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accompagnare | servire | difendere SERVIZIO DEI GESUITI PER I RIFUGIATI N O 46 Lasciate partire il mio popolo SRI LANKA Medio Oriente: Nuove frontiere Stati Uniti/Messico: Oltre le frontiere Goma: Apprendere le cose giuste Thailandia: Istruzione per tutti Il reinsediamento dei rifugiati bhutanesi

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JESUIT R EFU GEE SER V ICE - ISSUE 46

accompagnare | servire | difendere

S E R V I Z I O D E I G E S U I T I P E R I R I F U G I A T I N O 4 6

Lasciate partire il mio popoloSRI LANKA

Medio Oriente: Nuove frontiere Stati Uniti/Messico: Oltre le frontiere Goma: Apprendere le cose giuste Thailandia: Istruzione per tutti Il reinsediamento dei rifugiati bhutanesi

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Servir è disponibile gratuitamente in italiano, inglese, spagnolo e

francese, ed è pubblicato tre volte l’anno dal Servizio dei Gesuiti per

i Rifugiati ( JRS – Jesuit Refugee Service).

FOTO DI COPERTIN A(Peter Balleis SJ/JRS)

Questa fotografia è stata scattata in un centro aperto per sfollati

a Mannar, in Sri Lanka, nel dicembre 2007.

DIR ET TOR E

P. Peter Balleis SJ

R ED A ZIONE

Danielle Vella

PROD UZIONE

Malcolm Bonello

Il JRS è un’organizzazione cattolica internazionale

creata nel 1980 da P. Pedro Arrupe SJ. La sua missione è accompagnare, servire e

difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati.

Jesuit Refugee ServiceC.P. 6139, 00195 Roma Prati, Italy

TEL: +39 06 6897 7386FAX: +39 06 6897 7380

[email protected]

S E R V I Z I O D E I G E S U I T I P E R I R I F U G I A T I - N O 4 6

Medio Oriente

Cosa ne sarà di noi? 04Essere nuovamente “qualcuno” 05Essere uno di loro 06Appello 07

Stati Uniti/Messico

Oltre le frontiere 08 “Ero in prigione...” 09

Repubblica Democratica del Congo (RDC)

Il JRS nel Kivu Nord 10Apprendere le cose giuste 11“Voi stessi date loro da mangiare” 12

Thailandia

Rendere l’istruzione accessibile a tutti 13

Sri Lanka

Lasciate partire il mio popolo 15

Nepal

Il reinsediamento dei rifugiati bhutanesi 18

accompagnare

servire

difendere

riflessione

Pietre vive 19

(Ultima di copertina) “A Man on Fire”

in questo numeroEditoriale 03

acronimi

Le seguenti sigle sono usate in questo numero

UNHCR Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati

CICR Comitato Internazionale della Croce Rossa

ONG Organizzazione non governativa

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editoriale

Cari amici,

entre scrivo, i ricordi di una recente visita all’ospedale di Mannar, in Sri Lanka, sono ancora vividi nella mia memoria. Ricordo in particolare i grandi occhi neri di un

ragazzo di 12 anni che ponevano l’incomprensibile domanda: cosa gli era successo e perché? Una bomba gli ha strappato via la gamba destra il 26 gennaio nella regione assediata del Vanni; nello stesso bombardamento suo padre ha perso la vita e sua sorella è stata ferita. Erano tra le 250.000 persone (secondo le stime) intrappolate nella zona di guerra, sotto il fuoco incrociato dell’esercito dello Sri Lanka e delle Tigri per la liberazione della patria Tamil (LTTE), e non avevano nessuna possibilità di scampare allo spietato bombardamento. Il ragazzo e sua sorella sono poi stati accompagnati dal nonno in uno dei rari convogli del CICR autorizzati a trasferire all’ospedale di Mannar le vittime civili dei bombardamenti.

All’ospedale, gli occhi delle vittime dei bombardamenti erano pieni di angoscia e dolore. Le bombe non avevano lacerato solo i loro corpi ma anche le loro famiglie: i feriti trasportati fino a Mannar nel convoglio del CICR erano stati obbligati ad abbandonare i loro figli.

Non sono le statistiche sulle vittime della guerra e sul numero di rifugiati che possono rivelare la profondità della sofferenza, ma piuttosto i visi e le storie delle vittime innocenti. L’interrogativo negli occhi di quel ragazzo mi ha spinto a far mie le sue domande: perché? Qual è il senso di questa guerra tra esercito e ribelli? Distrugge solo le vite di persone povere e impotenti. Il pianto è sgorgato quando il dolore si è trasformato in compassione e in un forte desiderio di essere dalla parte delle persone, di accompagnarle. L’équipe del JRS a Mannar e Vavuniya ha fatto sua questa missione: restare al fianco dei feriti negli ospedali e degli sfollati nei centri di detenzione.

Camminare con i rifugiati – conoscere le loro storie, diventare loro amici e condividerne le tristezze e le speranze – è il caposaldo della triplice missione del JRS: è dall’accompagnamento che sgorga il desiderio di servire e di difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati.

Da questo numero, Servir ha un nuovo aspetto e una nuova linea editoriale: raccontare le storie di singole persone, descrivendole nella loro bellezza e dignità. Facendo ciò, vi invitiamo ad accompagnare i rifugiati, a commuovervi per le loro storie, ad aiutarli e a difenderne i diritti in vari modi: cambiando i propri atteggiamenti, sostenendo il lavoro del JRS o anche impegnandosi direttamente. Voglio ringraziarvi per il vostro interesse verso questo numero di Servir e verso i rifugiati.

P. Peter Balleis SJDirettore internazionale del JRS

M

editoriale.

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accompagnare Medio Oriente

“Quando ero bambino, ero così orgoglioso di mio padre. Come possono essere orgogliose di me le mie figlie? Non riesco a proteggerle, a nutrirle, a pagare le spese ospedaliere e nemmeno a farle sorridere.” Il fatto di non riuscire a provvedere alle sue figlie è un boccone amaro da mandare giù per Fares, un iracheno che è stato forzato a lasciare la sua terra e rifugiarsi a Damasco, insieme alle sue quattro figlie, quando ha cominciato a essere perseguitato dalle milizie a causa del suo lavoro di traduttore per i militari statunitensi a Baghdad. La vita è diventata una lotta per sopravvivere, un’esperienza condivisa dalla maggioranza dei circa 1,5 milioni di iracheni che hanno cercato rifugio in Siria.

Sebbene i siriani abbiano accolto gli iracheni come fratelli, il flusso di rifugiati ha messo ulteriormente sotto pressione i già sovraccarichi servizi pubblici. Molti rifugiati sono poveri e vivono di carità. Il JRS si

è trovato di fronte a famiglie in condizioni di vita critiche, inumane, e con un desiderio struggente di dignità. Cosa più facile a dirsi che a farsi. La maggioranza degli iracheni in Siria sono persone con un alto livello di istruzione che in patria avevano un buon lavoro. Adesso non riescono a soddisfare neanche i bisogni primari delle loro famiglie. “Cosa ne sarà di noi?”, ha chiesto Rula, la figlia maggiore di Fares. “Non abbiamo una scuola, un futuro e nemmeno un posto dove vivere.”

