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DEDICATIO Se dovessi dedicare questo libello a qualcuno, avrei tantissimi nomi in testa, ma credo che la cosa
migliore sia dedicarlo alla promessa che abbiamo fatto ai nostri figli di un mondo migliore. E a due
politici, uno amico e l’altro amico e parente, Matteo e Gabriele. Per quella loro passione che
trasmettono per il quotidiano e il sublime della politica
A Sonia, Bianca, Carla e Rosa.
A tutti gli amici che lo hanno letto e mi hanno offerto critiche e commenti.
We are in this together.
Tweet: CosmaYDamiano
E.Mail: [email protected]
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LE RAGIONI
Questo libello polemico, come andava di moda nel 1900, ha preso forma per tre motivi
specifici:
- L'atmosfera imbevuta, satura di politica che ho respirato da bambino in casa, fra parenti e
amici pervasi da questa passione. Che mi ha contagiato per anni, anche dopo che ho deciso
di lasciare l’Italia e lavorare all’estero, anche attraverso il lavoro di mio cognato, parlamentare
del PDL (siamo bipartisan in casa). La genetica ti aspetta al varco;
- Diversi eventi specifici, alcuni molto dolorosi, che mi portarono, a fine 2010, a parlare di
'rivoluzione’ e voglia di cambiare il paese con un caro amico ora sindaco di Firenze, nel suo
ufficio, di fronte a tanti Cosimi dipinti e scolpiti attorno. Da lì un invito alla prima Leopolda dei
Rottamatori del PD, nell'ottobre 2010, quando però ero in viaggio in Asia. Un anno dopo, mi
trovai con questa stessa persona e decine di nuovi amici sul palco del Big Bang (la ‘Leopolda
2’), a fine ottobre 2011, in una Firenze mozzafiato, a raccontare la mia idea di paese, di
speranza. Certe amicizie si pagano a distanza;
- Il governo Monti, che ha riaperto completamente i giochi e che credo sia una vera e unica
opportunità per far ripartire tutte le meccaniche del buon governo. La competenza paga, e
dovrebbe pagare sempre;
Dopo la Leopolda, e dopo la sua euforia, si è aperta una fase incredibile di cambiamento.
Potrebbe essere il momento giusto in cui ragionevolezza emozionale e correttezza possano
prendere il sopravvento sopra il ‘gran circo’ che era diventato il Paese. Non so se è stata la
Leopolda a scatenare questo sommovimento che portò, alla fine dell’anno scorso, alla caduta
del governo Berlusconi, o se ci fossero già tutti gli elementi per una ‘quieta rivoluzione’. So
che c’è un desiderio di pacatezza e di serietà ironica nel paese che esala da ogni poro, che
trasuda dai commenti sui social network. Il progetto della Leopolda - una costola del Partito
Democratico, per come la vedo io - è stato un momento topico, sicuramente per me, e il
lavoro vero comincerebbe ora. Non per tornare al vecchio, ma per scoprire il nuovo,
codificarlo. In maniera positiva. Ripartendo dal positivo, dal concreto, dall’amore per il futuro
piuttosto che dalla paura che il passato genera. Spero questo libello serva come contributo a
una ridefinizione della politica, per quelli che vorranno accettare che il cambiamento passa
spesso da quello che abbiamo di fronte agli occhi.
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“[…]
FakeAmleto: Tu lo sai cosa vuoi dalla vita?
Orazio: No, Amleto, so cosa non voglio
FakeAmleto: Qual è la differenza?
Orazio: Mi evita di discutere con persone che non gradisco, di cose che non mi interessano o dove so di non poterne trarre niente a mio vantaggio.
FakeAmleto: Non è forse questo il problema, caro Orazio? Non è forse per questo che il Regno è in questa situazione? Perché tutti sanno quello che odiano, ma nessuno sa cosa vuole?
Orazio: Non mi va di parlarne ora. Non ne ho voglia...A proposito, quando parti per l’Inghilterra con Rosencrantz e Guilderstern?
FakeAmleto: Perché me lo chiedi?
Orazio: Così, per curiosità. [Orazio ride nervosamente tenendo in mano la lettera del re di Danimarca per quello d'Inghilterra]
[…]”
FakeHamlet – k. J. Okker
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Intro (Strumentale) - We are taking over!
Senza speranza, non si potrebbe ascoltare musica. O fare niente altro. È
un'alba nuova, quella che vedo nel cielo di novembre, dalla mia macchina che
scivola fra Surrey e Kent, nel giardino di Albione. Alla ricerca del mare, delle
frontiere solide, fatte di pietra bianchissima, del paese in cui abito da quindici
anni. Una fortezza o una piattaforma su cui atterrare, da cui decollare. Oltre il
mare freddo della Manica, le sue correnti, le navi cariche di container che
trasportano merci, persone. Spesso idee impacchettate e già pronte per
essere distribuite ai consumatori di tutto il mondo. La Gran Via del Capitale,
l'atto della trasformazione e della creazione di valore aggiunto.
C'è stato un tempo nella storia nel quale le navi, le galee che
circumnavigavano Albione erano romane, fiorentine, genovesi, erano il
braccio armato e commerciale di città-stato, imperi che hanno modificato per
sempre la storia dell'Inghilterra. Un paese che ha sempre saputo, voluto,
dovuto convivere con il cambiamento, con la necessità di usare e sfruttare il
nuovo. Esiste una tendenza anglosassone a far convivere tradizioni millenarie
e spinte rivoluzionarie. Camminando per Londra si trovano le case di Mazzini,
Lenin, Stalin, si incontrano oggi Gianna Nannini, Assange e Krugman. Come
se l’iconoclastia e la formalità fossero unite ai fianchi.
Un paese che riuscì a reinventare l'economia mondiale, da Smith a Keynes. Il
centro vitale della finanza, il ganglio vitale del mondo moderno. Ecco cosa è
Londra, un laboratorio a cielo aperto, del mondo che sarà. Anche nelle sue
mancanze, nelle problematiche esplose nell’estate del 2011 con le rivolte dei
‘ghetti’ delle classi povere. Nello stratificarsi di diverse architetture, di sublime
e carnale.
E, proprio da queste scogliere a mare, a Seven Sisters, invece di lanciarmi di
sotto, preso da quella fascinazione dell'horror vacui, da questi muri di gesso e
pietra bianca che Gae Aulenti cerca di imitare da decenni, sento che c'è
qualcosa che posso raccontare, che posso dire non tanto sul paese che mi
ospita da quindici anni con pazienza ammirabile, ma su quello da cui vengo.
In cui ci sono le mie origini, in cui la mia genetica si sente a proprio agio. Da
quando la porta dell’aereo si apre, e sento l’odore di pini e di salmastro di
Pisa. Sento di poter dire qualcosa su una fascinazione crescente,
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un'attrazione spero non letale di voler contribuire al cambiamento dell'Italia.
Renderla di nuovo un locus admirabilis piuttosto che un loculo in potenza, per
sogni, aspirazioni e idee. Perché in fondo già da Londra si vive in Italia, anche
se lontani, viviamo le contraddizioni e le esagerazioni sulla nostra pelle. Per
questo abbiamo voce in capitolo, noi esuli. Da sempre.
Questo è un libello, un pamphlet come andavano di moda tanti decenni fa.
Una maniera con la quale ancora oggi le idée circolano, soprattutto nella
cultura adatta al dibattito e al confronto di paesi come la Germania, la
Francia. È un percorso interiore che ora diventa un tracciato per altri. Un
disordine apparente, anche tenendo conto che tutto parte, nella mia vita, dalla
lettura disordinata di più cose, mescolate nel mio cervello, mentre leggo
giornali, libri, saggi, riviste sugli aerei. Lavoro e passioni personali. E dalla
musica. Che il fatto che qualcuno riesca ancora ad andare a ritmo, anche in
un forsennato ritmo di metal industriale, mi riempie di speranza per il genere
umano. La politica dovrebbe essere come il rock, ci vuole una band, ci vuole
qualcuno che sappia scrivere i brani e ci vogliono strumentisti adatti. E un
pubblico che sia paziente ma anche critico.
La differenza è che per anni ci hanno fatto credere che per fare politica si
dovesse essere tutti polistrumentisti diplomati a Santa Cecilia o pupazzi nelle
mani di produttori assetati di denaro. Qualcosa è cambiato nel mondo. E
anche in Italia. La politica è tornata ad avere un significato che probabilmente
aveva alla sua origine, di maniera con la quale la città, i cittadini, gli abitanti di
un paese, forse domani del mondo, possono interferire con i policy makers,
con chi, per motivi di ragionevolezza e di rappresentatività, ha il compito di
governare una comunità. Il governo Monti è stato un momento di rottura con
una spirale discendente della capacità della politica di diventare azione, un
elemento che invece mi ha sempre affascinato. Perlomeno, azione per il bene
collettivo.
In un momento in cui i politici di mestiere si scagliano contro l’antipolitica,
definendo così tutti quei movimenti spontanei, liste civiche che esprimono un
disagio enorme, l’assenza di rappresentatività della classe politica attuale
(perlomeno dei suoi leaders maggiori), il loro distacco dalla vita normale delle
persone, credo sia necessario invece ridare importanza al ‘pubblico’. Dopo i
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‘turnisti di lusso’ del governo Monti, dovrà essere il pubblico a richiamare i
‘musicisti’ giusti sul palco. Per un coro alla Simple Minds. Un paese ‘Alive and
Kicking’.
Questo libro è un tentativo, forse ambizioso e banale, di raccontare
un'intuizione personale, che ho definito ‘Politica Accidentale’. O, come la
definirei più volentieri, la ‘Politica Punk’. Il tanto partendo dal poco che ho
imparato proprio strapazzando una chitarra da liceale. Un mondo nuovo ci
aspetta e, qualunque sia il re sul trono, 'we are taking over'. Senza legami a
teorie, al passato di migliaia di libri, working paper e documenti che hanno
cercato di incasellare il tumulto dell’esserci insieme su questo pianeta.
Il Politico Accidentale, ma non per caso, una razza non nuova di persona
interessata alla politica, alla vita pubblica, all'amministrazione non dei bilanci
ma delle speranze che a intervalli regolari riponiamo nell'urna elettorale. Ogni
volta un singulto, un'emozione e un'attesa notturna per i risultati. Per un
cambiamento che DEVE arrivare, che DEVE imporsi. Questa volta, e lo scrivo
in questo periodo a cavallo fra 2011 e 2012, DEVE accadere. Abbiamo
un'occasione unica per riprenderci quello che ci spetta, per ricollegare i punti
della moralità del paese e costruire un mondo nuovo, per noi, i nostri figli, i
nipoti. Una, due, tre generazioni che vogliono riconquistare il loro posto al
sole. Soprattutto dopo che il governo Monti ha legittimato la presenza della
competenza tecnica e una vera opportunità di cambiamento nei soliti giochi di
partiti e correnti.
Amedeo Nazzari è mirabilmente vivo, e abita fra Londra e Lampedusa. Via
Milano, Bergamo, Palermo, Catanzaro, Firenze, Roncobilaccio, Boston e
Pechino. Il nuovo leader del progressismo italiano (ché è questo il milieu
ideologico a cui guardo) cammina, scrive, ride, mangia da qualche parte
attorno a noi. Ma una volta trovato lui, ci vuole tutta una band di persone,
inclusi quelli che gli allestiscano il palco. E che le canzoni siano buone, sennò
non ce ne frega niente.
We are so friggin’ taking over it all.
Alpha: Seven Sisters, 11/11/11 - Omega: Londra 23/03/12
The Witnesses – “We Are Taking Over”
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1. Il Paese Silenzioso
I numeri non racconteranno mai tutta una storia, le statistiche non
rappresentano mai le nicchie, le aree dove le cose funzionano, dove accade
qualcosa di migliore (sorpresa!) della media. Il Bel Paese ama le classifiche
quando sono a proprio favore, quando atleti e giovani, in barba e alla faccia di
ogni ostacolo che si trovano davanti, vincono una gara internazionale di
pattinaggio artistico, di judo. E tutti porteranno quegli esempi di ostinazione,
tutti citeranno le parole famose del campione di turno, i suoi racconti di
allenamenti in sacrestie e piscine ristrutturate in poligoni di tiro. Per poi
tornare al silenzio, al vuoto, alla rabbia degli opinionisti ogni volta che qualche
giornale straniero, qualche ente internazionale ci ricorderà che siamo decimi
nella classifica della corruzione mondiale, ma centocinquantesimi in quella
dell'accesso al credito, dell'equità intergenerazionale, del consumo di idee
nuove.
L’Italia è un paese che vorrebbe il silenzio su di sé, come Perelandra, il
pianeta di C.S. Lewis, un paese dove il peccato originale rimane da lavare, da
pulire, all'intorno dell'ingresso nella modernità. Un paese che cela le sue
paure nelle tradizioni applicate in maniera pruriginosa, per poi scoprirsi
liberale e libertino quando fa comodo al potere di turno. Per poi invocare la
ribalta planetaria, libertaria, in un mondo dove non solo noi ma tutta l’Europa
si scopre periferia.
Un silenzio che non è quiete, non è assenza di un fermento sotto coperta,
sotto la prima coltre di colline, cemento e circonvallazioni. Un paese che
sospira ogni tanto, ma ancora non esala il suo ultimo respiro. Silenzio, nel
senso descritto da John Cage. Silenzio, un altalenarsi di aspettative irrisolte, il
silenzio della madre e del padre che portano il figlio all'aeroporto, verso nuove
avventure, verso la sua vita via da casa. Parmigiano e 'nduja sotto vuoto,
l'anima esposta ai fortunali del destino, le iscrizioni a università prestigiose
raggiunte con forza di volontà e i soldi dei nonni. O una carriera da costruire
da cameriere a sommelier, in uno dei mille e mille ristoranti italiani nel mondo.
Il paese rimane silenzioso, come Bergamo Alta nelle notti di inverno, con le
luci basse, le decorazioni natalizie e le stelle livide e fredde della Tramontana,
che entra sotto gli archi di Santa Maria Maggiore, che spazza via le parole, le
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frasi fatte, lasciando la pietra nuda della tradizione ancora una volta esposta
ai tempi che passano e che la sgretolano.
Il paese è silenzioso, nonostante l’apparente clamore di tutti quelli che
vociano, che urlano. Troppa informazione non crea conoscenza, tantomeno
saggezza (come diceva Eliot) troppe opinioni, troppi punti di vista
interrompono il filo logico del discorso. Come se ogni volta qualcuno cerchi di
dire qualcosa di sensato, la voce di un altro, di un coro di efebi, di monaci, di
prefiche e di lagnoni interrompesse, smorzasse il tono deciso di necessarietà;
quello che è giusto che sia, che accada ora, qui. Il paese si copre di lettere,
dichiarazioni, censimenti di opinioni e di idee. Reagisce alla modernità che
incombe con un mutismo fatto di luoghi comuni urlati come un muezzin
potrebbe fare dall'alto di una torre della periferia di Istanbul. Tutto già detto,
già scritto. Tutto interpretabile secondo la bisogna. Appunto. Il silenzio come
saturazione da troppi messaggi. Osservo l'Italia da fuori, da lontano e vedo il
vuoto che aleggia attorno a un desiderio reale e pressante di cambiare. Un
mondo che lievita, che ansima e che cerca una via di uscita. Spesso per
aereo o nave. A volte si sentono sospiri, esplosioni, come se nella stanza
accanto qualcuno stesse celebrando una festa a un collasso collettivo. In un
rituale di decadenza e incapacità di comunicare. Il Politico Accidentale dovrà,
prima di tutto, ricostruire i canali di trasmissione del messaggio, incanalare le
forze buone e usare la ferocia e la determinazione dei machiavellici per
rigenerare le idee, per dare nuova forza e visibilità alla parte del paese che
non vuol più essere silenziosa.
Riconoscere le parole, il loro peso, evitare le emorragie dialettiche. Trattenere
i commenti, analizzare il contesto. Documentarsi. Il Politico Accidentale sa
che deve sapere, che deve conoscere il suo campo d’azione. Le categorie
Socratiche e Democristiane di una conoscenza per fede, di una paura della
cultura che cristallizza, non suona bene in un pianeta dove trionfano i saperi
millenari, le pazienze confuciane e buddiste, le energie segrete della razza
umana che ci fanno sopravvivere in ogni ambiente tranne che in un paese in
recessione e crisi di valori. Come ci raccontano tragicamente i suicidi di
soldati di ritorno dall’Afghanistan e di imprenditori abbandonati alle loro
lacrime.
Invoco la fine del silenzio, del guardarsi l’ombelico o i piedi, quando
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passeranno cortei di protesta e funebri. Lo stesso errore che distrusse la
reputazione di politici come Blair, quando ignorò due milioni di persone per
strada a chiedere un no alla guerra in Iraq.
L’Italia, il paese silenzioso, ha un beneficio enorme, in questo. Milioni di
antenne da accendere, la cui trasmissione non sia più delegata a guitti di
mestiere, ad associazioni di italioti all’estero, a parlamentari opportunisti.
