosne ego p a t ia r cu m m e n d ic is n u p ta s m e vivo

viris?D iN .Placet illic meus m ih i mendicus,- suos rex reginae

p la ce t.

Id e m a n im u s t in p a u p e r ta te , q u i o lim in d iv itiis fu it .

À N T .V o sn e la tro n es et m e n d ic o s h o m in e s m a g n i p e n ­

d itis?

P j n . Non me tu argento dedisti, opinor, nuptum, sedviro.

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P ah.

Art.Dm.

Art.

P ar.

A r t .

Dir.

Art.

P ar.

Per quanto senno io m’ abbia in capo, dico sem­pre che di tanti mali, il più piccolo è il men ma­lanno; chi può far senza donna, faccia senza: aeciò non abbia ogni dì a star coll’ arco teso, affinché non dia in uno scappuccio che piangerà dopo.E tu chi tieni per dassai donna?Quella che nelle prosperità, la si può conoscere, e colei che sa armarsi di pazienza, quando l’aria si fa hrusca.Pollar il mondo, e non seppi bene io mettervi alla riprova? Ma ecco perchè io vengo a voi, perchè io volev» parlarvi: gli amici continuano a rifru­starmi eh’ io vi conduca a casa.Ma noi che siamo in causa ben altramente la pen­siamo: l’ una delle due, o padre: o se non ti pia­cevano, tu loro non ci dovevi dare: o poco giusto tu se’ ora, volendoci staccare da essi quando sono assenti.E finché saranno aperti questi occhi dovranno sempre vedervi mogli a questi spiantati?Quello, spiantato piace a me; ogni re piace alla sua regina: io ho lo stesso animo or chè son nelle secche, come una volta quando aveva, ogni ben di di Dio.E in tanto amore avete voi questi sbricchi pol­troni?Io credo che non i quattrini m’ hai fatto sposare, ma 1’ uomo.

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A n t . Quid illos exspectatis; qui abhinc ja m abierunttriennium?

Quin vos capitis conditionem ex pessuma prim a­riam ?

D in . Stultitia est, paler, venatum ducere invitas canes.Hostis est uxor, invita quae ad virum nuptum datur.

A n t. Certumne est, neutram vostrarum persequi impe­rium patris?

P j n . Persequimur: nam , quo dedisti nuptum , abire no­lumus.

A n t . Bene valete: ibo alque amicis vostra consilia eloquar. D in . Probiores, credo, arbitrabunt, s i probis narraveris. A n t . Curate igitur familiarem rem, ut. potestis, optume. P j n . Nunc places, quom recte monstras; nunc libi au­

scultabimus. Nunc, soror, abeamus intro. ,

D i n . Jmo intervisam prius domumS i a viro libi forte veniet nuntius, facito ut sciam.

P j n . Neque ego te celabo, neque tu me celassis, quodscies.

Eho, Crocotium, i, parasitum Gelasimum huc ar­cessito;

Tecum adduce: nam illum ecastor mittere ad por­tum volo,

S i quae forte ex Asia navis heri aut hodie venerit. Nam dies totos apud porlum servos unus adsidetj Sed tamen volo intervisi. Propera alque actutum

redi.

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I nt. Perchè state eolia bocca aperta v o i altre aspettando chi manca da tre anni? che non volete scapricciarvi di questo ladro partito, pigliandole uno più bello?

Pur. La è una pazzia, o padre, ire alla caccia a di­spetto de’ cani: È un nemico quella moglie che la prende un marito a dispetto.

Ant. E siete proprio ferme 1’ una e 1' altra di non vo­ler obbedire al padre vostro?

Pan. Obbediamo: imperciocché non vogliamo abbando­nare chi ci hai fatto sposare una volta?

Ant. I o v i s a lu to : a n d r ò e d i r ò a g li a m ic i il v ò s t ro c o n ­

s ig lio .

Din. Ci avranno in maggior conto, se lo conterai agli uomini onesti.

Ant. Badate adunque alle cose vostre più che potete.Pan. Ora ci piaci, perchè un bell’ avviso ci dài, ora fa­

remo a modo tuo. Ora, sorella, andiamo dentro.Din. Prima vo’ dare un’ occhiata in casa. Se dal marito

ti venne qualche novella, fammela sapere.Pan. Io non te ne terrò celata, nè tieni ju a me, se ne

sai. Ehi, Crocozio, va, fammi venir qua Gelasimo parasito, tiralo teco perciocché io ho fermo di vo­lerlo mandare al porto, se jeri, o quest’ oggi fè 6cala qualche nave dall’ Asia. È Vero che tutto dì v’ ha-un servo al porto, tuttavia vo’ che gli si dia una visita. Fa presto, e torna subito.

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s c e n a i n .

G e l à SIMUS, Cb o c o t i u m . ( 2 )

G e l . F a m e m fu is se suspicor m a lr e m m ih i:

Nam postquam naius sum, satur nunquam fui. N e q u e q u i s q u a m m e l i v s r e f e r e t m a t i u g r a t i a m (5 J

Q u a m e g o m a t r i m e a e r e t u l i i k f i t i s s u m u s .

fiam illa med in alvo mensis gestavit decem;A t ego illam in alvo rjeslo plus annos decem. Alque illa puerum me gestavit parvolum,,Quo minus laboris cepisse illam exislumojA t ego non pauxillam in utero gesto famem ,Ferum hercle mullo tnaxum am et gravissumam.Dolores oboriuntur m ihi quotidiejSed malrem parere 9tsci0i qnc quid /6JM tC14.(4)Audivi saepe hoc volgo diclilarierjSolere elephantum gravidam perpetuos decemEsse annos. Ejus ex semine haec certo est fames:Nam jam conpluris annos utero haeret meo.Nunc si ridiculum quaeret hominem quispiam, Fenalis ego sum cum ornamentis omnibus: Inanimentis explementum quaerito.Gelasimo nomen m i indidit parvo paler,Quia inde a pauxillo puero ridiculus. fui.Propter paupertatem adeo hoc nomen reperi Eo, quia paupertas fecil, ridiculus forem:N am illa omnis artis perdoceij tibi quem attigit. Per annonam caram dixit me natum paler: Propterea} credo, nunc esuriod acrius.Sed generi nostro haec reddila est benignitas:

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Gelàsim o, Cr o c o zio .

Io dubito non mi sia stata madre la fame, per­ciocché, dal di che nacqui io insino a questo, non ■ mi sono potuto mai cavar bene di grinze. Mai uomo non ringraziò la sua madre col miglior cuore, di quello che abbia fatto io col maggior, dispetto del mondo. Ella m’ ebbe chiuso in ventre dieci mesi, ed io, da che la porto in pancia, son più di dieci anni. Ella m’ ha portato fantolino, e di ciò credo non l’ avrà avuta una gran fatica, ma io nell* utero mio, mi si sbatte una fame non lieve, ma una fame dell’ ottanta. Ogni giorno mi vengono le doglie, ma non posso mai nicchiar fuori mia madre, nè so diamine che mi abbia a fare. Io ho udito dirsi di spesso dagli uomini che 1’ e- lefantessa sta pregna dieci anni alla fila; io son chiaro, la fame che ho io, viene di questa semenza. Son già parecchi anni, eh’ io 1’ ho negli ertragni. Ornai se taluno si cerca un bigherajo, son qua io, io mi vendo con tutte le frangie che ho attorno, per farmi farcir di dentro. Puttino il padre mi chiamò Gelasimo, perchè fin da bambolo io fui sollazzevole; la povertà m ' ha trovato il nome, perehè fu la po­vertà che mJ ha fatto burlone, e chi noi sa, esser bisognino chi fa tro ttar la vecchia? Il padre dissemi chJ io nacqui in tempo di carestia, 1’ ha da esser per questo eh’ io ho in corpo una fame da cane. Ma questa è bontà di casa nostra, a niuno io dico

Voi. IV. P la u t. 10

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Nulli negare soleo, si qui esUm vocat.•Oratio una interiit hominum pessume,Atque optuma hercle meo animo et scitissima.Qua ante utebantur: « Feni illo ad coenam/ sic

facet■» Promitte vero! Ne gravare! est commodum.» Folo, inquam, fieril Non amittam , quin eas! » Nunc repererunt verbo ei vicarium Nihili quidem hercle verbum ac vilissumum: m Focem te ad coenam, nisi egomet coenem foris. » E i hercle ego verbo lumbos defractos velim.N i vere pejeret, (5J si coenassit domi. >Haec verba subigunt me, uti mores barbaros Discam, ac praeconis ut faciam conpendium, Itaque auctionem praedicem, ipse ut veneam.

Cno.Hic ille est parasitus, quem arcessitum missa sum.Quae loquitur, auscultabo, priusquam conloquar.

G e l . Sed curiosi sunt hic quam plures mali,Alienas res qui curant studio niaxum o,Quibus ipsis nulla est res, quam procurent, sua.S i quando quem auctionem facturum sciunt, Adeunt, perquirunt, quid siet causae, eloco: Alienum aes cogat, an pararit prandiumj Uxorin’ sit reddenda dos divortio.Eos amnes tametsi hercle haud indignos judico. Qui, ut multum miseri sint, laborent, nil móror: Dicam ( auctionis causam ut animo gaudeant: Nam curiosus nemo est, quin sit malevolus )Ipsus egomet, quamobrem auttionem praedicem. D am na evenerunt m a x im a misero mihi:Ita me mancupia miserum ailfecerunt male —

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di no che mi chiama a tavola. Oh la mala morte di quella cara parola, che prima avevano gli uo­mini! » vien là a cenai non mancare! promettime­lo! son farti increscere! tu mi rallegri! Non vo­glio che manchi. Io non ti lascio andare se prima non desini! » Ora ci han trovato il sustituto, e la è una parolaccia trista e bastarda; » ti chia­merei a cena s’io non fossi invitato fuori: » Dio fa­cesse fiaccar le gambe a chi le pronuncia, se non ispcrgiura cenando egli a casa! Questa parola la m’ha sconfìtto, la mJ ha fatto imparar i costumi dei barbari, la vuole eh’ io Caccia il banditore, griderò l’ineanto, e mctterommi all’ asta.

Cno. Ecco il parasito a cui era mandata io: prima d’af­frontarlo vo’ sentire diamine che si vada rampo­gnando,

Gel. Ma qui v’ ha molti ma’ bigatti di cusiosi, che si pi- glian gran briga delle faccende altrui, e perchè d ii non nè hanno, trasandano le proprie. Yien. loro appena all’ orecchio che alcuno vuol far 1’ asta? e* gli si rinserrano addosso con mille dinaande:» è per debiti, o perchè hai preparato un pranzo,o perchè fai divorzio dalla moglie e le restituisci la dota? * A costoro bene sta, se lo vogliono essi, buona notte! Dirò ( per consolarli di quest’ asta, imperciocché non vi ha uom curioso, se non tri­sto ) il perchè io stesso vo’ gridando l’ incanto. Mille disgrazie, mi caddero tra capo e collo: anda­rono alla malora gli affari mici. — Molti bagordi

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-148Volationes plurimae demortuae.Quot adeo coenòe, quas deflevi mortuas!Quot potiones mulsi! quot autem prandia,Quae inter continuom perdidi triennium!Prae moerore adeo miser atque aegritudine Consenui; pene sum famed ecmortuos.

Cno.Ridiculus aeque nullus est, quando esurit.G e l.N unc'auctionem facere decretum est mihi:

Foras necessum est, quidquid habeo, vendere.Adeste, suitis! praeda erit praesentium.Logos ridiculos vendo, Agile, licemini.Qui coena poscit? ecqui poscit prandio?Hercules te amabit prandio, coena, cibo.Ehem, adnuistin’? Nemo meliorem dabit Parasitum inanem, quo recondas reliquias;N u l l i (6 ) m e l io r e s e s s e p a r a s it o s s in a m

V e l u n c t io n e s g r a e c a s s u d a t o r ia s

V e n d o v e l a l i a s m a l a c a s c r a p u l a r ia s : Ca v il l a t i o n e s a d s c e n t a t iu n c a l a s

A c RIGINOSAM STRIGILBMj AMPULLAM RUBIDAMHaec veniisse ja m est opus, quantum potest,Ut decumam partem Herculi polluceam.

Cito. Ecastor auctionem haud m agni pretiiAdhaesit homini ad infum um ventrem fames.Adibo hominem .

Ge l. Quis haec estr quae advOrsum it m ihi?Epignomi ancilla haec quidem est Crocolium.

Cro. Gelasime, salve.G e l . N on id est nom en mihi.Cr o . Certo mecastor id fuit nomen libi.Ge l. Fuit disertimi verum id usu perdidi;

Nunc Miccotrogus (7J nomine ex vero vocor.

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mi morirono, quante cene non ho piante morte! Quante bottiglie di mulso! quanti pranzi non ho io perduti in questi tre anni! poveretto a me, tra le doglie e i crepacuori io son fatto vecchio: io sono quasi scannato dalla fame.

C r o .- N iu n a ffam ato h a t a n t e b u r le q u a n te c o s tu i.

G e l . Or io son fermo, vo’ proprio farlo questo incanto, io vo’ proprio spazzarmi di tutto. Attenti: chi v’ è , ' buon per lui, la è roba sua. Io vendo de’ bei motti, su offerite: chi mi vuole a cena? chi a pranzo? del pranzo, della cena e dello scotto Ercole te ne darà rimerito. Siete contenti? Non potrai avere più am­pia capanna di parasito ove porre i rilievi, nè io lascerò mai che alcun si vanti sopra di me. Io vendo unguenti greci sudatorii, unguenti confor- tatorii a chi la sera andò a letto cotticcio, lazzi,lusin­gherie, spergiurazioncelle parasitiche: vendo anche una stregghia piena di ruggine, e una ampolla rossa; ma presto perchè devo dar il decimo a Ercole.

Cro. Potenzinterra! è questa un’ asta di non gran mo­mento! Sentesi l’ uomo baloccar la fame nella bu­della: l ' affronterò.

Gel. Qual femmina è questa che mi viene incontro? Io non m’ inganno, costei è Crocozio, fante d’ Epi- gnomo.

Cro. Dio ti salvi, Gelasimo.Gel. Non è .questo il mio nome.Cro. Ma come è vero che son qui, credo che lo fu una

vòlta.Gel. Lo fu benissimo, ma coll' andazzo io l’ho perduto.

Ora chi vuol chiamarmi del mio vero nome dee dirmi Miccotrogo.

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Cro. EcastoTj risi le hodie.Gel. Quando, ani quo in loco?Cro.H ìc, quom auctionem praedicabat.Ge l.

Eo, ne audivisti?Pessum al

Cro.Gel. Quo nunc is?

Te quidem dignissumam.

Cro.G e l.Cro.

Ad le.Quid venis?

PanegtfrisRogare jussit led, ut opere maxumo Mecum similud adires ad sese domum.

Gel. Ego ilio mehercle vero eo, quantum potest.Jamne exta coda sunt?'quot agnis fecerat?

Cro. Illa quidem nullum sacruficavit.Ge l. Quomodo?

Quid igitur me volt?Cro. Tritici modios decem

Rogare, opinor, te volt.G e l. Siene? ab se ut pelam?Cro. Imo hercle, ut abs te mutuom nobis duis.Ge l. Nega esse, quod dem, nunc mihi nec mutuom,

Neque aliud quidquam, nisi, quod habeo, hoc pal-

Linguam quoque etiam vendidi datariam.Cro. Hau, nulla tibi lingua est, quae quidem dicat

G e l. Felerem reliquis eccillam, quae dicat Cedo. 'Cro. Malum libi di denti

liums

Dabo?

Ge l. Haec eadem dicit libi.Cro. Quid nunc? iturus, an non?

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Cno. Canchero, se io risi alle tue spalle!Gel. Quando? dove?Cro. Qui: quando gridavi l’ asta. ' (Gel. Traditora! E sì, che ne dici?Cro. Che era proprio da par tuo.Gel. Dove corri?Cro. A te.Gel. Perchè?Cro. Panegiride mi fè una ressa assai grande, acciò io

operassi in modo che ti potessi condur meco a lei.Gèl. Io ci correrò davvero, e quanto me nJ esce da’piecT.

Son già cotte le trippe? quanti agnelli ammazzò ella?Cro. Nessuno, non ha fatto sacrifizio.Gel. Come? A che la mi vuole adunque?Cro. La vuol chiederti, io penso, dieci moggia di

grano.Gel. Da me? o perchè io le cerchi da lei?Cro. No per Bacco, anzi perchè tu le accomodi a

noi.Gel. Di’ eh’ io al mondo non ho cosa da dare; che le

mie cuccagne sono tu tti in questo mantello, e che l’ ho venduta la mia lingua dativa;

Cro. AhuL e non hai tu lingua che dica darò?Gel. Ho lasciata la vecchia, guarda questa che die*

dam m ene.Cro. La rovella che ti mangi.Gel. Questa mia lingua Io dice a te. •Cro. E sì ora? verrai o no?

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G el. J b i sane domum:Jam illo ventum m dicito. Propera alque abi. Demiror, quid illaec me ad se arcessi jusserit,Qnae nunquam jussit me ad se arcessi ante hunc

ditm jPostquam vir abiit ejus. Mirort quid sietj Nisi, ut periclum fialj visam, quid velit.Sed eccum Dinacium ejus puerum! Hoc videt SatinJ ut facete atque ex piclurad adslitil?Nae iste edepol vinum poculo pauxillulo Saepe exantlavit sub merum scitissumet

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Vattene pur franca a casa: dille eh’ io vengo su­bito: fa presto, spacciati. Io strabilio eh' ella la mi chiami adesso, non avendomi dal dì che andò via suo marito insino a questo chiamato mai. Io ne maraviglio, se pur non v’ ha qual cosa a ripa­rare, vedrò che si voglia. Ma togli qua Dinacio suo valletto! guarda, e non ti par egli dipinto? E ’ sì, che a suon di bufloncini n’ avrà sugato del vin meschio.

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ACTUS II.SCENA I.

D in jc iv m , Ge l js im u s .

D i ir. Mercurius, Jovis, qui perhibetur nuntius, nunquamaeque suo patri

Nuntium lepidum attulit, quamde ego nunc meaeherae nuntiabo;

Ilaque onustum pectus porto laetitia lubentiaque, Neque lubet, nisi gloriose, quidquam proloqui. P ro­

fectoAmoenitates omnium venerum atque venustatum ad-

fero,Ripasque superat m i atque abundat pectus laetitia

meum/Nunc tibi potestas adipiscendi est gloriam, laudem,

decus:Propera! pedes hortare! honesta dicta factis, D ina-

cium,Heraeque egenti subveni benefacta majorum tuum, Quae misera est expectalione Epignomi adventus

viri!Proinde, ut decet, virum amat suom cupide: nunc}

Dinacium, expedi, Age, ut placet! curre, ut lubet! cave quemquam floc-

ciferisfCubilis depulsa de via! tranquillam concinna viam / S i rex obstabit obviam, regem ipsum prius per-

vortito/

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ATTO II.

SCENA I.

D in a c io , G e l a s im q .

Mercurio che è in voce d’ essere il procaccino di

Giove, non portò mai a suo padre così buona no­

vella, conforme è questa che io riferirò alla mia

padrona. Io ne vo stracarico d’ allegria e di pia­

cere, nè adesso io so far altro che il bravaccio.

Io mi porto addosso le delizie di tutte le veneri,

e de’ solazzi; il giubilo m’ha rotti gli argini, e mi

gorgoglia in petto! or sì che ti puoi acquistar

gloria, lode, riputazione: corri! studia il passo! fa

che le non sien solo parole, o Dinacio; non esser

avaro de' bencficii de' tuoi maggiori alla tua pa­

drona, che poveretta la si sente isquarciar l’anima

dall’ espettazione di Epignomo suo marito. In som­

ma com’ è delle dabben donne la gli va dietro

morta: ora, o Dinacio, esci di bufalo, fa come più

vuoi! corri quanto più ti piace! non far caso di

chicchessia! fatti largo co' gombìti! fa che la strada

sìa netta! E sia pur un re che t ’ impaccia, stra­

mazzalo in terra con un punzone.

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Ge l. Quidnam dicam Dinacium lascivibundum currere?' Arundinem fert sporlulamque et hamulum pisca­

rium.D i n . Sed tandem, opinor, aequiust, heram m ihi esse sup-

plicemj at-„ que oratores mittere ad me, donaque ex auro et

quadrigas,Qui vehar: nam pedibus ire non queo. Ergo ja m

revortar:A d med iri et supplicari egomet m i aequom cen­

seo. —A t vero nugas censeas nihili esse, quod ego nunc

scio. —Tantum a portu adparto bonum, tam gaudium gran­

de adfero,' Vix ipsa domina hoc, nisi sciat, exoptare a dis

audeat.Nunc ultro hoc deportem? Haud placet, neque id

viri officium arbitrorj Hoc ., hoc videtur mihi magis . meo convenire huic

nuntio jAdvorsum ul veniat, obsecret, se ut nuntia hoc in-

partiam.Secundas fortunas decent superbiae.Sed tandem, quom recogito, qui potuit scire, haec

scire me?Non enim possum quin revortar, quin loquar, quin

edisertem,Heramque ex moerore exim am, benefacta majorum

meumExaugeam, augeam illam ex insperato opportuno

bono.

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G e l . Diavolo! dove se ne corre Dinacio così allegro?

Egli ha la canna, e la sportola, e l’ amo da pe­

scare.

Dm. Ma alla fin finfe pur mi cred’ io sia meglio che la

padrona la mi preghi, e la mi mandi imbasciate,

e la mi presenti di ori e di carrozze da scarrozzar-

, mene, le gambe più non mi reggono. Ora io tor­

nerò indietro, è giusto che si corra a me, e che a mei

si faccian le supplicazioni. — Ma tu dirai che le son

frottole queste che so io. — Io dal porto arreco

tanto bene, e tanta gioja, che la padrona, se noi

sa, appena appena ardirebbe pregarne gli iddìi. E

io dovrò cantare per nulla? Mai no: questo non

; cred' io officio di valentuomo; questo, questo mi

pare sia più dicevole a tanta mia novella, che mi

si venga incontro, che mi scongiuri acciò di que­

sta notizia gliene faccia parte. AI fortunato non

disdice la boria. Eppure quando me la rivolto un

po’ pel capo, qual diamine avrà potuto aver fumo

eh' io sappia cotesto? Non mi so tener io dal rifar

i passi, dallo sfringuellarla, dallo sminuzzolarla per

filo e per segno conforme usarono i miei antichi,

caverò la padrona di tristizia, e la feliciterò di

tanto inspirato bene. Metterò una pietra sopra

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Contundam facla Talthybi, conlemnamque omn itnuntios:

Simulqnc ad cursuram meditabor me ad ludosOlympiae.

Sed spatium hoc accidit breve curriculo. Quam mepocnilelf

Quid hoc? Obclusam januam video. Ibo et pullabo foris. J perite atque adproperate! fores facile ut pateantt

removete moram! Nim is haec res sine cura geritur: vide, quamdu-

dum hic adslo et pullo! Som non’ operam datis? Experiar, an cubili an pe­

des plus valeant.Nimis vellem haec herum fugissent, ea causa ut ha­

berent malum.■Defessus sum pullando:Hoc est postremum vobis!

Ge i . Ibo alque hunc conpellabo.Salvos sis.

D in . El tu salve.' Gel. Jam tu piscalor faclus?D in . Quampridem non edisti?Gel. Un­

de is? quid fers? quid festinas?D in . Tua quod nihilum refert,

Ne cures.Gel. Quid inest istic?Din . Quas tu vides colubras? ,Gel. Quid tam iracundus.D in . S i in te

Pudor adsit, non me adpelles.Gel. Possum scire ex te verum?Din . Poles; hodie non coenabis.

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Taltibio, farò nian conto di tutti i nunzii! e ad

un colpo eserciterò le gambe per la corsa nei

giuochi olimpici. Ma la meta non è lontana, uh se

me ne increscel Che è questo? chiusa è la porta:

andrò a battere, aprite, spacciatevi! spalancatemi

queste imposte! sgranchiatevi! tròppo a dondolo

state voi altri! guarda! è già un anno che sto qui

a battere, avete legato l’ asino? proverò chi mi

dica meglio, se i piedi o i gombiti. —- Io vorrei

che queste donne fossero fuggite, proprio per

questo, perchè dopo incogliessero il malanno. Io

son stracco di battere! questo è l’ ultimo!

G e l . Andrò e lo chiamerò, addio.

D in . Addio.

Gel. Ti se’ fatto pescatore adesso?

D in . Che tempo è che non hai mangiato?

Gel. Onde vieni tu? che porti? che prescia è .la tua?

Dm. A te nulla fa.

Gel. Che hai qua dentro?

Din. E non li vedi questi vermini?

Gel. Perchè tanta stizza.

Dm. Se in te fosse vergogna non mel domanderesti.

Gel. Posso saper io la verità?

Din, Patoi, oggi non avrai da cena.

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SC E SA IL

PjNECYBIS, GeLASIMUS, DlNACIUK.

PjN.Quisnam, obsecroj has frangil foris? ubi est?Tun’ haec facis, tun* m i hostis huc venis?

Gel. Salve. Tuo arcessitu venio huc.Pah. Eau’ gratia foris ecfringis?Ge i . Tuos inclama: lui delinquont. Ego, quid me velle,

visebam.Nam harunc quidem miserebat,

D in . Ergo auxilium propere latum esLPj n . Quisnam hic loquitur tam prope nos?D in . Dina cium.Pj n . Ubi is est?D in . Respice me , et relinque egetilem parasitum, Panegy-

ris.PjN .D inacium . . .

D in . Istuc indidere nomen majores mihi.P j n . Quid agis?D in . Quid agam, rogitas?P j n . Quidni rogitem?D in . Quid mecum est tibi?P an.M ein' fastidis, propudiose? Eloquere propere, Dina-

cium!D in . Jube me omittere igitur hos, qui retinent.P j n . Qui retinent?D in . Rogas?

Omnia membra lassitudo mihi tenet . . .Pj n . Linguam quidem

Sat scio libi non tenere.

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PaNEGIRIDK, GeLASIMO, Diiucio.

Pah. Deb, chi mi sfascia questa porta? dov’ è? E seJ tu che nc fa di queste? vien tu forse a questa volta con mal animo?

Gel. Iddio ti salvi, qua io vengo per tuo ordine.Pan. E per questo mi sgangheri 1’ uscio?Gel. Sgrida a* tuoi; de’ tuoi è la colpa: io veniva a sen­

tire j n che mi volevi, imperciocché me «e pian­geva di queste.

Dm. E perciò venne presto il soccorso.Pax. Chi parla in questo modo p ro so a noi?Din. Dinacio.Pan. Dov’ ò costui?D in. Volgetevi, o Panegiride, e spiccatevi da questo cat­

tivello di parasito.Pan. Dinacio!

D in. Tal nom e mi posero i miei antichi.Pan. Che fai?D in. E dim andate che faccia?

Pan. Perchè non ho da chiederlo?Dm. - Che ho io con voi?Pan. Oh, mozzina! in sì poco conto tu mi hai? Fa pre­

sto, escine, Dinacio.Dm. Ordinate adunque che mi lascino costoro che mi

tengono.P an. Chi ti rattiene?Din. Una maladetta stanchezza la mi rappiglia le midolla

nell’ ossa.Pàn. S o però che la ti lascia disciolta la lingua.

Yol. IV. PjLAl'T. 11

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D in . Ila celeri curriculo fuiPropere ,o portu, honoris causa tui.

P j n . Ecquid adporlas botti?D in. Nimio inpartio mullo tanto plus, quam speras. P j n . Salva sum/D in .A t ego perii, quoi medullam lassitudo perbibit!Gel. Quid ego, quoi misero medullam ventris percepit fames? P j n .E cquem convenisti?D in . Mullos.P j n . A t virum ecquem?D in . Plurimos;

Ferum ex mullis nequiorem nullum, quam hic est. Ge l. Quomodo?

Nam jamdudum ego islunc patior dicere injustemihi.

Praeterhac si me inrilassis . . !D in . Edepol esuries male.Ge l. A nim um inducam, ut, istuc verum te elocutum

esse arbitrer.D in . Munditiam volo fieri: ecferle huc scopas simulgue

arundinem:Ut operam omnem aranearum perdam et texturam

inprobem,Dejiciainque eorum omnis telas.

Gel. Miserae algebunt postea.D in . Quid illas itidem censet esse, quasi te, cum veste

unica?Cape illat scopas!

Ge l. Capiam.D in . H oc egomet, tu hoc converre/Ge l. Fecero.

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Dir. Son corso qua dal porto in istafetta, per ainor vostro.

Pan. E qual bene mi porti?Dm. Che passa i mille doppi la vostra speranza.Pan. Io son salva!

Dm. E io ho sconfitto, che per la stanchezza non ho più succo nell’ ossa.

Gel. E che dirò io, sgraziato, da poi che la fame la m’ha fatto un diserto nel ventre?

Pan. Chi hai trovato?Gel. Molti.Pan. Ma e ohe uomini?Dm. Più di cento: ma de' tanti, niuno di fazza furfan­

tina più di questo.Gel. Come? È già un pezzo che me le tolgo in pace

le villanie di costui: d’ oggi in poi se me ne di’ ancora una . . .

Dm. Affé che vedrai la fame in aria.Gel. Sarei per credere che tu non l’hai detto da burla.Dm. Io voglio che si faccia pulizia: recate fuori le scope

e gli arborelli, eh' io vo’ spazzare e rompere tutte 4e ragna, e gittarne abbasso tutte le tele.

Gel. Povere bestie! creperan di freddo.D in. Che? ere’ tu sieno elle spiantate come te che

hai due vesti, quando se' tra lé coltri? To' quella scópa!

Gel. Prendola.D in. Io qua, tu spazza là.Gel. Farò.

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D in . Ecquis huc ecferl nasiternam cum aqua/Ge l. Sine suffragio

Populi tamen aedilitatem hic quidem gerit.D in . /fge tu, ocius

Pinge humum / consperge ante aedis!Gel. Faciam.D in . ■ Eactum opotluit.

H inc ego araneas de foribus dejiciam et de pariete. Gel. Edepol rem negotiosam!P an. Quid sil, nil etiam scio,

N isi forte hospites venturi si sunt.D in . Lectos sternite!Ge l. Principium placet de lectis.D in . Alii ligna caedilej

A lii piscis depurgate, quos piscator allulil!Pernam et glandium dejicite:

Gel. Hic hercle homo nimium sapit.P an.N on ecastor, ut ego opinor, sali* herae morem

. geris.D in .Imo res omnis relictas habeo prae, quod tu velis. P an. Tum tu igitur, qua causa missus es ad portum, m i

expedi.Din . Dicam. Postquam me misisti ad portum cum luci

sim ul,Commodum radiosus ecce sol superabat ex mari. Dum percontor portitores, ecquae navis venerit E x Asia, et negant venisse, conspicatus sum inte­

rimCercurum ego, quo me majorem non vidisse cen­

seo.In portum vento secundo, velo (8) passo, pervenit.

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Din.Gel.

Dm.

Gel.Din.

Gel.

P an.

Din.Gel.

Dm.

Gel.Pan.

Din.

P an.

Din.

Chi porta una brocca d’ acqua?Ve' costui che senza suffragio del popolo s’ è fatto edile?Su muoviti, presto, spargi la terra di fiori! qua, gittane sopra la porta!Subito.Già dovevi averlo fatto: io trarrò giù questi ra - gnateli delle imposte e dal muro.Poffar" il mondo che faccenda!Io non ci capisco nulla, se prfr non sono per ar­rivar degli ospiti.Spiumacciate i Ietti!E mi garba questo principio dalle letta.Voi altri spaccate le legna, voi altri purgate i pesci che portò il pescivendolo dalla scaglia! strappate giù un prosciutto e un ghiandaie. Potenzinterra, che cima d' uomo!Se male iò non m’ appongo, tu non vai troppo a’ versi della tua padrona.Anzi io lascio andare ogn’ altra cosa per farvi contenta.Dimmi allora cagione perchè tu fosti mandato al porto: cavami di questo.Dirovvelo. Di poi che m 'avete fatto levare col di perchè fossi al porto per tempo, io arrivai quivi che il sole già sorgea chiaro e lampante dal mare: mentre io cerco i dazzini se dall' Asia avesse fatto scala qual­che nave, ed essi me lo niegano; io veggo una ga­leotta che non ricordami averne vista di più gran­de; tirava buon vento, e a vela tesa entra in porto. Dimandiam 1' uno, dimandiam 1’ altro: di

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Alius alium ptreontamur: quoja est navis? quidvehill

Interim Epignomum conspicio, iuom virum, el ser-vom Stichum.

P jn . Hem, quid? Epignomum elocutus?Gel. Tuom turum el vitam m eam /D in . Fenil, inquam.P j n . Tun eum ipsum vidisti?D in . I ta ego, ac lubens.

Argentique aurique advexit midium . .P j n . . Nimis factum bene!Ge l. Hercle vero capiam scopas alque hoc converram

lubens.D in . Lanam purpuramque multam . . .Ge l. ' Ehem, qui venirem vestiam/D in . Lectos eburatos, auratos . . ..G el. Adcubabo regie/D in . Tum Babylonica peristromata, conchyliata tapelia. t

N im ium advexit bonae rei.Gel. Hercle rem gestam bene/D in . Post, ut oecepi narrare, fidicinas, tibicinas,

Sambucas advexit secum form a eximia.Ge l. Eugepae!

Quando adbibero, adludiabo. Tum tum ridiculissu-mus.

D in . Post unguenta multigenera multa.Gel. Non vendo logos

Jam-, jam non facio auctionem: m i obtigit hereditas. Malevoli perquisitores auctionum perierint/Hercules, decumam esse adauctam, tibi quam vovi

gratulor.

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chi è questa nave? che porta? ecco d’intrammezzo che io veggo Epignomo vostro jnarito , e il servo Stico.

Pan. Oh che è questo? Ha’ tu detto Epignomo?Gel. Tuo marito è vita mia.Din. Venne vi dico.Pan. E l’hai tu veduto?Din. Con questi occhi, e con che cuore! Portò egli ar­

gento e oro a josa . . .Pan. Oh ben fatto!Gel. Or sì che di tu tta lena m’ attacco alla scopa, «

mi do a spazzar questo!Din. Lane e porpore a bisefle . . .Gel. Cagna! mi coprirò la pancia!Din. Letti intarsiati d’ avolio, e inorati . . .Gel. Vi mi stenderò sopra come un re!Dm. Dommaschi di Babilonia, e tappeti incastonati di

conchiglie. In somma egli ha portata una cuc­cagna.

Gel. Queste si dicono buone faccende! 7Din. Poi, per dirvi il resto, condusse con sè mandoline

pifarine, suonatrici d’ arpa d ' una presenza . . .Gel. Cacasangue! una trincata e un baciozzo. Allora io

son tutto festevole.Din. Unguenti in chiocca e di varie sorta.Gel. A monte la vendita, a monte l’asta delle mie bur­

le! m’ è piovuta una eredità. Canchero a questa canaglia di sindachi! 0 Ercole, da poi che hai avolo quel decimo, ond’ io mi ti sono botato, me ne ral­legro.

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D in. Posi aulem advexit seenni parasito» . . .Gel. Heu, perii miser/DiN.Ridiculissumos.Ge l. Reverràm hercle hoc, quod converri ( 9) modo.

Sunt logi venale» illi, quos negabam vendere,Eloco, et meo malo est quod malevolentes gaudeant. Hercule, sane, qui deus si», discessisses non male!

P js.F id istin virum sororis, Pam philippum ?.D in . . Non.P j n . Jdest?D i fi. Imo ajebant eum venisse simituj ?ed ego cilius Ime

Praecucurri, ut nuntiarem nuntium exoptabilem. P j n . I intro, Dinacium: jube famulo» rem divinam m i

adparent. —Rene vaie.

G el. Fin’ administrem?P j y. Sat servorum habeo domi.Ge l. Enimvero, Gelasime,- opinor provenisti futile,

S i neque ille adest, neque hic, qui venti, quidquam■ subvenit.

Ibo intro ad libro», et discam de diclis melioribus: Nam ni illo» homines expello, ego 'occidi pianissime.

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Din. Poi ha seco de’parasiti . . .Gel. Huit son disfattoi

D in. Piacevolissimi.Gel. Scoperò dentro quel che ho scopato fuori. E’ si han

da vendere questi motti eh’ io dicea di no, e su­bito, perchè i miei malevoli se ne lecchino le dita. 0 Ercole, avresti proprio non fatto male ad an­dartene.

Pan. Hai tu visto Pamfilippo marito di mia sorella?Din. No.Pan. È arrivato?Din. Diceano eh’ e ra venuto insieme. Ma qua son corso '

a ro tta , per darvi questa desideratissima novella.P an. Va dentro, Dinacio, di’ a’ servi che mettano a l-

1’ ordine pel sacrificio: statti allegro.Gel. Vuoi dia mano anch' io.Pan. Ho servi abbastanzaGel. Or sì, Gelasimo, ehe hai gittati i passi, se quegli

non viene, e questi che arriva non mi dà qualcosa. Andrò in casa, mi ficcherò su’ libri, e mi ricalcherò le più belle celie in capo, con ciò sia che se oggi non vinco questi uòmini, io posso voltar via senza far patti.

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ACTUS III.SC E N A I.

E pignouus, S tic bu s.

E p i. Quom bene re gesta salvos convortor domum, Neptuno gratis habeo et tempestatibusj Sim ul Mercurio, qui me in mercimoniis Juvit, lucrisque quadruplicavit rem meam.Olim quos abiens adfeci aegrimonia,Eos laetantis nunc faciam adventu meo:N am ja m Antiphonem conveni adfinem meum, Cumque eo reveni ex inim icitia in gratiam.Fidele, quaeso, quid potest pecunia!Quoniam bene re gesta redisse me videt,Magnasque adportavisse divitias domum,Sine advocatis ibidem in cercuro, in stega,In amicitiam atque in gratiam convorlimus,Et hic hodie apud me coenat et frater meus:N a m heri ambo in uno porlu fuimus; sed mea Hodie soluta est navis aliquanto prius.Age, abduc has intro, quas mecum adduxi, Stiche.

S t i . Here, si ego taceam, seu loquar, scio, scire te, Quam mullas tecum miserias multaverimj Nunc hunc diem unum ex illis mullis miseriis Folo me eleutheriam capere advenientem domum.

Ep i. El jus et aequom postulas: sumas, Stiche,Istunc diemj te nihil mororj abi, quo lubet.Cadum tibi veleris vini propino.

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ATTO III.

SCENA I.

E pignom o, St ic o .

Epi. Tornandomi a casa salvo, ora che sono iti si bene gli affari miei, io ne fo grazie a Nettuno e alle tem­peste, nè dimenticomi di Mercurio, il quale in que­sto mercanteggiare m’ha fatto buon viso, e m’ha ingrassato del quadruplo neìl’ avere. Quelli che una volta io ho ricolmi di tristizia, ora farò contenti alla mia tornata. Già mi sono accontato con Anti­fone mio parente e dairodio gli son venuto più caro di prima. Deh, guardate voi altri potenza de’ quattrini! Da poi ch’ egli mi vide tornato a casa così ben concio delle cose mie, e con tante ricchezze, senza avvocati là nella galeotta, e sul cassero, ci rifacciamo ancora in su l’amicizia e in su la grazia usata; e qui cenerà egli oggi presso di me con mio fratello. Imperciocché fummo jeri insieme nello stesso porto, ma oggi la mia nave sarpò alquanto prima. Su via, tra ' dentro costoro che ho condotti a casa mia, o Stico.

Sn. Padrone, o taccia o parli, ben so io essere voi chiaro di quanti affanni abbia patiti con voi. Ora questo solo giorno, dopo tanti triboli, voglio sguaz­zarmelo, essendo arrivato a casa.

Epi. Tu parli dritto e bene, prenditelo, o Stico; io non tì fermo, va dove più vuoi: io ti dono un barlozzo di Yin vecchio.

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S t i. Papae,Ducam hodie amicam!

Ep i. Fel decem, dum de tuo.Ubi coenas hodie, si istanc rationem institas?

S t i. Am icam ego habeo Stephanium hinc e proxumo, Tui fratris a n c illa m e a e condixi in symbolam A d coenam ad ejus conservom Sagarinum Syrum . Eadem est amica ambobus; rivales sumus.

E p i. Age abduc eas intro. Hunc tibi dedo diem.S ti. Meam culpam habeto, nisi perexcruciavero.

Jam hercle ego per hortum ad amicam transibomeamj

Mi hanc occupatum noctem; eadem symbolam Dabo et jubebo ad Sagarinum coenam coqui,Aut egomet ibo alque obsonabo obsonium.Atque^ id ne vos m iremini hominis servolis {10) Potare, amare atque ad caenam condicere,Licet hoc Athenis nobis. Sed quom cogito,Quamde in dividiam, veniam, est etiam hic ostium Aliud posticum nostrarum harumce aedium, et Posticam partem magis utuntur aedium;Ea ibo obsonatum, eadem referam obsonium Per hortum: utroque conmeatus continet.Ile hac secundum, vos, me. Ego hunc lacero diem/

SC E N A I I .

Geljsim u s, Epignouvs.

Gel.Libros inspexi: tam confido, quam potest.Me meum obtenturum regem ridiculis meis,- Nunc interviso, jam ne a portu advenerit,Ut eum advenientem dictis meis deleniam. ■

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Sti. Viva, andrò oggi a trovare 1’ amica.Epi. Anche dieci, purché snoccioli del tuo: ma dove

cenerai tu oggi, se tu se’ ben fermo a questo?St i. La mia amasia sta qui presso; è Stefanio, é la fante

del fratei vostro: nel darle la parte mia dissi che avrei chiamato anche Sagarino di Siria di lei con­servo: essa è la cornacchia di noi due, noi siamo rivali.

E p i . Animo dunque, mena in casa queste femmine, io ti lascio libeco tutto il dì.

Sri. Datemi del capocchio, se mille non gliene appicco. — Ornai dall’ orto passerò all* amica a godermi que­sta notte, e nello stesso tempo pagherò io lo scotto, e dirò che la cena si prepari da Sagarino, e ch’ io andrò per la provvista. Non ve ne maravigliate voi

- altri se un povero servitorello beve, fa all'amore, e spende in cene: qui noi siamo in Atene e lo possiam fape; ma io fo mie ragioni in capo, piut­tosto che recarvi noja, da poi che dietro casa no­stra v’ha un’ uscio, e eh’è più battuto della porta grande; passerò di là, e porterò per 1’ orto la prov­vista: 1’ una casa sbocca neir’altra. Voi altri venite­mi dietro: io spreco questo giorno.

SCENA n.

Gelasim o, E pignom o.

Gel. Io ho data u n ' occhiata a’ miei libri, e son tu tto consolato di speranza di raccattar il mio re colle mie buffonerie. Ora andrò a vedere s’ è partito dal porto, acciò me lo possa abbonazzare appena ha messo piede in terra.

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E p i. Hic quidem Gelasimus est parasitus, qui venit. GEL.Juspiciod hoc die optumo exivi foras:

Mustela murem abstulit praeter pedes.Quoniam strenam obscaevavit} speciatum hoc mihi

est.Nam ut illa vitam reperit hodie sibi,Item me spero facturum. Augurium haec facit. Epignomus hic quidem est, qui adslat: ibo alque

adloquar.Epignome, ut ego te nunc cotispicio lubens/Ut prae lelilia lacrumae prosiliunt mihi!Falaistin ùsque?

Ep i. Stislenlalum est sedulo.Gel. Bene atque amice dicis.Ep i. D i dent, quae velis.GEL.Propino tibi salutem plenis faucibus.

— Coenem illi apud te: ( \ \ ) — quoniam salvos advenis. Ep i. Locata (\%) est opera nunc quidem; tam gratia est. Gel. Promitte.E p i. Certum est.Ge l. Sic fac3 inquam.E p i. Certa rest.GEL.Zubente me hercle facies.E p i. Idem ego istuc scio.

Quando usus veniet, fiet.Ge l. Nunc ergo ustu est.E p i. Non edepol possum.Ge l . Quid gravare? Censeas?

Nescio quid vero habeo in mundo.Ep i. 1 modo;

A lium convivam quaerito libi in hunc tibi diem.

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Epi. Costui è quel b e rlin g a to lo di Gelasimo che Yiene a questa volta.

Gel. Oggi sono uscito fuori con bellissimo auspicio. Una donnola la mi ghermì un sorcio su’ piedi: ella la mi porse l’ augurio e io l’ ho inteso, imperciocché se quella oggi trovò d a ’ vivere, così spero in tra - verrà anche a me: io fo questo pronostico. Questi è proprio Epignomo, andrò e 1' affronterò. O E - pignomo, che delizia m i. dèi or che ti veggio! dalla gioja mi piovon giù le lagrime! se ' tu sempre sta­to sano?

Epi. Così abbiam guardato.Gel. Tu parli da valentuomo e d’ amico.Epi. Che Dio ti prosperi.Gel. Io ti saluto a go la p iena, — cenerò a casa tua,

— dappoiché ci capiti salvo.

Epi. M’ hanno invitato adesso: pur ti ringrazio.Gel. Promettimelo. *Epi. Non posso.Gel. Fammi contento.Epi. Son fermo.Gel. Non avrò miglior piacere.Epi. Sommelo, occorrendo si farà.Gel. Togli: occorre adesso.Epi. Noi posso proprio.Gel. Perchè così del cacastecchi hai tu oggi? e non te

pare? Non so che diamine m’ abbia di pronto.Epi. Vattene, cercati altri convitati quest' oggi.

Page 174: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

476Gel. Quin lu prom ittis?- Ep i. Non graver, si possiem.GEL.Umim quidem hercle certum promitto tibi:

Lubens accipiam certo, si promiseriis.Ep i. Valeas.G el. Certumne est?Ep i. Certum: coenabo domi.Ge l. Quandoquidem operam tuam ne vis promittere,

Fin‘ ad te ad coenam veniam?Ep i. S i possit, velim:

Ferum hic apud me coenant alieni novem. GEL.Haud postulo equidem med in lecto adcumbere.

Scis tute, med esse im i subselli virum.E p i. A t ii oratores sunt popli, sum m i viri

Ambracia veniunt huc legati publice.GEL.Ergo oratores populi su m m ates v ir i,

Adcumbent summ ij ego infimatis infimus.E p i. Ilaud aequom est, te inter Aratores accipi.Gel. Equidem hercle orator sumj sed procedit parum. Ep i. Cras de reliquiis nos volo. Multum vale.Gel. Perii hercle vero plane, nihil obnoxiel

Uno Gelasimo minus est, quam (ludum fuit. Certum est mustelae posthac nunquam credere: N am incertiorem nullam novi bestiam.Quaene ipsa decies in die mutat locum,Eam auspicavi ego in re capitali mea?Certum est amicos convocare, ut consulam.Qua lege nunc med — esurire oporteat.

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Gel. Perchè non me lo vuoi promettere?Epi. Non mi farei pregare se Io potessi.Gel. Una cosa proprio di certo ti prometto, e proprio

di buona voglia la sento, se me ne dài parola.Epi. Addio.Gel. £ hai tu fermo?Epi. Fermo, cenerò a casa.Gel. E si adunque, dappoi che non mi vuoi prom ettere,

vuoi ch’ io venga a cena a casa tua?Epi. Volentier se si potesse, ma son presso di me al- ,

tri nove forastieri.Gel. Ma io non cerco giacermi in Ietto, ben sai pastric­

ciano eh’ io mi sono.Epi. Ma costoro sono oratori del popolo, gente di assai

alto affare, e che qua vengono per una pubblica imbasceria da Ambracia.

Gel. E per questo gli oratori del popolo, i gentiluomini, seggano in alto, io volgarissimo starommi su’ tre ­spoli.

Epi. Non è dicevole che ti ritrovi tra gli oratori.Gel. Son oratore anch’ io, ma pesco in aria.Epi. I rilievi si serbano a domani. Statti salvo.Gel. Io son m orto, non v’è più scampot buona notte

al povero Gelasimo. Io son chiaro, non vo' più aver fede in donnole, io non vidi mai bestia più incerta. E io tra r gli auspicii in tanto pericolo da chi cambia luogo dieci volte il dì? Io son delibe­ra to di chiamar gli amici, e chieder loro qual legge m i’costringa a soffrir tanto la farile.

Vol. IV. Plaut.

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ACTUS ir.SCENA I.

A ntipho, P am ph jlippis, E pìgsomvs.

A x r .I la me di bene ament measque m ihi servassìntfilias,

Ut mihi volupe est, Pamphilippe, quia vos in pa­triam domum

Redisse ambos bene gesta re video, te et fratremtuom.

Pjm .Satis abs te accipiam, nisi videam mihi te amicumesse, Antiphoj

Nunc, quia te m i amicum experior esse, credetur libi. A u t. Vocem ègo te ad me ad coenam, frater tuos nisi

dixisset mihi,Te apud se, coenalurtim hodiej cum me ad se ad

coenam vocatjEt mage par fuerat, dare vobis me coenam adve­

nientibus,Quam promittere med ad illum, nisi nollem advor-

sarier.Nunc, me gratiam abs te inire verbis, nil dcsideroj Cras apud me eritis, et tu et ille cum vostris uxo­

ribus.P ah. Et apud me perendie: nam ille heri in hunc ja m

vocaveratMe diem. Sed satin’ ego tecum pacificatus sum, A n ­

tipho?

Page 177: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

ATTO IV.

SCENA I.

ANTIFONE, P a MFILIPPO, E f ig k o m o .

Ast. Còsi Dio ajuti me, sì dia bene egli alle mie figliuole,

come io ne godo, o Pamfilippo, perchè io ri­

veggo tornati in patria a casa vostra, dopo un

buon civanzo, sì tc che tuo fratello.

Pam. Di tanto io me ne rimarria contento, se vedessi

che non mi se' amico, o Antifone; ora perchè

pròvo che mi vuoi bene, io te ne ho piena fede.

A^r. Ti chiamerei a cenar meco, se tuo fratello non

m ’ avesse detto, allorché m’ invitava, che tu avresti

cenato da lui. Egli è vero, saria stato meglio che

nel vostro arrivo io avessi ordinata la cena, di

. quello che impromctterc ch’ i sarei stato da lui;

ma io non 1’ ho voluto contrariare. Or io non

vo’ presso tc accattarmi grazia con tanti pream­

boli; domani sarete a casa mia e tu e lui e le

donne vostre.

Pam. E posdomani presso di me: imperciocché egli sia

da jeri m’ avea invitato per oggi. Ma son già bene

io rappattumato con te, o Antifone?

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J n t .Quando ila rem gessistis, ult vos vellem amicosqueaddecet,

P ax commerciumque est mecum: nam hoc tu facitocogites:

Ut quoique homini res paratae, amici suntj lassaelabant?

Ilidem amici conlabascunl. Res amicos invenit.E p i . Jam redeo. Nimia est voluptas, si diu abfueris do­

mo,S i redieris, si tibi nulla est aegritudo animo obviam. N am ita me absente familiarem rem uxor curavit'

meam,Omnium exilem alque inanem fecit me aegritudi­

num.Sed eccum fralrem Pamphilippum, incedit cum so­

cero suo.P a». Quid agilur, Epignome?E n . Quid lu? Quamdudum a portu venis

Huc?J’jm . Longissume.E p i. Postilla ja m iste est tranquillus tibi?A NT. Magis quam mare, quo ambo estis vecti.E p i . Facis, ut alias res soles.

Hodiene exoneramus navem, frater?P a m . Clementer volo.

Nosmet potius nos vicissalim oneremus voluptatibus. Quam m ox coda est coena? Inpransus ego sum.

Epi* • Abi intro ad me,et lava,

P ju .D ets salutatum alque uxorem modo intro devortordomum.

Page 179: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

An t . Quando vi siete operali com’ io voleva, e conforme

conviensi da amici, io ho pace e alleanza con voi:

ma fa di tener ben questo in mente: come son le

venture degli uomini; cosi sono gli amici: stracche

vacillano? anche gli amici fanno a dondolo. Chi

ha roba trova amici.

Epi. Ornai io torno. E pur la gran delizia, se stato

lungo spazio di tempo assente da casa tua, ritorni

senza che ti si faccia incontro alcuna disgrazia:/

la donna mia fu sì buona massaja delle faccende

casereccie, che non la m’ ha recato il menomo che

onde rammaricarmene. Ma ecco il fratello Pamfi-

lippo, che se ne viene col suocero.

Pam. Che si fa, Epignomo?

Epi. E tu? È molto che dal porto se’ qua venuto?

Pam. Egli è un pochetto.

Epi. E già tei se' rabbon azzato 1’ uomo?

Ant. Più del mare, dal quale foste portati. •

Epi. Tu fosti sempre lo stesso. La discarichiamo oggi

la nave, o fratello?

Pam. Non pigliamci tanto affanno. Pensiam piuttosto di

riempirci I’ un l ' altro di allegrezze. Quando sarà

cotta la cena? io sono ancora digiuno.

Epi. Va in casa mia e lavati.

P am. Andrò intanto a salutar gli dèi e mogliama.

Page 180: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Fp i. Apud nos, eccillam, feslinal cum sorore uxor tua. P am. Oplumum est: ja m istoc morae minus erit. +E p i. Jam ego apud

te' ero.A u t. Priusquam abis, presente ted huic apologum agere

unum volo.E p i . Maxume.A x t . Fuit olim, quasi ego sum, senex j ei filiae

Duae erant, quasi nunc meae suntj eae erant duo­bus nuptae fratribus,

Quasi nunc meae sunt vobis. .P au. M iror, quo evasurust apologus.A nr.Esse m inori illi adulescenti fidicina et tibicina j

Peregre advexerat, quasi 'nunc tu. Sed ille erat coe­lebs senex,

Quasi ego nunc sum.P ah. Perge porro. Praesens hic quidem apologust.ANT.Dein senex ille illi dixit, quojus erat tibicina,

Quasi ego nunc libi dico.P a m . Ausculto, atque animum advorto sedulo.A n t .* Ego tibi meam filiam, bene quicum cubitares,

dedi:» Nunc mihi reddi ego aequom esse abs te, quicum

cubitem censeo. • P a h . Quis istuc dicit? an illic quasi tu?A ut. Quasi ego nunc dico tibi.

» Imo duas dabo, ( inquit ille adulescens ) una siparum estj

Et si duarum poenitebil, ( inquit) addentur duae. » P aii. Quis istuc, quaeso? an ille quasi ego?

Page 181: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Epi. Guardala da nói, che la è tutta in faccende colla sorella.

Pam. Egregiamente: farcm più presto.E pi. Io sarò teco a momenti.Ant. Prima d’ andartene, alla tua presenza vo’ raccon*

tare un apologo a costui.Ep i. Volentieri.Ant. . Fu una volta, un vecchio, quasi della mia età;

egli avea due figliuole, come ora sono le-m ie; elle erano m aritate a due fratelli, come ora le mie sono a voi.

Pam. Io non so tra rre dove l’ avrà capo questa favola.Ant. Il più giovane avea delle ceteralrici e delle suona-

trici di flauto; le avea egli condotte di lontano presso a poco come hai tu fatto. Ma quel vecchio era celibe, presso a poco come ora son io.

Pam. Va pur innanzi. Non è lungi questo apologo.Ant. Quindi il vecchio disse a colui che avea la pifa-

rina, presso a poco le parole che dico io a te.P am. Sento, e qua sono tutto orecchi.Ant. » lo t’ ho data mia figlia, con cui la no tte potessi

insiem e tro v arti al caldo, o r io penso che tu mi renda chi mi rip ari dal freddo. »

Pam. E chi dice questo? ti fai tu forse quello?Ant. Egli, come se fossi io. » Anzi ne darò due ( ri­

sponde il giovane ) se una è poco; e se t’ incre­scerà d’ averne due ( disse ) se ne aggiungeranno altre due. »

Pam. E chi dicea cotesto? quegli, come se fosse ne’ miei panni?

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A ut. I s ipse quasi Iu. SenexIlle, quasi ego: « S i vis ( inquil ) qualuor sane dato,• Dum quidem hercle, quod edant, addas: meum

ne contruncent cibum. » Pjm. Videlicet parcum illune senem, qui dixerit fuissej

Quoniam ille illi 'pollicetur, qui in cibum poposcerit. A n t . Videlicet nequam fuisse illum adulescentem, qui eloco,

Ubi itlic poscit, denegavit, se dare granum trilici. Quin hercle aequom postulabat ille senex, quando­

quidemFiliae ille dederat dolem, accipere pro tibicina.

P jm. Hercle illic quidem certo adulescens docte vorsulus fuit, Qui seni illi concubinam dare dotatam noluit.

A n t. Senex quidem voluit, si possel, indipisci de cibo; Quia nequit, qua lege licuit, velle dixit fieri.• Fiat, ( Ille inquit adulescens ) . — Facis benigne

( inquit senex J.» Uabeon* rem pactam? ( inquil J. — Faciam ila,

( inquil ) ul fieri voles. » Sed ego ibo inlro el gratulabor vostrum ad­

ventum filiisjPosi lavatum ibo in pyelum ( ibi fovebo senectutem

meam ) ;Post, ubi lavero, otiosus vos opperiar adeubans. —

P jm. Graphicum mortalem Antiphonem/ ut apologumfecil! quam fabref

£ liam nunc scelentus sese ducit pro adulescentulo! Dabitur homini amica, noctu quae in lecto occen­

tet senem:Namque edepol aliud quidem illi quid amica opus

sit nescio.Sed quid agit parasitus nosler Gelasimus? etiam valet■?

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Ant. Quegli, come fosse ne’ panni tuoi. Il vecchio ri­spondeva come fo io: » Se vuoi ( disse ) dammene pur quattro; purché vi aggiunga tanto da mante­nerle , acciò non maciullino del paio. »

Pam. Cazzica! e ' mi par questo vecchio una buona le­sina; chè avendogliele colui promesse, egli vuol anche che gli si faccia loro le spese.

Ant. DohI e’ dee pur esser stata una cattiva lana di giovane costui, che appena quegli gliene fè dimando, tosto si rifiutò di dare un granello. Quel vecchio poi non voleva cosa fuor del dovere, egli aveva data la dota alla figliuola, ora la ricevea per la suonatrice.