Fares ha fatto del suo meglio. Quando sua figlia di 11 anni ha avuto bisogno di sottoporsi a dialisi settimanale, ha deciso di ritornare a Baghdad per trovare i soldi necessari per il trattamento, circa 2.000 dollari, e non volendo lasciare le altre figlie da sole, le ha portate con sé. Un’esplosione a un posto di blocco iracheno ha ferito gravemente Fares e ucciso Rula e sua sorella di cinque anni. Questa è la realtà in cui vivono migliaia di iracheni.

04

ne saràcosa

di

INFO POINT

Poco tempo dopo la sua elezione all’inizio del 2008, il Superiore Generale della Compagnia di Gesù, P. Adolfo Nicolás SJ, ha affidato al JRS la missione di lavorare con i rifugiati iracheni in Medio Oriente. A seguito dell’intervento statunitense in Iraq nel 2003 e della guerra civile che ne è risultata, più di due milioni di iracheni hanno cercato rifugio nelle confinanti Siria e Giordania. In questa nuova sfida, la nostra missione è messa in pratica in collaborazione con le comunità gesuite locali e con altre congregazioni religiose e parrocchie cristiane.

Una realtà nascosta: i rifugiati iracheni sono disseminati nelle aree urbane, come ad esempio questo quartiere di Damasco. (Peter Balleis SJ/JRS)

Fabbricazione di ceri pasquali secondo la tradizione della Chiesa caldea. “La tristezza di Lena (prima a destra) mi ha colpito. La sua famiglia è fuggita dall’Iraq dopo che suo zio è stato ucciso. L’incontro con queste ragazze e le loro famiglie ha segnato l’inizio del JRS in Siria e Giordania”, ricorda P. Peter Balleis SJ.

noi?

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accompagnareMedio Oriente

In Siria, i rifugiati sono molto probabilmente al sicuro dalle bombe; ma sono anche coscienti che la loro esistenza in esilio presenta rischi di altro tipo, soprattutto per i loro bambini, che nella gran parte dei casi crescono senza un’istruzione adeguata. Il governo offre un’istruzione primaria gratuita a tutti gli arabi, ma solo il 15% dei bambini iracheni frequenta la scuola. Il resto non può farlo, a causa sia del sovraffollamento delle

classi che di problemi personali quali la mancanza di soldi o di documenti, il bisogno di lavorare e i forti traumi fisici o psicologici. Molti bambini iracheni ha avuto esperienze orribili in patria, e l’esilio contribuisce ad aumentare il loro trauma: genitori molto provati, soldi risparmiati con fatica che finiscono in fretta, piccoli spazi per abitare. A Damasco, il JRS ha deciso di offrire dei servizi di educazione informale, delle attività sociali e, in collaborazione con

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delle organizzazioni cristiane locali, un sostegno alle donne vulnerabili.

Un proverbio vietnamita dice: La tua tavola può anche essere ricoperta di cibi, ma non dimenticherai mai la manciata di riso che ti è stata offerta quando eri affamato. Una manciata di riso è forse tutto ciò che il JRS può offrire loro; sebbene non sia sufficiente a soddisfarne tutti i bisogni urgenti, almeno è una risposta reale e una promessa di accompagnamento, di andare avanti insieme.

Due ragazzi aprono la piccola porta di ferro ed entrano nel cortile. “Siamo a Deir San Vartan? Ci hanno detto che qui possiamo seguire dei corsi, è vero?” Mustafa è fortunato, frequenta la scuola secondaria locale, anche se ha dei problemi in alcune materie. “Non riesco a seguire le spiegazioni dell’insegnante di francese; a Baghdad non imparavamo il francese.” Fadi invece non frequenta la scuola, è stato rifiutato perché non aveva i documenti che certificassero che aveva completato il terzo anno a Mosul. La sua vecchia scuola adesso è una base militare.

Deir (convento) San Vartan è stato fondato cento anni fa dai gesuiti per servire i rifugiati armeni. Nel novembre del 2008, dopo i necessari restauri, il JRS ha cominciato in un’ala di San Vartan delle attività di doposcuola e sociali rivolte ai rifugiati iracheni e ai siriani poveri. Tra queste attività figurano dei corsi di informatica e

delle lezioni speciali per preparare gli esami della scuola secondaria e recuperare il tempo perso. Nel giro di un mese, quasi 250 persone si sono iscritte.

Una settimana dopo la loro prima visita a San Vartan, i due ragazzi sono ritornati con i loro libri sotto il braccio. Mentre Mustafa, insieme ad altri 22 ragazzi e ragazze, frequenta il corso di francese nella stanza blu, Fadi segue il corso di computer del signor Kamil. Fadi siede a fianco di Namat, una giovane che condivide il computer con suo padre e dice contenta: “In Iraq, dopo che la guerra è cominciata, i miei genitori mi tenevano in casa; adesso ho l’opportunità di imparare l’informatica”.

L’équipe del JRS è composta da siriani e iracheni, uomini e donne, cristiani e mussulmani. I membri iracheni dell’équipe condividono con gli altri le loro esperienze e conoscenze, e si “sentono utili, sono di nuovo qualcuno”.

‘qualcuno’essere In Siria, la buona reputazione dei gesuiti ha

permesso al JRS di lanciare un progetto di

educazione informale ad Aleppo, una città nel

nord del Paese dove si trovano circa 23.000

rifugiati iracheni.

Thecla, una bambina di sette anni, non si arrende alla scarsità di risorse: usa questa porta nella parte vecchia di Damasco come lavagna per fare i conti. (JRS Medio Oriente)

nuovamente

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voglio sostenere il lavoro del JRS

loro

accompagnare Medio Oriente

06

Maroun Najm Ci sono tra i 500.000 e i 700.000 rifugiati iracheni in Giordania. Sebbene i loro bisogni essenziali siano soddisfatti dall’UNHCR e dalle ONG, molti sono senza soldi perché è loro vietato lavorare. Nel dicembre del 2008 abbiamo iniziato a visitare le famiglie, grazie agli sforzi per creare un network tra gesuiti, sacerdoti iracheni e gruppi di giovani. Attraverso la nostra presenza, condividendo il loro dolore, volevamo portare speranza. Ma dopo aver ascoltato le loro tristi storie ci siamo chiesti: come fanno queste famiglie, dopo essere riuscite a superare tanta sofferenza, ad avere ancora la forza di sorridere, di ridere e di vivere? E così stiamo imparando noi molto da loro.