Cittadini italiani, di prima e seconda generazione, di interi villlaggi del
Connecticut, di famiglie in Cina, Giappone che appartengono a due culture,
che amano un paese che, forse, non esiste più, ma ne conoscono le
componenti fondamentali. Il Pianeta, una volta rotto il suo silenzio, potrà
parlare al mondo, rinnovare una storia di eccellenza e di genio, attraverso
queste antenne, questi diffusori in tutto il pianeta. Da Silenzio a Senso reso
ancora una volta Parola/Testimonianza. Il Politico Accidentale sa di questa
forza, di questa risorsa. Dove le classifiche contano, anche quando le cose
non vanno bene, ma per migliorarle. Queste antenne che sanno, che vivono
in ambienti ostili, che possono portare nuove idée.
Mai più testa sotto la sabbia. Questo dico, dal mio ufficio che guarda verso
Saint Paul. La lunga linea di aerei che atterrano a Heathrow, da cui usciranno
ancora giovani che, appena scesi a terra, si troveranno di fronte un futuro da
inventare e le parole che torneranno ad avere senso. Fatica e sacrificio che
diventano vita. E non più frustrazione.
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2. Il Politico Accidentale
In una prima versione di questo libello, questo capitolo era molto più avanti,
quasi a metà. Poi, alcuni amici che si sono presi la briga di leggere le bozze
mi hanno fatto notare che qui non si tratta di svelare un segreto di un giallo,
ma di dare direzione al pensiero. Non è una dimostrazione scientifica, dove le
ipotesi si sommano e si accumulano per dimostrare una tesi, che è quella del
Politico Accidentale, ma un racconto, di un fatto semplice, alla base di questo
libro, una provocazione all’azione, in tempi di inedia politica, travestita da
iperattivismo bloggista e movimentista. Nata da un coinvolgimento personale.
Nella mia vita, ho sempre dato molto valore al rapporto con le persone, a
quelli che in inglese si chiamano mentor, persone, maestri, che riescano a
suscitare il talento, o il bisogno di altro. Come fareste a definire il bisogno di
un gelato a un eschimese? Conosce il ghiaccio, sa dove trovarne in grandi
proporzioni, ma non sente il bisogno di un bel sorbetto al limone. O non è in
cima alle sue priorità. Finché, magari, un giorno un gelataio torinese gli apre
un negozio sotto casa. Così accade nel Paese Silenzioso. Si capisce che c’è
qualcosa in abbondanza, ci sono genialità, individualità, personalità, ma non
sappiamo, spesso, come usarle in maniera nuova. Cosa farne. Abbiamo i
cervelli, ma ci manca la connessione, fra eccellenze locali, di persone e
gruppi di persone, e la Politica. Quella che decide, che cambia. E non è uno
scambio su Twitter, non è quella maniera autoritaria con cui il politichicchio di
turno si avvicina ai suoi elettori. Come un guru.
Ci vuole un’idea di politica che riparta dalla base, dal modo con cui le cose
accadono. La modalità della libertà o del suo desiderio, una libertà operosa
che permetta alle persone di confrontarsi, comunicare e migliorare
mutualmente. Senza remore o paura della propria posizione. Ci saranno
vincitori e vinti, ma questo non dovrebbe giustificare considerare l’avversario
un perdente, o, peggio, un nemico del popolo. Se crediamo alla democrazia.
E, se crediamo alla democrazia, piuttosto che a una forma elettiva di
oligarchia, bisogna che ognuno di noi si consideri un Politico Accidentale.
Il Pianeta Silenzioso sta attraversando un momento incredibile in cui potrebbe
ritrovare tutta la sua voce. Attraverso nuovi volti, nuove idée e nuove persone.
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Dolorosamente quasi. Attraverso un processo che potrebbe diventare difficile,
tortuoso, lasciare sul campo le sue vittime. Perchè ci saranno dolore e fatica
di dover inventare nuove forme di relazione, di crescita. L’evoluzione della
specie del politico, o una sua mutazione genetica buona.
E questo è il Politico Accidentale: una persona che si impegna nel lavoro,
nella sua vita, nel suo mondo fatto di eventi locali e globali e che ci tiene a
quello che fa, alle conseguenze delle sue azioni e al risultato del suo lavoro,
che abbia un effetto positive sul mondo. Il Politico Accidentale, nonostante
riesca ancora a distinguere la res privata da quella pubblica, le loro differenze
e missioni, ne vede le connessioni. Capisce, per esempio, la relazione
causa/effetto fra quello che una banca fa al suo interno in termini di politiche
di rischio, e l’impatto sulle vite delle persone. E per questo prende posizione,
cerca di modellare le cose che può controllare per raggiungere un First (o,
spesso, Second) Best. Una soluzione che accontenti tutti. O che accontenti
qualcuno ma non scontenti troppo gli altri. Un cittadino che continua a credere
nei valori che ancora fondano la nostra costituzione, qualcuno che riesce a
leggere le sue azioni e quelle degli altri come componenti di uno stesso
mosaico, la società in cui viviamo.
Il Politico Accidentale risponde al richiamo solenne della realtà, del momento
storico, della vita. E sa che occorre un Accidente, spesso, per suscitare le
energie necessarie al cambiamento, in definitiva, occorre un Evento per
portarlo a fare politica. Un evento che diventa elemento scatenante e che
induce a una morale totalizzante, che origini ancora altre idée. Perché una
volta toccati dal fuoco della passione per gli altri, quella che chiamo la
Politica, il Bene della Polis, non ci sono più passi indietro.
Rimane, rimarrà la flessibilità sul risultato. L’ironia romantica imparata al
Liceo, di un limite che è talmente alto, di una impossibilità del reale, che però
permette di spaziare, di creare mondi nuovi, laddove non c’erano. Soluzioni
alternative, ipotesi avvalorate e caldeggiate. La Politica Accidentale cerca la
risposta dove nessuno la cercava più, nello spazio fra persona e istituzione,
fra ruolo del singolo e quello del popolo. Per risolvere la cancrena
dell’affarismo, del nonnismo, del favoritismo. Del clientelismo.
Il Politico Accidentale non punta necessariamente a una carriera sugli scranni
di Montecitorio. Soprattutto perché si spera che il numero dei parlamentari
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verrà ridotto. Ma non può essere quello il fine ultimo. Che è invece il servire
l’Accidente, l’Evento. Ci saranno riunioni, conciliaboli, peregrinazioni, l’odore
di libri o umido dei luoghi dove si riuniscono i Think Tank, i collettivi e i
comitati, sarà la complessita’ di un mondo nuovo a ridefinire la sua giornata.
Le sue visioni saranno e dovranno essere mediate dal resto della sua vita. Il
Politico Accidentale non necessariamente dovrà lasciare il suo lavoro, ma
sentirà questo impulso, questo desiderio a usare tempo e energie per
alimentare la nuova coscienza e cominciare a vivere dentro la società e, di
più, per la società.
La Politica Accidentale non potrà essere quella della lamentela, della
rivendicazione, di chi usa le folle per imporre un proprio piano di potere, ma
della proposta. Anche rabbiosa, anche controcorrente. Ma che parta dal
positivo, dalla costruzione. In un ambito locale o internazionale.
Non si deve confondere Accidentale con occasionale. Esiste un evento
scatenante, un motivo per il quale alcuni di noi abbandonano le certezze della
propria vita e spenderanno tempo ed energia dietro una visione, un ideale,
ma non potrà essere un episodio isolato. Non dovrebbe interrompersi, ma
diventare un percorso. Le persone maturano e così cambiano le loro priorità.
Chi ha interesse a farsi coinvolgere, lo fa a partire anche da un punto preciso
della sua crescita umana. Alcuni dei miei amici e le persone a cui ho dedicato
questo libello ne hanno fatto un ‘quasi-mestiere’, altri vorranno collaborare,
contribuire, ma sanno che il loro valore rimane inalterato, per un’esperienza di
un movimento politico, se rimangono ancorati a quello che sanno fare meglio.
Bisogna tener conto di come le persone, così le iniziative politiche, maturano
e si evolvono. Le istituzioni, invece, rimangono, soprattutto la democrazia,
non essendoci metodi migliori (da un punto di vista sociale).
Oggi esiste una grande domanda per nuove generazioni di folli/saggi pronta a
dedicarsi alla Res Publica. Al mantenimento delle istituzioni democractiche, al
loro rinnovamento. Allo sfaldamento del vecchio, per affrontare la sfida della
modernità, dalle nuove tecnologie fino al rinnovo dell’etica. Ma la Politica ha
anche bisogno di professionismo, di esperienza. E di riacquistare quel senso
di necessaria apertura. Di coinvolgimento. Per migliorare il patrimonio
genetico della specie. E per permettere alle istituzioni di superare l’empasse,
di resistere alle deviazioni estremiste, nazionaliste, populiste e razziste. E di
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assicurare nuove generazioni di talento, come nel dopoguerra, a guidare il
paese. La coscienza di un ruolo collettivo della politica, di una responsabilità
morale personale di fronte al futuro, ecco cosa mi colpisce ancora oggi di
quella fase del paese. Bartali, al Tour de France, non salvò l’Italia da una
guerra civile. Furono gli italiani a farlo. Fu la loro coscienza di reagire con
compostezza e maturità all’attentato a Togliatti. Non esiste un politico che
salva tutti, non lo è stato Obama, nonostante la sua intelligenza e la sua
umanità strabordante. Siamo noi, a resistere sulle barricate. Noi che
resistiamo e permettiamo al futuro di diventare un luogo più giusto. O, nel
caso opposto, a creare le basi per la rovina.
“Si vive per resistere, si resiste per permettere ad altri di vivere.”
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3. Cribbio (as Mantra)
Bisogna imprecare nella lotta per il paese, ma in maniera educata.
Riconquistare il verbo, la parola, come espressione dell'urgenza, della rabbia
che diventa opera, della speranza e dei piccoli passi, dei piccoli inciampi,
delle rivoluzioni minuscole. Passare dal 'Merda’ Cambronniano al 'Cribbio’.
Riappropiarsi della misura, delle parole usate quando necessario, ridurre la
comunicazione, far parlare i fatti. Riconquistare il Cribbio e il Perdinci. A
spese dei vaffanculi, del fottersi e del testadicazziare ognuno e comunque.
Cribbio, come un mantra, come una parola che sostituisca e attutisca gli
estremi dialettici. Imprecare, alzare gli occhi al cielo, quando le mani saranno
piene di calli, i volti rossi dal sudore e dalla fatica. Quella sensazione che
passano le foto dei nostri nonni, dei bisnonni, quell'Italia fatta e costruita su
una lingua aulica, piena di forme e formalità e sopra le pietre messe una per
una di un muretto a secco. Ogni pietra una maledizione, un'imprecazione che
scavi trincee, che protegga ogni piccolo avanzamento sociale, economico. La
parola forte, intelligente, l'offesa strutturata. Lo scherno e il sarcasmo, le mille
gradazioni dell'ironia.
Il Politico Accidentale deve saper usare le parole, deve saper usare il
linguaggio, le lingue, conoscere come significato e significante si alternano.
Le parole dei giovani, dei vecchi, degli stranieri, le parole che definiscono la
politica ma anche come le diverse realtà del Paese Silenzioso si spiegano,
sviluppano la loro rex cogitans.
E il Politico Accidentale saprà alzare i toni, dovrà farlo, dovrà alzare la voce,
far sentire modi e mondi nuovi. L'eterna gioventù del linguaggio, un
paradigma condito di vintage classic, di novità e di repetita juvant. Cribbio
come un Mantra, come una ripetizione di senso, una richiesta disperata di
parole che raccontino, dicano, spieghino, giustichino. Mai più concetti astratti
in circolo, a giustificazione di altre affermazioni.
Cribbio.
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4. Il Risveglio della Coscienza
Ricordo una coda in autostrada, probabilmente di ritorno da un fine settimana
al mare, un serpente di macchine lunghissimo, chilometri e chilometri, nella
corsia opposta alla mia. Dalla Certosa di Firenze, fin ben oltre San Donato,
quasi al confine con la provincia di Siena. Stavo andando, come accade
spesso nella mia vita, controcorrente. Da quell’altro lato della carreggiata si
era fermato il tempo, si era vanificato. Mi immaginai, quel senso di benessere
e di allegria delle vacanze svanito, evaporato, nell'attesa fra due uscite che
sembravano a milioni di anni luce di distanza, una volta che le macchine
erano piantate sull'asfalto bollente. Era sicuramente la fine dell’estate.
Quando il sole aveva già fatto evaporare tutta l’umidità delle macchie
mediterranee.
Mi ricordo quel senso di frustrazione derivato dagli altri, le migliaia di piccole
rabbie, le considerazioni che ognuno avrà fatto ad alta voce, o nella parte
superiore della testa, sull'opportunità di aver preso un'altra strada, di aver
preso altre decisioni e, magari, di esser rimasti al mare fino al mattino dopo,
per evitare le code del rientro.
Quella abbondanza di scontento mi parlava, mentre la mia macchina
scivolava quasi come uno sberleffo, nella corsia che non solo era vuota, ma
correva verso il mare.
Il paese dei caproni e dei trend, delle decisioni che da personali diventano
collettive. Dell’intuizione di uno che arriva in ufficio dichiarando ‘questo fine
settimana vado al mare’, e che diventa tendenza. Il non doversi fare mancare
nulla, il dover essere dove sia necessario apparire, per essere considerati
esseri umani accettabili. Una coda fatta di pressione, sociale, di competizione
con altri poveri cristi come noi. Perché alla fine vuoi essere come il collega di
cui sopra e apparire in ufficio lunedi mattina abbronzato. Dove la parte del
rientro, del traffico, della sabbia nelle scarpe, dei bambini a cui fa sempre
troppo caldo o troppo freddo, le imprecazioni in una coda nella
circonvallazione di una qualsiasi città del Paese Silenzioso, ti sono celate. Un
silenzio che diventa omertà. Dove nessuno racconta le difficoltà, le rabbie e le
frustrazioni, dove nessuno ti spiega gli elementi di disturbo al raggiungimento
di un qualsiasi status sociale. Sono i modelli a essere sbagliati, come lo sono
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stati quelli di crescita eterna dell’economia e del credito, che hanno portato
alla crisi del Credit Crunch nel 2007. La stessa ossessione, ma con obiettivi
diversi, la casa grande per tutti, una carta di credito senza limiti. Un mondo
tutto rosa, come dipinto dai media, dagli ottimisti del ‘tanto paga sempre
qualcun altro il conto’. Soprattutto se sei un politico.
Invece, l’ottimismo si è inacidito, come una tazza di latte lasciata al sole.
Dopo la crisi finanziaria, o forse ancora prima, dal 9 settembre del 2001, pian
piano si è sgretolata questa immagine di un occidente sempreverde, o
perlomeno chirurgicamente ringiovanito. Prima la sicurezza del mondo
stesso, poi quella dei singoli, la crisi energetica, quella finanziaria. La presa di
coscienza di questi ultimi mesi dei movimenti di OccupyWhatever. In un
mondo in cui i politici hanno la pretesa di poter parlare ancora allo stesso
livello delle persone in coda. Quando occorre ri-sviluppare un logos, un
discorso che lenisca la rabbia e che induca al cambiamento, al reputarsi non
semidivinità, ma persone prone e chine all'errore.
La coda in autostrada, un'altra incarnazione del paese che decide chi lo
governerà, la folla inerte, la follia indotta dal calore, dalla sovraesposizione a
inefficienze, a problemi che nessuno sa risolvere, o di cui non si vuole
prendere la responsabilità. Il Politico Accidentale dovrebbe tornare indietro,
lungo quella strada e capire l'origine (l’epifania è solo il momento in cui si
rende visibile) del problema, risolverlo. Perché sa che le regole della società,
del vivere in comunità necessitano di una urgente revisione, necessitano
dell'eliminazione del senso di competizione sul reddito. Della frustrazione
subita nel sentirsi sorpassati in autostrada, della rabbia feroce e violenta di chi
zigzaga sulle corsie di emergenza. Per arrivare in tempo a un appuntamento
con una storia ormai mossa altrove.
Un altro episodio torna in mente, quando rimasi bloccato io su un cavalcavia
fra La Spezia e Viareggio. Tantissime macchine e persone fuori a parlare.
Finché, in un parcheggio di emergenza, appare un Super Tele, sfiatato e
quasi bruciato dal sole da un lato. E cominciamo, gruppo di perfetti
sconosciuti, a giocare, all’inizio con celia ma verso la fine, quando già
vedevamo i tir e le macchine cominciare a ripartire, con un agonismo feroce.