Pam. Capperi! se il giovane seppe ben cavarsela, non a- vendo voluto dare al vecchio 1’ amasia colla dota.

Ant. Il vecchio se 1’ avesse potuto, volea anche il pa- naggio; dappoi che non l’ ha potuto, si accontentò di qualunque patto. » Si faccia ( disse il giovane ). — Mi fai cortesia ( rispose il vecchio ). Siam già d* ac­cordo? — farò ( sì 1J altro ) quello che vuoi. » — — Ma ora io andrò in casa, e mi rallegrerò coHe figlie del vostro arrivo; poi andrò a sciaguattarmi nel bagno ( ivi conforterò un po’ la mia vecchiaia ); dopo, quando mi sarò lavato, v’ aspetterò a letto.

Pah. Oh scaltritacelo d’ un Antifone! guarda che apo­logo! guarda che malizia! e’ vuol farsi beffe della porrata questo bojaccio! Si darà l’ amica a que-

- st’ uomo, perchè in letto gli dia la mala notte; in- che d’ altro gli possa servire noi so nemmen io.

Ma che novelle di quel nostro leccon di'Gelasimo? è ancor y ìy o ?

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Ep i r Fidi edepol hominem haud perdudum.P jm . Quid agii?E p i. Quod famelicus.P jm. Quin vocavisli hominem ad coenam?Ep i. Adveniens ne quid perderem.

Atque eccum tibi lupum in sermone: praesens esu­riens adest.

P jm .L udificemur hominem.Ep i. Capti cornili memorem mones.

SC E N A I I

GelJSIMVSj Pam pbilippvs, E pignomvs.

Ge l . Sed ( id, quod occepi narrare vobis) quom hic nonadfuij

Cum amicis deliberavi ja m et cum cognatis meisì I la m i auctores fuere, ut egomet me hodie jugula­

rem fame.Sed videonJ ego Pamphilippum cum fratre Epigno­

mo? Alque is est. Adgrediar hominem. Sperale Pamphilippe, o spes

mea,O mea vita, o mea voluptas, salve/ Salvom gaudeo Peregre te in patriam redisse salvo.

P jm . Salve, Gelasime.Gel. Valuislin bene?Pjm . Sustentavi sedulo.Gel. Edepol gaudeo.

Edepol nae egomet modium m ihi nunc mille esseargenti velim/

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Epi. L o vidi pur ora.Pam. E che fa?E pi. Ciò che u n affamato.P am. E perchè non chiamarlo a cena?Ep i. Per non far subito getto del mio, ma la è cosa detta

per via va, vedilo quél luptì: eccotelo e’ trahice per la fame.

Pam. Burliamolo.Ep i. T u m ’ hai to lta di m ano la palla.

SCENA II.

Gelasimo, Pamfilippo, Epignomo.

Gel, E sì ( per dirvi il resto ) quando non fui qui, ho conferito cogli amici e coJ miei parenti, e tu tti deliberarono che oggi mi strangolassi dalla fame. Ma è Pamfilippo chi io veggo col fratello Epigoo- mo? È lui carne ed ossa. L’ affronterò. 0 Pamfi­lippo mio dglce, o speranza mia, mia vita, piacer mio, che il cielo ti salvi. Io mi sento racconsolar tutto veggendoti dopo tanto cercare il men.do che tu hai fatto, tornar sano e salvo nella tua patria.

Pam. Buon dì, o Gelasimo.Gel. Sei sempre stato ben*#Pam. E ne ebbi cura.Gel. Ma bene! viva, evviva! Egli è vero, come son qui,

che oggi vorrei avere un moggio d’ argento!

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i 88Ep i. Quid eo tibi opustPGe l . Hunc ad coenam hercle ut vocem, te non vo­

cem.Epi.Advorsum te fabulare illuc quidem.Ge l. Ambos ut vocem.Ep i. Edepol te vocem lubenter, si superfiat locus.Gel. Quin tum stans obstrusero aliquid strenue.E p i. Im o unum hoc polest.Ge l. Quid?E p i. Ubi convivae abierint, tum venias . . .Ge l. Vae aetati tuaefE p i. Una lautum , non ad coenam, dico.Gel. D i te perduint/

Quid ais, Pamphilippe?P jm . A d coenam hercle alio promisi foras.Gel. Quid? foras?P jm . Foras hercle vero.Ge l . Qui, malum, tibi lasso lubet

Foris coenare?. Pjm. Utrum te censes?.

Gel. Jube domi coenam coqui,Atque ad illune renuntiari.

P jm . Solus coenabo domi?Ge l. Non enim solus, me vocato.Pjm . A t ille ne suscenseat

M ia qui causa sumlum fecit.Gel. Facile excusari potest.

Mihi modo ausculta: jube domi coenam coqui.E p i. Non me quidem

Faciet auctore, hodie ut illum decipiat.

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189Epi. E che ne faresti?Gel. Per invitar costui a cena; te non chiamerei io.Epi. Parmi eh' ei parli a te.Gel. Lo direi a tuttadue.Epi. E io ti torrei volentieri, se avessi posto.Gel. Anche in piedi troverei da empirmi bene il sacco.Epi. V’ ha una cosa che si può fare.Gel. Quale?Epi. Quando saranno ili i convitati fa di capitarci . . .Gel. Tristo alla vita tua!Epl Per lavarti, ma non a cena.Gel. Che Dio t’ affranca! e tu che dici, Pamfilippo?Pah. Io ho proprio data parola di cenar fuori.Gel. Come? fuori?Pah. Fuori, proprio davvero.Gel. Che diacine ti venne in capo, or che se' staneo, di

cenar fuori?Pai#. Pensi altramenti?Gel. Di’ a casa tua preparino la cena, e all’ altro fatti

svitare.Pam. Cenerò solo adunque?Gel. Mai no solo, invita me.Pam. Non vo’ si corrucci 1’ uomo che per me ha già

fatta la spesa.Gel. Mille scuse caggiono tra le mani. Fa a modo mio,

fa preparar in casa la cena. •Epi. Se vuol fare il mio consiglio non si torrà via

della parola.

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Gel. Non tu hinc abis?N ù i me non perspicere censes, quid agas. Cave, sis,

tu tibi:N am illie homo tuam haeriditalem inhiat, quasi e-

suriens lupus.Non tu scis, quamde eflicientur homines noclu hic

in via?P jm . Tanto pluris qui defendant, ire advorsum jussero. Gbl.N ou i l non i lE p i. Quid tanto òpere suades, ne bital?Ge l. Jube

Domi mihi tibi tuaeque uxori celeriter eoenam co­qui.

S i hercle faxis, non opinor, dices, deceptum fore. Pjm . Per hanc libi coenam incoenato, Gelasime, esse ho­

die licet.GEL.Ibisne ad coenam foras?Pjm . Jp u d fratrem coeno in proxitmo.GEL.Cerlumne est?Pjm. Certum.Gel. Edepol le hodie lapide percussum velimiPjm . Non metuo: per hortum transeo,- non prodibo in

publicum.Ep i. Quid agis, Gelasime?Gel. Oratores tu accipis: habeas tibi.Ep i. Tua pol refert euim.Gel. S i quidem mea refert, opera ulerej

Posce.Ep i. Edepol tibi, opinor, locum eliam uni conspicor, ubi

Adcubes . . .P jm . Sane faciutidum censeo.

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Gel. E che fai tu qui? se pur tu non sai ch 'io vegga quello che pensi. Staitene alla larga: quest’ uomo sta colle scane aperte come un lupo affamato sulla tua eredità. Non sai tu quanti uomini si am» mazzano di notte in sulla via?

Pam. Ordinerò che in m aggior numpro mi vengano i servi incontro.

Gel. Non andare! deh, non andare!Epi. E perchè gli fai tu calca acciò non vada?Gel. Ordina che presto si prepari la cena appo te per

me, per te, per la donna tua. Se ciò tu farai non ' dirai di certo, che t’ han tirato nel ga- lappio.

Pam. Se altra cena tu non hai, o Gelasimo, oggi puoi startene senza.

Gel. E vuoi proprio cenar fuori?Pam. Ceno qui vicino da mio fratello.Gel. Proprio?Pam. Proprio.Gel. Io vorrei che ti venisse una sassata nel capo!P am. Non ho questa paura; passo dall’ orto, non metto

piede in via.Epi. E sì, Gelasimo, che facciamo!Gel. Tu hai gli oratori: tienteli cari.Epi. V’ ha una cosa pel caso tuo.Gel. Se la è buona per me, servitene, domanda.Ep i. P u r io veggo un luoghicciuolo che a te solo può

bastare . . .Pam. I o credo di farlo .

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Gel. 0 lux oppidi!E p i. S i arte poterit odcubare.Ge l. . Fel inter cuneos ferreos.

Tantum loci, ubi catellus cubel, id mihi sai est loci. E r i .Exorabo aliquo modo: veni. .Gel. Huccine?Ep i. Im o in carcerem:

N am hic quidem meliorem Genium tuom non fa ­cies, — Eamus, tu.

P jm .D eos salutalo modo,- post ad te continuo transeo. Ge l. Quid igitur?Ep i. D ixi equidem, in carcerem ires.Gel. Quin si jusseris,

Eo quoque ibo.Ep i. D i immortales! hic quidem in summam crucem

('oena aut prandio perduci potis.Gel. I ta ingenium est meum:

Quicumvis depugno mullo facilius quam cumfame.

Ep i. Novi ego: ista apud me satis spectata est m ihi ja mtua facilitas)

D um parasitus m i alque fratri fuisti, rem confre­gimus.

N unc ego nolo m ihi ted e Gelasimo ( i i j Catagela­simum.

GEL.Jamne abis tu? — Gelasime, vide, quid es capturusconsili ! —

Egone? — Tu nae. — Miliine? — Tibi nae. Fides,ut annona est gravis.

Fides, benignila-es hominum ut periere el prothy­miae.

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Gel. 0 sole di questa terra!

Ep i. Ma se potrai star stretto.

Gel. Io sto anche in tra cogui di ferro. A me basta il

luogo ove sta un catello.

Epi. T accontenterò in qualche modo: vieni.

Gel. Qua?

Epi. Anzi alle stinche: imperciocché qui certamente non

ti faresti il Genio migliore. — Ehi, tu andiamo.

Pax. Prim a fo un saluto agl’ iddii, e poi passo a le.

Gel. E sì?

Epi. T’ ho detto che te ne vada alle stinchc.

Gel. Ma .se me 1’ ordini vo anche là dentro.

E p i . Poter di Dio! costui si faria anche inalberare in

croce per un desinare o una cena.

Gel. Così io sono fatto: vengo più facilmente alle pu­

gna con chicchessia, che colla fame.

Eei. Ben mel so io; la conosco abbastanza questa tua

abililà, finché tu fosti parasito mio e di mio fra­

tello, noi siamo andati colle gambe all’ aria. Or io

non voglio che tu di Burlone mi diventi Burlatore.

Gel. E sì tosto te ne vai? — 0 Gelasimo, vieni a conti,

qual consiglio vuoi tu prendere? — Io? — Tu.

.— Per me? per le. — Guarda com’ è caro il vi­

vere! Guarda come son morte le grazie e 1’ al-

Vol. IV. Plaut. 13

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Fides, ridiculos nihili fieri atque ipsos parasilarier. Nunquam edepol me vivom quisquam in crastinum

inspiciet diem,Nam mihi ja m intus polione juncea ( \§ ) onerabo

gulam:Neque ego hoc committamj ut homines me »nortuom

dicant fame.

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Iegrie negli uomini. Guarda questi parasiti chc vantaggio ne hanno delle loro facezie! — Domani alouno non mi vede vivo jn fede mia: vo qua dentro; metto alla gola per bevanda una buona ritortola di giunchi, e non permetterò mai che gli uomini dicano eh’ io son crcpato di fame.

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ACTUS r.SC E N A I.

S t i c h u s .

More hoc fit, alque stulle mea sententia.S i quem hominem exspectant, eum solent provisere, Qui hercle illa causa nihilo veniet ocius.Idem ego nunc facio, qui proviso Sagarinum ,Qui nihilo veniet ocius tam hac gratia.Jam hercle ego decumbam solus, si ille huc non venit. Cadifm modo hinc a me huc cum vino transferam,’ Postilla adcumbam. Quasi nix, tabescit dies. —

SC E N A II.

- S j g j r i n u s , S t i c h u s .

S j g . Salvete, Athenae, qua? nutrices Graeciae!~Herilis terra patria, te video lubens!Sed amica mea et conserva quid agat Stephanium, Cura estj ut valeat. N am Sticho mandaveram, Salutem ut nuntiaret ei, alque ut diceret,Me hodie venturum, ut coenam coqueret temperi. Sed Stichus est hic quidem.

S t i . Fecisti, here, facetias, .Cum hoc donavisti dono tuom servom Stichum. Proh di inmortales! quot ego voluptates fero,Quot risiones, quot jocos, quot savia.Sanationes, blqtidilias, prolhymias!

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ATTO V

SCENA I.

Sxico.

Questa la è un’ usanza sciocca a parer mio, se chi aspetta qualcuno gli vuole andar incontro: sì eh' egli vorrà venire più tosto! Così ora' fo io, vo incontro a Sa­garino, il quale non se ne Yiene qer questo. Ornai io metterommi solo a tavola s' égli non capita; in­tanto porterò fuor di casa mia il caratello, indi mi porrò à mensa. Questo giorno mi va in dile­guo come la neve.

SCENA II.

Sagarino, Stico.

Sag. . Dio ti salvi, Atene, che hai la Grecia a balia! o patria del padron mio, con che giòja io ti veggol Ma io abbrucio di sapere che faccia Stefanio mia amica e mia conserva, come la si trovi in salute. Imperciocché avea ordinato a Stico, salutassela a nome mio, e 1’ accertasse che oggi sarei venuto, acciò la prepari per tempo la cena. Ma questi è proprio Stico.

Sti. 0 padrone, che delizia m ' hai tu fatta, di si bel dono presentando il tuo servo Stico. Cagna! quanti piaceri io porto, quante risa, quanti scherzi, quanti* baci, salti, carezze, consolazioni!

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4Ò8S jg. Stiche, quid fit?S t i . Hem! — euge, Sagarine lepidissumel

Fero convivam Dionysum mihique et tibi:Namque edepol coena dicta est; locus liber datust Mihi et libi apud vos: nam apud nos est conviviumj Ibi voster coenat cum uxore adeo et Antipho; Ibidem herus est noster. Hoc mihi dono datum est.

S j g . Quis summanavit aurum?S t i. Quid id ad te allinet?

Proin ' tu lavare propera.S jg. Lautus sum.S t i. Optumc:

Sequere ergo med hac .intro.S jg. Ego vero sequor.S t i.F oIo eluamus hodie. Peregrina omnia

Relinque: Athenas nunc colamus. Sequere me.S jg. Sequor, et domum redeunti principium placet:

Bona scaeva strenaque obviam occessit mihi.

SCENA III .

STEPtiJKIVH.

Mirum videri nemini vostrum volo, spectatores,Quid ego hinc, qùae illic habito, exeam: faciam vos

certiores.Domo dudum huc arcessita sum,- quoniam nuntia­

tum est.Istarum venttiros viros? ibi festinamus omnes, Lectis sternendis studuimus, mundiliisque adparandis. In tir illud tam negotium meis curavi amicis.

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Sag. Che si fa, o Stico?Sti. Ohe! — Viva al nostro giovialon di Sagarino!

Bacco io porto buon convivante mio e tuo: la cena è. già ordinata; e in casa vostra io e tu abbiamo piazza franca, perchè in casa nostra abbiamo convi­to, ivi cena il padron vostro con sua moglie e An­tifone, e ivi anche il nostro. Questo mi venne donato.

Sag. Chi ti diè i quattrini?Sti. Che te ne viene in tasca? Fa presto, vatti a lavare.Sag. Son già pulito. ,Sti. Ottimamente: vien meco qua dentro.Sag. Io ti seguo.Sti. Oggi vo’ che la scialamo: lascia le foresterie: ora

godiamci Atene. Vienimi dietro.' Sag. Vengo, non è bru tto il principio a chi ritorna, un

buon augurio e un bel regalo mi s’ è fatto avanti.

SCENA in.

St e fa n io .

' Io voglio, o spettatori, che alcuno di voi non faccia gran caso se mi vede uscir fuora da questa porta, abitan­do io qui: ve ne dirò il perchè. Io venni pur ora chiamata di casa mia qua dentro, perciò che venne annunziato essere arrivati i mariti di queste fem­mine: ivi siam tutti in faccenda, ci affrettiamo in ri­far le letta, e nel pulire ogni cosa. Nulladimanco in tra tutto questo io ho volto il pensiero anche ai

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Slicho et conservo Sagaritto meo, coena ut codaesset.

Stichus obsonatustj cetcrum ego curando id adlegavi. Nunc ibo hittCj et amicos meos curabo hic adve­

nientis.

SCENA ir.

S a g j r i n u s , S t i c n v s .

S j s . Agile, ite foras iFerte pompam! Cado te praeficio, Sliche. Omnimodis tentare certum est nostrum hodie con­

vivium.S ti. Ila me di ameni, lepide accipimur, quom hoc reci­

pimur in loco. Quisquis praetereat, comissatum volo vocari.

S a c. Convenit,Dum quidem hercle quisque veniat cum vino suo:

nam hinc quidem hodie Pollucturae praeter nos jactura dabitur nemini. Nosmet inter nos ministremus monotrope. Hoc con­

vivium estPro opibus nostris salis commodule nucibus, fabu­

lis, ficulis,Olea in tryblio, lupillisj conminuto crustulo.Sal est!Servo homini modeste melius facere sumlum quam

ampliter.Suom quemque decet.Quibus divitiae domi sunt, scaphio el cantharis, bi­

bunt baliaeis} (Ì6J

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miei amici, affinché fosse prontata la cena a Stico e

a Sagarino mio sozio. Stico ha fatta la spesa, Del

resto poi ho io chiusamente detto ad un' altro che

ne pigliasse cura. Ora andrò qui, e attenderò a’ miei

vaghi se mi arrivano.

SCENA IV.

Sagarino, Stico.

S ag. Presto, venite fuori! Mettete fuori le mense! Io ti

lascio in governo il botticello, o Stico. Noi oggi

dobbiamo intralasciar nulla in questo nostro con­

vito.

Sti. Così Dio mi salvi, com' è vero che siamo i ben ve­

nuti, quando entriam questo luogo; io voglio chia­

m ar qualunque che passi da questa strada a bere. *

Sag. Benissimo; ma che ognuno il vino si porti: imper­

ciocché, da noi in fuori, qua niuno metterà mani in

piatto: noi ci ministriamo da noi c alla baona.

Questo convito è fatto come la borsa ne disse;

noci, fave, fichi, un piatto d’ ulive, lupini, e un

chicchirili» ben trinciato. Basta! Un servo dee più

tosto esser stretto che spendente. Ognuno fa il

passo come la gamba. Chi nuota nel lardo beve

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A t nos nostro Samiolo poterio tam vivimus,Nos tamen ecficimus pro opibus nostra moenia. Amicae uter utrubi adcumbamus?

S t i. Abi tu sane superior.Alque adeo (u t tu scire possis, factum ) ego tecum

hoc divido:Fide, utram tibi lubet etiamnum capere, cape pro­

vinciam.S jg. Quid istuc est provinciae?S t i. , Utrum Fontinali, an Libero,

Imperium te inhibere mavis?S jg . Nimio liquido Libero,

Sed amica mea et tua dum comit, dumque seseexornat, nos volo

Tam ludere inler nos. Strategum te facio huic con- ' vivio.

S t i. N im ium lepide in mentem venit. Potius in subsellio Cynice accipimur, quamde in lectis?

S ag. Im o enim hic mage dulciust.Sed inierim, stratege nosler, cur hic cessat cantharus? Fide, quot cyathos bibimus.

S ti. Tot; quod digiti sunt tibi in manu.S ag. Cantio est nevze m v ', rpiQ %i»’, e t p q r e t -

• t a p a :

Tibi propino decuma. Fontem tibi lute inde, si sapis. Bene vos! bene nos! bene te! bene me! bene nostram

etiam Stephanium.S t i. Bibe, si bibis.S ag. N on mora erit apud med.S t i. Edepol convivi sal eslj

Biodo nostra huc amica accedat. Id abestj aliudnil abesl.

Page 201: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

ia ciotole, belHconi, e boccali, e noi viviamo stes­samente colle nostre scodelle di terra, noi muria­mo come possiamo. Da che parte ci porrem noi accanto 1’ arnica?

Sii. Va pur tu in alto. E, perchè tu la intenda meglio, io divido teco anche questo: guarda qual provin­cia meglio ti piaccia, e tu prendila.

Sag. Che provincia è questa?Sti. Vuotu piuttosto comandare a Fontinale o 'a Bacco?Sag. Piuttosto a Bacco pigiato. Ma intanto che la mia e

tua amica si raffazzona, mentre che la si rinfronzisce,io voglio che tra noi ce la spassiamo. Io ti fo ge­nerale in questo convito.

Sti. Bella fantasia è questa certo: starem alla cinica noi su’ trespoli, o in letto?

Sag. Questo è meglio, ma frattanto, generai mio, perchè sta qui muto il pechero? guarda quanti ne ab- biam sugati.

Sti. Tanti quanti, hai diti in una mano.Sag. E v’ è la canzone: trincane cinque, trincane tre ,

ma quattro mai: questo calicione alla tua salute, tu va al pozzo se hai senno: prò a yoi! prò a noi! prò a te! prò a me! prò anche alla nostra S te- fanio.

Sti. Ma bevi se vuoi bevere.Sag. Non la proserò tanto.St i. In fè di valentuomo che questo convito di tu tto ab­

bonda; venga ora 1’ amica nostra; questo vi manca, e non altro.

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S jg. Lepide hoc aclum est. Tibi propino cantharum. Vi­num tu habesj

Nimis vellem aliquid pulpamenti.S t i. S i horum, quae adsunt, poenitet,

Nihil est. Tene aquam.S jg . Melius dicis. N il m oror cupedia. ( \1 )

Bibej tibicen! age, si quid agis! bibendum herclehoc est! ne nega!

Quid hoc fastidis, quod faciundum vides tibi esse?quin bibis?

Age, si quid agis/accipe, inquam! non hoc inpen-det publicum.

Haud tuom istuc est, vereri ted. Eripe ore tibias! S ti. Ubi illic biberit, vel servato meum modum, vel tu

, . dato:Nolo ego nos pro summo bibere: nulli re erimus

postea'Namque edepol quamvis desubilo vel cadus vorli po­

test-S jg. Quid igitur? Quamquam gravatus fuisti, non nocuit

tamen.. Age, tibicen, quom bibisti, refer ad labia tibias! Suffla celeriter tibi buccas quasi proserpens bestia! Agedum, Stiche: uter demutassit, poculo multabitur.

S t i. Bonum jus dicis. Inpetrare oportet, qui aequom po­stulat.

S jg . Age ergo, observa! S i peccassis, mullam hic reti­nebo eloco.

S ti. Oplumum alque aequisstimum oras. Hem tibi hocprim um omnium/

Haec facelia est, am are'inter se rivalis duos.

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Sag. Egli fu ben fornito. Questò cantaro alla tua salute. Tu hai il vino, e io vorrei sbocconcellare qualche boccone.

Sti. Se non ti bastan questi, basta più nulla: prendi 1’ acqua.

Sag. Tu parli da savio; non so che farne di tanto gras~ sume. Bevi, o suonatore, sbrigati! tu già 1' hai da insaccare, non rifiutarti! e perchè fai su lo stoma­cato in cosa che pur devi fare? chè non bevi? su, spacciati! prendilo, ti dico! qua non si froda la ga­bella. Non è de’ pari tuoi il vergognartene. Tira via quel flauto di bocca.

Sti. Quando colui avrà bevuto, o tu fa a modo mio, o tu dinne un altro: non voglio io che si colmino così questi bicchieri; sarem dopo a mal partito, im­perciocché ben presto al botticello verrà giuso la vinaccia.

Sag. E sì? quantunque nè sii stato carico, pure non t’ha fatto male: su, adesso che hai trincato, riporta il pifaro alla bocca! soffia, e sprizza la lingua come una biscia. Animo, Stico, chi non sta a’ questi patti -sarà condannato nel bicchicro.

Sti. Tu parli giusto: si può facilmente obbedire chi cerca cose oneste.

Sag. Bravo adunque, vattene cauto! se spropositi, io su­bito tasso la multa.

Sti. T u ragioni da valentuomo: bada a questo anzi tutto. Questa sì eh’ è ben marchiana, che due rivali.

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Uno cantharo potare el unum scortum ducere.Hoc memorabile est: ego tu sum, tu et ego: una­

nim i sumus.Unam amicam amamus ambo, mecum ubi est te-

cum est tamenjTecum tibi autem est, mecum ibidem esj neutri neu­

ter invidet.S ag. Ohe, ja m salis est: nolo obeaedas. Catuli ul ludunt,

nunc volo.Fin’ amicam huc evocemus? Ea saltabil.

S t i. Censeo.S jg. Mea suavis, amoena, amabilis, ad tuos amores, Ste­

phanium,Foras egredere! salis m ihi pulcra es.

S t i . A t enim pulcerruma.S j g . Fae nos hilaros hilariores opera alque adventu tuo!

Peregre advenientes te expetimus, Stephaniscidium,mei meum,

S i amabilitas libi nostra placet, si tibi ambo ac­cepti sumus!

SCENA T .

S t e p h j n i v m , S j g j r i n v Sj S t i c h u s .

S t e . Morem vobis geram, meae deliciae. N am ita ,Me Fenus amoena amet,Ut ego jamdudum huc exissem similtt vobiscum fo- -

ras,Nisi me vobis exornarem: nam ila ingenium est

muliebre:

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così si amino in tra di loro, e che bevano nella stessa coppa, e che abburatino la stessa farina. Questo è degno di storia, io son te, e tu sei me: noi siam del medesimo animo, noi due amiamo una sola donna, quando è meco e anche con te , e quando con te la si trova, la si trova anche con me, e l’ uno non ha aschio di sorta all’ altro.

Sag. Ohe, basta ornai: non voglio che qui tu mi faccia una tragedia; or voglio che noi giuochiam come fanno i cani. Vuoi che chiamiam fuori 1’ amica? ella farà quattro salti.

Sti. Così io penso.Sag. 0 mia cara, dolce, amabile, vien fuori a’ tuoi a -

mori, o Stefaniol abbastanza ti se’ fatta bella.Sti. Anzi bellissima.Sag. T u colla tua venuta di contenti facci contentissimi 1

Dopo tanto rangolar pel móndo ti aspettiamo, o Stefaniuccio, mio mele, se p u r non ti sa d’ agrestoil nostro amore, se ambedue ti siam cari.

SCENA V.

S t e f a n io , S a g a r in o , S t ic o .

Ste. I o farò a modo vostro, delizie mie, e così buon mi dica la bellissima Venere; com’ io già sarei pri­ma venuta fuori con voi, se non mi fossi accon­ciata un poco per amor vostro. Imperciocché cosi son fatte le donne, che quando le sono ben lavate,

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Bene quom lauta, tersa, ornala,■ fida est, infidaesl tamen.

Nimioque sibi mulier meretrix reperii odiunt ocius Sua inmundilia, quam in perpeluom til placeat m un­

ditia sua.S jg . N imium lepide fabulata est.S t i. Feueris mera est oralio. —

Sagarine!S jg. Quid est?S t i. Tolus doleo.S jg. Tolus? Tanto mUerior.S te. Utrubi adcumbo?S jg . Utrubi tu vis?S te. Cum ambobus volo: nam ambos amo.S ti. Fapulat peculium! aclum est! fugil hoc Libertas

c apuliS te. Date mihi locum, ubi adcumbam, amabo, si quidem

placeo. Tum ibiCupio cum utroque bene m ihi esse.

S t i. Dispereo . . .S jg. Quid ais?S te. Quid ergo?S t i. Ita me di ameni nunquam enim fiet, hodie haec

quin sallet tamen! — Jg e , mulsa mea suavitudo, salta! saltabo ego

simul.S jg. N unquam edepol med istoc vinces, quin egó ibidem

pruriam.S te. S i quidem mihi saltandum est, tum vos date, bibat

tibicinuS t i. Et quidem nobis.

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Sag.S ri.

S.vg.Sri.Sag.Ste.S a g .

Sie .

Sti.

Ste.

Sri.Sag.Ste.Sti.

Sag.

Ste.

Sti.

pulite., adorne, e stuccale non sono ancora couten­te. Una cortigiana se non la è pulita la arreca subito dispetto, ma la piace sempre se la si mo­stra ben concia.Con che senno l’ ha parlato!Queste son le parole dolciate di Venere. — 0 Sa­larino!Che hai?Mi duole ogni osso.Ogui osso? tanto peggio.Dove mi siedo io?Qual luogo tu vuoi?Io voglio esser con I’ uno e con 1’ altro; perché rt amo tuttadue.La mia cassa va in conquasso! buona notte! libera non sarà mai la mia zucca!Fatemi luogo, ov’ io mi ponga: deh, se pur non vi sono ingrata ho piacere trovarmi con 1’ uno c 1' altro.Io sono sconfitto . . .Che dici?E sì?

Così mi dia bene Iddio, costei non se la potrà, scappare senza fare un bel riddone! .— Su, amor mio, mio piacere, balla, che ballo aneli’ io.In questo non me 1’ accocchi, che anch’ io non me n& senta prurito.Se ho da far quattro salti, voi bagnate un-po’ il piffero a questo suonatore.E bagneremo anche noi.

Vol. IV. P laut. a

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n oS jg. Tene, tibicen, prim umj pottidea loci.

S i hoc eduxeris, proinde, ul consuetus antehac, ce­leriter

Lepidam et suavem cantionem aliquam occipito ci­naedicam,

Ubi perpruriscamus usque ex unguiculis. — Indehuc aquam. —

Tene tu hoc; educe. Dudum haud placuit potio j Nunc minus gravate jam accipit. — Tene, tu. —

Interim ,Meus oculus, da mihi savium, dum illic bibit. Prostibuli est autem, stantem stanti savium Dare amicum amicae.

S t i. Euge, Euge! — Sic furi datur!( Quid igitur? Quamquam gravatus, non nocuit ta­

men J.S jG .Jg e , ja m infla buccas.S t i. Nunc ja m aliquid suaviter

Redde cantionem veteri pro vino novam.S jg. Qui Jonicus aut cinaedicus, qui hoc tale facere pos-

sietfS i istoc me vorsu viceris, alio me provocato!Fac tu hoc modo/

S t i. A t tute hoc modo!S jg. Babae!S ti. Tatae!S jg. Papae!S t i. pax.S jg . Nunc pariter ambo. Omnis voco cinaedos, contra

stelis!

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Saa. Bevi fa primo, suonatore; e dopo, quando avrai

sugato presto il pechero come Tosti sempre assuefat­

to, metti in tuono qualche bella, graziosa, e piaeevol

canzona che ci pizzichi e che ci grilli fin nell* ugoe.

— Metti qua dentro un pò* d4 acqua — prendi,

bevi. Pur ora non la ti andò troppo a sangue

questa bibita; ora fa menò il ritroso. — Piglia.

— Intanto, pupilla mia, qua un baciozzo mentre

colui si beve. Non è troppo dicevole il far questo

all’ amante, presente l’ amico.

Sti. Viva, evviva! — Così si dà al ladro. ( E si? av­

vegnaché glien’ incresca, non ha fatto male ).

Sag. Su, ora zufola.

Sti. Or via, con bel garbo intuona qualche nuora can­

zona dopo il vin vecchio.

Sag. E qual jonico, o ballerino può fare un salto come

il mio? se tu mi vinci in questo, cartellami con

rat altro, fallo tu!

Sti. Tu adesso!

Sag. Ah!

Sti. Viva!

Sag. Bravo!

Sti. Basta!

Sag. Siam tuttadue d’ un valore. — Io slido i ballerini

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Salis esse nobis non magis potas est quam fungoimbris.

S t t, Intro -hinc abeamus nunc jam : saliatum satis provino est.

Ko», spectatores, plaudite atque ile ad vos commis-salum.

F i m s S t i c h i .

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che ci slieno contra. — fa quel male il vino a noi che fa 1' acqua ai funghi.Andiara dentro, per quel che abbiam bevuto ab- biam saltato abbastanza. Applauditeci, o spettatori, e ite a pigliarvi buon tempo.

F ipìe d e l l o St ic o .

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NOTE

(1) Per jocum ita loquitur Dinacium: nam contra sentit,videndum sibi esse^ et sorori, ne quid minus ob* noxiae sint omnibus opibus maritis suis propter ea, quae ipsi in se admiserint. Intempestivarum ejusmodi facetiarum non immunis Plautus. Nam quod affines culpae interpretantur, non congruit verbis omnibus opibus.

(2) In varie guise leggevano le volgale questi versi, ioho voluto starmene con Bothe.

(3) Versi del codice Ambrosiano inediti.(4) Le volgate sed matrem parere nequeo, nescio quo-

modos badi il filologo quanto sia migliore la le­sone Ambrosiana sed matrem parere netcio, nec quid ogam scio.

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(5) Vulgo: m vere perierit, si coenassit domi. Pistorisapud Taubmanmim ( nara ipsas viri in Plaulura annotationes, ab hoc cum alibi tura ad Rud. IV, A, 7 (951) commemoratas, mihi videre non magis contigit, quam Gronovio) sed is locum sic inter­pretatur: « Velim huic verbo Vocem ie ad coe- vam , nisi egomet coenem foris lumbos defractos esse, nisi ille, qui id usurpat, continuo pereat, si me eo delusit, et domi nihilominus cocnat. » Quam explicationem ineptius refutat Boxhornius. Corrup­tum esse t q perierit, nemo facile dubitabit, cujus loco MSS. exhibent perierit edd. aliquot primae pleuerit. Reponendum vidi perjuret, vel potius pe­jeret, quod saepissime cum illo commutatum; Quo­niam perjuri, quales sui scculi homines putat pa­rasitus, quidquid dicunt, pejerant, joco inexpectato li.omo infert iVi vere pejeret pro eo quod est 2V* vere dicat, ut qui fieri non posse arbitretur quin pejeret, quicunque hac exusatione utitur, quomodo fere' leno Lvcus Poen.

(6) Versi Ambrosiani(7) A [iixpoi id est (tixpot; et t p o y tv i id est fodere,

quasi Paucirodus. Convenit autem hoc verbum Pa­rasitis qui, ut mures, aliena rodunt. Ctot Taubman.

(8) Ho seguita l’ interpretazione di Lambino.(9) Qua il codice Ambrosiano segna un verso da porsi:

io non ci ho trovato luogo opportuno e però ho giudicato metterlo in tra le rtotc; il verso "è que­sto est tandem aliquando importunam exigére. '

(10) Cosi legge Maj: le volgale homines servolòs: primadi queslo sono segnati altri frammenti eh’ io non

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ho sapulo mettere a posto e quel che mi duole è che vi era questo verso intero. D ari ut eum verberabundum adducam domum.

( Ì 1). Coenctn ilii apud te J Ita MSS., recte. Submissa voce haec Gelasimus, ut auditores tantummodo exaudiant, Epignomus vero solemnem illam for­mulam audire se putet, qua peregre advenientes compellabant, Coenabis hodie apud me, de qua cf, Ba. 448 sqq. Epid. 5 sq., quamque etiam hoc loco inculcaverunt editores male feriati, excudentcs: Coenabis apud me, quoniam salvos advenis. Mox 462 aperte suam sententiam dicit homo, itemque apertiore joco Astaphium Truc. -103: Peregre quo­niam advenis, coenetur, ubi za coenelur aeque stolide suffecerunt coena detur.

(12) Mal le volgate leggevano Focaia. Corr. Ambrosiana,fra il verso .29 e 30 di questa scena altri due ve ne erano

Sed quoniam nihil processit, at ego ha (ud) ero Apertiorem (aget) vix ita plane loquar,

(13) Piuttosto che altri qua mi piacque seguir Lambino.(14) A u e t p ò ; libri: Nunc ègo nolo e Gelasimo mihi tt

Catag.(15) Le volgate leggevano Fincea - Lezione Ambrosiana

è assai bella.(46) 0 litera in Homi elidenda. Cf. 647 — baliacis. Vulgo

bntiolis; sed MSS. et vett. cdd. baliochis vel ba- tiohis, unde istud nobis ortum. Turnebus Adverss. XVI, 44: « Nomina, ingiù'/, poculorum graeca sunl in hac fabula, scaphium , cantharus, baliolaj sed hoc postremum sic appellatum a Nonio Athenaeus

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lib. II. (pag. 484) baliacam vocat et Baliacium; affert enim e Diptilq: Tip, Stic rpayeÀatpoe,, B a- -riaxtl Àappoviov. (Libri vitiato metro T p a y e a - <poc, itp tà ic , fi., X. A a. paio* olim vulgato Aa- fipavt,o<; jam alii suffecere. Bot.) et mox subjicit.* A id v (io f de oftoiov eiv0.1 oriaiv (minus recte Turnebus a v rò Bot. fiopfivAio ri f ia n a x io et libentius assentiar Athenaeo quam Nonio, praeser­tim quum quaedam etiam Plauti edd. ( velut Junt. Both.) batiocis hodie axbibeant. »

(i 7) Festus: cupes et cupedia antiqui lautiores cibos no­minabant.

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TRINUM US

IL TRINUMMO

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é ? / 'H&rinumm*

d i * d é. * /£ ccio

tra m u ta to - in volpar**

PIERLUIGI DONINI

co flo ca n e f /la tr o c in io

d e£ nctne cAiawàéemo

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GIAMBATTISTA N1CC0L1M

accadem ico defla C&rMu*

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fio /en /ù jim o d ef/f m ^ jfn o

dcriàéc oliere

i/i cao t/o contendono / eccedenza,

c d ig n ità d e f jopjpe/fo

e /#• n o$ i$à de$a, fiatto/b.

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PERSONE DELLA FAVOLA

L u x u r ia 1 Il Lusso

I nopia { PROLOCUS La P overtà'M egaronides Megaronide

Callicles Callicle

L ysite l e s Lisitele

PniLTO F iltone

L esbokicus Lesbonico

S tasimus Stasiho

Charmides . Carwde

SrCOPHANTA Ciurmatori

PROLOGO

La Scena è in Alene.

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PROLOGUSL u x u r i a , I n o p i a .

L u x .Sequere liac me, gitala, ut munus f u n g a m tuoni. I n o . Sequorj sed finem fo r e quem dicam nescio.L u x .Adest: hem, illaec sunt aedes. I intro nunc jam .

Nuncj ne quis erret vostrum, paucis in viam Deducam, si quidem operam dare promittitis.Nunc igitur primum, quae ego sim et quae illaec

' ' siet,Huc ijuae abiit intro, dicam, si animum advortitis. Prim um mihi Plautus nomen Luxuriae indidit; Tum illanc m ihi gnatam esse voluit Inopiam.Sed, ea quid huc introierit itipulsu meo,Accipite et dote, vacivas auris, dum eloquor. Adulescens quidam est, qui in hisce habitat aedi-

- busjIs rem paternam me adjutrice perdidit.Quoniam ei, qui me alat, nil video esse reliqui. Dedi mèam gnatam, quicum aetatem exigat.Sed de argumento ne exspectetis fabulae:Senes, qui huc veniunt, h i rem vobis aperient.Huic nomen est Thesauro graece fabulae j Philemo scripsit; Plautus vortil%arbare,Nomen Trinumo fecit. Nunc vos hoc rogat,Ut liceat possidere hanc nomen fabulam.Tantum est. Falele; adeste cum silentio.

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PROLOGO

i l Lusso e l a P o v e r t à '.

Lus. Yicu qua, figlia mia, a compiere il dover tuo.Por. Vengo. Ma dove mi abbia a fermare noo lo so

ancora.Lus. Q u a : bada, quella è una casa: tu va dentro. Ora,

affinchè pigli errore nissuno di voi, io vi metterò in via, se mi promettete di stare attenti. Sopra ogni cosa adunque, se voi attendete a me, vo’ farvi assapere chi sia io, e chi colei che andò là den­tro. Sappiate anzi tutto che Plauto ha voluto chia­marmi il Lusso e che fosse la Povertà mia figliuola; ora sentitemi perchè la sia entrata quivi per mie ordine: ascoltatemi bene. V’ha un giovane, e quella è la casa sua, il quale, spinto da ine, ha dato fondo alla sostanza del padre: e dappoiché io non ci veggo rilievo, da papparmi, gli ho lasciato la figliuola acciò egli tiri con essa il resto de’suoi dì. Non vi aspettate 1’ argomento della commedia, i vecchi che vengono a questa volta ve lo diranno. In Greco questa favola la si chiama il Tesoro; Fi- lemone la compose; Plauto l’ha fatta volgare e la chiamò il Trinummo; ora egli vi prega di questo, che a cotal favola non si rimuti il nome. Basta: Iddio vi salvi: state qui senza far molto.

Vol. IV. Plaut. -15

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ACTUS 1.SC E N A 1.

ilBGAROH IDKS.

N at amicum castigare ob merita, nunc male

Inmoene est facinus, verum in aetate utile

Et conducibile. N am ego amicum fiodie meum

Concastigabo pro conmerita noxia

Jnviltts, n i id me invitet ut faciam fides.

N am hic nimium morbus mores invasit bonos:

Ita plerique omnes ja m sunt intermortui.

Sed, dum illi' aegrotant, interim mores moli,

Quasi herba inrigua, subcreoere uberrume,

Neque quidquam hic vile nunc est, nisi mores mali;

Eorum licet ja m messem metere m axum am j

Nimioque hic pluris pauciorum gratiam

Faciunt pars hominum, quam id, quod prosit plu-

. ribus.

Ita vincunt illud conducibile gratiae,

Quae in rebus multis obstant odiosaeque sunt,

Remoramqtte faciunt re privatae et publicae.

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ATTO I.

SCENA I.

M e c a r o n id k .

Egli è pur rero come son vivo che Io scamatare, quando

sei merita, i panni all* amico è cosa spiacente e

punto non solazzevole, per quanto sia di utile e

di bene in questa vita umana. Oggi vo’ fare in

capo ad un mio sozio una buona rammanzina,

lo fo ma) volentieri; ma pure vi sona spinto dalla

amicizia. È questo un male appiccaticcio, ca-

gion sua, le buone usanze sono quasi tutte ite in

dileguo. 'Ma intanto che quelle se ne stanno

in mal punto, i rei costumi crebbero a maravi­

glia, come le lappole thè si adacquano, di guisa

che oggidì in questo paese non vi ha altra

abbondanza che di tristizie. D' esse puossene fare

un grande ricolto; qui assai uomini fanno più

conto della grazia -di pochi, che del vantag­

gio di molti. Così quello che pur sarebbe il gran

bene, è soperchiato da questi favori dannosi a molti

e d’impaccio alla prosperità privata e pubblica.

Page 226: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Càllicles, M egàroxides.

CjL.Larem corona nostrum decorari volo.Uxor, venerare, ut nobis haec habilalio Bona, fausta, felix, forlunalaque evenat, —Teque ut, quam prim um possit, videam ecmortuam.

Meg.H ìc ille est, senecta aetate qui faetust puer,Qui admisit in se culpam castigabilem.Adgrediar hominem.

Càl. Quoja vox prope me sonai?M eg. Tui benevolentis, sid ila es, ut ego volo;

Sin aliler es, inim ici atque ira ti Ubi.Cal.O amice, salve, atque aequalisl ut vales,

Megaronides?M sg. Et .tu edepol salve, Callicles.

Falen’? valuislin'?Cà i . Valeo et valui rectius.Meg. Quid agit tua uxor? ut valet?Càl. Plus, quam ego volo.M eg. Bene hercle estj illam tibi valere et vivere.Cjl. Credo hercle te gaudere, si quid mihi mali est. Meg. Omnibus amicis, quod mihi est, cupio esse item. Càl. Eho, tua uxor quid agii?Meg. Inmortalis est:

Fivit victuraque est.Cà l . Bene hercle nuntias,

Deosque oro, ut vitae tuae superstes suppetat. MKG.Dum quidem hercle tecum nupta sit, sane velim. Càl. Fin" conmulemus? tuam ego ducam et tu meam?

Faxo haud tantillum dederis verborum mihi.

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C a l.

Meg.

C a l.

Meg.

C a l .

M e g .

C a l.

M e g .

C a l.

Meg.

C a l .

1 M e g .

C a l.

M e g .

C a l .

M e g .

C a l .

Calliclé, Megaronide.

Io voglio che s’ingrillandi il nostro lare. Prega, o moglie, che questa casa la ci sia buona, pro­spera, felice, fortunata, — e che te possa vedere quanto prima al cimitero.Ecco T uomo che di vecchio si è fatto bambino, e che ha fatto un farfallone da coreggia. L’affronterò. Di chi è la voce che mi sento appresso?Di un amico se mi sei conforme io ti voglio; se vuoi essere altmmenti di un nemico cordiale.0 amico, o sozio, addio! come ti ritrovi, o Me- garonide? ,Che Dio ti ajuti, o Callide. Se’ tu sano? se’ tu sem­pre stato bene?Sempre, senza un dolor di capo.Che fa mogliata? Come la sta di salute?Meglio di quanto vorrei.La è cosa proprio buona che ella ti sia sana e viva.Io credo che tu ci goda se ho qualche malanni. Io desidero agli amici tutto quello che ho io.Ahu! e che fa tua moglie?È una diessa: la vive, e non la morrà mai. Questa novella mi gioconda; prego Dio che la ti vegga seppellire.E lo vorrei anch’io purché fosse tua.Vuotu fare un cambio? Io torrò là tua, tu avrai la mia;, sì farò in guisa che non mi darai più il giambo.

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M eg. Nam quidem tu, credo, m i imprudenti obrepseris. C / l . iVae <u hercle faxod haud sciesj quam rem egeris. MEC.Habeas, ut nactus: nota mala res opluma est:

N am ego nunc si ignotam capiam, quid agam,nesciam.t

Edepol proinde ut bene vivitur, diu vivitur.Sed hoc animum advorte, alque aufer ridicularia: Nam ego dedita opera huc ad te advenio.

Cjl . Quid venis?M eg. Malis te ut verbis mullis multum objurgitem.Cj l . Men’ ?M èg. Numquis est hic alius praeter me alque te?Cjl .N emo est.M e g . Quid igitur rogitas, tené objurgitem,

Nisi tute m ihi me censes dicturum male?N am si in te aegrotant artes antiquae tuae,Sive inmutare vis ingenium moribus,J u t si demutant mores ingenium tuom.Ncque eos antiquos servas, ast captas novos, Omnibus amicis morbum tu incuties gravem,Ut te videre, audireqiie aegroti sient.

Cj l . Qui in mentem venit libi istaec dicta dicere?M eg.Quia omnis bonos bonasque adcurare addecet,

Suspicionem et culpam ut ab se segregent.Cjl .N oh polis utrumque fieri.M eg. Quapropter?Cj l . Rogas?

Ne admittam culpam , ego meo sum promus pe­rfori;

Suspicio est in pectore alieno sita.. N am nunc ego si te subripuisse suspicer

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Meg. Ben cred' io non arriveresti a fischiarmela.Càl. Non sapresti negozio che avessi fatto.Meg. Tientela conforme Dio te 1’ ha data: mal cono­

sciuto è ancor cosa buona: se io ne togliessi una nuova non saprei dove prenderla: insomma la vita è lunga se la si vive bene. Ma ora sta attento, lascia andar questi strambotti: a bella posto io vengo a te. -

Cal* A che fare?Meg. Per darti una lavala che ti levi la pelle.Cal. A me?Meg. V' ha qui forse un altro fuori di noi due?Cal. Nissuno.Meg. E perchè dimandimi tu adunque chi io venga a

rimprocciare? Cre’ tu che io voglia sgridar me me­desimo? Imperciocché se in te sono ora a mal ter­mine le arti che tu avevi un di, se vuoi addattar 1’ animo alla moda, o se è la moda che ti cambia 1’ animo, se tu lasci gli antichi costumi per pren­derne de’ nuovi, tu arrechi tal passione agli ami­ci che quando e' ti veggono o ascoltano, scntonsi spaccare il cuore.

Cal. Diamine! perchè ti venne in mente cotesto?Meg. Perchè ogni dabben uomo dee pigliarsi briga del­

le cose buone, e allontanar da sé ogni sospettò é ogni colpa.

Cal. Non si hanno queste due cose.Meg. Perchè modo?Cal. Dimandasi? Io ho la chiave del mio cuore acciò

la colpa stia serrattf*Tuori, ma il sospetto alloggia in altri. Pognamo suspicassi io avessi tu arrappat»

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Jovi coronam de capile e Capitolio,Quod in culmine adstat summoj si id non feceris, j4lque id tamen mihi lubeal suspicarier,Qui tu id prohibere me potes, ne suspicer?Sed istuc negoti scire cupio, quidquid est.

M se./Iaben’ tu amicum aut familiarem quempiam,Quoi pectus sapiat?

Cjl. Edepol ( haud dicam dolo )Sunt, quos scio esse amicos; sunt, quos suspicor; Sunt, quorum ingenium atque animus non pote

noscier,J d amici pariem, an ad inim ici pervenal:Sed tu ex afnicis certis m i es certissumus.S i quid scis me fecisse inscite aut inprobe,S i id m e adcusas, tuie objurgandus;

M k g . Scio,E t, si alia huc causa ad te adveni, aequom postulas.

Cj l . Exspecto, si quid dicas.U e s . * Primodum omnium

Male dictitatur tibi volgo in sermonibus: Turpilucripidum te vocant cives tui;Tum autem sunt alii, qui te vollurium vocant: Hostisne an civis comedis, parvi pendere.Haec quom audio dici in tedi excrucior miser.

Cj l .Est atque non est m i in m anu, Megaronides:Quin dicant, non eslj merito ut ne dicant, id est.

M ee.F uitn t me tibi amicus Charmides?Cjl . Est et fuit.

Jd ita esse ut credas, rem tibi auctorem dabo. N am postquam hic ejus rem confregit filius,Stque ad paupertatem ipse protractum videt,

Page 231: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Meg.

G a l.

M e g .

Cal.Meg.

C a l.

Meg.C a l.

snl Campidoglio la coroua a Giove, e «he fatto non lo avessi., ma a me piacesse di dubitarne, dimmi, potrestu impedirmelo? Ma io desidero sapere che combibbia sia questa?Hai tu qualche amico, o famigliare che ci vegga diritto?In fò di valentuomo ( per non dirti bugia ) sonvi alcuni che so essermi amici; altri*-ve ne sono di cui io dubito, e altri eh’ io non ho potuto ben rac­cogliere come la pensino, o se più si accostano ai miei nimici, o a’ benevoli. Ma tu de’ miei certi amici se’ il più fidissimo. Se tu sai che io abbia fatta cosa da bestia, o poco buona in quanto al- 1' onestà, non facendomela conoscere tu se* da rim-r proverare.So: e se per altra ragione son qua venuto io, tu avreste a rammaricartene.Aspetto che mi voglia tu dire.Anzi ogni cosa, tu se’ divenuto la favola del vol­go. I cittadini ti gridano baro e furfante, altri, quasi che questo fosse poco, ti dànno dello avvoi- tojo, e che niun caso ti fai in magnar chicchessia, amico o patriota sia egli. Io sentendone tante del fatto tuo sono messo in sulla croce. 'In mia mano non è, o Megaronide, il farli tacere, è che non lo dicano con giustizia.Ti fu amico questo Carmide?È, e fu: ma, perchè tu resti convinto meglio, il fatto ti sia la prova. Dappoi che il suo figliuolo qui gli ha mandata in bordello ogni cosa, e che M vedea ridotto egli a far vita di accatto con una

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Suamque filiam esse adultam virginem.Sim ul ejus matrem suamque uxorem mortuam: Quoniam hic iturust ipsus in Seleuciam,Mihi conmendavit virginem gnatam suam E t rem suam omnem el conruptum illum filium. Haec, si m i inimicus esset, credo, haud crederet.

Meg. Quid lu? adulescentem quom esse conruptum vides. Qui tuae mandatus est fide et fiduciae,Quin eum restituis? quin ad frugem conrigis?E i re operam dare te fuerat aliquanto aequius.S i qui probiorem facere possis; non, uti In eandem lute accederes infam iam ,Malumque ut ejus cum tuo misceres malo.

Cjl . Quid feci?Meg. Quod homo nequam.Cj l . Non istuc meum est.Meg. Emistin’ de adulescente has aedis? — Quid taces?

Ubi nunc tute habitas?Cj l . E m i atque argentum dedi,

Minas quadraginta, adulescenti ipsi jn manum. M eg. Dedisti argentum?Cjl . Facium, neque facti piget.M eg. Edepol fide adulescentem mandatum malaef

Dedistine hoc ei gladium, qui se occideret?Quid secus est, aut quid interest, dare te in m anut Argentum amanti homini adulescenti, anim i inpoti Qui exaedificaret stiam inchoatam ignaviam?

Cj l . Non ego illi argentum redderem?M eg. Noti redderes,

Neque de illo quidquam neque emeres, n tqut-ven­deres,

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figliuola già grande, e ohe m orte gli erano la madre e la moglie: dovendosene’ andare inSeleucia, mi raccomandò la putla, l’avere e quella gioja di suo figliuolo. Àvvisomi ehe se mi fosse stato, nimico, non mi avria lasciate queste cose in Biàno.

Meg. £ tu che hai fatto? Visto ehe quel garzone com­messo alla fede e alla onestà tua se ne iva colla « • cavezza al collo, perchè non l'ha i tu raffermo? per­chè non gli fai conoscere la buona via? A questo saria bene stato meglio tu gli avessi data la ma­no, se pur lo potevi riguadagnare, e non im brat­ta r te medesimo di queste ribalderie, mandando io m alora colla sua riputaeione anche la tua.

Cal. Che ho fatto io?Meg. Quello che un tristo .Cal. Non è de’ pari miei.Meg. Non hai to compera dal giovane questa casa? —

Or tu se’ mutolo? — questa ove tu sei?Cal. L’ ho com pera e T ho pag a ta , q u a ran ta m ine ho

noverate al giovine.Meg. L ’ hai pagata?Cal.. Pagata: ne m’incresce del fatto.Meg. Oh m ale arriva to giovaae, iu -che zanne se’ veduto!

tu darg li il coltello perchè si scannasse? che bai tu da opporre , o che m onta il dare* HeUe m ani di u a giovane innam orato , appetitoso, quésto denaro , ac­ciò più presto fabbricasse la. su a rovina?

Cal. E dare non glielo doveva io? _ .Meg. Giammai; nè da lui comprar cosa del mondo, o

vendergliene; nè offrirgli il modo affinchè si faces-

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Nec, qui deterior esset, faceres cepiam . Inconciliaslin’ eum , qui m andalust tibi?M e , qui m andavit, eum exturbasti ex aedibus? Edepol m andatum pulcre et curatum probel v Crede huiic tute: luam rem melius gesserit.

Cj i . Subigis maledictis me tuis, Megaronides,N ovo modo adeo, quod meae concreditum, est T aciturnita ti clam fide et fiduciae,Ne enuntiarem quoiquam, neu facerem palam ,Ut m ih i necesse sil ja m id tibi concredere.

M eg. M ihi quo credideris, sumes, ubi posiveris. CjL.Circum spicedum te, ne quis adsit arbiter

Nobis, et, quaeso, identidem circumspice.M eg. Ausculto j si quid dicas.Cj i . S i taceas, loquar.

Quoniam profectus hinc est peregre Charmides, Thesaurum demonstravit m ih i in hisce aedibus,H ic in conclavi quodam . . . Sed circumspice.

M eg. N em o est.Cj l . N um m o ru m Philippeum ad tria millia.

Jd solus solum per am icitiam et per fidem Flens m e obsecravit suo ne gnato crederem,Neu quoiquam, unde ad eum id posset permanascere. N unc si ille huc salvos revenit, reddam suom sibi; S i quid eo fUerit, certe' illius filiae Quae m ih i m andata est, habeo dotem unde dem:Ut eam in se dignam conditionem conlocem.

M eg.P roh d i inm orlales, verbis paucis quam cito AHum fecisti m ei alius ad te veneram.Sed ut occepisti, perge porro proloqui.

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Cal.

Meg.Cal.

Meg.Cal.

Meg.Cal.

Meg.

se piò tristo. Non hai tu forse tradito chi t ’ era accomodato? non bai tu c a q f ia to di casa sua chi in te pose la sua fede? Sì, che venne affidato in mani che ne ebbero bella 'cura! Te piuttosto met­ti nella sua custodia: egli farà meglio le cose tue.Queste tue bru tte parole, Megaronìde, mi astrin­gono per la prim a volta a m ancare a quanto venne commesso al secreto, alla fede, alla'fidanza mia, affinchè non lo conferissi a persona, nè lo palesas­si. Ma ora è necessario che’ io te lo dica.Dillo pur franco, e starà dove 1’ hai messo.Gira 1’ occhio se qui alcuno ci ascolta; deh guar­dati sovente a torno.Son tutto orecchi, escine.Se stai zitto, dirò. Dappoiché partir si dovette Car- mide, egli m’ insegnò in quésta casa un tesoro, riposto in una eotal camera . . . Ma guarda.Non si vede persona.Di tre mila scudi di Filippi. Noi eramo soli, ed egli in sull’ amicizia, e in sulla fede piangendo mi giurò che non 1» dessi al suo figliuolo, nè ad al­cuno, acciò gli potesse essere serbato intero. Ora se egli ci to rna salvo, io glielo rendo, se avverrà altramenti, ben vedi che io ho tanto da fare la dota alla di lui figliuola, che mi venne raccoman­data, acciò la possa collocare in un buon partito. Poter di Dio in poche parole come presto m’ hai cambiato! tutto diverso io era venuto a te. Ma ti­ra pure avanti il tuo discorso.

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Cj l -Quid libi ego dicam, qui illius sapientiam E t m eom fidelitqfem et celata omnia Pene ille ignavos funditus pessumdedil?

MEG.Quidum?Cjl . Quia, rure dum sum ego unos sex dìes,

Me absenle atque insciente, inconsultu meo,A edis venalia hasce inscribit litteris.

