L’ARCHITETTURA TEATRALE DELL’800 IN SICILIA · di riproduzione e di adattamento anche parziale,...

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LINDA BARNOBI L’ARCHITETTURA TEATRALE DELL’800 IN SICILIA Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria Presentazione di Luigi Andreozzi ARACNE

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LINDA BARNOBI

L’ARCHITETTURA TEATRALEDELL’800 IN SICILIA

Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria

Presentazione diLuigi Andreozzi

ARACNE

Copyright © MMVARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0196–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: agosto 2005

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Indice

Presentazionedel Prof. Luigi Andreozzi 9

Premessa 11

Origini ed evoluzione dell’arte teatrale 15

Le matrici greco–romane dell’edificio teatrale 17

Dal teatro classico al teatro moderno: la scena prospetticae il melodramma. 19

La società ed il teatro: il successo della sala ad alveare 31

Il Teatro all’Italiana in Sicilia 35

Forma e tecnologia nella sala teatrale 49

La visibilità e la geometria dell’impianto planimetrico 51

Le problematiche dell’acustica delle sale 53

Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria 59

Il Teatro e la Città 61

Il rilievo come strumento di studio 67

Il sistema distributivo e formale 71

Aspetti tecnologici 81

La struttura portante 82

Studio degli spazi di buona visibilità 83

Individuazione dei parametri acustici 86

Eidotipi e grafici di rilevamento architettonico 89

Conclusioni 109

Bibliografia 111

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Presentazione

La lettura del saggio di Linda Barnobi su “L’architettura teatraledell’800 in Sicilia: il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria”, mi ha fattorivivere quelle sensazioni, quelle impressioni che ancora oggi miesaltano quando mi trovo all’interno di un teatro lirico, il classicoteatro all’italiana, il teatro a palchetti; emozioni provate altre volte,forse le stesse di quelle provate da ragazzo quando con la fami-glia frequentavo il teatro Massimo Bellini di Catania e assistevoalle rappresentazioni liriche da un palco di quarta fila. Da lassù, lospazio della sala si percepisce nella sua interezza, definito inbasso dalla platea, verticalmente dai quattro ordini di palchi e dalsovrastante loggione e la cui unicità figurativa dell’insieme è com-pletata dalla volta affrescata. Sì, la visione della sala mi affascina-va, ma anche lo spazio del vestibolo d’ingresso, dei corridoi dellescale d’accesso ai vari piani, del foyer.Poi un giorno ebbi occasione di raggiungere il palcoscenico: unaprospettiva diversa, un grande spazio le cui dimensioni mi appar-vero superiori a quelle della platea; una sensazione diversa vede-re la sala, il boccascena, lo spazio per l’orchestra in maniera total-mente differente da come l’avevo osservato da spettatore.Emozioni dettate dallo stupore che suscitano i singoli ambienti.Approfondendo gli studi, accostandosi all’edifico teatrale con unbagaglio culturale più analitico e critico, ci si accorge della comples-sità di una struttura qual è il teatro all’italiana: il rapporto diretto traedificio e città, tra vestibolo ed ingresso, tra sala e palcoscenico, nel-l’intrecciarsi dei percorsi e nello sviluppo ai vari livelli. Lo studio diven-ta affascinante, si trovano rapporti e significati diversi, relazioni spa-ziali tra ambienti con funzioni differenti. Si scopre la complessità dellastruttura, della macchina scenica, dell’organizzazione distributiva,l’utilità della tecnologia, ecc., che fanno considerare il teatro un tut-t’uno, un insieme di spazi che si intrecciano, sia per le funzioni che visi svolgono, sia per l’unicità geometrico–formale–architettonica. È perseguendo questa metodologia di ricerca che Linda Barnobiaffronta la sua analisi. Il lavoro condotto dall’Autrice non si limitaad uno studio sul singolo edificio, ma è abbastanza articolato eben strutturato in una metodica di più ampio respiro; una ricercache, inquadrando il contesto storico culturale dell’arte del teatro,

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ne studia la valenza e la complessità, partendo dalle matrici grecoromane dell’arte della rappresentazione e della struttura teatrale,fino a giungere alla trasformazione avvenuta nel settore tra il ’400e l’800, sia per lo sviluppo avuto dalla scenografia, con l’apportodella prospettiva, sia per l’adeguamento tecnologico dettato dallanascita del melodramma. La Barnobi sottolinea il tema della nasci-ta e dell’evoluzione del teatro all’italiana, approfondendo le corre-lazioni tra forma e tecnologia, derivanti dall’applicazione della trat-tatistica, a cui i vari autori si rifanno, e da cui scaturisce la trasfor-mazione del teatro di corte nel teatro borghese; inquadra, quindi,questo mutamento anche in relazione alla funzione, al ruolo socia-le che il teatro assume all’interno della città. Lo studio, dopo aver analizzato la situazione dell’architettura tea-trale ottocentesca in tutta la Sicilia, si indirizza sempre più verso iltema specifico: il Teatro di Vittoria, in provincia di Ragusa.L’Autrice conduce, con metodologia specifica e soprattutto ragio-nata, il rilevamento dell’intero edificio, ne produce analisi di tipogeometrico–formali, studi e considerazioni sull’acustica e sullavisibilità nella sala; studia le aggregazioni dei vari spazi, che sicompongono morfologicamente e planimetricamente nei vari livel-li, i collegamenti verticali, la composizione differenziata del pro-spetto principale, mostrando una maturità non comune per lascelta delle tecniche di rilevamento e per la serietà nello studiodelle tematiche specifiche, individuate e finalizzate alla conoscen-za di un edificio articolato come il teatro all’italiana, non paragona-bile ad altri edifici di diversa tipologia. I disegni e i modelli digitali,certamente validi come documentazione e conoscenza dell’og-getto analizzato, gli studi sulla modularità del prospetto effettuati,concludono il lavoro e lo rendono compiuto.Tutto ciò fa esprimere un giudizio largamente positivo sul lavoro diLinda Barnobi ed è certamente lecito affermare che l’Autrice sitrova nella posizione allineata alle direttive definite dalla comunitàscientifica del settore disciplinare ICAR 17 – Disegno in ordine alrilievo, segno questo che l’attività svolta nei tre anni del corso didottorato di ricerca in Disegno e rilievo del patrimonio edilizio fre-quentato a Roma, presso l’Università La Sapienza, sono stati frut-tuosi e le hanno consentito la maturazione dei concetti del rilievo,consentendole di raggiungere livelli superiori; questo ne fa oggiuna valida collaboratrice del Laboratorio di Fotogrammetria Archi-tettonica e Rilievo del Dipartimento di Architettura ed Urbanisticadell’Università di Catania. Non resta altro che augurarsi che laBarnobi trovi altri temi ed esperienze che la conducano a produrrealtri anelli di quella catena di lavori che via via sta producendo.

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Premessa 1

La nascita di un teatro in età borghese era un evento di grandeimportanza, in quanto segnava un momento di svolta nella vitasociale ed economica della città che lo accoglieva. Se da sempre,infatti, la realizzazione del teatro era un processo complesso, chedoveva rispondere a numerose e pressanti esigenze di tipo rap-presentativo e presentare importanti requisiti funzionali e distribu-tivi, a partire dal ’600, la manifestazione teatrale diventa un feno-meno prevalentemente sociale e culturale: il teatro d’opera erastrettamente connesso alla realtà storica del territorio, ad un intri-cato reticolo di rapporti e scambi che ruotavano attorno al suosistema produttivo. La richiesta della realizzazione di un teatroveniva sollevata, da parte delle istituzioni o della popolazione, nelmomento in cui la condizione socio–economica di una città, gran-de o piccola che fosse, consentiva di aspirare ad un salto di qua-lità, all’affermazione di una crescita e maturazione dello statosociale, da far conoscere all’esterno, da mostrare come traguar-do di fondamentale importanza. Avere un teatro nella propria cittàsignificava essere un popolo colto, che aveva la capacità, maanche le possibilità economiche ed il tempo, di godersi manife-stazioni culturali di alto livello, entrare nel circolo delle città moder-ne: esso testimoniava il livello di cultura e potere delle realtà muni-cipali, che quindi facevano a gara per munirsi di un edificio per lospettacolo degno della città.La realizzazione del teatro dal punto di vista pratico era un avve-nimento che richiedeva l’intervento di personale esperto, perchéesso era un organismo articolato, sintesi ed espressione di ricer-che e studi di valenza formale, architettonica, funzionale e tecno-logica, che nasceva da un processo progettuale complesso, chedoveva rispondere a molteplici esigenze: innanzitutto di naturatecnica, specifiche della tipologia di edificio e della fruizione dellospettacolo; in secondo luogo economiche, per permettere la frui-zione di esso da parte del maggior numero di persone possibilee di conseguenza ottimizzare i guadagni; infine di carattere rap-presentativo, in quanto il suo importante ruolo simbolico rendevanecessario dare una veste formale significativa all’edificio e la suanascita si poneva come momento di riprogettazione urbana.