Sudati, tutti intenti al gioco. Quando sentiamo i motori ripartire sempre più
vicino, un ragazzo tira un calcio poderoso al Pallone che finisce nel torrente
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sotto. Vediamo la sfera colorata scivolare nell’acqua trasparente credo del
Magra. Decidiamo, ancora entusiasti dalle risate e dall’agonismo, di fermarci
con fidanzate e altri amici nelle macchine all’autogrill dopo per farsi una
bevuta. Eravamo sei, sette macchine di persone. Quando arrivo al bar, sono
rimaste due machine, la mia e quella di un mio amico. Gli altri avevano deciso
di continuare il viaggio. In fondo era stata una parentesi carina, ma non
avevamo altro da spartire. Altro da cui iniziare un discorso. Questo è lo stesso
rischio che corre la politica: di creare attrattiva, unione, cooperazione,
comunanza e la visione di star lottando attorno alla stessa cosa, ma alla fine
ignori le priorità delle persone, ignori l’opportunità di un progetto più a lungo
termine che tocchi davvero la vita delle persone. Che crei l’illusione di poter
superare le barriere. Ma ne erige altre, impedisce piuttosto che favorire.
La Politica Accidentale, invece, deve partire dalle persone, dalle loro
esigenze. Da quello che le code in autostrada, le persone che affollano un
supermercato, un cinema, una chiesa, raccontano di sé. Delle loro
aspettative, delle loro priorità. Back to basic. Ascoltare, appoggiare le
orecchie sulle rotaie. Il Paese Silenzioso cova un rancore sempre più grande
verso ogni forma di casta; io lavoro per una di queste, quella dei banchieri.
Cioè chi ha ricevuto l’accusa di aver rovinato il mondo intero. Quando invece,
come nelle proteste di Wall Street, c’è sempre una proporzione di 1 a 99 fra
mele marce e mele sane. Fra chi abusa di una posizione e chi invece fa il suo
lavoro. Come la finanza giusta, che permette di costruire, di sviluppare idée,
progetti, così la politica onesta è quella delle idée piccole e grandi, delle
visioni che diventano mondi possibili. Il problema è evitare che le posizioni
non diventino radicalizzanti. Estreme. E questo accade se esiste un
riconoscimento che la vita della società non è solo una successione di code e
partite di Pallone o una conga in un tunnel, bloccati dal freddo, ma un
percorso comune. La politica è lo strumento perchè la società si realizzi. La
democrazia è la lingua franca.
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5. Fra Millenaristi e Secolaristi
Come si ricostruisce la fiducia, quando tutti cospirano per la fine dei tempi?
Come si rievoca la speranza, quando tutti parlano di vacche magre per i
prossimi dieci anni? Il Paese Silenzioso è attraversato da popolazioni intere di
questuanti, maghi, saltatori nel fuoco mediatico, a raccontare di epoche al
collasso, di ere di declino. O di ottimisti dell’irragionevolezza. Perché il mondo
cui eravamo abituati è cambiato per sempre. Senza troppe analisi statistiche
(di cui questo libro è assolutamente privo, dato che vorrei ristabilire il primato
dell’oggettività della parola sulla soggettività avulsa dei dati economici,
sociali), l’Europa e l’Italia sono cambiate per sempre. Non si tratta di un
processo irreversibile, sia mai. Però sono cambiate le condizioni
macroeconomiche. Gli equilibri che studiavamo all’università fra primario,
secondario e terziario, privato e pubblico, sono stati alterati, come se qualche
economista folle avesse usato tecniche OGM sul tessuto della società e
quella zona grigia dove la società si connette alla finanza, all’economia.
Paesi una volta grandi produttori industriali sono diventati fucine umane di call
center e società di servizi, centri assediati da attività artigianali sono diventati
sequenze di negozi di parrucchiere, intimo e pizzeria a taglio. Sono prima
cambiati i bisogni, smaterializzati e resi solo vagamente fisici, e subito dopo
sono cambiate le città, soprattutto in Nord Europa, e in Nord Italia. Sono
scomparsi i produttori locali e sono arrivate le catene. Prima si aveva lo
sconto perchè si conosceva il commerciante, oggi si usa Groupon.
L’Europa medievale dei mercati soffocata dalle praterie consumeristiche del
tutto subito. Dopo l’assalto ai negozi, un attacco subdolo, da guerrilla, alla
psyche della società. È morta l’Europa, o ne è morta una natura suddivisa fra
piazza del mercato, piazza della Chiesa e campagna. Quel mondo dove fu
separato il singolo dall’istituzione, che ci ha regalato la democrazia, il
liberismo economico, e la contestazione come forma di evoluzione.
Invece, la mercificazione della politica e la politicizzazione del commercio, ma
massificazione dei consumi hanno creato le basi per un declino secolare.
Finito il senso di urbe, rappresentato dal medesimo squallore di banlieue
parigine, contrade romane e conurbazioni senza anima che soffocano Milano
e Torino, Novoli a Firenze, e le periferie abismali di Napoli e Palermo, giusto
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per tornare in Italia. L’Europa si è trovata a doversi reinventare asiatica.
Società di massa, ma senza crescita economica.
Ogni volta mi trovo per lavoro a Hong Kong, di fronte a centinaia di grattacieli
tutti uguali, assomiglianti a spine dorsali di qualche mostro marino, penso che
da lassù, in appartamenti microscopici, perlomeno godono di una vista unica
al mondo. Il porto marino da cui le merci partono e arrivano da tutto il pianeta,
quel senso di continuo movimento e cambiamento che si avverte in molte
metropoli asiatiche. Il Millenarismo delle Società Formica. In Cina, Indonesia,
India, si percepiscono i millenni, la loro influenza di saggezza e di follia
assolutista, una rassegnazione dell’individuo alla massa che sprona
all’azione, a muoversi più velocemente, a occupare il posto sulla
metropolitana di Tokyo o in coda al ristorante di Shanghai prima di un altro.
Quel senso di compartecipazione anche non voluta, ma economicamente
necessaria, degli slum di Varanasi. Che genera innovazione, fantasia. Dove
abita il futuro.
Esiste una classe di persone, i millenaristi, che vedono questo momento
storico di passaggio come un’evoluzione dovuta, anche forse ritardata da altri
eventi, della storia. Da un lato, quelli che attendono la fine del mondo come
descritta dai Maya, una tempesta solare che ci spazzi via, come se potesse
accadere a ogni momento, per questo rendendo la Societas umana un
continuo, un amalgama dove si deve ottenere il Massimo beneficio nel
minimo tempo, dall’altro, i Millenaristi che sanno che siamo ben oltre il tempo
per qualche altro stravolgimento sociale, economico. Niente Apocalisse
singola, ma tante piccole estinzioni, di culture. Mondi che scompaiono
sottoterra, fuori dal radar globale. Prima le tribù amazzoniche, ora le culture
locali più deboli.
Esiste invece un Secolarismo Europeo, ben altra cosa. Un lento ma continuo
abdicare a tutto il progresso sociale ed economico che ci ha resi tutti quanti
padroni delle nostre relazioni sociali, della nostra vita, del nostro pezzo di
terra. Padroncini a se stessi. Delle risorse mentali e umane. Del nostro
potenziale. E, per questo, con un prezzo attaccato a questo stesso potere. La
capacità di saper articolare pensieri e volontà indipendentemente dal
progetto, dall’utilitarismo asiatico. Se qualcosa di completamente originale
l’Europa ha generato, è stato l’individuo, il nome nella Storia, e non solo
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quello dei regnanti e dei principi. Quello delle persone, degli architetti delle
cattedrali, degli studiosi, delle donne pittrici e dei religiosi. Dei ribelli delle
montagne e dei vari ciompi e plebei che hanno attraversato il pianeta.
Studenti irrequieti e musicisti. Come il Cristianesimo impose un volto alla
Salvezza, il vero grande scandalo secondo San Giovanni, così l’Europa dal
Rinascimento in poi ha reinventato l’uomo e la sua creatività ha preso il
centro. La distinzione fra chiesa e impero, fra mercato e chiesa ha generato i
mercanti, le imprese. Ora, pian piano, stiamo perdendo questo primato di
capacità di generare individui. Prima, con una contabilizzazione del genio,
nella creazione di mercati del sapere. Poi, con la vilificazione dell’individuo
rispetto alla massa grigia della società. Nella ricerca di facce e volti, corpi,
piuttosto che idee. Fino alla politica delle liste di belle donne e uomini sempre
abbronzati e in forma.
Probabilmente, questo accade per il sopravvento, dopo il Terziario, del
Settore Quaternario, un settore economico che indica un mondo dove le cose
non accadono neanche più in un luogo fisico, ma nello spazio virtuale della
rete. Di Internet. Lavoriamo e pensiamo in un mondo che si è sradicato dal
territorio, dal rispetto delle risorse, dagli equilibri necessari. Il secolarismo del
capitalismo, l’idea che lo stock di risorse del pianeta sia sempre in crescita o
che la redditivita; marginale degli investimenti sia sempre in positivo viene
pian piano sconfitto dalla scoperta dei limiti del pianeta stesso.
In Europa non si è sofferto la fame, non ci sono state carestie e guerre per
mezzo secolo. Inondazioni e disastri naturali sono stati spesso borghesi, dolci
o limitati, rispetto alle devastazioni che osserviamo in altre parti del mondo.
Non siamo sotto la pressione di salvare il salvabile e le nostre case sono
piene di oggetti che vorremmo portare con noi in caso di incendio. Ma il
mondo si sta spostando. È cominciato il Secolo Asiatico/Latino Americano.
Una condanna dalla storia, ancora prima che l’atterraggio di emergenza delle
economie europee sia compiuto. Non tutto sarà come prima e il mondo non
ripartirà domani come se niente fosse accaduto. I soldi arrivano, non solo nei
negozi di moda di Firenze e Pavia, ma nei fondi di investimento, nelle banche
come depositi, come bond, come azioni comprate all’incanto, da indiani,
brasiliani, cinesi, arabi. Gli italiani e gli europei, anche come investitori, non
osano più, non prendono rischio, ma comprano cose sicure, mattone, titoli
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governativi solidi. È scomparsa quell’attitudine al rischio che un tempo ci ha
permesso di scoprire il mondo. O forse lo rifaranno i nostri figli, per fame o per
disperazione.
In questo, il Paese Silenzioso, l’Italia, ha subito più di altri l’effetto
dell’espansione economica di paesi un tempo solo fornitori di merci e oggi
competitori, abbiamo scoperto che le tecnologie che usavamo erano in gran
parte risultato del lavoro di persone abili e di menti di designer e scienziati
capaci. Esperienza ed eccellenza accademica. Il secolarismo ha demolito
questo castello, riducendo o facendo indurre a pensare che il lavoro manuale
sia non da persone dabbene, o istruite. I campi di periferia, invece di coltivarli
a carciofi, sono diventati appartamenti e campetti da calcio.
Il Secolarismo, l’abbandono alle direttrici del momento, alle tendenze
dell’odierno, senza una considerazione di più ampio respiro, che definisco
Millenarista, ha decretato una necessità di recuperare questo orizzonte.
Secolaristi e Millenaristi. Pronti al mediocre o al peggio.
Una terza categoria è quella dei Ciclisti, quelli che ancora si indorano la
stessa pillola che poi dovranno assumere, il popolo del ‘Domani è un altro
giorno’. E della speranza che quel maledetto albero davanti a casa cominci a
germogliare, di nuovo. Come se la crisi fosse stata una tempesta e non
un’esondazione di un torrente, rapida e distruttrice. I Ciclisti, quelli che
pensano che prima o poi torneremo indietro, a una specie di 'mondo del
passato’, dove si riaprano le fabbriche chiuse e dove tutti possano
dimenticare la distruzione, l’odio. Come se questi anni fossero passati invano,
come se niente avesse scalfito forse per sempre il nostro modo di concepire il
futuro, le relazioni sociali e di potere. Come i nostalgici della Democrazia
Cristiana e del Partito Comunista. Forse un retaggio del perdono dei peccati,
della consapevolezza cattolica che si può ripartire da zero, da una condizione
vicina alla grazia. Magari fosse vero, penso, mentre osservo l'umanità varia
che inonda le strade di ogni centro cittadino. Gli sguardi incarogniti delle
persone. La paura della diversità, perchè tocca e provoca proprio questa
speranza di svegliarsi un mattino, come nelle fiabe e ritrovare un'Italia che,
sorpresa, forse non è mai esistita. Un'Italia che, come ogni utopia, non si può
mediare dai discorsi delle sale d'aspetto o dalle fotografie in casa. Esistono
periodi aurei, di grande ottimismo. I nostri nonni lo videro, ma dopo una
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guerra che devastò tutto. Ed ora, anche noi, siamo alla fine di questa discesa
funesta della crisi economica, associata, in Italia, a un sacco della ricchezza
pubblica da parte di chi doveva invece proteggere la democrazia e i
fondamenti stessi della giustizia. Sono sotto gli occhi di tutti gli scandali di
denari, favori pagati senza soluzione di continuità. Siamo talmente in basso
nella classifica della corruzione che forse solo James Cameron potrebbe
trovarci, in fondo all'abisso. Siamo sopravvissuti a una guerra. Come i
veterani che affollano le piazze americane, i malls, con le loro magliette, le
loro richieste di aiuti e gli arti mancanti. Siamo i reduci da uno scontro epocale
che ha lasciato generazioni intere circondate da macerie. Ricostruire. Alla
faccia di secolaristi, millenaristi, ciclisti, negazionisti. Moralisti. Ricostruire
ignorando i soliti volti, i Partiti dei Carini, Partiti Nazione. Riforme, Solidarietà.
Fottuto progresso. Liste civiche in caduta libera, come la pioggia di rane del
film Magnolia. Un momento epocale, perlomeno per noi, per la nostra
coscienza che sa che non ci sara’ un passo indietro.
PseudoEnrico IV - "Siete arrivati fino a qui perché... lo sapete perché?
Popolo - "No, diccelo tu Enrico! Tu che ti godevi le discoteche e le feste con Falstaff"
PseudoEnrico IV - "Hey, non ci provate! Lo so, lo so. Ho perso tempo. Dietro a gonne e
pantere. Ma sono qui per il vostro stesso motivo..."
Popolo "Diccelo!! Che il nemico si avvicina e vogliamo essere motivati per la battaglia... E non
è neanche San Crispino e San Crispiano oggi!"
PseudoEnrico IV - "Credete di essere qui perché difendere quel poco che vi era rimasto. Per
disperazione, per rabbia contro chi vuol toglierci tutto, da dentro il castello dei profumati
principi di Alsazia. Invece, siete arrivati con me, scesi dalle navi lungo la costa, ignorando
mall e ristorantini di pesce perché volete prendere il loro posto! Volete rimpiazzare i signorini
impomatati. E io vi dico..."
Popolo - "Cosa, Enrico, che non possiamo farlo? Che non è giusto che tocchi a noi un po’ di
vita facile?? Due diamanti, una fidanzata modella, una macchina di moda?"
PseudoEnrico IV - "Quella vita facile, ignoratela. Come vedete, alla fine, sempre in guerra si
finisce. Chiedete un'altra cosa, la speranza di essere felici, non per voi, ma per i vostri figli!
Per quello vi dico, vinciamo questa battaglia, radiamo al suolo quel palazzo e poi ricostruiamo
tutto a nuovo!"
Popolo - "Ci siamo! Facciamo una foto per il profilo?"
K.J. Okker - PseudoEnrico IV
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6. Nemo profeta in patria
In ogni viaggio, c'è sempre un momento nel quale ci si sente persi e si
vorrebbe tornare a casa all'istante. Io lo definisco il 'Momento di Cork', perché
la prima volta che lo provai avevo diciannove anni ed ero in viaggio a piedi
attraverso l'Irlanda, dopo la maturità classica. Ero con uno dei miei migliori
amici e, dopo 22 ore di traghetto da Le Havre a Rosslare e tre ore di autobus
da Rosslare a Cork, nella parte sud dell'Irlanda, ero già stufo di fare il nomade
hippie. Avevamo passato un giorno intero in treno, da Firenze a Strasburgo,
prima che un controllore benigno ci avesse fatto notare che non esistevano
linee costiere da Calais a le Havre e ci trovammo in coda insieme a centinaia
di altri giovani europei, sotto al sole, per poi dormire una notte intera
all’addiaccio, in pieno Oceano Atlantico. Ricordo Cork, una spiaggia
semideserta, un crepuscolo di agosto, con alcuni giovani irlandesi che
sciamavano tra pub e spiaggia. Il porto pieno di navi. Eravamo finiti a dormire
in un albergo a Quattro stelle, bruciando in un fiat la maggior parte dei soldi
per il viaggio. Il mio amico, di fronte al mio sconforto, mi disse 'capisco tu sia
stanco, ma non vuoi sapere cosa c'è dall'altra parte dell'Irlanda? Non sei
curioso ora che sei qui?'.
Lo guardai fisso negli occhi e decisi che aveva ragione. Che da quel momento
in poi mi sarebbe piaciuto viaggiare per capire cosa c'è dall'altro lato del
presente. C'è la strada e c'è sempre un luogo dove arrivare. Tanto che sono
venuto via dall'Italia e sono ormai diciotto anni che sono fuori dal Paese
Silenzioso. Lui è finito in Oregon, a insegnare all’università una dottrina che si
chiama Ontologia.