U s e . Adesurivit mage ef inhiavit acriusLupus; observavit: dum dorm itaret canes,Gregem universim voluit lotum avortere.

Cj l .Fecisset edepol, n i haec praesensisset canes.Sed nunc ; rogare ego. vicissim te volo.Quid fu it officium m eum me facere, face sciam. V irum indicare me ei thesaurum aequom fuit, A dvorsum quam ejus me obsecravisset paler?A n ego alium paterer dom inum fieri hisce aedibus? Qui em iuet, essetne ejus ea pecunia?E m i egomet potius aedis; argentum dedi Thesauri causa, ut salvom am ico traderem ;Neque adeo hasce em i m ih i neque usurae meae; I ll i redemi rursum , a me argentum dedi.H aec, sm sunt recta, seu 'pervorse facta sunt, Egomet fecisse confiteor, Megaronides.H em mea tibi m alefaciat hem avaritiam m eam ! H ascine propter res maledicas fam as ferunt?

M eg. Pausa. F icisti castigatorem tuom ;Occlusti linguam: nihil est, quod respondeam.

Cj l .N uuc ego te quaeso, ul me opera et consilio juves, Com m m iicttque hanc m ecum m eam provinciam.

M eg. Polliceor operam.Cj l . E rgo ubi eris paulo post?

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Cal,

Meg.Cal.

Meg.

Cal.

M e g .

Cal.

Meg.Cal.

Che vuoi ti dica io, se non che fummo ad un pelo che e la previdenza dell' uomo, e la lealtà mia, e tu tto il segreto non andassero al diavolo per quel balórdo!Come?Perchè m entre erami in villa da sei giorni soli, nella assenza mia', senza mia saputa, senza farmi motto di nulla, pubblica 1’ asta di questa casa.Che fame gli si aguzzava in gola a questo lupo: stette attento egli se dormisse H cane, ei volle disertar tu tta la greggia.E fatto 1’ avria, se il cane sentito non n i avesse 1’ odore. Ora vo' farti qualche dimanda anch’ io. Dimmi che avresti fatto se fossi ne’ panni miei? L’ una delle due o insegnargli il tesoro contro il divieto del padre, o permettere che un altro suo si facesse anche il marsupio. La casa l ’ ho piuttosto comperata io, 1’ ho pagata in grazia del tesoro per risegnarlo salvo all’ amico; nè io 1’ ho compera per m e, nè per serv im ene, ma l ' ho redenta e ho sborsato del mio. Eccoti la faccenda, se questo è delitto, confesso,. Megaronide, essere questa mia colpa. Eccoli i miei assassinamenti, eccoti il bel taccagno che sono io! Ed è per ciò che mi taglian tanto i panni addosso?Acchetati tu hai sopraffatto iL m aestro, tu mi hai chiusa la bocca! io ho nulla a rispondere.Ora io ti prego che mi ajuti e coll’ opera e. col consiglio, e che pigli meco in comune questa pro­vincia.Te lo prometto. .Doy® sarai fra poco?

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M z«. Domi.CAL.Numquid vis?M t* . Curea tuam fldem.Ca l . Fil sedula.M e s . Sed quid ais?Cal. Quid vis?M eo. Ubi nunc adulescens habel?Cjl . Posticulum hoc recepit, quom aedis vendidit.Meg.I stuc volebam scire. T sane nunc jam .

Se d quid ais? quid nunc virgo? nem pe apud te esi? 'Cjl . Ha esi,

Juxtaque eam curo cum mea.Meg. Recte facis.CAL.Num, priusquam abbilo, me rogitaturus?Meg. Fale. —

N ih il est profecto stultius neque stolidius ( \J Neque mendaciloquius neque argutum magis , Neque confidentiloquius, neque perjurius,Quam urbani adsidui cives, quos scurras vocant. A tqué egomet me adeo cum illis una ibidem traho. Qui illorum verbis falsis acceptor fu i,Qui om nia se sim ulant scire, nec quidquam sciunlj Quod quisque in anim o aut habet, aut habilurust,

sciunljSciunt quid in aurem rex regintte dixerit:Sciunt, quid Juno fabulata est cum Jovej Quae neque fu tura , neque facta , illi tam sciunlj Falson an vero laudent, culpent, quem velint,N on flocci faciunt, dum illud, quod lubeat, sciant. Omnes m ortalem hanc ajebant Calliclem Ind ignum civitale hac esse vivere,Bonis qui hunc adulescentem evorlisset suis:

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Meg. In casa.Cal. Vuoi qual cosa?Meg. Che osservi la parola.Cal. Non ci pensare.Meg. Che hai d’ altro?Cal. Che vuoi?Meg. E dove abita ora questà giovine?Cal. Ei quando ha fatta la vendita $’ è riservato un

appartam ento di dietro.Meg. Voleva saper questo. O ra vaitene. Ma che mi ag ­

giungi? e la fanciulla? è in casa tua?C a l. Sì; e me ne piglio cura come della mia.Meg. Ben fatto.Cal. P rim a che me ne vada, non ti occorre allro?Meg. Sta sano. — Non ha il mondo razza più stolta,

più bestiale, più falsa, più beffarda, più imperti­nente, più spergiura di questi oziosi ciancioni che dicono novellieri. Anch’ io mi pongo adesso di questa lega, avendomi succiate tante frottole, che mi davano per vere senza, saper nulla di certo. Elli sanno ciò che ognun pensa, o che si andrà mu­linando col tempo. E ’ sanno quanto il re ha sus- surato nell' orecchio alla regina: sanno quello che Giunone ha detto a Giove; e quanto non avvenne mai, elli sanno istessamente: loro non monla se loda­no o vituperano chicchessia a diritto- o a torto , purché sappiano quello che vogliono sapere. Uomo non vi aveva il quale non gridasse la croce addosso a questo Callide, che egli era indegno di vivere in questa città, per aver pillucato de’ suoi averi que­sto giovane. Io, ignaro delle parole di questi ba-

Vol. IV. I’jla u ’. 16

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Ego de eorum verbis fam igeratorum , inscius, Prosilui am icum castigatum innoxium .Quodsi exquaeratur usque ab stirpe auctoritas, Unde quidque auditum dicantj nisi id adpareat, Fam igeratori res sit cum dam no et m aloj Hoc ita si fiat, publico fiat bono:P auci sint fa x im , qui sciant, quod nesciunt, Occlusioremque habeant stultiloquentiam.

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joni, son corso a sgridare l’ amico innocente. Egli si dovria, quando si sparge una voce, cercare chi fu il primo a darla fuori, e, se non si vede il chia­ro , allora il maldicente porli la pena. Se si faces­se questo, gran bene tu tti ne riceverebbero: sa­rebbe pensier mio che pochi spacciassero quanto ignorano, e sì aon si farebbe cotanto mercato di baje.

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ACTUS li.SC E N A I.

L y s i t e l e s .

llu lla s (1 ) similu res in meo corde vorsoj M ullum in cogitando dolorem indipiscorj Eqo me et concoquo et macero et defatigoj M agister m ih i exercitor anim us hinc est:Sed hoc non liquet, neque salis cogitatum est, U tiam polius bar un c m ilii artem expetessam , U lram aetati agundae arbitrer firmiorem:Utra in parie plus si voluptatis vitae A m orine me an re obsequi polius par sitj A d aelalem agundam.De hac re m ih i salis haud liquetj nisi hoc sic fa ­

ciam opinor:Ulramque rem sim ul exputem j judex sim , reusque

ad eam rem.Ila faciam ! ila placet!Omnium prim um A m oris artis eloquar, quemad­

m odum expediant. N unquam A m o r quemquam jn is i cupidum hom inem

postulat se in plagas Conjicerej eos cupit, eos conseciatur; subdole blan­

ditur,Blandiloquentulusj ab re consulit, harpago, m endax,

cuppes, avarus,Elegans, despoliqlor, latebricolarum hom inum con-

ruplor

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ATTO ir

SCENA I.

L isitele.

Io vado rimescolando assai cose in capo/ e dal molto ri­

voltarle io ne ricevo affanno. Io mi distruggo, mi

torm ento, mi corruccio: e di qui avviene che ho un

grammatico nell’ animo il quale mi dà mille m artiri.

Io non ho preso ancora il mio consiglio, non sono

ancora ben certo a quall’arte di queste due mi abbia

a dare per passarmela meglio in fin che vivo, in qual

parte insomma ritrovi io vita più contenta, se nello

am oreggiare o nell’esser massajo. Io veggo che non

sono ancora persuaso abbastanza; se non le fo cosi

discorrere meco tu tte e due, costituirmi ad un

tempo e giudice e reo. Bene! così mi piace, anzi

ogni cosa dirò le arti dell’ am ore,-e che giovino.

Amore non caccia nelle sue reti altri uomini se

non i cupidi. Questi cerca egli, questi agguindola,

a questi fa mille lusinghe; ha sempre il mele in

bocca. Stoglie dagli affari, è ladro, menzognero,

ghiotto, avaro, leccato, spogliatore, corrompitore

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B landus, inops, celali iudagator: nam quomodoquis a da m a i,

Quom sagillalis extemplo saviis percussus est.Eloco res foras labitur, liquilur.• D a m ih i hoc, m ei meum, si m e am as, si a n -

desl »Jbi cuculus itle: • Ocelle m i fiat el istuc, et si A m p liu s vis dari. » Jbi pendentem ferit illa: ja m

am plius ornljNon sat id est m ali, quod ecbibit, quod comesi, quod

facit sum li,M amplius etiam datur m ox.D ucitur fam ilia tota: vestiplici, unctor, auri custos, Flabelliferae, sandaligertdae, cantrices, cistellatrices, N u n tii, renunlii, raptores panis et peni.F it ipse, dum illis comis esi, inops am alor.Haec ego quom ago cum meo anim o el recolo, ubi

qui eget, quam preli sit parvi: Jp a g e te, A m o ri non places! nil te utor, quamquam

illuc est dulce.Esse et bibere A m o r am aro dal, libi salis quod sit

aegre:Fugit fo rum j fugat tuos cognalosj fugat ipsus se a

suo contuilu. ( Neque enim eum sib i àm icum volunt dici. )Mille modis a m or ignorandust, procul adhibendus!,

abstinendust:N am qui in am orem praecipitavit, pejtis perit, quam

si saxo saliat.Jpage , sis, J m o r ! tuas res tibi habe, J m or! m ih i

amicus ne fuas unquam !

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247 .di questi cianghellini che amano il bujo, egli è sen­za bajocchi, e ficca il naso dappertutto per aver­ne. Imperciocché appena alcuno è innam orato, ap­pena è percosso da que’ baci che forano come gli aghi, tosto la roba diventa lisciva, la va pel buco dell’acquajo » Se mi vuoi bene, se hai cuore, dam­mi questo, o mio mele? e tosto il povero cucco: — » occhio mio bello, si farà questo ed altro se più tu vuoi. Ella se lo balocca, ella ha altre cose da chiedere. Non basta quello che si beve, quello che si pappa, lo sparnazzo che si fa. Bisogna allargar più la mano. Si tira in campo tu tta la famiglia, guardarobieri, profumieri, credenzieri, fanti che portino ventagli, sandali, cofanetti, cantatrici, va- Ietti che vanno e vengono, tu tti scannapane e vuota cucine. Queste eose opera quel baderlo di bertone finché lo può. Quando io penso b ru tti termini in che si trova chi ha bisogno, vada al diavolo l’amo­re! non fai per me! io non ti voglio, avvegnaché anche tu abbi le tue feste. Amore mesce d’amaro tu tto che tu mangi, o che tu beva, ti dà abba­stanza rammarichi: ei fugge il foro, mette in fuga i parenti, fugge dal guatar sé medesimo, e niuno gli vuole essere amico. Per mille ragioni decsi disco­noscere l'am ore, deesi da lui stare alla larga, dee- si fuggire: imperciocché l'uom o il quale si è cacciato dentro all’ amore perisce di mala m orte da sga- ra rne colui che lascia le budella in sulle secche. Via, via amor da me! tienti la tua cuccagna, non fia giammai che io ti sia amico. Ye n ’ ha a josa, gen-

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S u n t tam , quos miseros maleque habeas, tibi quosobnoxios fecisti.

Cerlum est ad ft'ugem an im um adplicare, Quamquam ibi anim o labos grandis capilur.B o n i sibi haec expetunt: rem , fidem, honorem , Clariam et gratiam .Hoc probis pretium est. Eo m ih i mage lubet Cum probis polius quamde cum inprobis Vivere vanidicis.

SC E N A II .

P hilto, L y site le s.

P h i.Quo illic homo foras se penetravit ex aedibus?L r s . P aler adsum.

Im pera, quod vis: neque libi ero in m ora, neque melatebrose

A bs luo conspectu occultabo.P a i. Feceris p a r tuis celeris faclis,

Patrem si percoles tuom per pielalem.Nolo ego cum inprobis le viris, gnate m i,Neque in via , neque in foro, ullum sermonem exsequi. N ovi hoc seclum ego, moribus> quibus sil Malus

bonum m alum esse volt, S il sui sim ilisj turbant, miscent mores m ali, rapax,

avarus,Invidus j sacrum profanum , publicum privatum habent, H iulca gens. Haec ego doleoj haec sunt, quae med

excruciantj Haee dies noclisque tibi canto ut caveas.

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te cui tu possa strarabellare a modo tuo, e che hai già fatti tuoi servi. Io son fermo, vo' attende­re al risparmio, avvegnaché poca non sia la fatica che togliesi addosso. Gii uomini dabbene queste cose elli vogliono: avere, lealtà, buon nome, ri­putazione, e grazia: questo è il pregio dcJ buoni;io ho maggior piacere far lega colla gente onesta, che con queste mozzine, valenti in niente altro che nella lingua.

SCEMA IL

F iltohe, L is it e l e .

F il. Da che p arte se n ’ è ito colui?L is. Son qua, padre , dimmi quello che vuoi, io non li

farò aspettare , nè vorrò nasconderm i dalla tua faccia.

F il . Onora il padre e fai cosa da p a r tuo. Io non voglio, figliuol mio, che nè in strada nè in piazza appicchi discorso co’ tristi: so ben io secolo in che viviamo, e ne conosco le usanze, il tristo vuo­le sia tristo anche il buono, e che lo assimigli. Questi cattivi costumi guastano, mettono sossopra ogni cosa: gli uomini dJ oggi giorno rubano, scor­ticano, sono pieni di invidia, nè fan distinzione dal sacro al profano, dal pubblico «al privato que­sti lupi. Di ciò men sa male, queste cose mi cruc­ciano, e per questo dì, e notte ti ricanto acciò che ab­bi a guardartene Hanno abbastanza costoro di tener

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Quod m anu nequeunt tangere, tan tum fa» habentjm anus quo abstineants

Celera rape, trahe, fuge, late! L acrum as haec m ihi,quom video, eliciunt,

Quia ego ad hoc genus duravi hom inum . Quin priusm e ad pluris penetravi?

N a m hi m ajorum m ores laudantj eosdem lutulant,quos conlauda ni.

H isce ego de artibus gratiam facio, ne colas, neinbuas ingenium.

JUeo modo moribus vivito antiquisj quae ego libipraecipio, ea facito.

N ih il ego istos m oror fatuos mores Turbidos, quis boni dedecorant se.H aec tibi si mea im peria capesses, m ulta in pe­

ctore bona consident. L rs .S e m p e r ego usque ad hanc aetatem ab ineunte ado­

lescentiaTuis servivi servitutem inperiis, praeceptis, paler. P ro ingenio ego m e liberum esse ratus sum j pro

imperio tuom.M eum an im um libi servitutem servire, aequom cen­

sui.P o i. Qui homo cum anim o inde ab ineunte aetate depu­

gnat suo,U trum ila se esse m avelit, ut eum anim us aequom

censeat,A n Ua potius, ut parentes eum esse et cognati ve­

lint.S i anim us hom inem pepulitj actum est: anim o ser­

vit non sibi:

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via le mani da quello che toccare, non possono,

del resto poi ruba, porta via, trafuga, nascondi!

Queste cose, in vederle io, mi strappano le lacri­

me, perchè devo vivere, tra uomini di questa raz­

za: perchè non sono ito io tra ’ più? Costoro han­

no sempre in bocca i costumi de’veechi, ma gli

insozzano quando li vantano, ed io mi credo bea­

to finché a queste arti tu non pensi e di esse tu

vuoi startene netto. Fa a senno mio, vivi all’anti­

ca, fa quello che ti insegno io. Io gli stimo un b a -

gattino questi costumi vuoti e torbidi, in cui si

infangano i buoni. Se tu comprenderai bene la

mente mia, alla fè che ti vantaggerai non di

poco.

Lis. Dalla infantilità insino a questi di, io ti sono sempre

stato soggetto, o padre; io ho sempre fatto con­

forme a’ tuoi avvisi. In quanto alla natu ra io mi

credo libero, tuo in quanto alla obbedienza; e

sempre ho creduta buona cosa I’ esserti servo.

F il. Colui che da ragazzo combatte col suo animo se

dee far piuttosto quello che più gli grilla, o piuttosto

quello onde l’ammoniscono i parenti o i congiun­

ti, so vince l’animo, buona sera! egli serve all’ani-

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S i ipse anim um pepulit, dum vivil, 'victor victorumcluet.

Tu s i an im um vicisti, potius quam anim us te, estquod gaudeas.

N im io satius est, ut opusl, te ita esse, quam ut a -nim o lubet.

Qui an im um vincunt, quam quos anim us, semperprobiores cluent.

L r s .ls la e c ego m ih i semper habui aetati tegumentummeae,

Ne penetrarem me usquam, ubi esset dam ni conci-liabulum ,

N e noctu irem obambulatum, neu suom adimeremalteri.

Ne aegritudinem tibi, pater, parerem, parsi sedulo. S a rta lecta tua praecepta usque habui mea mode­

stia.P a i. Quid exprobras, bene quod fecisti? Tibi fecisti, non

mihi.M ihi quidem aetas acta est fermej tua istuc refert

m axum e.Benefacta benefactis aliis pertegito, ne perpluant.Is probus est, quem poenitet, quam probus sil el frugi

bonaejQui ipsus sibi salis placet, nec probtis est, nec frugi

bonaejQui ipsus se contemnit, in eo est indoles industriae.

L r s . Ob eam rem haec, pater, autum avi, quia res quae­dam est, quam volo

Ego me abs te exorare.P a i. Quid id est? Veniam dare ja m gestio.

Page 251: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

mo e non a sè; ma se vince egli, che bella vit­

toria ebbe eglil Tu se le hai vinte le tue vo­

glie, piuttosto che esser vinto da esse, hai cosa da

rallegrartene. È ben meglio che tu sii comè devi

essere, di quello che come vorrà il tuo animo. Gli

onesti uomini quelli sono che vinsero 1' animo., e

non quelli che furono vinti da esso.

Lis. Io ebbi sempre questo riguardo alla età mia di non

m ettere il piede mqi ove potessi acquistarne dan­

no; non volli mai andar girone la notte, ne ' to ­

gliere quello d’ altri, e fui sempre guardingo di

non portarti affanno, e nella mia modestia tenni

sempre in serbo i tuoi precetti.

. F il. Perchè ne meni tu vampo del bene che fatto hai?

per te l’ hai fatto e non per me. Io sono quasi alla

candela, e tu se' giovane e ne avrai bene. Alle

buone opere che tu hai fatte, mettivene sopra del­

le altre perchè sieno ben ferme, e non iscorrano.

L’ uomo dabbene è quello che non è mai conten­

to della sua onestà, e chi si compiace di sè non

è nè dabbene, nè di buon sentimento; ma chi è in

dispregio di sè medesimo, egli è veramente buono

a qualcosa.

Lis. Io ho parlato così, o padre, perchè avrei cosa che

vorrei tu mi avessi a permettere.

F il. Qual cosp è questa? parla; io Vo' farti contento.

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L y s . Adulescenti hui• genere sum m o, am ico, atque ac­quali meo3

Minus qui caule et cogitate suam rem tractavit,palor,

Bene voto ego illi facere, si tu non itevit.P h i. Riempe de tuo?L rs .D e meo: nam quod tuom est, meum e$t: omne

m eum esi autem tuom.P a i. Quid is? egetne?L r s . EgetP h i. Habuitne rem ?L rs. Habuit.P a i. Qui eam perdidit?

Pttblicisne adfitiis fu it att m aritum is negotiis? M ercalurqm ne an venali* habuit, ubi rem perdidit?

L r s . JVihil istorum.P a i. Quid igitur?L rs . Per com itatem edepol, paterj

Praeterea aliquantum a n im i causa in deliciis dis­perdidit.

P a i. Edepol hom inem praedicatum ferm e fam iliariter, Qui quideni nusquam per virtutem rem confregit,

atque egei!N il m oror eum tibi esse am icum cum ejusmodi vir­

tutibus.L r s . Quia sine o m n i m alitia est, tolerare egestatem ejus

volo.F u i.D e mendico m ale meretur, qui ei dat, quod edit,

aut bibat:N am et illuc, quod dat, perdit, et Uli prodit (3J vi­

ta m ad miseriam.

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Lis. Io to’ ajutare un giovane di buon casato, amico e della stessa età mia, il quale governa con non troppa cautela e giudizio le cose sue, se tu non mi se’ contrario, o Padre.

F il. Vuoi dargli del tuo?Lis. Del mio. Imperciocché quello che è tuo i mìo, •

tu tto il mio è tuo.F il. £ chi è costui? ha bisogno?Lis. Ha bisogno.F il. F u ricco?Lis. F u ricco.F il. Come ha fatto egli a rovinarsi? Attese egli agli

affari pubblici, o marittimi? Vendeva roba o schia­vi per condursi alla malora?

Lis. Nulla di tu tto questo?F i l . E sì adunque?Lis. Per voler fare il grande, o padre, oltre a questo

si è un pochetto ro tta la cavezza.F il. Doh con che dilicatura me 1’ hai dipinto! non me

ne avresti dette tante se si fosse condotto al la­strico o nelle secche per voler fare il dabben uo­mo! mi calza non troppo siati amico un uomo di tante virtù.

Lis. Ma egli: è uomo senza malizia, e io voglio un po* cavarlo di pan duro.

F il. - Vuoi far cosa di niup merito? Fa che il povero mangi e beva del tuo a bertolotto: imperciocché o gittasi in un pozzo quanto si dà, e all’ altro si lastrica la via perchè si faccia più misero. Non ti par-

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Non io dico, quin, quae tu vis, ego velim el fa - . ciam lubens:

Sed ego hoc verbum quom illi quoidam dico, prae­m onstro libi:

Ut ita te aliorum miserescat, ne lu i alios misereat. L r s . Deserere illum el dejuvare in rebus advorsis pu ­

det.P h i . Pol pudere quam pigere praestat, totidem literis. L r s . Edepol deum virtute dicam , paler, el m ajorum et

tua.M ulla bona bene parta habemus: bene si amico fe­

ceris,Ne pigeat fecissej ut potius pudeat, si non feceris.

P u i.D e divitiis magnis si quid demas, plus fit, an m i­nus?

L r s . Minus, paler j sed civi inm uni scis quid cantari so­let?

Quod liabcs, ne habeas, el illuc, quod m ine nonhabes, habeas, m alum :

Quando quidem nec tibi bene esse poles pali, nequealteri.

P a i. Scio equidem istuc ita solere fieri, verum, gnate m i, Is est inm unis, quoi nihil est, qui m unus fungatur

suoni.L y s .D e u m virtute habemus, et qui nosmet u tam ur, paler,

E t aliis qui com itali simus benevolentibus.P h i.N oii edepol tibi pernegare possum quidquam, quod

velis.Quojus egeslalem tolerare vis? Loquere audacler

patri.

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Lis.

F il.

L is.

F il.

L is.

F il.

L is.

F il.

10 cosi io perchè non voglia o faccia di buon animo11 parer tuo. Quando io dico questo a quel mes­sere, vo’ aprire gli occhi a te, perchè tu abbi ad avere pietà degli altri, piuttosto che gli altri lo abbiano di te.Ma io ho vergogna di abbandonarlo e non dargli ajuto in queste sue distrette.È meglio vergognare che pentirsene poi, conta le lettere e vedrai che son tante istessamente. Gran mercè di Dio, o padre, de’ nostri antichi e

tua, noi abbiamo roba a fusone e di buon acquisto: è da porsi innanzi 1’ a ju tar 1’ amico, 1’ averne in - crescimento, piuttosto che patir la vergogna di non averlo fatto.Dimmi un po' se da un tesoro tu ne togli, aumento esso o scema?Scema, o padre, ma sai canzona che usasi g ri­dare all’ uom disutile? quello che hai non dovresti avere, vengati quel malanno che non hai, dappoi che tu non sai fare bella vita, nè ti basta l’animo che altri la faccia.So bene io che si suole dir questo, ma, figliuol mio, il disutile è colui che non ha cosa al mon­do per esser utile.’Ma noi per la grazia di Dio, o padre, abbiam tan ­to e da servircene noi, e di allargarne a quellia cui vogliam bene.

é '

Io non ti posso negare cosa che tu voglia. Ma chi vuo’ tu cavare di pan duro? dillo pur franca­mente al padre.

Vol. IV. P laut. Al

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L r s . Lesbonico huic adulescenti, Charmidai filio ,Qui illic habitat.

P a i. Qui comedii, quod fu it, quod non fuil,L r s . Ne opprobra, pater: m ulla hom ini eveniunt^ quae

voltj quae nevolt.P ai.M entire edepol, gtiale, alque id nunc facis haud (A)

consuetudinejN am sapiens quidem pol ipse fingit fortunam sibi: Eo ne m ulta , quae nevolt, eveniunt, nisi ficlor m a ­

lusi.L r s . Multa esl opera opusficlurae, qui se fictorem probum

Vilae agundae esse expelitj sed hic adm odum adu­lescentulus.

P a i. Non aetate, verum ingenio • apiscitur sapientia.Sapienti aelas condimenlum eslj sapiens aelali ci-

bust. —d g ed u m , eloquere, quid dare illi nunc vis.

L y s . _ N il quidquam, palerjTu modo ne me prohibeas accipere, si quid det mihi.

P a i .A n eo egestatém et tolerabis, si quid ab illo acce­peris?

L r s .E o , paler.P a i. Poi ego islam volo m e rationem edoceas. L r s . Licet.

Scin ’ lu illune, quo genere gnalus sii?P a i. Scio adprim e probo,L r s .S o r o r illi est adulta virgo grandis: eam cupio, paler,

Ducere uxorem .L a i. S ine dole?L r s . Sine dole.P a i. Uxoremne?

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Lis.

F il.

Lis.

F il.

Lis.

F il.

Lis.

F il.

Lis.F il.L is.F il.L is.

F il.Lis.F il.

Questo giovine Lesbonico che sta in quella casa, figliuolo di Carmidc.Colui che si ha mangiato ogni cosa che aveva c non aveva.Non fargliene carico, o padre: all’ uomo assai cose avvengono, le voglia o non le voglia egli. Potenzinterra! come ci vedi torto , figliuolo! questo non è della tua consuetudine, imperciocché ogni uomo che è savio fabbrica la sua fortuna: se egli non è da tanto da fabbricarsela buona, gli cadono addosso tu tti quei malanni eh’ egli non vuole.E però duopo che sia ben pratico, chi vuol fab­bricarsi la fortuna in questo mondo; laddove co­stui, o padre, è ancora troppo giovane.Non cogli anni si acquista la sapienza, ma coll’in­gegno, 1’ età è il companatico a chi è savio, e gli anni col senno si nutrono — Orsù, ornai, dim­mi che gli vuoi tu dare.Nulla, o padre, e tu non volermi impedire se dà egli qualcosa a me.In questo modo vuoi tu alleviarlo della miseria, ricevendo alcun che da lui?In questo modo, o padre.Doh: voglio proprio che tu me ne faccia chiaro. Volentieri. Sai tu famiglia onde sia nato quegli? Sonimelo. Buonissima.Egli ha una sirocchia, zitella ancora e già da ma­rito , io, o padre, ho desiderio di sposarmela. Senza dota?Senza dota.Sposartela?

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L rs. ItasTua re salva. Hoc pacto ab illo summam inibis

gratiam ,Neque commodius ullo pacto ei poteris auxiliarier.

Pai. Ego indotatam ied uxorem ut paliar? . . .L rs. Paliundum est, pater;

Et eo pacto addideris nostrae lepidam famam fa­miliae.

Pai. Multa ego possum docte dicta et quamvis facunde ^ loquis

Historiam veterem atque antiquam haec mea se­nectus sustinet!

Ferum ego quando te et amicitiam et gratiam innostram domum

Video adlicere, etsi advorsatus tibi fui, istac judico Tibi permitlos posce: duce.

L rs. Di te servassint mihi!Sed adde ad istam gratiam unum.

Pai. Quid id est autem unum?L rs. Eloquar.

Tu ad eum adeas: tu concilies: tute poscas.Pai. EccereiL rs. Nimio citius transigess firmum omne erit, quod tu

egeris.Gravius tuom erit unum verbum ad eam rem, quam

centum mea.Pai.Ecce autem in benignitate hoc reperi negotium! —

Dabitur opera.Lrs. Lepidus vivis. Haec sunt aedess hic habetj

Lesbonico est nomen: age, rem cura. Ego te oppe-periar domi,

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Lis. Sposarmela: e senza tuo danno. In questa forma tu gli farai servigio grandissimo, in altro modo rendere non gli potresti ajuto migliore.

F il. E lascerò io che una femmina senza dota? . . .Lis. £ devi proprio lasciarlo, o padre: per questa via,

o padre, tu darai un gran credito alla nostra casa.

F il. Di belle parole posso fartene anch’ io e sputarti sentenze a josa: in questa mia vecchiaja mi si raccorda tu tta la istoria de’ tempi andati, e la più antica, ma da che io veggo che nella nostra casa tu vuoi tira re 1’ amicizia e il favore degli uomini, avvegnacchè dapprima ti fossi ritroso, pure te la meno buona, te lo concedo, chiedila, falla tua.

Lis. Che gli Iddii mi ti lascino mill’ anni! ma a questa grazia aggiungivene un’ altra.

F il. £ che cosa è questa?Lis. Eccola, tu va da lui; parla, tu fanne la di­

manda.F il. Questa è marchiana!Lis. Tu farai presto a sbrigartene, e tu tto che tu farai,

sarà ben fatto: a questo avrà maggior peso una parola tua, che cento delle mie.

F il. Togli impaccio che mi son trovato pér la beni­gnità tua! — Ti servirò.

Lis. Che Dio t* ajuti. Questa è la casa, qui sta egli, Lesbonico è il suo nome, tu va e tra tta la cosa.Io ti aspetto in casa.

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P h i. Non opluma haec sunt, neque ego ut aequom censeo; Ferum meliora sunl quam quae dclerruma.Sed hoc unum consolatur me alque anim um m eum . Quia, qui nil aliud, n isi quod sibi soli placet, Consulit advorsum filium , nugas agit:Miser ex anim o fil, factius nihilo facit.Suae senectuti is acriorem hiemem parat,Quom im portunam illanc tempestatem conciet.Sed aperiuntur aedes, quo ibam: comode Jpse exit Lesbonicus cum servo foras.

S C E N A 111.

L e s b o n ic u s, S t a s im v s , P b il t o .

L e s . Minus quindecim d ies sunt, quom pro hisce aedibus M inas quadraginta accepisti a Callicle.Esine hoc, quod dico, Slasime?

S ta. Quom considero,Meminisse videor fieri.

L es. Quid factum est eo?S ta. Comesum, expolum , exunctum , (5 ) elotum in bali-

neisjPiscator, pistor, abstulit, lanii, coqui,Olitores, myropolae, aucupes. Confit cito,Quam si form icis tu obicias papaverem,

L es. Minus hercle in istis rebus sum lum esi sex minis. S ta. Quid quod dedisti scoriis?L es. Ibidem una traho.S ta. Quid, quod defrudavi?L es. H em , ista ratio m a xu m a est/

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F il. Queste cose non sono delle ottime, nè io le ap­provo, ma sono sempre migliori delle pessime. Ma almeno questo mi è di conforto, che chi non vuol ire a’ versi del figlio, per far piacere a sè, trovasi

.le mani piene di vento, e cade in mille corrucci, senza cavarne vantaggio. Egli in sulla vecchiaja preparasi una vernata delle più rabbiose, tirandosi addosso tante burrasche. Ma s’ apre quella casa in cui andava io. E Lesbonico in persona che vien fuori a tempo col servo.

SCENA IIL

Lesbonico, Stasimo, F iltone.

Les. Non fanno i quindici di che noi abbiano da Cal­lide ricevute per questa casa quaranta mine, non è egli vero quello che ti dico, o Stasimo?

Sta. Quando ci penso bene panni la sia così.Les. E che ne avvenne di questo denaro?Sta. S’ è mangiato, s’ è bevuto, s’ è sprecato in un­

guenti, s* è risciaquato in bagni: l’ ha portato viail pescatore, il fornajo, i beccaj, i cuochi, gli or­tolani, i profumieri, i cacciatori. E fa presto ad an­darsene, proprio come se tu gittassi un pugno di granelli di papaveri alle formiche.

Les. Ma in queste ta ttare non sarannosi spese sei mine.Sta. !E quello che avete speso in bagascie?Les. L’ ho messo in quel sommato.Sta. E quanto ho grancito io?L es. Ahi, questo sì che è il conto più grosso!

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S t j. N on tib i illud adporere, s i sum às, potest:N isi lu immortale rere esse argentum tibi.Sero atque stulte, prius quod cautum oportuit, Postquam comedit rem , post rationem putat.

L es. Nequaquam argenti ra tio com paret tam en.S t j . Ratio quidem hercle adparetj argentum oi% erai.

M inas quadraginta accepisti a Callicle,E t ille aedis abs te accepit mancupio.

L es. Adm odum .F u i. P ol, opino j adfinis noster aedis vendidit.

P aler quom peregre veniet, in porla est locus,N isi forte in ventrem filio conrepserit.

S t j . Trapezitae mille drachum arum Olimpicum,Quas de ratione debuisti, reddilae,

L es. Nempe quas spopondi.S t j. Im o quas d e p e n d iin quilo.

Quas sponsione pro lu exactus nuper es.Pro illo adulescente, quem lu esse aibas divitem.

L es. Factum.S t j. Ut quidem illud perierit.L es. Factum id quoque est.

N a m nunc eum vidi m iserum : me ejus m iseritumest.

S t j. Miseret te aliorum , tu i nec miseret nec pudet.P h i. Tempus adeundi est.L es, Estne hic Phillo, qui advenit?

Is hercle est ipsus.S t j, Edepol nae ego islunc velim

Meum fieri servom cum suo peculio.

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Sta. Non vi può durar sempre quel marsupio, che sempre si pizzica: purché non abbiate fermo voi che i quattrini durino in eterno. Serra la stalla dopo scappati i buoi, colui che si riduce a fare i conti quando ha sciupata ogni cosa.

Les. Con tutto questo però chiaro non vien fuori il conto.

Sta. Vien fuori sì alla vita mia; il denaro se n’ è ito. Voi da Callide avete avuto quaranta miùe, ed egli da voi ha avuto il possesso della casa.

Les. Verissimo.F il. Alla fè, alla fè; che questo nostro parente ha ven­

duta la casa. J1 padre allorché farà ritorno dor­m irà nell’ andito, se pur non si vorrà imbucare nella pancia del figlio.

Sta. Al banchiere Olimpico si restituirono le mille dram­me che voi gli dovevi secondo i conti.

Les. Quelle cioè per cui io fui mallevadore.Sta. Dite anzi quelle per cui io ho pagato. £ son quelle

che per la vostra impromessa avete esatte pur ora, per quel giovine che voi predicavi sì ricco.

Les. Così è.Sta. Che questi quattrini se ne andarono alla grascia.Les. £ anche questo è vero. Poco fa l’ ho veduto quel

poveraccio, e m’ ha fatto compassione.Sta. A voi fanno pietà gli altri, e voi non sentite nè

vergogna nè pietà di voi.F il. È tempo che io 1' affronti.Les. É Fittone che vien qua, egli è desso anima e

carne.Sta. Cacasangue! se me lo torrei io qual servo costai

con tu tti i suoi testimonii.

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P h i. H erum atque servom plurim um Phillo jubet Saivere, Lesbonicum et S lasim tim .

L e s . D i duiniTibi, Phillo, quaecutnque optes. Quid agii filius?

P h i . Bene volt tibi.L es. Edepol m utuom mecum facit.S t a . Nequam illud verbum est « Bene volt » nisi qui bene

' facit.Egoque volo esse liberj nequidquam volo.Hic postulet frug i essej nugas postulet.

P h i . Meus gnatus me ad te m isit, in ter se atque vos A d finti atem ut conciliarem et graliam .Tuam volt sororem ducere uxorem j et m ih i Sententia eadem est et volo.

L es. H au d nosco tuom?Bonis tuis rebus meas res inrides malas.

P h i . H om o ego sum , homo lu es: ila m e am abit lu p i-ter!

Neque te derisum veni, neque dignum puloj F erum hoc, ut d ixi, meus me oravit filius,Ut tuam sororem poscerem uxorem sibi.

L es. M earum me rerum novisse aequom esi ordinem . Cum vosìris nostra non est acqua factio: A dfinila lem vobis a liam quaerite.

S t j . S a tin* tu sanus mentis aut an im i tni,Qui conditionem hanc repudies? nam illune tibì Ferenlaneum (6 ) esse am icum inventum intellego.

L es. A b in ’ hinc dierecte?S ta. S i hercle ire occipiam, veles.

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F il.

Les.

F il.Les.Sta.

F il.

Les.

F il'

Les.

Sta.

Les.Sta.

Fittone saluta cordialmente e il padrone e il servo; Lesbonico e Stasimo.Dio ti colmi d’ ogni bene, o Filtone, che fa il tuo figliuolo?Ti vuol bene.E io glielo rimerito.Il ti vuol bene » è una parola secca $e pur non te lo fa. Anch’ io voglio esser libero, m a !a voglia mia è una voglia vana: costui vorria pur fare il valentuomo, ma e’ pesca in aria.Il figliuol mio mi ti manda per cercarti di paren­tela e amicizia. Egli vuol menarsi in donna la tua sorella, in questo parere son venuto anch* io e lo voglio.Cre’ tu eh' io non ti legga? voi altri perchè nuo­tate nel lardo venite a dar la berta a me, che son a mal partito.10 sono un uomo e un uomo se’ tu , sì mi dia bene Iddio! io non vengo per darti il giambo, nè te ne credo indegno; ma, conforme io ti ho detto, mio figlio mi ha fatto calca perchè io ti dimandassi per lui in moglie tua sorella.Le mie bisogne è ben giusto me le conosca io: voi non siete da par nostro, cercatevi un altro parentado.V’ ha forse il cervello dato la volta da ricusar voi partito sì bello? Imperciocché io già bene la veg­gio, questo che vi si offre non è un amico fatto come le mosche.11 fistolo che ti colga!Se mi cogliesse voi verreste a scacciarlo.

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L es. N isi me aliud quid vis, Philto, respondi tibi.P a i. Benigniorem, Lesbonice, te m ihi,

Quam nunc experior esse, confido fore:N ani et stulte facere et stulte fabularier Utrumque, Lesbonice, in aetate haud bonum est.

S t j. Ferum hercle hic dicit.L es. Oculum ego ecfodiam libi,

S i verbum addideris/S t j. H ercle quin d icam tam en:

N a m si sic non licebitj luscus dixero.P a i. Ila tu nunc dicis, non esse aequiparabilis

Fostras cum nostris factiones atque opes?L es. Dico.P a i. Quid nunc? si in aedem ad coenam venerist

Atque ibi, opulentus tibi p a r forte u t veneritj A dposita coena sit, popularem quam vocant,S i illi congestae sint epulae a clientibus,S i quid libi placeat, quod illi congestum siet, Edisne, an incoenatus cum opulento adcubes?

L e s . E dim , n i vetet.S t j. A t ego po l, e tiam si vetet,

E dim , atque ambabus m alis expletus vorem;E t, quod illi placeat, praeripiam potissum um, Neque illi concedam quidquam de vita mea. Ferecundari nem inem apud m ensam decet.- N a m ibi de divinis atque hum anis cernitur.

P a i . R em fabulare.S t j . Non tib i d icam dolo:

Decedam ego illi de via de semita,De honore popli; verum quod ad venirem attinet, N on hercle hoc longe, nisi m e pugnis vicerit. Coena hac annona est sine sacris hereditas.

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Les. Se tu non mi vuoi in altro, o Filtone, io t ’ ho data la mia risposta.

F jl. Io ho fidanza, o Lesbonico, che tu meco verrai umano più di quello che ora tu se'; imperciocché, o Lesbonico, e I’ operare e il parlare da pazzo non è cosa da uomo.

Sta. Costui parla da savio.Les. Io ti caverò un occhio se ancora ci m etti una

parolaiSta. Giuradio, io parlerò istessamente: se non mi sarà

fatto parlar con due occhi, parlerò guercio.F il. E sì mo’ tu, di' adunque che voi altri non ci state

al paro in dovizia, eh?Les. Certo.F il. Dimmi ora: se tu vieni a cenare in un tempio ad

un di que’ conviti che dicono popolari e che un ricco pur ci venisse; e messe le tavole, i clienti di questo gli parassero davanti vivande a monti, ed una di esse la ti andasse a sangue, dimmi un po’, ne mangeresti tu di quel mucchio?

Les. Ne mangerei purché non mel impedisse.Sta. Ed io anche se mel vietasse, e macinerei proprio

a due palmenti, e gli carpirei proprio quel co tti- cino che più gli stuzzica, nè cosa alcuna gli darei col mio danno; a tavola non ci vogliono rispetti, perchè là si combatte e per l’ anima e per il corpo.

F il. Tu la vedi diritta.Sta. Io vi parlo chiaro, ad un ricco io lascierò la

strada, darò la mano, farò di beretta, ma quando si tra tta di pancia e di tavola, e’ non mi fa sbra ttar via se non a furia di pugni: in questo paese una cena è una eredità senza liydli.

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P h i. Sem per tu hoc facito, Lesbonice, cogiles,

Jd oplum um esse, tuie u ti sis optumus;

S i id nequeas, saltem ut optumis sis proxum us.

Nunc conditionem hanc, quam ego fero et quam abs

te pelo,

Dare atque accipere, Lesbonice, te volo.

D ei divites sunt: deos decent opulentiae

Et factiones; verum nos hom unculi

Salillum anim ai, quam quóm extemplo am isim us

Aequo mendicus atque ille opulentissumus

Censetur censu ad A cheruntem mortuos.

S t j . M irum n i, illuc n i tecum divitias feras,

Ubi m ortuos sis, ila sis, ut nomen cluet.

P h i. N unc ut scias, hic factiones atque opes

N on esse, neque nos luam neglegere gratiam ,

Sine dole posco tuam sororem filiae.

Quae res bene vortal! Habeon pactam ? Quid taces?

S t j. Proh d i inm orlales, couditionem quojusmodif

P m . Quin fabulare • D i bene vorlant! spondeo •

S ta . Eheu, n il usus ubi erat dicto « Spondeo »

Dicebat; nunc hic, quom opus est, non quit dicere.

L es. Quom adfinilate voslra me arbitram ini

D ignum , habeo vobis, Phillo m agnam gratiam :

Sed, etsi hercle graviter cecidit stultitia mea,

Phillo, esi age sub urbe hic nobis; eum dabo

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F il. Fa di pensar sempre a questo, o Lesbonico, che la miglior . cosa che s’ abbia al mondo è quella d’ essere migliore degli altri, se non puoi aver questa: guarda almeno di fartele vicino. Ora io voglio che il partito il quale io ti offro e che io ti cerco tu abbi a dare e ricevere, o Lesbonico. Ricchi sono gli iddii, le ricchezze e le nobiltà sono degli iddii, ma noi omicciattoli appena che sputiam 1’ anima, e ricchi e poveri ci facciamo eguali, e tu tti siam messi all’Acheronte sopra la stessa lista.

Sta. Oh questa la saria tonda che voi vi avessi anche i quattrin i dopo che avete tirate le calze: qua dell’uomo non riman altro che il nome, o buono o tristo.

F il . Ora perchè ti assicuri tu bene che a questo mondo non vi ha nè ricchezze, nè potenze; e che noi

, poco caso non fa'cciamo della tua grazia, io chiedo la tua sorella senza dota in moglie del mio fi­gliuolo. Che Dio J)en ci dical Stai tu a questo patto? perchè se’ tu mutolo?

Sta. PofFar il mondo un partito sì bello!F il. £ che non soggiungi tu, sì piaccia a Dio! la p ro ­

metto.Sta. Puh! quando non faceva mestieri di dirla questa

parola » prom etto » egli facea d’ un lampo a ■ sbordellarla fuori; ora, che saria duopo, non sa

pronunziar sillaba.Les. Di poi che mi avete per degno di imparentarmi

con esso voi, io, o Filtone, ve ne ho grazie non poche: avvegnacchè la buassaggine mia tra tto mi abbia in luogo assai gramo, o Filtone; io ho qui presso le m ura un picciolo podere, io lo darò

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Dolem sorori: nam is de stullUia mea Solus superfit praeter vitam reliquos.

Par. Profecto dolem nil moror.L es. Certum est dare.S t j . N oslram ne vis nutricem , heret quae nos educat,

Abalienare a nobis? Cave, sis, feceris.Quid edemus nosm et postea?

L es. E tiam tu taces?Tibi ego rationem reddam?

S ta. Plane periim us,N isi quid ego conm iniscor. Philto , te volo.

P a i. S i quid vis, Slasime.S ta. H uc concede aliquantum .Vui. ' l ic e t .S ta. A rcano tib i ego hoc d ico: ne ille ex te scia t,

Neve alius quisquam.P a i. Crede audacter quidlubet.S ta. P er deos atque homines dico, ne tu illune agrum

Tuom siris unquam fieri ntque gn ati tui.E i re argum entum dicam.

Pb i . A udire edepol lubet.S ta. P rim um om nium olim terra quom proscinditur,

In quinio quoque sulco m oriu n tu r boves.P h i. Apage!S ta. Acheruntis ostium in nostro ts t agro.

T u m vinum , priusquam coctum est, pendet puti­dum.

L es. Consuadet hom ini; credo. Elsi scelestus est.A t m i infidelis non est.

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iu dote alla sorella, imperciocché della vita in fuori, questa è la sola che mi ha lasciata la mia igno­ranza.

F il. Ala dote io non te ne cerco.Les. Io voglio darla.Sta. Deh, padrone, e volete sbrattar voi di casa quella

povera nostra balia, che sola ci dà a pappare? In carità non vogliatelo fare, che manderemo dopo noi?

Les. E non la finisci ancora? ho io da render conto ,a te?Sta. Noi siamo a pollo pesto se non trovò qualche

gretola. 0 Filtoue, io vi voglio.F il. Se mi vuoi, eccomi, o Stasimo.Sta. Tiratevi un po’ in qua.F il. Subito. ,Sta. In confessione io vi dico questo; affinchè nè egli,

nè alcun altro lo sappia da voi.F il. Di’ pur franco quello che vuoi.Sta. In fè di Dio e di valent’ uomo, non permettete

mai che quel pugno di te rra sia nè vostra nè del vostro figliuolo; io ve ne dirò il perchè.

F il. Desidero proprio saperlo.Sta. Anzi ogni cosa, il dì che si ara il fondo, i buoi,

fattene cinque porche, cadono morte.F il. Alla larga!Sia. In quel nostro podere vi ha la porta deir Ache­

ronte, 1’ uva pende mufTata dai raspi prima della vendemmia.

Les. E in sul persuaderlo, io credo. Costui, avvegnacclic sia pur la gran cavezza, nulla di manco ini fu S'impre fedele.

Yol. IV. P l a u t . 18

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S t j . ^ u d i celera. .Post id , frum enti quom alibi messis m a xu m a est, Tribus tantis illi m inus redit, quam obseveris.

P b i . H em , istic oportet obseri mores malos,S i in obserendo possint interfieri.

S t j. Neque unquam quisquam est, quojus ille agerfuit,

Quin pessume ei res vorterit: quorum fuit,J l i i exulatum abierunt; alii ecmortui,M i i se suspendere. H em , nunc hic quojus est,Ut ad incilas redactus!

P a i. jjpage a m e istum agrum tS t j . M agis Jp a g e dicas, s i om nia a m e audiveris:

N a m fulguritae sunt alternae arboresjd ce rru m e m oriuntur angina suesjOves scabrae sunt, tam glabrae, hem ! quam haec

est m anus jT um autem Syrorum , genus quod palientissum um

esiH o m in u m , nem o extat, qui ibi sex menses vixerit: Jta cuncti solstitiali (1 ) morbo decidunt.

P h i. Credo ego istuc, Stasime, ita esses sed Campas ge­nus

Multo Syrorum ja m antidil patientia.Sed is est ager profecto, ut te audivi loqui,Malos in quem omnis publice m itti decet.S icut F ortunatorum m em orant insulas,Quo cuncti, qui aetatem egerunt caste suam , Conveniunt: contra istuc detrudi maleficos Jeq u o m videtur, qui istius sit modi.

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Sta. Udite il resto. Oltre a ciò, quando altrove si rac­coglie frumento a fusone, qui se ne miete tre Yolte meno di quello che si semina.

Fu.. Potenzinterral qui potriansi seminare i cattivi co­stumi, se col seminarli si potessero spegnere.

Sta. Non fuvvi persona mai, la quale possedendo que­sta te rra , le sia capitato alcun bene. Chi fu man­dato al bando, chi fu ammazzato, chi s’ appiccò per la gola. Guardate adesso costui, che ne è il padrone, come si è ridotto al pentolino!

F il. Via, via da me questo fondo!Sta. Ma via, via, via direte voi: se voi da me sapessi ogni

cosa: imperciocché delle due piante 1' una è per­cossa dal fulmine, i porci muojono di scaranzia, le pecore sono piene di rogna e hanno tan ta laua, ohe! quanta ve n ’ ha su questo palmo. De'Sirii, che sono uomini pieni di pazienza, niuno può cavarvi sana la pelle: se stanno quivi sei mesi, tu tti cre­pano pel male del solstizio.

F il. Lo credo, o Stasimo, di piena fede. Ma gli uomini di Campania una volta in pazienza sgaravano quelli di Siria. Ma* se la è questa terra conforma che dipinta me l’ hai, saria ella luogo acconcio per rilegarvi tu tti i tristi, come sono le isole fortu­nate alle quali giungono tu tti quelli che vissero santamente la vita. Perciò parmi giustizia che questo sia il luogo di condanna p«’ ribaldi, essendo essa una terra cosi brutta.

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S t j . H ospitium est calamitatis. Quid verbis opust? Quamvis m alam rem quaeras, illic reperias.A t lu hercle et illi a lii cave, sis, dixeris.Me tibi dixisse hoc.

P n i. D ixisti arcano salis.S t j . Quin hic quidem eum cupit ab se abalienarier,

S i quidem reperire possit, quoid os sublinat.P h i . Metis quidem nunquam fiet.S t j . S i sapies quidem. —

Lepide hercle de agro ego hunc senem deterrui: N a m qui vivam us nihil estj s i illum am iserit.

P ai. Redeo ad let Lesbonice.L e s . D ic sodes m ihi,

Quid hic loculus tecum ?P a i. Quid censes? H om o esi:

Foli fieri liberj verum, quod detj non habet.L e s .E t ego esse locuples* v e ru m n eq u id q u a m volo.

S T J .L ic i tu m , s i velles: n u n c , q u o m n ih il est, n o n licet.L e s . Quid tecum, Stasime?S t j. D e istoc, quod d ix ti m odo,

S i ante voluisses, essesj nunc sero cupis.r u i .D e dote m ecum conveniri n il potestj

Quod tibi lubetj lute agito cum nato meoj N unc tuam sororem filio posco meoj Quae res bene vorlal! — Quid nunc? etiam con­

sulis?L es. Quid islic? quando ita vis, d i bene vortan l! spon­

deo.P a i. N unquam edepol quoiquam tam exspectatus filius

N atus, quam est illud Spondeo natum mihi.

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Sta.

F il.Sta.

F il.Sta.

F il.Les.F il.

Les.Sta.

Les.Sta.

F il.

Les.

F i l .

E il ricettacolo delle miserie. Volete voi altro? ogni malanno che voi immaginassi quivi lo tro ­vereste. Ma voi guardate dal farne motto a lui, o ad altri eh’ io vi ho avvertito di questo.Me I’ hai detto in confessione e "basta.Anche costui vorria liberarsene, se pur trovasse

.a chi fischiarla.Mio non sarà giammai.Se pur avete senno. — Bravamente ho messo io nell’ ossa a questo vecchio un buon carpiccio di paura per questo fondo; imperciocché se esso va perduto, non abbiam altro che ci tenga in vita. Vengo a te, o Lesbonico.Dimmi: e che ti ha sussurato costui?Che vuoi abbiami detto? Egli è uomo, e’ vorria, divenir libero, ma non ha quattrini da spendere. Ed io di venir ricco ma io fo un castello in aria. • E sì potrebbe se lo volessi, ma perchè nulla ora avete voi, è impossibile.Che borbotti o Stasimo?Questo, che poco fa detto avete. Se prima voi lo avessi voluto, lo sareste; ma adesso che è tardi ve ne sentite la voglia.Con me non si può fare alcuna intelligenza della dota; col mio figliuolo tu fa conforme ti piace,lo ora ti cerco la sorella per lui, e Dio ne pro­speri. — Che di’ tu? ancora vi -mastichi sopra? E che devo fare? da che tu vuoi così, che così sia: Dio ne prosperi! te la prometto.Non inai venne bambolo tanto desiderato ad uomo, quanto questa parola « te la prometto, » venne al figliuol aiio.

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S tj. D i fortunabunt voslr* ton sili«. f a i . I la volo. —

I haCj Lesbonice, mecum, ul coram nupliis Dies constituatur. Eadem haec confirmabimus.

L es.Sedj S ta jim e, a l i bue ad m eam sororem ad Calli-c lem:

DiCj hoc negoti quomodo actum est . . .S t j. Ibilur.L es. E t gra tu la tor m eae sorori.S t j . , Scilicet.L es. Die C allidi, m i ut convenat . . .S t j . Quin tu i m odo!JjES.De dote u t videat, sine dole haud dare . . .S t j . I modo!L es. N am certum est, me sine dote haud dare . . .S t j . Quin tu i modo!L es. Neque enim illi dam no unquam esse pa tiar . . . S t j . A b i modo!L es. Meam neglegentiam , Slasim e . . .S t j. I m odo!L e s. N equ t

Jeq tiom videiur, quin, quod peccarim . . .S t j . I m odo!LES.Pvtissum um m ih i id obsil.S t j . 1 m odo/L s s . O pater,

E n unquam adspiciam te?S t j. I m odo! i m odo! i m odo!L s s Tute islue cura, quod ego ju ssi. J a m hic ero.

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mSta. Darà bene Iddio a* vostri consigli.

F il, Cosi io voglio. — Vien qua, Lesbonico, con me

perchè determiniamo di presenza il giorno alle

nozze. Ad un tempo confermeremo questo negozio.

Les, Deh, o Stasimo, va da mia sorella in casa Cai*

liete e dille come sia la faccenda.

Sta. Si andrà.

Les. E rallegrati con esso lei.

StA. Sì.

Les. Di* a "Callide venga a trovarm i . . .

Sta. Perchè non andate voi?

Les. Che guardi egli per la dota: che pensi si abbia a fore .. •

Sta. Andate!

Les. Io ho fermo che senza dota . . .

Sta. Ma itevene!

Les. Che non perm etterò mai che a suo danno . . .

Sta. Andate!

Les. La mia negligenza, o Stasimo . . .

Sta. Fate presto!

Les. Perchè se ho fallato, non credo . . .

Sta. F ate presto!

Les. Questo duoimi sopra tutto.

Sta. Andate!

Les. 0 padre, che non ti vegga io mai?

Sta. Andate! Sbrattate! Spicciatevi!

Le*. Tu pensa a quanto ho detto. Ornai io sarè qui.

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S t j. Tandem inpelravi, ahiret. D i vostram fidem/Edepol re gesta pessume gestam probe,Siquidem ager nobis salvos est. E tsi adm odum Jn ambiguo «st etiam nunc, quid de hac re fu al. Sed si alienatur, actum est de collo meot Gestandus peregre clypeus, galea, sarcina/Ecfugiet ex urbe, ubi erunt factae nuptiae;Ib it istac aliquo in m a xu m a m m alam crucem Latrocinatum , aut in A sia m , aut in Ciliciam.Ibo huc, quo m i im peratum est, etsi odi hanc do­

m um ,Postquam hic exlurhat nos ex noslris aedibus.

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Sta. Lode a Dio! ei sé l’ ha fatta. — Oh dei la vostra fede! . . . Poffar il mondo! con un brutto fischio10 ho fatta una buona caccia se pur salvo ci resta11 fondo. Eppur la cosa trovasi ancora in tentenne, perchè sono tu tto ra incerto. Ah s’ ei scappa io sono fritto della zucca. Io dovrò cercar il mondo portando scudi, elmi, fagotti. Piglierà il puleggio dalla città appena saranno fatte le nozze, andrà al diavolo via di qua a far il ladro in Asia o in Cilicia. Correrò ora dove mi ha detto, avvegnacchè io ab­bia in odio questa casa, sendovi vi ha dentro co­lui chc m’ ha dato lo sfratto.

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ACTUS III.SC E N A 1.

Cj l l i c l e s , S t j s i m v s .

C j l .Quomodo tu is tu c , S lasim e, dixli?S t j . N ostrum herilem filium

Lesbonicum suam sororem despondisse. H oc modo. Cj l .Q u oì hom in i despondit?S t j . L y sitelij Philtonis fìlio,

S ine dote.Cj l . S ine dote ille illam in tantas divitias dabit ?

N on credibile dicis.S t j. A l tute edepol nullus creduas.