1 Lo studio proposto nascecome estratto da uno studio più esteso,nell’ambito del Corso di Dottorato diRicerca in “Disegno e Rilievo del Patri-monio Edilizio”, svolto presso la facoltàdi ingegneria dell’Università “La Sapien-za” di Roma, dal titolo: “Utilitas, Firmitase Venustas nel “Teatro all’Italiana”: unarisposta efficace alle nuove e complesseesigenze sociali dell’800. – Ricerche peruna metodologia operativa di rilievo”.

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Interessanti sono, a tal proposito, le considerazioni di A. Mazza, ilquale afferma quanto segue: “I fenomeni propulsivi che determi-nano la nascita e lo sviluppo di arti decorative e stili sono essen-zialmente la struttura economica della città, la capacità interpreta-tiva dei vari fenomeni culturali dell’epoca, le professionalità proget-tuali, le capacità artigianali e la consapevolezza che la città è patri-monio di un popolo il cui grado di crescita culturale e sociale èimmediatamente identificabile con la qualità architettonica di quel-lo spazio che rappresenta la loro esistenza”2.In Sicilia, come si è potuto osservare attraverso una ricerca estesaall’intero territorio, sia attraverso fonti archivistiche e bibliografiche,che attraverso numerosi sopralluoghi, l’architettura teatrale pre-senta caratteri stilistici peculiari, i cui molteplici aspetti e la cui ric-chezza di manifestazioni sono apprezzabili in maniera esaustivasolo se non ci si ferma alla conoscenza dei grandi esemplari diteatri delle città principali, ma se si ricercano anche e soprattuttonelle numerose piccole sale sorte, diffuse in varie parti dell’isola.L’osservazione analitica dei caratteri autentici di molti esempimeno noti ha evidenziato una grande originalità nelle apparecchia-ture decorative, con preziosi richiami alle regole dell’arte classica,ed una ottima fattura negli aspetti funzionali, che manifesta l’altogrado di cultura degli artisti che cooperavano alla realizzazione ditali opere. Tale scoperta ha stimolato l’interesse per una ricerca in grado diindividuare quale fosse la conformazione tradizionale dei teatridell’800 in Sicilia e soprattutto di quegli esempi considerati “mino-ri”, opere di artisti e manifatture locali, che proprio nella loro di-mensione territoriale conservavano una genuinità ed una originali-tà introvabili nelle opere ispirate ai grandi modelli italiani ed euro-pei, nell’utilizzo dei materiali e delle forme tipiche della cultura e delfolclore originario.Lo studio ha altresì rivelato come buona parte dei numerosi teatrisorti indistintamente in tutte le parti della Sicilia siano stati demoli-ti, o quantomeno riadattati ad altre attività, subendo, così, radicalitrasformazioni ed irrecuperabili deturpazioni per cui, tra i numero-si esemplari visitati e studiati, escludendo quelli che non avesseromantenuto l’aspetto originario, si è cercato di individuare quelli piùrappresentativi. In questo contesto, il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria, in provin-cia di Ragusa, riveste un ruolo di fondamentale importanza, poten-do assurgere a modello rappresentativo della migliore architetturateatrale nel territorio siciliano.Nella sua conformazione spaziale, articolazione formale ed esteti-ca, nonché funzionalità distributiva e tecnica, esso racchiude, con-cilia e sintetizza tutti i più alti intenti dei progettisti dell’epoca ed è

2 Mazza A. – Il decoro, appuntiper immagini sul decoro della città diVittoria – Ed. Expo, Vittoria (RG) 1996

13L’architettura teatrale dell’800 in Sicilia – Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria

il risultato dell’applicazione delle migliori teorie progettuali nel set-tore degli edifici per lo spettacolo.Il Teatro Comunale di Vittoria suscita un fascino irresistibile nell’os-servatore attento e sensibile: l’eleganza sobria, l’autorità carisma-tica e non opprimente, la funzionalità perfetta che gli ha guada-gnato l’appellativo di “Piccola Scala siciliana”, ci ha indotto a con-siderarlo un valido esempio dei modi realizzativi della nostra terra,ad approfondirne lo studio e la conoscenza, al fine di scoprire isegreti che hanno portato alla realizzazione di questo piccolocapolavoro e di diffonderne la fama al di là dei confini provincialientro i quali è stato fino ad oggi segregato.

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Origini ed evoluzione dell’arte teatrale

Dalla grande adunata democratica di popolo, al tempo del teatrogreco, al pubblico selezionato del teatro di corte rinascimentale,fino al teatro barocco borghese, l’edificio teatrale nasce, cresce esi modifica con l’evoluzione della società, che lo richiede e ne usu-fruisce; si sviluppa cercando di fornire le risposte più adatte alleesigenze di un pubblico, che nel tempo va cambiando e chemodifica le proprie richieste. Gli spettatori a teatro, in tutti i periodistorici, sono un campione rappresentativo della società: la loropresenza e composizione riflette l’organizzazione sociale ed urba-na ed all’interno del teatro essa richiede di essere rispettata, anzievidenziata; infatti, al suo interno avviene l’ostentazione del pote-re e della gerarchia della classi sociali.Si può pensare la primigenia forma di teatro come uno spazio incui avviene la riunione spontanea di un pubblico attorno ad unevento che suscita il suo interesse; altrettanto spontaneamente sidelineano due spazi: il luogo in cui si svolge la scena, la rappre-sentazione, ed il luogo in cui si dispongono gli spettatori. Si defi-nisce una distinzione fisica e concettuale tra questi due spazi, unascissione che si manterrà, anche assumendo diverse forme esignificati, fino alla fondazione del teatro moderno dove, oltre allaseparazione tra i luoghi, si riscontrerà una frattura della continuitàspazio–temporale, dando vita alla distinzione convenzionale tramondo reale e mondo immaginario. Lo spazio teatrale è quindi pernatura uno spazio duale, che prende vita dalla tensione tra realtàe finzione, tra disinganno ed illusione.Il “Teatro all’Italiana”, detto anche teatro barocco, rientra nell’ulti-mo schema descritto ed è una tipologia di edificio per lo spettaco-lo che vide luce, per la prima volta, in Italia nel Seicento, a segui-to di una lunga e sofferta evoluzione del teatro di gusto classicista.Il tipo teatrale barocco fu, comunque, una diretta derivazione delteatro da sala, nato nel secolo precedente, e le prime innovazioninacquero nel ’500, ancora all’interno dei teatri di corte o delle saled’Accademia. Nel XVII secolo, tuttavia, esso assunse, per la primavolta, il ruolo di un edificio indipendente: il teatro pubblico, edificioautonomo inserito all’interno del tessuto urbano, si sostituì a quel-lo privato (che era situato all’interno di sontuose dimore o di edifi-

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ci nobiliari) esprimendo un modello tipologico, il cui il successodilagherà rapidamente in tutta Europa.Questa nuova tipologia propose agli architetti problemi vecchi enuovi: quelli relativi all’immagine rappresentativa e simbolica del-l’edificio inserito nel contesto della città, nonché quelli riguardantil’acustica della sala a palchi e la visibilità del palcoscenico, e con-dusse la ricerca tipologica sull’architettura teatrale nel corsodell’Ottocento ad impegnarsi su due temi progettuali prevalenti: ilbinomio architettura del teatro–morfologia urbana e il binomio pal-coscenico–sala. Il teatro all’italiana non ha cercato un prototipo,ma ha definito un modello architettonico, che si è imposto ed èentrato nell’immaginario collettivo come emblema del teatro del-l’opera, quasi ad assimilare l’attività con lo spazio all’interno delquale essa stessa si svolge.All’esterno, l’edificio teatrale, emancipatosi dal ruolo di ambienteinterno ai palazzi nobiliari o pubblici, ha ricercato una definizioneprospettica che lo qualificasse come nuovo simbolo della dignitàdella città, tempio laico, borghese e spesso nuovo fulcro attornoal quale si realizzarono grandi interventi di ammodernamento eriorganizzazione del tessuto urbano.All’interno, le caratteristiche che lo definiscono sono: il prospettoscenico, architettonicamente qualificato, il palcoscenico profondoe meccanizzato, la forma della sala a pianta allungata, ma soprat-tutto la disposizione del pubblico in gallerie sovrapposte vertical-mente, suddivise da setti nei caratteristici e controversi palchetti,da cui l’appellativo di sala ad alveare. Esso fu la risposta a numerose esigenze sociali ed economichedella società “moderna”, che si andava evolvendo e modificandoradicalmente, in seguito alla caduta del regime comunale e dellesignorie e dell’affacciarsi, sul panorama politico europeo, dellaBorghesia, nuova classe sociale apportatrice di grandi stravolgi-menti socio–culturali. Studiare le modalità ed i tempi in cui è nato il teatro di una città,significa studiare la città stessa e la sua popolazione, i tempi dellasua crescita e maturazione, le sue ambizioni ed aspirazioni, le suepossibilità economiche ed interessi culturali.