Agli estremi dello spettro ma ancora simili. E rimane quella stessa nostalgia
barricadera, un desiderio di cambiare le cose, di arrivare fino in fondo a un
discorso appena iniziato. Di trovare una destinazione di arrivo che sia ancora
una nuova partenza.
Lo stesso per il Paese Silenzioso. La frustrazione del presente, non è forse
uno spunto ad andare ancora più lontano, di sfidare le apparenze che ci
vorrebbero arresi, impotenti di fronte allo sfacelo? Anche da lontano. Che, per
noi all’estero, diventa difficile. Geneticamente e culturalmente, si diventa il
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luogo dove si abita, dove si sviluppano psicogeografie, riferimenti e sponde. E
la casa, quelle terre, quelle vie un tempo familiari ridiventano non frammenti
della tua anima, ma pietre, asfalto, colori. Luoghi.
C’è sempre questo rischio di diventare distaccato, scollegato dalle radici e,
per molte persone, questa cosa accade quasi come una forma di sollievo
rispetto a questo sentirsi sospesi fra mondi diversi, nell’impossibilità, anche
filosofica, di poter dire quello che pensi sul paese di origine (dato che non
conoscendo l’oggetto, kantaniamente, il giudizio diventa irrisolvibile). Nessuno
è profeta in patria. Pensa se sei apolide. Come ci immaginano tanti dal Paese
Silenzioso. E, come forse, ci sentiamo noi che abitiamo all’estero e
troviamo/cerchiamo ragioni di sentirci ancora curiosi. Fino a quando
arriveremo in cima al pianeta, ben oltre Cork. E da lì guarderemo indietro,
anzi, da lì già in tanti guardiamo indietro. Non per compromettere le carriere di
altri, ma per fornire idée.
La Politica Accidentale è questa ricerca di nuovo, al di fuori dei circoli soliti,
dei confini, lo spingersi più in là anche del dovuto/consentito. Di quelli che
benpensano. Dal loro salotto. Trovare non tanto il conforto degli stranieri,
dell’ignoto, ma di trovare nuove ragioni per questo spostarsi nel mondo. Non
più cervelli in fuga, ma cervelli in comodato.
All'inizio del 2012, ho avuto la fortuna di vedere Monti parlare alla London
School of Economics. Mi colpì la sua pacatezza, lo stile completamente
diverso da chi lo aveva preceduto, ma necessariamente politico,
hypertestuale, di riferimenti internazionali, nazionali, civili, politici, economici.
Come una lezione di economia e politica pratiche, piuttosto che un comizio E
rimasi colpito da una delle prime cose che disse, a un’audience composta
essenzialmente di italiani. Non cercava di convincerci a tornare in Italia, per
far rientrare i cervelli. La fuga in realtà la vedeva come un arricchimento per
tutto il paese. Ci vedeva come cervelli da affittare, di cui il paese aveva
bisogno, con tutte le competenze e le risorse umane che erano lì di fronter a
lui. Sapeva, sa, come sappiamo noi, che è inutile coltivare illusioni, sappiamo
che per le nostre aspirazioni e i ruoli che abbiamo spesso raggiunto, non ci
sono neanche posti, od opportunità per gli stessi livelli di gratificazione e di
interesse. Ma colpiva la piccola variazione sul solito mantra del brain drain. In
realtà lo possiamo vedere come un ‘gain’, come una speranza addizionale,
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dove le persone possono imparare il mestiere, i trucchi di ogni forma di arte. E
Monti ci chiedeva questo, di poter 'affittare’ i nostri cervelli, sicuramente i
nostri cuori, con idee, spunti, soluzioni. Un concetto ben definito, utliitarista e
realista. Non tornate, se non volete, ma dateci una mano.
Per una delle prime volte della mia vita, mi sono sentito profeta in patria.
Come se qualcun altro, a parte l’amico sindaco di Firenze, mi lanciasse un
assist perfetto. Monti, un vero Politico Accidentale. Qualcuno che comprende
le condizioni, le circostanze, che coltiva una visione, che è disposto a
condividere. E ne trae le conseguenze.
La stessa cosa che feci io di fronte al mio amico Carlo a Cork. Mi resi conto
che esisteva un’attrattiva in altre due settimane a sbattersi fra ostelli della
gioventù in mezzo al nulla dell’Irlanda prima del boom. Oltre al perdersi cento
volte per stradelli di campagna, dormire in un container con cinquanta
ragazze finlandesi (ma questa è un’altra storia). L’altra sponda dell’Oceano.
L’infinito Gucciniano. I grandi sogni.
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7. Un piano molto semplice
"Qualcuno è stato qui, lo so, ha acceso il riscaldamento in casa. E non ero io"
"Electricity" - Ollie Byrd
Andare e vedere. Arrivare in un luogo e scoprire che qualcun altro ci ha
preceduto, sia nella realtà fisica dello spostarsi sia nel paesaggio filosofico
delle idee. Esplorazione e intuizione sono concetti molto simili. In entrambi i
casi si deve fare un passo fuori da quello che ci si aspetta ragionevolmente
dalla giornata. Cambiare percorso, ogni istante. Scoprire la mappatura dello
spazio attorno alla linea che ci conduce da A a B.
Il politico accidentale, una persona come me, si trova proiettata in una
posizione iniziale, un evento, un incontro, una persona incrociata e si rende
conto che, nel gran schema della sua vita, quell'evento lo costringe a una
reazione. Come uno che ti tira uno schiaffo, che ti spinge, o qualcuno che ti
urla da una parte di un fiume dicendogli di raggiungerlo. E qui conta la
disposizione, contano educazione e cultura. Io, per come sono stato
cresciuto, sono stato abituato ad 'andare e vedere’, come i butteri di Domani
Accadrà di Luchetti. Qualcuno ti parla, ti propone delle idee, come se avesse
una mappa dell'universo, un foglio di carta blu e argento enorme,
spropositato. E questa persona ti guarda negli occhi, dicendoti 'Questi siamo
tutti noi, le costellazioni, le stelle comete, i pianeti, le supernovae, noi siamo
qui e voglio spostare questa galassia da questo punto, troppo vicino a un
buco nero, a questa zona qui. Dove prosperare e crescere. Il piano è
semplice, semplicissimo. Sappiamo dove vogliamo arrivare. E sappiamo che,
forse come poche volte nella storia, dovremmo e potremmo pensare che quel
percorso, quel trascinarsi di pianeti e stelle, possa e debba accadere in
maniera nuova, mai sperimentata prima.
Un piano semplice. Immediato. Fottutamente innocente e spontaneo. Troppo
semplice, per essere vero. O, forse, aiuta essere stato accidentalmente
catapultato dentro un contesto, dentro una mappa.
Il Politico Accidentale è il Punto A. E diventa il Punto B. Lo Stato A e lo Stato
B di Elio. La mappa è la persona. Siamo e diventiamo. E non sperimentiamo,
diventiamo, non esploriamo, ci trasformiamo. Con noi, la società, alcune
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istituzioni. O questo dovrebbero fare. La massa di gambe, cervelli, scarpe,
teste, occhi, cuori che formano la galassia e dentro di essa il Pianeta
SIlenzioso Italia. E noi, noi siamo il cambiamento che accade, che trasforma.
O possiamo decidere di far prevalere la forma sulla sostanza, trasformare le
istituzioni pubbliche in una forma di museo del vintage politico, scegliere di
non cambiare. Far trascinare la forma di intervento del popolo nella politica in
una forma di oligarchia illuminata e corrotta. Perchè vive sugli altri, succhia
idée come un vampiro il sangue. O possiamo trasformarci, (r)innovare la
partecipazione politica. Il piano è spostarci da A a B. Da un mondo stantio e
vecchio, dannatamente vecchio a un futuro che immaginiamo, che già
sappiamo non sarà mai come lo immaginiamo ora, ma vogliamo arrivarci e
vederlo, intravederlo e affermarne l'esistenza. Qualunque forma B avrà alla
fine. Un piano semplice, Trasformarci e trasformare il mondo attorno.
Nella mia recente esperienza, questo vuol dire interessarsi alla dialettica
politica, intervenire e dire la propria, dapprima con ironia, assimilando dalle
informazioni attorno, usando il sarcasmo per i primi incerti passi. Buttarla in
vacca, come si fa nelle camminate in montagna, dove all'inizio siamo tutti
pieni di fiato, entusiasmo e bischerate da enunciare. Ben sapendo che verrà
un momento in cui saremo quasi in cima, senza fiato, sperando che ogni
passo sia quello finale, ma già sapendo che saremo travolti dalla bellezza del
paesaggio. Perche’ si cammina in montagna per arrivare in un punto preciso,
dove tutto è più bello che a fondo valle. Esplorare la bellezza della politica
accidentale, una provocazione che qualcuno ti lancia di dover essere in un
posto, ma rendersi conto della incredibile importanza che ha la nostra
presenza, per quel piano semplice.
E qui parlo di punti condivisibili, di passi brevi e veloci, di piani e programmi
che parlino linguaggio alto dei valori a cui uno si affida, politicamente ed
eticamente, ma anche la praticità di dire cosa si vorrà fare il giorno stesso in
cui ci sia dato il potere di governare, di guidare una città, un paese, una
regione. Un quartiere. Fatti misurabili. Semplici.
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8. I knew Prufrock before he was famous
“In the room the women come and go
Talking of Michelangelo”
T. S. Eliot, “The love song of A.J Prufrock”
Ho conosciuto tanti politici nei miei anni da studente di liceo e poi
universitario. Ho conosciuto quelli che facevano la gavetta nei vari partiti,
nelle associazioni, nelle radio e nei giornali di parte. Anche io ho fatto
volantinaggi, ho attaccato manifesti alle due di notte, all’alba delle elezioni al
Liceo Dante e a Villa Favard, dove si trovava la facoltà di Economia, lungo
l'Arno. Fra amici diretti, parenti e amici di parenti, credo di aver potuto
conoscere almeno tre generazioni di politici fiorentini e toscani. Succede.
Come dicevo all’inizio, è la mia genetica in qualche maniera, o una forma
Pavloviana di attrattiva per il movimento, per l’attivismo e la caciara dialettica.
Da un lato, una fortuna, da un altro una disgrazia, dato che ogni pranzo o
cena di famiglia rischiava di diventare una sessione di argomentazione da
studente del Talmud.
Sono stato rappresentante degli studenti per una lista di ispirazione cattolica,
negli anni della Pantera, al Liceo Dante e poi rappresentante di quartiere a
Rifredi, rappresentante studentesco in Consigli di Facoltà, nel Consiglio per il
Diritto allo Studio. In momenti di grande confusione politica, dove siamo tutti
nati, almeno in Toscana, comunisti o democristiani, per poi trovarsi sbattuti in
ogni direzione, sotto ogni forma di arbusto, sigla.
All’inizio era la Pantera, la crescita esponenziale del Fronte della Gioventù, in
un liceo di chiare tradizioni reazionarie, in una Firenze dove se facevi il
classico al Dante eri 'un fascio autolesionista’ e se lo facevi al Michelangelo
eri un 'figlio del '68 libertario’. Fra traduzioni dal greco al latino in piedi e 6---
politico.
Ho visto e conosciuto vari Prufrock, uomini e donne, persone che si sono
interessate alla politica e hanno continuato nel loro impegno, facendone
spesso una professione, e lo dico qui, in maniera onorevole e onesta. Quando
io invece ho scelto altro. Ho deciso di partire. Ma non di abbandonare quel
desiderio di cambiare le cose da dentro. Come se continuasse la storia
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d'amore con la società. Sicuramente ho avuto il privilegio di vedere queste
carriere di persone a me care muoversi, sbocciare, dai volantinaggi fatti con
mio cognato, quando eravamo giovani democratici cristiani, alle discussioni e
chiaccherate con un ragazzino di quarta ginnasio, della stessa età di mio
fratello, che mi parlava all'intervallo (e per questo ogni tanto mi viene la
tentazione di cazziarlo, come farei con mio fratello, che considero ancora un
quindicenne, ma questo è un mio limite). Di questo giovane, mi colpì la
zazzera di capelli che sembrava quella di Federico Fiumani, il cantante e
chitarrista dei Diaframma, un gruppo storico della New Wave toscana. E la
determinazione al lavoro, al rendere il particolare universale. Una dote dei
politici veri. Diventati amici, ne avrei seguito la carriera dalle stanze del Dante
alla presidenza della provincia di Firenze fino alle stanze di Cosimo I, dove
con mio nonno Luigi andavo a incontrare Bargellini, mentre parlavano di La
Pira e don Milani. E dei giorni tragici dell’alluvione, quando l’ufficio di mio
nonno in via Calzaioli fu distrutto dall’acqua. Per quello, dopo, prese un piano
del palazzo della Reale Mutua, all’entrata di Piazza della Signoria. Da cui ho
imparato le regole del calcio storico e ad associare nomi e volti ai vari politici
che vedevo parlare. Circondati da bandiere rosse, scudocrociate, con
un’edera in mezzo.
Un popolo, quello fiorentino, pronto al dibattito, allo scorno politico. Di politici
non accidentali, ma quasi geneticamente predisposti. In questo mi sono quasi
sempre riconosciuto, per una forma di repulsione personale per quello che è
prestabilito. Come se molti dei politici che ho incontrato, facessero come le
donne di Eliot, che sono quasi costrette a parlare di Michelangelo, senza
avere un dibattito. Invece, nelle zone di casa, ogni domanda era un dilemma
da discutere, da valutare.
Dopo un periodo lungo di estraneità fra parole e azione, finalmente rivedo una
generazione di politici che hanno cambiato il modo di interagire con il loro
elettorato. Perchè le parole, anche le migliori, hanno sempre bisogno di
qualcuno che le renda sue, che le ripeta e che le incarni. Una specie di
sussidiarietà del linguaggio. Dove non arrivano le dichiarazioni, i proclami, le
azioni fanno la differenza, devono raccontare di una differenza dal passato.
Su queste basi, mi sono fatto coinvolgere da Matteo Renzi, il “ragazzo con la
zazzera”, nel suo progetto politico. Anche se da lontano, in una forma di
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dialogo che ha molto più in comune con Radio Londra che con alcuna forma
di scambio intellettuale. Ma è il mondo oggi. Si scopre che in 140 caratteri si
può dire tanto, eliminando il superfluo. Non sono tempi barocchi. Su queste
stesse basi, continuo a pensare che mio cognato, Gabriele Toccafondi,
parlamentare PDL fiorentino, sia una dimostrazione di come, alla fine, non
siano ideologie o ideali a fare la differenza, per innalzare il dibattito politico e
lo scambio di provocazioni. Occorrono volti, persone che abbiano chiaro cosa
sia morale, giusto, sostenibile.
L’alternanza, il ricambio, sono forme di linguaggio in cui si esprime la
democrazia. Forse la più alta. I toni si possono riscaldare, ma la Politica
Accidentale che immagino è un luogo di confronto, non di diffamazione. Di
apprezzamento e di distinguo.
Un posto dove si possa parlare di Michelangelo, ma si facciano anche le
cose, si creino le opportunità, gli investimenti per far crescere il paese. Certo,
ho fatto la mia scelta di campo. Non posso non considerarmi riformista. E lo
dico dalla posizione in cui sono, dopo aver visto da vicino, molto vicino, i
danni di certo pensiero iperliberista, finanzariamente fallace, ma anche
socialmente pericoloso. Ma lo vedo nell’ottica che imparai da ragazzo, della
sussidiarietà, del supporto pubblico, del minimo comune denominatore dei
servizi pubblici e del merito che sovrasta il casato.
Di Prufrock ne conoscerò ancora tanti, spero, di giovani talenti che entreranno
nella sfera politica, non per un tornaconto, per solleticare le signore bene a
parlare di un altro giovane talentuoso, ma per continuare un lavoro, un
progetto di una politica, anche in maniera bipartisan, migliore.
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9. Senza Rete/Senza Scampo
'Give me the words/that tell me everything'
Tuxedomoon - "Manner of Speaking”
Cosa fa nascere un movimento politico? Qual‘è il passaggio da un momento
spontaneo di aggregazione, un'intuizione che nasce nella testa di un individuo
e che poi comincia a contagiare altre teste, altri cuori e diventa uno
spostamento di persone, generazione di altre idee, fino all'estrema
conseguenza di un'organizzazione complessa? Negli ultimi venti anni, dal
naufragio della Balena Bianca sugli scogli del Pio Albergo Trivulzio, quanti
capitani e comandanti abbiamo visto fallire nel loro mandato, quanti Mariotti
Segni, quanti movimenti con molta più ricerca nei nomi che nella capacità di
rendere le idée sostenibili. Ogni volta con uno spunto o due geniali, con valori
forti, importanti. Con programmi anche dettagliati, per certi versi, ma senza
quello che si chiamerebbe ‘respiro’.