S i hoc non credis, ego credidero . . .Cj l . Quid?S t j , Me nihili pendere.Cj l . Q uam dudum istuc, aut ubi aclum est?S t j . Eloco hic anle ostiu m t

Tarn m odo, inquit (%) Praenestinus.Cj l . T an lon ’ in re perdita,

Q uam in re salva, Lesbonicus faclus est fruga lio r? S t j . Alque quidem ipsus ultro venit Phillo oratum filio. C jz.F lag itium quidem hercle fiet, n isi dos dabitur vir­

gini.Postrem o edepol islam ego rem ad me attinere in­

tellego.Ibo ad meum castigatorem , atque ab eo consilium

pelam.

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ATTO III

SCENA I.

Callicle, S u sin o .

Cal. In qual modo mi racconti, una tal cosa, o Stasimo?Sta. Che Lesbonico figliuolo del nostro padrone ha pro­

messa la sorella. In questo modo.Cal. E a chi 1’ ha impromessa egli?Sta. A Lisitele nato da Filtone, e senza dota.Cal. Senza dota la porrà egli in tante ricchezze? questa

non me la bevo io.Sta. E voi non istate a beveria, sa non la credete voi,

la crederò io . . .Cal. E che?S t a . Che n o n n e fo c a so .

Cal. E quando avvenne questo, dove si fece tale ac­cordo?

Sta. Qui sopra la porta: pur ora, come cantano quei da Preneste.

Cal. E Lesbonico s 'è fatto massajo adesso che è ridotto in spada e cappa, più di quello ch’era un dì quando avea salvo ogni suo avere?

Sta. Venne lo stesso Filtone a cercarla pel figlio.Cal. Gli è un to rto marcio il non dar quattrino di dota

a questa putta. Ma io veggo, questo è affar mio, andrò dal mio ammonitore, e cercherò consiglio d$ lui.

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S t j .P ropetnoduTtìj quid illic festinet, sentio et suboletmihi:

Ut agro evortat Lesbonicum , quando evorlit aedi-bus.

O here Charmide, quam absenti hic tua res distra­hitur tibi/

Ulinam te redisse salvom videam, ut inimicos tuos Ulciscare! ut mihi, ut erga te fui et sum, referas

gratiam !Nimius difficile est reperiri amicum ita, ut nomen

cluetjQuoi tilam quom rem credideris, sine omni cura

dormias.Sed generum nostrum ire eccillum video cum ad-

fini suo.Nescio quid non satis inter eos convenit: celeri gradu Sunl uterque; illic reprehendit hunc priorem pallio. Haud aneuscheme adstitereunl! Hunc aliquantum ab­

scessero:Est lubido orationem audire duorum adfinium.

SCENA II.

L r SITE les, L esboxicus, S tasihus.

L r s . Sta eloco! noli advorsari, neque te occultassis mihi! L es. Potin’, ut me ire, quo profectus sum, sinas?L y s. S i in rem tuae,

Lesbonice, esse videatur gloriae, aut famae, sinam. L e s. Quod est facillumum, facis.L r s . Quid id est?

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Sta. Presso a poco seuto io 1’ odore del dove egli in -

cammini; per cacciar Lesboniéo da quel poderetto,

dappoiché 1’ ha fatto raschiar fuori di casa. 0 pa-

dron Carmide, come nella tua assenza ti si manda,

a male la roba! Dio volesse che io ti vedessi tor­

n a r salvo, e a pigliar vendetta de' tuoi nimici, a

ringraziar me di quello che fui e sono presso di

te. È pur la diffidi cosa il ritrovare tale amico

conforme lo vuole il nome, a cui appena com- '

messo il tuo, tu ne possa dormir tranquillo.

Ma ve’ che viene il nostro genero col suo parente,

io non so in che essi non si trovino: corrono

ambidue come pazzi; togli costui, afferrò il primo

pel mantello, e’ si son fermi con non troppo bel

garbo? mi tirerò un po’ in qua, ho gran voglia di

sentir parole che si hanno i due parenti.

SCENA II.

L is it e l e , L esb o n ic o, Stasim o.

Lis. Sta lì, non volgermi le spalle, nè ti nasconder da me

Les. E non puoi tu lasciarmi ire dove moveva io?

Lis. Mai sì, a Lesbonico, purché la mi sembri cosa

utile a te, alla tua gloria, e al tuo buon nome.

Les. Tu fai cosa facilissima.

Lis. E qual è ? '

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L es. è tn ic o injuriam ..L r s . Neque m eum est, neque facere didici.L es. Indoctus quam docle facis!

Quid faceret j t i qu it docuisset te, ut sic odio ettesm ihi?

Q ui bene tim u la t facere m ihi te, m a le facis, m aleconsulit?

L rs.E gone? .L es. T u nae/L r s , Qui m ale facio?Lbs. Quod ego noloj id quom facit.Lrs. Tuae re. bene contulere cupio.L bs. Tun‘ m i es m elior quam egomet m i?

S a t sapio j salit, in rem quae tin t m eam , ego con­spicio mihi.

L r s . A n id u t saperet u t qui beneficium, benevolentem,repudies?

L es.N u llum beneficium esse duco id, quod, quoi facias,non placet.

Scio ego et senlio ipse, quid agam , nec modo se of­ficium m igrat,

N ec tuis depellor diclis, quin rum ori serviam.L r s . Quid ais? nam retineri nequeo, quin dicam ea, quae

promeres.Itane tandem .lib i majores fa m a m tradiderunt lui, Ut virtute eorum anteporla per fiagitium perderes, Atque honoris posterorum tuorum ut vendax fieres? Tibi palerque avosque facilem fecit et p lanam viam A d quaerundum honorem j tu fecisti, u t difficilis

foret,Culpa m a xu m a el desidia luisque stultis moribus.

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L es. Torto all’ amico.L is. Non è del mio costume, nè quésta cosa ho lo im­

parata mai.Les. £ come ne se’ maestro senza essere ito a scuola!

che faresti mai; se alcuno ti avesse insegnato, a frastornarm i cotanto? Tu infingendoti di voler il mio bene, vuoi il mio male e mi dài mali consigli?

Lis. Io?Les. T u!Lis. Son io che vuole il tuo male?Les. Volendo quelle cose che non voglio io.Lis. Io desidero il tuo bene..Les. Vuo' tu pensar meglio di me a 'c a s i miei? Io del

giudizio ne ho tanto che basta, e veggo bene ter­mine in che mi trovo.

Lis. Cre’ tu giudizio anche questo, il rinunziare a un benefizio, a una benevolenza?

Lesu I o porto opinione che sia un beneficio da cenci quando tu lo faccia a chi non lo ha in grado. So e conosco bene io quello che mi ho da fare, nè s’ò cambiato ora il dover mio, nè tanto potranno smuovermi le tue parole, eh’ io non faccia conto delle dicerie del popolo.

Lis. Che di’ tu? Io non so più tenermi dal non sciori­n arti quello che tu mi strappi per forza. Per questo eh! i tuoi maggiori t 'h a n n o lasciata la ri­putazione, perchè, quello che virtuosamente si era­no acquistato, tu avessi a mandare a traverso; ed avessi a far getto dell' onore de' tuoi posteri?Il padre e l’avo ti aprirono- una via facile e piana per cercarti buona fama, tu per converto te l'hai

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Praeoptavisti, am orem v iiiu li ut tuom praeponeresj N unc te hoc pacto credit posse obtegere erra ta? J h ,

non ita est!Cape, tis , virtutem an im o, et corde expelle desidiam

luo.Jn foro operam am icis da,- haud in lecto am icae,

ut solitus es.A lque agrum istum tibi relinqui ob eam rem enixe

expetojUt libi sil, qui le cornigere possis: ne om nino ino­

piamCives objectare possint tibi, quos tu inimicos habes.

L e s . Omnia ego istaec, quae dixisti, scio. Fel exsigna­vero,

Ut rem patriam et m ajorum m eum foedarim glo­riam .

Scibam , ut esse me decerci j facere non quibam miser: I ta ,vi Fenerit vicius, captus otio, in fraudem incidij E t libi nunc, proinde ac merere, sum m as habeo

gr alias.L r s . A t operam perire m éam sic, et te haec corde sper­

nere.Perpeti nequeoj simul me piget, pudere te parurtij E t postremo, nisi m» auscultas, alque hoc, ut dico,

facis jTute pone te latebis facile, ne inveniat te honorj Jn occulto jacebis, qnom te m axum e clarum voles. Pernovi equidem, Lesbonice, tuom adm odum impe­

ritum ingenium ;Scio, te sponle non luapte errasse, sed am orem libi Peclus ebscnrasse. Alque ipse am oris teneo omnis

vias.

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f a tu malagevole per colpa tua, vivendo scioperato, e alla pazzesca. Nuli’ altro stadio fa il tuo, che di m ettere 'innanzi alla virtù i grilli del tuo cer­vello. Dimmi, credi tu oca poter ricoprire in que­sto modo gli spropositi ' tuoi? Ah, non cosi! Fa luogo nell’animo tuo alla virtù e scaccia la pigri­zia dal tuo cuore. Attendi agli amici nel foro, e non in letto, conforme sei solito, all’ amica. P er questo, per questo io ti lascio questo fondo, affinchè tu abbi da poterti correggere, affinchè non ti possano rinfacciare la povertà que’ cittadini che ti sono ma­levoli.

L es. Queste cose, che dette mi hai, sapevamele già da buon tempo. Io porrò anche a libro come io abbia manomessa la riputazione de' miei antichi, e T avere del padre. Sapeva come essere dovea io,

' ma, sgraziato, non ho potuto farlo. Tinto dalla forza di Venere, e preso al ealappio dell’ozio son rimasto nella schiaccia; ed io, conforme sono i tuoi meriti, grande obbligo te ne ho.

Lis. Ma soffrire non posso che vada cosi a male 1’ opera mia, e che tu la disconosca proprio col cuore; e ad un tempo me ne spasima chè poca vergogna tu senta. In somma se tu non vuoi as­coltarmi, e fare non vuoi quello che ti dico, tu ti nasconderai facilmente perchè 1’ onore non ti ri­trovi, ma quando vorrai farti chiaro, tu stara i sempre dimenticato nella belletta. Ben so io, Lesbo­nico, come seJ poco pratico tu del mondo, so che di tua volontà fallato non hai, ma che fu l’amore il qua­le ti ha abbujato il petto. Tutte io le conosco le

Vol. IV. P la ut. 49

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I ta am or est, balista ut jacilur: nil sic celere est,neque volatj

A lque is mores hom inum moros et morosos ecficit: M inus placet,, mage quod suadeturj quod dissuade­

tur, placet., Quom inopia est, cupias j quando ejus copia esi,

tum non velis;Ille, qui aspellit, is conpellitj ille, qui consuadet, velat. In sanum est m alum indu hospitium devorti ad Cu­

pidinem.Sed te m oneo , hoc etiam atque etiam ut reputes,

quid facere expetas. S i istucj ut conari facis indicium , tuom incendes

genus.T um igitur libi aquae erit cupido, genus qui restin­

guas tuom.A l qui erit? — S i nactus: proinde ut corde am an­

tes sunt cati,N e scintillam quidem relinques, genus qui congli­

scat tuom.L es. Facile est inventu: datur ignis, tametsi ab inimicis

petas.Sed tu , objurgans me a peccatis, rapis deteriorem

in viam:. M eam libi vis dem sororem sine dole. Hoc non conventi3 Me qui abusus tan tam sum rem patriam , porro in

divitiisEsse agrumque habere, egere illam autem: ut me­

rito me oderit.N um quam alienis gravis erit, qui suis se concinnat

levem.Sicut d ixi, faciam . Nolo te ja c ta ri diutius.

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vie dell’ amore. Egli è così fatto, è come una saetta che scocca dalla balestra, nulla cosa è così ra tta , nulla cosa è così presta a volare. Egli cambia i costumi, fa 1’ uomo bisbetico e lunatico tanto che non sa adattarsi a quante persuasioni che gli si facciano, e s'appiglia sempre a quello donde Io si sconforta. Se non hai quello che vuoi te ne muori; abbialo, che ti fa noja. Chi vuol tenere un inna­morato gli dà una spinta: vuoi proibirgli una cosa? esortalo a farla. Insomma è una disgrazia assai gran­de m ettere il piè nella casa di Cupidine. Ma io ti avverto, discorri ben sopra a quello che tu vuoi: perchè se ti appigli a quel partito , che di pren­dere tanto ti sforzi, tu mandi a fuoco e fiamma la tua casa. Vorrai 1’ acqua per smorzare l ’ in­cendio, ma che ne verrà? — Se la trovi; sono così bacelloni gli innamorati, tan ta ne verserai, da non lasciarvi poi una scintilla la quale radumi la tua casa.

Les. Si fa presto a trovarla, del fuoco ne danno an­che i nemici: ma tu col farmi questa bella ram - manzina, mi tiri sopra la strada più brutta volendo che ti dii la sorella senza dota. Questo non è della convenienza mia, che io, dopo aver fatto co­tanto scialo della roba paterna, mi trovi ancora a- giato di un fondo, e che essa la si vegga con la sola vita, perchè meritamente la mi abbia in odio. Non sarà mai grave agli altri chi fa leggiero sè per i suoi. Io son fermo a quello che ho detto, non mi rompere d’ avvantaggio il capo.

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L r s . Tanto m elim i, te sororis causa egestatem exsequi, M que eum agrum me habere, quam te, tua qui to­

leres m oenia?L es. Nolo ego, m ih i te tam prospicere, qui m eam ege-

statem levesjSedj ut inops in fam is ne sim: ne m i hanc fa m a m

differant,Me germ anam m eam sororem in coneubinalum tibi Sic sine dote dedisse, mage quam in m atrim onium , Quis m e inprobior perhibeatur esse? Haec famige­

ratioTe honestet, m e autem conlutulet, - si sine dote du­

xeris.T ibi sit em olum entum honoris; m ihi, quod objectent,

siet.L r s . Quid? te dictatorem censes fore, s i abs te agrum

acceperim?L bs. Neque volo neque postulo neque censeo: verum ta­

menJs honos est hom ini pudico, meminisse offlcium suom,

L r s , Scio equidem te* anim atus ut sis; video, subolel,sentio:

Jd agis, ut, ubi adflnitalem inter nos nostram ad-strinxerisj

J lq u e eum agrum dederis, nec quidquam hic libisil, qui vilam colas,

Ecfngias ex urbe inunis, profugus pa triam deserast Cognatos, adflnitalem , amicos, factis nuptiis.Mea opera hinc proterritum te meaque avaritia au­

tument.Id me caiimissurunij ut patiar fieri, ne an im um in­

duxeris:.

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Lisi. È ti par cosa da savio, il voler tu essere pitocco* per amor della sirocchia, e che io abbia quel fon­do pel quale tu provvedi a tuoi bisogni?

Le». Non voglio che tu badi tanto a tornii dalla mise-' seria, quanto che poterò e infame ntin sia: che non Ali gridino dietro averti io data una sorella car- fiale senza dota, perchè la ti servisse più da con­cubina che da móglie. Chi più scellerato si direbbe? di me? Queste vóci farebbero più bella la (Ha fa­tua, ma ben più d’assai disonorevole la mia; se tu te! la menassi Senza dota. Tu sfaresti portato in cielo* io cacciato nel fango.

Lis. E che? pensi forse di Venir dittatore se da te io» ricevo questo fondo?

Les. Nè lo voglio, niè lo cerco, nè ciò mi Venne in capo» mai; ma qùesto è 1’ Onore del dabben tomo, ri­cordarsi 11 suo dovere.

L«f. So io bene còsa che tu rumitfi: Veggo, ri’ ho già sentore, ne son già Chiarito: a questo hai tu l’animo» rivolto; appena fatto questo parentado fra noiy e che tu, ceduto il podere, cosa al mondo noni avrai dà vivere, fuggirai dalla città senza bisco ttoy profugo lascierai la patria, i cognati, i parenti, gli amici appena celebrate le ntfzzie. Alzerebbero laf voce che io per la mia avarizia ti ho sbandeggia-' to di qua. Che faccia io questo o che lo permet­ta, non portalo in cuore.

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S t a . Non enim possum, quin exclamem: Euge! Euge, L y ­sileles suaXiv!

Facile palmam habesj hic vicius. Ficit tua comoe­dia. —

Ilie agit magis ex argumento el versus meliores fa ­cit.

Etiam ob stultitiam tuam te lueris? Multam abo­mina.

L es. Quid tibi interpellatio aut concilium huc accessioest?

S t j . Eodem pacto, quo hu c accessi, abscessero.L es. I hac mecum domum,

Lysileles: ibi de istis rebus plura fabulabimur.L r s . Nihil ego in occulto agere soleo. Meus ut animust,

eloquar:S i mihi tua soror, ut ego aequom censeo, ita nuptum

dalurSine dote, neque tu hinc abilurus, quod meum erit,

id erit tuom jSin aliter animatus es, bene quod agas, eveniat tibi: Ego amicus tibi nunquam ero alio pacto. Sic senten­

tia est.S t j . Abiit hercle ille. Ecquid audis, Lysileles? J^go le volo.

Hic quoque abiit. Stasime, restas solus. Quid ego nuncagam,

N isi uti sarcinam constringam et clypeum ad dorsumadeommodem,

Soccis fulmentas suppingi jubeam? Non sisti polest, Fideo caculam militarem me fulurum haud longius.

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Non posso più, è forza eh’ io gridi: viva, evviva!

Lisitele! all’ antica, facilmente hai la vittoria; que­

st’ uomo è vinto! la tua commedia ha avuta la palma.

— Costui sta meglio coll’ argomento e i suoi versi

son passati a miglior staccio. E ancora dopo tanta

sciocchezza vi guatate voi? Schifate la multa.

Che è questo interrompere, che hai qui a fare in

questo senato?

Con que’ piedi che ci venni cogli stessi men’ andrò.

Yien meco in casa, Lisitile: ivi parleremo di que­

sto più alla distesa.

Le cose mie non le faccio mai all’ Oscuro: dirotti

mente che è la mia, se mi si dà, conforme io la

penso, la tua sorella senza dota in moglie, e tu

non ti allontanerai, quello che sarà mio, sarà tuo:

ma se la pensi altramcnti, che Dio bene ti dia. Perì

altro modo io non ti sarò mai amico. Questa è

la mia sentenza.

Ei raschiò via davvero. Avete orecchi, o Lisitele?

io vi voglio. Anche questi se 1’ ha cólta. Solo tu

sci, o Stasimo. Che devo io fare adesso, se non

mettermi le bisaccie al collo e acconciarmi dopo

le spalle uno scudo, e farmi inferrar di chio­

di i zoccoli? Qua non si può fermar altro; la. veg­

go in atìa la sorte mia, io presto mi tramuterò

in bagaglion militare, appena che il padrone si inet-

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f t aliquem ad rcgcm in saginam lierus se con j exit jmeus:

Credo ad summos bellatores acrcm — fugitorem foret Et capturum spolia ibi — ■' lunij qui hero adver­

sus venerit jEgomet a u te m q u o m extemplo arcum m i et pha­

retram sumserojCassidem in caputa — dormibo placide in taberna-

culo.j4d forum ibo: nudius sexlus quoi talentum mutuom Ledij reposcam: ut habeam, mecum quod feram ,

viaticum.

SC EN A III.

M e g a r o n i d e Sj Ca l l i c l e s .

M e g . Ut mihi rem narras. Callide*3 nullo modo Pole fieri prorsus, quin dos delur virgini.

C a l . Namque hercle lionesle fieri ferme non potest,Ut eam perpetiar ire in matrimonium Sine dole, quom ejus rem penes me habeam domi.

M eg. Paranda dos domi est, nisi expectare visj Ut eam sine dote frater nuptum conlocet,

. Post adeas tute Philtonem, et dolem dare Te ei dicas: facere id ejus ob amicitiam patris. Verum hoc ego vereor, ne istaec pollicitatio Te in crimen populo ponat atque infamiam.Non temere dicant te benignum virgini:Datam libi dolem, ei quam dares, ejus a patrej E x ea le largitori, neque ita, ut sit data,

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terà a far lardo sulla coppa alle spalle di qualche re. Io credo che tra gran soldati ei sarà un valoroso — Marcosfila, e che farà bottino — chiunque si affronterà col mio padrone. Io poi ap­pena che mi prenderò e 1' arco e la faretra, col- 1’ elmo in testa — dormirò saporito nella tenda. J^ndrò in piazza e mi farò dare in dietro quei talento che ho prestato sei giorni fa, per ayere la scorta nel viaggio.

SCENA III.

Megarohide, Callicle.

Meo. Stante la eosa che tu mi racconti, o Callicle, in niun modo si paò causare dal dotar questa giovine.

Cal. Ne in fè di valent' uomo posso io condurmi one­stamente lasciandola ire a marito senza dota, avendo in poter mio, e in mia casa il suo avere.

Meg. Deesi preparare in casa la dota, se non vuoi a - spettare che il fratello la dia in isposa senza il corredo, fa duopo che tu vada a Filtone, e dirgli che una dota tu gli dài, e che Io fai per 1’ ami­cizia che tu avevi al padre. Ma temo io che cotesta profferta non la ti ponga nelle dicerie e nelle infamazioni del popolo. Diranno che non per nulla tu fosti cortese a questa putta, che da suo padre ti fu data la dota da risegnarle, che d’ essa fai il largo con lei, ma che non ce la

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Columem ‘te sistere illi, et detraxe autument.Nunc si opperiri vis adventum Charmidis,P E R L O N G U M E S T : H U I C D U C E N D I I N T E R E A A B S C E S -

— S E R I T

LU B ID O : A T Q U E E A C O N D IC IO H U I C P R I M A R I J E S T ( 9 ) .

Cal. eadem omnia istaec veniunt in mentem mihi.M e g . Fide, si hoc utibile magis atque in rem deputas,

Ut adeas Lesbonicum edoctum, ut res se habet.Cal. Ut ego nunc adulescenti thesaurum indicem

Indomito, pleno amoris ac lasciviae?Minume, minume hercle vero! nam certo scio Locum quoque illum omnem, ubi situst, come­

derit:Quem fodere metuo, sonitum ne ille exaudiat,Ne ipsam rem indaget, dotem dare si dixerim.

M eg. Quo pacto ergo igitur?Ca l. Clam dos depromi potest,

Dum occasio ei re reperiaturj inierim *•J b amico amicod alicunde argentum rogem

MEG.Potin est ab amico amicod alicunde exorari?Ca l. ' Potest.Meg. Gerrae! nae tu illud verbum actutum inveneris:

« Mihi quidem hercle non estj quod dem mutuom. » Cal. Malum hercle (iO) — ut verum dicas, quam ut des

mutuom.M eg. Sed vide consilium, si placet.Cal. Quid consili est?Meg.S citum, ut ego opinor, consilium inveni.Cal. Quid est?

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Cal.Me g .

Cal.

Meg.C a l.

Meg.Cal.Meg.

Cal.

Meg.Cal.Meg.

Cal.

dèi intera conforme la ti venne mandata, ma uh pizzico. Ora se tu vuoi aspettare 1’ arrivo di Car- mide è un giulebbe un po’ troppo lungo: a costui frattanto passeria questa voglia di donna, e que­sto patto costui pone innanzi a tutto.Queste tutte cose veggole anch’ io.Guarda se questo saria miglior partito, avvertire Lesbonico come sia la faccenda.E io dovrò insegnar un tesoro ad un giovane senza freno, innamorato, appettitoso? mai no, per la vita mia, mai nò farò io cotestol io son chiaro; egli si magneria anche la terra che lo ricopre. Io tremo di scavarlo, che egli non ne senta il tintinnio,io tremo che egli non ne venga all' acqua chiara, s’ io dico che son per dare la dota.E come farai tu adunque?Si potrà di cheto sbrucar la dota, quando si pa­rerà buona occasione di farlo. Intanto cercheròio da qualche amico cordiale questo denaro.E si può trovar davvero da qualche amico?Si può.Baje all’ affé di Dio! troveresti subito pronta questa parola; » io non ho quattrini da dare a prestito. » Un canchero — se vuoi dire il vero, piuttosto che tu dii a mutuo.Ma ascolta questo avviso, se ti garba.Qual è?A parer mio ho proprio trovato un tratto da scaltro.Mei dici adunque?

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M eg . Homo conducatur aliquis jam quantum potest Ignota facie, quae non visitata sit,Quasi sit peregrinus.

Càl. Quid is scit facere postea?Meo. Is homo exornetur graphice in peregrinum tnoduntj

Quasi ad adulescentem a patre ex Seleucia Fenialj salutem ei nuntiet verbis palrisj Illum bene gerere et valere et vivere,E t eum rediturum actutum. Ferat epistolas Duhsj eas nos consignemust quasi sint a patret

Cal. Falsidicum confidentem/ — Quid tum postea?Meg. Det alleram illice, alteram dicat libi

Dare sese velle . . .Cal. . Perge porro dicere.M eg. Seque aurum ferre virgini dotem a patre

Dicat; patremque id jussisse aurum tibi dare.Tenes jam ? w

Ca l. Propemodo, atque ausculto perlubens.M eg. Tum tu igitur demum id adulescenti aurum dabitj

Ubi erit locata virgo in matrimonium . . .Cj l . Scite hercle sane hoc/M eg. Ubi thesaurum ecfoderis,

Suspicionem ab aduleseente amoveris:Censebit aurum esse a patre adlalum tibi}Tu de thesauro sumes.

Cj l . Satis scite et probe/Quamquam hoc me aetatis sycophantari pudet.Sed epistolas quando obsignatas adferet.S i quidem obsignatas attulerit epistolast Nonne arbitraris tum adulescentem anuli Paterni signum novisse?

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Cal.Meg.

Cal,Meg.

Cal.Meg,

Cal.Meg.

Cal.Meg.

Cal.

Piglisi più tosto che si può a nolito un uomo co­me che sia, di faccia nuova., e mai non veduta, come che sia un forastiero.E che ne faremo dopo?Si rivesta costui bene alla forastiera come se venisse da Seleucia per parte del padre al giovane, e lo saluti a nome del padre, dicagli che fa buone fac­cende, e che è sano, e che vive, e che non tarde­rà molto a tornare. Porti due lettere, noi le si­gilleremo, quasi che dal padre capitassero.0 faccia tosta di bugiardo! — e dopo?L’ una la dia a colui, l’ altra dica egli volerla da­re a te . . ,Di’ pur franco.Aggiungendo che dal padre gli venne data la do­ta per la putta: e che il padre ha dato ordine di consegnarti questi quattrini. M’ ha’ tu inteso?Un pochetto, e t’ ascolto volentieri.Allora dunque tu metterai quest’ oro in mano dei giovane, appena sarà maritata la fanciulla.. . Bene, oh il sottil consìglio!Quando avrai scavato il tesoro. Tu leverai ogni sospetto dal giovine, ei crederà ti sia portato l’oro dal padre, e tu lo torrai dal marsupio. . Benissimo! bravissimo! avvegnacchè le ciurmerie mi facciano vergogna a questa mia età. Ma quando egli recherà le lettere col suggello, se pur le ha da portare sigillate, non se’ tu dJ avviso che il gio» vane riconosca 1’ anello del padre?

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Meg. Eliam lu laces?Sexcentae ad eam rem causae possimi conligi: Quem habivti, perdidit: alium post fed i novom. Jam si obsignatas non feret, dici hoc potest,Apud portitorem eas resignatas sibi Inspectasque esse. In hujusmodi negotio Diem sermone terere, segnities mera est:Quamvis sermones possunt longi texier.Abi ad thesaurum ja m confesiim clanculum, Servos, ancillas amove; alque audin’i

Cj l . Quid est?M eg. Uxorem ipsam quoque hanc rem uti celes face:

N am pol lacere nunquam quidquam est quodqueat.

• Quid nwtiC stas? quin te hinc amoves et demoves? Aperi; deprome inde, auri ad hanc rem quod sal est; Continuo operilo denuoj sed clanculum,Sicut praecepi; cunctos exturba aedibus.

Cjl . Ila faciam.M eg. ■ A t enim nimis longo sermone utimur:

Diem conficimus.CJl. Quid jam?M sg. Properato est opus.

Nihil est, de signo quod vereare. Me vide.■ Lepida illa est causa, nt conmemoravi, dicere,

Apud portitores esse inspectas. Denique ' Diei tempus non vides? quid illune pulas ~ Natura illa atqne ingenio? Jamdndum ebriust:

Quidvis probari poterit. Tum, quod m axum um esi, Adferre, non pelere hic se dicel.

Cj l . Jam sat est.

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Meg. E non la finisci? seicento scuse ~ gli si possono scoccolare in mano: quello che ebbe l ’ha perduto; se ne ha fatto fare un nuovo. Se ei non le porta sigillata, si può questo recare in campo, che le ha risegnate al dazzino e che le ha aperte. Per­dere il giorno in queste ciarumelle, è proprio una pazzia: avvegnacchè delle storie se ne possano far molte. Tu catellon catelloni va al tesoro, ma ser­ve e fanti non ti sieno d' attorno. M’ ascolti?

C a l. Parla.Meg. Di questa cosa tieni al bujo mogli a t a, chè non

v’ ha cosa eh’ ella possa tenere nel gozzo. Che fai tu qui adesso? Che non sbratti, che non muovi la polvere? Va tira fuori quanto basta, copri il re­sto, ma chiuso chiuso; conforme ti ho detto. Man­da ogni persona fuori di casa.

Cal. Farò così.Meg. Ma noi infilziam troppo ciarle, e perdiamo il

tempo.Cal. Così?Meg. Bisogna far presto. Del sigillo non aver paura: fi­

dati in me. La è gaja la frottola che t’ ho contato, d ’ essere vedute da gabellieri. In somma non ba­di a che ora noi siamo? non conosci tu 1’ umore della bestia? Ormai egli sarà alticcio, gli si può far bere ogni cosa. Infine, quello che più monta, e' dirà costui che ne porta, e non che ne cerca.

Cal. Ornai basta.

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Mec.Ego sycophantam Jam conduco de foro, Epistolasque etiam consignabo duas,Eurnque ad adulescentem meditatum probe Huc mittant.

Cj l . Eo ego igilwr intro ad officium meum.Tu istuc age actum reddas.

M eg. Nugax sum , nisi/

<5>-§<0Sa 0>§-<S>

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Meo. Io condurrò di piazza qualche ciurmadore, e gli darò due lettere, e ben imburiassato lo manderò al giovane.

Cal. £ io andrò pel mio mestiere, tu dammi fatto questo.

Meg. Dimmi bajonc; se non!

Vol. IV. Plaut. 20

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ACTUS 1F.SC E N A I

Ca r m i d e s.

Salsipotenti et multipotenti Jovis fra tri aelherei,fi \ J Neptuno LaetuSj lubens, laudes ago gratas gratis(jue habeo

et fluctibus salsis, Quos penes omnis boni potestas mei quidem fuil et

fneae vitae,Quom suis me ex locis in patriam urbem incolumem

reducem faciunt.Atque tibi ego, Neptune, ante alios deos gratis ago

et habeo summas: N am te omnes saeeomque severumque avidis moribus

conmemorant,Spurcificum, inmanem, intolerandum, vesanum, ego

contra opera expertus: N am pol placido te et clementi meo usque modo ut

voluij usus in alto. Alque hanc gloriam tuam ante auribus nobilem ja m

acceperam ad homines: Pauperibus te parcere solitum, divites damnare al­

que domare.A b i, laudo: scis ordine, ut aequom esi, tractare ho­

mines. Hoc dis dignum est: Semper mendicis modici sint.Fidus fuisti; infidum esse iterant: nam absque foret

te, sal scio in alio Distraxissent disque tulissent tuisalelliles miserum foede

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ATTO IV.

SCENA I.

Carnide.

Al Signor del mare potentissimo fratello dell’etereo Gio­

ve, a Nettuno io contento e pieno di buona voglia do

grazie senza novero; e con lui a questi cavalloni in

salsa, i quali, potendo far di me e della mìa roba

quello che più loro frullasse, mi hanno fuori delle

case loro mandato sano e salvo nella città e pa­

tria mia. Ma a te, o Nettuno, sopra ogni altro Id­

dio sono obbligato non poco: imperciocché, sebbene

non abbiavi persona la quale non ti dia del cru­

dele, del barbaro, dell’ avido, dello sporco, del-

T implacato, del furioso, io ho provato altramente

conciossiachè, conforme appunto voleva, ti ebbi

placido e tranquillo tutto a modo mio. Queste

glorie tue io le Aveva udite dire a parecchi: cioè

che avevi il costume di perdonare a ' poverelli, c

condannare e fiaccare i ricchi. Egregiamente! te ne

do lode, sai trattar gli uomini conforme si con­

viene, così devono fare gli Iddìi: esser discreti coi

meschini. Tu mi fosti fedele, e li vanno gridando in-

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Me bonaque omnia ilem una mecum passim caeru­leos per campos:

Ila ja m quasi canes, haud secus, n avem circumsta­bant turbines

Fenlidj imbres fiuctusque alque procellae infensaefrangere malum,

Ruere antennas, scindere vela, n i tua propitia foretpraesto

Pax. — Apage a me, sisf dehinc certum est me otio dare: satis partum habeo,

Quibus aerumnis deluctavi, filio dum divitias quaero. Sed quis hic est, qui in plateam ingreditur cum novo

ornatu specieque? Sim itu pol, quamquam domum cupio, hic opperiar,

quam gerat rem.

SC EN A II.

SrCOPHJNTJj CuJMMIDES.

Src .H uic ego die nomen Trinumo faciam: nam egooperam meam

Tribus numis hodie locavi ad artis nugatorias. Advenio ex Seleucia ( \2 ) Macedonia, Asia atque

Arabia ,Quas ego neque oculis, nec pedibus unquam usurpavi

meis.Fiden‘, egestas quid negoti dat homini misero mali, Qui ego nunc subigor, trium numorum causa ut

has epistolasDicam ab eo homine me accepisse, quem ego, qui

sil homo, nescio,Neque novit neque, natus necne is fuerit, id solide scio?

Page 307: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

fido! Ben mi so io che, se tu non ci fossi state*i tuoi scarafaldoni avrebbero dispersa e sfracellata ogni mia roba, e me insieme per quei campi az­zurri. EUi mi stavano alle costole come cani; e tur» bini, e venti, e pioggie, e marosi, e procelle terri­bili s’ affollavano intorno alla nave, per fracassar T albero, romper le sarte., squarciar le vele: e saria certo avvenuto, se presto tu non eri col tuo soc­corso. — Vanne, vanne da me! adesso mi son de­liberato di passarmela in quiete: so ben io con che traverse ebbi a fare, per far ricco il figlio! Ma qual uomo è questo che viene in piazza vestito in quella forma così strana? Avvegnacchè muoja di trovarmi in casa, tuttavia aspetterò costui per ve­dere che si faccia.

SCENA IL

CIURMADORE, CaRKIDE.

Citi, to chiamerò questa giornata il Trinumnto-, im­perciocché io quest’ oggi mi sono dato in affitto per appiccar sonagli. Io arrivo dalla Macedonia Seleucia, dall'Asia e dall’Arabia, cui io nè vidi mai, nè toccai co’ miei piedi. Guarda Povertà, affanni che tu doni a uom sgraziato! guarda che devo far io cagion tua; portar per tre danari queste let­tere, e spacciarmi d’averle ricevute da uomo che io non so faccia che si abbia. E son ben certo io •'egli sia anche vissuto sotto la luna?

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Ch j .P oI hic quidem fungino genere esi, cupite se totumtegit.

IUurica facies videtur hominis, eo ornatu advenit. Src .lU e, qui me conduxit, ubi conduxit, abduxit do-

m um jQuae voluit, m ihi dixit, docuit el praemonstravit

prius,Quomodo quidque agerem. Nunc adeo si quid ego

addidero amplius, Eo conductor melius de me nugas conciliaverit.Ut illic me exornavit, ita sum ornalus. Argentum

hoc facit.Ip st ornamenta a chorago haec sumstl suo periculo. Nunc ego si potero ornamentis hominem circum­

ducere,Dabo operam, ut me ipsum plane sycophantam

senliat.Cua. Quam mage specio, minus placet m i haec hominis

facies. Mira sunt, N i illic homo est aut dormitator, aut sector zona­

rius.Loca contemplat, circumspectat sese alque aedis no-

scilal:Credo edepol, quo nox furatum veniatj speculatur

loca.Magis lubido est observare, quid agalj ei re operam

dabo.S rc .H a s regiones demonstravit m i ille conductor meusj

Apud illas aedis sistendae m ihi sunt sycophantiae. Foris pullabo.

Page 309: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

suCar. Per la fè di Dio costui è fatto come il fungo; il

capo gli fu d’ ombrello al corpo; egli sembra

d* Illiria, essendo vestito a quella foggia.

Ciò. Chi mi prese a nolito, fatto il contratto, tirommi a

casa sua; e’ m’ ha indettato, e m 'h a detto e ri­

badito quanto voleva egli che facessi io. Se v’ag­

giungerò del mio per sopra mercato, sarà meglio

servito di bubbole chi le prese a cottimo. Io son

concio di que’panni che egli mi ha messo in dosso.

Ecco forza del denaro. A suo rischio egli prese

queste bazziche dal corago: ed io, se potrò fi­

schiargliela anche di queste, farò si eh’ ei died pro­

prio, che il girellajo fu sempre il mio vecchio me­

stiere.

Car. Quanto più guatolo, tanto meno questo mostac­

cio mi garba. Saria da porsi in sul libro dei prodigi

se costui non è un fora muri o un tagliaborse. Ei

spia i luoghi, si guarda attorno, segna le case: io

credo ch’ei stia badando a che luqgo dovrà assag­

giare il muro stanotte; mi si cresce la voglia di a-

docchiarlo; vo' proprio stare attento.

Ciu. Chi in’ ha tolto in affitto insegnommi questo quar­

tiere; le mie trappole devono assediar quella casa.

Batterò alla porta.

Page 310: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

CnA. A d nostras aedis hic quidem habet rec­tam viam:

Hercle opinor m i advenienti hac noctu agitandumest vigilias.

S rc . Aperite hoc, aperite! Heus, ecqui his foribus tute­lam gerit?

Cha. Quid, adulescens j quaeris? quid vis? quid istas pullas? S r c . Heusi senex,

Census quom sum, (ÌZ ) juratori recte rationem dedi. Lesbonicum hic adulescentem quaero, in his regio­

nibusUbi habita, et item alterum ad islanc capitis albi­

tudinem;Calliclem ajebat vocari, qui has m ihi dedit episto­

las.Cha. Meum gnatum hic quidem Lesbonicum quaerit et

amicum meum,Quoi ego liberosque, bonaque conmendavi, Calliclem.

S rc .F a c me si scis certiorent, hice homines ubi habitent,pater.

Cuj.Quid eos quaeris, aut qui es, aut unde es, aut undeadvenis?

S r c . Mulla simul rogitas; nescio quid expediam potissu-mum.

S i unum quidquid singillatim et placide perconta-bere,

Et meum nomen mea facta et itinera ego faxoscias.

Cha.F aciam ila, ut vis. Agedum, nomen prim um tuommemora mihi.

Src.M agnum facinus incipissis petere.

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Car. E’ vassene difilato a casa nostra: io son chiaro,

abbenchè torni d’ un viaggio m’ è forza di passar

qua desto la notte.

Ciu. Aprite quest’uscio, aprite! Ehi! chi è guardiano a

questa casa?

Cab. Che cerchi, o giovane? che vuoi? Che bussare è

questo tuo?

Ciu. Vecchio, mio, ho dato conto già di me al mae-

strato. Io cerco un cotal giovine Lesbonico, e dove

abiti in questa contrada; e un altro che ha la

porrata in capo, come te, detto Callicle, conforme

asseverommi 1’ uomo che mi die' queste lettere.

Cab. Costui cerca del mio figliuolo e del mio amico Cal»

licle, a cui ho raccomandati i figli, e ogni mio

avere.

Ciu. Dimmi, o padre, se lo sai, se proprio questa è la

casa ove stiano costoro.

Cab. A qual uopo li vuoi? Chi se’ tu, di che luogo sei,

donde vieni?

Ciu. Quante cose in un fiato: io non so quale spac­

ciare per la prima. Se cheto, e una per fiata me

ne dimanderai., li dirò e il nome mio, e i (atti

miei, e il cammino che ho fatto.

Car. Farò conforme tu vuoi. Su adunque, dimmi prima

il nome tuo.

Cro. Troppo gran cosa tu cominci a chiedermi.

Page 312: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Cb a . Quid ita?S yc . Quia, pater,

Ante lucem ■ si ire occipias a meo primo nomine, Concubium sit noctis, priusquam ad ( i A) postumum

perveneris.Cb a. Opus facto est viatico ad tuom nom en, u t tu prae­

dicas.S re .E st minusculum alterum, quasi vasculum vinarium. Cb a. Hic homo solide sycophanta est. Quid ais tu, adu­

lescens?Syc . Quid, est?Cb a .E loquere, isti tibi quid homines debent, quos tu quae­

ritas?S rc . Pater istius adulescentis dedit has duas m i epistolas

Lesbonici. Is m i est amicus.Cb a . Teneo hunc mamifeslarium/

Me sibi epistolas dedisse dicitt Ludam hominemprobet

S r c .I ta ut occepi, animum advorlas, dicam.Cb a . Dabo operam tibi.S rc .H anc me jussit Lesbonico gnato suo, dare epistolam

E t item hanc alleram suo amico Callicli jussit dare. Cb a . Mihi quoque edepol, quom hic nugatur, contra nu­

gari lubet. —Ubi ipse erat?

S rc . Bene rem gerebat.Cb a . Ergo ubi?S r c . In Seleucia.Cb a . Ab ipson’ istas accepisti?Syc. E manibus dedit m i ipse t n manus.

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Car. Perche?Ciu. Perchè, padre mio, se incominci all’alba a correre

dal mio primo nome, si farà, notte folta anzi che tu sii giunto all’ ultimo.

Car. Se la è come la conti, fa uopo che tu forniscail tuo nome di biscotto.

Ciu. Ma ne ho un altro più piccolo, come ttn carafetto d i T ino .

Car. Oh ciurmador schiumato che si è questi! Che mi narri, o giovane?

Ciò. Che hai?Car. E sì, che vuoi tu da costoro che tu cerchi?Cro. Il padre di questo giovane Lèsbonico diemml dn£

lettere. Egli mi è amico.Car. li* ho còlta al lardo la gatta! E' dice eh’ io gli ho

date le lettere. Vo’ proprio torlo in barca a «nodd mio.

Ciu. Sì, conforme che ho detto, se vorrai ascoltatoli,' andrò avanti.

Car. E io ti ascolterò.Ciò. Egli mi ha ordinato di dare questa lettera a Le—

sbonico suo figliuolo, e di consegnar quest’ altra al > suo amico Callide.

Car. Alla fè mia, come ò vero che sono vivo, io to’ pro­prio far costui pifaro dì montagna. — E dov’ erasi egli?

Ciu. Faceva bene i fatti suoi.Car. Ma dove?Ciu. In Seleucia.Car. E 1’ hai avute da lui?Ciu. Egli anima e corpo me le mise in mano.

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316Cb a . Qua facie est homo?S r c . Sesquipede quidem ett quam te longior.Cb a . Haeret haec res, t i quidem ego absens tum quam

praesens longior.Novisim hominem?

S r c . Ridicule rogitas, quocum una cibumCapere soleo.

Cb a . Quod ei est nomen?S r c . Quod edepol homini probo.Caj.Lubet audiret .S r c . Illi, edepol — illi — illi — M i — V at

misero m ihitCb a . Quid esi negoti?S r c . Devoravi nomen inprudens modo.Cb a .Non placet, qui amicos intra dentit concluse* habet. S r c . Atque etiam modo vortabatur m i in labrit primo­

ribus.Cba. Temperi huic hodie anteveni.S r c . Teneor tnunufesto m iterfCsA.Jam ne commentatus nomen?S r c . • Deum me hercle atque hominum pudettCaA.Videt homo, ut hominem noverit.S r c . Tamquam me. Fieri istuc tolet:

*Quod manu teneas alque oculit videas, id desideres. L ite r if reconminiscar. C est principium nomini.

Cba. Callias?S r c . Non est.Cb a . Callippus?S r c . Non est.Cb a . Callidemides?Syc . Non est.

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Car. E che persona ha quest’ uomo?Ciu. Egli è un piede e mezzo più lungo di te.Car. Questa è toada. Se pur io non mi fo più lungo

lontano che presente. Lo conosci tu quest’ uomo? Ciu. Faresti ridere i porri., io mangio con lui alla stessa

mensa.Car. Ma qual è il nome suo?Ciu. Quello di un uomo onesto.Car. Vorrei sentirlo:Ciu. Egli — egli — egli — egli — ahi diserto a me! Car. Che combibbia è questa?Ciu. Sciocco che fui! ne ho tranghiottito il non«^Car. Potenzinterra! non mi garba affé il tenere gli amici

chiusi tra denti.Ciu. E pur ora e’ passeggiavami sul fior delle labbra. Car. Gli mi son proprio fatto innanzi a tempo.Ciu. Io son colto in trappola:Car. E’ tei se ' ringangherato il nome?Ciu. Io ho vergogna di tutti e Dei e uomini.Car. Guarda, buon uomo, come lo conosci costui.Ciu. Tanto come me. La non è cosa nuova questa, di

cercarsi l’ asino quando gli si sta a bisdosso. Me nc farò sovvenire col raccozzarne le lettere; egli inco­mincia per C.

Car. Callia?Ciu. No.Car. Calippo?Ciu. Nemmeno.Cal. Callidemidc?Ciu. Mai no.

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318Cba. Callinicus?S r c . Non est.Cb a . Callimarthus?S rc . Nihil agisj

Neque adeo edepol floccifacio, qtiando egomet me­m ini mihi.

Cb a. A l ettim multi Lesbonici suvt hir: nisi nomett patris DiceSj non monstrare istos possum hominess quos

tu quaeritas.Quod ad exemplum est, conjectura si reperire pos­

sumus?S r c . hoc exemplum est: Ch . . .Cb a . A n Chares? an Charidemus? ntim (i§ J

Charmides?S rc .H e m , istuc erit! Qui istum di perdant!Cu a . D ixi ego jamdtidum libi:

Bene le polius dicere aequom esi homini amicotquam male.

S rc .S a tin ’ intra labra atque dentit latuit vir m inum ipreti?

Cb a .Ne male loquere absenti amico.S r c . Quid ergo ille ignavissumus

M ihi latitabat? 'Cu a. S i adpellassesj respondisset, nomine.

Sed ipse ubi est?S r c . Pol illum reliqui ( \6 ) ad Rhadamam

in Cecropia insula. Cb a . Qui homo est me insipientior, qui ipse egomet ubi

sim , quaeritem?Sed nil disconducit huic re?

S rc . v Quid ais?

Page 317: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Car. Callinico?

Ciu. Neppure.

Car. Callimarco?

Ciu. ' Peschiamo a secco: e io ne fo caso come d’ un

fiocco rotto: basta che il mio nome., lo sappia io.

Car. Ma in questo paese i Lesbonici sono molti: se

non mi di’ il nome del padre, io non ti posso

insegnare gli uomini che tu cerchi, su che andare

sarebbe? guardiamo se possiam trovarlo per con

gettura.

Ciu., Egli è su questo andare: Ch. . . .

Car. Chare forse? Charidemo? Charmide?

Ciu. Oh, to’, è proprio questo! il fistolo che lo colga!

Car. E non te lo detto fin da principio io, che d ' un

amico tu dèi parlar bene, piuttosto che male?

Ciu. Non è forse stato buona pezza questo moccicone

celato tra le labbra ed i denti?

Car. Non augurar male a un amico assente.

Ciu. E perchè adunque mi stava nascosto quel baderlo?

Car. Se tu I’ avessi chiamato, e t ’avria risposto col suo

nome. Ma dov’ è egli?

Ciu. Io l’ ho lasciato con Radama nell’ isola di Ce­

crope.

Car. Chi è più scimunito di me cercando luogo ove io

mi sia? nulla di manco non si fa per nulla.

Ciu. Che dici tu?

Page 318: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Cha. Quiit hoc te rogo:Quos locos adisti?

S r c . Nimium mirimodis mirabiles.Cb a . Lubet audire, nisi molestum est.S rc . Quin discupto dicere.

Omnium prim um in Pontum advecti ad Arabiamterram sumus.

C h a .E I i Oj an etiam Arabia est in Ponto?S rc . Est. Non illOj ubi tus gignitur;

Sed ubi absinthium fit atque (VI) cunila gallinacea CaA.Nimium graphicum hunc nugatorem/ Sed ego sum

insipientior,Qui egomet, unde redeam, hunc rogitem, quae ego

sciam alque hic nesciatj Nisi quia iubet experirij quo evasurvsl denique.Quid tibi nomen est, adulescens?

S rc . P ar, id est nomen mihiHoc cotidianum est.

Cha. Edepol nomen nvgatorium/Quasi dicas, si quid crediderim tibi: pax periisse

eloco.Sed quid ais? quo inde isli porro?

S r c . S i animum advorlas eloquar:A d caput amnisj quod de coelo exoritur sub solio

Jovis.Ch a . Sub solio Jovis?S rc . Ita dico.Cha. E coelo?S yc. Alque e medio quidem.Cb a . EhOj an etiam in coelum escendisti?S rc . Im o horiola advecti sumus

Usque aqua advorsa per amnem.

Page 319: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Car.Ciu.Car.Ciu.

Car.Ciu.

Car.

Ciu.

Car.

Ciu.

Car.Ciu.Car.Ciu.Car.Ciu.

Vorrei mo’ saper io in che luogo se’ stato.Io luoghi più che mirabili.Piacerebbemi che li dicessi se non t ' è carico.Ed io ne ho una voglia marcia. Anzi ogni cosa, giunti in Ponto, abbiamo afferrato in Arabia.Oh, 1' Arabia è forse nel Ponto?Certo: ma non quella da cui ci arriva l’ incenso, ma quella che produce 1’ assenzio e l’origano per cucinare i polli.Costui è un burlon cimato! ma bestia che sono io, dimando a costui onde mi torni, quasi che non sapessi ove abbia le mani, se pur non lo è per sapere dove ei la voglia finire. Come ti chiami, buon giovane.Buonanno è il mio nome, e questo è quello di tutti i dì.Anche il nome è di uom bergolo! Tu mi dici con questo che se alcuno ti dà qual cosa in mano, buon anno! la è perduta, ma che hai d 'altro? dove ti se’ fitto via di !à?Dirottelo se m’ ascolti. Al capo di quel fiume che bulica dal eielo sotto il soglio di Giove.

»Sotto il soglio di Giove?Sotto il soglio di Giove.Dal cielo?E proprio dal mezzo.Ma dimmi se’ tu salito in ciclo?E vi siamo andati in un burchiello vogando sem­pre a ritroso.

Vol. IV. Plaut. 21

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Ch j . Eho, an eliam vidisli Jovem?S r c . Callide. lu e ad viUam ajebant servi» depromptum

cibum.Cba. Manta.S r c . Porro . . .Cba. Deinde porro nolo quidquam praedices.S r c . Ego vero hercle.Cba. S i es molestus? nam pudicum neminem

Se praebere oportet, qui abs terra ad coelum per­venerit?

S rc . Dimittam, ut te velle video. Sed monstra hosce ho­mines mihi,

Quos ego quaero, quibus me oportet has deferre e-pistolas.

C uj.Q uid ais tu nunc? si forte ipsum Charmidem con­spexeris

Illum, quem istas tibi dedisse conmemoras epistolas, Norisne hominem?

S r c . Nae tu me edepol arbitrare beluam.Qui quidem non novisse possim, quicttm aetatem

exegerim.A n illic tam esset stultus, qui m ihi mille num um

crederetPhilippeum, quod me aurum deferre jussit ad gna­

tum suomAtque ad amicum Calliclem, quoi rem aibat man­

dasse hic suam?M ihi concrederet, n i med illic el ego illune nossem

adprobe?CaA.Enimvero ego nunc sycophantae huic sycophantari

volo:

Page 321: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Cab. Ohe, hai visto Giove?

Ciu. Volpe! Diceano esser egli ito in villa a ti*ar fuori

il cibo pe’ servi.

Car. Aspetta.

Ciu. Poi . . .

Car. Poi non ne voglio altre.

Ciu. E io sì.

Car. Se’ tu forse un fradiciume? Chi può dirsi uoin pu­

dico se dalla terra è spiccato in cielo?

Ciu. Io lascierotti, dappoiché vedo averne tu cotanta

voglia. Ma insegnami questa gente che cerco, a

cui io devo consegnar coteste lettere.

Car. E che mi direstu? Se vedessi Io stesso Carmidc

in carne, lui che tu di’ averti date queste lettere,

lo conosceresti 1’ uomo?

Ciu. Affé affé tu mi hai proprio per un di questi

decimoni, perchè non debba a conoscere colui col

quale io ho vissa la vita. Cre’ tu sia egli così

bestia per darmi un migliajo di filippi da portar­

si al figliuol suo, e all’ amico Callide, a cui dice­

va egli di aver affidati gli affari suoi? Si doveva

egli fidare di me, se noi non ci conoscessimo ben ai

panni già da buon tempo?

Car. Se Dio mi dà vita, in verità che io v’ ho davvero

mandare questo uccellatore all’uccellatojo: se posso

Page 322: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

S i hunc possum illo mille mimum Philippeo circum-ducere,

Quod sibi me dedisse dixil. Quem ego, qui sit homonescio,

Neque oculis ante hunc diem unquam vidi, eine au­rum crederem,

Quoi, si capitis res sit, numum nunquam credamplumbeum?

Aggrediundust hic homo m i astu. — Heus, Pax, tetribus verbis volo.

S rc . Vel trecentis.Cha. Haben’ tu aurum id, quod accepisti a

Charmide?S r c . Alque etiam Philippeum, numeratum illius in mensa

manu,Mille numum.

Cha. Nempe ab ipso id accepisti Charmide?Src .M irum , quin ab avo ejus aut proavo acciperem, qui

sunt mortui. Cua. Adulescens j cedodum istuc aurum mihi.S rc . Quod ego aurum dem tibi?CjtA.Quod te a me accepisse fassus.S rc . Abs te accepisse?Cua. Ita loquor.S rc . Quis tu homo es?Cha. Qui mille numum libi dedi, ego sum Char-

mides.*Src.Neque edepol lu is es, neque hodie is unquam eris,

huic auro quidem. A bij sis, nugator: nugari nugatori postulas.

Cha. Charmides ego sum.

Page 323: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

vo’ gran ci r gl i i mille filippi, cui dice egli avergliio dati. Chi sia quest’ uomo io non lo so, n& prima di questo dì io non lo vidi mai. £ a lui io Ito da dare del beiroro,- a lui che se andasse anche la mia testa, non gli commetterei nemmeno un dana- juzzo di piombo? Bisogna che l’assalti io quest’uomo, ma cou astuzia. — Buonanno, per tre parole io ti voglio.

Ciu. Anche per trecento.Car. Hai tu allato quest’ oro, che Carmide ti ha

dato?Ciu. E oro di Filippi, son mille bei fiorini eh' io ebbi

dalle sue mani, mentre era a desco.Car. E te li ha proprio noverati Carmide?Ciu. Saria da strabiliarsene, se avuti avessi dall'avolo,

o dal bisavolo di lui, i quali non da poco tempo han battuta la capata.

Car. Buon giovane, dà questi quattrini a me.Ciu. Perchè devo darteli?Car. Perchè detto hai d’ averli avuti da me.Ciu. D’ averli avuti da te?Car. Certo.Ciu. Chi se’ tu?Car. Quel Carmide che ti ha dati i mille fiorini.Ciu. Mai no, come son vivo, tu se’ quello; nè oggi Io

sarai per Dio, molto meno a quest’ oro: vattene, bajone, tu vorresti menar 1’ oche a bere.

Car. Carmide son io.

Page 324: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

S rc . Nequidquam hercle es: nam nihil aurt fero.Nimis arguled obrepsisti in eapse occasiuncula: Postquam ego me aurum ferre dixi, post tu factus

CharmidesjPrius tu non eras, quam auri feci mentionem. N i­

hil agis.Proin’ lu te itidem rursum, ut Chat'midatus es, re­

charmida.Cha. Quis ego sum igitur, si quidem is non sum, qui

sum?S rc . Quid id ad me attinet?

Dum ille ne sis, quem esse ego nolo, sis mea causaquilubet.

Prius non is eras, qui erasj nunc is factus, qui tumnon eras.

Cha. Age, si quid agis.S rc . Quid ego agam?Cb a . A urum redde.S r c . Dormitas, senex.Cha. Fassus j Charmidem dedisse aurum tibi?S rc . Scriptum quidem.Cua. Properas, an non, propere abire actutum ab his

regionibus jDormitator, priusquam ego hic te jubeo mulcari

male?S r c . Quamobrem?Cha. Quia illune, quem ementitus es, ego sum

ipsus Charmides,Quem libi epistolas dedisse ajebas.

S rc . Eho, quaeso, an tu is es?Cha.Is enimvero sum.

Page 325: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Ciu. E se lo sei, lo sci per nulla: quattrini io non ne

porto. Ve’ bella gratola che tu avevi trovata per

aggirarmi. Appena ho detto io che avea dell'oro

nella scarsella, di botto Carmide ti se' fatto. Tu

non lo eri prima eh’ io facessi parola di quest’oro.

Canti a* sordi. Da che ti se* ora carminato va a

farti scarminare.

Car. E chi son io adunque, se non son chi sono?

Ciu. E che me ne monta? purché non sii quello cui

io non voglio, statti per amor mio quello che

più ti piace. Prima non eri quello che se', ora ti sei

composto colui che in prima non eri.

Car. Se hai qualcosa, spicciati.

Ciu. Che devo far io?

Car. Dammi i quattrini.

Ciu. Dormi al fuoco, buon vecchio.

Car. E non hai detto Carmide averti dato I’ oro?

Ciu. Si, ma colla penna.

Car. Te ne vai o no alla m alora via di questa con­

trada, ribaldonaccio, prima eh* io non ti fracassi

1’ ossa?

Ciu. Perchè?

Car. Perchè quel Carmide son io, che smentito tu hai,

cui addittavi aver date queste lettere.

Ciu. E sei tu quello?

Car. Io son quello.

Page 326: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

S rc . A in' tu tandem? is ipsusne ex?Ctjj. Ajo. ■S rc . Ipsus es?C’h j. Ipsus, inquamj Charmides sum.S rc . Ergo ipsusne es?Cha. Jpsissumus.