17L’architettura teatrale dell’800 in Sicilia – Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria

Le matrici greco–romane dell’edificio teatrale

Nel periodo greco classico, la passione per il Teatro fu davveromolto forte; le rappresentazioni teatrali costituivano parte integran-te delle festività cittadine, che erano prevalentemente a caratterereligioso, e si collocavano nell’ambito di una vera e propria gara didrammaturgia, in cui diversi autori concorrevano per vedersiaggiudicare un premio.L’opera greca si caratterizzava per l’utilizzo, da parte degli attori,di una maschera, che oltre a tradurre in forme convenzionali il per-sonaggio, creava un effetto di amplificazione della voce dell’atto-re utile anche in teatri dall’acustica perfetta.Le rappresentazioni erano rivolte all’intera comunità, quindi neces-sitavano di uno spazio per il pubblico molto ampio (cavea): ele-mento base dei drammi era il coro, un gruppo numeroso, chenecessitava di un’area di azione sufficientemente ampia. I primispazi utilizzati per le rappresentazioni erano semplici spiazzi (orke-stra), inizialmente di forma rettangolare, situati preferibilmente inprossimità di un declivio, dove il pubblico poteva disporsi per assi-stere all’azione teatrale, senza alcuna distinzione sociale.A partire da questo embrione, il teatro greco si sviluppò conl’aggiunta, prima, di pochi sedili in legno sul bordo dell’orche-stra, per gli spettatori di ceto più alto; più tardi, aumentò ilnumero di posti disponendoli lungo il fianco della collina; inseguito, quando i sedili furono realizzati in pietra, la zona del-l’orchestra assunse forma circolare, con due raccordi rettilineiverso il proscenio, che le fecero assumere la pianta ad U. Lascena (skené) fece ben presto la sua apparizione: essa, origi-nariamente, assolveva funzioni pratiche: consentire agli attori diprepararsi ad entrare in scena e di ritirarsi, quando fosse finitoil loro intervento; ben presto, però, ci si rese conto dell’utilitàdell’esistenza del fondo scenico, per fornire ai drammi ambien-tazioni diverse dalla cornice offerta dal paesaggio naturale.Anche la scena, inizialmente realizzata in legno, fu poi costruitain pietra ed assunse una forma più elaborata, consistente inuna lunga parete frontale con due avancorpi laterali (paraske-nia), con tre porte per le uscite e le entrate degli attori, di cuiquella centrale, più grande, era chiamata porta regia; tra i suoiestremi ed il limite dei sedili rimaneva, inoltre, lo spazio per dueingressi che, utilizzati inizialmente sia dal coro che dagli spetta-tori, in epoca più tarda furono abbelliti con porte riccamentescolpite. Quello che la letteratura definisce “teatro greco” è il teatro atenie-se classico, che prese corpo nel V secolo a.C., ma che trovò il suoassetto definitivo, con le forme dell’orchestra, della cavea, dell’e-

Pianta del Teatro di Dioniso ad Atene nelIV sec. a. C.

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dificio scenico come oggi le conosciamo, nel corso del VI secolo.La disposizione compatta degli spettatori attorno alla sorgentesonora rendeva la conformazione spaziale del teatro greco ottima-le dal punto di vista acustico. Ciò derivava fondamentalmente daconsiderazioni empiriche, in quanto solo in epoca romana, conVitruvio1, che nel suo trattato dedica all’argomento una lungadigressione, si iniziano a sviluppare teorie sull’acustica; infatti, finoad allora, la forma e la dimensione dei teatri erano state guidatedall’esperienza pratica, in funzione della necessità di una diffusio-ne uniforme del suono verso gli spettatori.Nel corso del IV secolo a.C., cambiando le condizioni sociali, laforma del teatro si andò modificando: l’emiciclo del pubblico fuleggermente ampliato, prolungando le file di sedili in perpendico-lare rispetto al diametro; per gli attori, si realizzò una lunga piatta-forma elevata, mentre la scena vide un nuovo sviluppo, nelledimensioni e nella elaborazione architettonica della struttura. Ci siavviava verso lo spostamento del centro di interesse dall’orchestraal palcoscenico ed alla scena, che già apriva la strada verso unaconformazione più simile al teatro moderno. Il teatro romano si differenziò in maniera fondamentale da quellogreco, teatro greco, in quanto a Roma l’arte drammatica non con-servò il valore sociale originario e le rappresentazioni scenichepersero il loro rapporto con eventi religiosi, divenendo solo attivitàludiche. Tuttavia, essendo venuto meno l’alto valore morale e reli-gioso che aveva animato la grande stagione del teatro greco, l’ar-te drammatica era considerata apportatore di costumi licenziosi e

Pianta del Teatro di Epidauro, degli inizi del III sec. A. C., opera dell’architettoPolicleto. L’allargamento della cavea è del II sec. a. C. e l’edificio scenico fuancora modificato dopo il IV sec. d. C.

1 Sotto Augusto, Vitruvio scrisseil suo Trattato De Architectura, in cuidedicò ampio spazio alla costruzionedei teatri. Egli si occupò della loro collo-cazione, della loro forma, dei materialida utilizzare.

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corrotti, pericolosa per i messaggi politici che poteva diffondere;così il primo teatro permanente a Roma si ebbe solo nel 55 a.C.,ben 200 anni dopo l’inizio dell’attività teatrale.Anche nel teatro romano, come in quello greco, i costumi di scenapermettevano di identificare il genere della rappresentazione (tra-gedia o commedia) e la caratterizzazione psicologica dei perso-naggi; dalla tradizione greca venne anche mutuato l’utilizzo dellemaschere.I teatri romani mantennero lo schema di quelli greci, pur distin-guendosi da essi per essere collocati all’interno della città (non aldi fuori del centro abitato) e su terreni pianeggianti. Essi si confi-guravano come veri e propri edifici, presentavano una significati-va veste, sia architettonica che strutturale, ed erano circondati esostenuti da alte pareti, abbellite con colonne e maestosi archi inpietra.

Dal teatro classico al teatro moderno: la scena prospettica eil melodramma.

Il percorso attraverso il quale si sviluppò la tipologia teatrale nonfu lineare, nè rapido; esso fu determinato da numerose influenzetalvolta in contrasto tra loro, fino a giugnere alla definizione del“teatro all’italiana “, come oggi lo intendiamo, dopo un lungo pro-cesso, che coprì un periodo storico che va dal ’400 all’intero ’800.Primo elemento catalizzatore per il processo di nascita e sviluppodell’edificio teatrale, fu l’affermarsi e il diffondersi della scena pro-spettica, che è stata la componente più innovativa introdotta dalteatro barocco rispetto al teatro classico2.Il primo impulso alla definizione di uno spazio architettonico fun-zionale agli spettacoli teatrali, con una prima, embrionale, realizza-zione di scenografia, nacque solo intorno alla metà del ’400, all’in-terno di una cerchia culturale ristretta, nell’ambito culturaledell’Umanesimo. Comunque, sarebbe passato ancora più di unsecolo prima della configurazione del teatro come edificio autono-mo, in quanto la rappresentazione era nel XV secolo uno spetta-colo elitario, un rito colto, che favoriva ancora l’allestimento prov-visorio all’interno della corte o dell’Accademia.Intenzione prevalente del movimento umanista era il recupero deiriti civili dell’antichità e, a seguito della prima pubblicazione del“De Architectura” di Vitruvio, (1486, seguita da numerose altre edi-zioni) prese decisamente il via la scoperta del mondo classico e lasuccessiva evoluzione della scena : l’architetto–scenografo roma-no distingueva tre tipi di scena, a seconda del genere rappresen-tato: la scena tragica, ambientata in edifici nobiliari, la scena comi-ca, in edifici umili, quella satirica, rappresentata sullo sfondo di un

Indicazioni per la costruzione geometri-ca della pianta di un teatro, dal DeArchitectura di Vitruvio.