Abbiamo consumato ore e ore della nostra vita in stanze, aule convegni,
consumato gli occhi a leggere instant books sul futuro del paese. Ogni volta
illusi che il cambiamento fosse arrivato, che il Pianeta Silenzioso fosse
arrivato a una svolta. Per poi svegliarsi ubriachi di concetti, ma disillusi dal
responso del 'popolòo’ a ogni ipotesi di riforma profonda della politica.
Forse potremmo chiederci se molti dei nuovi rasta della politica italiana
avessero davvero quella carica e quel carisma che si chiede a un leader o se,
forse, fossero troppo soli, in una maniera don chisciottesca, contro i mulini a
vento delle gerarchie politiche, delle dinastie elettorali, dei piccoli, medi e gran
poteri che ancora modellano il Bel Paese, come e più dei movimenti di
orogenesi.
I 'Nuovi in Politica’ sono una specialità stagionale della politica italiana, come i
carciofi. Abbiamo vissuto stagioni di girotondi, sit-in e popoli di vari colori.
Comici che diventano leader, per tornare a far ridere pian piano, mentre le
loro idee si scolorano. Politici che cercano il consenso di calciatori e veline
ancor prima di quello del popolo, perché in fondo, ogni imperatore ha bisogno
dei suoi circensi, per ammansire le folle.
Cosa rende stabile, e cosa potrebbe essere il 'game changer', l'espediente
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che renda un movimento o una strafottuta corrente di partito un luogo di
persone e idee che diventi davvero un meccanismo di cambiamento, come
accadde con il New Labour di Blair?
Cosa rende, secondo me, i Politici Accidentali un vero segno di novità e di
rottura rispetto a chi li ha preceduti, ai mestieranti dei partiti? Alcuni principi
base:
- Dal locale al globale - Un'esperienza di governo o di gestione particolare,
ben definita, dove il Politico Accidentale possa sperimentare non solo nuove
idee e nuovi processi di implementazione delle stesse, ma dove possa anche
cominciare ad avere prove tangibili dell'efficacia delle stesse idée. Non vuol
dire per forza un ruolo politico, ma sicuramente il Politico Accidentale deve
sapersi muovere da istanze locali, parziali, regionali o di settore, ma per
allargare la visione, renderla se non universale almeno condivisa. Deve saper
usare la lezione imparata sul territorio, nell'ambito limitato che ha di fronte,
come un paradigma e come un esempio. La cultura del cambiamento vero
accade, si manifesta con questa capacità di tramutare energie locali in
sommovimenti anche al centro. Senza rabbia, ma costruendo.
- Diversità e Affiatamento - Le persone accanto al/ai leader di un movimento
che voglia 'funzionare’ dovranno arrivare da esperienze di lavoro,
accademiche e sociali disparate. Non ha futuro un 'partito di categoria’ o
basato sul censo, sul casato. Un popolo ha bisogno di sentire che da subito ci
sono elementi di diversità, di immedesimazione. Un po’ come la logica del
Varietà televisivo delle domeniche sera negli anni Settanta. Qualcosa per tutti,
in uno spettacolo unificato, unificante. Con una trama, un plot e un conduttore
famoso e iconico. Raimondo Vianello. Dove, nei suoi spettacoli, aveva
sempre un ruolo importante il capo clack. Il capo del pubblico, quelli che
devono applaudire, e ridere a comanda. Un'idea di team trasversale, che si
muova dai camerini al palco, alle prime linee del pubblico. Ci sono, ergo
partecipo. Sono parte del team. L'affiatamento accade spesso quando ci sono
grandi differenze.
- Rete di Reti o La Matrice della Diffusione Politica - La presenza non solo di
diversità sociali ma anche territoriali è determinante. Si vince consenso se si
investigano/apprezzano e accolgono le istanze di aree diverse del paese, con
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le loro differenze di crescita economica, sociale. Un paese come l'Italia vive di
migliaia di piccole diverse realtà. Una Politica Accidentale che funzioni non
può esimersi dal conoscere e valorizzare questa estrema ricchezza e la
maniera con la quale problemi come, per dirne due, corruzione e
disoccupazione giovanile, si declinano lungo il paese. Quindi un 'globale’ fatto
di tantissimi localismi.
L'intuizione iniziale dovrà spostarsi senza snaturarsi nella sua radicalità, ma
dovrà trovare nuovi ambasciatori per adattarla. Un movimento che sappia
parlare ai banchieri della City e ai giovani di Enna. Ai giovani di Enna che
fanno i banchieri. La rete, il network, è la capacità di offrire politica come un
Servizio Universale, come le poste. La partecipazione sociale è l’ultimo vero
requisito che uno stato dovrebbe fornire, supportare. E se vogliamo essere
seri nel cambiare le regole del gioco dovremo parlare a tutti. Essere ovunque,
avere un ideale che possa essere condiviso ma che non diventi una regola. Ci
vogliono le parole nuove nella politica. Parole che dicano tutto, che
definiscano il mondo, semplicemente. E le soluzioni. Con lo stesso linguaggio.
Quello della Rete.
Il Politico Accidentale dovrà organizzarsi, partendo dalle sue conoscenze,
perchè, come dirò dopo, la struttura tradizionale del partito che abbiamo
ereditato dal diciannovesimo secolo potrebbe non essere più adatta. Se non
addirittura perniciosa. Distruggere il passato che non ci appartiene. Ripartire
dalle relazioni umane. La struttura e l’organizzazione dovranno garantire non
solo una continuità del messaggio politico, ma anche la capacità stessa di
una rottura, di un cambiamento. Troppo spesso, i movimenti politici diventano
solo enormi amministrazioni di comunicati, di ruoli e di lavori. Tradendo la loro
genesi, la loro capacità di condensare attorno a sé le forze buone della
politica. Anche quando certe istanze sono reazionarie, quando nascono da un
disagio che diventa troppo comune per essere contenuto.
Invece qui reclamo la necessità di un programma articolato, condiviso, di
ideali che diventano visioni e che diventano standard da raggiungere. In caso
questo non accada, il Politico Accidentale dovrà lasciare, permettendo ad altri
di prendere controllo della direzione del ‘movimento’. Esiste la rete, esistono
le connessioni, i nodi rappresentati dalle persone possono cambiare. Come
nel cervello, dove le cellule sono solo terminazioni e la vera informazione
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risiede nelle sinapsi. E questa confusione di informazione deve essere
sintetizzata, deve accogliere tutti ma poi rendere evidente quale sia la priorità
del giorno, del mese, dell'anno. Credo che uno dei motivi di maggiore
alimentazione della corruzione siano state proprio le aggregazioni incredibili di
richieste, di istanze diverse che hanno investito i politici, i detentori di un
potere enorme. Dove ognuno, da ogni parte politica, ha voluto avere la sua
fetta di benefici.
Il Politico Accidentale non cerca privilegi per sé, serve, aiuta, supporta le
comunità, sia locali che nazionali. Entra nel merito, non per fare un piacere
all'amico del paesello da cui viene, ma perché crede che quel progetto
specifico sia positivo, utile. Che cambi. Per quello, tutti abbiamo un ruolo da
giocare, nei nostri localismi, anche all'estero, nella nostra generazione e nel
nostro specifico lavorativo. Siamo tutti protagonisti, ma non possiamo più
caricare la politica di ruoli di facilitamento, per pigrizia. Il futuro siamo quello
che vogliamo. E lo facciamo e costruiamo noi. Ogni giorno.
‘The future is yours, so fill this part in’
Marnie Stern – “Transformer”
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10. Ideologia vs. Valori
I miei genitori sono nati durante la II Guerra Mondiale, i loro amici più giovani
hanno fatto il ’68, i miei cugini più anziani hanno fatto il ’76, hanno studiato
durante gli Anni di Piombo e noi, la generazione dei 40enni attuale, abbiamo
visto brandelli di lotta politica, le ultime grandi occupazioni, abbiamo scoperto
il veleno della politica 20 anni, e abbiamo lasciato a un popolo di Senza
Qualità e Senza Speranza la democrazia, tramutata da un mercato libero di
idée e di pensieri a un oligopolio travestito da chaos.
Ci hanno fatto credere al fantasma dell’ideologia, un mondo verboso e ostico,
dove si deve leggere Hoffmann, bisogna saper discernere fra una Falanghina
e un Greco di Tufo. Come fra un Socialista Lombardiano, un Riformista
Esperito e un Proto-Comunista. Le parole, anzi, i motti, le filosofie, sono
diventate più importanti dell’affermazione di principi base, di valori.
Negli scritti di politica si cita Adorno come si aggiunge parmigiano alle
melanzane. Si citano Foucault e Grossman. E così dicendo. Come se il futuro
si potesse costruire partendo da un bagaglio di storia della politica e della
filosofia occidentale. È questa la prima grande barriera a una politica nuova,
questo gioco di citazioni, rimandi, di parole e testi, di citazioni dotte,
sicuramente, ma che poco dicono sul presente e sulla necessità di ridefinire il
mondo, le nostre aspirazioni. Un movimento politico è come una rockstar,
come un gruppo pop. Ci sono momenti di Gloria, poi si dovrà lasciare il passo
ai giovani. Senza intrattenere uno spettacolo indecoroso di settantenni che
saltano in calzamaglia sul palco.
L’Ideologia lasci il posto all’Ideogenia. Lo sviluppo di innovazione in politica,
partendo dai Valori che condividiamo, in cui sono cresciuto e mi sono affilato
le armi dialettiche umane. Come scritto in introduzione, le generazioni
attualmente abili e arruolate alla vita adulta (chi ha oggi dai 25 ai 50 anni)
hanno vissuto di rimando, di rimbalzo momenti decisivi del paese. Come molti
dei junior che lavorano per me in banca non sanno quasi chi sia Paul
McCartney (accade!), così in Italia molti giovani non hanno vissuto il momento
principe dello stravolgimento democratico, che fu l’omicidio ideologicamente
motivato/provocato di Aldo Moro. Quella fu la linea che tutto il paese dovette
attraversare, con i governi di unità nazionale e la Socialistizzazione della
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politica Italiana. L’atterraggio molesto della corruzione e la sua pervasiva
permanenza nel panorama italiano nacque dall’impossibilità del paese allora
di trovare una forma di ribellione, di reazione di fronte all’omicidio della
Grande Alleanza della Sinistra DC e del Centrismo Comunista di Berlinguer.
Da un lato gli estremisti, dall’altro gli affaristi e i Pidduisti, entrambi, con una
necessità di un empasse istituzionale, dove poterrne approfittare.
Il socialismo di Craxi, la corruzione, Mani Pulite, il Berlusconismo e il
Minettismo, la Lega. Figli dell’Omicidio Moro. L’ideologia che diventa una
scusa, per eliminare dal dibattito politico l’Ideogenia.
Oggi, a più di trenta anni di distanza da via Fani, a venti anni da Mani Pulite,
in un momento di governo tecnico, di incertezza politica assoluta, il Politico
Accidentale è qui per ribadire alcuni concetti. Per rimuovere il coperchio delle
etichette e delle ideologie e riparlare di Valori, di Cosa Vale, di cosa ci sta a
cuore. (‘What We Care About’, avrebbe detto Don Milani).
Quali sono questi Valori?
a. Riformismo Vs. Gattopardismo – La Politica Accidentale non può non
essere riformista, innovativa. La liberazione quieta e decisa di energie
nuove. Riforme sociali, economiche. Come se, dopo averlo osservato da
lontano, da dentro, alcune persone si arrogassero il diritto a una revisione
delle dinamiche che regolano il paese, le regole, le relazioni di forza, le
pressioni sociali e internazionali. È chiaro che un paese come quello
Silenzioso vive all’interno di una rete relazionale, ma l’anomalia italiana è
stata la sua fissità assoluta rispetto ad altre realtà, la mancanza di
ricambio non tanto dei volti, che, cribbio, ogni tanto qualcuno dei vecchi
leader muore, ma delle idée o della maniera nella quale la società si
sviluppa. La famiglia, la Chiesa e tutti i circoli/salotti alla luce del sole.
Correnti sotterranee di sotterfugi, piaceri personali e favori pubblicamente
remunerati. Sicuramente, in Italia ci dovrebbe essere una specie di
indicatore, in ogni evento e azione politica ed economica, da una manovra
finanziaria a un accordo fra sindacati e imprese, che indichi quanto
quell’evento cambi le regole del gioco, migliori il paese ed elimini quel
senso di sclerotizzazione della società. Una specie di Gattopardo Index,
con tre o cinque livelli, dal ‘Verde’ di ‘bassi livelli di gattopardità’, fino al
profondo rosso o il nero di un livello ‘Mob Rulez’, dove non solo le cose
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non cambiano, ma ci sono pressioni forti a non farle cambiare. Come gli
indicatori di consumo degli elettrodomestici. Un indicatore di
cambiamento. E, badate bene, non sempre le cose devono cambiare.
Esistono regole e istituzioni che beneficiano un paese per la loro
immobilità. Creano certezza. Sicurezza nei riferimenti istituzionali e morali.
Non necessariamente le chiese, i capi religiosi. Opinione personale, ma
credo che la chiesa cattolica o Cristiana dovrebbe destabilizzare, creare
confusione, disordine, nell’ordine delle cose del mondo. Rovesciare tavoli
di mercanti nei templi, insegnare nelle scuole l’incertezza e il dubbio e poi
far riabbracciare agli studenti la bellezza della Fede. Per chi ha coraggio di
ammetterlo. Un modello savonarolesco di religione. Le certezze vengono
dal diritto. Dalle opere. Dalla certezza morale che sono le azioni a definire
il paese, quello che accade sul palco della vita pubblica e non quello che
si decide dietro la quinta del teatro o nel foyer. Per questo il riformismo è
importante, per questo i valori di solidarietà e di giustizia devono
continuare a essere incarnati, ricercati. Disperatamente voluti. Catalogati.
Gattopardo Index (r), presto su tutte le vostre azioni il primo Indicatore
Riformista di Sviluppo del Cambiamento del Paese.
b. Solidarietà Intra e InterGenerazionale – ‘E io pago’, diceva Totò nella
macchietta del padre che deve sempre provvedere ai vizi e stravizi della
famiglia. ‘E noi paghiamo’, anzi, ‘abbiamo pagato’ direbbero i nostri
bisnonni e nonni, quelle due o tre generazioni del dopoguerra che hanno
generato la ricchezza e il benessere sulla loro pelle, sui loro sacrifice e
fatica. Per permettere ad altre due o tre generazioni di usare quella
ricchezza accumulata. Come se non ci fosse un domani. O come se ci
fosse un domani di eternità. Aspettativa di vita che si allunga. Che è un
indice di progresso. O di degenerazione del progresso, quando non solo le
generazioni correnti vicino alla pensione hanno usato le risorse
accumulate dai padri, ma pretendono al tesoretto pensionistico che le
generazioni correnti stanno accumulando. Il Politico Accidentale sa che la
sostenibilità del futuro passa attraverso una nuova forma di solidarietà,
come se la generazione di chi lavora ora si trovasse all’indomani di una
guerra mondiale, come se anche le strutture funzionanti dovessero essere
ripensate per un periodo di pace, di calma. Si sa che durante una guerra,
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si mettono mine, si distruggono infrastrutture per rendere al nemico le
cose più difficili, ma in pace si costruisce e si usano le risorse per
difendersi dall’aggressione del tempo. Dall’usura della corruzione.
c. Futuro come Visione – Quando ogni aspetto della vita di un paese è, in
qualche maniera, controllato da ultrasessantenni ideologicamente delusi,
ma economicamente motivati, è difficile che l’orizzonte temporale delle
decisioni valichi quello che si definirebbe un “medio periodo” di 3, 5 anni.
Le associazioni dei giovani dei partiti sono piene di quarantenni ancora in
cerca di autore e manca la vera pianificazione, l'immaginarsi un futuro
possibile o scenari di futuri alla portata di mano. Che non è progettare
lavori di infrastrutture che dureranno per venti anni. Questo è egoismo, o
menefreghismo. Dato che è una maniera per far beneficiare a chi vive nel
presente il ritorno economico, il rendimento di progetti, che saranno ‘vivi’
solo in un futuro lontano, dove altri pagheranno il vero debito finanziario.