Abiti’ bine ab oculis?S ic . Enimvero serio quoniam advenis: —

Vapulabis arbitratu meo el novorum aedilium.Ciu. Al etiam maledicis?S rc . Im o, salvos quandoquidem advenis.

D i le perdant, si le floccifacio, an periisses prius! Ego ob hanc operam argentum accepi; te macio in­

fortunio.Cru.Sed enim . . .S rc . Enim qui sis, qui non sis, floccum non inlerduim.

Jbo ad illune j renuntiabo, qui mihi iris numos dedit: Ut scias, se perdidisse. Ego abeo. Male vive et vale. Quod di le omnes advenientem peregre perdant, Char­

mides.Cha. Postquam ille hinc abiit, postloquendi libere

Videtur tempus venisse alque occasio.Jamdudum meum ille pectus pungit aculeus,Quid illi negoli fuerit ante aedis meas:N am epistola illa m ihi concenturiat metum In corde, e illud mille numum quam rem agat. Nunquam edepol temere tinnii linlinnabulumj Nisi qui illud trada t aut movet, mulum est, lacet. Sed quis.hic est, qui huc in plateam cursuram in­

cipit?Lnbet observare quid agat. Huc concessero.

Page 327: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Ciu. Ma sei proprio tu? sei proprio tu quello?Car. Si.Cic. Proprio?Car. Proprio ti dico, io son quello.Ciu. Dunque sei proprio lo stesso?Car. Stessissimo. E non te ne vai via ancora?Ciu. Ma tu ci arrivi troppo tardi. — Ne toccherai delle

grosse a mia voglia e de’ nuovi edili.Car. E pur duri in parlar male?Ciu. Anzi Dio ti salvi; dacché ci sei. Il fistolo che ti colga

se ti curo più d’ una fava, perchè non sci ito al diavolo prima! Per questo io fui preso a nolito con del buon danaro: la rovella che ti scanni.

Car. Ma pure . . .Ciu. Ma pure chi tu sii, o chi non sii, me ne monta

un frullo: andrò a colui, e riferirò questo a chi diemmi i tre danari, affinchè sappia che i .quat­trini sono iti alla grascia. Io men vado: che tu possa sempre essere il più mal arrivato del mondo! Ogni Dio ti mandi un canchero qualunque volta ci arrivi, o Carmide.

Car. Dappoi che egli se n’ è ito, e’ mi pare sia venutoil tempo e 1’ agio di parlar più franco. Ornai io mi sento un caprifico nella corata di qual ne­gozio abbia colui sopra la mia porta: quella let­tera la mi chiama a stormo tutte le paure in cuore, vorrei pur io sapere che si vogliano quelle mille monete. Non a caso suona il campanello: se alcun non lo sbatacchia, o io muove, e’ sta zitto più d’un mutolo. Ma chi è 1’ uomo che viene a gambe di­rottamente qui in piazza? Vo’ proprio osservare che si faccia. M' apposterò qua.

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S tasimws, Charmi des.

S ta. Slasime, fac te propere celerem! recipe te ad domi­num domum ,

N e tubilo metus exoriatur tcapulit stultitia tua! Adde gradum! adproperal jam dudum factum est,

quom abisti domo. Cave, sis tibi; ne bubuli in te collabi crebri ere­

pent,S i aberis ab heri quaestione! ne destiteris currere! Ecce hominem te, Stasime, nihUi! satin’ in thermo­

polioCondalium es oblitus, postquam thermopotas guttu-

rem?Recipe te, et recurre petere re recenti!

Ch j . Huic, quisquis est,Curculio est exercitor; is hunc hominem cursuram

docet.S t j . Quid, homo nihili? non pudet te? tribusne te pote­

rii»Memoriae esse oblitum? an vero, quia cum frugid

hominibus.Ibi bibisti, qui ab alieno facile cohiberent manus? Teruchus fuit, Cerconicus, Crinus, Cercobolus, Col-

labus,Oculicrepidae, cruricrepidae ferriteri, mastigiae. Inter eosne homines condalium te redipisci postulas, Quorum unus subripuit currenti cursori solum?

Ch j. Ita me di ament, graphicum furem!

Page 329: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

S tasim o, C arm ide.

Sta. Corri, corri, o Stasimo, quanto te n’ esce da piedi! corri a casa al tuo padrone affinchè di repente la tua melonaggine non la ti dia il malanno sulle schiene! metti presto l’ un piede innanzi all’ altro! egli è un anno che tu manchi di casa. Statti in guardia, che non spesseggi in sugli omeri lo scu­discio; e te ne verran molti addosso se consolata te la pigli, in cercando il padrone! esci, esci di bufa­lo! eccoti 1’ uomo, o bestia di Stasimo! E non ti basta che al bagno ti se’dimentico l ’anello quando ti bagnasti la gola? — torna, e di buon passo, or che la cosa è fresca!

Car. Chiunque sia costui egli imparò a correre da un tonchio: ei non si muove d’un pelo, e fa animo agli altri di correre.

Sta. Uh gnocco! Non te ne piglia vergogna? con tre pecheri ti va la memoria in fumo: forse perchè là hai trincato con tali dabben uomini che mai non metton mano in sull’ altrui? Erano quivi Te- ruco, Cerconico, Crino, Cercobulo, Collabo, pesca- gliocchi, marchiastinchi, limaferri, sacchi da botte. Tra coteste schiume vuoi tu riavere l’ anello? se 1’ un dessi raschiò quand’ era in ' sulla furia del correre la suola ad un corriere?

Car. Che Dio mi guardi! che cima di ladro!

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S ta. Quid ego, quod periti, pelar»,N isi etiam, laborem ad damnum adponam epithe­

cam insuper?Quin tu, quod periti, perisse ducis? Cape vorsoriaml Recipe te ad herum/

Cba. N on fugilivosl hic homo: conmeminii domi.S ta, Utinam veleres mores omnes, veteres parsimoniae,

M ajori hic honori polius essent, quam mores m ali! Cba. D i inmortales, basilica hic quidem facinora incep­

tat loqui!Felera quaerti/ Feltra amare hunc, more majorum,

scias.S ta. N am nunc more nihilum faciunt, quod licet, nisi

quod lubetjAm bitio ja m more sancta est, libera est a legibus j Scula jacere fugereque hostis more habent licentiam ,• Pelere honorem pro flagilio more fit.

Cb a . Morem im probum /S ta. Strenuos praelerbilare more fit.Cb a . Nequam quidem/S ta. Mores leges perduxerunt ja m in potestatem suam,

Mage qui sint obnoxiosae, quam — parentes liberis. Eae miserae etiam ad parietem sunt fixae clavis

ferreis,Ubi malos mores adfigi nimio fuerat aequius.

CBA.Lubet adire atque adpellare hunc,- verum auscultoperlubens,

E t metuo, si conpellabo, ne aliam rem occipiat loqui. S ta. Neque istis quidquam lege sanclum est. Leges m ori

serviunt;Mores autem rapere properant qua sacrum, qua pu­

blicum.

Page 331: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Sta. " Perchè cercherò io quello che già se n’ è ito, se pur io non vo’ col danno anche le beffe? quello che è perduto, è perduto, stattene certo! piglia la

. volta! ritorna al padron tuo.Car. Egli non è fuggiasco, l’ uomo si ricorda della

casa.Sta. Magari Dio, fossero qua in onore le costuma dei

vecchi, la frugalità antica, piuttosto che le tristizie d’ oggi !

Car. Poter di Dio, costui ora incomincia una predica! e’ cerca le cose antiche! conoscerai in costui un uomo, fatto all’ antica, che ama le cose de’ vecchi.

Sta. Oggidì v' ha questa usanza, quello che piace si fa lecito; ornai 1’ ambizione è cosa santa e franca dalle leggi; gettar lo scudo, pagar di calcagna il nemico è licenza d’ oggi, come chiedere gli onori in pago d’ un vitupero.

Car. Brutta usanza per Dio!Sta. Oggi la è moda il dimenticar gli uomini di valore.Car. Cattivo alle guagnele!Sta. 1 costumi di adesso hanno sotto i piedi le leggi,

e sono si rilassate come i padri sono ai loro fi­gliuoli. Le poverette stanno confitte ai muri sopra un chiodo di ferro, ove ben meglio di mille tanti stato saria appiccarvi i costumi malvagi.

Car. Vorrei affrontar quest’ uomo e parlarvi; ma pur anche volonlieri lo ascolto, e temo che se gli rompo in bocca 1’ uovo, egli non volti carta.

Sta. A costoro nulla cosa è santa per legge; le leggi servono alla moda, e la moda la si dibatte per rubar ogni cosa sacra e pubblica.

Page 332: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

C xj.H ercle istis malam rem magnam moribus dignumest dari/

S tj. Nonne hoc publice anim um advorti? N am id genushominum hominibus

Univorsis est advorsum atque omni populo male fa­cit:

Male fidem servando illis quoque abrogant etiam fi­dem,

Qui nil meriti: quippe ex eorum ingenio ingeniumhorum probant.

S i quis mutuom quid dederit, fit pro proprio per­ditum.

Quom repetas, inimicum amicum beneficio inveniasluo.

Màge si exigere cupias, duarum rerum exoritur op­tio:

Vel illud, quod credideris, perdas; vel illum amicumamiseris.

Hoc qui venerii m i in mentem, re ipsa conmonitusmodo . . .

Ch j. Meus est hic quidem Slasimus servos.S t j . Nam ego talentum mutuom

Quod dederam, talento inim icum m i emi, am icumvendidi.

Sed ego sum insipientior, qui rebus curem publicis Polius, quam, id quod proxumum est, meo tergo

tutelam geram.Eo domum.

Ch j . Heus tu adsla eloco/ audi, heus tu/S t j. N on sio.Ch j . A t ego le volo.

Page 333: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

C a r . E saria pur forza che a questi rei costumi ci si

desse un degno malanno!

Sta. E non saria questa una cosa a cui dovria prov­

vedere il pubblico? Imperciocché qviesta razza

d ' uomini è nemica di tutti, e dannosa a tutto il

genere umano: elli, mettendosi dopo le spalle la

buona fede, la fanno perdere. anche a que’ che

colpa non ne hanno, imperciocché da costoro

ognuno piglia a giudicare gli altri. Se alcuno dà cosa

a prestito, può dire che la non è più sua. Va a

richiederla, e troverai che l’amico pel tuo benefizio

nemico ti diventa. Fatti più calzante per averla,

e ti ritrovi in quest’ embrice, o di perdere

quanto hai prestato, o di non avere più 1’ amico.

Questo mi si volge ora pel capo, perchè la stessa

cosa mi ricorda ora . . .

C a r . Costui è il mio servo Stasimo.

Sta. Che io con quel talento che aveva dato a prestito

mi ho compero un nemico e un amico ho venduto,

ma sciocco che son io, pigliarmi briga delle cose

pubbliche piuttosto che trovar un riparo alle mie

spalle, il che più importa. Corro a casa.

Car. Ehi fermati là, ascolta, chi!

Sta. Mai no.

Car. E io ti voglio.

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536S tj. Quid, si egomet te velie nolo?Ch j. J h , nim ium , Slasime, saeviter!S t j . Emere melim i, quoi imperes.Ch j. Poi ego emi atque argentum dedij

Sed si non dicto audiens est, quid ego?S t j. Da magnum malum.Ch j. Bene mones: ita facere certus.S t j. N isi quidem es obnoxius.Ch j .S i bonus est, obnoxius sum; sin secus est, faciam

ut jubes.S t j. Quid id ad me allinet, bonisne servis lu utare an

m alis?Ch j. Quia boni malique in ea re pars tibi est.S t j. Partem alleram

Tibi permilloj illam alteram ad me, quod boni est,adponilo.

Ch j. S i meritus, flet. Sed respice ad me huc: ego sumCharmides.

S tj.H em, quis est, qui mentionem facit, homo, hominisoptumi?

Chj. Ipse homo optumm.S t j. Mare, terra, coelum, di, vostram fidem!

Satin’ ego oculis piane video? estne ipsus, an nonest? Is est!

Certe is est! is est profecto! O m i here exoplalissume, Salve!

Ch j. Salve, Slasime.S t j. Salvom le . . .Ch j. Scio et te credo tibi.

Sed omille aliaj hoc m ihi responde. Liberi quidagunt mei

Quos reliqui hic, filium alque filiam?>

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Sta. E che, se io noi voglio?Car. Pah, Stasimo, troppa burbanza!Sta. Se vuoi un che ti ascolti compralo.Car. .E 1’ ho compero per Dio, e l’ ho compero a for­

za d’ argento; ma se non mi obbedisce, che farò io?

Sta. Dàgli il malanno.Car. Buon avviso, così farò!Sta. Se pur non se' di cuor dolce.Car. Se dabbene egli è, io sono un mele; se no, farò

conforme al tuo consiglio.Sta. E che viene in tasca a me; sieno i tuoi servi o

buoni o tristi?Car. Perchè in questo tu pure hai una parte e di bene

e di male.Sta. Io ti dono la seconda, a me tu lascia 1’ altra , e

dammi quel bene che hai.Car. Se ti avvien per merito. Ma volgiti qua da me:

Carmide sono io.Sta. Ah! chi è l’ uomo che fa menzione di quest* uomo

dabbene?' Car. L* uom dabbene in persona.

Sta. Oh mare, oh terra, oh cielo, la fede vostra, o dei! travedo forse io? è lui o non è lui? E lui! è pro­prio lui anima e corpo: oh, padron mio desidera­tissimo, che Dio vi ajuli!

Car. Ajuti anche te, o Stasimo.Sta. Che salvo . . .Car. Lo so e te lo credo; m a lascia le altre cose; que­

sto rispondi a me: i figli miei che si fanno essi, quelli che ho lasciati qui il figliuolo e la figliuola?

Vol. IV. P ìau t. 22

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S ta. Fivonl, valent.Cha. Nempe ulerqne?S ta. Ulerque.Cha. D i me salvom el servalnm volunl,

Celera inlus oliose percontabor, quae volo.Eamus inlro; sequere.

S ta. Quo tu le agis?Cha. • Quonam, nisi domum?STA.IIiccine nos habitare censes?Cb a . Ubinam ego alibi censeam?S r j.J a m . . .Cha. Quid jam ?S ta. Non sunt nostrae aedes istae.Cha. Quid ego ex te audio?SrA.Fendidil tuos naius aedis . . .Cha. Perii!S ta, Praesentariis

■Argenti minis numeralis.Cb a. Quoi?S ta. Quadraginta.Cha. Occidi!

Quis eas emit?S ta. Collicies, quoi luam rem conmendaveras,

Js habitatum huc conmigravit, nosque exturbavitforas,

Cha. Ubi nunc filius meus habilal?S ta. H ic in hoc posticulo.Cha. Male disperii!S ta. Credidi, aegre tibi id, ubi audisses, fore.Cha. Ego miser minumis vehiculis sum per maria m a -

xum a

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Sta. ' Vivono, stanno bene.Cab. I / uno e 1’ altro?Sta. L’ uno e 1’ altro.Car. Salvo e felice mi vogliono gli iddii, ti dimanderò

il resto in casa e con quiete. Andiam dentro; se­guimi.

Sta. Dove correte voi?Car. In qual luogo, se non in casa?Sta. Credete voi sia questa la casa nostra?Car. £ quale altra crederò io che sia?Sta. Oggimai . . .Car. Che oggimai?Sta. Questa casa non lo è più.Car. Che ascolto io da te?Sta. Il figliuol vostro ha venduta la casa . . .Car. Io son disfatto!Sta. Ricevendone alla mano delle buone mine d! a r­

gento.Car. Quante?Sta. Quaranta.Car. Io son morto! e tehi l’ ha compera?Sta. Callide, a cui voi avevi raccomandate le cose vo­

stre: egli andò qua dentro, spazzandone fuora noi.

Car. Dove abita ora il figliuol mio?Sta. Qua dietro.Car. Io son rovinato!Sta. Ben mel sapeva io, che ar risaperlo, vi saria sen­

tilo ardere il cuore.Car. Ahi a me tristo, ho navicato m ari grandissimi so-

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Vectu» capitali periclo, per praedones plurimos Me servavi, salvos rediij nunc hic disperii miser Propter eosdem, quorum causa fui hac aetate exer­

citustA dim it anim am m i aegritudo: Slasime, tene mel

S t j . Visne aquamTibi petam?

CuJ.Res quom anim am agebat, tum esse obfusam oportuit.

SC E N A IV.

Cj l u c l e s , Cr j r m w r s , S t js im u s .

Cj l . Quid hoc hic clamoris audio ante aedis meas? Ch j .O Callicles, o Callicles, o Collicies,

Qualine amico mea conmendavi bona!Cj l ,P robo et fideli et fido et cum m a g n a fide.

Et salve et salvom te advenisse gaudem!Ch j. Credo omnia islaec, sid ita est, ut praedicas.

Sed qui iste est tuos ornatus?Cj l . Ego dicam tibi.

Thesaurum ecfodiebam intus dolem, filiae Tuae quae daretur. Sed narrabo intus tibi Et hoc et alia: sequere.

Cb j . Slasime!S t j . Hem!Ch j . Strenue

Curre in Piraeum, alque unum curriculum face. Videbis ja m illic navem, qua advecti sumus.Jubeto Sangarionem, quae imperaveram,Curare ut ecferanturj et tu ito simul.Solutum est portitori ja m portorium.

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pra piccole zattcrclle éon pericolo di perdermi, in mezzo a’iadri, e mi son salvato: torno qua, e qua mi veggo uccidere da coloro per 1' amor de’ quali a questi anni ho sopportato cotanti travagli. L’ af­fanno mi toglie l ' alito; ah, Stasimo; tiemmi fermo!

Sta. Volete voi deir acqua.Car. Allora abbisognava l’ acqua quando stremavasi il

fiato alla mia roba.

SCENA IV.

Ca l lic le, Carm ide, . S tasimo.

Cal. Che voci son queste che sento sopra Is mìa porta?

Car. 0 Callicle, ahi Callicle! deh Callicle, in carità a qual amico ho io commesse le cose mie?

Cal. Ad un uomo provato, fedele, pieno di lealtà e di buona fede. Allegromi in vederti arrivato salvo!

Car. Io credo che tutto questo sia conforme tu mel conti. Ma che vestito è questo tuo?

Cal. Dirottelo. Scavava il tesoro per la dota della tua figliuola. Ma ti racconterò dentro ogni cosa ed altre ancora. Viemmi dietro.

Ca r. Stasimo!Sta. Che avete?Car. Corri in un baleno, corri al porto. Là vedrai la

nave sulla quale noi siam venuti; ordina a San- garione sieno portate fuori le cose che avea dette, e tu vieni con lui. Al p«rtolano è già pagato il nolito.

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342S t j . Nihil est morai.C aj. Tu ambula! acttilum redi!S t j .IU ìc sum alque hic sum.Cj l . ,Sequere tu hac me inlro.Cb j . Sequor.S u .H ic meo hero amicus solus firmus restitit

Neque demutavit animum de firma fidej Hic unus, ul ego suspicor, servat fidem, Quanquam labores multos cepse censeo.

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Sta. Non mi terrebbero i ferri.Car. Va! to rna subito!Sta. Io sono già là e qui.Cal. Tu vien dentro da me.Car. Vengo- —Sta. È c c o il solo amico rimaso al mio padrone, egli

non si è mai cambiato, nè tentennò mai la sua costanza. Questo solo, a parer mio, serba la sua fede, quantunque io credo siasi pur egli recati addossoi b ru tti impacci,

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ACTUS VSCENA I.

Lrs ITE LES.

H ic homo est hominum omnium praecipuos, voluptati­bus gaudiisque antepotens:

Ita commodo, quae cupio, eveniuntj quod ago, ad-sequitur, subit, subsequitur:

Ita gaudiis gaudia suppeditant.Modo me Stasimus, Lesbonici servos, convenitj mihi

dixit,Suom herum 'peregre huc advenisse. N unc m i is

propere conveniundust: Ut, quae cum ejus filio egi, et re pater sit fundus

potior.Eo. Sed hae sonitu suo mihi moram obiciunt in ­

commode.

SCENA II.

CuJRMIDES, CJLLICLES, L rS IT E L E S .

Cb j . Neque fuit neque erit neque quenquam esse hominumin terra dum arbitror,

Quoi fides fidelitasque amicum erga aequiparel suom: Nam exaedificavisset me ex his aedibus adsque te

foret.

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ATTO Y.

Ecco

Car.

SCENA I.

L isitele.

1’ uomo che sta sopra tu tti gli uomini nella gioja

e ne' piaceri. Qualunque cosa imprenda io, qua­

lunque cosa io faccia, la mi vien giuso a seconda:

l’una allegrezza piove sopra l’altra. Pur ora io ho

visto Stasimo, servo di Lesbonico, e mi disse es­

sere qua tornato da’ suoi viaggi il padrone. Ora

io devo subito visitarlo, affinchè quelle cose, che

ho io trattate col figliuolo, piglino maggior pie­

de per la autorità del padre. Yado, ma questa

porta la mi è tocca fuor di tempo.

SCENA II.

C a r b id e, Ca llicle, L is it e l e .

Nè vi fu, nè vi sarà, nè vi è, io son chiaro, uo­

mo in terra, col quale si possa comparare la fe­

de e la fedeltà verso l’amico: imperciocché, se egli

non vi era, colui avria fatto portar i miei gra-

battoli fuori di casa.

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Cj l .S ì quid amicum erga bene feci aut consului fideli­ter,

Non videor meruisse laudem, culpa cùruissè arbi*troti

N am beneficium proprium homini, quoi datur, prae*sumserisj

Quod datum utendum, id reputandi copia est,quando velis.

C /u.Est ita, ut tu dicis. Sed ego hoc nequeo mivarisalis,

Eum sororem despondisse suam in tam fortem fa­miliam ,

Lysiteli quidem, Phillonis filio.L y s . Enim me nominat.Ch j . Fam iliam optumam occupavit.L rs . Quid ego cesso hos conloqui?

Sed maneam etiam, opinor: namque hoc commo­dum orditur loqui.

CaA.Vaht Cal. Quid est?Ch a. Oblitus intus dudum tibi sum dicere:

Modo m i advenienti nugator quidam occessit obviam, Nimis pergraphicus sycophantaj is mille numum se

aureumMeo datu libi ferre et gnato Lesbonico aibat meoj Quem ego nec qui esset, noram, neque eum ante

usquam conspecxi prius„Sed quid rides?

Cal. Meo adlegalu venit, quasi qui aurum mihiFerret abs te, quod darem tuae gnatae dolem: ut

filius

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C a l. Se ali’ amico io ho fatto alcun bene, c se con es­so lui mi diportai con lealtà, non veggo di meri* tarmi loda, ma soltanto di essere lontano da col­pa: imperciocché tu avrai già conosciuto per qual cagione si faccia beneficio all’uomo; non gli si fa un dono, ma Una prestanza, per ripeterlo dopo, se ne venisse-mestieri.

Car. Egli è come tu di'. Ma io vado fuori del seco* lo, di come eglj abbia potuto promettere la so­rella in una casa così potente, a Lisitele figliuolo di Filtone.

Lis. E ' parla di me.Car. Egli ha saputo intromettersi in una buona fa­

miglia.Lis. A che più indugio io di parlar con esso loro? Ma

aspetterò ancora, finché parmi che mi venga al balzo la palla.

Car. Vah!Cal. Che hai?Car. M’ era passata la memoria di narrarti una cosa.

Appena avea io messo piè in terra, mi si occorre davanti un cotal bigherajo, un ciurmadore, ma pro­prio di que’ trincati; e* spacciava ch’ io dati gli avea mille scudi da portarsi a Lesbonico mio fi­gliuolo: io non conoscea costui, nè prima d’ oggi mai non lo avea veduto. Ma che? sogghigni tu?

Cal. E’ venne per mio ordine: quasi che egli da tua parte mi portasse quell’ oro, da locarsi in dota alla tua figliuola, affinchè il fìgliuol tuo, quando

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Tuos, quando illi a me darem, esse adlatum id abste crederet,

Neu qui rem ipsam posset intellegere, thesaurumtuom

Me penes esse, atque a me lege populi patrium po­sceret.

Cb j . Scile edepoltCjl . Megaronides conmunis hoc meus et tuos

Benevolens conmentust.Cb j . Quin conlaudo consilium et probo.L r s . Quid ego ineptus, dum sermonem vereor interrumpere,

Solus sto, nec, quod conatus sum agere, ago? Ho­mines conloquar.

Cb j . Quis hic est, qui huc ad nos incedit?L r s . ’ Carmiden socerum suom

Lysiteles salutat.Cb a . D i dent tibi, Lysiteles, quae velis.Cjl . Non ego sum salute dignus?L r s . Im o salve, Callicles.

Hunc priorem aequom est me habere. Tunica pro­pior pallio est.

Cb j . Deos volo consilia vostra recta recte vortere.Filiam meam tibi desponsatam audio.

L r s . N isi tu nevis.Cb j . Imo haud nolo.L r s . Sponden‘ ergo tuam 'gnatam uxorem mihi?Cb j .S pondeo et mille auri Philippum dolis.L r s . Dolem nil moror.C b j . S i illa tibi placet, placenda dos quoque est, quam

dat tibi.Postremo hoc, quod vis, non duces, nisi illuc, quod

non vis, feres.

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io lo snocciolava a lei, si bevesse che m’ era sta­to mandato da te, acciò non pigliasse fumo da questo, che il tuo tesoro era appressò 'di me, e non mi chiedesse secondo la legge del popolo la parte del padre.

Car.* Ben provvisto!Cal. Anche Megaronide mio amico e tuo benevolo ha

gramolato in questa pasta.C ar. I o lo d o e piacemi questo avvisoLis. Moccolone che §ono, perchè temo rompere questo

dire? io sto qua come uno zugo, ne fo .quello che pur fare voleva io. Affronterò costóro.

Car. Chi è colui che v iene a noi?Lis. Lisitele saluta Carmide suo suocero.Car. Lisitele, che Dio ti dia quel bene che vuoi.Cal. E io non son degno d’ un saluto!Lis. Anzi di mille, o Callide: ma gli è debito che io abbia

costui in maggior conto. Ben sai, la camicia stringe più che la gonnella.

Car. Io prego Iddio che prosperi ogni vostro trattato, ho risaputo che ti fu impromessa la mia figliuola.

Lis. Se tu non se' contrario.Car. Mai no.Lis. È mi prometti la tua figliuola in moglie?Car. Te la prometto, e le assegno mille filippi di

dota.Lis. Non voglio dota.Car. Se la ti piace, t’ ha da piacere anche la dota, che

la ti porta. In fine non avrai tu quello che vuoi, se non togli quello che non ti garba.

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350Cj l . Jus hic orat.L r s . Inpctrabit tc advocato atque arbitro.

Istac lege filiam tuam sponden1 m i uxorem dari? Cb a . Spondeo.Cj l . Et ego spondeo item hoc.L r s . Oh, salvete, ad fines meilCb j . Alque edepol sunt res, quas propter tibi tamen su-

scensui.Cj l . Quid ego feci?Cu j. Metim eonntm pi quia perpessus filium.Cj l . Si id mea volunlale factum est, est quod m ihi su-

scenseas.Sed sine, me hoc abs te inpetrarej quod volo. .

Cb j . Quid id est?Cj l . Scies:

S i quid stulte fecit, ni co missa facias omnia.Quid caput quassas?'

Cb j . Cmcialur cor m i el meluo.Cj l . Qnidnam id est?Cb j . Quom ille ila est, ut esse nolo, id crucior; meluo,

si tibiDenegem, quod me oras, ne te erga me leviorem

pules.Miserum est, male promerita ( ni merita ) seni si

tilcisci non licei. — Non gravabor: faciam ila, ut vis.

Cj l . Probus es. Eo, ut illum evocem. —Aperite hoc, aperite propere, et Lesbonicum, si

domi estjForas vocale, ila subilum est, propere quod enm

conventum volo.

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Ga l. Costui parla giusto.Lis. L’ otterrà per tua intercessione e autorità. A que-»

sto patto mi consenti la tua figliuola in moglie?Cab. La consento.Cal. £ aneli’ io.Lis. Iddio vi ajuti, miei buoni parenti!Car. V’ ha una cosa, della quale son pròprio un poco

riversato con t«.Cal. Che male ho fatto io?Car. Hai permesso che mio figlio si gittasse la cavezza

al collo.Cal. Se cotesto avvenne di mia voglia, adiratene a tuo

grado. Ma lascia che io possa ottenere da te quello che voglio.

Car. Che hai?Cal. Dirottelo: se ha fatta qualche bessaggine, vo’ cb?

gliela perdoni. Ma perchè squassi il capo?Car. Doglia e timore mi tormenta.Cal. Che è questo?Car. Essendo egli come noi vorrei, quésto mi tor­

menta; temo poi che se io ti diniego quollo che mi cerchi, tu mi creda ingrato. È pur la gran disgrazia che non possano i vecchi ripagar il malfatto come sei merita. — Non vo' fare il duro, farò a modo tuo.

Cal, Se’ buon uomo. Io vado a chiamarlo fuori. — Aprite, aprile presto e se è in casa chiamatemi fuora subito Lesbonico, la è cosa di premura, non bisogna perder tempo.

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L e sb o it ic v Sj Ch a r m id e s , Ca l l ic l e s .

L e s . Quis homo tam tumultuoso sonitu me excivit foras? Cj l . Benevolens tuos atque amicus.L e s . Saline salve? die mihi.CAL.Recte. Tuom patrem rediisse salvom peregre, gaudeo. L e s . Quis id ait?Cj l . Ego.L es. Tun’ vidisti?Cjl. ■ Et tute item videas licet.L es.O paler, pater m i, salvetCb j . Salve multum , gnate mi.L es.S ì quid tibi, pater, laboris . . .Cb j . Nihil evenit, n e timej

Bene re gesta salvos redeo. S i tu modo frugi esse vis, Haec libi pacta est Calliclai filia . . .

L ks. Ego ducam, pater,E t eamy et si quam aliam jubebis.

Cb a . Quamquam tibi suscensui.Cj l . Miseria una uni quidem homini est adfalim.Ch j . Im o huiic parum estj

N am si pro peccatis cenlum ducat uxores, parum est. L e s . A t ja m posthac temperabo.Cb j . Dicisj si facias modo.LEs.Numquid causa est, quin uxorem cras domum du­

cam?Cj l . Optuma est.

Tu in perendinum paratus sis, ut ducas. Plaudite.

F i n i s T r i n u m i .

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Lesbonico, Carbide, Callicle.

Les. Clii mi chiama fuori con tanto fracasso?Cal. Un tuo benevolo e amico.L es. Sei ben franco? dillomi.Cal. Benissimo. Allegromi sia tuo padre ritornato salvo. L es. Chi mel conta?Cal. Io.Les. E 1’ hai tu veduto?Cal. E lo vedrai tu ancora.Les. Che Dio t’ ajuti, o mio padre.Car. Salve, salve, mio figliuolo.Les. Se ti venne, o padre, qualche travaglio . . .Car. Nulla, non temere. Tornomi fatte bene le mie fac­

cende. Se tu ora vuoi fare il dabben uomo, ti è pattovita la figliuola di Callicle.

Les. L a sposerò, o padre, e lei ed a ltra che tu voglia. Car Avvegnacchè sia teco in collera.Cal. Basta all* uomo una sola miseria.Car. Ma a costui è poca, im perciocché pe’suoi falli sa­

r ia una zuccherina il darg li un centinajo di mogli. L es. Ornai sarò p iù guardingo.Car. Lo dici; buono se 1’ avessi a fare.Les. E non si potria, tirar la donna in casa domani? Cal. Benissimo. Tu preparati averla posdomani. Applau­

diteci.

Fine del Trinummo.

Vol. IV. Plaut. 23

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N O T E

(1) Badi il leltore a questa digressione di AIcgaronidecontra i susurroni e i novellatori, i quali senza alcun fondamento di ragione parlan male di questo e di quello. Pur troppo cotesta razza maligna non s’è mai potuta estirpare dal mondo, anzi pare che ogni giorno ricresca a mille doppi con danno gran­dissimo di tutti i buoni.

(2) Saria pregio dell’ opera che coloro i quali si scatenanofieramente contro il teatro antico, accusandolo di soverchia licenza, leggessero attentamente questa commedia la quale è delle migliori che Plauto si abbia composto. Con troppa facilità que’ letterati d’oggi che voglion far dell'enciclopedico sputano sentenze a josa, e senza una coscienza al mondo lodano e biasimano chicchessia, dinegando persino le cose più patenti. Costoro sono la vera peste della nostra letteratura, e cagion loro già di molti danni ne ha ricevuto. Gettinsi nel fango i sommi quadri di Raffaello Tiziano e Correggio di che si potrà gloriare la italiana Pittura? A chi si potran­

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no rapportare gli studiosi per raffinare il giudizio se non a’ classici insegnatori di ogni buon gusto? se questi si spregiano, quali nomi porremo sugli altari?

(3) Le volgate leggono producit.(4) Assai avviluppalo era questo luogo nelle volgate, tanto

che ben retto non ne usciva il senso. Mureto nelle varie lezioni ( lib. XV cap. -13 ) si sforzò di cor­reggere lo svarione, del quale colpi non poca avuta ne avranno i copisti. Anche 1’ Acidalio si accórse che ben liquido non correva il senso, e perciò mise opera in emendarlo, ma non ci riuscì del tutto. Io in tra tante lezioni non ben sapeva a quale dare la preferenza; non spiaceami quella di Weise, nè del tutto accordavami con quella di Bolhe; ciò non ostante mi attenni a quest’ ultima, essendo il testo del Professore Berlinese quello che io mi posi a seguitare.

(5) Le volgate leggono exutum , io sono stato colla le­zione di Guglielmio.

(6) Alcuni leggono Praesentaneus e Praesentarius, Subi-taneaus e Subilariusj le antiche edizioni Ferenta­rium: l’ Angelio nelle sue note dice: Plautm jocose amicum ferentarium vocat, qui repente opem fert et auxilium egenti amico. Jn ferentario amico, eum qui subsidio futurus sit significare videtur Plautus, el qui auxilium sit laturusj ut m ihi m irum videtur, quod Farro interpretetur inanem. Duxis­se videtur interpretationem a levi armatura illorum equitum, quos dicit esse ferentarios vocalos: quum Plautus ad vocabulum polias alluserit, ut et alio

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locò scribti: Nulla est mihi salas dataria: a dando, L 'aver poi io tradotto: questo che vi si offre non è un amico fatto come le mosche, credo risponda bene allo spirito del testo; molto più che questo modo ricorda un vivacissimo epigramma di Pier­luigi Grossi, cui riporto qua sotto:

I falsi amici fan come le mosche Che da sera a mattina Sinché c 'è da ltaangiar stanno in cucina.

(7) Taluni confondono il morbo sostiziale col comiziale( mal caduco o maestro ), tali altri lo credono un morbo che trae repentinamente a morte. Turncbo prende questo morbo per quelle ardentissime febri che assalgono i lavoratori ne’ giorni del canicola. Qual sia il nome di questo morbo confesso proprio. di non saperlo: quello che è di certo si è che il solstizio estivo è assai fatale per tutti, e specialmente a’campagnoli, molti de’ quali sappiamo essere morti improvvisamente pel caldo eccessivo.

(8) Lambino legge jom modo. Anche nel Traculento Plautorimprovera la goffaggine de* Prenestini.

(9) Versi Ambrosiani.(10) Ho seguito Bothe piuttosto che tutte le volgate. .(11) Così Bothe meglio d ' ogn’ altra edizione.(12) Alcuni, e tra gli altri l’Angelio interpretano questa

Selèucia Macedonia, per da Seleucia e dalla Mace­donia: io all’incontro la veggo altramente io credo che il ciurmadore s’ intenda quella città della Siria fabbricata da Antioco figlio di Seleuco generale di Alessandro Magno re di Macedonia della quale parla anche Plinio lib. 5. cap. 81. Altre Seleucic

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vi erano 1* una alle rive dell* Eufrate, 1’ altra sul fiume Belo, ed un altra in Cilicia, delle quali ragionalo stesso Plinio al libro quinto delle sue storie naturali,

(43) Per juralorem intellige, apud quem peregrini in por­tibus et nomina et patriam et negotia profiteri cogcbantur. Ita dictus est quod et ipse juramènto fidem suam rei pubblicae obstringeret, qui alios suo juramento censeret. Boxornio.

(14) Le edizioni leggevano poslremum: Bothe corresse questa lezione in postumum e panni bene abbia colpito a segno.

(45) Syc Ad hoc exemplum est: Ch . . .e qui il ciurma­dore avrà fatto qualche segno. -Perciò mal rispon­deva traducendo semplicemente col C., avendo det­to prima quel giuntone che il nome eh’ gli cerca­va incominciava per C., se nell’ italiano noi aves­simo una lettera dell’ alfabeto la quale valesse al X greco, l’ imbroglio sarebbe subito sciolto, ma non avendola, ho giudicato ottima cosa tenermi alla forma latina.

(16) Qui Plauto scherza, e pochi videro lo scherzo celato sotto questo nome.

(47) Est alia cunila gallinacea appellala noslris, Graecis origanum herackolicum Plinio.

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PSEUDOLUS

LO PSEUDOLOOVVERO

IL FURBO

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CARLO GOLDONI

cde ^ece c/uMio ne 'fioétert

óc a majtptot* ^im a, & tnnafzo

t f j t c n i o a /a , c e n s u r a a & rc u

PIERLUIGI DONINI

recato a vo g a re ^Qsettdofo

w fóm o óuo lavoro

óu-/finncc^ie de cotmcc taànc

c o n é e c r a to 1/ v c /2 e

a / ry& t*m afof*e e m aeéfov

d e $ ita ^ c a - à c e n a .

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PERSONE DELLA FAVOLA

P se u d o l u s F urbo (Pseudolo)Ca l l id o r u s Callidoro

B a l l io Ballione

L o r a r iu s Lorario

S im o Simone

Ca l l ip h o Callifone

H a r p a x Graffigna (Arpagone)Ch a r i n u s Carino

P u er Ragazzo

Cocus CuocoSlMMIA SlMMIA

L a Scena è in Alene.

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PROLOGUS A)

Studete hodie mihi: bonam in scenam affero:Nam bona bonis ferri reor aequum m axum e,Ul mala malis: ut, qui m ali sunt, habeant male, Qui boni, bona. Bonos quod oderint mali,Sunt malij malos quod oderint boni bonos Esse oportet; vosque ideo estis bonij quandoquidem Semper odistis-malos, et lege et legionibus Hos fugitastis, Quirites, successis bonis.Huic vos nunc pariter bonam operam date gregi, Qui bonus est, et hodie ad bonos affert bona. Ju res , oculi, animus ampliter fient saturi.In scenam qui jejunus venerit aut sitiens,In risu et ventre raso vigilabit sedulo:Dum ridebunt saturi, mordebunt famelici.Nunc si sàpitis, cedite jejuni alque discedite.Vos saturi, state, imo sedete alque attendite.Non argumentum neque hujus nomen fabulae Nunc preloquar ego: salis id faciet Pseudolus:Salis id dictum vobis puto ja m alque deputo.Ubi lepos, joci, risusj vinum, ebrietas decens, Gratiae, decor, hilaritas alque delectatio,Qui quaerit alia, is malum videtur quaerere.Curas malas abjicite ja m , ul otiosi, hodie.Exporgi meliust lumbos alque exsurgere:Plautina longa fabula in scenam venit.

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ACTUS I.SCENA I.

PSEUDOLUS, CJLLIDORVS.

P s e . S i ex te tacente fieri possem certior,

Here, quae" miseriae te tam misere macerant,*

Duorum labori ego hominum parsissem lubens,

Mei te rogandi, et tui respondendi mihi:

Nunc quoniam id fieri non potest, necessitas

Me subigit, ut te rogitem. Responde mihi:

Quid esi, quod tu exanimatus ja m hos multos dies

Gestas labellas tecum, eas lacrumis lavis,

Neque tui participem consili quemquam facis?

Eloquere, ut quod ego nescio, id tecum sciam.

Cal. Misere miser sum, Pseudole/

Pse. Id le Jupiter

Prohibessil!

Cal. Nihil hoc Jovis ad judicium allinelj

Sub Veneris regno vapulo, non sub Jovis.

Pse. Licet me id scire quid sil? nam tu me antidhac

Supremum habuisti comitem consiliis luis.

Ca l. Idem animus nunc esi.

Pse. Fac me certum, quid tibi esi,

A u l re juvabo aul opera aut consilio bono.

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ATTO I

SCENA I.

F urbo, Callidoro.

F cr. Se dal vostro silenzio, o padrone, io potessi ri­trarre quali siano quegli increscimenti che vi fanno così fantastico, di buon grado io sparagneria la fatica a me di chiedere, e a voi di rispondere; ma dappoiché non si può aver questo, necessità vuole eh’ io ve ne dimandi. Rispondete a me: che avete voi? Da parecchi dì io vi trovo più morto che vivo, con una lettera in mano, sopra la quale versate voi -un bucato di lagrime: e non fate pa­rola mai a chicchessia di qual farnetico abbiate in capo? Escitevene, e spartite meco quello che tenete in cuore voi solo.

€ al. Furbo mio, io sono assassinato.Firn. Che Giove lo tolgalCal. Qua Giove non può mettervi riparo: è Venere e

non Giove che mi .colla sulla corda.F cr. In buon ora poss’ io sapere che sia cotesto? Voi

per lo avanti mi avevi.il miglior compagno de’ vo­stri segreti.

Cal. E penso di averti anche adesso.F ur. Ditemi adunque coruccio che sia il vostro. I* ve

ne darò vantaggio o col fatto o coll’ opera, o con un buon consiglio.

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Cj l . Cape has tabellas: Iule hinc narralo tibi,Quae me miseria et cura contabefacit.

PsE.M ot libi gerelur. Sed quid hoCj quaeso?Cj l . Quid est?P se. ì! t opinor, quaerunt lilerae haec sibi liberos:

A lia aliam scandit.Cj l . Ludis me ludo tuo.P s e . Ifas quidcm poi credo, nisi Sibylla legerit,

Alium potesse interpretari neminem.Cj l . Cur inclemeuter dicis lepidis literis,

Lepidis labellis, lepida conscriptis manu?PsE. A n , obsecro hercle, habentque gallinae manus?

N am has quidem gallina scripsit.Cj l . Odiosus mihi es.

Lege, vel tabellas redde.Ps e . Jmo etenim perlegam.

Advortilo animum.Cj l . Non adest.Pse. A t tu citaCj l . Jmo ego tacebo; lu istinc ex cera cita:

Nam istic meus animus nunc est, non in pectore. Pse. Tuam amicam video, Callidore.Cj l . Ubi ea, obsecro, est?Pss.Eccam in labellis porrectam j in cera cubat.Cj l . A l te di deaeque, quantum est . . .P se. , Servassint quidemtCj l . Quasi solstitialis herbq, (2) paulisper fui:

Repetite exortus sum, repentino occidi,P se. Tace, dum tabellas perlego.Cj l . Ergo quin legis?

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Cal. Togli questa lettera: dilla da te a te la miseria e 1’ affanno che mi macera.

Fur. Farò il modo vostro: deh! che Vuol dir ciò?Cal. Che cosa è questa?Fur.' Alla fè queste lettere yonno far razza, 1’ una si

accavalla all’ altra.Cal. Tu mi uccidi colle tue burle.Fur. Diascolo! una sibilla potrà qui leggere, altri non ci

raccoglie un jota.Cal. Perchè bistrattare una lettera così bella? bello è

il foglio, bellissima fu la mano che lo scrisse.F ur. Ditemi voi, le galline hanno forse le mani? questi

sgorbi sono di gallina.Cal. Tu m 'h a i fradicio, o leggi questa lettera , o dam­

mela indietro.F ur. Anzi la leggerò dal sommo ali* imo, state attento

coll’ animo.Cal. Non 1’ ho più.F ur. E voi fatelo chiamare.Cal. Non aprirò più bocca io; tu rivocalo fuora da que­

sta lettera, imperciocehè ora è qua ^dentro il mio cuore, e non in petto.

F ur. I o veggo la vostra amica, o Callidoro.Cal. Ah! e dove?F ur. Vedetela qua distesa; la dorme sulla carta.Cal. Che Dio quanto sa ti dia . . .F ur. Cento buon anni.Cal. Pur ora io- fui come la clizia, presto sono sboc­

ciato, ma sono anche presto svizzito.F ur. Zitto or che leggo la lettera.Cal. Che non leggi adunque?

Vol. IV. Plaut. 24

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P se.» Phoenicium Callidoro, amatori suo,• Per ceram el linum litei'asque interpretes• Salutem m illil, et . salutem abs te expelitj• Lacrumans, titubantid animo corde et peci ore. »

CjL.Perii, salutem, nusquam invenio* Pseudole,Quam illi remillam/

P s e . Quam salutem?Ca i . Argenteam.P se . Pro lignean’ salute vis argenteam

Remittere illi? Fide sis, quam, tu rem geras.Ca l . R ecita mi>do: ex labellis ja m fa x o scies,

Quam subilo argento m i usus invenio siet.P se . Leno me peregre militi Macedonico

• Minis viginti vendidit, voluptas meaj• El priusquam hinc abiit, quindecim miles minas » Dederat: nunc unae quinque remorantur minae: » Ea causa miles hic reliquit symbolum» Expressam in cera ex anulo suam imaginem ,• Ut, qui huc adferret ejus similem symbolum,» Cum eo simul me mitteret. E i re dies» Haec praestituta est, proxuma Dionysia. »

C al. Cras ea quidem sunl: prope adesi exilium mihi, Nisi quid mihi in te est auxili

P se. Sine perlengam.Ca l. Sino: nam mihi videor cum ea fabularier.

Lege! dulce amarumque una nunc misces mihi. P s e . • Nunc nostri amore mores, consuetudines,

» Jocus, ludus, sermo, suavis suaviatio,• Compressiones artae amanlum conparum,». Teneris labellis molles morsiunculae,» Papillarum horridularum oppressiunculae.

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Cal.

F ur.Cal.F ur.

Cal.

F ur.

Cal.

F ur.Cal.

F ur.

» Fenicia a Callidoro, suo amante, facendo sugi in­terpreti la cera, i legacci, le parole manda salute, e salute aspetta da te piangendo, piena di cor­doglio e coir animo posto tra mille croci. »Io son sconfitto, o Furbo, io non trovo salute al­cuna da spedirle.Qual salute?D’ argento.E volete rimandar voi una salute d’ argento per una di legno? Badate bene a che vi Tacciate voi. Tira innanzi: da questa lettera conoscerai quanto sia necessario il rinfcrrarmi di quattrini.» Il ruffiano, o vita mia, mi ha venduta ad un sol­dato Torastiero di Macedonia per venti mine, e prima della sua partenza il soldato snocciolonne quindici: ora Tallano al saldo solo cinque mine: per questo qui lasciò il soldato per contrassegno il suo ri­tratto scolpito in cera coll’anello, affinchè, seuz’ al­tro Tare, io andassi coll’ uomo che portasse Fislesso contrassegno.- questo è il di stabilito, le vicine Teste del carnevale,Egli è domani: io sono alla vigilia della mia morte, se in te io non trovo ajuto.Lasciatemi Tornire.Ti lascio: imperciocché parati ancora parlarle seco! leggi! tu sì mi spargerai d’ un po’ di mele 1’ amaro che mi sento in bocca.

» Ora mi si raccordano i nostri amorosi costumi, le nostre consuetudini, i giuochelti, le carezze, le paro­line, i dolci baci, gli s tretti abbracciamenti di sì amante coppia, le care morsurclline delle labbra, le strcltolinc

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• Harunc voluptatum m i omnium alque ilidetn tibi » Distralio, discidium, vaslicies venit,» Nisi quae mihi in te est aut libi est in me salus. » Haec quae ego scivi, ut scires, curavi omnia,-• N unc ego te experiar, quid ames, quid simules.

Vale, mCj l . Est misere scriptum, Pseudole!Pse. O miserrume!Ca l . Q uin fles?P s b . P um iceos oculos habeo: n o n queo

L a c ru m a m exorare u t exspuan t u n a m m odo.Ca i . Q uid ita ?P s e . G enus n o stru m sem per siccoculum fu it. CAL.Nilne adjuvare m e audes?P s e . Q uid fa c ia m libi?Ca l. Eheu!P s b . Heu? Id quidem hercle, ne parsis, dabo.Ca l. Miser sum: argentum nusquam invenio m utuom . . . P s e . Eheu!Ca l . Neque intus numus ullus est.P s e . E heu!Cal. Ille dbduclxirus m ulierem cras est.P s e . E heu!Ca l . Istoccine pacto me adjuvas?P s e . D o id, quod mihi est:

N am is mihi thesaurus jugis in nostra est domo. Cj l . Actum hodie de me esi! Sed poles nunc mutuam

Drachmam mihi unam dare, quam cras reddam .- tibi?

P s e . Vix hercle opinor, si me opponam pignori.Sed quidnam drachma facere vis?

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affettuose al seno. Di tutte queste delizie e mie e tue a me e a te venne lo strazio, la rottura, lo scempio, se pur io per te o tu per me non trovi salute. Queste cose, note che mi vennero, io ho fatto in guisa che tu pure le risapessi; ora vedròio che coSa tu ami, o che vai rivoltando pel capo. Addio. »

Cal. Non sono una miseria queste parole, o Furbo?Fcr. Poveraccio!Cal. Che non piangi?F cr. I o ho gli occhi della pomice, non posso pregarli

tanto che mi schizzin fuori una lagrima.Cal. Perchè? (F cr. La nostra razza non ebbe mai gli occhi all’ umido.Cal. E non mi puoi ajutare di nulla?F cr. Che ho da farvi?Cal. Ahi a me!F cr. Ahi? di questi siate pur largo a chiedermene,

eh’ io ve ne darò a isonne.Cal. Io sono sconfitto: io non trovo denaro a prestito. . .F cr. Ahi !Cal. E non ho quattrino in casa.F cr. Ahi !Cal. E colui è per menarsi via domani la donna.F cr. . Ahi!Cal. Di tal fatta è il tuo ajuto?F ur. Io do quello che ho: imperciocché di questi io ne

ho tal tesoro da di sgradarne la Tarpea di Roma.Cal. Oggi son spacciato! Ma non petrestu prestarmi

una dramma eh’ io te la darò domani?.F cr. L’ avrei forse appena, se statico mi dessi. Ma che

volete farne di una dramma?

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Cà l. Reslim voloMihi emere.

P s b . ' Cà l .

Quamobrem?Qui me faciam pensilem:

Certum est mihi ante tenebras tenebras persequi.P s e . Qnis m i igitur drachmam reddet, si dederim libi?

J n tu ea te causa vis sciens suspendere,Ut me de frudes drachma, si dederim tibi?

Cà l. Profecto nullo pacto possum vivere,S i iUa a me abalienatur atque abducilur.

P s e . Quid fles, cucule? Vives.Cà l . Quid ego ni fleam,

Qnoi nec paratus numus argenti siet,Ncque qnoi libellae spes sit usquam gentium?

P s e . Ul Hierarum ego harunc sermonem audio,Nisi lu illi laciitmis fleveris argenteis,Quod tu istis lacrumis te probare postulas,Non pluris refert, quam si imbrem in cribrum

Verum ego te amanlem ( tte pave ) non deseram. Spero, alicunde hodie me bona operad hac mea Tibi inventurum esse auxilium argentarium.

Càl. J l qui id fulurum? unde?

Nisi quia fulurum est: ila supercilium salit. Cj l . Ulinam quae dicis, diclis facta suppelanl!P s e . Sris l« quidem hercle, mea si conmòvi sacra,

Quo paclo et quanlas soleam turbelas dare. 'C a l . Iu le nunc spes sunt omnes aetali meae.P s e . Satin ' est, si hanc hodie mulierem eefleio tibi,

Tua ut sit, aul si libi do vigiliti minas?

geras.

P s e . Unde dicam, nescioj

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Cal. F ur.

, Cal.

F ur.

Cal.

F ur.Cal.

F ur.

- Cal. F ur.

Cal.F ur.

Cal.F ui .

Vo’ comprarmi una corda.A qual uopo?Per fare un dondolo. Io son deliberato, prima che s’ abbuj vo’ ire ove non ci si vede.Chi adunque rejiderammi la dramma se ve la do . io? Volete voi forse trai* de’ calci, al vento, per lep- parmi la dramma se io ve la impresto?Non so trovar modo a tenermi in vita se quella viene divelta e condotta via da me.Che lagrime son queste, o cuculo? starete in vita. Non ho io da piangere, se non mi trovo allato nemmeno un danajuzzo d ’argento; nè ho speranza di trovare al mondo una ladra di lira?Conforme io veggo dalle parole di questa lettera, se voi non schizzate fuora degli occhi lagrime d’ar­gento, il volervi mostrar valentuomo con queste; importa tanto quanto di volere asciugare un pozzo col crivello. Ma non istate a scorarvi, non abbiate paura, io non vi abbandonerò in questo amore. Spero che oggi dal mio buon servigio vi si troverà qualche pugno di quattrini.Davvero? donde?Donde? noi so ncppur io; soltanto io so che si farà, cosi mi dice 1’ occhio.Dio volesse che a queste parole seguitassero i fatti. Ben sapete che se aguzzo i miei ferruzzi il fracas­so che ne viene non è poco.In te si folce ora la speranza della mia vita.E non siete contento voi, se oggi fo si o che vi darò la donna, o che avrete in mano venti belle mine?

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376Cj l . Salis, si fu lu ru m est.P s e . R oga m e vigiliti, m in a s .

Ut me ecfeclurum libi, quae promisi, scias.Roga, obsecro hercte: gestio promittere.

C ji.D abisne argenti m i hodie viginli minas?P s e . D abo. M olestus n u n c ja m ne sis m ih i.

Atque hoc, ne diclum tibi neges, dico prius:S i neminem alium potero, tuom tangam patrem.

Cj l . Di te mihi omnes servent/ Ferum si potes,Pietatis causa vel eliam matrem quoque.

P s e . D e islac re in oculum tilrum vis conquiescito.Cj l . Oculum utrum, an in aurem?P s e . A l hoc pervolgalum est nimis.

Nunc, ne quis diclum sibi neget, edico òmnibus, Pube praesenti in concione, omni poplo,Omnibus amicis notisque edico meis, ln hunc diem a me ut caveant, ne credant mihi.

Cj l .S UTace, obsecro hercle!

P s e . Q uid negoti est?Ca l . Ostium

Lenonis crepuit . . .P s e . C rura m avellem m odo.Cj l . Atqne ipse egreditur, penitus perjurum caput.

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Cal. Magari Dio!Firn. Domandatemi venti mine, voi verrete al chiaro

eh’ io sarò per m ettere in carne quello che ho impromesso: dimandatele in carità, io ho la fregola del promettere.

Cal. Mi darai tu oggi venti mine?Fur. Darò. Nè più seccatemi di vantaggio. Questo vi

dico io anzi ogni "cosa, affinchè non abbiate a negarmi d’ averlo udito: se non arrivo ad inzam­pognar alcuno, ch i‘sarà tolto a fare sarà vostro padre.

Cal. Che gli dii tutti bene ti guardino! Ma se ti è fat­to, per mio amore, aggira anche la madre.

F ur. Di questa faccenda riposatevi pur franco tra due guanciali.

Cal. Coperto sino agli occhi, o soltanto gli orecchi?F ur. È cosa questa così vecchia che oniai ha la muffa.

Ora perchè alcuno non disdica eh’ io l’ ho detto, grido a tutti, a' giovani qui accorsi, a tu tto il po­polo, a tu tti i miei amici vecchi che mi tengano lontano, che non mi affidino cosa del mondo.

Cal. St, fammi grazia, sta zitto.F ur. Che storia è questa?Cal. Crocchia la porta del ruffiano . . .F ur. Vorrei piuttosto le gambe.Cal. Egli vien fuori, la vien fuori questa capezza di

spergiuri.

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B a l l io , L o r jr ij i r , Pse u d o l v s, Cj l l id o b v s .

Bal. Exile! agile, ile, ile, ignavi male habili et maleconciliali,

Quorum nunquam quidnam quoiquam tieni* in nt«n-tem ut recte faciant:

Quibus nisi ad hoc exemplum experior, non poteusurpari usura!

Neque ego homines magis asinos nuquam vidi, itaplagis coHae callent:

Quós dum ferias, tibi plus noceas: eo enim ingeniohi sunt flagritribae.

Qui haec habent consulla consilia, ubi data est oc­casio:

Rape, clepe, harpaga, lene, bibe, es, fuge. Hoc esteorum opus:

Ut lupos apud ovis malis linquere quam hos domicustodes.

A t faciem quom adspicias, haud m ali videntur; o-' pera fa lhnt.

Nunc adeo hanc edictionem nisi animum advortetisomnes,

Nisi somnum socordiamque ex pectore oculisqueamovetis,

Ila ego vostra latera loris faciam ut valide variasint:

Ut ne peristromata quidem aeque picta sint Cam-panica,

Neque AlexandrinaJbeluata conchyliata lopelia.

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B a l l io n e, L o r a r ii i v , F u r b o , C a l l id o r o .

B a l. Uscite! venite fuori! andate! spacciatevi, poltroni

bricconi, roba di mal acquisto a cut non mai viene

il pensiero di far bene. Se io non facessi così

non caverei mai un servigio da loro! Da che vivo

io non vidi uomini più asini, ornai le loro co-

stole hanno il callo per le botte; bàttili, e maggior

male fai a te che a loro, perchè elli sono la distru-

zion delle fruste, costor nient’altro voltano in capo

se non questo, ruba, graffia, togli, tieni, sbevazza,

magna, e dàlia gambe, Elli son così fatti, meglio sa-

rian raccomandate le pecore al lupo che ala casa a

costoro. Guardali in faccia, e non ti sembreran quei

capestri che sono: e’ son proprio come la castagna, che

la magagna ha dentro. Or se voi non attendete-a

miei ordini, se non -cacciate via dagli occhi e dal-

1’ animo la sonnolenza e la tristizia, io a forza

di staffili vo’ farvi tanti guidaleschi su’ fianchi,

che sì non saran pinte le tappezzerie di Cam­

pania , nè i tappeti di Alessandria incastonati

di conchiglie, e figurati di bestie. Fin da jeri io

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Alque heri anledixeram omnibus dederamque easprovincias;

Verum ila vos eslis perdili negligentes ingenio in-probo,

Officium vostrum ul vos malo cogatis conmonerier. Nempe ila vos animali eslis, vincere hoc durilie ergo

alque me.Hoc vide, sis: alias res agunt. Hoc agite, hoc ani­

m um advortile,Huc adhibete auris, quae ego loquar, plagigerula

genera hominum! Nunquam edepol durius vostrum erit tergum, quam

terginum hoc meum. Qui nunc? dolelne? Hem , sic datur, si quis herum

servos spernit!Adsislite omnes contra me, et, quae loquor, ad­

vortile animum.Tu, qui urnam habes, aquam ingerere. Face ple­

num aenum sit cito. — Te cum securi caudicali praeficio provinciae.