2 Cfr. A. Pinelli, I Teatri, Pisa, 1994.

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paesaggio naturale. In queste scene le immagini non erano reali-stiche e avevano solo valore accessorio ed evocativo, ma eranogià previsti i primi cambiamenti di scena: essi venivano realizzatimediante i periaktoi, prismi triangolari con una scena dipinta suciascun lato che, fissati mediante un perno centrale, venivano fattigirare durante lo svolgimento del dramma. La prima volta in cui la scena di matrice medioevale, formata soloda cinque o sei telai lignei dipinti, disposti gli uni accanto agli altri,lasciò il posto alla prospettiva di città, fu nel 1508, nella Ferraradegli Este, corte che assunse un ruolo di primo piano per la rina-scita teatrale: la scena era una prospettiva centrale, realizzata daPellegrino da Udine per la rappresentazione della Cassaria diAriosto, dipinta su un fondale, con due quinte laterali.In ambito romano, un allestimento interessante fu realizzato nel1513 in piazza del Campidoglio, sotto il governo del ponteficeLeone X: il teatro era realizzato in legno dipinto a finto marmo,aveva cavea rettangolare, con sette gradinate, e un prospetto sce-nico elaborato, con porte e ordine architettonico. Inoltre, presenta-va una facciata esterna prospiciente la strada che porta alla piaz-za, elaborata dal punto di vista architettonico, con al centro unarco trionfale di ingresso.Interessante era la presenza di alcuni palchi privati elevati, in cor-rispondenza delle finestre all’esterno del teatro, dove trovavanoposto nobili cittadini, che non volevano mischiarsi alla folla, pergodere dello spettacolo: risultavano essere quasi un’anticipazionedel futuro teatro a palchetti.In ambiente milanese, predominante era invece la personalità diLeonardo da Vinci. In una sala del castello Sforza, egli allestì lafesta del Paradiso, dove, nella disposizione del pubblico, eranochiaramente individuabili le caratteristiche selettive del teatro, cheesso avrebbe mantenuto ancora per più di un secolo. Il pubblicoera disposto su gradinate di legno coperte con tappezzerie, men-tre i principi si accomodavano su una tribuna separata, in posizio-ne centrale e privilegiata, nella quale risultavano essere non solo

Prima pagina del V Libro del DeArchitectura, di Vitruvio.

Pianta del teatro realizzato in Campi-doglio da Pietro Rosselli per Leone Xnel 1513.

Ricostruzione dell’allestimento della Festa del Paradiso curatada Leonardo da Vinci nel Castello Sforzesco a Milano nel 1490:a) scena; b) danzatori; c) gentildonne; d) scena avanzata; e)principi; f) musici; g) tramezzo basso; h) gentiluomini.

21L’architettura teatrale dell’800 in Sicilia – Il Teatro Vittorio Emanuele di Vittoria

spettatori, ma anche parte integrante dello spettacolo, in quanto ilpubblico aveva la possibilità di osservarli ed ammirarli nel corsodella festa. Questi erano solo i primi pallidi tentativi di dare allospettacolo una cornice ad esso consona; ma le esigenze del pub-blico e dell’arte recitativa esercitarono ben presto le loro pressio-ni, spingendo tecnici ed artisti alla ricerca di soluzioni sempre piùefficaci ed impegnative.Una soluzione particolarmente interessante, e originale, fu propo-sta da Andrea Palladio nel suo progetto del Teatro Olimpico, aVicenza, in cui egli dispose, dietro la scena, sette strade con leprospettive orientate diversamente, a favore di diversi settori dellacavea; ma tale esperienza resterà senza seguito.La realizzazione palladiana, che possiede diversi elementi di par-ticolare interesse, si pose contemporaneamente come frutto econclusione della lunga riflessione progettuale sullo spazio teatra-le, iniziata dagli antichi. Essa fu l’unico tentativo ambizioso di sin-tesi tra la scena classica e la prospettiva: il Teatro Olimpico è statoun “fiore fuori stagione” (Nicoll), un esperimento rimasto unico nelsuo genere, che in pratica è stato la prova definitiva della divarica-zione e dell’impraticabilità di un compromesso tra due diversimodi di rappresentazione e fruizione dell’edificio teatrale.Il Palladio si collocava all’opposto rispetto alle indicazioni delSerlio: egli si basò sulle proprie giovanili riflessioni sul teatro anti-co, supportandole con studi, rilievi ed interpretazioni dei restiarcheologici romani e delle fonti classiche; non bisogna infattidimenticare che egli collaborò con Daniele Barbaro all’illustrazio-ne del testo di Vitruvio, pubblicato nel 1556. L’intenzione del Palladio era esprimere nel progetto del TeatroOlimpico (benché non fosse un edificio autonomo) l’immaginedell’edificio classico, secondo l’idea che egli si era fatto attraversoi propri studi.Egli realizzò una cavea semi–ellittica (quella classica sarebbedovuta essere semicircolare, ma dovette adattarsi all’edificio all’in-terno del quale realizzò il teatro, rispettando le esigenze della visi-bilità ed aumentando la capienza) coronata da un colonnato corin-zio, che racchiude l’orchestra, incorniciata da una maestosa scae-nae frons a due ordini, con le classiche tre porte, più due laterali:l’unione spaziale tra il proscenio e la cavea manifesta la classicitàdi Palladio, mentre l’aggiunta delle famose sette strade in prospet-tiva, che si irradiano al di là delle porte della scena e materializza-no uno spazio illusorio dinamicamente contrapposto a quello uni-tario posto davanti al fronte scenico, testimonia la ricerca di unasintesi tra la scena classica e l’illusionismo rinascimentale.Fu un tentativo anacronistico ed isolato di perfezionamento dellospazio teatrale classico, che concluse il filone archeologizzante

Pianta del teatro Olimpico di Vicenza, diAndrea Palladio.

Scaenae Frons con Porta Regia del Tea-tro Olimpico

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della ricerca architettonica sul tipo teatrale; ma riuscirà anche adessere, in qualche modo, ispirazione e stimolo per evoluzioni suc-cessive, soprattutto per la nascita dell’arco di proscenio: infattiesso presenta un’interpretazione originale della scena classica, incui la porta regia assume proporzioni più ampie e forma ad arco,dando proprio l’effetto sontuoso degli archi di trionfo e prefiguran-do il concetto moderno dell’arcoscenico.Un significativo contributo al definitivo affermarsi del nuovo mododi realizzare le scene teatrali fu fornito, nel 1545, da SebastianoSerlio, che nel Secondo Libro del suo trattato riprese le tre sceneclassiche vitruviane e le codificò, esemplificandole mediante inci-sioni illustrative e fornendo suggerimenti tecnici sulla loro realizza-zione. Nel suo progetto per un teatro3, nella zona destinata alla scena,egli partì dalla piattaforma scenica romana, destinando agli attoriun palco lungo e stretto. Ma alle loro spalle, invece che la scena acolonne, dispose quella che oggi viene correntemente indicatacon il nome di scena serliana: una piattaforma inclinata, su cui lascena prospettica di una strada o di una piazza era ottenuta tra-mite l’utilizzo alternato di case in legno e teloni dipinti; le casediminuivano via via in altezza e venivano poi chiuse da un fondaleprospettico; di conseguenza, per rispettare l’effetto realistico, gliattori erano costretti a recitare davanti alla scena e non al suointerno e non poteva avvenire ancora la distinzione tra spazio delpubblico e della rappresentazione. Non ci si era distanziati moltodal fondale piatto, ma era un primo passo verso un nuovo mododi fare teatro.Una versione perfezionata dello schema serliano venne realizzatadallo Scamozzi nel Teatro Olimpico di Sabbioneta, progettato perincarico di Vespasiano Gonzaga e realizzato nel 1588, che si puòconsiderare il primo teatro stabile realizzato e in cui si poteronoapprofondire i temi dell’architettura teatrale sviluppati durante ilRinascimento e, allo stesso tempo, la prefigurazione degli svilup-pi settecenteschi che porteranno alla definizione del teatro all’ita-liana.Nel teatro di Sabbioneta sono nettamente distinte le tre aree fun-zionali: ingresso, sala e scena. Esso ha uno schema piuttostosemplice: le zone di ingresso sono ripartite su due piani, per con-sentire l’ingresso indipendente ai due livelli del loggiato; la sala èun quadrato in cui è inscritta la cavea semicircolare, con pochigradoni, che si raccordano alle pareti, quasi prefigurando le salea campana; anche la scena è di forma quadrata e di dimensionipiuttosto ampie, rispetto a quelle del teatro; essa presentava unimpianto prospettico fisso, con quinte angolari e fondali. LoScamozzi, in chiara polemica col Palladio, ha abolito la scaenae

Progetto dello Scamozzi per il Teatro diSabbioneta.