Trovandosi di fronte opere ed impianti che magari saranno già obsoleti. La
Politica Accidentale invece dovrebbe parlare di una visione del futuro,
come risultato di trasformazioni della società che accadano in maniera
‘giusnaturalista’. Cambiare a poco a poco, non lanciarsi in proclami ma
definire un punto di arrivo. È lecito immaginarsi come sarà il mondo fra 20
anni, perchè si decide oggi. Lo decidiamo con cosa insegnare nelle
scuole, con la costruzione di infrastrutture che rispettino l’ambiente e che
diano respire alla società civile. Ludoteche e piscine nei quartieri popolari,
biblioteche luminose e treni veloci per sostituire gli aeroporti. Quanto è
lungo il lungo periodo? Sicuramente abbastanza per definirlo come valore
a sé, a parte la intergenerazionalità. Il Lungo Periodo è la risposta alla
domanda ‘Cosa vogliamo lasciare di tangibile ai nostri discendenti? Per
cosa vogliamo essere ricordati?’ che non è necessariamente un tunnel
sotto il Tirreno o una torre di seicento piani. Ad Atene, l’idea di democrazia
è resistita molto meglio di ogni monumento, teatro, tempio, presto svuotati
di attori e divinità. Invece le opere, il pensiero che ha modellato quella
societa ha resistito. E noi, cribbio, vogliamo lasciare che siano i deliri
leghisti e le incertezze progressiste a rimanere come documento di
quest’epoca? Come vogliamo modellare il futuro a partire dalle cose in cui
crediamo e che crediamo possano fare il bene del popolo. Ergo, di noi
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stessi. O della nostra genetica che continuerà a camminare e a ricordarsi
di noi, nella memoria collettiva che portiamo dentro. Come gli istinti
primordiali. Il futuro si genera ora. Nei valori che scegliamo. Tolleranza,
Affetto, Condivisione. Chiarezza e Rigore.
d. Meritofilia – Dove finisce il talento? Dove si crea, forse? Dove si coltiva?
Quali sono le fabbriche di speranza generazionale? È la meritocrazia un
valore per se o dovremmo ribattezzarla e trasformarla in ‘meritofilià? Non
tanto una determinazione a priori di un progresso nella carriera
determinato dal merito ma una società che sappia accogliere ogni tipo di
capacità e talento, al di fuori del jargon e del lingo corporate. Il Politico
Accidentale, se viene da un percorso professionale, sa che le capacità
crescono sulla base della fiducia accordata, sugli spazi di libertà e di
inventiva lasciata alla persona. Non si tratta di ridurre a sistema qualcosa
in sostituzione ai criteri di anzianità o di clientelismo, ma di riuscire ad
apprezzare la novità, l’entusiasmo non più come segni di debolezza o di
mancanza di pelo sullo stomaco, ma di necessarie virtù per un Paese
Silenzioso che vuole ritrovare la sua voce. La Meritofilia è amare il talento
altrui, amare quello che le connessioni fra le diverse capacità delle
persone può generare. Ai tempi dell’università ricordo un’amica che era
bravissima a volantinare, a distribuire ogni tipo di materiale in giro, a
parlare con le persone. Poi, la mettevi di fronte a un professore in un
esame e panicava. Nessuno capiva come mai una persona così brillante
socialmente e chiaramente preparata non riuscisse a dimostrare cosa
valesse in un’aula di esame. Fin quando uno dei docenti le insegnò a
chiedere prima dell’esame una sessione serale, quando non c’era più
nessuno nella stanza. La sua carriera universitaria cambiò radicalmente. E
continuò a essere la colonna portante di ogni operazione di volantinaggio.
Con molta più motivazione. Il professore aveva voluto bene al talento della
ragazza, trovato il merito e sviluppato la sua consapevolezza. Meritofilia.
Dovrebbe accadere così nella società. Nella politica. I Politici Accidentali
non saranno mai tutti leader di partito, ma quel che conta è il paese, è la
speranza, a cui tutti possiamo aggiungere qualcosa. Cribbio, non lo diceva
forse già il Vangelo?
e. Volumi Zero – Ci voleva anche il ‘fad’ della decrescita. Come spengere i
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motori di un jet che scivola sopra le Alpi e dire ‘via, ora si scende senza
sprecare benzina, tanto ci sono le ali, sperando di trovare un aeroporto in
linea con la nostra traiettoria di avvicinamento alla terra’. Apparentemente
gli aerei moderni possono viaggiare senza carburante, solo scivolando nel
cielo grazie alla forza di gravità, per centinaia di chilometri. Ma è bene che
quando arrivi al suolo ci sia una pista in asfalto o un mare non troppo
ostile. Quando sento parlare di decrescita, penso alla stessa cosa. A un
motore che viene spento, una luce in una stanza senza finestre che viene
spenta. E tutti cerchiamo l’interruttore con le luci dei cellulari. Però esiste
un valore assoluto nella teoria dei volumi zero, di poter continuare a vivere
in maniera decorosa, consumando sempre meno fattori di produzione.
Che non dovrebbe turbare i fanatici della crescita economica, dato che il
minor consumo procapite potrebbe essere mitigato dalla crescita della
popolazione. Una Politica Accidentale a Volumi Zero dovrebbe seguire gli
stessi principi. Ridurre il peso della politica, come costo economico e
sociale, permettendo a chi si occupa di altre cose di interessarsi, di
partecipare non solo al dibattito, ma al governo della cosa pubblica. Politici
a volumi zero perché non ci sarebbe una continua crescita di poltrone e
posti per accomodare chi viene trombato alle elezioni, chi perde un seggio
(e da qui tutto un mondo di fondazioni, istituti di ricerca, etc), ma
tornerebbero a fare il loro lavoro. La politica è dopo la finanza e la
prostituzione, il mestiere più antico del mondo. Tutti e tre hanno sofferto e
soffrono continuamente di crisi di reputazione. Come le banche hanno
cominciato a ridurre il loro organico, a punire più severamente chi non
segue le regole, così dovrebbe funzionare in politica. Adeguarsi al
momento storico, ridurre le chiacchere e aumentare le soluzioni. La
prostituzione, di solito, segue gli andamenti di questi altri due mestieri. Tre
piccioni con una fava.
Quello che l’idea di Politica Accidentale prospetta è un mondo di valori antichi,
che riconosciamo nelle nostre persone, nelle strade. La solidarietà, il rispetto
per la libertà di opinione e azione. L’apertura a regole che alimentino il
benessere, riducendo gli sprechi. Far parlare le persone, lasciare che ognuno
si prenda la sua responsabilità. La politica come scelta temporanea nel ruolo
pubblico, ma endemicamente connessa alla società.
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11. Big Bang ed Effetto Wimbledon
Nel 1987, la Tatcher premise (o promise?) una rivoluzione dei mercati
finanziari in Inghilterra che cambiò il mondo per sempre. Tutto si può dire
della Iron Lady tranne che non avesse una visione rivoluzionaria, per certi
versi iconoclasta. I duri e puri Labour non digeriscono ancora la sua
devastante (e violenta) opera di riduzionismo sui sindacati, la Poll Tax e tutta
la retorica Tory di classismo e di censo come indicatore di successo sociale.
Che penalizzò, alla fine, i Labour. Perchè la Tatcher mosse il paese e forse il
mondo in una direzione che permise 25 anni di insperato vigore economico,
anzi, diciamocelo, finanziario. Fu chiamato il Big Bang. Prima di Jovanotti,
della Leopolda e dei suoi irrequieti e sorridenti abitanti. I mercati finanziari
furono meccanizzati, fu possibile operare sulle borse attraverso terminali, di
fatto aprendo la Borsa di Londra, tutti gli Exchange di vari prodotti finanziari al
mondo. Come un velo del Sancta Sanctorum che improvvisamente si
squarciò. Aprendo tutti i mercati a oscillazioni, esagerazioni, incidenti come il
fallimento di banche, brokers. Come se una nave ferma nei dock da secoli si
trovasse all’improvviso in un mare aperto, sotto stelle nuove e cieli insoliti. E
fu la salvezza della City. Non solo. L’Inghilterra si tolse la muffa di dosso,
centinaia di giovani talenti si spostarono verso Londra, con tutto il loro
bagaglio di educazione e di esperienze. Questo sommovimento di risorse
umane fu chiamato 'Effetto Wimbledon'. Come si sa, all’All English Club non
vince un inglese da decenni. Neanche nel doppio misto. Ma questo non rende
Wimbledon meno anglosassone. I riti, la flemma e l’organizzazione, lo spirito
sottile, come le fragole e il Pimm's, rimangono immutati. Anglobalisation, la
definirei. Così nella City della fine degli anni Ottanta, il talento che fece
esplodere i mercati dei derivati, delle commodity, delle azioni (creando anche
le premesse strutturali per la crisi del 2008, forse) era o straniero o…
popolare. Veniva da altrove. Dalle periferie inglesi, dall’Essex, dalle scuole
pubbliche, dal proletariato inglese che, improvvisamente, aveva di fronte
un’opportunità di arricchirsi con una forma più raffinata di gambling. Il Gran
Casinò dello Square Mile.
Non si può però negare che la Tatcher abbia creato una mobilità sociale
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senza precedenti. Una città che veniva soffocata alla gola dal rispetto anale
per le sue tradizioni, mentre anche il punk si afflosciava sotto il peso del
Cream Tea e delle torme di anglofili alla ricerca del cappello di Sherlock
Holmes, si rinnovò. Diventando la capitale del Mondo. Ci abito da 16 anni e
condivido un pensiero di Samuel Johnson, filosofo del XVIII secolo: ‘chi si
annoia di Londra si annoia della vita’. Questo accade quando si permette alla
diversità, al nuovo, di influenzare le vecchie regole del gioco. Innovazione?
No. Umanesimo. Realtà. La constatazione che la società cambia e che il
passo da mantenere le regole a creare ghetti e muri di cinta è brevissimo,
quando la politica non si adegua, è brevissimo.
Per questo, il Paese Silenzioso è oggi nella posizione perfetta per un Big
Bang, un attimo prima di un’implosione che ci dicono i modelli economici, che
ci raccontano gli analisti quantitativi di tutto il mondo. Stiamo implodendo ma
dentro al cuore vorremo ancora una volta esplodere. Liberalizzare la politica,
renderla trasparente e tecnologicamente adeguata alla comunicazione.
Facendo in modo che i Politici Accidentali possano emergere dalle nebbie e
dall’instabilità istituzionale.
Subito dopo, “Effetto Wimbledon”. Le facce allegre e spensierate della
gioventù della Leopolda, il calore di un abbraccio o di una discussione piena
di idée piuttosto che opinioni. Centinaia di persone a dirsi, a brutto muso,
quello che conta. Pochi ‘inglesi della politica’. Vogliamo essere tutti come
Nadal, quando scalò in maniera anarchica la gradinata di Wimbledon, dopo la
sua vittoria contro Federer, da vero outsider, ma con tutti i numeri giusti per
farsi valere. Da casa mia, che guarda verso l’All English Club, sentivamo le
voci impazzite del campo centrale. In televisione le immagini di un giovane
spagnolo sul tetto della reggia di Albione.
Vorrei fosse un giovane pratese di origini cinesi il mio presidente del consiglio
quando andrò in pensione. Spring rolls e c aspirata. Come Don Milani
profetizzò sulla Chiesa.
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12. Gli Sconosciuti/Eroi comunque
Ci sono migliaia di foto sui siti dei social network di politici famosi, di
personaggi pubblici circondati da perfetti sconosciuti. Che sia Berlusconi o
che siano Bersani, Letta o Formigoni, attorno a loro ci sono sempre i soliti
volti, le facce degli italiani che ci provano, che cercano di trovare una ragione
e provare a schiodarsi dal muro dell'elettorato passivo cui sono stati crocefissi
tanti anni fa. Ci tornerò sull'argomento, sull'obsolescenza del modello partitico
(ma non degli ideali, anche se sotto le orride spoglie dell'ideologia
annacquata). Intanto osservo i ragazzi dagli occhiali colorati, le ragazze con
l'abito della festa, i signori di una certa età in regimental o maglioncino rosso
o azzurro. Tutti attorno al politico, al vate. Cene, pranzi, sagre. Feste in
discoteca o riunioni di sezioni provinciali. Sorrisi, larghi, vistosi. Sicuramente
le mani del politico logore dal troppo stringerne altre, la camicia appena
aperta.
Il fascino del ruolo, della politica. Le falene del popolo verso la luce. E questa
voglia di fare, bipartisan. Le opinioni che cercano conferma, che esondano
nelle discussioni. In ogni posto, sempre qualcuno con un'idea migliore, il solito
signore che si alza e invece di fare una domanda, comincia un monologo di
mezz'ora. È questo il popolo da riconquistare prima. Alla Politica Accidentale.
Leggo i titoli dei dibattiti, sempre qualche forma di santino del politico, una sua
disquisizione, una presentazione di un suo libro. Come se non esistessero
altri motivi per parlare con gli altri. La discesa del principe, quasi. L'autorità
donata dalle parole sicuramente, dalla sicumera con la quale il deputato, il
protoministro, chiunque sia, elucubra ed elabora un discorso sul niente
legislante. Autoreferente. Propaganda per il sé, nascosta, celata sotto un
interesse per l'altro. Storie simili, mi immagino. In un paese con problematiche
alte come le sue catene montuose, un Pianeta SIlenzioso dove ogni cosa è
tortuosa come le sue strade di campagna, le stradine che scendono a mare
lungo molte coste. I pensieri come paesi di collina, collegati da un discorso
che spesso non finisce da nessuna parte o si trova impantanato in code,
traffici di distinguo e differenziazioni cartacee.
Il Politico Accidentale osserva questa umanità magari dolorante, ma ancora
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sorridente nelle fotografie. E sa che chi ancora crede nella forza delle idee,
delle parole che diventano progetto, a cui si chiede al politico una direzione,
chi crede ancora in tutto questo è un eroe. Uno stramaledetto eroe nazionale.
Sconosciuto, ignoto. Una parentesi di vita e di speranze dentro un testo già
scritto, dove il politico navigato sa già cosa dire, cosa solleticherà l'appetito.
Come dire 'costolicci’ a un abruzzese.
Il Politico Accidentale avrà un programma, delle idee, saprà quale direzione
proporre, ma vorrà/dovrà ascoltare. Conoscere questi eroi ignoti. E renderli
visibili, accogliere le idee, le istanze e promuovere quello che accade
localmente a livello nazionale. Questi volti che si affacciano, le piccole o
medie realtà, le associazioni e le fondazioni. Ogni giorno, un'idea nuova per
cambiare il paese, ma in un ambito 'micro’. Piccole civili azioni quotidiane.
Come costruire autostrade ovunque, magari senza distruggere la bellezza di
quello che c'è attorno. Canali privilegiati, ma non lobbismo. Il Politico
Accidentale arriva dall'esperienza sul terreno, ha conoscenze specifiche,
cribbio, anche limitate. Ma sa di cosa parla. E dovrà ascoltare e farsi ascoltare
quando necessario. Il futuro della politica non è tanto il consenso ma
l'interessamento dei vari 'stakeholder'. Gli eroi del giorno che passa, della
notte dove si lavora e si costruisce, dei mattini di azione e i pomeriggi di
seminari. Gli eroi dei mesi dove si costruiscono idee che possano collimare.
Concertazione. La parola giusta. Concertare ed essere pronti a cambiare le
proprie idee, la propria concezione di mondo.
Questi volti che ho davanti, che brindano con l'europarlamentare, vogliono
parlare, essere dentro il programma, essere dentro il Parlamento e dentro il
Governo. Vogliono poter contare. O poter esprimere le loro idee. Od
osservare in un silenzio che sia denso di significato. Forse non vogliono più
pendere dalle labbra del solito vetrinista di partito. Non vogliono più neanche
sprecare tempo nel fingere una connivenza programmatica. Gli eroi che
costruiscono le Feste dell'Unità, che preparano i raduni dei giovani, degli
anziani. Gli eroi che parlano e che hanno un loro giudizio. Politica
Accidentale. Deve essere diffusa. I mezzi ci sono. Intanto, chiunque
raccoglierà la loro sfida dovrà tener conto del loro coraggio, della voglia di
giustizia, democrazia che diventa sbattimento. Rendere onore a questo è un
passo chiave. Il resto è tecnologia. Il resto è comunicazione. Quel che conta
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sono le persone, il rispetto che il politico gli deve, che passa anche nel far
presente cosa sia possibile o impossibile, cosa sia lecito, auspicabile. Spesso
mi immagino una campagna elettorale e la vedo come un autobus
impolverato che sale verso la vetta di un paesino. Caldo, polvere, camicie
bianche e un bar accanto al municipio di qualche parte del Bel Paese
Silenzioso. Le persone che si avvicinano all’autobus e cominciano a fare
domande. A chiedere, e a raccontare le loro storie. Se non sarà questa
l’anima del cambiamento, i volti, le persone, le mille anime dell’Italia, non
andremo mai da nessuna parte.
‘E donne strette dentro scialli neri
Vennero a domandare scelte chiare’
CSI - Inquieto
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13. Siamo noi la California, siamo noi la libertà Ogni volta che passo in macchina da Livorno, verso la Maremma, mi imbatto
in questo cartello stradale, che indica la California. Un quartiere, una zona
della provincia di Livorno, sulla cui etimologia esiste un dibattito ormai
pluriannuale con parenti e amici. C'è chi gli assegna una forma di significato
romano, dove i forni sono i canali di irrigazione. O chi fa credere a tutti che il
nome derivi dai primi emigranti di ritorno che dissero 'sembra la California
qui...', il che è in fondo vero. Le colline basse, vitigni come in Napa Valley, se
non più pregiati, un mare bizzoso e ventoso a pochi chilometri. Pure lo stile di
vita e l'accento dei Livornesi potrebbe essere benissimo adattabile a quello
degli americani californiani. Tutti sole, vita, energia e sfottò.