L o s .A l haec retunsa est.■Bj l . Sine siet. Item vos quoque eslis omnes:

N um qui minus ea gratia tamen omnium utor o-pera?

Tibi hoc praecipio, ut niteat aedis. Habes quod fa­cias propere abi intro. —

Tu esto lectisterniator. — Tu argentum eluitoj idemextruilo.

Haec, quom ego a foro revorlor, facite ut obfen-dam parata:

Vorsa, sparsa, tersa, strala laulaque coctaque om­nia uli sini:

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aveva ordinata ogni cosa, e ciascuno aveva di-

putato alle sue provincie, ma voi siete così infin­

gardi e perduti nella vostra malizia; che mal sa»

pete ricordarvi ora il dover vostro. Ecco cosa

che vi siete cacciata in zucca, di sgarar questo

e me, se più duriamo di voi. Togli adesso! e ' fan

tu tt' altro: badate a me, ascoltate quello che dico

io, genìa da bastone! tanto non la dureranno le

vostre spalle come durerà questo cuojo che io ho in

mano. E sì ora ti duole? bene, così si fa a chi mette

sotto i piedi il padrone. Guardatemi tutti in faccia, e

scrivetevi in mente gli ordini che vi do io. Tu che

hai il secchio pensa all’ acqua; fa, e presto, che

sia piena la caldaja. Tu che hai la scure abbili la

soprantendenza de’ ciocchi.

Lor. Ma questa ha rivolto il filo.

Bal. Lascia, non fa; e sì pur nel cervello siete voi altri:

e per ciò ristornatene io dal servirmene? A te

do ordine che mi sia netta la casa. Tu hai g ià,il

fatto tuo, va, corri dentro. — Tu rifarai le letta.

— Tu pulirai gli argenti, e li porrai in sull’ or­

dine. Queste cose le trovi allorché tornomi di piaz­

za, sia pensier vostro vegga io ogni cosa spazzata,

nella, pulita, spiumacciata, lavata e cotta: imper-

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Nam m i hodie natalis dies est: decet eum omnesvos concelebrare.

Pernam, callum, glandium, sumen, facilo in aquajaceant. Satin audis?

Magnifice volo me viros summos acccipere, ut miliirem esse reantur.

Intro abite atque haec celebrate ne mora quae sit,cocus quom veniat,

Mihi. Ego eo in macellum, ul piscium quidque est,pretio praestinem.

7, puere, prae: ne quisquam pertundat crumenamcautio est.

Vel opperire: est, quod domi dicere fui pene oblitus. Auditiri? Vobis, mulieres, hanc habeo edictionem. Vos, quee in mundiciis mollitiis deliciisque aetatulam

agilisViris cum summis, inclulce amicae: nunc ego sciho,

atque hodie experiar, Quae capiti, quae veniri operam, del, quae sua re,

quae somno studeat. Quam libertam fore mihi credam, et quam vena­

lem, hodie experiar. Facite hodie, ut m ihi munera mulla huc ab ama­

toribus conveniant: Nam ni hodie penus annuos convenit, cras populo

prostituam vos.Diem natalem hunc m i esse scitis: ubi isti sunl, qui­

bus vos oculi eslis, Quibus vitae, quibus deliciae, quibus savia, m am il­

lae mellitae?Manipnlalim munerigeruli facile ante aedis jam hic

mihi adsinl!

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ciocché oggi è il mio natalizio: e voi conforme è

vostro debito lo avete tutti a celebrare. II pro­

sciutto, il collo, il ghiandaie, e la ventresca, fate

che bolli bene. M’ ha tu inteso? Io vo’ al mio

desco uomini d’ alto affare, perchè abbisi a

credere ch’io son uomo che sguazza nel lardo. An­

date in casa, e spacciatevi presto, acciò, quando

viene il cuoco, egli non stia in pena.. Io vado al

macello ad incettare quanto pesce vi ha a qua­

lunque prezzo. Tu o ragazzo, cammina innanzi

affinchè alcuno non ti succhielli la borsa: sostieni

un poco, d’ una cosa dimenticavami. M’ udite voi?

Queste cose, o donne, le dico a voi, a voi che fate .

bella vita, perchè siete frescoccic in tra le dili-

cature, e tra i piaceri, belle amanze de’ nobili,

ora saprò io qual di voi abbia in maggior amore,

se la testa o la pancia, se il suo bene o il letto

per dormire. Oggi io farò sperimento di chi voglia

divenir liberta, o esser roba di bottega. Oggi ma­

neggiatevi in guisa che qua i vostri amanti car­

reggino doni a josa, imperciocché, se quest’ oggi

non mi fo la provvista, domani t i metto io al po­

stribolo. Ben sapete voi questo essere il mio an­

nuale: dove sono ora costoro a cui voi altre

siete la vita, la delizia, la soavezza, le poppelline

melate? Fate oggi mi si riversino carra di doni sopra

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Cur ego vestem, ain'um, alque ea quibus vobis ustttest* praehibeo?

Quid domi, nisi malum* vostra opera est* inprobae,vino modo cupidae?

Eo vos vostros panlicesque adeo madefacitis* quomego sim siccus.

Nunc adeo hoc factu est oplumum, ut nomine quam­que adpéllem suo*

Ne dictum esse actutum sibi quaepiam vostrarumm ihi neget.

Advortite animum cunctae!Principio* Hedylium* lecum ago* quae amica es

fm m entariis*Quibus cunctis montes m axum i acervati frumenti

sunt domi:Fac, sis* sit delalum huc m ihi frumentum* hunc

annum quod satis JUi et familiae omni sit meae, atque adeo ul fru­

mento adfluanijUt civitas nomen m ihi conmutel, meqite ul praedi­

cetLenone ex Ballione regem Jasonem.

Ca l . A u d in ’* fu rc ife r quae loquitur? sa tin ’ m agn ificus tib ividetur?

Pse. Pol istic, atque eliam m a l i ficus. Sed tace* atquehanc rem gere.

B j l . Aeschrodora* 'tu* quae amicos libi habes lenonumaemulos

■ Lanios* qui item ut nos jurando jure malo remquaerunt, audi!

Nisi carnaria tria gravida tergoribus oneri 'itberihodie

Page 383: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

la porta? perche vi do io e vcslimenta e ori e tutto

che vi fa mestieri? perché non ho in casa, ca-

gion vostra, o male gatte, e calde solo del vino,

altro che malanni? Di vino voi altre insaccate ben

'la borraccia ed io stonimene asciutto. Ecco quello

che adesso ho io da fare, chiamarvi ciascuna per

. nome., acciò alcuna di voi non dica eh’ io non

glier abbia detto: rizzate gli orecchi. Anzi tutto io

parlo a te adunque, o Edilio, che sei 1’ amica di

quelli che hanno su granai monti di frumento,

fa chc mi sia condotto qua tanto di grano che

basti quest’ anno a me e a tutta la famiglia, e

che venga io in tanta abbondanza di frumento

che la città mi cambi nome, che invece del ruf-

fìan Ballione mi dica il re Giasone.

Cal. E non senti gli spampani di questo manigoldo? c

non ti pare abbia egli del magnifico?

F ur. Mi par di sì per Dio e del malefico per giunta. Ma

state zitto; badate al fatto vostro.

Bal. Tu Escrodora, che per amanti hai gli emuli dei

ruffiani, i beccai, perchè conforme facciain noi elli

s’empiono ilborso tto a forza di spergiuri, ascoltami!

se oggi non ho sui rastrelli tre belle schiene di porco,/

domani farò di te quello che raccontano abbiano

Vol. IV. Plaui 25

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Mihi erunt, cras lCj quasi Dircam olim, ul memo­rant, duo (3) gitali Jovis

Devinxere ad taurum, ilem hodie stringam ad car­narium. Id

Tibi profeclo laurus fiet.P se. Nimis sermone hujus ira incendor!

Hunccine hic hemonem colere pali juventutem A l­licam?

Ubi sunt, ubi latent, quibus aetas integra , qui am anta lenone?

Quin conveniunt? quin una omnes peste hac popu­lum liberant?

Sed nimis sum slullus, nimium indoctus fui; ne idaudeant

Illi facere, quibus ul serviant, amor cogit suos, Simul prohibel faciant udvorsum eos, quod volunt.

Cal. Fah, tace.1 's e . Quid e s t?

Cj l . Male morigerus male facis mihi, quom sermonehuic obsonas.

P s e . Taceo.Cj l . A t taceas malo mullo, quam tacere dicas. B j l . , Tu autem

Xtyslylis, fac ut animum advortas, quojus amaloresolivi

D ynam in domi habent m axum am.S i mihi non culleis ja m huc olivom deportatur,Te ipsam culleo ego cras faciam ut deporlere in

pergulam.Ibi libi lectus dabitur, ubi tu haud somnum

capiasj

Page 385: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

F ur.

Cal.

F ur.

Cal.

F ur.

Cal.

Bal.

fatto a Dirce i due figliuoli di Giove: se elli lega-

ronla ad un toro, io legherò te in sulla rastrelliera,

e questa, alla vita mia, sarà il tuo toro.

Queste parole mJ ardono di rabbia! £ la gioventù

dell’Attica fa buon viso a una bestia così fatta?

Dove sono, dove stanno imbucati questi bene ai­

tanti garzoni che fanno all’ amore in casa de' ruf­

fiani? che non si levano? perchè tutti non si fanno

un solo a liberar da tal peste il popolo? Ma un

gnocco son io, i ' son pure il gran capocchio, eh’ ei

abbiano animo a farlo, quando 1’ amor loro-li fa

•6tar nelle pastoje, e li attraversa a quello che vor­

rebbero.

Taci una volta.

Che avete?

Tu mi se’ un mal bigatto, tu non mi secondi, im­

perciocché non mi fai udire le parole di costui.

Io sto zitto.

Io vorrei che questo fosse più in fntti che in

ciance.

Rizza ben le orecchie, o Sistile. Tu se’ 1’ amore degli

oliandoli, e perciò, se non mi viene in casa 1’ olio

a otri, in un otre ti insacco domani e ti fo portar

sulla loggia. Ivi ti si darà un letto non perchè tu

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Sed ubi usque ad languorem . . . Tenes, quorsumhaec tendal, quae ìoquor?

Eli, excetra tu, quae tibi amicos lol liabes lamprobe oleo onustos,

N um hodie tua iuorum est quoiquam opera conser­vorum

Nilidiusctdum caput, aut num ipse ego pulmentomagis

Utor unctiusculo? Sed scio: tu oleum haud magnipendis,-

Fino ted ungis. Sine modo: reprendam ego cunctahercle una opera.

Nisi quidem hodie tu omnia facis, scelesta, haec, ttlloquor!

Tu autem, quae pro capite argentum mihi ja m ja m -que saepe numeras,

Et pacisci modo scis, sed, quae pacta es, non scissolvere,

( Tibij Phoenicium, ego haec loquor, deliciae sum­matum virum J

N isi hodie m i ex fundis tuorum amicorum omnehuc penus adfertur,

Cras Phoenicium phoenicio corio invises pergulam.

SC E N A III .

Cjl l id o r v s, P seudolus, B jllio .

Cj l . Pseudole, non audis, quae hic loquitur?/ 'se . Audio, here, equidem atque

animum advorto.

Page 387: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

posso pigliar sonno, ma perchè a farti languida . . .

Intendi ove io voglia inferire? Guarda, maladetta

idra; tu hai d’intorno tanti amici carichi d’olio, ma

avvien per questo forse che i tuoi compagni, cagion

tua, abbian la testa più unta, o che più occhi abbia

la mia minestra? Ben 9ommelo io: non fai gran

caso dell’ olio, tu col vino ti vuoi bisunta. Ma la­

scia, ogni groppo viene al pettine: se tu, ribaldonac-

cia, non fai quello tutto che dico io! Tu . . . poi che

per quella zucchellina, mi se’ cosi larga in promet­

termi quattrini ad ogni otta, che hai sempre pat­

ti alle mani, e non li sai attendere ( a te io parlo

Fenicia, delizia di questi nobili, ) se oggi dai fondi

de* tuoi amici qua non mi viene abbondanza di

tutto, domani sulla loggia ti farò venir rossa più

che la grana di Tiro.

SCENA III.

Callidobo, F urbo, Ballione.

Cal. Non ascolti, o Furbo, belle cose che dice egli?

F ur. Le ascolto padrone, e non ne perdo un ette.

Page 388: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

C al. Quid m i es auclor huic ul millam , ne amicam hicm eam prostitu a t?

B ine curassis.P s e . Liquido es animo: ego pro me et pro te

curabo.Jam din ego huic et hic m ihi volumus bene, et

amicitia est antiqua. Miltum hodie huic suo die natali rem malam m a­

gnam et maturam.Cal. Quin opus est.P se. Potin a liam rem ul cures?Cal. A t . . .P se. Bat.Cal. Crucior/P sf. Cor dura.Cal. N on possum.P se. F ac possis.(h i . Quonam pacto possim vincere animum?P se. In rem quod sit, praevorlaris, quamde re advorsa

animo auscultes.( 'a l . Nugae istaec sunt: non jucundum est, nisi amans

facil stulte.P se . Pergin’?Cal. O m i Pseudole, sine sim nihili! mille me, sis/P se. Sine modo ego abeam.Cal. Mane, mane: ja m , uti voles med esse ita ero.P se. N unc tu sapis.B al.1 i dies! ego m ihi cesso. I prae, puere.Cj l . Ileus, abit/ quin revocas?

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Cal. Qual consiglio è il tuo, che vuoi mandi a costui acciò non gitti al chiasso il mio amore: pensaci bene.

F ur. Levate pur via dall’ anima ogni martello: a tutto provvederò io, e per me, e per voi. Noi già da buon tempo ci Vogliamo il miglior bene del mondo, e la nostra amicizia è antica. A costui io nel suo giorno natalizio manderò una pesca tale, che non ne ebbe mai una nè più grassa nè più fresca.

Cal. La ci verrebbe a tempo.F ur. E non sapete volgere il capo ad altro?Cal. Ma . . .F ur. BuhICal. Mi sento spaccar il cuore.F ur. Fatevelo di ferro.Cal. Non posso.F ur. Fate di poterlo.Cal. E come vuoi tu eh’ io vinca me stesso?F ur. Pensate a condur bene i fatti vostri, piuttosto

che pigliar smacco da. questi intraversamenti.Cal. Queste le son buone favole: ma un innam orato noq

è contento se non dà in qualche pazzia.F ur. E ancora?Cal. 0 Furbo mio, non t ’ adirare s’ i’ sono un tambcl-

lonaccio, lasciami andare!F ur. Anderò io.Cal. Sta, sta: ornai sarò conforme tu mi vuoi.F ur. Ora v’ è entrato il cervello.Bal. Il giorno va; e io sto qui donzellando. Corri in­

nanzi, o putto.Cal. Ohe bada, ei se la coglie! che non lo richiami?

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592P se. Quid properas? placide!Cj l . A l priusquam abeat.B j l . Quod hoc malum? tam

placide is, puerefP se. Hodie naie, heus, hodie nale! libi ego dico! heus,

hodie naie! Redi el respice ad nos! Tametsi occupatus, Moramur. Mane: sunt, conloqui qui volunt te.

B j l . Quid hoc est? quis est, qui moram occupalo. Molestam obtulil?

Cj l . Qui libi sospilalisFuit.

B j l . Morluostj qui fuitj qui est, vivost.P se. Nimis superbe!B j l . Nim is molestus!Cj l . Reprehende hominem! adseqnere!B j l . 1j puere!P se. Hae

Occedamus obviam.B j l Jupiter le perdat, quisquis!P s e . Te volo.B j l . A l vos nolo ego ambos.

Forte haCj puere!P se. Non licei te conloqui?B j l . A t m ihi non lubet.Cj l . Sin tuam est quidpiam in rem?B j l . Licetne, obsecro,

Bitere, an non licet?P se . Fah, manta!B jl . Omitte!Cj l . Ballio, audi!

Page 391: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

F ur. Che prescia è la vostra? lemme lemme!

Cal. Ma prima eh’ ci se ne vada.

Bal. Domine! che hai, o ragazzo? così piano te ne vai?

F ur. Ehi, bimbolino, a te parlo io, a te che se' nato oggi,

torna e guarda chi siam noi! awegnacchè tu sii

faccendato noi ti vogliamo un pochino. Fermati:

v’ ha chi vuol conferir teco.

Bal. Che è questo? Chi dà noja ad un uomo pieno

d’ affari fino a’ capegli?

Cal. Uno che ti ha salvo.

Bal. Chi mJ ha salvo è morto, vive solo dii mi salva.

F ur. Troppo fumo!

Bal. Troppa noja!

Cal. Fermalo pel sajo; corrigli dietro.

Bal. Va, ragazzo.

F ur. Noi da questa banda ti piglierem la volta.

Bal. Che Dio t ’ affranca chiunque tu sii!

F ur. Io ti voglio.

Bal. E io nè 1’ uno nè 1’ altro. Volgiti per qua, o putto!

F ur. Non si può parlar teco?

Bal. Io non ne ho voglia.

Cal. E se fosse pel tuo meglio?

Bal. Si può, o non si può ire?

Fur. Deh, aspetta.

Bal. Lasciami.

Cal. Ballione, ascolta.

Page 392: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

B al. Surdus sum.Profecto inanilogistae.

Cà l. Dedi dum fuit.B al. N o n peto , quod dedisli.Cal. D abo, quando erit.B a l. D ucito , quando erit.Cal. Eheu, quam ego malis perdidi modis,

Quod tibi deluli et quod dedi!B al. M ortua

Verba re nunc facis. Stultus esj rem actam agis. P se. Nosce saltem hunc, quis est.B al. Ja m diu scio, qui fuil-, nunc qui is est, ipsus sciat.

Ambula lu.P s e . P o tin ’, u ti sem el m odo, Ballio , hunc cum lucro re-

spicias?B al. R espiciam istoc prelio: n am s i sacruficem sum m o

JoviAtque in manibus exla l en eam, ut porriciam, in­

terea lociS i lucri quid detur, polius rem divinam deseram. Non polest pielali obsisti huic, uliuti res sunt ceterae.

P s e . Deos quidem, quos maxume aequom est metuere,eos minumi facit.

B j l . Conpellabo. — Salve mullum, serve Athenis pessu-me.

P s e . Di te deaeque ament vel hujus arbitratu vel meoj Vel, si dignus alio pacto, neque ament neque fa­

ciant bene.B al. Quid agitur, CaUidore?Ca l. Am atur alque egelur acriter.Ba l. Misereat, si familiam alere possim misericordia.

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Bal.' Son sordo: voi non avete che eiance!Cal. Fin che ne ebbi i’ te ne ho dato.Bal. Del dato io no» te ne cerco.Cal. Darottcne ancora quando ne avrò.Bal. Solazzati quando nc avrai.Cal. Ahi a me tristo! in clic mali modi ho perduto e

quello che ti ho dato e quello che li lio porto.Bal. T u canti r ,esequie a’ porri: povero cucco, non vedi

che cerchi sangue dalle rape?Fcr. Guarda almeno in faccia costui.Bal. È buona pezza che io so chi fosse egli, chi sia

adesso, egli se lo saprà. Va tu.F cr. Non puoi no, o Ballione, guardar costui anco una

volta, avendone guadagno?Bal. L o guardo a questo patto: imperciocché, se mentre

io sono in sul fare un sacrifizio al gran Giove, e già mi stessero in tra le mani, per offerirle, le mi­nugia, alcuno venisse a darmi un po’ di guada­gno io lascerei piuttosto il sacrifizio. Divozion così fatta non si può preterire come le altre.

F ur. E’ fa degli dii che più si dovricno tem ere quel conto come di quel piè che non ha.

Bal. Mi volgerò. — Buon dì, o trista schiuma di servo.F ur. Che Dio ti dia quel bene che ti preghiamo io e

costui, e se lo vuoi fuor di cifera, che non ti amino, e che non ti (Ceno un bene del mondo.

Bal. Che si fa, o Callidoro?Cal. Amiamo, e siam nelle secche insino alla gola.Bal. N’ avrei pietà, s’ io potessi tener ritta la famiglia

colla misericordia.

Page 394: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

P se. Seja , scimus nos quidem te, qualis sis: ne praedi­ces.

Sed s c in q u i d nos volumus?B al. P o l ego propem odum : u l m ale sit m ihi.P sb. E t id et hoc, quod le revocam us, quaeso, an im um

advorte.B al. A u d io ;

Alque in pauca, ul occupatas nunc tum , confer,quid velis.

P sb. H unc pudet, quod libi promisit, quaque id promisitdie:

Quia tibi m inas viginli pro ' amica etiam non dedit. B al. Nimio id quod pudet, facilius fertur, quam illud,

quod piget:Non dedisse, iilunc pudet; me, quia non accepi, pi­

get.P se. A t dabit, parabit. Aliquot has dies manta modo:

N am hic id metuit, ne illam vendas ob simultatemsuam.

B al. Fuit occasio, si vellet, jam pridem argentum ul daret. Cal. Quid, si non habivi?B al. Amabas. Invenires mutuom,

A d danistam devenires, adderes foenusculum, Subriperes patri.

P se. Subriperet hic patri, audacissume?Non periclum est, ne quid recle monstres.

B al. Non lenonium est.Cal. Egon’ palri subripere possim quidquam, tam cauto

seni?Alque adeo, si facere possim, pietas prohibet.

Page 395: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

F ur. Vch! sappiala ben razza barbina di che tu sei: non dircelo colle trombe. Ma sai tu che vogliamo date?

Bal. Mei veggo in aria: che mi venga un canchero.F ur. E per questo, e per altro noi ti chiamiamo in­

dietro, ma deh bada ora a noi.Bal. Son qua. Ma stringi tu tte le parole in poche, im­

perciocché or sono occupatissimo.F ur. . Costui vedesi scornato che avendoti promesso le

venti mine, assegnandoti anche il giorno, per la sua amica, non te l’ ha date ancora.

Bal. Più presto si tollera vergogna ehe increscimento, ei vergognasi perchè non ha dato, perchè non ho ricevuto questo mi duole a me.

F ur. Ma te ne darà, nè sbrucherà in qualche modo: abbi pazienza questi pochi giorni: costui sentesi la mor­te addosso che tu la venda ad un altro per casti­garlo di questa mancanza di parola.

Bal. Avesse egli voluto, e il colpo non gli mancava per darmi questo denaro.

Cal. E se non ne ebbi?Bal. Amavi e basta, a prestito ne avesti avuto, se fossi

andato a qualche banco, dovevi porvi un micolin di baroccolo, dovevi raschiarne al padre.

F ur. 0 faccia di pallottola! Costui doveva raschiarne al padre, non v’ è pericolo che tu insegni a per­sona la buona via.

Bal. Non è di ruffiano.Cal. In qual modo poteva al padre grancir cosa del

mondo se egli è così stretto? Pognamo anche l’avessi potuto, la riverenza m 'av ria tenuto indietro.

Page 396: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

B j l . Audio.Pielalem ergo istam amplexator noctu pro Phenicio. Sed quoniam pietatem amori video tuo praevortere, Omnes homines libi patres sunì? nullus est tibi,

quem rogesMutuom argentum?

Cj l . Quid nomen quoque ja m interiit Mutuom.P se . Heus tu, postquamde hercule isti a mensa surgunt

saturi, poti,Qui suom repetunt, alienum reddunt nato nemini, A b alienis cautiores sunt, ne credaut alteri.

Cj l . Nimis miser sum: numum nusquam reperire argentiqueo:

ita miser et amore pereo el inopia argentaria.B j l . Eme die coeca hercle olivom; id vendito oculata die:

Jam hercle vel ducentae jieri possunt praesentes m i­nae.

Cj l . Perii/ an non tum lex me perdii quina viccnnaria?Meluont credere omnes.

B al. Eadem est mihi lex: metuo credere.P se. Credere autem? Eho, poenilet te, quanto hic fuerit

usui?B al. Non est justus quisquam amator, nisi qui perpetuat

data,Dalque usque, et quando nihil sit, simul amaì'e de­

sinit.CAL.Nilne m ei m iseret te?B j l . Inanis cedis: d ic ta non sonant.

Atque ego te vivom salvomqne vellem.P s e . Eho, an jam mortuosi?B j l . Utut est, mihi quidem profecto cum iilis diclis mor­

tuosi.

Page 397: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Bal.

Cal.

F ur.

Cal.

Bal.

Cal.

Bal.F ur.

Bal.

Cal.Bal.

F ur.

Bal.

Buon pro; c per ciò la notte goditi questa rive­renza invece di Fenicia. Ma dappoiché tu sc’pendente più alla riverenza che all' amore ti sono forse pa­dri tutti gli uomini? Non hai tu persona cui chie­dere un quattrino a mutuo?E già morta questa parola di mutuo.Noi sai tu ancora? Questi nostri, i quali non si lievano mai brilli e satolli se prima non hannoil loro e non restituiscono 1’ altrui a uomo vivo, si sono fatti più cauti a spese d’ altri in non voler fidarsi di persona.In quali forbicie son io! io non so dove trovar da­naro: così io mi muojo e d 'am ore e di mancanza d’ argento.E tu fa questo; compra dell’ olio a credenza, e vendilo a pronti contanti, tu puoi rastrellare in un attimo anche duecento mine.Tristo a me! Non mi correbbe la legge de' venti­cinque anni? la parola credenza fa paura a tutti. Questa legge holla anch’io, temo di fidarmi troppo. Di fidarti troppo? Dimmi te ne spasima forse del buono che ti ha dato costui?Amante non vi ha che per esser giusto non sia continuo ne’ doni, egli ne dà finché ne ha, e quando è in stremità di ogni cosa, ei si divezza dal fare all’ amore.Non hai misericordia di me?Scusso tu sei, e le chiacchere tintin non fanno.Io per verità vorrei vederti vivo e salvo.E forse morto egli?Sia come si voglia, per me egli con queste su*

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Eloco vixit amalor, ubi lenoni neplacel.Semper lu ad me cum argentata accedito querimonia: N am istoc, quod nunc lamentare, non esse argen­

tum tib i,.A pud novercam querere.

P s j . Eho, an unquam lu hujus nu­psisti pa tii?

B j l .D ì melius faciant!P s e . Fac hoc, quod te rogamus, Ballio,

Mea fide, si isti formidas credere: ego in hoc hiduo A u t terra aut marid alicunde evolvam id argentum

tibi:B j l . Tibi ego credam?P se. Cur non?B j l . Quia pol, qua opera credam tibi,

Una opera adligem canem fugitivam agninis lactibus. CJL.Siccine m i abs te bene merenti male refertur gralia? B j l . Quid nunc vis?Cj l . Ul opperiare hos sex dies saltem modo,

Ne illam vendas, neu me perdas hominem amantem. B j l . A nim o bono es:

Fel sex mensis opperibor.Cj l . Euge, homo lepidissime!B j l .Im o vin‘ etiam te faciam ex laelo laetantem magis? Cj l . Quid ja m , Ballio?B j l . Quia enim non venalem habeo Phoenicium.Cj l . Non habes?B j l . Non hercle vero.Cj l . O Pseudole, arcesse hoslias,

Ficlimas, lanios; ul ego huiic sacruficem summo Jovi: Nam hic mihi nunc esi tnullo polior Jupiler, quam

Jupiler.

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ragia è morto affatto. Quando al pollastriere più non piace l’amante, questo si può dire pas­sato dai vivi. Su liiii querimonie d’ Argento vieni a me, imperciocché dicendomi queste larncntolc di non aver bajocchi tu li lagni della matrigna.

F u r . Ohi e ti se’ forse sposato al padre di costui?B a l . Che meglio il ciel mi dia.F ur. Ora, o Ballione, tu fa il voler nostro, abbi fede

in me se poca ne hai in costui, io in questi tre di da qualche luogo, o in terra o io mare saprò disseppellirli questo denaro.

Bal. Di te mi fiderò io?F ur. Perche no?Bal. Poffar il mondo! e come avrò io fede in te? io

legherei un can fuggiasco co’ salsicciuoli.Cal. E di lai pago rimuneri i miei buoni servigi?Bal. Che vuoi ora?Cal. Che tu lasci passare questi sei dì almeno senza

venderla, se non vuoi assassinare questo innamo­rato.

Bal. Piglia animo, aspetterò anche sei mesi.Cal. Viva., tu se’ proprio una perla d’ uomo.Bal. Anzi vuoi tu che ti metta in cielo dalla gioja?Cal. In quel modo, Ballione?Bal. Io non vendo più Fenicia.C v l . Non la vendi?I ì a l . Da valentuomo.Cal. 0 Furbo, conducimi qua oslie vittime e beccai; af­

finchè io faccia un sacrifizio a questo sommo Giove; imperciocché questo Giove a me è ben più caro dell’ altro.

Vol. IV. Plaut. 26

Page 400: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

B j l . Nolo victimas; minumis med exlis piacari volo. Cal.Propera, quid stas? arcesse agnos! A u d in , quid ait

Jupiler?PsK.Jam hic eroj verum exira porlam Meliam curren­

dum est prius.Cjl . Quid eo?P s e . Lanios inde arcessam dito cum tintinnabulis j

Eadem duo greges virgartim inde ulmearum adegero, Ut hodie ad lilalionem huic suppetat salias Jovi.In malam crucem islic ibit Jupiler lenonius.

B jl. Ex tua re non est, ul ego ecmoriar.Pse. Quidum?B jl . Ego dicam libi;

Quia edepol dum ego vivos vivam, nunquam erisfrugi bonae.

P se . Ex tua re non est, ut ego ecmoriar.B jl . Quidum?P sb. Sic: quia,

S i ego ecmortuos sim, Athenis te sil nemo nequior. Cj l . Dic mihi, obsecro hercle, verum serio hoc, quod te

rogo:Non habes venalem amicam lu meam Phoenicium?

Bal.Non edepol habeo profecto: nam jampridem vendidi, Ca l. Quomodo?B j l . Sine ornamentis, cum intestinis omnibus.Cj l . Meam tu amicam vendidisti?B j l . Faldej vigilili minis.C ji.F ig in li minis?B a l. Utrum vis, vel qualer quinis minis.

Militi Macedonio. Et ja m quindecim habeo minas,

Page 401: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Bal. Non voglio viti ime, io mi fo placare con budel­lame di poca spesa.

Cal. Spacciati, che fai tu qui? Togli gli agnelli, se’tu sordo alle parole di Giove?

F ur. Io son qua in un attimo, ma prima ho da correre fuor porta Mezia.

Cal. Perchè là?F ur. Per chiamar due beccai coi sonagli; o nello stesso

punto condurrò due greggie di buone vergole d’ olmo, perchè questo Giove sia placato a suffi­cienza: andrà in brandelli questo Giove ruffianesco.

Bal. Non è del tuo bene che io muoja.F ur. Perchè?Bal. Dirottelo: perchè fintanto che io sono tra vivi tu

non sarai un galantuomo.Fur. Neppur tu avrai vantaggio dalla morte mia.Bal. Per qual cosa?F ur. Eccotela, perchè, morto io, in Atene non vi saria

mariuolo più schiumato di te.Cal. Quello che ti cerco dillomi adunque una volta, ma.

col miglior senno del mondo: non vendi Fenicia 1' amante mia?

Bal. Non lo posso proprio; imperciocché è già buon tem­po eh' io 1’ ho venduta.

Cal. Come?Bal. Senza gli ornam enti, con tu tte le burella.Cal. Tu hai venduta l’ amica mia?Bal. E bene: per venti mine.Cal. Per venti mine?Bal. Come vuoi, o per quattro volte cinque mine, a un

soldato di Macedonia. Ilo già in mano quindici mine.

Page 402: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Cj l . Quidj quid, quid, ego ex led audio?B al. Am icam tuam e»se faciam argenteam.Cj l . Cur id autut facere?B jl . Lubuit: mea fuit.Cj l . Eho, Pseudole,

I , gladium adfer . . .Pse. Quid opus gladio?Cal. Qui istunc occidam atque me.P se. Quin tu led occidis potius? nam hunc fames jam

occiderit.Cal. Quid ais, quantum in terra degit, (A) hominum

perjurissume? Juravislin’, te illam nulli venditurum, nisi mihi?

BjL.Futcor.Cal. Nempe conceptis verbis.B j l . Eliam consultis quoque.Cal. Perjuravisti, sceleste!B al. A t argentum intro condidi.

Eyo scelestus nunc argentum promere potius sumdomoj

Tu, qui pius es, istoc genere gnatus, numum nonhabes.

Cj l . Pseudole, adsiste altrintecus, alque hunc onera ma-- lediclis.

Pse. Licet.Nunquam ad praetorem aeque cursim curram, ut

emittar manu.Cj l . Ingere mala mulla.Pse. * Jam ego te differam dictis meis,

In pudice!B al. Ita est.

Page 403: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Cal.Bal.Cal.Bal.Cal.F ur.Cal.F cr.

Cal.

Bal.Cal.Bal.Cal.Bal.

Cal.

F cr.

Cal.F ur.

Bal.

Che, che, che, sento io da te?Che la tua amasia si è fatta d’ argento.£ perchè fosti oso a tanto?Perchè n’ ebbi voglia; era mia.Oh, Furbo, Corri portam i un coltello.Un coltello? a qual uopo?Per ispacciar dal mondo me e costui.£ perchè a ghiado non vi ammazzate voi? Coitui presto se lo becca la fame.Marran ribaldo, più di quanti stan sotto la cappa del sole., che cose son queste: e non hammi tu giurato, che a nullo venduta l’ avresti se noa a me?Vero.£ con un giuramento de’ meglio solenni?£ aggiungi de’ meglio pensati.E hai spergiurato, manigoldo?Ma hommi intascato 1’ argento: io che sono ua sacrilego da casa mia posso tirar fuori denari a mio grand’ agio; tu che hai del santusse, che sei di tanta nobiltà, non ti trovi un ladro nella sac­coccia.Va da quella banda, o Furbo, e di’ a costui ua carro di vituperi.Subito, non volerei sì ratto al pretore perchè mi facesse franco.Digli villanie da cane.Ornai vo’ farti in brani cogli improperi, impu­dico!Così è.

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(106P se. Sceleste!B a l. Dicis vera.P sb . Verbero!B al. Quippini?Cal. Bustirape!B al. Certe.Cal. Furcifer!B al. Factum optume!Cal. Socio frude!B al. Sunt mea eccista.P se. Parricida!B a i . Perge tu. *P se. Sacrilege!B al, Fateor.Ca l. Perjure!B al. Vetera vaticinamini.Cal. Legirupa!B a l. Valide.P sb. Pernicies adulescentum!B al. A cerrim e.Cal. Fur!B al. Babae!P sb. Fugitive!B al. Bombax!Ca l. ' Fraus popii!B al. Planissume!P se. Fraudulente!Cal. Inpure /eno/P se. Coenum!B al. Caniores proboslCal.Verberavisti palrem atque matrem.

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F cr. Traditore!Bal. Questo è vero?F ur. Schiena da botte!Bal. Perchè no?Cal. Spoglia sepolcri!Bal. Certo.Cal. Manigoldo!Bal. Benissimo!Cal. Gabbamondi!Bal. Mio anche questo.F ur. Parricida!Bal. Va tu innanzi.F ur. Sacrilego!Bal. Egregiamente.Cal. Spergiuratore!Bal. La è cosa vecchia.Cal. Graffiateggi!Bal. Viva!F ur. Peste della gioventù!Bal. E della più fina.Cal. Ladro!Bal. Ahu!F ur. Fuggiasco!Bal. PunfT!Cal. F raude del popolo!Bal. Verissimo!F ur. Commettimale!Cal. Ciacco ruffiano!F ur. FangolBal. Viva! siete bene in zolfa.Cal. Hai bastonato il padre e la madre.

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h u . Atque occidi quoquePotius} quam cibum praehiberem. Num peccavi

quidpiam?Pse. In pertusum ingerimus dicta dolium; operam lu­

dimus.B jl Numquid alium me etiam vollis dicere?Cj l . Ecquid te pudet?B jl . Ted amalorem esse inventum inanem, quasi cassam

nucem.Sed quamquam mulla malaque in me dicta dixistis

modo,Nini mihi jam attulerit miles quinque, quas debet

minas,Sicul haecce praestituta summa est argento dies,

*S i is non aderit, posse opinor facere ego officium

metim.Cal. Quid id est?B j l . S i tu argentum attuleris, cum illo perdiderim

fidem.Hoc meum est officium. Ego, operae si sitj plus

tecum loquar jSed sine argento frustra est, quod me tui misereri

postulas.JIaec mea est sententia, ut tu hine porro, quid

consulas.CjL.Jamne abis?B jl . Negoli nunc sum plénus: paulo post magis. — Pse. Illic homo meus estt nisi omnes di me atque ho­

mines deserunt,Exossabo ego illm c simulter itidem, ut muraenam

cocus.Sed nunc, Cailidove. operam le mihi volo dare.

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Bal. E gli ho anche ammazzati piuttosto che dar loro

le spese. Ho falto io cosa di male?

F ur. Noi empiamo una botte fessa, diam l’ incenso al

grilli.

Bal. Non mi volete voi dir altro?

Cal. E di che senti vergogna?

Bal. D’ aver trovato in te un amante biullo, come

una noce cassa. Ma avvegnacchè dette me ne abbiate

tante e b ru tte , se il soldato questo dì non mi arreca

le altre cinque mine che mi deve, essendo oggi

il dì stabilito al pagamento, se egli dico non viene,

io mi credo in diritto di fare il dover mio.

Cal. E qual è.

Bal. Cotesto: portami tu il denaro, e io manco di fède à

lui. Altre cose ti direi se avessi tempo. Non persua­

derti che di te io abbia misericordia, chè senza

quattrini tu ari il lido. Ora sai mente che sia la

mia, da questa tranne tu partito.

Cal. Sì tosto te la cogli?

Bal. Io ho faccende fm sopra il capo: dopo ne avrò

più ancora. —

F ur. È mia la starna se pure non mi danno uno scam­

bietto tutti gl’ Iddii e gli uomini, gli caverò 1’ ossa

come fa il cuoco alle murene. Ma ora, o Callidoro,4

io voglio che mi diate mano.

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Cj l . Ecquid imperas?P se .Hoc ego oppidum admoenire, ut hodie capiatur,

volo.A d eam rem usust hominem astutum, doctum, sci­

tum et callidum.Qui imperata ecfecla reddat, non qui vigilans dor­

miat.Cj l . Cedo mihi, quid es facturus?P s b . T em p eri ego fa x o scies:

N o lo bis ilerari: sa t sic longae fiu n t fabulae.Cj l . Optumum atque aequissumum oras.P se . P ro p era t adduc hom inem cito.

Pauci sunt amici ex multis, homini qui certi sient. Cj l . Ego scio istuc.P sb. Ergo utrimque tibi nunc delectum para:

E x illis exquaere multis unum, qui certus siet.Cj l . J a m h ic fa x o aderit.P s e . P o tin ’, u l abeas? tib i moram dictis creas.

SC E N A ir.%

P se u d o lu s.

Postquam ille hine abiit, tu adstas solus, Pseudole/Quid nunc acturus, postquam herili filio Largitus dictis dapsilis? ubi sunt ea?Quoi neque parata gutta certi consili,Neque adeo argentij neque nunc, quid faciam, scio, Neque, exordiri prim um unde occipias, habes, Neque detexundam ad telam certos terminos.Sed quasi poeta, fabulas quom cepit sibi,

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G a l . Che ordini sono i tuoi?F ur. Io vo’far tanti approcci a questa fortezza, che oggi

1' ha da esser presa: per questo fammi mestieri, un uomo che abbia del volpigno, che sia furbo, scaltro, e ben trincato, il quale mi dia compiuto quanto gli ordino io, e non u n moccolone il quale dorm a cogli occhi aperti.

G a l . Dimmi adunque, qual è il colpo die tiri? 'F ur. U saprete a. tempo, non vo' dirlo due volte; le com­

medie in questa guisa sono ' lungagnole che più non finiscono.

Cal. Tu parli da valentuomo.F ur. Corretel conducetemi qua l ' uomo: pochi dei molti

sono all' uomo i veri amici.Cal. Sapevamcelo. ,Fur. E s ì adunque voi fate le vostre leve tra quei

coscritti cercatevene uno che sia fidato.Cal. Ei sarà qui a momenti.F ur. Àncora voi siete qui? Con queste storie vi fuggi-

riano i pcsci cotti.

SCENA IV.

F urbo.

Egli se ne ito, e tu, Furbo mio, ti vedi solo! Che sarai per fare adesso che al padroncino hai proferito e Roma e Toma? Dove l’hai tu questa cuccagna? Tu non hai gocciola di buon consiglio, nè cica d’argento; nè sai come farti all' opera, nè hai un bandolo da svol­gere la matassa, nè un capo certo ove fornir la tua tela. Ma io farò come il poeta, appena egli

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Quaerit, quod nusquam est gentium, reperii tamen. Facti illud verisimile, quod mendacium esi:Nunc ego poeta fiam: viginli minae Quae nusquam nunc sunt gentium, inveniam tamenf Atque huic jam pridem ego me daturum dixèram, A c volui injicere tragulam in nostrum senem;

. Ferum is nescio quo pacto praesensit prius.Sed comprimenda est m ihi vox atque oratio. Herum eccum Simonem videod huc una simul. Cum tuo vicino Calliphone incedere.E x hoc sepulcro vetere viginli minas Ecfodiam ego hodie, quas dem herili filio.Nunc hue concedam, ut horunc sermonem legam.

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piglia la penna, cerca quanto non tì ha in alcun paese, eppure ei lo trova. Egli vende per vere le fole più madornali: sì farò anch' io, le venti mine che ora non si veggono nemmeno in sogno, saprò tro­varle alla fede mia: le aveva già promesse a costui, e sentiami una voglia non poca di carrucolar il no­stro vecchio, ma non so io come n’ abbia potato avere egli sentore. Ora è duopo ch’ io mi taccia, ecco qui venire a questa volta il padron Simone con Callifone suo prossimano. Scaverò ben io da questo sepolcraccio in ' rovina le venti mine per dare al padroncino. Mi tirerò qua. e a costoro starò raccogliendo i bioccoli.

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a c r u s ii.SCENA I.

S im o, C jL L ifB O , P se u d o lu s.

S ia . S ì de damnosis, aut si de amatoribus Dictator fìat nunc Athenis Allicis,Nemo antecedat filio, er edo, meo:Ila nunc per urbem solus sermo est omnibus,Eum velle amicam liberare, et quaerere Argenlum ad eam rem. Hoc alii mihi renuntiant, Alque id ja m pridem sensi ct subolei mihi.

P se . Occisa est haec resj haeret hoc n ego tium /Quo conmeatum volui in argentarium Proficisci, ibi nunc oppido obsepta est via. Praesensit: nihil est praedae praedatoribus.

Cj l . Homines qui gestant quique auscultant crimina,S i meo arbitratu liceat, omnes pendeant,Geslores linguis, auditores auribus.Nam islaec, quae libi renuntiantur, filium Te velle amantem argento circumducere,Forsilan ea tibi dicta sunt mendaciaj Sed si vera ea sunt, ul nunc mos esi, maxume, Quid m irum fecit, quid novom, adulescens homo, S i amat, si amicam liberal?

P s e . Lepidum senem/S im . Veius nolo fa c ia t.Ca l . A t en im nequidquam nevis.

Vel tu 1 ie faceres tale in adulescentia /

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ATTO II.

SCENA I.

Simone, CallifonEj F urbo.

Sm. Se qui nell’ Attica Atene si volesse ora far* un soprantendeute agli sparnazzatoti o a’ cianghellini, niuno io credo potria andare innanzi al mio figliuolo: ei solo ora è venuto la favola del mondo, si- va dicendo eh* ei vuole far libera l ' amica, e che per questo cerca egli i quattrini. Tal cosa vengono altri a dirmela, ma gli è un secolo che io la so, e che me n ' è venuto 1’ odore.

Fur. Addio fave! il cielo si fa brusco, dove a far pro­vista d’ argento ire io voleva, mi veggo impaccia* ta la strada; ei se n ' è avvisto: mal si ruba a casa dei ladri.

Cal. Se fosse in mia mano io appiccherei tutti quelli che riportano, o che ascoltano i fatti altrui, gen­te solo di lingua e di orecchi. Imperciocché quello che li riferiscono: cioè che il figliuolo per questo suo amore ti voglia mugner dello argento; po­tria forse essere una frottola; ma fosse anche vero, secondo la moda d ' oggi, che meraviglia, che novità è in un giovane, se fa all’amore, se fran* ca la sua amica?

F ur. Oh bel senno di vecchio!Sin. Io non vo’ pigli esempio da vecchi.

>Cal. Sì, ma dai in un sacco rotto. E non hai tu fallo altrettanto, quando eri giovane? Fa duopo eh* iia

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Probum palrem esse oportet, qui gnatum suom Esse probiorem, quam ipsus fuerit, poslutel.N am lu quod dam ni et quod fecisti fiagili,Populo viritim potuit dispartirier.Idne tu m iraris, si patrissat filius?

P s b . & Z e v , quam p a u c i estis hom ines com m odi!Hemj illuc est palrem esse, ut aequom est, filio/

S im . Quis hic loquitur? Meus quidem hic est servos Pseu­dolus.

H ic m ihi conrumpit filium , scelerum caput;Hic duxj hic illi est paedagogus: hunc ego Cupio excruciari.

Cj i . Jam istaec insip ien tia est,S ic iram in promtu gerere. Quanto satius est Adire blandis verbis, alque exquaerere;Sini illa necne sint, quae libi renuntiant?Bonus animus in mala re dimidium est mali.

S im. Tibi auscuUabod.P s e . I tu r ad te, Pseudole:

Orationem tibi para advorsus senem. —Herum saluto prim um , ul aequom est; postea,S i quid supersit, vicinos inparlio.

S im. Salve. Quid ayilur?P s e . Slalur hic ad hunc modum.S im. Statum vide hominis Callipho, quam basilicum!Cj l . Bene coufidenlerque adstitisse intellego.P s e .D ecet innocentem , qui s it, alque in n o x iu m

Scrvom superbum esse apud herum polissumum.

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ben stalo un dassajuomo qncl padre, il qual vuoto il figliuolo più dabbene di quanto sia stato egli. Tu hai lauto giltato, e tante ribalderie hai lu b i ­le, clic ogn’ uomo del popolo u’ avrebbe le bisac- eie colme: e tu vai fuor a del secolo se il figliuolo simiglia al padre?

F ur.. Poter di Dio, in quanto poco novero siete, o uo­mini discreti! Ecco c<Tmc esser dovria un padre col suo figliuolo!

Sim. Chi parla qua? egli è Furbo mio servo. Ecco la ca­lvezza che strozza il collo al mio figliuolo! Questi è il suo duca, questi è il suo maestro, a costui desidero io far fuori la pelle.

Cal. Ecco una bestialità, pigliar la muffa ad ogni tra t­to: quanto più buon saria farsegli davanti colle amorevoli, e cercarlo se vere siano o no le cose che ti si annunziano: il buon animo i travagli am­mazza.

Sim. Farò a modo tuo.Fin. E' vengono a te, o Furbo: mulina in capo come

puoi farti testa a testa col vecchio. — Anzi ogni cosa salute al padrone; e se 11’ avanza, nc godano un poco anche i vicini. -

Sui. Addio, che si fa?Fin. Noi stiam qua così.Sui. Ve’ Callifone regai postura d’ uomo!Cal. Ben veggo io perchè ti s’ è messo con tanla

confidenza,F ur. E sì far deve un servo innocente e senza colpa,

ci deve aver faccia franca, e specialmente davantiil padrone.

Vol. IV. P lau t. 27

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Cà l .S uìiIj quae (e volumus percontari, quae quasi

Per nebulam nosmel scimus, alque audivimus.

S w . Conficiet ja m le. liic verbis: ut tu censeas

JYon Pseudolum , sed Socratem , lecutn loqui.

P s e .Ita est, Jampridem Iti me spernis, senlioj

Parvam esse apud te mihi fidem, ipse intellego

Cupis me esse nequam, tamen cro frugi bonae.

S is . Fac sis vacivas, Pseudole, aedis aurium4

Mea ut migrare dicta possint, quo volo.

P s e . Age, loquere quidvis, tametsi tibi stiscenseo.

S iu .M ihin ' domino servos tu suscettses?

P se, Nam tibi

M irum id videtur?

S jm- Hercle qui, ut tu praedicas?

Cavendum est m i abs te irato, haudque alio lu

modo

Me verberare, alque ego te soleo, cogitas,

Cal. Quid censes? Edepol merito esse iratum arbitror,

Quom apud te stet parum fides,

Siff, Jam sic sino:

Iratus sil; etjo, ne quid noceat, cavero,

Sed quid ais? quid hoc, quod te rogo?

P s e , S i quid vis, roga.

Quod scibo, Delphis tibi responsum dicito.

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Cal.

Sui.

F cr.

Sim.

F ur.

Sin.

F ur.Sui.

C lL.

Sui.

F ur.

Abbiamo noi certe coscrelle a farli diciferare, cui noi sappiamo in confuso e abbiamo udite.Costui ti farà una bibbio: non più con Furbo, ma ti parerà d’ essere in discorso con Socrate.Cosi è. Già da buon tempo voi fate niun conto di me; sonimene accorto; veggo che appo voi io sono senza fede; voi avete una voglia marcia di voler­mi tristo, pur tuttavia io sarò della miglior pasta del mondo.Ora, o Furbo, fammi che sieno sgombere le tue. orecchie, perchè possano pigliarvi stanza quelle parole che io voglio.Or su, dite pur franco, avvegnacchè con voi io sia un po’ riversaticcio.Tu servo devi esser indegnato meco che ti son padrone?E meravigliate voi?Potcnzinterra! conforme tu canti girerommene lar­go dalla tua collera, forse tu pensi toccarmi di qualche tentennate diverse da quelle onde io soglio trovarti le osfca.Che pensi tu? In fe’ della vita mia che, se 1’ ha teco, ci non 1’ ha al torto, avendo tu in lui così poca fede.Lasciamola ire, tengasi egli il suo corruccio, io mi guarderò perchè non m’ abbia a nuocere. Ma che hai tu? che mi di’ intorno a quello che ti cerco?Se volete qualcosa dimandatene, dite quello che vi dico esservi un responso di Delfo.

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S m . Adcorte ergo anim um , et fac sis promissi memor. Quid ais? ecquam scis filium tibicinam Meum amare . . .

J ’sk. N a t ya g (%>).S im . Liberare quam velit?P sE .K a i t ovto v a i y a $ (6)S im . Ecquas viginli minas

Per sycophantiam alque per doctos dolos.Paritas ul auferas a me?

P s e . Abs te ego auferam?S im . Ila , quas meo gnato- des, qui amicam liberet?

Falere? Dic. (1)P se, K a t rovro vai! xa i t o v t o va tfS im. Falctur! D ixin’, Callipho, dudum libi?Ca l . JUemini.S im, Cur haec, ubi tu rescivisti eloco,

Celata me sunl? cur non rescivi?P se, Eloquar:

Quia nolebam ex me morem progigni malum, Herilem ut servos criminaret apud herum.

S im . Juberen* hunc precipilem in pistrinum trahi?Ca i . Numquid, Sim o, peccatum - est?S im. Imo maxume.P s e . Desiste: recte ego rem meam sapio, Callipho.

Peccatali‘ e.a sunl? Anim um advorle nunc jam , Quapropter nati amoris expertem habuerim. Pistrinum in mundo scibam, si id faxem , mihi.

S im . Non a me scibas pistrinum in mundo tibi,Quom ea mussitas?

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Sim.. Bada adunque: fa di non ismemofarti della prò» messa: che non mi rispondi? Qual tu sai di queste suonatrici essere meglio in cuore al inio figliuolo . . .

Fur. Questo so io.Sim. Cui egli voglia far franca?Fur. E questo ancora io so.Sm. E che colle tue ragie, e colle tue trappole ti ap­

parecchi a rubarmi venti mine?Fur. Io rubarle a voi?S im. Certo! Per darle al figliuol mio, a ciò cavi di

servo la sua bella? vuoi confessarmelo? dillo.Fur. E questo è vero: vero come son vivo.Sim. Non lo confessa egli? E non te l’ho detto pur mo',

o Callifone?Cal. Ricordami.Sim. E perchè tenermelo chiuso (piando I' hai saputo?

Perchè non mi si disse nulla?F ur. Dirovvelo: perchè non voleva che venisse da me

la b ru tta usanza che il servo si facesse appo il padrone la spia de’fatti del figliuolo.

Sim. E non ti verrebbe voglia di cacciar costui in una macina?

Cal. E che male ha fatto egli, o Simone?Sim. Uno grandissimo.F ur. Oh finitela, queste cose ben me le so io, Callifone.

Son mancamenti cotesti? Uditemi adesso perchè[v; v’ abbia celati io gli amori del figliuolo: se gli

avessi detto vedea in aria che la macina ra’ era aperta.

Sim. E non te la vedevi che 1’ avresti avuta istesia- mente tacendomelo?

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422P se . Scibam.S in . Cur non diclum est mihi?P se . Quia illuc m alum aderat, itine oberai longiusj

Illud erat praesens, huic erant dieculae.S im . Quid nunc agelis? nam hinc quidem a m e non

poleslArgentum auferri, qui praesertim senserim.Ne quisquam credat num um , ja m edicam omnibus.

P se . N um quam edepol quoiquam supplicabo, dum qui­dem

Tu vives,- lu m ih i hercule argentum dabis:Abs te equidem sumam.

S im . T u a me sumes?P se. Strenue.S im . Excludito m i hercle oculum , si dedero!P s e . Dabis.

Jam dico ul a « te caveas.Cj l . Certe edepol scio:

S i abstuleris, m irum et m agnum facinus feceris. P s e . Faciam.S im. S i non abstuleris?P se . Firgis caedilo.

Sed qui, si abstulero?S im. Do Jovem leslem tibi,

Te aetatem impune habiturum.P s e . Facito, ul memineris.S im. Egon’ ul cavere nequeam, quoi praedicitur?P s e . Praedico ul caveas. Dico , inquam, ut caveas. Cave.

JTem, istis mihi lu hodie manibus argentum dabis! Cal. Edepol mortalem graphicum, si servat fidem!

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F ur. Vedevo anche questo.Si». Perchè tenermi lnijo?F ur. Perchè questo male eranii alle spalle, quello sta-

vanii più dalla lunga, quel male 1’ aveva pronto, questo aveva un po’ d’ intervallo.

Sim. £ ora che fate voi altri? da questa mia scarsella voi non potete trafurarm i un soldo, perchè meri sono avvisto: e ornai andrò gridando a tutti clic non vi fidino un quattrinello.

P u r . Vengami 1’ aflbgaggine, se, tanto quanto voi avete fiato, io frusto persona: egli è vero come son qui, che chi snocciolerà 1* argento Sarete voi, da voilo prenderò io.

Sim. Tu lo torrai da me?F cr. Da valentuomo!Sim. Cavami un occhio se io te ne do.F cr. Darete. Anzi ve lo dico perchè m’ abbiate occhio.Cal. Pollar il mondo! se tu ci vieni a capo faresti pur

la memoranda impresa,F cr. Farò.Sim. E se non ci arrivi?F or. Scuojatemi sotto le verghe. Ma e se vengo a capo

di grancirvelo?Sim. Ti do Giove in testimonio che te la passerai netta.F or. Ma non dimenticarvene.Sim. Dimenticarniené io, dopo tanto ribadirmi in capo

che me ne guardi?F or. E ve lo dico guardatevenc, e guardatevene ben*.

Oggi con queste vostre mani voi mi snoccioleretei quattrini.

Ca l, Egli è pur cima di V a len tu o m o se mantiene la parola.

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P se . Servitum libi me abducito, ni fecero.( ' a i . Bene alque amice dicis.S im. N am nunc ja m meust.P s e . F in ' eliam dicam , mage quod vos m irem in i?Cai,. Studeo hercle audire: nam ted ausculto lubens.Sm . Agedum: nam salis lubenter te ausculto loqui.J ‘s e. Priusquam islanc pugnam pugnabo ego, etiam

priusDabo aliam pugnam claram el conmemorabilem.

S im. Quam pugnam?Pse. Ilem , ab hoc lenone vicino tuo

Per sycophantiam alque'per doctos dolos'Tibicinam illam, tuos quam gnatus deperit,Ea circumducam lepide lenonem.

S im . Quid est?P se . Ecfeclnm hoc hodie reddam utrumque ad vesperum. S im . Si quidem islaec opera, ut praedicas, perfeceris,

Firlute regid Agathocli antecesseris.Sed si non faxis, numquid causae esi, eloco Quin te in pistrinum condam?

P s e . Non unum diemjFerum hercle in omnis, quantum est. Sed si eefe-

cero,Dabin" m i argentum, quod dem lenoni3 eloco Tua voluntate?

Ca l. Jus bonum orat Psetidolus:Dabo, inque.

S im . A t enim s c i n q u i d m ihi in mentem venit?Quid si hice inter se consenserunt, Callipho,Aut de conpaclo faciunt consulis doliSj Qui argento circumvorlal?