Stev Metika Voglio raccontarvi la storia di una famiglia irachena che vive nella parte orientale di Amman, una coppia con un figlio e una figlia, che non riceveva nessun aiuto umanitario. Li abbiamo trovati in delle condizioni di vita molto povere, senza gas, senza forno, senza frigorifero; ancor più importante, senza un posto decente in cui vivere con dignità. Ho cominciato a cercare un posto dove stare che avesse un prezzo ragionevole e che il JRS potesse sostenere; dopo due settimane ho trovato un appartamento semplice ma dignitoso. La famiglia vi si è trasferita il giorno seguente e tutti noi abbiamo condiviso la loro felicità.

Sr Leya

Quello che mi piace delle visite pastorali fatte per conto del JRS è che sono estese a tutti, alle famiglie ortodosse, cattoliche, protestanti... a mio avviso, questa è una testimonianza della Chiesa universale, un segno della vita che scorre attraverso la sofferenza dei rifugiati, e ci unisce attraverso la fede. Il JRS è aperto a tutti incondizionatamente e senza distinzioni, e questo è in sintonia con la mia vocazione come Piccola Sorella: “essere una di loro” attraverso l’amicizia donata disinteressatamente.

essereuno di

I membri del JRS Giordania ricevono più di quanto danno, nel loro accompagnare i rifugiati iracheni.

Lezioni per giovani iracheni al Jesuit Centre di Amman. (Peter Balleis SJ/JRS)

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voglio sostenere il lavoro del JRS

Le immagini dicono più delle parole. “Da quando siamo arrivati, nessuno aveva mai pensato di venire a visitarci, di passare del tempo con noi, di giocare con i nostri figli e farci ridere”, dice Walid, il padre di Alvera e Anwar, fotografate qui sopra con i loro nuovi giochi donati dal JRS Giordania. “Avete portato la gioia nei nostri cuori.”

Più che di parole, le persone hanno bisogno di una risposta pratica. Sostieni con noi i rifugiati iracheni. La tua donazione servirà direttamente ad aiutare le famiglie, a provvedere ai loro bisogni più urgenti e a tenere viva la loro speranza.

Grazie per il tuo sostegno,P. Peter Balleis SJ

Per fare una donazione al JRS in Medio Oriente, si prega di volere seguire le seguenti indicazioni per l’invio di un assegno intestato all’ordine del Jesuit Refugee Service, o di un transferimento bancario, indicando JRS Medio Oriente nella causale.

più

per bonifici bancari

Banca:

Banca Popolare di Sondrio,Circonvallazione Cornelia 295, 00167 Roma, ItaliaAg. 12

Nome del conto: JRS

Numero del conto per euro:IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05

Numero del conto per dollari USA:IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410

delleparole

Ammontare della donazione

Vorrei destinare la mia donazione a

Allego un assegno

Cognome: Nome:

Indirizzo:

Città: Codice postale:

Nazione:

Telefono: Fax:

Email:

JRS Jordan

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accompagnare Stati Uniti / Messico

Il 18 gennaio 2009, dopo tre anni di pianificazione, il JRS Stati Uniti e altre cinque organizzazioni partner hanno lanciato ufficialmente l’Iniziativa transfrontaliera Kino (Kino Border Initiative – KBI), con una Messa alla chiesa cattolica del Sacro Cuore a Nogales, in Arizona.

Questo ministero bi-nazionale per le persone espulse dagli Stati Uniti verso il Messico, basato nelle città gemelle di Nogales, nello stato messicano di Sonora, e Nogales in Arizona, negli Stati Uniti, è uno sforzo congiunto del JRS Stati Uniti, delle Province gesuite della California e del Messico, delle Suore Missionarie dell’Eucaristia, dell’arcidiocesi di Hermosillo e della diocesi di Tucson.

La KBI svolge le sue attività principalmente attraverso due centri di assistenza diretta: il Centro di aiuto per migranti espulsi (CAMDEP) a Nogales, nello stato di Sonora, appena al di là della frontiera, dove i migranti possono ricevere un pasto caldo e dei vestiti, e la Nazareth House – sempre a Nogales – un centro di accoglienza temporanea per donne sole.

Le persone espulse sono in gran parte cittadini messicani detenuti nei centri di detenzione federali degli Stati Uniti e che vengono rimandati in patria, separati dalle loro famiglie. Normalmente essi vengono trasferiti in autobus dalla California al Texas e poi ai valichi di frontiera. Da queste “garitas”,

o aree di attraversamento, essi si incamminano nel territorio messicano. Generalmente sono quasi – o del tutto – sprovvisti di soldi e hanno solo i loro vestiti sulle spalle.

Lavorando come cappellani nei centri di detenzione degli Stati Uniti durante gli ultimi nove anni, i membri del JRS si sono resi conto della necessità di una iniziativa come la KBI. La maggior parte dei detenuti è costituita da immigrati senza cittadinanza che hanno vissuto da clandestini negli Stati Uniti e il cui unico reato è un’infrazione delle leggi sull’immigrazione.

“Le persone più vulnerabili e dimenticate, nella nostra nazione, sono in larga misura ospitate nei centri di detenzione gestiti dal governo federale. Il numero di detenuti è cresciuto dalle poche migliaia di otto o nove anni fa ai più di 400.000 all’anno attuali”, afferma P. Ken Gavin SJ, direttore del JRS Stati Uniti. “Attraverso la KBI, l’accompagnamento fornito dai cappellani del JRS Stati Uniti nei centri di detenzione viene esteso al valico di frontiera di Nogales.”

“Il messaggio che noi portiamo è sostanzialmente lo stesso che il JRS ha cercato di comunicare durante i suoi 28 anni di vita. Anche nei momenti più tragici delle nostre vite, Dio è presente. Vogliamo dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che non sono soli.”

Maggiori informazioni in inglese sulla KBI, compresi vari filmati e una presentazione audio, possono essere trovate sul sito del JRS Stati Uniti all’indirizzo:

08

frontiereoltre

Christian Fuchs, responsabile

per la comunicazione del JRS

Stati Uniti, parla del lancio di un

programma transfrontaliero.

INTERNET LINK

http://www.jrsusa.org/kino

(in alto, da sinistra a destra): Il direttore del JRS Stati Uniti, Ken Gavin SJ, ascolta un migrante al CAMDEP; in secondo piano Armando Borja, dell’équipe del JRS. Suor Engracia Robles, delle Suore Missionarie dell’Eucaristia, durante la sua attività.

le

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accompagnareStati Uniti / Messico

Può una persona celebrare l’avvento di un re in un centro di detenzione? Non c’è nessun dubbio che “Cristo Re” era in mezzo a quegli uomini. Le teste annuivano durante la lettura del capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi... Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. I detenuti sanno cosa vuol dire essere uno straniero, essere affamati e assetati. Hanno attraversato la frontiera per cercare

09

P. Peter Balleis SJ, direttore internazionale del

JRS, riflette sulla celebrazione della festa di Cristo

Re a cui ha partecipato nel 2008, insieme a più di

300 detenuti e ai cappellani del JRS, nel centro di

detenzione di Florence, in Arizona.

lavoro, costretti dalla povertà nei loro paesi di origine – il Guatemala, l’Honduras, il Nicaragua, El Salvador, il Messico e la Colombia tormentata dalla guerra. Dopo aver contribuito per anni con il proprio lavoro all’economia degli Stati Uniti, sono stati brutalmente sottratti alle loro famiglie e trattati come dei criminali, solo perché sono stati trovati senza permesso di soggiorno e di lavoro negli Stati Uniti.