3 Il teatro descritto dal Serliocome uno di quelli “che ’a nostri tempi sicostumano “, a quanto riferisce il Vasari,potrebbe corrispondere alle realizzazionidi Baldassarre Peruzzi, tra il 1514 ed il1531

Allestimento di una scena prospetticaserliana.

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frons, ponendo la prospettiva a diretto contatto con la sala, cosic-ché scena e sala danno una forte sensazione di continuità; inoltre,le decorazioni e gli affreschi, non più esistenti, configuravano l’in-terno del teatro come un’elegante architettura che si affacciava suuno spazio aperto urbano.Alla diffusione di questi studi seguì, da parte di altre importantiprogettisti, la stesura di numerosi altri trattati tecnici, che miravanoalla diffusione di nuove idee; nella seconda metà del XVI secolo, ilVignola, nel suo scritto “Le due regole della prospettiva pratica”,per la prima volta teorizzò l’uso della scena mutevole ed aprì leporte al teatro barocco, che raggiunse un livello estremamentesofisticato degli effetti scenotecnici, tramandatici, ad esempio, daNiccolò Sabbatini nel suo trattato “Pratica di fabbricar scene emacchine ne’ teatri” (1637).La sala ad alveare comincia a definirsi nel Teatro della Sala delPalazzo del Podestà, realizzato a Bologna nel 1639 dall’architettoAlfonso Rivarola, detto il Chenda. Egli utilizzò lo spazio verticaledell’ambiente, disponendo cinque ordini di logge sovrapposte,suddivise in palchetti, che erano provvisti sul retro di accessi indi-pendenti, collegati da corridoi di disimpegno. Ancora per qualche decennio, l’affermarsi della sala all’italianadovette convivere con alcuni tentativi di compromesso e mutua-zione tra il nuovo sistema a palchetti e la disposizione della caveaa gradoni4; tuttavia i primi esempi italiani di sala a palchetti assur-gono ben presto al ruolo di modello per le sale di tutta Europa,confermando il successo della sala barocca.La conformazione tipica di queste sale compare nel 1638 nel teatrodei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, realizzato inizialmente in legnoe nel 1654 in muratura, con cinque ordini di gallerie, ognuna di 29palchi; si ritrova poi nel teatro La Pergola, a Firenze, realizzato tra il1652 ed il 1661, su iniziativa dell’Accademia degli Immobili e proget-tato da Ferdinando Tacca, con suggerimenti di Antonio GalliBibbiena, con pianta a ferro di cavallo e sala a palchetti.

Il Teatro degli Intronati a Siena

4 Alcune realizzazioni di unacerta importanza in cui si tentò di fon-dere il sistema distributivo antico a gra-doni con quello innovativo a palchetti,si succedettero ancora a cavallo dellametà del Seicento; ricordiamo: il teatrodella corte di Modena, arch. C. G.Vigarani, 1649; teatro degli Obizzi aFerrara, arch. C. Pasetti, 1660; teatrodegli Intronati a Siena, 1670

Il Teatro dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia

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Alla fine del ’600, in ambiente fiorentino, venne elaborata unanuova teoria prospettica, che permetteva di dar vita a effetti illuso-ri di profondità spaziale; questi vennero inizialmente utilizzati soloper creare fondali, poi per dare a questi una limitata profondità, edinfine per estendere la scena tanto da introdurre al suo interno iprotagonisti della rappresentazione. La scena prospettica, quale si codificò nel Rinascimento, miravaall’oggettivazione realistica dell’ambiente drammatico, ad un’am-bientazione il più possibile veritiera, alla ricostruzione somigliantedi ambienti chiusi o aperti, al fine di rendere più tangibile possibi-le il mondo dell’immaginario, in cui il pubblico potesse immedesi-marsi durante la rappresentazione, imponendo la tacita conven-zione di accettare la finzione per realtà.Tale scopo era perseguito mediante l’uso della prospettiva centrale,ma questa tecnica aveva un limite evidente: l’illusione si creava soloper chi osservava la scena da una posizione centrale, ovvero chioccupava un posto particolarmente privilegiato della sala o, comun-que, poco angolato rispetto a questo. Tale posizione, naturalmente,nel Rinascimento corrispondeva a quella occupata dal Signore e daisuoi intimi, e gli architetti del tempo non si ponevano certo il proble-ma di consentire una visibilità corretta al resto del pubblico. Solo inun secondo momento, in particolare con l’avvento del pubblicopagante nella prima metà del XVII secolo, si cercherà la forma dellasala più adatta a fornire la migliore visibilità al maggior numero di per-sone possibile, compatibilmente con lo spazio disponibile. Ulteriore innovazione degli artisti delle scenografie teatrali, per perfe-zionarne ulteriormente l’effetto realistico, fu quella di aggiungere aquella centrale una prospettiva accidentale, con due o più punti difuga disposti molto lateralmente rispetto al punto di vista: specialista

Pianta del Teatro alla Pergola di Firenze.

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di questo tipo di prospettiva (e in particolare ideatore della “scenaeccentrica”), fu Ferdinando Bibbiena5. Nelle sue scenografie, eglimetteva in primo piano elementi traforati (colonnati, arcate, ecc.),dietro i quali rappresentava un’ampia successione di spazi, con pro-spettive che si sviluppavano in ogni direzione; per far sì che le pro-porzioni degli spazi di secondo piano si mantenessero praticabili pergli attori, egli enfatizzava la scala degli elementi di primo piano. Inquesto modo, si realizzò la definitiva rottura della continuità tra salae scena: come abbiamo visto, infatti, fino a questo momento, gliambienti in primo piano avevano sempre rispettato le proporzionidella sala, per cercare una continuità prospettica tra i due elementi,ma ciò aveva costretto, per accentuare l’effetto prospettico, a realiz-zare le zone retrostanti in proporzioni molto ridotte.Ma l’opera dei Bibbiena, vera dinastia di progettisti e costruttori diedifici teatrali, contribuì anche alla sperimentazione ed evoluzionedella forma e dello schema distributivo della sala teatrale. Antonio progettò e costruì il Teatro Scientifico di Mantova, perl’Accademia dei Timidi. Esso doveva rispondere alle esigenzeprioritariamente economiche dei committenti, che, trascurandol’impianto scenografico, richiedevano che la sala fosse predispo-sta anche ad accogliere feste, concerti e manifestazioni di varianatura. Il Bibbiena, pur avendo a disposizione uno spazio ristretto, svilup-pò in maniera originalissima il tema dell’unità dello spazio internoed esterno, contrapponendo sulla scena un’architettura a tre ordi-ni, speculare a quella della sala, che non desse alla sala alcunforte vincolo di utilizzo. L’effetto è quello di un sapiente virtuosi-

5 Per non limitare il movimentodegli attori, egli spostò lateralmente gli“angoli” dati dai diedri di due piani difuga, realizzando più prospettive eccen-triche, che convergevano nello spaziodavanti alla scena.