Page 423: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Fun. Tenetemi al vostro servizio se non vi arrivo.Cal. Tu parli bene c d’ amico.Sim. Sì, ma egli è mio da un pezzo.F ur. Volete che vi dica altro io per cacciarvi la mente

o ltre le stelle?Ca l. P a r la : io n’ ho una gran vòglia; io gongolo in

udirti.Sim. Escine. Ornai tu me ne hai fatto venire l’acqua in

bocca.F ur. Prima che m* allacci questa giornea, io venir vo­

glio ad un altra battaglia «hiara c memorabile.Sim. Qual battaglia?Fra. Eccovela: colle mie trappole, e co’ miei tranelli io

vo’ fischiar via da questo ruffiano vicin vostro la pifarina della quale il figliuol vostro va tanto cot- liccio.

S im. Che s to r ia è q u es ta?F ur. E 1* una e 1’ altra cosa vi darò compiuta prima

di sera.Sim. Se tu conduci a compimento quanto racconti

mi sfati la virtù del re Agatocle. Ma se noi fai, che verravvi in mezzo acciò di botto non ti mandi al molino io?

F ur. E non mi lasciate dentro un giorno solo, ma tutto il tempo di mìa vita. Ma se riesco a tutto, mi darete voi di vostra voglia il denaro da sonare a quel j>ortapolli ?

Cal. Furbo non domanda cosa ingiusta, or via, darot- telo, rispondi.

Sim. Ma sai tu cosa che mi soccorre ai pensiero? E se costoro ,.o Callifone, si sono spartito il sale, p e r lcpparmi coi loro imbrogli questo denaro?

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Pse. Quis me audacioi%S i facinus isluc audeam? Imo si sumus Conpactij sive consilium unquam inivimus,A ni si de ea re unquam in ter nos convenimus, Quasi in libro quom scribuntur calamo lilerae, Slilis me tolum usque ulmeis conscribito.

S m . Indice ludos nunc jam , quando lubet.P se. Da in hnue diem operam, Callipho, quaeso, mihi:

Ne quo te aliud occupes negotium.Cal. Quin, rus uti irem, ja m heri conslituveram . . . Pse. A t nunc disturba, quas statuisti, machinas.Cjl . Nunc non abire certum est istac gratia:

Lubido est hidos tuos spectare, Pseudole.Et si hunc videbo non dare argentum tibi,Quod dixit, polius quam id noti fiat ego dabo. .

S iu . Non demulabo.Pse. Nam que edepol, si non dabis,

Clamore magno el mullum flagitaberq.Agile, am olim ini hinc vos intro nunc jam ,A c meis vicissim date locum fallaciis.

S ia . Fiat.Cj l . Geratur mos libi.Pse. Sed ied volo.

Domi usque adesse.S im . Quin tibi hanc operam dica.Cj l . A t ego ad forum ibo. Jam hic adero.S im . Aclulum redi.Psb . Suspicio est mihi, nunc vos suspicar ier,

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F ur. Chi sarebbe più temerario di me,, se avessi viso da far questo? Anzi se d’accordo noi siamo, se preso abbiamo qualche consiglio, o se di questo re­stammo noi convenuti in qualche intelligenza, allo stesso modo che in un libro ,si scrivono le lettere, voi scrivetemi tutta la pèllè eoi calami dell’ olmo.

Sui. Quando ti piace ora dà pure il segno de’ giuòchLF ur. Deh voi, o Callifone, io prego in grazia, in questo

di non istate a fallirmi dèli' opera vostra, nè pigliate altra faccenda in tra le mani.

Cal. Fin da jeri io pensato aveva di andare in villa . . .F ur. Ma o ra disfate quel pensiero d ie avete fatto.Gal. Oggi per questo io son fermo di non mi muovere;

io ho una gran voglia, o Furbo, di vedere questi tuoi giuochi. E se io vedrò costui duro a non volerti dare i quattrini che ti impromise, piuttosto che 1’ affare vada in capperucda, te li darò !o.

Sui. Non mi riputerò.Fur. Se voi non me li darete vi griderò tanto nelle

orecchie, che voi rim arrete intronato. Su, sbrattate ornai di qui, e lasciate luogo alle mie trappole.

Sim. Si faccia.Cal. Accontentiamolo.F ur. Ma io voglio che voi non vi togliatc di casa.Sim. Io mi ti consacro tutto.Cal. Io vado in piazza, e a momenti sarò qui.Sim. Torna subito.Fur. Io dubito assai non abbiate ad en tra r yoì in so-

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Me idcirco haec tanta facinora promittere,Qui vos oblectem, hanc fabulam dum transigam, Neque sim facturus, quod facturum dixeram.N on demutabo. Alque etiam certum, quod siam, Quo sim facturus pacto, nil etiam scio,Nisi quia facturum est. Nam qui in scenam provenit Nove, novom aliquid inventum adferre addecet.S i id facere nequeat, det locum illi, qui queat. Concedere aliquantisper hinc m i intro libet,D um concenturio in corde sycophantias.Tibicen vos interea hic delectaverit.

SC E N A II.

Pseudolus.

Proh lupiter!Ut mihi, quidquid ago, lepided omnia prospereque

eveniunt!Neque quod dubitem, neque quod timeam in pectore

conditum est consilium. Nam ea stultitia est, facinus magnum timido cordi.

credere:N am omnes res perinde sunt ut agas, ut eas ma~

gnifa ciasNam ego in meo pectore prius itaParavi copias duplicisTriplicis dolos, perfidias: ubicunqueCum hostibus congrediar ( majorum (&) meorumFretus virtute dicam ) , mea industria etMalitia fraudulenta

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spetto, eli’ io vi faccia promissione di tante bra­verie pei; farvi passare il tempo, fintantoché duri questa commedia e che alla fine reggasi nulla di quanto ho detto. Io non mi rimuto. Questo soloio so di certo, avvegnacchè nulla sappi io del

, modo, pel quale avrà la fresca a finire. Imper­ciocché colui che in sul proscenio si mostra eoa qualche novità, egli ha pur da recare qual cosa di straordinario. Se egli non è da tanto, dia luogo a colui che ne sa fare; ora io voglio tirarmi un po’ qua dentro, vo’ chiamare a consiglio tutte le mie astuzie: qui intanto vi darà diletto la musica.

- SCENA II.

F urbo.

Poter di Dio! Come ogni cosa vienimi a tempo e a se­conda ! io non ho dubbio in cuore, nè ho cosa del mondo che mi dia paural La è pure la gran bessaggine il commettere un impresa da lione ad un cuor di coniglio: ogni cosa la è se­condo che tu la fai e il conto in che la tieni. In cuore io ho schierati due eserciti, ho triplicati gli inganni, gli stratagemmi: forte nella virtù de’ miei antichi assalterò da ogni Iato il nemico, e con la mia desterità e malizia cimata, mi sarà facile la

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Facile ut vincam , facile ul spoiiem meos perduellismei perfidiis.

Nunc inimicum ego hunc communcm meum alquevostrorum omnium,

Ballionem, exballistabo tepide. Date operam modo. Hoc ego oppidum admoenire, ut hoc die capiatur,

volo,Atque ad hoc meat legiones adducam. S i hoc ex-

pugno,Facilem ego hanc rem civibus meis faciam. Post ad

oppi­dum hoc vetus continuo mecum exercitum protinus

obducam.Inde me el simul participes omnis meos praeda o-

nerabo alque opplebo. Melum el fugam perduellibus meis Injiciam: med esse uli sciant nalum,Quq sum genere gnatus. Magna me facinora decel

ecficere.Quae post mihi clara cI diu clueaul.Sed hunc, quem video, qui hic esi, qui oculis Meis obviam ignorabilis obicilur?Lubet scire, quid hic velit cum machaera.El hic quam rem agal. Dabo hinc insidias,

SC E N A III .

IIaupàx, P s e u d o l u s .

H ar.IH loci alque hae sunt regiones, quae m i ah herosunl demonstratae,

Ul ego oculis ralionem capio, quam m i ita dixitherus meus, miles,

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vittoria, mi sarà facile spogliare que’ ribelli colle

mie perfidie. Questo Ballione, coman nemico e mio

e di tutti voi, io balloccherò daddowero. Bada­

temi: voglio ora trinceare il castello, questo dì l’ha

da esser preso, io vi stendo sotto la mia oste:

espugnato eh* ei sia i miei popolani si faran più

facili a quest* impresa. Tosto dopo condurrò l’eser­

cito sotto quella vecchia bicocca, da cui trarrò

tanta preda da caricar me e i miei consorti, met­

terò in fuga e in gran spavento i mici nemici:

Yo' che sappiano che io sono al mondo e quale

sia il mio scendente. Io deggio operar cose grandi

perchè dopo il nome mio acquisti riputazione e

__ gloria. Ma chi è costui che mi si fa incontro? egli ha

una faccia che io non conosco, vorrei sapere che

si voglia egli con quella daga allato. M’ appo­

sterò qua.

SCENA III.

Sgraffigna, F urbo.

Sgr. Questo è il luogo, questa c la contrada che mi

Ycnnc insegnata dal padrone secondo che io veggo,

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Septimas a porta esse aedis, ubi leno ille habitat,quoi jussit

Symbolum me ferre et hoc argentum.N im is velim, certum qui id faciat mihi, ubi Ballio

leno hic habitat!Pse. St, tace, tace/ Meus hic est homo, n i omnes di at­

que homines deserunt! Novo consilio nunc m ihi opus est: nova res subilo

m i haec objecta est. H oc praevorlar principioj omnia missa habeo, quae

ante agere occepi. Jam pol ego hunc straliolicum nuntium advenien­

tem probe percutiam! H a r . Oslium pullabo atque intus evocabo aliquem foras. Psk. Quisquis es, conpendium ego le facere pullandi

volo;N am ego precator et patronus foribus processi

foras.H jn .T une es Ballio?P se. Jmo vero ego ejus sum Subballio.H ar. Quid istuc verbi esi?Pse. Condus, promus sum, procurator peni.H ar. Quasi te dicas atriensem.Pse. Jmo atriensi ego impero.H ar. Quid tu? servosne es, an liber?P se. Nunc quidem eliam servio.H ar.I ta videre et non videre dignus, qui liber sies.P se. Non soles respicere te, quom dicas itijusle alteri? Har. Hunc hominem malum esse oportet.

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e secondo che dissemi il padron soldato, la settima casa dalla porta è quella dove sta il ruffiano, al quale mi diè ordine di risegnare il contrassegno e questo denaro. Vorrei io avvenirmi in alcuno che mi chiarisse dove stia il ruffiano Ballione.

Fun. St, zitto, zitto! Il tordo è nella schiaccia, se pur tutti non mi abbandonano dii e uomini; qua bi­sogna cambiar dado, giuoco nuovo mi vien tra le mani. Mettiam questo innanzi a tutto; non bri- ghiamei altro del già fatto: eh’ io muoja a ghiado se non tocco d’ una buona stoccata questo amba- sciator militare!

Sgr. Batterò la porta e chiamerò alcuno qua fuori.F ur. Chiunque tu sii sparagna la fatica del battere: io

son qua fuori avvocato e protettore dell’ uscio.Sgr. Sei tu Ballione?F ur. Mai no, sono il sotto Ballione. . .Sgr. Che vuoi dirmi con questo?F ur. Che io sono il canovajo il dispensiero e il so-

prantcndente alla cucina.Sgr. Con questo mi li mostri il maggiordomo.F ur. Anzi io comando anche a quello.Sgr. E sì, tu sei servo o libero?F ur. Sin' ora io son servo.Sgr. Tale tu sembri anche a me e non mi hai faccia

degna d ' esser libero.F ur. Non fosti assuefatto mai a guardarti quando parli

male d’ altrui?Sgr. Costui ha da essere un gran capestro.

Vol. IV. Plaut. 28

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P se. Di me servanl alque am avi:N am haec mihi incus esi: procudam ego hodie hinc

mullos dolos.JIar. Quid illic secum solus loquilur?P se. Quid ais tu, adulescens?JIar. Quid est?Pse. Esne tu, an non es? ab ilio milite es Macedonio,

Servos ejus, qui hinc a nobis est mercatus mulierem , Qui hero meo lenoni argenti quindecim dederat m i­

nas.Quinque debel?

JIj b . Sum. Sed ubi tu me novisti gentiumAul vidisti aul conloculus? nam equidem Athenas

antidhacNumqnam adveni, neque le vidi ante hunc diem un­

quam oculis meis.Pse. Quia videre inde esse: nam olim, quom abil„ argento

haec diesPraestituta est, quoad referret nobis, neque dum re­

tulit.B ar. Imo adest.P s e . Tun’ attulisti?JIar. Egomel.P se. Quid dubitas dare?H j r . Tibi ego dem?P se . Mihi hercle vero, qui res ralionesque heri

Palli curo, argentum accepto j expenso, et quoi de­bet, dato.

Jl.iR.Si quidem hercle etiam supremi promlas thesaurosJovis,

Tibi libellam argenti nunquam credam.

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Fur. Ben mi guardano gli iddii, c mi vogliou salvo; questa è la mia ancudine: che bolcioni vo’ farvi sópra oggil

Sor. Che va borbottando egli? xFur. Che mi dici, buon uomo?Scr. Che hai? vFlr. Sci tu, sì o no il servo trasmesso qua da quel sol­

dato di Macedonia, il quale comperò da noi un^ femmina, e diede al ruffiano mio padrone quindici mine d' argento, rimanendone in debito ancora di cinque?

Sgr. Sono. Ma dove hai tu conosciuto, o visto me* o dove abbiam fatto chiacchere insieme? imper­ciocché prima d’ oggi io non misi piede mai in Atene, nè ti ho mai visto prima d’ oggi con que­sti occhi.

F ur. Mi parve che tu fossi roba sua; imperciocché _egliil dì che se n’ è ito, ha diputato questo giorno al pagamento, e sin’ ora egli non 1’ ha fatto.

Sgr. Anzi lo fa.F ur. Hatu il resto?Sgr. L’ ho.F ur. Chè non lo dèi?Sgr. Darollo a te?F ur. Certo che sì; io ho in mano tutti gli afTari del

padron Ballione, io son quello, che ricevo, che spendo, e che saldo i debiti.

S gr. Fossi tu anche tesoricro del gran Giove io, come son qua vivo, non t ' avrei fede d’una liruzza d’a r­gento.

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43eP s e . Dum tu strenuas, (9J

Res eral soìula.B ah. Finclam polius sic servavero.P s e . Fae tibi! tu invenlus vero, mcam qui furcilles fidem!

Quasi mihi non sexcenta tanta soli soleant credier! H ì r .P otest, ul olii ita arbitrentur, el ego ut ne credam

P s b . Quasi tu dicas, me le velie argento circumducere. H ar. im o vero quasi lu dicas, quasique ego autem id su-

JJjn.Ferba mulla facimus. Herus si tuos domi est, quinprovocas,

Ut id agam, quod missus huc sum, quidquid estnomen libi?

P s e . S i intus esset, evocaremj verum si dare vis mihi, Mage solutum erit, quam si ipsi dederis.

H ar- 'J t enim sc in , quid est?Reddere hoc, non perdere, herus me misit. N unc

Hoc febrim tibi esse, quia non licet huc injicere

Ego; nisi ipsi Ballioni, numum credam nemini. P se . Al illic nunc negoliosusl: res agilur apud judicem. H jr . Di bene vorlant! A t ego, quando eum esse censebo

Rediero, Tu epistolam hanc o me accipe alque i l l i

tibi.

H ah.P s e .

P s e .

cerio scio,

ungu las.

d o m i,

da lo :

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F ur. Tienti la tua boria, sì la faccenda era spacciata.Sgr. Vo’ piuttosto che sia impacciata così.F ur. Tristo alla vita tua! ecco chi s’ è trovato per fai*

smacco alla lealtà mia! come se non vi fossero altri che sogliono fidarmene un seicento tan ti di più!

Sgr. Sarà che altri la pensi cosi, e che io non ti abbia fede.

F ur. Dir mi vorresti con ciò che io son per arcarti 1’ argento.

Sgr. Anzi tu se’per dirmi che io ho questo sospetto: ma qual è il nome tuo?

F ur. Questo ruffiano ha un servo di Siria, io dirò cha son quello. — Siro sono io.

Sgr. Siro?F ur. Sì mi chiamo io.Sgr. Noi siam troppo bergoli. Se il tuo padrone é iri

casa, chè non lo chiami fuori, a ciò io possa sbri­garmi quello onde qua sono venuto, qualunque siail tuo nome?

. F ur. Se fosse in casa io tei chiamerei subito; ma sa Vuoi darlo a me, saresti più presto fuor d'impiccio che se lo avessi a dare a lui.

Sgr. Mi raccogli tu bene? il padrone mandomiui ai pa« garlo e non a gittarlo. Me neavveggo* tu hai lai febbre perchè non puoi ficcarvi I’ugne. Io non do quattrino a persona, se non allo stesso Ballione.

F ur. Egli è faccendato, egli ha una causa nel tribunale*Sgr. Che Dio l’ ajuti! Tornerò quando crederpllo id

casa. Togli da me questa lettera e dàlia a la i

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Nam istic symbolum est inter herum meum et tuomde muliere.

P s e . Scio equidem: ul, qui argentum ad ferret a tq u e 'ex­pressam imaginem

Huc suam ad nos, cum eo ajebat velle mitti mu­lierem:

Nàm hic quoque exemplum reliquit ejus.11 a h . O m nem rem tenes.P s e . Q uid ego n i teneam ?H ar. Dato istum symbolum ergo illi.P s e . Licet.

Sed quid est tibi nomen?H a r. H a r p a x .P s e . Apage fe, Harpax! haud places.

Huc quidem hercle haud ibis intro, ne quid Harpaxfeceris.

HAn.Hostis vivos rapere soleo ex acie: ex hoc nomenmihi est.

P s e . P ol te multo magis opinor vasa ahena ex aedibus. I J ar Non ita est. Sed scin’t quid te orem, Syre?P s e . Sciam j si dixeris.H a r. Ego devortor extra portam huc in tabernam tertiam,

Apud anum illam (iO) doliarem, cludam, crassam,Chrysidem.

P s e . Q uid nunc vis?H a r . Inde ut me arcessass herus tuos ubi venerit. . . P s e . T uo arbitratu, maxume.H a r. N am ul lassus veni de via,

Me volo curare.P sè. Sane sapis, el consilium placet.

Sed vide, sis, ne in quaestione sis, quando arcessam,mihi.

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Questo è il contrassegno in tra il mìo e il tuo pa* drone per quella femmina.

F ur. Sonamelo: dicea egli, essere voler suo che si man­dasse la donna coll’ uomo che qua portasse a noiil denaro e il suo ritratto : imperciocché egli la- scionne un simile anche qua.

Sgr. Sai ogni cosa dall* A alla Z.F ur. E perchè non I’ ho a saperlo?Sgr. Dà adunque questo contrassegno a lui.F ur. Sarà fatto. Ma qual è il tuo nome?Sgr. Sgraffigntt.F ur. Che Dio ne scampi! Sgraffigna, tu non mi garbi

alla fé: qua dentro non ci metti passo acciò tu non faccia lo Sgraffigna anche in casa nostra.

Sgr. I o soglio r a p i r vivi i nem ici da l cam po: q u es to

m ’ h a tro v a to il nom e.

F ur. Credo io che molto più farai questo ai bronzi di casa.

Sgr. Mai no: ma sai che voglio io, o Siro?F ur. Lo saprò se mel racconti.Sgr. Io volgo per di qua fuor della porta alla terza

ostei'ia, presso quella vecchia, che pare una botte* zoppa, grassa, che si dice Criside.

F ur. Che vuoi tu ora?Sgr. Che di là mi chiami appena si torna il padrod

tuoF ur. Basta, non occorre altro.Sgr. Imperciocché, avendo camminato, vo’ pigliar ri*

storo.Fun. Tu hai fior di giudizio, e il tuo consiglio mi véì

a vanga, ma guarda di non farmi gittare i passi quando verrò a chiamarti.

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H ar. Quin, ubi prandero-, dabo operam somno.P s e . Sane censeo.H/tR. Numquid vis?P s e . D o rm itu m u t abeas.H ar. Abeo.P s e . Alque ( auditi’: Harpage?)

Jube, sis, te operiri: beatus eris, si consudaveris.

S C E S A IF.

P seu d o lu s.

Di inmorlalesf conservavit me illic homo adventu suo! Suo viatico reduxil me usque ex errore in viam! Nam ipsa mihi Opportunitas non potuit opportunius Advenire, quam haecce adlata est m i opportune

epistola.N am haec adlata cornu copiae est, ubi inest quid­

quid volo:Hic doli, hic fallaciae omnes, hic sunt sycophantiae, . Hic argentum, hic am anti amica herili filio.Alque ego nunc ( me ut gloriosum faciam, ut copi

pectore JOtio modo quidque agerem, ul lenoni subriperem

mulierculam,Jam instituta, ornata, cuncta in ordinem animo,

ul volueram,Certa, deformata habebam-, sed profecto hoc sic erit Centum doctum hominum consilia sola haec.divin-

cit deaFortuna. Atque hoc verum est: proinde ul quisque

fortuna utitur,

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S g r . Trangugiato un boccone, vo' fare un sonnetto.

F ur. Farai bene.

Sgr. Vuoi tu altro?

F ur. Che tu vada a letto.

Sgr. Vado.

F ur. Ma, ( Sgraffigna m' odi? ) fatti ben coprire: se tu

sudi, torni in vita.

SCENA IV.

F urbo.

Poter di Dio, la venuta di costui mi ha risuscitato! A

sue spese io sono ora in via a filo di sinopia!

Non avria la Opportunità stessa potuto farmisi

davanti in miglior punto di questa lettera che

pur ora mi venne recata: questa per me è il

corno dell’ abbondanza, qua entro vi ha tutto che

io voglia, qua sono inganni, qua raggiri, qua

trappole, qua bajocchi, qua amasia del padron

giovane. Eppur io ( per pormi in sul magnifico sic­

come uomo di gran capo ) aveva già approntato, il

modo da carpire al ruffiano quella femmina, già

aveva ogni, cosa instituita, affazzonata, messa in

ordine proprio conforme io voleva, ma sempre la

è così: fa più da sè la fortuna che cento consigli

di furbi. Non v*~ha dubbio: noi diam del valente

secondo che soffia il vento. Chi arrivò a incar-

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Ita praecellet, atque exinde sapere eum omnes di­cimus.

Bene ubi quod consilium discimus accidisse, hom i­nem catum

Esse eum declaramus; slullum aulem illum, quodvorlit male.

Stulti haud tcim us, frustra ut simus, quom quidcupienter dari

Petimus nobis, quasi, quid in rem sit, possimusnoscere.

Certa amittimus, dum incerta petimus, atque hocevenit

In labore atque in dolore, ut mors obrepat ihterim. Sed ja m satis est philosophatum j nimis diu et lon­

gum loquor.D i inmortales! aurichalco contra non carum fuit Meum mendacium, hic modo quod subito conmentus

fui,Quia lenonis me esse dixil Nunc ego hac epistola

\

Tris deludam, herum el lenonem, el qui hanc mihidedit epislolam.

Euge, par pari/ Aliud autem, quod cupiebam, con­tigit:

Venit eccum Callidorus; ducit nescio quem secumsimul.

'SC EN A V.

Cjllid o rvs, Cb jr in v s , Pseudolus.

Cj l .Dulcia atque am ara apud te sum elocutus omnia. Scis amorem, scis laborem, scis egestatem meam .

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nar qualche disegno noi canti am savio, e diamo

dello sciocco a quello cui andò a traverso. Noi

non abbiam miglior discorso d’ un bue, noi c’ in­

ganniamo a partito nei nostri desiderii, quasi che

fosse proprio in noi il conoscere quello che fa pel

caso nostro. Noi lasciamo il pincione per un matto

tordo in frasca, noi ci affatichiamo e sudiamo tuttodì

e la morte intanto ce la fischia. Ma anche troppo

io ho fatto il filosofo; anche troppo tempo ho perso

in chiacchere. Potenzinterra! questa mia taccola

non la saria pagata a peso d’oro! come seppi di botto ,

infingermi di casa il ruffiano! Ora io con questa

lettera vo’ proprio dar la stretta a tre; al padro­

ne, al ruffiano, e a colui che misemi in .mano

questo scritto. Viva! coltegli per guaine. Mi vien

altro da quello eh* io desiderava. Ma ecco Calli-

doro; io non so chi abbia seco:

SCENA V.

Callidoro, Carino, F urbo.

Cal. Io t’ ho detto e il dolce e 1’ amaro d’ ogni cosa

mia: tu sai il mio amore, tu sai ì miei travagli,

tu sai la mia miseria.

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Ciu.Conmemini omnia. Id lu modo, quid me vis fa -cere fa c sciarti.

Cj l . Cum haec libi a lia , ium elocutus, ul sii res de sym­bolo.

Cb j . Omnìaj iuquam: tu modo, quid me facere vis, facu t sciam .'

Cj l . Pseudolus m ihi ila imperavit, ul aliquem hominemstrenuom

Benevolentem, adducerem ad se. .Cb j . Servas imperium probe:

N am et amicum et benevolentem ducis. Sed islicPseudolus

Novos m ihi est.Cj l . N im iu m est m orta lis graph icus,• heureles m ih i est,

Is m ih i haec esse ec fec lu ru m d ix it, quae d ix i tibi. P s e . M agnifice h o m in em conpellabo.Cj l . Q uoja v o x sonai?P s e . IOj io,

Te, le, le, tyranne, te rogo, qui imperitas Pseudoiot Quaero, quoi ter, trina, triplicia, tribus modisj tria

gaudia,yJrlibus Iribus, ter demeritas dem laetitias, de Iribus Fraude parias, per malitiam et per dolum et fal­

laciam.In libello hoc obsignato ad te atluli pauxillulo.

Cj l . Illic homo est.Cb a . Ut paratragoedat carnufex/Cj l . Confer gradum

Contra pariter.P s e . Porge audaciler, ad saltilem brachium.Ch j . Dic, ulrumne, Spemne an Matrem , te salutem,

Pseudole?

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Car, Mi si raccorda, dimmi tu ora in che io ti abbiso­gno.

Cal. Iii tra 1' altre io ti ho detto anche come sia la tresca di questo contrassegno.

Car. Escine una volta dimmi che vuoi da me?C a l. È ordine di Furbo eh’ io gli conduca un valen-

t’ uomo che mi volesse bene.Car. E tu 1’ ordine lo fai a puntino, imperciocché tu

gli fai conoscere proprio un tuo amico e ben- vogliente ma questo Furbo mi è nuovo.

Cal. Egli è uora cimato, egli è il mio inventore. Im- promisemi egli eh’ avrebbe compiuto ogni cosa che io t’ ho detta;

F ur. Vo’ fargli un saluto magnifico.Cal. Chi parla qua?F ur. Viva! evviva! voi, voi, padron mio, voi io chiamo,

voi, che sopra il Furbo tenete l’ imperio! voi io cerco, voi a cui io porto un terno triplicato di tre triplici contentezze, ben meritate per tre volte in, tre guise: con tre mezzi, guadagnate per via di frodi, di malizie, d’ inganni, e di menzogne sopra tre nemici. In questo pistolotto io ve le do tutte Rin­chiuse.

Cal. Eccoti 1’ uomo.C a r . Parmi un tragicante questo manigoldo!C a l. Facciamci presso I’ un 1’ altro.F ur. Siate pur franco, allungate il braccio alla vostra

salute.Car. Dimmi, o Furbo, come ti chiamerò io salutandoti.

Speranza, o Madre mia?

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446P se. Im o utrumque.Ch j. Ulmmque salve. Sed quid aclum esl? —P se. Quid limes?Cj l . A lluli hunc.P se. Quid allulisli?Cj l . Adduxi, volui dicere.P se. Quis islic esl?Cj l . Charinus.P se. Euge, ja m %apiv ow vov jto ia ■'C hj. Quin tu, quidquid opusl, m i audacler imperas? P se . Tarn gralia esl.

Sene siet, Charme! nolo libi molestos esse nos.Ch j. V os moleslos mihi? Moleslum esl id quidem.P se. Tùm tu igilur mane.Ch j . Quid isluc esl?P se. Epistolam hanc modo intercepi et symbolum. Chj. Symbolum? quem symbolum?P se. Qui a milite adlatust modo.

Ejus servo, qui hunc ferebal cum quinque argentiminis

Tuam qui amicam hinc arcessebat, eii os sublevimodo.

Cjl . Quomodo?P se. . Horum causa haec agitur spectatorum fabula:

H i sciunt, qui hic adfuerunt: vobis posi narra­vero.

Cj l . Quid nunc agimus?P se. Liberam hodie luam am icam amplexabere.Cj l . Egone?P se. Tuie.Cj l . Ego?

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Fcn. E T uno e 1’ altro.Car. E 1’ uno e T altro che. ben ci venga, che novelle

abbiamo?F ur. Che temete voi?Cal, Ho recato costui.F cr. Come recato?Cal. L’ ho condotto, questo volli dir io.F ur. E che uomo è questo?Cal. Carino.F ur. Viva! dall’ augurio e dal nome io vado in giolito. Car. E che non sciferi in che ti possa occorrere?F cr. Ve ne ringrazio, che Dio vi dia mille buon anni, o

Carino, noi non vogliamo darvi molestie.Car. Voi molestie a me? questo sì che m’ è di noja. F ur. Statevi qui adunque.Car. Che faccenda è questa?F ur. Questa lettera e questo contrassegno io 1’ ho in­

tercetto pur ora.Cal. Contrassegno? qual contrassegno?F ur. Quello che venne testeso portato dal soldato; io

sì che ho fatto un buon colpo al servo di lui, che si portava questo e le cinque mine d 'a rg en to che restavano per beccarsi via la vostra amica.

Cal. E come?F ur. La commedia si fa a questi spettatori; elli, ió

sanno perchè eran presenti, a voi lo dirò dopo. Cal. Che facciam ora?F ur. Voi oggi avrete libera la vostra amica.Cal. Io?F cr. Voi.Cal. I o ?

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P se. Ipsus, inquam, si quidem hoc vioel caput;S i modo mihi hominem invenietis propere . . .

Ch j. Qua facie?P se. M alum,

Callidum, doctum, qui, quando principium prehen­derit,

Porro sua virtute teneat, quid se facere oporteat; Alque eum, qtii hic non visitatus saepe sit.

Ch j. S i senos est,Numquid referi?

P se. Im o mullo mavolo, quam liberum.Ch j. Posse opinor me dare hominem libi malum et do­

ctum modoQui a palre advenit Caryslo, nec dum ex aedibus

exitQuoquam, neque Athenas advenil unquam ante he­

sternum diem.P se. Bene juvas. — Sed quinque iuventis opus est ar­

genti minisMutuis, quas hodie reddam: nam hujus m ihi debet

paler.Ch j. Ego daboj ne quaere aliunde.Pse. 0 hominem opportunum mihi!

Eliam opusl chamyde et machaera et petaso.Ch j. Possum a me dare.P se. D i inmorlalesl non Charinius m i hic quidem esi,

sed Copia/Sed islic servos, ex Caryslo qui huc adoenit, -quid

sapii?Ch j. H ircum ab alis.Pse. . Manuleatam lunicam habere hominem decet.

Ecquid habet homo isle aceti in peclore?

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F ur.

Car.Fur.

Car.F ur.Car.

F ur.

Car.F ur.

Car.F ur.

Car.F ur.

Voi, dico, voi: se Dio mi darà vita; ma spaccia­tevi, fate presto trovatemi questo uomo.Di che faccia Io vuoi?

Egli dev’ essere un uom saporito, un tristo, un capestro, il quale udito il principio veda subito il fine: e’ dcvfi aver poi una faccia che qua non la sia di spesso stata veduta.- Importaria forse eh’ ei servo non fosse?Anzi lo vorrei tale piuttosto che libero.Ió avviso che dare ti possa un uomo ben scozzo-

/nalo,_ e lesto: che arrjvò da Caiisto ove tramesso 1’ avea mio padre; ei sin’ ora non ha messo piè fuori, nè prima di jeri ha mai veduta Atene.Voi ci date buon ajuto di spalla. Ma saria anche mestieri trovar cinque mine d’ argento a prestito, cui oggi restituirò io, imperciocché le ho di cre­dito dal padre di costui.Le darò, non cercarne fuori.Voi siete la mia ventura: Ma bisogneria anche un mantello, una daga, un bireto.Questo posso dar io.Zucche! non Carino mi è costui ma l’ Abbondan­za! Ma questo servo che vien .da Caristo di che sa egli?Di becco sotto alle ditella.Occorre allora abbia egli una tonica colle mani­che: e quest’ uomo ha dell’ aceto in petto?

Vol. IV. Plaut. 29

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£ ha, Alque addissumi,P se. Quid, si opus sil, dulce ul promal indidem? ecquid_

habet?Cha. Rogas?

M urrhinam, passum; defrutum, m tllin iam , melquojusmodi.

Quin in corde inslruere quondam coepit thermopo­lium.

P se. Eugepae! lepide Charine, meo me ludo lamberùs.Sed quod nomeh esse dicam ego isti servo?

Cha. Simmiae,P se. Sciine in re advorsa vorsari3 Cha. Turbe non aeque cilust.P se. Ecquid argutust?Cha. M alorum facinorum saepissume,P se. Quid quom manufeslo tenetur?Cha. Anguilla esl: elabilur,P se. Ecquid is homo scilusl?Cha. Plebiscitum non est scitius.P se. Probus homo est ut predicare te audio.Cb a. v. Im o ** scias.

Ubi te ad spexerit, narrabit ultro, quid sese velis. Sed quid es acturus?

P se . Dicam. Ubi hominem exornavero,Subditicium fieri ego illum militis servom volo; Symbolum hunc ferat lenoni cum quinque argenti

minis,Mulierem àb lenone abducat. Hem libi omnem fa­

bulam:Celerum, quo quidque pacto faciat, ipsi dixero.

C4b Quid nunc igitur stamus?

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Car. E del fortissimo.Fur. Ma se abbisogna clic a m andar avesse del dolce?

ne ha egli?Car. Dimandasi? egli è un giulebbo di m irra, egli è un

vin dolce smaccato, 'un sciroppo, lo stesso mele: vuoi tu altro? nello stomaco egli volle una volta aprir bottega di confetti.

F ur. Allegramente! in bel modo, o Carino, voi date di rimbecco alle mie burle: ma come lo chiamerò questo servo?

Car. Scimia.F ur. Sa egli g irar bene quando si trova impaccio?Car. Ei ne disgrazia una trottola.F ur. E a' proverbi?Cur. N’ è un maestro ribaldo.F ur. E quando è colto in sul fatto?Car. È un anguilla, la ti scivola di mano.F ur. E ha giudizio quest’ uomo?Car. Tanto non ve n’ ha ne' tribunali.F ur. Costui voi me lo pingete fatto a squadra.Cak. Anzi te ne accerterai da te. Appena che'gli avrai

gittati gli occhi adosso, egli ti metterà in buoni contanti in che tu lo voglia. Ma che sei per farne?

F ur. Dirrovelo: appena avrò io parato quest’ uomo, io voglio eh' e’ s'infìnga quel servo del soldato: ei porti questo contrassegno al ruffiano colle cinque mine, e si conduca via la donna: eccovi tutta la tresca il modo poi con cui egli dovrà cavarsela glielo dirò io.

Car. Perchè indugiamo adunque?

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«

P se. Hominem cum ornamentis omnibusExornatum adducile ad me ja m ad trapezitam Ae­

schinum.Sed properate.

Cb j . Prius illi erumus, quam tu.P se. Abile ergo ocius. —

Quidquid incerti m i in animo prius aul ambiguomfuti,

N unc liquet, nunc defecalum estj cor mihi nuncperviam est

Omnes ordines sub signis ducam legionis meae Aoe sinistra, auspicio liquido atque ex mea senten­

tia.Confidentia est, inimicos meos me posse perdere. N unc ibo ad forum , alque onerabo meis praéceplis

Sim m iam ,Quid agat, ne quid titubet, docte ul hanc serat fal­

laciam.Jam ego hoc ipsum oppidum expugnatum faxo erit

lenonium.

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F ur.

Cab.F ur.

Conducetemi 1J uomo concio di tutte queste baz­ziche dal cambiere Eschino, ma spacciatevi.Noi sarem là prima di te.Partitevi, spuleggiate adunque. Tutto quanto prima tenzonavami incerto pel capo, ora mel veggo pia­no e chiaro. Ora mi si è aperta una strada in cuore. Con buona ordinanza moverò le mie legio­ni, 1’ augurio è bello, belli sono gli auspici, e qua­li io li voleva. Son certo .di poter dar la caccia a’ miei nemici: ora andrò in piazza, e imburiasse- rò Scimia di che si abbia a fare, che non si faccia crocchiar il ferro in tra le mani, ma che da fur­bo apparecchi le reti. Ornai io farò che caschi in terra questo castello ruffianesco.

— —

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ACTUS 111.SCENA I.

Pi! ER.

ni servitutem di danunt lenoniam Puero, alque eidem si addunt turpitudinem.Nae illi, quanlum ego .nunc corde (U J consipio

meo;Malam rem magnam multasque aerumnas danunlf Pelui haec m i evenit servilus, ubi ego omnibus Parvis maguisque miseriis praefulcior-,Neque ego amalorem m i invenire ullum queo,Qui amet me, ul curer tandem nitidiuscule.Nunc huic lenoni esi hodie nalalis dies: Interminatus est a m inumo ad maxum um,S i quis non hodie munus misissel sibi,Eum cras cruciata maxumo perbitere.Nunc nescio hercle, rebus quid faciam meis.Neque ego illud possum, quod illi, qui possunt, solent. Nunc nisi lenoni munus hodie misero,Cras m ihi polandus fructus est fullonius.Eheu, quam illae re ego etiam nunc sum parvolusf Alque edepol, ul male nunc eum meluo miser,S i quUpiam det, qui manus gravior siet: Quamquam illud ajunt magno gemilu fieri Comprimere dentis, videor posse aliquo modo.Sed comprimenda est mihi vox atque oratio:Herus, eccum, recipit se domum et ducit cocum ,

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ATTO III.

SCENA I;

Ragazzo;

Chi per mala sorte è al servizio di un ruffiano, sé pei* giunta deve far anche il bardassa, affé che, per quanto senno io abbia in capo, Domineddio gli dà pure gran malanni e tribulazioni a josa! Cotesto, av­viene a me, io ho la gabella di tutti gli impacci grandi e piccoli; nè trovare mi posso un amadore il qualé mi voglia tanto bene ond’ io possa curar meglio la mia pelle. Oggi è il natale di questo ruffiano, ai grandi e a’ piccoli ha fatta egli una tagliata che se alcuno non gli avesse oggi fatto qualche dono, al- l’indomani egli lo avrebbe martoriato co’più fièri tormenti del mondo. Io non so ora che mi abbia d fare, nè posso far io quello òhe fanno gli altri chelo possono. Sé oggi ài ruffiano non lo do io il be­veraggio, domani mi darà da bere col cardo. Ahi d me! sono ancor tenerello a questo mestiere. Per v e- rità che paura mi fa egli! Pur ciò sia in buon ora, se alcuno mi toccasse a man piena, avvegnaché d i' cano che si muglia forte, io veggo che potrei in qualche modo tener stretti i denti. Ma io qui devo tacére, ecco il padrone che si torna ai casa e cotìJ duce il cuoco.-

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B allio, Cocus, PvFJt.

B al. Forum coquinum qui vocant, stilile vocant:Nam non coquinum esl, veruni forinum est forum j N am si ego juratus pejorem hominem quaererem Cocum, non potui, quam hunc, quem duco, ducere3 Mulliloquom, gloriosum, insulsum, inutilem.Quin.ob eam rem Orcus, recipere ad se noluit,Uti sit hic, qui mortuis coenam coquat:Nam hic solus illis coquere quod placeat potest.

Coc. S i me arbilrabare isto pacto, ut praedicas,Cur conducebas?

B al. Inopia: alius non erat.Sed cur sedebas in foro, si eras cocusj Tu solus praeter alios?

Coc. Ego dicam tibi.Hominum avaritia ego factus sum inprobior cocus, Non meople ingenio.

B jl. Qua isluc ratione?Coc. Eloquar.

Quia enim, quom exlemplo veniunt conductum co-„cum,

Nemo illum quaerit, qui optumus et carissumustj Illum conducunt potius^ qui vilissumust.Hoc ego fui hodie solus obsessor fori. .Illi drachma issent miseri; me nemo palest Minoris quisquam mimo ut surqam subigere.Non ego item coenam condio, ul alii coci,Qui mihi condita prala in patinis proferunt,

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Ballione, Cuoco, Ragazzo.

Bal. Chi dice piazza di cuochi dice una bestialità, imper­ciocché non è piazza de’cuochi, ma piazza di ladri.Io se avessi fatto sacramento di cercare la schiu­ma de’ furfanti non avrei potuto condurre altri che fosse di questo cuoco più tristo, ciancione borioso, bambo, disutile. Volete voi altro? Plutone non 1’ ha voluto per lasciar qua un che faccia la cena a ’ morti: imperciocché costui solo sa far loro queJ manicaretti che elli più gustano.

Cuo. Se mi avevi in quel conto che tu di’, perchè pi­gliarmi a nolito?

Bal. Per necessità, non ve ne aveva un altro; se tu se’ quella cima di cuoco perchè slavi in piazza accu- lnttando le panche?

Cuo. Dirottelo: se non son io quella cima di cuoco, non a me tu affibbia la colpa, ma all’ avarizia degli uomini.

Bal. Perchè.Cuo. Ascoltami. Perchè appena vengono a noleggiare

un cuoco, nìuno corre a quello il quale è valente, e che si fa pagar meglio, ma fermano piuttosto chi dimanda meno. Ecco perchè io fui il solo che me ne stessi seduto in piazza. Gli altri spiantateli i sariano iti per una dramma, ma a me niuntf fa muovere le lacche per meno di uno scudo. Nè le cene mie sono quelle degli altri cuochi, i quali ti mandano in sulla tavola una prateria, come se i con-

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Boves qui convivas faciant, herbasque aggerunt,Eas herbas herbis aliis porro condiunt:Indunt coriandrum, fcniculum, allium, atrum olus, Adponunl rumicem, brassicam, betam, blitum,Eo laserpiti libram pondo diluontj Teritur sinapi sceleratum j illis, qui terunt, Priusquam teruerunt, oculi ut extillent, facit.E i homines coenùs sibi coquini/ Quom condiunt, Non condimentis condiunt, sed strigibus,Vivis convivis intestina quae exedinl.Hoc hic quidem homines tam brevem vitam colunt, Quom hasce herbas hujusmodi in suom alvom con­

genitit,Formidolosas dictu, non esu modo.Quas herbas pecudes non edunt, homines edunt,

B j l . Quid tu? divinis condimentis utere,Qui prorogare vitam possis hominibus,Qui ea culpes condimenta?

Coc. Audacter dicito:N am vel ducenos annos poterunt vivere,Meas qui esitabunt escas, quas condivero.N am ego cicilendrum quando in patinas indidi, A u t sipolindrum aut macidem aut sancaptidem> Eae ipsae se patinae fervefaciunt eloco.Haec ad Neptuni pecudes condimenta sunt. Terrestres pecudes cicimandro condio aut Hapalopside aut cataractria ‘

B j l . A t te JupilerDique omnes perdant ctim condimentis tuis Cumque tuis istis omnibus mendaciis/

Coc. Sine, sis, loqui me.

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Bal.

Cro.

Bal.

Cuo.

vitati fossero altrettanti buoi. E’ fanno una folata di erbe, e d’ erba condiscono anche le verdure; vi cacciano del coriandolo, del finocchio, dell’aglio, del prezzemolo: vi aggiungono del romice, del cavolo, delle bietole e del blito, e tutto distillano in una lib­bra di sugo di silfio, e vi tritolano dentro della ma­ledetta senape, la quale prima che sia ben ma­cinata fa stillar gli occhi a chi la pesta. Se le godino elli queste cene! Quando fan le condimen­ta non usano gli intingoli, ma le striglie le quali rodono le budella a’ convitati ancor vivi. Ecco perchè gli uomini non la durano tanto al mondo, perchè si cacciano in ventre erbe così fatte, le quali fanno paura a nominarsi non che a 'mangiarle. Gli uomini d’oggi si mangiano quell' erbe che non vogliono le bestie.E tu che fai? Adoperi forse i condimenti del cielo ad allungare la vita degli uomini se dài tanta colpa a questi?Tientene certo: chi mangia delle vivande che fo io può vivere ducento buoni anni. Imperciocché non ho messo a fatica io nei tegami il cicilendro, oil sipolindro, o il mace, o la sancatide che to­sto da se mettonsi a bollire. Queste conditure le fo io alle bestie di mare: quelle di terra io le accomodo col cicimandro, colla appalosside, e colla cataratria.Che Dio mandi un canchero e tutti i malanni a te a tuoi saporetti, e a tutte queste baggiane che tu hai!Lasciami "tirare innanzi.

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B al. Loquere, atque i in m alam crucem!Coc. Ubi omnes palinae fertient, omnis aperioj

Ib i odos demissis pedibus in coelum volat.B a i . Demissis pedibus?Coc. ' Peccavi insciens quidem:

Quia enim demissis manibus volui dicere.Eum odorem coenat Jupiler cotidie.

B j l . S i nusquam is coctum, quidnam coenat Jupiler?Coc. II incoenatus cubitum.B j l . In ’ in malam crucem?

Islaccine causa tibi hodie numum dabo?Coc. Fateor equidem esse me cocum carissumumj

Ferum pro praelio facio ut opera adpareat Meaj quo conductus veni . . .

B j l . J d furandum quidem.Coc. A n invenire postulas quemquam cocum,

Nisi miluinis aut aquilinis ungulis?B j l . A n tu coquinalum le ire quoquam postulas,

Quin ibi conslriclis ungulis coenam coquas?N unc adeo lu, qu,i meus es, ja m edico libi,Ut nostra properes amolirier omniaj Tum ul hujus oculis habeas tuis.Quoquo hic spectabit, eo tu spectato simul j S i quo hic ' gradietur, pariler progredimmoj Manum si protollet, pariler proferto manum j Suom si quid sumet, id tu sinito sumere.S i nostrum sumet, tu teneto altrinsecusj S i iste ibit, it0j stabit, adslato sim ul S i conquiniscet iste, ceveto simul,Ilem his discipulis privos custodes dabo.

Coc. Habe modo bonum aiiimum.

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Bal.Cuo.

Bal.Cuo.

Bal.Cuo.Bal.

Cuo.

Bal.Cuo.

Bal.

Cuo.

Parla, c il fistolo che ti colga!Appena calde le pentole io le apro, allora a gam­be larghe sen va in ciclo il profumo.A gambe larghe?Ho fallato senza saperlo, io voleva dire a mani spase. Quest' odore è la cena quotidiana di Gìoyc. E se non cucini, Giove che si mangia allora?Va a letto a dente secco.E non vai sulle forche? per questo dovrò darli io uno scudo?Non te 1’ ho detto io? non sono un cuoco da tre quattrini, ma fo, dove sono a nolito, che secondoil prezzo si vegga quanto io valga . . .Per rubare.Ma vorresti cuoco vi fosse che non avesse gli unghioni di nibbio o di acquila?Ma e vorresti ire in qualche luogo a far da cena sènza avere strette le mani? Ora a tc, che sci mio, io ordino che presto più che sai faccia sgom­bero ogni luogo e che abbi sempre gli occhi ne­gli occhi di costui: dovunque egli guarda, quivi tu guarda, se in qualche luogo ci muove passo vacci anche tu di conserto; alza egli una mano? tu alza la tua; se si attaccasse a qualche cosa del suo lasciagliela prendere, ma se a qualcosa del nostro egli si appiglia, ticlla tu ferma dall’ altra banda: va egli? va anche tu; sta egli? c tu sta fermo. Si mette cocolloni? pur tu fa la chioccia; le stesse guardie darò io a ciascheduno di questi guatteri.Statti tranquillo.

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Bal. Quaest), qui possim, doceBonum anim am habere, qui le ad me adducam

domum?Coc. Quia sorbitione faciam ego hodie te mea,

Item ut Medea Peliam concoxit senem,Quem medicamento et suis venenis dicitur Fecisse rursus ex sene adulescentulum:Item ego te faciam.

B j l . Eho, an etiam veneficus?Coc. Im o vero edepol hominum servator magis.B a l. H em , mane! quanti unum me coquinare perdoces? Coc. Quid?B al. Ut te servem, ne quid subripias mihi.Coc. S i credis j num oj si non, ne mina quidem.

Sed utrum amicis hodie an inimicis tuis Daturus coenam?

B al. Pol ego amicis scilicet.Coc. Quin tu illo inimicos potius, quam amicos, vocas?

N am ego ita convivis coenam conditam dabo Hodie, alque ila suavis suavitate condiam,Ut quisque quidque conditum gustaverit,Ipsos sibi faciam ul digitos praerodant suos.

Bal. Quaeso hercle, priusquam quidquam convivis dabis, Gustato Iule prius et discipulis dato,Ut praerodatis vostras furtificas manus.

Coc.Fortasse haec tu nunc mihi non credas, quae loquor. B al. Molestus ne sis. Nimium tinnis: non places.

H em , illic ego habito: intro huc abi, ct coenamcoque

Propere.

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Bal. E come posso starmene se m’ è forza condurti in casa mia?

Cuo. Perchè con un mio potaggio ti farò quello che già fe’ Medea al vecchio Pelio allorché lo ricosse. Dicesi che pc’ suoi medicamenti e per le sue ma­lie ella da vecchio lo ha ringiovanito. Questo stes­so farò io di te.

Bal. Doh! sai anche g itta r 1’ arte?Cuo. Sì ma quella che salva gli uomini.Bal. Or badami un poco! qual prezzo vorresti a inse­

gnarmi una sola vivanda?Cuo. Quale?Bal. Quella onde salvarmi da te, acciò tu non faccia

vento a niente del mio.Cuo. Se te. ne pare adesso uno scudo, se no nemmeno

una mina: ma dicci, se’ tu oggi per dare una cena a’ tuoi benevoli o a’ nimici.

Bal. Diacine! agli amici.Cuo. Deh che non li di’ piuttosto nemici che amici? io

farò loro tale un desiaaretto e condito di tante suavezze, che appena alcuno si metterà un cotti- cino in bocca dal piacere s’ avrà a rodersi le dita.

Bal. Oh! fammi questa grazia! prim a di imbandirlo ai convitati mangiane tu , e danne a’ tuoi, perchè vi abbiate a rodere quelle vostre ugne che fanno sì bene a levaldina.

Cuo. Tu non mi hai fede a quello che ti conto?Bal. Non mi frastornar altro. Dello scampanio tu n’hai

qui fatto: affé che non mi garbi? Bada quella è la mia casa: va dentro e metti presto all’ ordine la cena.

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P ub. Quin tu is adcubilum? el convivas cedo: Conrumpilur .jam coena.

Bj l . Hem, subolem, sis, vide!Jam -h ic quoque scelestus est coqui sublingio. Profecto, quid nunc prim um caveam., nescio:I ta in aedibus sunt fures, praedo in proxumo est: N am a me hic vicinus apud forum paulo prius, Pater Callidori, opere ecfecil maxumo ,Ut m ihi caverem a Pseudoio servo suo,Neu fidem ei haberem: nam circumire in hunc

diem,Ul me, si posset, muliere intervorteret.Eum promisisse firmiter dixit sibi,Sese abducturum a me dolis Phoenicium.N unc ibo inlro alque edicam familiaribus,Profecto ne quis quidquam credat Pseudolo.

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R a c . Chè doq andate a ineusa voi? chiamate i convitati, la cena ornai si guasta.

Bal. Me ne accorgo dall’ odore, questo ribaldo s* è fattoil leccapiatti del cuoco. Io non so in fede mia a chi più debba aver occhio, ìio piena la casa di ladri, qui presso ho il corsaro. Pur ora io ho incontrato questo mio vicino padre di Calli- doro, e mi ha ben rifitto in capo che mi guar­dassi da Furbo di lui servo, che non gli credessi cosa del mondo, che egli aliava come oggi potesse carpirmi la donna. Disse avergli colui giurato, per la gola che trappolandomi mi avria rubata Fenicia. Ora audrò dentro, e dirò a que' di casa mia che alcuno non fidi niente a Furbo.

Tot. IV. P-làct. SO

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ACTUS IV.SC E N A / |

PsEVDOLVSj SlUHU.

J’se.S ì unquam quemquam di inmortales voluere esseauxilio adjutum,

Med et Callidorum volunt servatum esse et lenonemv exlinctum,

Quom te adjutorem genuerunt mihi, tam doctumhominem atque astulum.

Sed ubi ille est? Sumne ego homo insipiens, qui haec mecum egomet loquor solus?

J)edil verba m i hercle, ut opinor! malus cum malostulle cavi!

Tum pol ego interii, homo si illic abiit,Neque hoc opusj quod volui, ego hodie ecficiam. Sed eccum video verbeream statuam. Ut Magnifice se inferi!JIem, te hercle ego circumspectabam: nimis metue-

. . .. bam male, ne abisses. S ia .F u it meum officium, ut facerem, faleor.P se, Ubi restiteras?S ia . Ubi mihi lubilum est.Pse. Istuc ego ja m sal scio.S ia . Cur ergo quod scis, me rogas?P se. A t hoc volo monere te.S ia . Monendus ne, me moneat.P se . Nimis laudem ego abs te contemnor.

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ATTO IV

SCENA I.

F urbo e Scimia.

F ur. Se mai Dio volle dar soccorso a persona, certo che siam noi, io e CalHdoro, cui egli vuol salvi, e morto il ruffiano avendomi Iddio messo al mondo questa volpe berrettina. Ma dove si è quegli? Mestola che sono io che dico queste cose da me a me! Ei m’ ha incastagnato se non m’ inganno! balordo che fui a non guardarmene! e non sapeva io che eravamo tra galeotto, e marinaro? Io son perduto se m ’ha quel uomo pagato di gamba! Casca quella ragna eh’ oggi aveva così ben distesa, ma togli! vello quella befana, Uhi! come sen ra po­sato! mentre io volgeami intorno per vederti sen- tiami la morte addosso che tu non te l’ avessi svi­gnata.

Sim. E dovea farlo, chè tale, e tei confesso, era il mio dovere.

F u r . Dove ti se’ fermato?Sim. Dove me ne venne la voglia.F ur. Sapevamelo.Sui. A che. domandarmene, se lo sapevi?I ' u r . Io voglio ricordarti una cosa.Sim. Non vo’ ricordi da chi n’ ha bisogno.F ur. Tu m’hai in conto di mcn th è cica.

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Sin . Quippe ego le n i contemnam,Stratioticus homo qui cluar?

P ss. Jam hoc volo, quod occeptum est, agi.SiM.Numquid agere aliud me vides?P s e . Ambula ergo cito.S in . . Im o oliose volo.PsE.Haec ea occasio est: dum itle dormii, volo

Tu prior ut occupes adire.S im . Quid properas? placide! ne lime! Ila ille faxil Ju -

piler,Ut ille palam ibidem adsil, quiqui ille est, qui adesl

a milite!Pìunquam edepol polior ille erit H arpax3 quam ego.

Habe animum bonum: Pulcre ego hanc explicatam tibi rem dabo.Sic ego illune dolis atque mendaciis In timorem dabo militarem advenam.Ipse sese ul neget esse eum , qui sielj Meque ul esse aulumet, qui ipsus est.

P se. Qui poi esl?S im. Occidis me, quom islue rogilasfP se. Hominem lepidum!

Te quoque eliam dolis alque mendaciis!Jupiler te mihi servet!

SiM- Im o milii!Sed vide, ornatus hic salisne condecet.

PsB.Oplume habet.S im . Eslo.P sb. Tantum tibi di boni

Inmortales duint,Quantum iu (ibi optes: nam si exoptem, quantum

dignus, lanium,

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Si*. Che caso vuoi faccia io eli te, se io sono uom da guerra?

Fur. Ornai questo io voglio, che noi badiamo al fatto nostro.

Sun. F o altro io forse?Fur. Studia il passo adunque.Sim. Anzi vo’ ire a bell’ agio.Fuft. Miglior congiuntura non si può avere; mentre quel*

l’asino s 'è legato a buona caviglia, io voglio che tu vada quivi pel primo.

Sm. Che fretta è la tua? flemma! non temere! Magari Dio mi cogliesse chiunque egli sia colui che vien da parte del soldato! Eglf non sarà più Sgraffigna di me, sta di buon cuore, in bel modo ti darò districata io questa mattasse. Io vo tanto impau­rare quel soldato forasliero colle mie faldèlle c colle mie zacchere, ch’ egli rinnegherà per Dio sè medesimo, e dirà ch’io son quello ch’egli è in ani­ma e in carne.

F m Come farai tu questo?Sin. Tu mi ammazzi con tante dimande.F ur. Che gioja d’ uomo! Iddio ti salvi a me co n »tutti

i tuoi inganni, e le tue trappole!Sin. Anzi egli mi salvi a me! Ma guarda se questa vésta!

la mi vada bene.Fur. Benissimo.Sin. Ottimamente.F ur. ' Diati tanto bene Iddio quanto ne sai desiderare^

imperciocché se io te ne augurassi tanto quanto

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Minus nihilo esi: neque ego homine hoc quemquam vidi mage malum et maleficum.

S iu . Turi id m ihi?P se. Taceo. Sed ego quae libi bona dabo et fa -

ciamj si hanc remSobrie adcurassis!

S im. Potiri, ut taceas? Memorem facit inmemorem, Qui monet, metnor quod meminit. Omnia teneo j in

pectoreCondita suntj meditati docte sunt doli.

P se. Probus hic homoEst.

S im. Neque hic est, neque ego.P se. A t vide ne titubes.S im . Poliri, ut taceas?P se. Ita me di ament . . .S im . Ila non facient. Mera ja m mendacia fundes. Pse. Ul ego ob luam te, Sim m ia , perfidiam amo et me­

tuo et magnificotS im.Ego istuc aliis dare condidicij m i obtrudere non

poles palpum.Pse. Ut ego te hodie accipiam lepide, ubi ecfeceris hoc

op u s. . .S im. Ha ha he!PsE.Lepido victu, vino, unguentis4 et inter poetila pul-

patnentistIbidem una aderit mulier lepida, tibi savia super

savia quae det.

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SlH.F ur.

Sim.

F ur.Sim.Fu».S im.F ur.Sim.

F ur.