Il regno di Cristo sarà come quello fatto dall’uomo, con stati e

ineroprigione...

imperi? Il Suo amore abbraccia tutti e il Suo regno non conosce recinti, frontiere, divisioni, documenti. Celebrare un regno siffatto in un centro di detenzione è celebrare ciò che desideriamo, ciò che è già possibile ma non ancora realizzato. Il centro è stato il luogo giusto per celebrare il Cristo Re; è stato un momento speciale in cui abbiamo affermato la dignità umana e regale di ogni persona, e celebrato l’avvento del regno di Dio, di un mondo dove tutti possano vivere liberi.

Araceli Wedington era ospite della Nazareth House insieme a suo figlio neonato, Victor Emmanuel. Mentre stava provando ad attraversare la frontiera verso gli Stati Uniti, una pattuglia della polizia di frontiera statunitense l’aveva arrestata. “Volevo attraversare perché ho due figli a Burlington, in Kansas, e non avevo loro notizie da settembre. Ero incinta, così ho cercato di attraversare la frontiera illegalmente. Ero disperata.” Dopo essere stata espulsa, Araceli si è ritrovata a Nogales, una città a lei sconosciuta e distante più di 1.500 miglia dal suo Stato natale nel sud del Messico. Ricorda: “Sono arrivata qui in novembre ed ero incinta di otto mesi. Per me, questo rifugio è tutto. Prima non avevo un posto dove andare, dove vivere, non avevo niente da mangiare. Quando sono arrivata qui, mi sono sentita al sicuro.”

MI SONO SENTITA AL SICURO

Inviati alle frontiere per ricoprirle di amore: la KBI è presente alla frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico. (Peter Balleis SJ/JRS)

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servire Repubblica Democratica del Congo

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Durante il 2008, il JRS ha messo in piedi nel Kivu Nord un grosso progetto per assistere gli sfollati a causa delle violenze. Mentre diverse altre ONG si occupano dei bisogni primari come il cibo, l’acqua, le abitazioni, i servizi igienici e la sicurezza, il JRS fornisce servizi educativi e formazione. P. Gerard J. Clarke SJ, coordinatore del programma del JRS a Goma, spiega perché: “I gesuiti sono convinti che l’istruzione sia fondamentale per

JRS nelKivu Nord

I ragazzi locali guadagnano qualche dollaro facendo dei modellini dei veicoli 4x4

utilizzati dalle organizzazioni umanitarie. Alfonso e suor Nicole, JRS Goma,

controllano il modellino del veicolo del JRS.

La provincia del Kivu Nord, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), è il campo di battaglia di oltre 20 diversi gruppi armati in guerra tra di loro e con l’esercito congolese. Le esili speranze di pace sono state stroncate nel tardo agosto 2008 dalla ripresa dei combattimenti tra l’esercito e il CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) di Laurent Nkunda, un signore della guerra congolese di etnia tutsi. I ribelli di Nkunda sono avanzati

INFO POINT

velocemente, prendendo possesso delle città di Rutshuru e Kiwanja e fermandosi poco prima di arrivare a Goma, la capitale della provincia. Circa 250.000 persone sono fuggite a causa dell’ultima ondata di violenze, facendo arrivare il numero di sfollati nel Kivu Nord a ben più di un milione. Ancora una volta, la popolazione civile è stata oggetto di massicce violazioni dei diritti umani da parte di tutti i belligeranti: esecuzioni senza processo, stupri e aggressioni, arruolamento forzato

e saccheggi. La missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (MONUC), già sotto pressione, è stata incapace di proteggere su larga scala i civili. Nel gennaio 2009, delle truppe ruandesi sono entrate nella parte orientale della RDC per appoggiare un’operazione dell’esercito congolese contro l’FDLR (Forces démocratiques pour la libération du Rwanda), una milizia hutu avente tra i suoi membri anche ruandesi accusati per il genocidio del 1994.

l’integrità della persona umana. Forniamo supporto materiale alle scuole locali che accolgono i bambini sfollati – quaderni, gessi, banchi, perfino tetti – nonché una razione mensile di riso agli insegnanti. In una nazione in cui spesso il salario degli insegnati è pagato dai genitori degli alunni, il sostegno del JRS può significare venire accolti in classe invece di essere rimandati indietro alla porta.”

Un campo per sfollati nei dintorni di Goma. (Don Doll SJ/JRS)

il

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servireRepubblica Democratica del Congo

Sami è un giovane brillante che vive in uno dei campi per sfollati vicino a Goma. I suoi genitori sono ritornati al loro villaggio nell’area di Masisi, ma lui è rimasto nel campo. Quando mi sono chiesto perché, mi ha detto che voleva evitare l’arruolamento forzato in una delle milizie locali e che si trovava meglio nel campo. Ma Sami stava cercando qualcosa da fare, per rendere costruttivo il suo tempo a Goma.

I giovani diventano rapidamente vulnerabili, nei campi profughi; senza un posto appropriato dove stare, il controllo dei genitori, la scuola e le normali attività adolescenziali, risultano esposti a ogni sorta di rischio. Uno di questi rischi è l’arruolamento nei gruppi armati. Un’uniforme, magari un’arma, catapultano l’adolescente in un mondo di responsabilità. Ma è un ambiente crudele e dove niente viene fatto per costruire la personalità e formare i giovani.

Per fortuna Sami ha trovato qualcosa da fare nella zona del campo del JRS, dove i nostri volontari e collaboratori rifugiati offrono una serie di programmi

di formazione: i giovani possono seguire corsi per apprendere a fare il pane, riparare biciclette, fare i parrucchieri o i sarti. Sotto i ripari temporanei, degli istruttori qualificati si siedono con loro e insegnano loro le basi; sta poi a loro usare le competenze acquisite per generare reddito. Forse un giorno, quando i campi chiuderanno e ognuno tornerà a casa, saranno grati per aver acquisito queste nuove capacità.

Poco tempo fa stavo tornando da una visita ai nostri progetti a Rutshuru e durante il viaggio sulla strada dissestata siamo stati testimoni di uno spettacolo molto triste. File di nuove reclute di una delle milizie locali erano allineate lungo il bordo della strada per circa un chilometro. Portavano bastoni al posto dei fucili e marciavano in un modo poco professionale. Ho incontrato gli occhi di un “soldato”. Aveva al massimo 17 anni e per un momento ho intravisto la profonda tristezza di quegli occhi. Mi sono chiesto quale tipo di programma di addestramento avrebbe seguito, che tipo di uomo sarebbe diventato.