Come tante parti dell'Italia, anche la toponomastica cambia in base
all'influenza degli italiani di ritorno, della commistione fra generazioni e popoli
diversi. Ma il punto non è quello. È quello che definisco il ‘displacement effect’
che la politica dovrebbe attuare. Ridonare il senso di un mondo nuovo a cui
dare un nome altrettanto originale e nuovo. Si parla di displacement quando
qualcuno vede una cosa, un oggetto, un panorama e lo associa ad altro, a un
altrove reale, conosciuto o immaginario. 'Bello, sembra Bucarest' dice un
attore di Ovosodo, di un altro livornese californianamente ispirato, Virzì,
quando entra nel quartiere dove il protagonista, il figlio della classe operaia
toscana, vive con la famiglia. Bello, sembra Bucarest. Bello, sembra Clinton.
Sembra Blair. Sembra una democrazia. Sembra bipolarismo. Sembra
qualcos'altro. Sembra un inizio di guerra civile cilena, potrebbe aggiungere
qualcuno.
Eppure, il Displacement Effect aiuta, sposta la discussione sulle differenze, su
quello che ci manca per essere un paese non più silenzioso moralmente. Su
quello che ci ha reso un tempo, seppur brevemente, una fucina di talento, di
innovazione – ma perche’ eravamo il centro dell’Occidente. La bellezza ci
rimane, ma sempre più sfiorita. Non rinnovata. Decontestualizzata. Lo penso
ogni volta che mi avvicino ai centri storici di una qualsiasi città non solo
italiana, ma europea. Le file di negozi tutti uguali, la stessa edilizia in serie,
attorno a Lille, Bruxelles, Londra, Firenze.
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Poi, a scavare, a fermarsi a quardare il particolare, si scoprono, anche in
Milano, dei frammenti, delle piccole tasche di bellezza. E che richiamano
altro.
Vorremmo poter usare qualcosa di quello che vediamo attorno. Potremmo
ripensare tante cose, ispirandoci ad altre esperienze. Il Politico Accidentale sa
che bisogna non imitare, ma sviluppare, usare la fantasia, la conoscenza,
l'esperienza e provare a riproporre, a rimodellare intuizioni che altri hanno
avuto. Lo facciamo in tanti ambiti. Dal metodo champenois all'uso del curry
nella cucina. Oppure, esiste un'altra maniera. Riscoprire i frammenti di altro in
quello che abbiamo attorno e svilupparli. Riprendendo il discorso degli eroi.
Usare quel frammento di alterità che abbiamo attorno. Dagli stranieri che già
vivono con noi, capire, approfondire quali sono i loro valori. La California o la
Cina che già sono fra di noi. L'Angola ed il Senegal, la Romania e la Russia,
la Pampa, le Ande. Tutto il mondo che già aleggia attorno.
Una cara amica è stata coinvolta in un progetto del Comune di Milano, dove
le comunità straniere sono state incluse in una serie di incontri regolari con
l’assessorato alla cultura meneghino, e dove ognuno porta il suo contributo.
Ero lì una sera tiepida di dicembre, dentro il palazzo reale, una stanza
enorme piena di persone e colori. Un momento di una commozione profonda,
quelle voci che parlavano un italiano corretto e pieno di accenti per poi
svisare naturalmente in altre lingue, inglese, spagnolo. Voci, musiche, idee.
La California che è in noi che già parla, si muove, nei bambini che vanno a
scuola e parlano in romanesco e giapponese. In questo progetto del Comune,
le comunità straniere dovranno funzionare da ambasciatori per l'Expo di
Milano. Il Displacement Effect, quando le delegazioni delle varie nazioni
arriveranno. Troveranno questi volti, ancora una volta eroi, ad attutire le
difficoltà in un paese contorto ma alla fine ospitale come l'Italia. Parlano la
lingua, conoscono la cultura. Sanno che certe cose non si fanno o si dicono.
Displacement. Spiazzamento. Rendere accogliente la politica allo stesso
modo. Il Politico Accidentale saprà accogliere queste istanze. Per rendere il
mondo di tutti più idoneo ad accogliere la diversità, le opinioni che diventano
fatti, azioni, opera e dismettere tutto il chiacchericcio che soffoca ogni
riunione, ogni convegno. La fuffa, la palla di cotone nella gola dei gatti. E noi,
il pubblico televisivo, in sala, in radio, a osservare questi animali che
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tossiscono parole, si contorcono prima di vomitare una palla di argomenti
dismessi da tempo.
La Politica dovrebbe avere la stessa profondità di un cielo californiano,
dovrebbe far sognare il sole di Vada o di Puerto Escondido. Aprire a orizzonti,
terre promesse, ma costruendo in attesa del prossimo Big One.
Siamo noi la California, siamo noi la libertà.
==========================================
FakeCaliban - 'Ho atteso questa visita per molti anni, temuta e desiderata allo
stesso tempo’
Duca di Milano - 'È per quello che non ti sei mai spostato da qui?'
FakeCaliban - 'Si. Mi accontentavo dei resoconti di Ariel che volava sopra gli
oceani. Ma mi immagivano già tutto e trovavo qui attorno a me luoghi e
oggetti che immaginavo fossero frammenti di altri mondi’
Ariel - 'Non hai mai pensato che magari inventassi tutto?'
FakeCaliban - 'Tutto è inventato, qui, cara Ariel. Siamo già un'invenzione di
quello che vorremmo, no?'
Duca - ' Per quello ci odi, perchè non siamo quello che volevi?'
FakeCaliban - ' No, vi odio e amo allo stesso tempo perché, rivelando la
menzogna che vivevo, mi avete rivelato la verità su di me. Avete interrotto un
sogno, che è alla radice del mio odio, ma lo avete rimpiazzato con l'evidenza
del mondo, della necessità di un futuro che sia migliore di tutto il passato che
ho avuto su questa penisola’
The FakeTempest - K. J. Okker
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14. Big Ben/Bang/Bond
Mi piace giocare con le parole, forse come scaramanzia per evitare che
giochino loro con me. Significato e significante. La parola che diventa veicolo
surreale di collegamenti. La parola comunica, c’è poco da fare. Come le
immagini che evoca.
Passo spesso sotto al Big Ben, che è un’immagine perfetta della maniacalità
che gli inglesi hanno per il dominio del tempo. Non tanto con la sua
precisione, che in quello gli svizzeri hanno il monopolio. Parlo di Dominio. Di
controllo. Del tempo, della sua misurazione. E della constatazione che il luogo
che definisce lo scorrere del tempo passa da qui vicino, a Greenwich. A
partire da questa linea immaginaria che attraversa Isle of Dogs ed il museo
della Marina sul Tamigi (frall’altro una delle gemme poco conosciute dai
turisti, ma questa non è una guida di Londra). Il Big Ben detta il tempo della
politica, provvede per la tempistica degli incontri, delle sedute del Parlamento
inglese. Fin quando si arriva dalla City, si vede il padellone bianco di
Westminster. Ci si regola subito. Il tempo dell’economia è e deve rimanere in
linea con quello della politica. Come dicevo prima, il Big Bang della Tatcher
ha riaperto il mondo i mercati del mondo all’incertezza e all’opportunità, ma
dentro il grande alveo delle regole. Quel gran divario fra il darwinismo
regolamentare angloamericano/sassone e la regolamentazione come
macigno alla Mosè Europeo e asiatico. Precedente contro Statuto.
Quel che conta è dominare il Tempo, quello degli eventi che accadono e che
necessitano cambiamento e i minuti e le ore, prima che giorni, settimane,
mesi e anni, passino invano. Il Big Ben ricorda a tutti che esiste un tempo che
passa per tutti e che per continuare a dominare i Tempi si deve promettere
alternanza, opportunità.
Il Politico Accidentale sa che il Tempo ha un valore enorme. Lega le
generazioni, le loro aspirazioni e, come in ogni attività umana, determina il
ritorno, il valore aggiunto che ci aspettiamo da ogni azione. Un valore che può
e deve essere sociale. Il tempo esalta e logora le passioni delle persone, le
rende urgenti, immanenti e poi spenge gli ardori, le pulsioni, in una forma di
grigiume senza forma. Il tempo va dominato o dominerà la politica. Da un lato
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impedendo il ricambio generazionale, dall'altro facendo accavallare
generazioni.
Bisognerebbe garantire per legge, ogni tanto, un Big Bang, una rivoluzione,
che, in assenza di un desiderio di sangue e violenza, di guerre civili e morti,
renda il cambiamento al potere un obbligo. Introdurre alla politica persone
nuove, diverse.
Il Politico Accidentale è chi si offre alla comunità per risolvere problemi, per
offrire i suoi servizi, ma sulla base della sua fungibilità ed esperienza
personale. Il tempo, che secondo gli scienziati non esisteva nel mondo prima
del Big Bang. E ora è qui, alimenta i nostri sogni e le nostre frustrazioni. Ma
crea le generazioni. I team, le associazioni, diciamo anche le correnti. In
realtà il tempo dovrebbe diventare una maniera con la quale politici ed elettori
di età diverse riescono a comunicare, a collaborare. Non più a competere.
Da Big Ben a Big Bond. Siamo ‘uno’. Come le nervature di una foglia. Siamo
un passo del percorso dell’evoluzione. Siamo tutti parte di un cammino della
società umana. Ed è questo legame che permette la sopravvivenza. Che
impedisce a un qualsiasi dittatore folle di schiacciare un bottone che lanci
missili nucleari, che faccia ricadere il pianeta dentro un caos primordiale. Il
Grande Patto, o il Grande Abbraccio dell’umanità. Che sono i nostri padri, i
nostri figli e i loro figli, che già ci immaginiamo simili a noi. Quella genetica
che viaggerà ancora lungo le stesse strade. La Politica Accidentale un
processo che permetterà di stabilire quail sono le possibilità del futuro,
determinare quail sono le emergenze e le urgenze dettate dal Tempo.
Guardare ogni tanto il Big Ben. Favorire che il Grande Legame non diventi un
peso ma un’opportunità.
Tutto questo vuol dire pianificazione, sostenibilità e temporaneità del lavoro
del Politico Accidentale. Una 4x400 piuttosto che una maratona. Quegli ultimi
50 metri prima di passare il testimone, lo sguardo della persona davanti,
magari tua figlia, un sorriso, la posizione della mano tesa. Il bastone che
viene passato, lo sguardo della staffetta che ora sfida la corsia, ondeggia per
trovare un equilibrio e riparte, mentre la folla esulta. Il tuo cuore che quasi si
ferma. Il sangue carente di ossigeno. La luce di un’arena di atletica. E
qualcuno che corre ad abbracciarti. Questa dovrebbe essere la Politica
Accidentale. Purposeful.
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15. L'iridescenza Blairiana
Sono arrivato a Londra nel 1997, nel momento preciso in cui Blair esplodeva.
Un nuovo Big Bang inglese. Le classi medie e proletarie con una qualche
forma di aspirazione che ritrovavano la loro voce, il loro volto. Questo non
accadde per caso. Fu un processo egregiamente e dolorosamente ricostruito
da Philip Gould in ‘The Unfinished Revolution’ che dovrebbe essere lettura
obbligatoria per chiunque voglia fare il progressista. Si renderà conto del
momento assoluto di rottura e di rispetto della tradizione che Blair e la sua
gang imposero a un partito che aveva paura di perdere. A un paese che stava
uscendo da una crisi economica, reduce da una guerra breve ma intensa
contro l’Argentina e una continua minaccia dall’Irlanda del Nord. Un paese
anche recidivo, sempre più aperto al mondo. Il Big Bang della Tatcher e il
grande spettacolo Blairiano, l’arcobaleno della cultura multirazziale
anglosassone degli anni ’90.
Un paese che seppe cogliere il giusto momento per diventare riformista e
innovativo. Le cose cambiarono sotto Blair, io c’ero. Un senso di positivo, di
nuovo. Il Brit Pop e la Brit Art. Un senso di orgoglio non tanto di appartenre a
una nazione ma di essere tutti artefici di un momento di novità. Si respirava
ovunque, la Cool Britannia. Tutt’ora, anche durante la crisi economica, rimane
quel senso di possibilità, di opportunita; che si impara durante le difficoltà. Da
qualche anno va di moda la Stayation, cioè la vacanza estiva in Inghilterra o
Scozia, senza andare nel Chianti, in Spagna, nelle Algarve o dai cugini
neozelandesi. Gli inglesi sono capaci di muoversi da big spenders d'Europa a
un’austerità personale e collettiva senza soluzione di continuità. Da qualche
parte nella loro genetica hanno il DNA dello sforzo, del sacrificio. Tempo non
per cattedrali, ma per un tè o una pinta. Tempo non per viaggi esotici, ma per
camminare attraverso le colline del Kent. Come se si preparassero a qualche
altra migrazione di massa.
Ma questo è leggermente fuori tema. Quel che mi interessa sottolineare è
che quella iridescenza che ha permesso a Blair di sfavillare ed eccellere, la
sua capacità di tirar fuori il meglio della società civile o capirne le vere
necessità, i suoi bisogni, era dentro un genoma della politica come servizio.
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Sicuramente ha giocato un ruolo importante la ricerca assidua di Gould e dei
suoi ragazzi su dati statistici, demografici, la sua persistente e tenace ricerca
di informazioni laterali, sondaggi astrusi, ma che raccontavano una fetta
d'Inghilterra. Per un certo periodo, Tony non ne sbagliava una. Come quando
cerchi qualcosa su Amazon un libro e ti suggerisce qualcosa che ti interessa.
Blair parlava di qualcosa, di salute, di sistema sanitario, e ti parlava anche di
uguaglianza sociale, di lavoro e di sviluppo. Andava al funerale di Lady D e
ricordava a tutti che la grandezza della Famiglia Reale alla fine era la
grandezza di un popolo attorno, una Magna Charta di carne e ossa. La
legittimazione del potere assoluto costruita dall’assenso di milioni di individui.
Un Leader Accidentale necessita di questa iridescenza, di questa maniera
sottile in cui poche parole dicono tante altre cose. Un continuo rimando ad
altro. Non come distrazione dalla questione principale, ma come la capacità di
vederla inserita in un contesto, in una visione. Cribbio.
Chi vorrà aspirare a guidare il Paese Silenzioso fuori dalla sua opacità dovrà
avere questa iridescenza, questa maniera di affrontare i problemi come se
fosse sempre in nome del popolo che rappresenta, qualcuno che capisca,
come detto prima, il Tempo e i tempi. Qualcuno che permetta alla società di
emanciparsi (ma si, usiamola questa parola sempre meno usata), di
accogliere e di considerare differenti istanze, ma di aver ben chiaro in mente il
da farsi. Una mappatura. Non è un caso che Monti piaccia molto agli italiani e
che riscuota successo all’estero. Ha in sé quel gene di esperienza, di capacità
di lettura del reale. E di praticità. Non ha lo sguardo ammaliante di Blair o la
ferocia elisabettiana della Tatcher. Non è un imbonitore come Berlusconi. Ma
ha gli occhi di chi sa cosa dice e sa cosa aspettarsi da quello che promuove.
In comune con gli omologhi inglesi citati. In comune con un Fanfani o un
Berlinguer giovani, che avevano chiara la sfida di fronte, sapevano il costo
sociale e politico di certe scelte, ma le fecero comunque. Quello che si
definisce 'bene comune’. L’iridescenza del Politico Accidentale. Di chi serve,
piuttosto che di aspettarsi di essere riverito.
Un punto di metodo. Blair, come la Tatcher, è stato la propaggine apicale di
un iceberg di lavoro, sui dati, sulle persone, sull’intelligenza e
sull’innovazione. Blair non era Blair senza il suo team, senza le persone che
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lo consigliavano, senza le persone che lo fermavano per strada e gli dicevano
cosa pensavano, ma soprattutto Blair non sarebbe stato Blair se non fosse
stato investito e reso tale da una sua ambizione condivisa dall'ambizione di
quelli attorno a lui. Purtroppo ha fallito in una cosa, non ha lasciato eredi
evidenti, schiacciato da un'alleanza con Gordon Brown, ma anche quel
momento di sconfitta del Labour ha insegnato tanto. Il Politico Accidentale ha
coscienza della sua finitezza, ma dell’infinitezza delle permutazioni del popolo
che serve. E capisce quando è il momento di lasciare. L’ultima grandezza di
Blair fu quella. Lasciare con tutto il suo bagaglio di responsabilità e di errori
del suo secondo mandato. Lasciando un partito ferito, non necessariamente
morto. Permettendo che nuove forze cominciassero a rigenerare il Labour e la
sua presa sulla società.