Scenografia di F. Bibbiena, a inchiostro bruno e acquerello – Roma, MuseoPalazzo Venezia

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smo, che fonde la frons scaenae vitruviana con una moderna unitàspaziale.Il profilo della sala è sempre a campana, con tre ordini di palchi, pic-coli ma accoglienti, al di sopra di un ballatoio. Il teatro, inaugurato nel1770, ospitò un concerto di Mozart, che ne rimase ammirato.Per il resto, invece, la ricerca teatrale stava già imboccando altrestrade; si stavano difatti approfondendo le ricerche per la realizza-zione della scenografia mutevole, anzichè fissa. I primi risultati in questa direzione si poterono ottenere solo quan-do si istituirono i primi teatri di corte regolari, ed un passaggio fon-damentale per facilitare i cambiamenti di scena fu la sostituzione

Pianta del teatro Scientifico di Mantova.

Sala del Teatro Accademico di Modena

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dei telai angolari a due facce, di tipo serliano, con fondali piatti.Tale innovazione non fu immediata, in quanto i telai piani rendeva-no più difficile la costruzione di una prospettiva corretta; pensiamoad una classica scena rinascimentale, con una fuga prospettica dipalazzi: mentre sulle quinte angolari era facile rappresentare suciascun lato una faccia dell’edificio, rendendo l’effetto di scorcio,sulle quinte piatte bisognava rappresentare sia la parte frontale,che quella in prospettiva degli edifici. Questo tema era particolarmente prezioso per gli artisti teatralirinascimentali e la ricerca del movimento, che assunse importan-za prioritaria nella ricerca scenografica del ’500, portò ben prestoal miglioramento delle tecniche per i cambiamenti di scena ed allarealizzazione e perfezionamento di geniali meccanismi centraliz-zati, che guidavano degli argani in grado di muovere e manovrarele quinte piatte in maniera coordinata e rapida.La diffusione della scena dipinta e gli studi sulla prospettiva, estre-mamente approfonditi nel Rinascimento, nonché l’introduzione dimacchine scenografiche sempre più sofisticate, influenzaronoanche l’aspetto architettonico dell’edificio teatrale.Lo studio rinascimentale sulla scenografia iniziava a porsi anchealtri due obiettivi: la contrapposizione netta tra spazio destinato alpubblico e spazio riservato alla rappresentazione e il dare unitàallo spettacolo, facendo entrare gli attori all’interno della scenaprospettica. Per fare ciò era, però, necessario disporre di unascena molto più profonda, per poter creare una prospettiva menoscorciata e quindi una riduzione di scala meno accentuata dellescene rappresentate sulle quinte. Altra conseguenza dell’utilizzodelle macchine di scena e della prospettiva nella scenografia fuquindi il graduale, ma inevitabile, ampliamento del palcoscenico,che arrivò ad assumere dimensioni più estese della stessa platea.Un altro elemento fortemente caratterizzante l’aspetto della salaall’italiana è stato l’arco di proscenio, prospetto architettonicoposticcio che nacque nel XVI secolo, con lo scopo di separare laplatea dalla zona di svolgimento della scena, ma soprattutto alfine di incorniciare la scena. Difatti gli artisti del tempo si reseroben presto conto che una prospettiva dava il migliore effetto illu-sionistico, se incorniciata. Il richiamo alla cornice in uso nell’artepittorica o all’uso degli archi trionfali al fine di dare una confor-mazione scenografica urbanistica per la celebrazione di eventispeciali, è innegabile: per gli artisti che dovevano realizzare unaprospettiva scenografica, la limitazione netta del campo visivoall’interno dell’inquadratura era un grosso vantaggio che haesercitato il ruolo fondamentale di distinzione e, nello stessotempo, mediazione tra spazio reale ed illusorio6. Inizialmente,furono le quinte di primo piano ad essere trattate diversamente6 Cfr. A. Pinelli, I Teatri, Pisa, 1994.

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dalle altre; ma ben presto vi si aggiunse una fascia orizzontale enacque, così, un proscenio rettangolare. Nel periodo barocco,invece, si evolsero verso una configurazione tridimensionale,arricchendosi di nicchie, statue, paraste o colonne, ed iniziaronoad assumere anche la forma arcuata del profilo superiore, chepresto si generalizzò e diffuse in tutte le sale teatrali. Talvolta,all’interno dell’arcoscenico, vennero realizzati dei palchetti, dettibarcacce. Dal punto di vista tecnico, l’arcoscenico ebbe un ruolo di fonda-mentale importanza: esso è stato strettamente legato all’evoluzio-ne della scienza scenografica, in quanto svolgeva la funzione dicelare agli occhi della platea i congegni di risalita del sipario e dicambiamento delle quinte. Quando poi si estese in profondità, esso assunse una formascorciata prospetticamente, così da presentare due aperture didimensioni leggermente diverse: l’occhio della sala, più ampio,e l’occhio della scena, più stretto. Il palcoscenico si esteseanche leggermente, oltre il proscenio, verso la sala, creandouna zona che risultò estremamente utile per i cantanti: nelmomento in cui dovevano affrontare un assolo particolarmenteimpegnativo, essi potevano, infatti, portarsi in una posizione piùvicina al pubblico resa acusticamente più efficace anche dalprofilo strombato dell’arcoscenico, che rifletteva le onde sonorein direzione della sala.I teatri storici si sono conformati sempre più in funzione della ricer-ca del suono perfetto, della ripartizione uniforme, aspetto che nellavisuale non poteva essere raggiunto in quanto, anche in seguitoalla ricerca di perfezionamenti nella disposizione del pubblico, laposizione del principe rimaneva nettamente privilegiata, unica apoter godere nel modo più efficace degli artifici della scena. Conla ricerca della soddisfazione dell’udito, si cerca la democraziache la visuale non può fornire. La “curva fonica”, che ha comescopo quello di integrare la sala nel suo insieme, si contrapponealla “prospettiva del principe”, punto di vista ideale7.Altro evento fondamentale per la nascita, la definizione e lo svi-luppo del “Teatro all’Italiana” fu la nascita, nel ’500, del melo-dramma, un nuovo genere di spettacolo che celebrava la sinte-si tra musica e poesia come espressione dei più sublimi senti-menti dell’animo.Le sue radici si possono riscoprire già in alcune singolari sacrerappresentazioni medievali, in cui c’era la presenza di musica ecanto, ma soprattutto nelle commedie allestite presso le corti rina-scimentali, con i loro famosi intermezzi, spettacoli molto vivaci conscene interpretate in versi musicati, inseriti tra gli atti dei drammirappresentati, con i quali non avevano nulla in comune, ma che 7 Cfr. Banu pg. 90

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ottenevano l’effetto di rompere la monotonia, distrarre e risveglia-re l’interesse del pubblico.Tuttavia il cosiddetto “recitar cantando” nacque effettivamente inambiente fiorentino, intorno al 1594, quando si diffuse l’interesseper la riproposizione della tragedia classica nella sua completez-za, con il recupero del canto singolo o corale, con accompagna-mento musicale, che costituiva parte integrante della produzionepoetica greca; frutto di questi dibattiti, fu l’allestimento della“Dafne “, scritta da Ottavio Rinuccini, poeta, e messa in musica daJacopo Peri. La ricerca di una sintesi armoniosa tra azione, musica e poesia, siespresse in una grande varietà di temi rappresentati: l’operabarocca si ispirò sia a storie mitologiche, che alla rappresentazio-ne classica, ma anche a soggetti favolosi o storici, con un notevo-le uso di intermezzi, dal carattere estremamente libero ed allegro.La sintesi delle diverse forme espressive operata nel melodrammafu così felice che rapidamente esso dilagò in tutta Europa, contri-buendo potentemente ad accorciare il divario culturale tra l’Italia egli altri paesi, anche se, in ciascuno di essi, il fenomeno si innestòsu tradizioni locali, che denotarono l’evoluzione dell’opera concaratteristiche originali e specifiche.La nuova forma drammatica, fin dalla sua comparsa, reclamò spe-cifiche esigenze e determinò importanti modifiche dello spazioteatrale8. Emilio Del Cavaliere, nella prefazione all’opera“Dell’anima e del corpo”, descrisse l’ambiente ideale per l’operain musica: la sala non doveva contenere più di mille spettatori,comodamente seduti in silenzio, in quanto ambienti più ampiavrebbero costretto il cantante a rafforzare la voce, danneggiandol’espressione; il numero degli strumenti musicali doveva essereproporzionato al luogo dello spettacolo; l’orchestra doveva esse-re nascosta nel retroscena.In realtà, però, la struttura del teatro moderno si allontanò ben pre-sto dalle prerogative auspicate da Del Cavaliere, in quanto dove-va rispondere ad esigenze ben più pressanti, di natura prevalen-temente socio–economica. Già nei primi anni del ’600, infatti, il nuovo tipo di spettacolo richia-mò un pubblico più ampio ed estremamente vario. L’opera teatra-le si dissociò progressivamente dalla scadenza celebrativa e dalcontesto festivo, nonché dall’ambiente aristocratico. Si assistetteall’apertura di teatri pubblici, non più finanziati da accademie oprincipi, ma gestiti mediante la vendita dei posti. Esso si trovò,così, a confrontarsi con la legge del mercato subordinato, innan-zitutto, ad esigenze economiche, che si concretizzavano: nellasemplicità costruttiva, nell’ottimizzazione della capienza, nella fles-sibilità d’uso e nella corretta collocazione urbana. Nel teatro com-8 Cfr. A. Pinelli, I Teatri, Pisa, 1994.