11

le coseapprendere

giusteTutte le parti in conflitto nel

Kivu Nord arruolano civili con

la forza, incluso i bambini, per

servire come soldati. I giovani,

alle volte, scelgono di unirsi ai

gruppi armati per mancanza

di alternative. P. Gerard J.

Clarke SJ spiega come l’offrire

opportunità di formazione

professionale diminuisce il

rischio di arruolamenti.

All’esterno del centro di formazione nel campo di Buhimba, vicino a Goma. (Miriam Rau/JRS)

I corsi per imparare a fare il pane nel campo di Mugunga 1, vicino a Goma. (Miriam Rau/JRS)

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“servire Repubblica Democratica del Congo

Le cose sembravano poter migliorare quando sono arrivato nell’agosto del 2008. Il processo di pace Amani sembrava spianare la strada al ritorno a casa dei 70.000 sfollati che avevano trovato rifugio nei dintorni di Rutshuru. La maggior parte di essi era arrivata dalle valli vicine dieci mesi prima ed era la terza o quarta volta che abbandonavano case, terre e lavoro per avventurarsi in un’esistenza di attesa e dipendenza da visi anonimi per acqua, cibo e alloggio.

Condividendo questa attesa, il JRS offriva ai bambini sfollati la possibilità di andare a scuola. Mi sentivo un po’ come quei discepoli che, di fronte alla folla affamata, ascoltavano la richiesta di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37). Abbiamo esteso il progetto a 16 scuole locali, ma cosa sono 16 scuole per dare istruzione a quasi 20.000 bambini?

Ai primi di settembre, l’inizio dell’anno accademico ha coinciso con il riesplodere della guerra. Per due volte ci siamo dovuti spostare a Goma per non rimanere intrappolati nell’area del conflitto. Intanto il progetto prendeva lentamente forma, con quasi 3.000

bambini sfollati che andavano a scuola con 5.000 bambini locali. Ma il 26 ottobre i combattimenti hanno raggiunto Rutshuru. Il nostro progetto ha subito una battuta d’arresto; ho capito allora come la mancanza di sicurezza sia perfino più inumana della mancanza di rifugio.

Varie settimane più tardi abbiamo sostenuto le scuole che riaprivano. Molti studenti non sono ritornati, mentre alcune persone sono ritornate dopo aver visitato le loro case saccheggiate. Tutti si aggrappavano al desiderio di una vita “normale”, un desiderio così forte che alle volte prevalica l’istinto di cercare un luogo sicuro. Faustin mi ha detto che era combattuto tra la paura e il desiderio di ritrovare sua moglie e la sua bimba, sfollate a Goma. Invece di attraversare il fiume e raggiungere l’Uganda, dove avrebbe potuto vivere sano e salvo, Faustin ha attraversato la giungla a piedi fino a Goma.

Ho capito il significato del nostro lavoro quando ho visto i graffiti sul muro di una scuola che raffiguravano un uomo che sparava a un altro e lo uccideva mentre un bambino guardava. Questa è la

P. Juanjo Aguado SJ condivide

con noi ciò che ha appreso

durante i cinque mesi passati

nel Kivu Nord, a Rutshuru, dove

dirigeva un progetto del JRS per

l’istruzione dei bambini sfollati.

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realtà che sperimentano i bambini. Come Gilbert, un sedicenne che il 4 novembre a Kiwanja ha assistito impotente a suo fratello ventottenne che implorava per avere la vita salva; Gilbert ha poi ritrovato suo fratello decapitato. In un contesto del genere, la scuola diventa un santuario, un “laboratorio di umanità”, dove i bambini imparano a vivere pacificamente con gli altri.

Grazie a quanti mi hanno accolto e voluto bene, ho imparato che a volte la cosa più importante è semplicemente essere con. Ricordo la gioia di Alivera, una signora di 70 anni, quando ho visitato l’ambulatorio di Mapendo dove era ricoverata per una polmonite. Non ci sono state molte parole, solo un lungo abbraccio e grandi sorrisi mentre sedevamo mano nella mano. Essere con può significare essere come Maria ai piedi della croce, nel dolore e nell’impotenza, solidale con le persone che subiscono ingiustizie. In altre occasioni essere con vuol dire condividere la gioia, come i discepoli che videro il pane e i pesci moltiplicati nel momento in cui le persone davano una parte di sé per gli altri.

date lorovoi stessi

mangiareda “

Una scuola secondaria nell’area vicino al campo di Bulengo, a Goma. (Miriam Rau/JRS)

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a tutti

servireThailandia

“Non tornerò mai più a Kawthaung. Non c’è nessuno che mi protegga e i soldati ci maltrattano.” Kawthaung è la città natale di Nipa, una ragazza birmana di 12 anni che vive in Thailandia, appena al di là della frontiera, da quando si ricorda. I genitori di Nipa sono tra le migliaia di migranti che si arrangiano per sopravvivere a Ranong, una città nella Thailandia meridionale nota per essere uno snodo dell’immigrazione clandestina.

La maggior parte dei migranti presenti a Ranong appartiene alla minoranza etnica dei Mon birmani. Sono ormai decenni che i Mon sono presenti sul lato thailandese della

frontiera e la situazione non appare avviata verso un cambiamento nel breve periodo. La vita nell’area dello Stato Mon, in Birmania, è molto dura: inflazione e prezzi crescenti del cibo si accompagnano a tasse arbitrarie, molestie reiterate, lavoro forzato e confische delle terre da parte dell’esercito birmano.

In Thailandia i migranti lavorano soprattutto nell’industria della pesca, perlopiù in nero, il che li rende facilmente vittime di sfruttamento e a rischio di rimpatrio. La vita è forse migliore di quella nei loro territori di origine, ma rimane molto dura. Per avere un’idea, una famiglia di migranti in genere spende metà dei suoi magri

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renderel’istruzioneaccessibile

(a destra) Il pranzo in un centro di formazione.

(a sinistra) Nipa ha cominciato la sua scolarizzazione in un centro di formazione e adesso frequenta una scuola thailandese.

Peter Balleis SJ/JRS Una scuola secondaria nell’area vicino al campo di Bulengo, a Goma. (Miriam Rau/JRS)

Roisai Wongsuban, responsabile per la

comunicazione e l’advocacy del JRS Thailandia, scrive a

proposito dei centri di formazione per migranti birmani nella Thailandia

meridionale.

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servire Thailandia

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Alunni in un centro di formazione supportato dal JRS a Ranong. All’inizio del 2009 il JRS stava sostenendo 841 bambini e 29 insegnanti in sei centri di formazione, nonché 131 studenti in scuole di ordine superiore, fino al livello universitario. (Peter Balleis SJ/JRS)

guadagni solamente per affittare una stanza di quattro metri per tre.