Sm.

N F ur.

Sim.Euft.

tic se', degno, egli savia meno di nulla. Da che ho .vita adesso io non vidi mai uomo più tristo e scaltrito di costui!Di' tu questo a me?Io non dico altro. Ma che cuccagna di beni ti darò io, se tu nii conduci a buon termine questa faccenda!E mai che non ti caschi la lingua? Tu mi scombus­soli la memoria dal cervello tu vuoi pormi in sul liuto quest’ istoria, che la so come la canzone dell’ oca. Io so tutto, tutto ho scritto in mente; il paretajo è ben teso.Costui è un dabben uomo.

Mai no, nè costui, nè io.Guarda che le parole non ti si ammemmino in bocca, E quando la finirai tu?Che Dio m’ ajuti! . . .Questo non faccia mai. Tu ora spandi menzogne a braccia quadre.Ohi quanto bene ti voglio io, o Scimi a, per questo tuo far busbacco! come ti temo! e in quanta estP inazione io ti ho!Così appresi io a pagare gli altri; in me non ponno far breccia le tue soje.A che delizie ti avrò io oggi se mi dèi questo compiuto . . .Ah! Ahi Eh!Buon pasto, buon vino, buoni unguenti, buona car­ne in fra i bicchieri! Allo stesso desco saravvi una bella facciozza, la quale di baci ti faccia tutto carico il viso. '

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mS im. Lepide accipis me.P s e . Im o si eeficis, tum faxo mage dicas.S ia . Pii ecfecero, cruciabiliter carnufex m eaccipito!

Sed propera mihi monstrare, ubi sil ostium aedium. rsE . Tertium hoc est.S /m* St, tace: aedes hiscunt.P s e . Credo animo male est

Aedibus.Sjm. Quid ja m ?P se. Quia edepol ipsum lenonem evomunt.SiM.Jlliccine est?P s b . Illic est.S im. Mala merx est, Pseudole: illuc, sis, vide:

Aon prorsus, verum ex transvorso cedit, quasi can­cer solet.

SCENA II .

B j l l ì o , P s e u d o l u s , S i a v i a .

tt.n . Minus malum hunc hominem esse opinor, quamesse censebam, coctim:

fiam nihil etiamdum harpagavit praeter cyathumet cantharum'

Psb. Heus tu, nunc Occasio est et tempus!S ia . Tecum sentio.Pss.Ingredere in viam dolosej ego hic in insidiis ero. Sjm.H abui numerum sedulo: hoc est sextum a porta

proxum umAngiportum: in id angiportum me devorti jusserat. Quotumas aedis dixerit, id ego admodum incerto

tcio.

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81». Affogatine! tu mi accogli da re.F cr. Ma se ci vieni a capo, vo’ che ne dica di più.Sin. E se non ci vengo tu fammi abbocconare ad un

boja! Ma spacciati, insegnami ove sia 1’ uscio di questa casa.

Fur. È il terzo.Sim. St, Taci. Questa casa apre la bocca.Fur. Credo che la abbia la nausea.Sim. Perchè.'Fur. Perchè la vomica fuori il ruffiano, in corpo.Sia. É lui?F ur. Lui.Sim. Mala mercanzia è questa, o Furbo: bada ora: non

diritto cammina egli, ma a sbioscio come un gambero.

SCENA II.

Ballione, F urbo, Scimia.

Bal. Questo cuoco non è quel monello ch’io credeva. E- gli fin’ ora non m’ ha carpito altro che un bicchiero e un fiasco.

Fur. Ehi tu, or la viene a taglio!Sim. Veggo.F ur. T u va col piè del piombo, io m' appiatterò quà.Sin. Ho in memoria il numero; è il sesto vicolo par­

tendo' dalla porta. Egli m’ avea detto che volgessi per di qua, ma qual sia proprio la casa io peno a ringangherarlo.

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B j l . Quis hic homo chlamydatus est, aut unde est, aulquem quaeritat?

Peregrina facies videtur hominis atque ignobilis. Sim . Sed eccum, qui ex incerto faciet mihi, quod quaero,

certius.B j l . A d me adit recta: unde ego hominem hunc esse

dicam gentium?S im .Heus tu, qui cum hircina stas barba, responde,

quod rogo.B j l . Eho, an non prius salutas?S im. Nulla est mihi salus dataria.B j l . N am pol hinc tantundem accipies.P se-. Jam inde a principio probe!S im .E cquem in angiporto hoc hominem tu novisti? te

rogo.BjL.Egomel me.S im . Pauci istuc faciunt homines, quod tu praedicas:

Nam in foro vix decimus quisque est, qui ipsus sesenoverit.

P se. Salvos sum: ja m philosophatur.S im . Hominem ego hic quaero m alum .

Legirupam, inpium, perjurum, atque inprobum. B j l . Me quaeritat:

N am m i illaec sunt cognomenta. Nomen si memo­ret modo. —

Quid ei est homini nomen?S im . Leno Rallio.B j l . Scivin ego?

Jpse ego is sum, adulescens, quem lu quaeritas. S im. TunJ Ballio es?BjL/Ego enimvero is sum.

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S in .

Bal.

S im.

Bal.

Sis .

Bal.

F cr.

Si».

Bal.

SlH.

F cr.

SlH.

Bal.

Sim.

Bal.

Sin.

Bal.

Chi è colui con quella mantelletta indosso, di che

luogo è, chi cerca egli? Ei m’ ha la faccia d’uom

forassero, e di maccianghero.

Toglilo qua, chi metterammi in via.

Ei viene ritto a me: dì qual paese dirò io sia

costui?

Ehi tu, barba di becco, rispondi a quello che cerco.

Doh! e non mi dèi la salute in prima?

Io non ho salute a dare a macca.

Qua tu ayrai altrettanto.

In sul comincio non andiam male!

Chi conosci, dimmelo, in questo chiassetto?

Io conosco me.

Pochi fan questo: di dieci un solo in piazza ve ne

ha il quale abbia conosciuto sè stesso.

Io son salvo! ei fa anche il filosofo.

10 qua cerco un ribaldonaccio, senza legge, senza,

fede, un commettimale, un spargitor di zizzania.

Ei cerca me; queste son delle mie appartenenze.

S’ ei ne ricordasse il nome. — Come si chiama

egli?

11 ruffian Ballione.

E 'noi sapeva io? io, quel giovane, son 1’ uomo

che tu cerchi?

Ballione se’ tu?

In carne ed ossa.

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S in . Ut vestitus est perfossor parietumtB j l . Credo in tenebris conspicatus si sis mey abstineas

manum.S im .Herus meus libi me salutem mullam voluit dicere.

Hanc epistolam accipe a me: hanc me tibi jussitdare.

B j l . Quis is homo est, qui jussit?Pse. Perii, nunc homo in medio Iulo est!

Nomen nescii: haeret haec res.B j l . Quem hanc misisse ad me autumas?S im. Nosce imaginem: tute tjus nomen memorato mihi

Ut sciamj te Ballionem esse ipsum.B j l . Cedo m i epistolam.S im .A ccipe et cognosce signum.B j l . Oho, Polymachaeroplacides

Purus putust ipsust'novi. Heus, Polymachaeroplacides Nomen est.

S im. Scio ja m , libi recte me dedisse epistolam:Postquam Polymachaeroplacidae elocutus nomen es.

B j l .S ed quid agii?S im . Quod homo edepol foriis alque bellator probus.

Sed propera hanc perlegere, quaeso, epistolam ( ilanegolium est )

Alque accipere argentum actutum mulieremque emit­tere:

N am necesse hodie Sicyoni me esse, aut cras mor­tem exsequi:

Ita herus meus imperiosus.Bj l . Novii nolis praedicas.S im . Propera perlegere ergo epistolam.

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Sim. Ve’ com’ è vestito questo buca muri!Bal. Avvisomi, che se mi vedessi di notte, tu non mi

porresti dito addosso.Sin. Io ho ordine dal padron mio di salutarti. Ricevi

questa lettera da me, egli m’ ha comandato di dartela.

Bal. £ da chi avesti quest’ ordine?F ur. Ahimè! in che gineprajo è l’uomo! ei non conosce

il nome! io son fritto!Bal. Dimmi adunque chi mandami questa?Sin. Riconoscine il ritratto. Tu dimmene poi il nomo

affinchè m’ accerti io te essere proprio Ballione.Bal. Dammi la lettera.Sim. Prendila e riconosci il sigillo.Bal. Oh! Oh! Polimacheroplacide vivo parlante, Io co­

nosco. Ohe! il suo nome è Polimacheroplacide.Sin. Or so d'aver messa la lettera in buone mani, dap­

poiché tu hai profferito il nome di Polimachero­placide.

Bal. E che fa egli?Sin. Quello che un uom forte: quello che - un soldato

valente. Ma spacciati: leggi questa lettera ( La bi­sogna men fa calca ) ricevi 1’ argento e manda­mi fuori la donna, imperciocché oggi m’ è forza d’ essere in Sicione, o domani io son morto: cotanto è presto il mio padrone a correre al- l’ ira.

Bal. Sonimelo: Questo è un vendere il sole di Luglio.Sin. Avacciati adunque a leggere la lettera.

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B a i . Id ago, si taceas modo.• Miles lenoni Ballioni epistolam

. Conscriptam mittit Polymachaeroplacides,Imagine obsignatam, quae inter nos duo Convenit olim. »

S im. Symbolum est in epistola.B a l. Video et cognosco signum. Sed in epistola

Nullam salutem mitterene scriptam solet?S im . Ita militaris disciplina est, Ballio:

M anu salutem mittunt benevolentibus;Eadem malam rem mittunt malevolentibus.Sed ut occepisti, perge operam experirier,Quid epistola ista narret.

B al. Ausculta modo.• H arpax calator meus est, ad te qui venit . . . » Tune es is Harpax?

Sjm. Ego sum.B j l » » Alque iste H arpax quidem,

Qui epistolam istam fert, ab eo argentum accipi Et cum eo simitu mulierem mitti volo.Salutem scriptam dignum est dignis mittere;Te si arbitrarem dignum, misissem tibi. •

S im . Quid nunc?B j l . Argentum des, abducas mulierem,S im . Uter remoratur?B j l . Quin sequere ergo introiS im . Sequor.

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Bal. Questo fo se tu stai zitto. » Il guerriero Poli-

» macheroplacide manda al ruffian Ballione nna

» lettera scritta e sigillata come fu convenuto tra

» noi due.

Sim. Il contrassegno è nella lettera.

Bal. Lo veggo e lo conosco: ma quando per le tte ra

scrive egli, non ha costume di salutar persona?

Sin. O Ballione, i soldati usano così; colle mani salu­

tano gli amici, e nello stesso modo danno la

mala ventura ai nimici: ma seguita, come hai co­

minciato, a vedere che si voglia questa lettera.

Bal. Ascoltami adunque. Sgraffigna è un mio galuppo, ei

viene a te . . . Sei tu questo Sgraffigna?

Sin. Io.

Bal. » Tu da questo Sgraffigna, che ti arreca la lettera,

» voglio che abbi a ricevere i quattrini, e che tu

» mandi la donna con lui: il saluto in iscritto

» s’ ha a mandare a chi nJ è degno. Se degno te

ne riputassi, mandato io te 1' avrei.

Sin. E sì ora?

Bal. Dammi i denari, prendi la donna.

.Sin. Chi si ferma di noi?

Bal. Vien dentro adunque.

Sin. Vengo.

Page 478: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

P seudolus.

Pejorem ego hominem magisque vorsule malum

Nunquam edepol qtiemquam vidi, quam hic esl

Sim m iaj

Nim itque ego illum hominem meluo et formido

male.

N e malus ilem erga me sit, ut erga illune fuit:0

N e in re secunda nunc m i obvortat cornua, -

S i occasionem capsit, qui siet malus.

Alque edepol equidem nolo: nam illi bene volo.

Ntinc in metu sum maxum o triplici modo:

Prim um omnium ja m hunc conparem meluo meum

Ne deserat med alque ad hostis transeat,•

Meluo aulem, ne herus redeat eliamdum a for•

N e capta praeda capti praedones fuantj

Quom haec meluo, metuo, ne ille huc Harpax ad-

venal.

Priusquam hinc hic Harpax abierit cum mulier*.

Perii hercle/ nimium tarde egrediuntur forast

Cor conligatis vasis exspectat meum,

S i non educat mulierem secum simul,

l'It exulatum ex pectore aufugiat meo.

.P ic to r sum: vici cautos custodes meo*/ -

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F urbo.

Uom più trincato (li questo Siinmia io non lo conobbi

mai da che ho vita. Ei m’ ha cacciato un coco­

mero in corpo eh’ e’, sia tristo altrettanto con

me come Io fu verso colui, e che ora, dacché

la cosa piglia buon vento, inorgoglito pigli il col­

po per voltarmi le corna. Me ne dorrebbe in ve­

rità; imperciocché io gli voglio un bene dell’ anima.

Per tre cose io sono o ra 'in grande apprensione.

Anzi ogni cosa io ho i tremiti che quel mio buon

'«ozio, non abbandoui me e diserti al nemico.

Poi che il padrone ritorni di piazza, e si non fos­

sero colti col bottino anche i ladri. Con tu tti

questi timori ho quello per giunta che venga qua il

vero Sgraffigna, prima che quell’aUro scivoli di qua

colla donna; io sono sconfitto! penano troppo a

uscirsene, io ho il cuore ehe ha già fatto il suo

fardello: se quegli non viene fuori colla fem­

mina, egli è sulle mosse di pigliar csiglio lontano

da me. Vittoria! io ho vinto tutte quelle scolte

che stavano alle vellctte.

Vol. IV. Plait. 51

Page 480: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

S imm ia, P se u d o lu s.

S im. Ne plora: nescis, ul sil res, PhoeniciumjVerum haUd multo post faxo scibis ndcubans.Non ego tè ad illum duco dentatum virum Macedoniensem, qui te nunc flentem facit.Quojam esse te vis m axum e, ad eum duco te. Callidorum haud multo post faxo amplexabere*

Ps e . Quid lu intus, quaeso, desedisli? Quam diu M ihi cor retunsum est oppugnando pectore! Occasionem reperisti, verbero,Ubi perconteris me insidiis hostilibus?

S in . Quin hinc m etim ur gradibus militariis?P se. A tqui edepol, quamquam nequam homo es, recle

mones.Ile hac, triumphi, ad cantharum recta via!

SC EN A r .

B a l l i o .

U a ha hc! nunc demum mi animus in luto esi loco, Postquam iste hinc abiit atque abduxit mulierem. Lubcl nunc ventre Pseudolum, scelerum caput, Abducere'a mc mulierem fallaciis.Conceptis hercle verbis, salis certo scio.Ego perjurare mavelim me millies,Quam m i illum verba per deridiculum dare.Nunc deridebo hercle hominem, si convenero s Perum in pistrinum, credo, ul convenit, fore.N uhq ego Simonem m i obviam veniat velim,Ut mea laetitia laetus promiscjxm siet

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SlMMIA, FUIIBO.

Sin. Non piangere tu non sai la storia, o Fenicia, da qui a non moito fa rottela sapere quando sarai seduta. Non ti traggo io a quel mascellone di Mace- doniese, che ti è cagione di tante lagrime. Io ti conduco a chi del quale tu vuoi essere. Sarà pensier mio che tu presto ti ritrovi in braccio a Callidoro.

F ur. Domine, che hai tu fatto là dentro? Perchè tenermi il cuore cotanto intra le tenaglie? Vuoi tu fla­gellarmi di dimande adesso, o manigoldo, che siamo ne’ trabocchelli del nemico?

Si». Che non fuggiam noi a guisa di soldato?F ur. Tu se’ un bindolo, pur questo è un buon avviso,

animo avviamei trionfando al fiasco.

SCENA V.

Ballione.

Ahi Ah! Eh! Or finalmente ho il capo tra due guanciali, dappoiché costui se n’ è andato via di qua e s’ è condotta via la donna, j^cuga adesso quel maruffin di Furbo a carpirmela colle sue tagliuole! -Io mi lorrei meglio far mille spergiuri che vedermi ab­bindolato da colui! Ora se m’ imbatto in esso vo­glio proprio dargli la quadra, ma conforme ci siamo concordati egli sarà al molino: quanto godrei io che mi si parasse - davanti Simone per fare che pur egli gongoli mceo della gioja./

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S in o , B allio.

S i a. Viso, quid rerum meus Uhjsses egerit, Jam ne habeat signum e x 'arce Baliionia.

B a i . 0 fortunale, cedo fortunatam manum t Sim. Quid esl?B al. Jam . . .Sim. Quid jam ?B.4L. Nihil est, quod metuas.Sim. Quid esl?

reniine homo ad le?B al- Non.S im. Quid est igilur boni?BAL.Minae viginti sanae ac salvae sunt tibi,

. Hodie quas abs te indu est stipulatus Pseudolus, SiM .relim quidem herclelB a i . Roga me viginti minas,

S i illic hodie illa sil potilus muliere,Sive eam tuo gnalo hodie, ut promisit, dabit. Roga, obsecro hercle ( gestio promittere J: Omnibus modis libi esse rem ut salvam sciasj Atque eliam habeto mulierem •dono tibi.

SiM-Nullum periclum est, qyod sciam: slipularier, Ut concepisti verba viginti minas D abin?

B al. Dabuntur.S im■ Hoc quidem actum est haud male.

Sed hominem convenistin'?B n , Imo ambo simul,

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SmoNE, Ballione.

Sim. Pur voglio io vedere che s’ abbia fatto il mio Ulisse, se abbia di già rubato il Palladio dalla rocca Ballionica.

Bal. 0 uom venturoso, dammi la tua destra fortunata!Sim. Che hai?Bal. Ornai . . .Si». Ornai?Bal. T u se’ fuor di paura.Sim. Che è questo? venne 1’ uomo a te?Bal. No.Sim. Che abbiam di buono adunque?Bal. Che quelle venti mine tu le hai sane e salve,

quelle venti mine, che ti se’ obbligato dare a Furbo.

Sim. Dio il volesse!Bal. Tassa me di venti mine se oggi Viene egli a capo

d’ insignorirsi di quella femmina: o se egli, come l ' ha promesso, porteralla in braccio al figliuol tuo: io vado in fregola di prometterle: acciocché ti possa meglio assicurare esser la faccenda salva in ogni modo; più abbiti in dono anche la donna.

Sim.* Non ci veggo risico di concordarmi in questo, mi darai tu venti mine?

Bal. Si daranno.Sui. Fin qua la mi va a bomba. Ma hai tu vedute!

F uomo?Bal. Anzi tutladue.

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S im. Quid ait? quid narrat, quaeso? quid dixit tibi?B j l . Nugas theatri, vet'ba, quae in comoediis

Solent lenoni diei, quae pueri sciunt:Malum et sceleslum et perjurum aibat esse me,

S im. Pol haud mentitusl.B j l . Ergo haud iratus fuù

Nam quanti refert, te nec recte dicere,Qui nihil faciat quique inficias non eal?

Sim. Sed quid est, quod non metuam ab eg? id audireexperto.

B j l .Quia nunquam mulierem a me abducet, nec pol est Jam . Bleminisline, tibi me dudum dicere,Eam venisse m iliti Macedonio?

S im. Memini.B j l . I/em , illius servos huc ad me argentum attulit

Et obsignatum symbolum . . .S im. Quid postea?B j l . Qui inter me alque illum militem convenerat,

Is secum abduxit mulierem haud mullo prius.S im. Bonari fide isluc dicis?B j l . Unde ea sit mihi?S im. Fide modo, ne Ulie sit contechnatus quidpiam.B j l . Epislolaiatque imago me cerlum facit.

Quin quidem illam in Sicyonem ex urbe abduxitmodo.

S im. Bene hercle facluml Quid ego cesso Pseudolum Facere, ut det nomen ad molas coloniam?Sed quis hic homo est chlamydatus?

B jl . N on edepol scio,Nisi ul observemus, quo eat aut quam rem gerat.

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Bal.

Sim.Bal.

SlH.

Bal.

Sim.Bal.

Sim.Bal.

Sim.Bal.Sim.Bal.

Sim.

Bal.

Che dice egli? Che storie ha alle inani? Che pa- role ti ha egli fatte?Bajucole da teatro, quelle cose che nelle commedie diconsi a ' ruffiani, che le sanno anche i putti: ei davami del tristo, del scellerato, dello spergiuro. EJ non disse menzogna.E per questo non mi venne la muffa. Che fa-il dir villanie da bue a chi non glie ne monta, o che non si fa caso di sbugiardarle?Ma che è questo eh’ io non abbia a temere da lui? questo io voglio sàpere.Perchè giammai non si condurrà via la donna da me, nè può farlo. E non ti si ricorda averti io detto pur ora che l’ho venduta ad un soldato di fllacedonia? Mi si ricorda.Togli, ora il servo di lui in’ ha squattrinato 1’ ar­gento, e m’ ha recati) il contrassegno . . .E dopo?E conforme ci intendemmo tra noi quel soldato si è condotta via la putta.Mi di’ tu questo in buona fede?E donde vuoi eh’ io ne abbia?Guarda, chJ egli non abbia trovata qualche stiva, La lettera e il ritratto mi cava di dubbio: vuoi tu altro? pur ora egli ha condotta via la femmina da Atene in Sicione. 'Oh ben fatto! Ma a che più tardo io a far in modo che Furbo dia il suo nome alla colonia delle macine? Ma che uomo è questo che ha la soprasberga alle spalle?Io noi so alla mia fè: ma osserviamo dove muova, o che si faccia.

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J Ij h p j x , Simo, B a l l io .0

H a r . Malus et nequam est homo, qui nihili imperiumheri facit sui seivos;

Nihili est aulem, suom qui officium facere inmemorest, nisi admonilus.

N am qui liberos eloco se arbitrantur,E x conspectu heri si sui se abdiderunt,Luxantur, lustrantur, comedunt, quod habent,Ji nomen diu ferunt servitutis,Nec boni ingeni quidquam in his inest,Nisi uti se improbis teneant arlibus.Cum islis m ihi'nec locus nec sermo convenit,Neque iis unquam nobilis fui. Ego, ut mihi impe­

ratum e*t,Etsi abest, hic adesse herum arbitror. Nunc ego

illum metuo,Quom hic ne adest, ne, quom adsit, metuam. Ei

rei operam dabo. Nam Me in taberna usque adhuc siverat Syrus,Quoi dedi symbolum. Mansi, ut jnsserat ( Leno ubi esset domi, me aibat arcessere J; Ferum ubi non venit, nec vocat, huc venio ultro,

ul sciam, quid re sil: Ne illic homo me ludificelurj neque quidquam est

m dius, quam ut pullem hoc, Alque huc evocem intus aliquem. Leno hoc. argen­

tum voloA me accipiat alque amillal mulierem mecum simuL

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Sgraffigna, Sino he, Ballione.

Sgr. Egli è una mala e trista cavezza dì servo quello che ha ili nessun pregio gli ordini del padrone, ed è poi buono a nulla se smemorato aspetta il pun­golo per fare il dover suo. Imperciocché coloro che si credono liberi, appena spiccansi dalla faccia del padrone, si dànno a spendere, a gittar ne' postri­boli a manicar tutto ehe si hanno; questi, finché lor basta la vita, portan sempre nome di servo, né briciola di buona voglia è in loro, se non di tenersi ben saldi a ' brutti costumi. Con gente così fatta io non mi trovo mai, nè fo parole con loro, nè fui mai conosciuto da esSi. Io fp quel che mi venne ordinato, credo d’ aver sempre il padrone sugli occhi, avvegnaché siami egli lontano mille miglia. Ora temo io lui, benehè qua non sia, nè più nè meno, che se vi fosse. Attenderò adesso a questo, imperciocché Siro al quale io diedi il contrassegno, m’ ha lasciato sia’ ora all’ osteria: ei dicevami che quando il ruffiano fosse tornato pur saria venuto; bene aspettato io l’ho, ma non capitando egli, nè chiamandomi, io vengo qua per sapere come stia la cosa; l’ uomo non me la fischierà di certo; io non posso far miglior cosa di battere, e chiamar qua fuori alcuno. Io voglio che il ruffiano riceva da me questo marsupio, e che mi lasci la donna.

Page 488: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

490 B j l . Heus tu!S im. Quid vis?B j l . Hic homo meus esl.S im. Quidum?B j l . Quia praeda haec mea esl:

Scortum quaerilj habet argentum. Jam admorderehunc mihi lubet.

SiM .Jamne illune comesurus es?B jl . Dum recens est,

Dum dalur, dum calet, devorari decet.N am boni me viri pauperantj inprobiJ iu n t, augent rem meam. Malo popli strenui, inpro-bi usu m ihi sunt.

S im. Malum quod tibi di dabunt, qui sic scelestus.. H js .M e nunc conmomor, quom has foris non ferio: ut

Sciam , siine Ballio domi.B j l . Fenus m i haec dona

Datat, quom hos huc adigit lucrifugas, damni Cupidos, qui se suamque aetatem bene curant, Edunt, bibunt, scortantur. Illi sunt alio ingenio

atque tu,Qui neque tibi bene esse patere, et illis, quibus est,

invides.H j b .H cus, ubi estis vos?B j l . H ic quidem ad me recta habet rectam viam. H jr . Heus, ubi estis vos?B j l . Heus, adulescens, quid istic debetur tibi? —

Bene ego ab hoc praedatus ibo. Novi: bona scaevaest mihi.

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Bal. Ehi tu!Sin. Che vuoi?Bal. Questo merlo è mio.Sim. Perchè?Bal. Perchè 1’ ho già nel carniero, ei vuol scorrer la

campagna, ed ha quattrini a lato. Scntomi già la voglia di abboccarlo. * '

Simv Sì presto vuoi manucartelo?Bal. Mentre è fresco, mentre è in sulla voglia di dare,

mentre è caldo ancora bisogna papparselo. Gli uomini dabbene mi spiantano, i tristi mi pasco­lano, e mi inricchiscono. Que’ che son la rovina del popolo, que’ fhe son malvagi, son quelli che mi dànno la vita.

Sim. Il morbo che ti colga! ch« ghioltoncello se’ tù mai.

Sgr. Io perdo il tempo non battendo a questa porta, per saper se Ballione sia in casa.

Bal. Questa è provvidenza di Venere mandandomi co­storo che fuggono il guadagno come il diavolo, che son desiderosi di sculacciar il mattone, che altro non pensano che curar bene la pellet man­giare, bevere, e donneare. Questi son d’altro avviso che il tuo, tu non soffri di pigliarti buon tempo, e crepi dJ invidia per quelli che se lo pigliano.

Sgr. E dove siete voi altri?Bal. Costui viensene difilato a me.Sgr. E dove siete voi altri?Bal. Oh, quel giovane, che hai tu da queste parti? — la

son certo che andrò a buon bottino, sonimene avvisto, 1’ augurio è buono.

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492H ar. Ecquis hoc aperit?B a l. Heus, chlamydate, quid islic debetur tibi?H ar. Aedium dominum lenonem Ballionem quaerito.B j l . Quisquis es, adulescens, operam fac conpendi quae­

rere.H ar. Quid jam ?B j l . Quia ted ipsus coram praesens praesentem videt. H ar. Turi es?S in . Chlamydate, cave, sis, libi a curio infortunio ,

Atque in hunc intende digitum: hic leno est.B j l . A t hic est vir probus j

Sed tu , probe vir, flagitare saepe clamore inforo,

Quom libella nusquam est, nisi quid leno hic sub­venit libi.

H j r .Q uìii tu mecum fabulare?B j l . Fabulor. Quid vis tibi?H ar.Argentum accipias.B ai,. Jamdudum, si des, porrexi manum.H ar. Accipe. Hic sunt quinque argenti lectae numeratae

minae.Hoc tibi herus me jussit ferre Polymachaeroplacides, Quod deberet, alque ut mecum mitteres Phoenicium, ■

B a l. Herus tuos . . .H ar. I ta dico.B j l . Miles . . .H j r . Ita loquor.B j l . Macedonius . . ,H ar. Admodum, inquam.Ba l. Te ad me misit Polymachaeroplacides . . ,

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Scr. Chi apre qua?Bal. Ehi tu là con quella clamida, che ti si deve?Sc r . I o cerca il padron di casa il ruffian Ballione.Bal. Chiunque tu sii, quel giovine, poni pur fine alla

tu a ricerca.Sgr. Perchè?Bal. Perchè egli ti sta davanti.'Sgr. Se’ tu quello?Sim. 0 uom della sopransegna, guardati da un ma­

lanno che saria non da fava, appunta col dito quest’ uomo, il ruffiano è costui.

BaL. Questi è un uom dabbene, pur tu , dabben uomo, se’ spesso bistrattato in piazza, quando non hai una lira, se questo portapolli non ti viene in ajuto.

Sgr. E che non vuoi*tu parlar meco?Bal. Parlo: in che ti occorro io?Sgr. Prendi -questo denaro.Bal. È da un anno, se me lo dài, eh’ io ho sporta la

mano.Sgr. Prendilo: qua dentro son noverate cinque brave

mine d’ argento; il mio padrone Polimacheropla­cide, m’ ha ordinato di portartele perchè te le doveva, acciò tu mandassi Fenicia con me.

Bal. Il tuo padrone . . .Sgr. Certo.Bal. Il soldato . . .Sgr. Proprio.Bal. Di Macedonia . . .

«

Sgr. Davvero.Bal. Polimacheroplacide ti ha mandato a me . ! .

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494H jr . Fera memoras.B jl . H oc argentoni ul mihi dales . . .H j r . S i tu quidem es

Leno Ballio.B j l . Alque ut a me mulierem abducas?H j r . Ita.B j l . A n Phoenicium esse dixil?H j r . Recle meministi.B j l . Mane:

Jam redeo ad le.Hj r . A l maturate propera: nam propero. Fides

J a m die mullum esse?Bj l . Fideo. Hunc advocare eliam volo.

Siane modo istic: ja m revortar ad le. — Quidnunc fil, Simo?

Quid agimus? manufesto hnitb hominem teneo, quiargentum attulit.

S in . Quid jam ?B j l . A n nescis, quae sit haec res?S in . Juxta cum ignarissumis.B j l . Edepol, hominem verberonem Pseudolumi ut docte

dolumConmenlusll tanlumdem argenti, quantum miles de­

buit,Dedit huic, atque hominem exornavit, mulierem qui

arcesseret.Pseudolus tuos adlegavil hunc, quasi a Macedonio Milite esset.

S im . Habesne argentum ab homine?B jl . Rogitas, quod vides?

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Sgr. Dici il giusto.

Bal. Perchè mi dii questo denaro . . .

Sgr. . Se pur tu sei il ruffiau Ballione.

Bal. E per condur via la donna?

Sgr. Per questo.

Bal. Forse ti disse egli Fenicia?

Sgr. Ben te n’ arricordi.

Bal. Aspetta: vengo in un attimo.

Sgr. Ma spacciati, perchè ho fretta, tu vedi che il sole

è già basso.

Bal. Veggo: io vo* chiamare in testimonio anche costui,

aspetta un micolino, subito io sono a te. Quali

novelle abbiamo, o Simone? che facciamo? Non

l’ho colto il pincione io in quest’uomo che mi ha*

portato 1’ argento?

Sia. E si ora?

Bal. Non vi travedi dentro nulla?

Sua. Tanto come i ciechi.

Bal. Egli è pur la mala ^a tta quel Furbo, che trappola

ha trovata il mariuolo, egli ha dato a costui tanto

quanto dovevami il soldato, gli ha messe queste

frappe indosso per venire a chiamarmi la donna.

Il tuo Furbo mandami costui come fosse uno sbir-

. ro del soldato di Macedonia.

Sim. E 1’ hai avuto il denaro dall’ uomo?

Bal. Dimandi? e non è questo che vedi?

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S ia . Heus, memento ergo dimidium ialine mihi de praedodare!

Commune istuc esse oporlet.B j l . Quid? malum? Id tolum tuom est.H jR.Q uam m ox m i operam das?B j l . Tibi do equidem. — Quid nunc es auctor,

Simo?S m , Exploratorem hunc faciamus ludos suppositicium

Adeo, donicum ipsus sese ludos fieri senserit.B j l . Sequere. — Quid ais? Nempe lu illius servos es? H j b . Planissume.B j l . Quanti te emil?H j b . Suarum in pugna virium victoria:

N am ego eram domi imperator summus in patriamea.

B j l . A n etiam ille unquam expugnavit carcerem, patriamtuam?

H ar. Contumeliam si dices, audies.B j l . Quotumo die

E x Sicyone pervenisti huc?H ar. Allero ad meridiem.B j l . Strenue mehercule isli. — Quamvis pernix hic homo

esttUbi suram adspicias, scias, posse eum gerere crassas

conpedes. —Quid ais? tune etiam cubitare solitus in cunis

puer?S ia . Scilicet.B j l . Etiamne facere solilus es? sciri quid loquar? S ia . Scilicet solitum esse.Har. Sanine eslis?

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Sim. Ohe, ricordati di partir meco a metà questo bot­tino? cotesto è civanzo d’accomunarsi tra noi.

Bal. Che anzi? un canchero? questo è tutto tuo.Sgr. Quando verrai tu a me?Bal. Subito — Qual consiglio mi d ii tu ora, o Si-

mone?Sim. Teniamo un pezzo sulla colla questa spia sup­

positizia, finché s‘ avvegga da per sè lui essere tolto a fare.

Bal. Vien qua: che mi dici tu? se’ proprio tu servo di colui?

Sgr. Servissimo.Bal. A qual prezzo ti ebbe?Sgr. Ei m’ ha fatto suo colla vittoria delle sue braccia,

imperciocché a casa mia, nella mia patria, io e ra generai comandante.

Bal. Ha forse egli espugnato le stinche che son patria tua?

Sgr. Se mi di’ villanie ne avrai altrettante.Bal. In qual dì sei arrivato qua da Sidone?Sgr. J e r 1’ altro a mezzo dì.Bal. Per Dio se ha fatto presto? Che gambe ha que­

s t ' uomo! pongli alla nocca gli occhi; puoi far conto che ferri porti egli. — Ma che aggiungi? da fanciullo solevi dormire in culla?

Sim. Sicuramente.Bal. E fosti solito fare? tu raccogli quel che dico

io?Sim. Solitissimo.Sgr. Il cervello v’ ha forse dato di volta?

Vol. IV. Plaut. 32

Page 496: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

B al. Quid, quod te rogo?Nociu in vigiliam quando ibat miles, tum lu iban

simul?Conveniebalne in vaginam tua machaera militis?

H a r . I in malam crucem IB al. Ire licebit libi lamen hodie temperi.JltR. Quin tu mulierem m i emittis? aut redde argentum. V al. Mane.11 m . Quid maneam?B a i . Chlamydem hanc conmemore*, quanti

conducta est.I I ar. Quid esl?B al. Quid meret machaera?H ar. Helleborum hisce hominibus opus est.B al. - E lio . . .H ar. Mitle.Bal. Quid mercedis petasus hodie domino demeret? JlAR.Quid domino? quid somniatis? Mea quidem haec

habeo omnia,Meo peculio emta.

B al. IV^mpe, quod femina summa sustinet.HAR.Uncli hi sunt senes, fricari sese ex antiquo volunt. B al. Responde, obsecro hercle, hoc vero serio, quod te

rogo:Quid meres? quantillo argento te conduxit Pseudo­

lus?HAR.Quid istic Pseudolusl?B jl. Praeceptor tuos, qui te hanc fallaciam

Docuit, ul fallaciis hinc mulierem a me abduceres. H ar. Quem tu Pseudolum, quas lu m ihi praedicas falla­

cias,Quem ego hominem nulli coloris novi?

Page 497: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Sgr. Bal. ; Sgr.

Bal.Sgr.Bal.

Sgr.Bal.Sgr.Bal.Sgr.

Bal.Sgr.

Bal.Sgr.

•Bal.

Sgr.Bal.

Sgr.

Senti quél che li dimando? Quando il soldato era di guardia andavi anche tu iusiemc? entrava nella tua guaina la-daga del soldato?Va sulla forca! 'Oggi tu hai tempo e puoi andartene.L’ una delle due, o dammi la donna o rendimi l’ argento? 'Aspetta.Che ho da aspettare?Ti arricordi per quanto hai presa a nolito questa clamide?Che è questo?Questa daga quanto la ti piange d’ affitto? Elleboro ci vorria per costoro!Oh! . . .Lasciami.Quanto d’entrata dà oggi al padrone questo petaso Che padrone? che sogni son questi? queste cose^ son roba mia, e holle pagate del mio.Quella forse che sta in eapo all’ anche?Questi vecchi si sono unti, e van cercando chili freghi all' antica.Deh! rispondimi chiaro, e proprio del buon senno che tu abbia a quello che ti cerco: qual mercede hai tu? a quanto batti compro Furbo?Che Furbo mi conti?Il tuo maestro: quegli che t’ha sobillato l’ astuzia di venir qua per rubarmi a forza di bafrerie la putta.Che Furbo, che barrerie mi vai tu raccontando,io non so colore che si abbia quest’ uomo.

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B al. Non tu islìnc abis?Nihil est hodie hic sycophantis quaestus. Proin lu

PseudoioNunties, abduxisse alium praedam, qui occurrit

priorHarpax.

H ar. I t quidem edepol H arpax ego tum.B àl. Imo edepol esse vis. —•

Purus putus sycophanta hic.H ar. Ego tibi argentum dedi,

Et dudum adveniens extemplo symbolum servo tuo, Heri imagine obsignatam epistolam, hic anle oslium.

B al. Meo tu epistolam dedisli servo? quoi servo?) I ar. Syro.fiAL.Num confidit sycophanta hic? Nequam meditatur

male:N am illam epistolam ipsus verus Harpax huc ad'

me allulit,H ar. Harpax ego vocor> ego servos sum macedonis m iV

litisjEgo nec sycophantiose quidquam ago, nec malefice> Neque istunc Pseudolum mortalis qui sit noviJt ne™

que scio,S im, Tu nisi m irum est, leno, plane perdidisti mulierem, B al. Edepol nae istuc magis magisque metuo, quom verba

audio.SiM* Mihi quoque edepol jamdudum ille Syrus cor per

frigefacit,Symbolum qui ab hoc accepit. Mira sunt, ni Pseu•»

dolus t.Eho lu, qua facie fuit dudumf quoi dedisli symbo­

lum?

Page 499: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

6al. E non sloggi di qua tu? qua oggi i ciurmadori noii hanno niente a che fare, torna a Furbo e digli!il Sgraffigna che prima ci venne aversi condottò via la preda.

Sg r . Questo Sgraffigna sono io.Bal. fcioè lo vuoi essere. Lieva la gamba! che ciurma-1

dorè è costui!Sgr. Ben i quattrin i ti ho dato io, e pur ora, appcn.l

qua venuto, al tuo servo io diedi il contrassegno, una lettera sigillata col ritratto del padrone, qua sopra là porta.

Bal. Tu hai dato Una lettera ài mio servo? a qual servo?

Scr. A Siro.Bal. E tan ta baldanza ha qtlestd briccóne? questa moz-

zina vorria darmi il pepe: questa Ietterà il verd Sgraffigna me l 'h a già portata.

Sgr. Sgraffigna mi <$iàrtìo io, io sono il servo del soldato* macedone: nè ciurmerie, nè stregonecci uso ne’ fat­ti miei, io non conosco, nè so razza d’uomo che si d questo Furbo.

Sin. Non meraviglio, o ruffiano, che tu abbi perduta, la donna.

Bal. E a dirla schietto ude ne sento già la paura nelle ossa all’ udir queste parole.

Sim. Anche a me mi fa da un pezzo gelare il sangue! - quel Siro che ha ricevuto il contrassegno da costui.Io casco dalle nuvole, egli è Furbo senza altrot ma dimmi che faccia aveva 1’ uomo a cui tu hai dato questo eontrassegno?

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U jit.R u ftu qiiidam, ventriosus, crassis suris, subniger, ' Magno capite, aculis oculis, ore rubicundo, admo­

dumMagnis pedibus.

S in . Perdidisti, postquam dixisti pedes!Pseudolus fuit ipsus.

B jl. Actum est de me! Jam morior, Simo!I I jn Hercle haud te sinam ecmoriri, nisi m i argentum

redditurFiginti minae.

S im . Atque etiam mihi aliae viginti minae.B jl . Auferetur praemium id a me, quod promisi per

jócum?SiM.De improbis viris auferri praemium et praedam

decet.B j l . Saltem Pseudolum mihi dedas.S im . Pseudolum ego dedam tibi?

Quid deliquit? D ixiri, ab eo u t.tib i caveres, centies? B à i . Perdidit me.S im . A t me viginli modicis multavit minis.B jl . Quid nunc faciam?Mjm. S i m i argentum dederis, te suspenditoB j l . Di te perdant! Sequere, sis, me ergo ad forum, u l

solvam.B j r . Sequor.

Quid ego?B j l . Peregrinos absolvam: cras agam cum civibus.

Pseudolus m ihi centuriata habuit eapilis comitia, Qui illune ad me hodie adlegavit, mulierem qui ab­

duceret. —Sequere tu nunc. — Ne exspectetis, d u m . hac do­

m um redeam via:

Page 501: Marco Accio Plauto - Le Venti Commedie Vol. 4

Sgr. Egli era un colai rossastro, t panciuto, di polpe grosse, brunotto, di gran zucca, d’ occhi aguzzi, rosso in faccia, e di piedi grandissimi.

Sim. Io son sconfitto, dappoiché m’ hai fatto motto dei piedi. È Furbo in anima e corpo.

Bal. Io son spacciato! io ho 1’ anima sulle labbra, o Simone.

Sgr. Ma non te la farò sputare per Dio, se non mi rendi i quattrini, le sono venti mine.

Sim. E venti mine anche a me.Bal. E mi si carpirà quel prezzo che io promisi da

burla?Sim. E prezzo e bottino «s' ha da cavare dai rei uo­

mini.Bal. Almeno concedimi Furbo.Sim. Furbo ti darò io? che male ha fatto egli? e non

ti ho detto io un cento volte che ti guardassi da lui?

Bal. Egli m’ ha diserto.Sim. E me ha condannato di altre venti buone mine.Bal. Ora che farò io?Sgr. Paga me, e poi t'impicca.Bal. Che Dio t ’ aflranga, seguimi se n ' hai voglia fino

in piazza se vuoi eh’ io ti paghi.Sgr. Ti seguo.Sim. E io?Bal. Oggi vo spacciarmi de* forestieri, domani tratterà

coi cittadini. Oggi Furbo m’ha condannato del capo mandandomi colui, perchè mi rubasse la donna —;

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- 501Ila res getta est, angiporta haec certum est con-

sectarier.H ar. S i graderete tantum , quantum loquere, ja m esses

ad forum.B al. Certum m i est, ecmortuaìem facere ex natali die.

SC E N A F i l i .

SlMO.

Bene ego illune tetigi, bene autem servos inimicum suoml Nunc mihi certum est, alio poeto Pseudoio insidias

dare,Quam aliis in comoediis fit, ubi cum stimulis aut

flagrisInsidiatur; at ego ja m inultus promam viginti mimis, Quas promisi, si ecfecisset; obviam ei ultro deferam. N im is illic mortalis doctus, nimis vorsntus, nimis

malusiSuperavit Dolum Trojanum atque UKssem Pseudolus! Nunc ibo intro: argentum promam; Pseudolo insi­

dias dabo.

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Seguimi tu ora, non mi aspettate eh* io torni da questa banda, il caso che mi venne vuol ch’ io vada pe’ viottoli.

Sgr. Se tu camminassi tanto qaanto parli certo saresti già al foro.

Bal. Io son chiaro, il natalizio mio vo’ cambiarlo in mortorio.

SCENA vm .

SlMOHB.

Io 1’ ho tocco d’ un buon bolcionc e bene per Dio ha pigliate sul nemico le sue vendette il servo! Io ho già fatto il mio consiglio, vo’ appostar Furbo, ma non come si, fa nelle altre commedie coi pungoli e colle fruste, io senza dargli male gli snocciolerò venti mine, che promesse gli ho se egli riusciva a bene; vogargliele io stesso. Che uom scaltro! che cianghellino! che mariuolo è'quegli! Furbo ha vin­to il trojano Dolone, e Ulisse: andrò dentro, pren­derò i quattrini, e aspetterò Furbo al passo.

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ACTUS r.SC E N A I.

P seu d o lu s. '

Quid hoc? siccine hoc fil, pedes? statiri, an non?A n id voltis; ut me hic jacentem aliquis tollat? N am hercle si cecidero, vostrum erit flagitium. Pergitiri pergere? A h j saeviundum m i hodie est. Magnum hoc vilium vino est: pedes capiat prim um . Luctator dolosust.Profecto edepol ego nunc probe abeo madulsa;Jta victu excurato, ita mundicia digna,Itóque in loco festivo sumus festive accepti.Quid opus multas agere med ambages? Hoc est ho­

minij quamobrem Filam amelt hic omnes voluptates, indu hoc omnes

sunt venustates/Proxum um dii arbitro esse: nam ibi amans con-

plexus amantem est; Ib i labra ad labella adjungilj ibi alter alterum bi­

linguiManufesto inler se prehenduntj ibi m am m a m am -

milla opprimitur; A u t, si lubet, corpora condupHcantj M anu’ candida cantharum dulciferum Propinare, amicjssumam amicitiam,Neque ibi esse alium alii odio, nec molestum ,Nec sermonibus morologis uti:

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ATTO V.

SCENA I.

F u r b o .

Che è questo? così dovete essere meco, o piedi? volete star fermi o ao? volete forse voi che alcuno mi raccolga dopo che ho fatto il tomo? Se io do del culo in terra-la vergogna sarà vostra: e che non la si voglia ancor finire? Oggi devo io far pro­prio il fiero. Ecco gran peccato che ha il vino: prima d’ ogni altra cosa egli s’ apprende a’ piedi, egli è un lottatore pieno d’inganni; poffar il mon­do! oggi son proprio ben cottìccio, siam proprio stati accolti assai bene con un buon pasto, con una polizia che innamora, in un luogo che il più festevole non ha il mondo; ma che vado io ag­girandomi in tante storie? Qual uomo vi ha sottoil sole il quale possa amar meglio la vita? in que­sto son tutti i gusti, in questo son tutte le gioje,io Io credo vicinissimo agli Iddii? imperciocché quando 1’ amante strignesi nelle braccia 1* amica, quando congiunge labbro a labbro, quando 1’ un 1’ altro si ruba la lingua, quando si danno quelle strettoline, o se meglio più calza si avviticchiano e si vede colmo da una man di gigli un bel bic- chiero di vin dolce, io veggo esser quivi la più soave delle amicizie, niuno essere in odio all' al­tro, nè di poja, nè hanno in bocca certe baje da

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Unguenta atque odorés, lemniscos, corollas D ari dapsilis; non enim parcipromi Victu celeroj ne quis me roget.Hoc ego modo alque herus minor hanc diem sum*

simus prothyme.Postquam opus meum, ul' volui, omne perpetravit

hostibus fugatis:Illos adcttbanlisj potantis, amantis,Cum scortis reliqui et meum scortum ibidem,Cordi atque animo suo obsequentes. Sed postquam

exsurrexi, me orant Ut saltem. A d hunc me modum intuli, illis Uti satisfacerem ex disciplina:Quippe ego, qui probe Ionica perdidici. Sed pal-

liolalim amictusH ac incessi ludibundus.' Plaudunt;, partim clamitant

me ulRevortar. Occepi denuo hoc modo volvij ilem amicae Dabam meae me,Ul me amaret. Ubi circumvorlor, cado. Id fuit

maenia ludo.Ilaque, dum enitor, pax! jam pene inquinavi pallium. Nimiae tum voluptati edepol fui,Ob casum datur cantharusj bibi.Conmuto eloco palliumj illud posivij Inde huc exii, crapulam dum amoverem.

Nunc ab hero ad herum meum majorem venio foedus conmemoratum.

Aperite, aperite! heus, Simonif adesse me, quisnuntiate!

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vcggliia. Eranvi unguenti, odori, nastri, corone: Nè alcun stia a domandarvi se ebbimo del te­gnente nello spendere per la tavola. In questa forma, e allegramente io e il padrone abbiam passato il dì.

Dappoiché io ho compiuta la mia faccenda proprio con­forme io voleva, che ho sbaragliati i nemici, io ho lasciati quegli amanti giacenti e ciompi insieme alla mia bagascia, che facevano proprio quanto volevano. Dappoiché mi levai suso mi pregano

. d ' un balletto. Io mi son mosso a questo modo per accontentarli, e per far veder loro eh' io ho proprio studiata 1’ arte Jonica. Ma dopo coperto del mio mantello son venuto da questa banda per pigliarmi un po' di burla. Mi fan plauso e gridasi da taluni cli'io torni indietro. Di nuovo io mi son messo a far quattro giri; mi gittava al collo delTami-

. ca perchè la mi facesse un po' di carezze, ma in- sul bello io do un cimbotto, e questo fu il tragi­co fine della commedia. Ma sia in buon ora, mentre fo per levarmi poco mancò eh* io non bruttai il mantello: che gusto prese la brigata! per toglier­mi la paura mi si .diè un bellicone e io ci vidiil fondo; cambio il mantello e lascio giù 1’ altro: son venuto qua fuori per farmi passare i fumi. Ora dal -padron giovane vo al padron vecchio per ricordargli la promessa. Aprite, aprite! alcuno va* da a Simone, ditegli ch 'io son qui.

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S i to , Pseudolus, B allio.

S i» . F ox viri pessumi me exciet foras.Sed quid hoc? qUomodo? quid lu? video ego . .

PsB.Cum corona ebrium Pseudolum tuom.S im . Ubere hercle hoc quidem! — Sed vide slaluml

Nur* mea gralia pertimescit magis?Cogito, saeviter blanditeme adloquar.Sed hoc vim vetat facere nunc, quod fero, si Qua in hoc spes sila est mihi.

P se. F ir malus viro oplumo obviam il.S im . D i le ament, Pseudole.

Os m i inruclas ebrius?P sb. Molliter siste nunc m et cave ne cadam/

Non vides me, ut madide madeam?SiM.Quae istaec audacia est, le sic interdius

Cum corolla ebrium incederei P ss. Lubet.S im. Quid? Lubet? Pergiri ructare in os mihi? P ss. Suavis ruclus m i est. Sic sine modo.S im . Credo equidem> potesse te, scelus,

Massici montis uberrumos qualuor Fructus ecbibere in hora una.

Pse. Hiberna, addito.

Phui,In mulam crucem/

P sb.S im .

Cur ergo adflicter me?Quid tu, malum, ergo

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Simohe, Furbo, Ballione.

Sim. La voce d ' un ribaldo mi chiama fuori. Ma che è questo, come? che vuoi tu? chi veggo io?

F ur. Il vostro Furbo un po’ alticcio colla ghirlanda in capo.,

Sim. Questa è cosa da libero, ma guarda postura! ha forse egli un timore di più perchè io son qui? Io sto pensando se debba parlargli brusco o dolce, ma questo eh ' io porto mi toglie dal fargli violenza, avendo speranza di buscar qual cosa.

F ur. Un rlbaldonaccio si fa in co n tri alla cima de’ galan­tuomini.

Sim. Che Dio t ’ajuti, o Furbo, Puh! a mandarti in croce.

F ur. Perchè dovrò io darmi al malanno.Sim. 0 capestro, perchè mi ru tti in faccia?F cr. Levatemi voi pian piano! guardate eh’ io non ca­

schi! Non vedete voi come io son bagnato?Sim. Che sfacciataggine è la tua camminar di giorno,

e sì briaco, colla ghirlanda in testa?F ur. Perchè così mi piace.Sim. Come ti piace? e duri in ruttarmi in faccia?F ur. Il ru tto fa bene a me abbiate pazienza.Sim. I o credo, o forca, che tu berresti in un ora quat­

tro grasse vendemmie del monte Masso.F ur. E aggiungete d 'inverno .

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S in . Haud male mones. Sed dic tamen,Unde onustam celocem agere te praedicem.

P se. Cum tuo, filio perpotavi modo.Sed, Sim o, ut probe tactus Ballio esl!Quae tibi dixi, ul ecfecta reddidi!

SiM.Deridts? Pessumus homo es!Pse. Mulier haec feci

Cum tuo filio libera adeubet.S im. Omnia, ut quidque egisti, ordine scio.P se. Quid ergo dubitas dare m i argenlumlS im . J us petis, faleo'r. Tene.P se. A t negabas te daturum mihi, tamen das. — Onera

hunc hominenijAtque me consequere hac.

S im . lstunc ego onerem?Pse. Onerabis, scio.S im . Quid ego huic homini faciam? satin’ ullro argentum

auferlj et me inridel? PsE.Vae victis! Forte igitur humerum. Hem!B j l . Hoc ego nunquam ratus sum fore medj ul tibi fie­

rem supplex.HeUj eheu, heu!

Pse. Desine.B j l , Doleo.P s e . M doleres tu, ego dolerem.B jl . Quid?.hoc auferes nunc, Pseudole,

Abs tuo heroi P st\ Lubentissimo corde atque animo.

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Sin. Tu non dici male. Ma pur tu dimmi donde ne vieni così pieno, che mi sembri una caracca.

Fur. Io ho trincato col figliuol vostro. Ma, o Simone, non è ben trafitto quel pollastrier Ballione! e non vi ho io dato compiuto tutto quanto vi ho pro­messo?

Sim. Mi dài tu un po’ di giambo eh! Tu se’ la peggio cavezza del mondo.

F ur. I o ho fatto che questa donna la si trovasse col vostro figliuolo.

Sin. Tutte per filo, e per segno le conosco le tue va- lenterie.

F ur. Perchè adunque state in forse voi dal darmi l’ar­gento?

Sin. Tu chiedi il giusto, Io confesso, prendilo.F ur. £ pur voi duro a dirmi che non me l’avreste da­

to: nulla di manco ora me lo snocciolate voi, ca­ricatene quest’uomo e seguitemi da questa banda.

Sin» lo caricartelo?F ur. E me lo caricherete di certo?Si». E che posso far io a costui? e non basta eli’ ei

si piglia in buona pace i quattrini e che mi dii anche la burla?

F ur. Guai ai vinti! volgete le spalle, guardate. H cm !

Ba l. Non sariami venuto in mente giammai eh' io avessi a venir supplichevole davanti a te. Ohi, Ohi, Uhi !

F ur. Finiscila.Bal. E me duole!F ur. Se non piangessi tu, piangerei io.Bal . E che? o ra tei porti via, o Furbo, dal tuo padrone?F ur. Di tutta voglia, del miglior cuore del m o n d o .

VOL. IV. PLAUf. 33

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B al. Non audes, quaeso, aliquam pariem graliam facerehinc m i argentiti

J 's e . Novi, dices me avidum esse hominem: nam hincnunquam eris numo divitior.

Neque te mei tergi misereret, si hoc non hodie e f ­fecissem.

B j l . Erit, ubi te ulciscar, si vivo/P se . Quid minilarei Habeo tergum.B j l . Age sane.P se. Jgilur redi.B al. Quid redeam?P se. Redi modo: non eris deceptus.B jl. Redeo.P se. Simul mecum i potatum.B jl . Egone eamlP se. Fac, quod te jubeo.

S i is, aut dimidium aut plus etiam faxo hinc feres. B j l . Eo. Duc me, quo vis.Pse. Quid nunc? numquid iratus aut mihi, aut filio

propter as res, Simo?S im . N il profecto.Pse. I hac.B jl . Te sequor. Quin vocas spectatores simul?Pse. Hercle me isti haud solent. Ferum si adplaudere

Follis alque adprobare hunc gregem et fabulam , in Crastinum vos vocabo.

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Bal. E non sci da tanto di partirne un po’ meco di questo denaro?

F ur. Mei sol tu dirai eh’ io 'sono un taccagno, ma da parte mia tu non ti fai ricco d’ un soldo. Nè tu avresti avuto misericordia alle mie spalle se oggi questo io non avessi compiuto.

Bal. Veramnai ben colpo da vendicarmi se avrò vita.F ur. Che minacele son queste? ho buona schiena.Bal. Su adunque.F ur. Torna qua.Bal. A che fare?F ur. Torna, non farai getto de’passi.Bal. Torno.F ur. Vien meco a bere.Bal. Io?F ur. Fa quello che t ’ ordino: se vieni, farò che ti si

dia, o la metà o qual cosa di più.Bal. Vengo, conducimi dove vuoi.Fur. E s ì ora, o Simone, siete in collera meco voi, o

col figliuolo per questo?Sun. Niente affatto.F ur. Vien qua.Bal. Ti seguo. Perchè non chiami anche gli spettatori?F ur. Questi non fanno mai altrettanto con me. Ma se

volete voi applaudire, e approvar questa compa­gnia e questa favola, V invito per domani.

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N O T E

(1) Questo prologo è supposito: taluni portano opinionesia c s s q fattura di quell" Urceo Codro il quale feceil supplemento ali’Aulularia. — Vedi Voi. IH. pa­gina 306.

(2) Herbam, solslilialem de ea intellego, quae temporesolstitii, noctc praesertim frigidiuscula., u t solet, et rorulenta subnascitur, et postea a calore solis diurni, qui tunc maxime saevit, moritur, aut certe languescit. Boxornio.

(3) Zcto e Amfione figliuoli di Giove, nati da Antiope,legarono Dirce, cui Lieo aveva sposata, ad una coda di bue, e Lieo uccisero.

(4) Così corresse Lipsio. Ant. lectt. lib. IV. cap. 4. pag.132. ed d’Anversa 1575.

(5)(6) Sono stato colla correzione di Bothe.(7)(8) Male Angelio legge malortim.(9) Assai qui discordano i testi. Io ho seguitato 1’ Eusin-

gero perchè mi parve in questo luogo il migliore tra gli schiaritori.

(10) Molti durano a leggere diobolarem.(11) Alcune lezioni hanno conspicio.

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INDICE

II P e r s i a n o ...................................................... * Pag- 8Dedica dei P e r s ia n o .................................................» ^Lo S t ic o .......................................................................* 123Dedica dello Stico .................................................» -125II Trinummo ............................................................» 219Dedica dei T r in u m m o ............................................» 221Lo Pseudulo ovvero il F u r b o .................................» 359Dedica del F u r b o ...................................................... » 361