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merciale, il Principe o le autorità non erano più le sole persone adassistere alla rappresentazione; pertanto si pose il problema delladifferenziazione delle classi sociali rappresentate dal pubblico insala; benché gli aristocratici conservassero una posizione netta-mente separata dal resto del popolo, e privilegiata, nei palchetti diordine inferiore iniziò a far capolino una nuova classe sociale: laborghesia9. Vicenda interessante in questo contesto è quella del San Carlo, aNapoli, dove è particolarmente ben risolta la dualità tra sala daspettacolo e da ballo.Progettato nei primi anni del ’700 da G. A. Medrano, architetto chefino ad allora si era occupato di opere militari e che basò il suoprogetto su modelli importanti, quale il teatro Argentina di Roma,fu costruito dietro richiesta di Carlo di Borbone e fu aperto nel1737. Nato come teatro di corte fu, però, presto soggetto alla ven-dita dei palchetti, per far fronte a difficoltà finanziarie. In posizioneintermedia tra un teatro di corte, un teatro pubblico ed una salaper le feste, aveva sei ordini di palchi, di cui i tre inferiori incorni-ciati da un ordine gigante. La platea era collegata ai palchi a latodi quello reale da due rampe monumentali ed al palcoscenico tra-mite due serie di scalini. Erano presenti pochi ambienti destinati alpubblico, fuori dalla sala, ma particolarmente belli, tanto da esse-re lodati dal Milizia. Modificato varie volte, fu interamente ricostrui-to nel 1816, su progetto del Niccolini, dopo un incendio. Ha unesterno in stile neoclassico ed una sala a ferro di cavallo, con cin-que ordini di palchi, più galleria. All’impianto originario, fu aggiun-to il portico d’ingresso per le carrozze ed altri ambienti di servizio.Anche lo scalone, i palchi di proscenio e la fossa orchestrale sonofrutto di interventi successivi.Il teatro che condensò nel modo più elegante ed armonioso icaratteri tipici del teatro all’italiana è La Scala, di Milano. Opera diGiuseppe Piermarini, del cui progetto è rimasto solo l’involucroesterno, è frutto di una ricostruzione quanto più possibile fedele.Di recente sottoposto ad un controverso restauro, è a forma diferro di cavallo, con sei ordini di palchi, e presenta le quinte alli-neate, in modo che gli spettatori abbiano sempre una visionealmeno parziale dell’impianto prospettico. Benchè la visuale e l’a-custica di questo teatro, così come di tutti i teatri dell’opera a pal-chetti, desti perplessità negli esperti, esso rimane uno dei piùfamosi ed apprezzati del mondo, per l’opera lirica.Per comprendere gli stimoli e le motivazioni che hanno condotto auna così rapida e radicale evoluzione dell’edificio teatrale, bisognaanalizzare il contesto culturale e le grandi modificazioni sociali chenel XVII secolo avvennero il Italia ed in tutta Europa.

9 Originariamente, nel Medio-evo, il termine individuava gli abitantidei borghi, ovvero persone occupatenell’esercizio delle arti ed il borghese sidistingueva innanzitutto dal nobile, ilquale non aveva la necessità di eserci-tare alcuna arte, ma anche dal popola-no, in quanto occupava una posizionesociale più elevata ed aveva il diritto diaccedere alle cariche pubbliche e par-tecipare all’amministrazione cittadina.Nel XVII secolo, la perdita di autonomiadelle Signorie, inglobate in vasti Staticentralizzati, promosse l’ascesa e l’as-sunzione di responsabilità politico–am-ministrativa di questa nuova classe so-ciale, cresciuta economicamente gra-zie all’espansione delle attività mercan-tili o speculative. La figura del borghe-se come cittadino con pieno diritto,che alternava la propria attività profes-sionale con le responsabilità pubbli-che, si venne così delineando neltempo e l’importanza sociale della bor-ghesia aumentò, mentre, per contro,diminuì quella della nobiltà. Nel ’700,l’attività della borghesia mercantile ecommerciale e gli sviluppi culturali chel’accompagnarono furono le principalimatrici dell’evoluzione scientifica, eco-nomica e sociale dei paesi europei edella nascita di una mentalità di tiporazionalistico e concreto, alieno daogni principio di autorità e da ogniforma di astrattezza. Questo processodi graduale esautoramento della nobil-tà e di conseguente aumento del pre-stigio sociale e politico della borghe-sia, durato molti secoli, venne corona-to dalla Rivoluzione Francese, ma il tra-passo dei poteri e della supremaziapolitico–sociale delle classi privilegiatealla borghesia, in forme diverse e menonette che in Francia, si produsse co-munque, in epoche diverse, in tutti imaggiori paesi europei. In particolare,in Italia, l’avvento della borghesia alpotere coincise con il raggiungimentodell’unità nazionale, nel 1861.

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La società ed il teatro: il successo della sala ad alveare

La grande innovazione del Seicento, che fu poi l’elemento piùcaratterizzante il teatro dell’opera alla maniera “italiana” e che lorese celebre in Europa ed in tutto il mondo, fu la sostituzione dellegradonate della cavea, presenti sin dal teatro classico greco, coni cosiddetti palchetti: più ordini di logge sovrapposte, suddivise,mediante tramezzi disposti radicalmente, in palchi indipendenti, sidisposero attorno all’invaso centrale della sala; questa assunse,così, un eccezionale sviluppo verticale e quell’aspetto “ad alvea-re” (termine coniato inizialmente con accezione negativa, ma dicui il teatro all’italiana si appropriò con orgoglio) che diede vita adun modello distributivo innovativo, che si affermò ben presto inmaniera incontrastata, anche se seguendo un lungo percorso distudio e perfezionamento.Per comprendere a fondo le motivazioni per cui il sistema a pal-chetti ebbe un tale successo, nonostante i numerosi inconvenien-ti che esso indubbiamente presenta, bisogna risalire al significatodell’andare a teatro nel Sei–Settecento ed al modo in cui taleesperienza veniva vissuta.Vi è un’ambivalenza fondamentale insita nel teatro all’italiana, chelo ha reso originale e geniale, e che ha straordinariamente mante-nuto la sua validità nella transizione dalla società monarchica, onobiliare, a quella borghese: lo scopo primario di presenziare inuna sala teatrale non era quello di assistere all’opera o, quantome-no, non solo, ma si trattava, fondamentalmente, di un incontrosociale, un’occasione per esporsi agli sguardi ed all’ammirazionealtrui, in cui il pubblico non era solo spettatore, ma anche e soprat-tutto attore, che in sala agiva, si esibiva, dialogava. A tal fine, i palchetti fornivano la cornice ideale: ogni palco era unpiccolo palcoscenico che, disposto a strapiombo sulla sala, sem-brava fatto apposta perché i suoi occupanti potessero offrirsi aglisguardi altrui, sia dei propri pari o superiori, anch’essi sistemati neipalchi, che del pubblico di ceto inferiore, disposto nella platea. Con la nascita della sala a palchetti, si è codificato un nuovo mododi vivere e di stare a teatro: gli spettatori disposti sui palchi nonsolo assistevano allo spettacolo, ma “erano” lo spettacolo. Il loroposto in teatro era definito in base alla gerarchia sociale ed in salaessi dovevano sostenere, interpretare e valorizzare il proprio ruolo:essere riconosciuti, osservati, ammirati. Nel teatro di corte, la collocazione del principe era quella in funzio-ne della quale erano organizzate l’intera disposizione della sala ela rappresentazione dello spettacolo. Il palco reale si trovava sem-pre in posizione assiale, al centro della curva, e presentava unasontuosità e maestosità tali da comunicare la grandezza del pote-