Durante le lunghe ore di lavoro dei migranti, i loro figli ricevono un’istruzione informale nei centri sostenuti dal JRS fin dal 2002. All’inizio i centri sono nati come semplici luoghi di babysitteraggio, ma grazie all’iniziativa di chi vi lavorava sono poi stati trasformati in classi dove svolgere corsi. Oggi i centri istruiscono bambini dai cinque ai quindici anni di età in tutta una serie di materie. Il sostegno del JRS include l’ampliamento e la manutenzione degli edifici, la formazione degli insegnati e i loro stipendi, le uniformi e i libri per gli alunni.

Provvedere alla scolarizzazione risponde a un bisogno urgente, perché l’accesso dei bambini migranti al sistema educativo thailandese incontra vari ostacoli. Prima del 2005, le iscrizioni a scuola dei migranti venivano rifiutate perfino se essi avevano

i corretti requisiti accademici. Quell’anno, la decisione del governo di permettere a ogni bambino, indipendentemente dalla sua nazionalità, di frequentare la scuola tradizionale ha segnato una svolta importante. Quanto questa decisione sia messa in pratica nella realtà è un’altra storia: le barriere linguistiche, i costi da sostenere e la riluttanza di alcune scuole ad accettare bambini non thailandesi sono tra i fattori che impediscono una reale integrazione. Nel 2006, il JRS ha sviluppato un progetto per preparare i bambini che desideravano frequentare le scuole thailandesi, fornendo corsi di lingua e assicurandosi che i bambini fossero seguiti durante il difficile periodo di transizione.

Nipa ha fatto il passaggio da un centro di formazione a una scuola locale. Ha iniziato la sua scolarizzazione al centro Lotus Pond, dove ha imparato dai volontari locali il thailandese,

e quando il JRS le ha chiesto se voleva frequentare una scuola thailandese, lei ha accettato. “Mi ricordo che il primo giorno ero così eccitata che mi sono svegliata alle 5 di mattina”, ci racconta. “Ma alcuni bambini mi prendevano in giro perché non ero thailandese. Per fortuna mi sono fatta in fretta degli amici.”

Oltre a perorare la causa dell’integrazione dei bambini birmani nelle scuole thailandesi, il JRS chiede il riconoscimento pieno e legale dei centri di formazione, nella convinzione che l’istruzione tradizionale non sia la sola strada verso un’istruzione di qualità. Nel 2007, l’amministrazione locale di Ranong ha riconosciuto i centri, anche se né il loro curriculum di studi né i certificati che rilasciano sono riconosciuti ufficialmente. Rimane molto da fare, ma vediamo dei progressi e siamo convinti che in Thailandia sia possibile rendere l’istruzione accessibile a tutti.

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difendereSri Lanka

Lily è una vedova di 57 anni con 11 figli; suo marito Guy è stato ucciso nel 1999, una delle vittime della guerra civile nello Sri Lanka. All’epoca, un’offensiva armata aveva costretto la loro famiglia a fuggire dal villaggio di Vidaththalthivu, nel distretto settentrionale di Mannar. Un bombardamento dell’artiglieria aveva poi colpito Guy quando era tornato al villaggio per recuperare parte delle loro cose ed egli era morto sul posto.

Quando nel 2002 il governo e il movimento separatista delle Tigri per la liberazione della patria Tamil (LTTE) hanno firmato un cessate il fuoco, Lily è tornata a casa. Verso la fine del 2007, le truppe armate sono di nuovo avanzate verso Vidaththalthivu e lei è stata costretta nuovamente a fuggire. Lily e i suoi figli sono scappati di villaggio in villaggio, riuscendo appena ad anticipare l’avanzata dell’esercito; in dieci mesi, sono fuggiti dai bombardamenti per sei volte.

Dopo il fallimento del cessate il fuoco del 2002 e la ripresa, verso la metà del 2006, della guerra su larga scala, i bombardamenti aerei e dell’artiglieria nel nord e nell’est del Paese hanno ucciso o messo in fuga

un numero incalcolabile di civili. L’esercito è accusato di bombardare deliberatamente i civili come parte di una strategia “bombardamento-evacuazione-avanzata”, anche se questa accusa viene negata.

Il personale e i volontari del JRS, che provengono dalle comunità locali, sono stati severamente colpiti: sfollati, feriti, con familiari morti – al pari delle altre persone. Nel settembre 2007, P. Packia Ranjith, un prete diocesano che coordinava le attività del JRS nel distretto di Mannar, è stato ucciso da una mina mentre portava aiuti alimentari nei territori controllati dall’LTTE.

Dalla fine del 2007 in avanti, i più duramente colpiti sono stati 250.000 civili – secondo le stime – nel Vanni, in passato la roccaforte delle Tigri Tamil. È molto difficile descrivere l’inimmaginabile sofferenza di queste persone, intrappolate in un’area sempre più piccola sotto un indiscriminato fuoco incrociato. P. Joel, un gesuita che ha scelto di rimanere nel Vanni, scriveva nel dicembre 2008: “Giorno e notte, il Vanni risuona del rumore dell’artiglieria, dei lanciarazzi, degli aerei da combattimento, dei cannoni delle navi da guerra e

Danielle Vella, del JRS

internazionale, e Paul Newman,

del JRS Asia meridionale,

scrivono a proposito della

drammatica situazione dei civili

intrappolati tra le parti in conflitto

nella guerra civile nello Sri Lanka.

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partirelasciate

La Chiesa locale di Jaffna, nel nord dello Sri Lanka, ha organizzato una protesta a nome delle persone intrappolate nelle zone di guerra.

popoloil mio

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difendere Sri Lanka

dello scoppio delle mine antiuomo claymore”.

Con l’intensificarsi dei combattimenti, le famiglie sono state costrette a fornire all’LTTE delle reclute per partecipare alla difesa e morire in prima linea. L’LTTE si è rifiutato di lasciar fuggire dalle zone di guerra i civili, forzandoli a ripiegare insieme alle sue truppe di modo – sembrerebbe – da usarli come scudi umani in quest’ultimo disperato tentativo. Prendendo posizione in aree abitate da civili, l’LTTE ne ha messo a rischio la vita, attirando verso di esse il fuoco dell’esercito. Le morti tra i civili sono state molte; dei resoconti riportano che il solo 26 gennaio, 300 persone sono state uccise e più di mille ferite. Nessun posto era più sicuro, nemmeno le zone designate come tali dalle autorità. Gli ospedali, già mal equipaggiati, si sono riempiti oltre le loro possibilità e sono stati attaccati. Malati e feriti sono morti a causa della mancanza di un’assistenza medica appropriata.

I bisogni di base della popolazione sono rimasti senza risposta, soprattutto dopo il settembre del 2008, quando il ministro della difesa dello Sri Lanka ha ordinato alle Nazioni Unite e alle altre agenzie umanitarie internazionali di lasciare il Vanni. Il personale locale del JRS e della Caritas è rimasto per accompagnare

le persone che ripiegavano insieme all’LTTE, anche se ormai nell’impossibilità di fornire aiuti nelle zone di guerra.

Secondo le parole di P. Joel, le persone “sono state private con la forza di tutto ciò che sta alla base di un’esistenza umana decente”. Ha poi aggiunto: “Persone che erano abituate a vivere dei propri mezzi sono state soggiogate e messe in ginocchio.”

Gli sforzi internazionaliIl 4 febbraio 2009, alla fine dell’udienza papale del mercoledì, Benedetto XVI ha fatto un “appello urgente” alle parti in guerra, spinto dalla “crudeltà crescente del conflitto e dall’aumento del numero di vittime innocenti”. Numerosi altri appelli per un’interruzione delle ostilità sono provenuti dalla comunità internazionale, incluso dall’India e dai copresidenti della Conferenza dei donatori di Tokyo del 2003 sullo Sri Lanka – Norvegia, Giappone, Stati Uniti e Unione europea –, e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha espresso la sua forte preoccupazione per le molte vittime civili al presidente dello Sri Lanka. L’LTTE ha ignorato le richieste di resa ma, alla fine, ha fatto appello alla comunità internazionale affinché sostenga un cessate il fuoco. L’esercito ha rifiutati gli appelli a sospendere la

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Una guerra lunga 30 anni ha profondamente diviso i cuori e gli animi della gente dello Sri Lanka. Alcuni si aggrappano ancora all’ormai perso concetto politico di Tamil Eelam, una terra per i tamil; altri vedono la cosiddetta “guerra per la pace” come una soluzione militare per mettere fine al conflitto una volta per tutte. I politici sfruttano questa

situazione usando i sentimenti e le ferite delle persone per assecondare i propri fini.

Lavorare nelle zone di conflitto spinge anche il JRS in diverse direzioni. È una realtà complessa; come restare focalizzati e chiari nel nostro servizio mentre peroriamo la giustizia, senza essere parziali e senza correre il rischio di cadere

RIFLESSIONE DI P. PETER BALLEIS SJ, DIRETTORE INTERNAZIONALE DEL JRS

nei giochi politici e nelle false soluzioni?Solo mantenendo il nostro sguardo

rivolto verso i rifugiati di entrambe le parti, le vittime innocenti di tutti i conflitti, possiamo rimanere focalizzati. In termini di fede in Cristo, è il focalizzare l’attenzione sul crocifisso, sull’accompagnamento delle persone crocifisse, che ci guida nelle nostre azioni di servizio e di advocacy.

Un nuovo ‘centro di accoglienza’ per sfollati in fuga dal Vanni.

Questa donna, un’insegnante del JRS, ha perso la gamba in un bombardamento nel Vanni ed è stata trasportata all’ospedale di Mannar.

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difendereSri Lanka

propria offensiva, determinato ad andare avanti fino alla fine. L’offerta dell’Inghilterra di mandare un inviato speciale è stata rifiutata con rabbia dallo Sri Lanka.

Centri di detenzioneI civili che hanno sfidato le disposizioni dell’LTTE e i bombardamenti per fuggire dal Vanni sono ora detenuti. Niente di nuovo in tutto ciò: durante gli anni della guerra, le persone che lasciavano i territori controllati dall’LTTE sono state spesso trattenute nei centri “chiusi” di accoglienza (campi per sfollati).

L’ultima strategia del governo, comunque, è di proibire a chi lascia il Vanni di istallarsi con parenti o amici. Intere famiglie sono invece arbitrariamente detenute dalle autorità con la scusa apparente della ricerca di “terroristi che si infiltrano tra la popolazione civile” . Le persone sono confinate in campi che vengono chiamati, in maniera fuorviante, “centri di accoglienza” o “villaggi di accoglienza” ma che

in realtà sono a tutti gli effetti dei centri di detenzione controllati dai militari. Lontana dall’essere una soluzione temporanea di emergenza, questa strategia della detenzione è stata presentata dalle autorità come un piano a lungo termine, con la costruzione di nuovi “villaggi” nei distretti di Vavuniya e Mannar per ospitare fino a 200.000 sfollati. L’intenzione dichiarata è quella di sistemare i tamil nei campi per periodi fino a tre anni.

I diritti umaniLa nostra impressione, basata sulle informazioni disponibili, è che i centri di accoglienza siano sotto il controllo delle forze di sicurezza, che siano pensati per ospitare gli appartenenti all’etnia tamil che sono fuggiti dal Vanni e che, salvo poche eccezioni, chi vi risiede rimane confinato nei campi. Questa sistemazione è una violazione del diritto alla libertà di movimento esplicitato nell’articolo 12 della Convenzione

17

Internazionale sui Diritti Civili e Politici, di cui lo Sri Lanka è firmatario.

In effetti la Convenzione permette la restrizione della libertà di movimento dei cittadini: l’articolo 4 autorizza specificamente gli Stati a restringere questo diritto durante uno stato di emergenza dichiarato, ma solo “nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga”. Lo stesso articolo proibisce inoltre l’imposizione solamente su presupposti razziali di tale restrizione.

Il futuroIl JRS si trova a dover affrontare la sfida di trovare il modo di restare il più vicino possibile alle persone detenute senza avallare la politica di privazione della libertà portata avanti dal governo. Accompagnandoe servendo direttamente coloro che si trovano nei centri, il JRS continuerà a far sentire la sua voce, insieme a quelle della Chiesa locale e delle organizzazioni umanitarie e di difesa dei diritti umani, sia nazionali che internazionali, in nome del popolo.

Il direttore del JRS Asia meridionale, PS Amalraj SJ, annota i dati di una donna sfollata ansiosa di ritrovare i familiari perduti.

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difendere Nepal

L’attuazione di una soluzione duratura a una delle situazioni di dislocamento forzato in corso da maggior tempo ha permesso, entro l’inizio del 2009, il reinsediamento in paesi terzi di più di 8.500 bhutanesi.

Più di 108.000 bhutanesi che vivevano nell’area meridionale del Paese furono espulsi dal Bhutan tra il 1991 e il 1994, e da 18 anni vivono in sette campi nel Nepal orientale. Il JRS Nepal ha sempre difeso, a livello nazionale e internazionale, il loro diritto a rientrare in patria con dignità. Dopo il fallimento di 15 successive fasi di negoziati bilaterali tra i governi del Nepal e del Bhutan, che ha significato che non un solo rifugiato potesse rientrare in patria, il JRS Nepal ha cominciato a far circolare nei campi l’idea di una possibile soluzione duratura alternativa. Un gruppo di paesi donatori ha proposto una “condivisione dell’onere”

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su base umanitaria attraverso il reinsediamento in paesi terzi.