Pianta del Teatro alla Scala di Milano

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re del regnante, anche in sua assenza. Esso assumeva, solita-mente, dimensioni eccezionali10, occupando due ordini di palchi,ed era spesso sormontato da vistosi drappeggi, sostenuti da ele-menti decorativi, che richiamassero i simboli del potere. Occupare palchi più o meno prossimi a quello reale indicava ladisposizione gerarchica degli ospiti spettatori e rispettava l’eti-chetta di corte.Da ricordare anche la presenza della cosiddetta “piccionaia”,ovvero i palchetti dell’ultimo livello, destinati alla servitù della nobil-tà presente in sala, che come vedremo svolgeranno un ruolo chia-ve nel passaggio dal teatro di corte al teatro pubblico.La vocazione del teatro all’italiana mirava a valorizzare quella cheThorstein Veblen chiama la “classe del tempo libero ostentato”:coloro che legittimavano il proprio ruolo sfoggiando la ricchezza.Il loro era naturalmente un modo di esporsi tutt’altro che sponta-neo e naturale: l’affacciarsi ed il celarsi, l’atteggiarsi nelle espres-sioni più diverse, di distrazione o interesse, di indifferenza o sedu-zione, era un’arte. Gli sguardi si aggiravano estasiati, ma contem-poraneamente controllavano, giudicavano, approvavano o dis-prezzavano. Lo spettatore diventava attore, partecipava allo spet-tacolo che si svolgeva nei palchi, e trovandosi faccia a faccia coni suoi pari, ne valutava la “prestazione” e consacrava la propriaposizione, come si trovasse davanti ad uno specchio.Il ruolo da protagonista, naturalmente, era giocato dalle donne, etante volte la scelta dei colori e dei materiali per l’arredamento delpalchetto fu fatta con lo scopo di mettere in maggior risalto la toi-lette e la bellezza delle signore in teatro. Per loro, il teatro era l’oc-casione per esternare senza inibizioni i loro desideri, sedurre o

10 Bisogna notare come il fastodel palco reale fosse particolarmenteevidente in Italia ed in Germania, laddo-ve non vi era un potere centrale ed i prin-cipi locali sentivano la necessità diimporre la propria maestà, sia rispetto aipropri sudditi, che agli ospiti stranieri. InFrancia, invece, il re non conoscerà maiuna simile ostentazione: in generale, lesale francesi sono alleggerite da questapresenza così forte e vincolante. I sovra-ni trovavano orgogliosamente posto neipalchi dell’arcoscenico, il re a destra e laregina a sinistra. Da tale posizione essipotevano essere ammirati da tutto il pub-blico in sala, ma non osservare a lorovolta: il messaggio era quello che il loropotere era talmente forte, che non eranecessario vigilare per esercitarlo.

Palco Reale del Teatro di Corte dellaReggia di Caserta

Federico Zandomeneghi: Nel Palco

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rifiutare, senza correre alcun rischio di essere giudicate, in quantoera lecito persino presentarsi con l’amante, piuttosto che con ilmarito!Fu questa arte dell’apparire ad affascinare Stendhal, tanto daindurlo a fare, del palco del teatro, un luogo romanzesco nel suo“Il rosso e il nero”: il gioco degli sguardi è l’arma dei suoi perso-naggi, che spiano il volto dell’amante segreto, solo per ottenernericambiato un piccolo segno cui affidare la propria speranza. Nelromanzo vi è un linguaggio dell’apparire, un codice del mostrarsi,una strategia della presenza: ogni gesto ha il suo significato, ogniinfrazione alle tacite regole sociali la sua conseguenza.Oltre alla presenza in sala, anche l’arrivo a teatro e la pausa tra idiversi atti costituivano momenti fondamentali di interazione socia-le: quando i teatri cominciarono a costituirsi come edifici autono-mi, iniziarono ad accogliere al proprio interno una serie di ambien-ti di servizio che consentivano al pubblico di incontrarsi e svolge-re le fondamentali attività di interazione. Prima dell’inizio della rap-presentazione, si sostava nella grande sala del vestibolo, da cui sidipartiva solitamente l’imponente struttura dello scalone monu-mentale: esso conduceva al piano del Palco Reale e su di esso lacorte ascendeva per raggiungere i propri posti in sala, esponen-dosi agli sguardi ammirati del resto del pubblico. Gli altri spettato-ri utilizzavano, invece, altre scale di servizio. Al piano superiore,un’altra grande sala, il foyer, accoglieva invece il pubblico neitempi di attesa tra la fine di un atto e l’inizio del successivo, per-mettendo di chiacchierare, fumare o consumare un rinfresco.Il perfezionamento del teatro per il melodramma occupò gli archi-tetti durante tutto il XVII secolo, a causa delle numerose compo-nenti progettuali che entravano in causa, per rispondere alle esi-genze di un nuovo pubblico ed alla nuova dimensione imprendito-riale che aveva assunto lo spettacolo e che portarono a tutti glieffetti alla fondazione di una nuova tipologia architettonica.In realtà, il teatro all'italiana non si è rivelato la risposta ideale allenecessità della rappresentazione, ma piuttosto un compromessotra numerose e diverse richieste di ordine sociale, economico,ludico ed estetico. Già nella seconda metà del ’700, si osservavache l’organizzazione della sala a palchetti non risultava ideale néper la percezione corretta della rappresentazione drammatica, néper l’accoglimento del maggior numero possibile di persone11. Eppure, devono esserci state motivazioni forti e profonde, se lacaratteristica sala ad alveare è cresciuta nutrendosi della propriastessa fama, fino a divenire, nella memoria collettiva, l’emblemadel teatro d’opera. Il primo fattore da tenere in considerazione è che la disposizio-ne del pubblico nei palchetti, come nel teatro di corte, manten-

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ne un ruolo fondamentale nel teatro pubblico, dove la gestionedello spazio rispettava l’ordine sociale ed i posti erano differen-ziati, acquisiti e disposti secondo la gerarchia della città, inquanto, ancor più nel teatro pubblico, era necessario evitare l’i-naccettabile contatto tra i diversi ceti sociali presenti. Le classipiù umili erano ammesse solo in platea, in piedi, mentre i cetiabbienti si sistemavano nei diversi ordini di palchi, in modo damantenere le distinzioni d’obbligo. I piani permettevano cosìl’ulteriore differenziazione del pubblico possidente, per cui leprime due file erano per i nobili, quelle superiori per le classi viavia di minore prestigio. Anche la “piccionaia” venne destinata ai ceti meno abbienti, magrazie alla sua particolare posizione elevata, che forniva una visio-ne favorevole dello spettacolo, oltre che di tutto il pubblico in sala,ma soprattutto dalla quale si apprezzavano i migliori effetti sonori,essa fu presto occupata da una classe di intellettuali la cui artenon veniva apprezzata dalle classi reggenti, quindi appartenenti albasso ceto, e che dai loro posti si sentivano autorizzati a manife-stare, in modo non raramente rumoroso ed agitato, il proprioapprezzamento o disprezzo per la rappresentazione che si svol-geva sul palcoscenico.Gli altri elementi caratteristici della società aristocratica, nella rea-lizzazione dei teatri pubblici dal ’600 in poi, vennero gradualmen-te, ma inevitabilmente, aboliti: il palco reale divenne sempre piùraro, avendo perduto la sua ragion d’essere, e, benchè i palchettiin posizione centrale fossero comunque riservati alle personalitàgovernative delle città, assunsero le stesse dimensioni di tutti glialtri; scomparve anche lo scalone e i diversi livelli di palchi furonocollegati tra loro solo da scale, disposte solitamente in posizionedefilata e simmetrica, ove tutto il pubblico si convogliava, senzaalcuna distinzione.La ricchezza di temi e gli innesti tipologici hanno dato vita, nel tea-tro all’italiana, ad un tipo edilizio estremamente versatile, unmodello tipologico insuperabile per la sua duttilità, che permise larealizzazione di diverse soluzioni tagliate su misura per ogni grup-po sociale. Esso ha retto anche al passaggio di scala, dando vitaad opere che vanno dal piccolo teatro di Sabbioneta alla grandio-sa Opéra di Garnier.

11 Cfr. G. Guccini, Il TeatroItaliano nel ’700, Bologna, 1988.