Gli Stati Uniti sono stati la prima nazione a offrire questa opportunità a 60.000 rifugiati su un periodo di cinque anni. Canada e Australia hanno detto che avrebbero provveduto a reinsediare 5.000 persone a testa mentre Nuova Zelanda, Norvegia, Danimarca e Paesi Bassi hanno accettato di ricevere un numero minore di persone. Circa 65.000 rifugiati hanno compilato il modulo per dichiarare il proprio interesse; di questi, 8.581 erano stati reinsediati al gennaio 2009 e altri 18.000 dovrebbero partire entro la fine dell’anno.

Sebbene il JRS Nepal promuova il reinsediamento come la migliore opzione disponibile al momento per i rifugiati, esso continua anche a sostenere la causa del rimpatrio, accompagnando coloro che desidererebbero tornare a casa.

P. Varkey Perekkatt SJ, JRS Nepal

dei rifugiati bhutanesireinsediamento

Lezione di inglese: (da destra a sinistra) Leela Kumari Bhattarai e Indira Basnet in un’aula nel campo di Goldhap. Nel 2008, più di 4.300 adulti hanno frequentato i corsi di inglese organizzati dal JRS per facilitare l’inserimento nei paesi di reinsediamento. (Peter Balleis SJ/JRS)

Il primo gruppo di rifugiati bhutanesi lascia i campi nepalesi per cominciare una nuova vita in un paese terzo nel febbraio del 2008. (Ravi Sharma/JRS)

il

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Medio Oriente

Cosa ne sarà di noi? 04Essere nuovamente “qualcuno” 05Essere uno di loro 06Appello 07

Stati Uniti/Messico

Oltre le frontiere 08 “Ero in prigione...” 09

Repubblica Democratica del Congo (RDC)

Il JRS nel Kivu Nord 10Apprendere le cose giuste 11“Voi stessi date loro da mangiare” 12

Thailandia

Rendere l’istruzione accessibile a tutti 13

Sri Lanka

Lasciate partire il mio popolo 15

Nepal

Il reinsediamento dei rifugiati bhutanesi 18

Pietre vive 19

(Ultima di copertina) “A Man on Fire”

Le seguenti sigle sono usate in questo numero

UNHCR Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati

CICR Comitato Internazionale della Croce Rossa

ONG Organizzazione non governativa

“riflessione

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Noi siamo il tempio di Dio... la vera Chiesa è la comunità... San Pietro ci dice che siamo pietre vive, che tutte le persone sono pietre vive: quelle nelle strade, quelle che arrivano da noi su barche di fortuna, e che alle volte non riescono ad arrivare... Questo ci dice qualcosa a proposito del valore delle persone: è la persona che è importante... Siamo qui in questo magnifico tempio barocco, ma voi siete molto più importanti di questo tempio. Il rispetto che portiamo a questo tempio dovrebbe essere raddoppiato, moltiplicato quando parliamo delle persone, soprattutto di quelle nelle quali Cristo soffre.

Credo che la storia della Chiesa sia la storia dei santi che hanno scoperto questa verità e dedicato la propria vita al servizio verso gli altri... perché hanno visto in essi lo spirito vivente di Dio, fra di essi la presenza di Cristo. Padre Arrupe è uno di quegli uomini che ha sempre tenuto a mente questa verità; il fatto che sono le persone ad essere le vere chiese, la casa di Dio...

Arrupe era un uomo con un cuore molto grande e molto sensible... sempre aperto, sempre attento agli altri... Un uomo caloroso, pieno di compassione,

che accettava gli altri senza paura o pregiudizi e che aveva un senso molto pratico di quello che gli altri avevano bisogno. Un mio compagno mi ha raccontato di quando era in Giappone da un anno, come scolastico, e dovette essere ricoverato in ospedale. Arrupe venne a visitarlo - all’epoca era Provinciale - e gli domandò se aveva bisogno di qualcosa. Lui rispose: “Dopodomani devo lasciare l’ospedale e non ho una cintura”. Allora Arrupe si tolse la sua e gliela diede. Un uomo pratico: i bisogni richiedono delle risposte pratiche che aiutino, e non qualche bella parola...

Arrupe, perché era così, è stato capace di lasciarsi toccare ed emozionare dagli eventi che si svolgevano intorno a lui... Quando era Superiore Generale e vide la realtà dei boat people, i rifugiati che fuggivano dal Vietnam, ne fu toccato e rispose rapidamente... fondando il JRS...

I rifugiati sono persone che hanno lasciato la loro terra natia, che hanno dovuto abbandonare tutto ciò che avevano e non sanno cosa succederà loro. La casa di Dio è sempre aperta se noi, templi di Dio, conserviamo un cuore aperto.

P. Adolfo Nicolás SJ, Superiore Generale della Compagnia di Gesù, ha celebrato una Messa alla chiesa del Gesù il 9 novembre 2008, in occasione dell’inaugurazione di una mostra fotografica organizzata dal JRS per ricordare il suo fondatore, P. Pedro Arrupe SJ (vedi retro). Durante l’omelia, P. Nicolás ha ricordato la straordinaria capacità di visione del suo predecessore. Alcuni brani:

Pietre viventi

“Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?

1 Cor 3,16

A MAN ONFIRE

Trascrizione e revisione a cura del JRS

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FIREA MAN ON

Jesuit Refugee ServiceThe Prophetic Legacy of Arrupe

An exhibition to pay tribute to Fr Pedro Arrupe SJ, founder of the Jesuit Refugee Service,

at the close of a centenary year commemorating his birth on 14 November 1907

PHOTOGRAPHIC E XHIBITION9-28 NOVEMBER 2008

FIREA MAN ON

Jesuit Refugee ServiceThe Prophetic Legacy of Arrupe

An exhibition to pay tribute to Fr Pedro Arrupe SJ, founder of the Jesuit Refugee Service, at the close of

a centenary year commemorating his birth on 14 November 1907

P H O T O G R A P H I C E X H I B I T I O N9 - 2 8 N O V E M B E R 2 0 0 8

Jesuit Refugee ServiceC.P. 6139, 00195 Roma Prati, Italy

Tel: +39 06 6897 7386Fax: +39 06 6897 7380

www.jrs.net

A Man on Fire - L’amore di un uomoIl JRS: l’eredità profetica di Arrupe

Nel novembre del 2008, il JRS ha organizzato alla chiesa del Gesù a Roma una mostra fotografica dal titolo “A Man on Fire” (L’amore di un uomo), per ricordare il suo fondatore, P. Pedro Arrupe SJ, nel centenario della nascita, avvenuta il 14 novembre 1907. Le foto e i testi della mostra hanno ripercorso le tappe principali della storia del JRS, della sua triplice missione e della sua presenza nel mondo intero, mostrando come l’organizzazione sia rimasta fedele alla visione di P. Arrupe. Inaugurando la mostra il 9 novembre, il Superiore Generale della Compagnia di Gesù, P. Adolfo Nicolás SJ, ha invitato i presenti a guardare i rifugiati nelle foto come se si trovassero di fronte a Cristo stesso.

Mittente

Jesuit Refugee Service Malta,St. Aloysius Sports Complex,50, Triq ix-Xorrox,Birkirkara, Malta

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