Nel Paese Silenzioso, ogni leader serio della coalizione progressista non
potrà esimersi da questo lavoro, da questa assunzione di responsabilità. E
dovrà avere un volto che parli alla gente non dei loro limiti, ma di come tutti
compartecipiamo alla loro risoluzione. Un volto che parli di futuro che passa
attraverso la fatica del presente. Di un futuro che non sia populistico,
demagogico. Nella mia testa, non credo in un mondo che debba diventare
pauperista, dove chi ha fatto fortuna, come alcuni ministri del governo Monti,
in maniera del tutto legittima e professionale, debba essere considerato
distaccato dalla società.
Non credo che la ricchezza in sé sia un limite, o un peccato mortale. La sua
ostentazione, lo è. O, meglio, l'ostentazione di uno status, che in Italia è uno
sport nazionale. A partire dai politici, il cui benessere dipende e deriva da
quello del loro ruolo pubblico. Senza arrivare alle macchine blu. Ai politici
chiedo di ascoltare e di farsi umili di fronte alle persone. Non chiedo di
stracciarsi le vesta, ma di sedersi dove siedono e far lavorare il cervello non
su come assicurarsi un futuro e ruoli redditizi, ma su come spostare il paese
su un percorso di solidità sociale e finanziaria. Assieme a loro.
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16. Dal Partito Ottocentesco alla Rete Neurale
Quando Blair ha lasciato la sua ‘cadrega’, era chiaro che i Laburisti avrebbero
perso le elezioni, cosi; come quando Bush The Second finì il secondo
mandato, fu chiaro che anche un pescatore di frodo avrebbe vinto contro un
candidato repubblicano. Ma questo non fece abbassare la guardia sia in UK
che in America. Non ci fu una scelta alla ‘meno peggio’, ma processi robusti e
partecipati come mai prima, soprattutto in America, per trovare successori a
due personalità ingombranti, per motivi diversi.
E qui vorrei soffermarmi sulla natura dell’organizzazione e della ragion
d’essere dei partiti politici in Italia, in Europa, come sono oggi. Non vorrà
essere una difesa del bipartitismo, ma piuttosto una critica dell’obsolescenza
di un modello partitico. Di un’organizzazione che ormai, come i sindacati,
protegge le rendite di posizione - e che rendite - di partiti e movimenti politici
inesistenti, non presenti sul territorio o talmente transienti che è difficile
capirne l’affidabilità. La sinistra italiana ha cambiato così tanti simboli e nomi,
che anche Prince ne rimarrebbe stupito. Peraltro non regalandoci argomenti
probabili, se non una continua serie di scaramucce interne e di discussioni
sull’interno del movimento piuttosto che sul futuro del paese, su una visione
che sia ragionata e condivisibile.
Perché? Perché accade a tutti, se io oggi mi spostassi a fare il mio lavoro in
un’altra banca, probabilmente manterrei le stesse idiosincrasie. Qui si parla di
due generazioni di dirigenti di alcuni partiti storici italiani, dal PCI, alla DC, che
sono gli stessi, le stesse cellule, lo stesso DNA, spesso accompagnati dai loro
allora giovani fedeli, che si ritrovano a fare un lavoro simile, a parte il simbolo.
Che bandirei. Perchè un simbolo evoca, crea un immaginario. E questo è
sbagliato. Perché quello che promettono nelle poche parole del simbolo,
democrazia, progresso, non esiste. Non appartiene al DNA stesso dei partiti
gerarchici e controllati furiosamente nel dettaglio da segreterie e strutture
amministrative complesse come ministeri.
Amministrazione finanziaria, di risorse umane. Sicuramente che generano
lavoro, reddito nazionale. Quale sarà l’incidenza della politica, come indotto,
nell’economia del paese? O, quali saranno i costi? Alla fine, le conferenze di
partito creano esperti di immagine, design, catering, ma non aiutano a
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svecchiare la leadership di partito. Non educano i giovani, le scuole di partito.
Perchè dovrebbero mandarli per due settimane in un quartiere depresso del
Sud o a lavorare in un call center, piuttosto che dargli un badge disegnato da
Giugiaro e riunirli in un castello dell’Appennino Tosco Emiliano o in una
località termale del Lazio.
I partiti puzzano. Non di sudore, di fatica, ma di morto. Sono strutture che non
si rinnovano, perchè ci sono troppi interessi o, forse, mancano le idée, le
alternative. Molti leader parlano di OpenGov, ma pochi, nessuno, di
OpenParties. Chi finanzia le campagne elettorali, dove finiscono i soldi, dove
vengono spesi, in quali ristoranti, in quali iniziative. Come viene risolta la
sperequazione delle risorse finanziarie, aiutando le sezioni meno abbienti? E
chi controlla il patrimonio immobiliare? È fruibile a tutti?
Fondo di Fondi si definirebbe in Italia il sistema partitico. Liquidità, Real
Estate. Magari azioni di banche del centro Italia, dove il partito ha investito. Ci
sono forme di controllo, rappresentanze politiche nelle Casse Cooperative,
nelle Fondazioni bancarie. Che potrebbe aver senso, data la correlazione fra
interventi locali delle banche e benessere sociale. Ma ci vuole più
trasparenza, anche sulla capacità dei membri dei consigli di amministrazione
delle banche locali, a nomina politica. Sulla loro competenza. E sul loro
contributo.
Ci si chiede se sia davvero il caso che i partiti investino in Tanzania, che
abbiano accumulato patrimoni enormi, ma tutti senza alcuna forma di
controllo rigoroso. Perchè da questo gioco non si salva nessuno. Il
plurisecolare PD, che ha immobili ovunque, il PDL, la cui macchina
organizzativa ha un costo che stento a credere sia coperto solo dalle tessere
e dal finanziamento pubblico.
I partiti come sono oggi sono un’altra reliquia dell’Ottocento, di un periodo
dove l’organizzazione territoriale delle forze politiche doveva ricalcare come le
altre forze in gioco - la Chiesa, lo Stato - erano organizzati. Ci voleva una
sezione di fronte al Duomo, di fronte al Palazzo del Pretore. Ci volevano
eventi che avvicinassero le persone, Feste Locali, Rionali. E questo non era
sbagliato. La nostra democrazia, seppure traballante, è riuscita a
sopravvivere grazie alla capillare presenza dei partiti nel tessuto urbano e
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rurale del Paese SIlenzioso. Le idée passavano per dibattiti e discussioni
nella piazza centrale. Ora le piazze, i circoli sono vuoti, deserti. La rete parla,
la rete neurale, che ci mette in contatto, crea questo cervello elettronico, ma
dove ogni neurone è una persona, un’idea. Il futuro passa per la banda larga,
per la capacità di chi ha voglia di impegnarsi in politica di associarsi e di
creare opinione, e dall’opinione politica, visione. Programmi.
Non è solo un problema di sviluppo tecnologico, ma di atteggiamento
mentale. Il mondo accade, avviene, ora. Si sviluppa. Come in finanza, le cose
cambiano ogni giorno, si rivedono i piani come se dovessimo ogni momento
decidere la posizione giusta. Spostamenti minimali e strattoni verticali, forti,
profondi.
I partiti come concepiti oggi non ce la fanno più. Usano la rete come forma di
marketing e non come piattaforma di creazione di idée, di sviluppo di
soluzioni. Politici illustri scrivono su Facebook o Twitter, ma come se fossero
post-it. La gente risponde e loro non reagiscono mai alle provocazioni. Si
perde così quella cosa stupenda di sviluppare il pensiero. Di combinare prese
di posizioni diverse e condensarle, sintetizzarle in qualcosa di condiviso. A
dire il vero, non me ne potrebbe fregar di meno che Letta parli a
RadioStereoNotte, se so che non riesco a influenzare, come affiliato allo
stesso partito, come uno che dovrebbe condividere I suoi ideali, almeno
l’azione (che il pensiero è una libertà individuale. Posso fare si con la testa,
ma ho la liberta; di pensare che la persona che ho davanti sia un bischero).
Un convegno di partito oggi potrebbe accadere in streaming. Bersani a mollo
nella sua vasca da bagno potrebbe arringare tutto il PD, senza spostare
centinaia di persone. Deludendo i vari operatori del catering e chi gli
affitterebbe il salone o il palazzo dei congressi. Ma questa è una
estremizzazione. In realtà, la tecnologia offre molto di piu; la capacità di
condividere documenti programmatici, di discutere e cambiare gli stessi
programmi in tempo reale. Durante il dibattito, in fasi pre o post congressuali.
Un Partito Neurale e non, come oggi, Nevrotico. Il segretario e la dirigenza
come Webmaster di questa rete enorme di speranze e possibili soluzioni.
Il Politico Accidentale arriva da contesti di lavoro dove il mondo viaggia già su
queste lunghezze d’onda, dove la comunicazione diventa creazione, sviluppo.
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Conference call attraverso gli Oceani, documenti condivisi, esaminati da varie
persone. O vive questa esperienza con gli amici attorno. Un partito serio
dovrebbe avere sezioni virtuali. Accanto a quelle locali, accanto alla rete
locale di Persone, non di Patrimonio Immobiliare e Interessi di Parte.
Una nota a margine. Il Territorio conta, nella visione della Politica Accidentale.
Non si predica la chiusura delle sezioni dei partiti, o la loro trasformazione in
edilizia popolare, ma lo smantellamento di questa visione univoca
ottocentesca in cui quello che accade a Roma diventa prima Vangelo e poi
Corano lungo la strada. Ci vuole una Riforma Protestante dei partiti. E, come
sempre, saranno le periferie dell’Impero, come fu la Germania, come fu il
povero Savonarola, a farlo. Lo stesso che (come scopro grazie a un
eccellente saggio di, ahimè, un inglese) inventò il pamphlet stampato ancor
prima di Lutero, la canzone politica e, sicuramente, fu la prima grande vittima
di un piano di Austerity. Certe cose non cambiano mai, ancora una volta
rivoluzioni che nascono da nuove possibilità di comunicazione. E dal
Territorio, dalle periferie come fonti di ispirazione piuttosto che come aree di
evangelizzazione.
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17. La Sfiga
Non esiste la sfiga in politica, ma esiste l'incompetenza che si traveste da
sfortuna, malora e si tramuta in disappunto e in una generale incapacità di
capire cosa è andato storto. Come non esiste in finanza. Alcuni storici
raccontano che la grande crisi di Wall Street del 1929 cominciò quando
Milady Luck morì. Di sifilide. Era una delle matrone di uno dei bordelli di lusso
di New York. E molti banchieri, nel timore di essere contagiati, vendettero
azioni all'incanto scatenando la prima ondata di panico. Ho provato a
verificare questa storia raccontata in un film breve sulla crisi
(www.crisisinthecreditsystems.org), ma non ho mai potuto confermarlo in
fondo. Sicuramente, c'è molto di vero. Scaramanzia, terrore della fine, denaro
e sesso. Un classico.
Nella politica, accade che si cerchi il 'culprit', il capro espiatorio al di fuori di
noi, come in ogni ambito umano. E così funziona anche nella sinistra italiana.
Si cercano scusanti, si accusano divinità mediatiche, ma non si capisce che la
'sfiga’ a volte ce la vogliamo tatuare addosso o godiamo nel portarla in giro
come una patrona nel giorno di festa. Non ci sono par condicio, ceteris
paribus, omnibus e parabellum, porcellum che tengano. We call the shots.
Il Politico Accidentale, proprio perché abituato spesso alla complessità della
vita reale, sa che i votanti sono persone, che ci sono bisogni, che ci sono
correnti di pensiero, ci sono statistiche che possono raccontare dove vuole
essere l'elettorato. Al di fuori degli esperti dell'opinione che spesso si fanno
un'idea su sondaggi telefonici e impressioni raccolte su terrazzi settembrini
romani. Esiste una politica che passa dalle cose pratiche. Da una discussione
fatta nell'androne di una casa popolare, da uno studio di informazioni
disparate. Da cosa ascoltano le persone su iTunes in un'area geografica.
Siete depressi calabresi? Perché ascoltate Adele così tanto? Perché durante
la crisi smettiamo di fregarcene di accoppiare i colori e facciamo crescere la
barba, o tagliamo i capelli? Cosa raccontano questi segnali? La politica non la
domina la sfiga, ma dovrebbe essere l'ultimo dominio dell'umano, quello
supremo dove conti l'ontologia, la conoscenza dei comportamenti che usano
società come Amazon e Facebook per capire cosa ti piace, se sei un target
per mogli russe o per peeling facciale. Ma questo sarebbe solo marketing. Il
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Politico Accidentale usa l'informazione, ma il metodo è non la vendita di un
prodotto, ma la soddisfazione di un bisogno, di un'esigenza.
Soluzioni eque, condivise. La forza della sinistra italiana è la sua capacità di
dibattere. Se riuscisse ad aggiungere a questo un elemento di introspezione
sociale e una capacità di tagliare con la fuffa, con la capacita; di chiudere un
incontro senza un aggiornamento ma con un 'visto, si faccia’, saremmo a
cavallo.
La sfiga è roba da Ottocento, da un mondo dove scrivevano Verga e Pascoli.
Tutto è concatenato, perdi perché non ascolti chi ti dovrebbe votare e pensi di
poter imporre il tuo pensiero. Perdi perché ti focalizzi in informazioni che le
persone non capiscono. Perdi perché spaventi piuttosto che rincuorare.
Perdi perché credi nella sfiga, in una forma di destino avverso, piuttosto che
nell'evidente baldanza che dovresti avere. La Politica Accidentale non include
la sfiga, ma l'incapacità, come fattore determinante di una sconfitta.
L'incapacità temporanea, anche intelligente e sapiente, la distanza con
l'elettorato.
Avvicinarsi all'elettorato vuol dire flessibilità, uccidere i dogmi, le teorie
precostituite. Come sono obsoleti i partiti ottocenteschi o del primo
dopoguerra, così sono obsoleti i teoremi. Ricordarsi di tracciare una linea,
quella vera Linea Gotica che è il tempo. Che domina le azioni e che, se ci fa
dimenticare le doglie del parto, potrebbe farci dimenticare Vasto, il Congresso
di Livorno e le elezioni del 1992.
La Politica Accidentale è un foglio bianco dove poter mappare ancora una
volta cosa vogliamo essere, senza paura delle batoste, senza paura di un
destino avverso. Shit happens. Have a cup of tea. E riparti.
Praticamente, vuol dire una cosa. Novità nei volti, nei programmi.
Riconsiderare le teorie che hanno condizionato le scelte politiche in maniera
aperta, non didascalica.
Qui a Londra, abbiamo cominciato un piccolo esperimento. Persone di
diverso orientamento progressista - dal Renzista Consapevole che sono io,
fino al giovane comunista, il Veltroniano, un DiPietrino, insomma, varie
umanità e facce della sinistra - stanno pianificando di trovarsi periodicamente
e discutere su alcuni temi. Credito alle imprese, Europa, Diritti dei Lavoratori.
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A tutto campo. Non lasciando niente al caso. Una specie di Collettivo Amedeo
Nazzari. Niente siti web o altro. L'idea è partire dalla provocazione di alcuni
temi e trovare un discorso, non tanto un luogo, comune. Un 'logos' che diventi
parola e proposta, sperando diventi azione. Con l'idea che queste idee
diventino un 'volantino’ di punti, di idee che condividiamo. E che vorremmo
fossero parte di un discorso più grande, a livello nazionale. Amedeo Nazzari è
vivo, a Londra. La sfiga non esiste. Ci sono uomini e donne, idee e pensieri,
azioni e proposte. Con l'idea che esiste un bene maggiore per il quale siamo
insieme, che sopravvive anche le nostre idiosincrasie. Quello del progresso
umano.
'We are the people and we live forever'
John Mellencamp
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18. La Fuffa
Ricordo una chiesa di un paesino di montagna, in Alto Adige. Non ricordo la
valle. Ma ho ancora memoria del freddo alle ossa, dopo una colazione
abbondante, il rumore del torrente e l'aria sontuosa di un mattino di inizio
luglio. L'odore di pini e le cime ancora innevate. Con alcuni amici corriamo
dietro l'abside di questa chiesa, alla ricerca di un posto per un caffè, prima
della arrampicata dolomitica. Il primo di noi gira l'angolo ed esclama 'O
questo??'. Arriviamo ridendo e ci fermiamo basiti. Un affresco enorme, su
tutto il lato di quella che è la casa del parroco, forse. Un palazzo di qualche
secolo fa. Demoni, angeli, un mostro al centro e tutta una serie di persone
che si muovono, come in un palco delle fortune della vita, dai lati del dipinto,
verso il centro, dove un gorgo di fiamme e braci li attende, o verso un empireo
che era raffigurato come un cielo azzurro, sicuramente originalmente. Un
occhio di Dio e vari santi ad accogliere anime ripulite dal peccato.
Uno dei miei amici si gira e dice 'certo, all'epoca, mica scherzavano. Avevano
chiara la distinzione fra bene e male, mica come noi, con tutta questa fuffa nel
mezzo...'
La fuffa nel mezzo, quella forma di relativismo filosofico, per cui la verità sulle
cose rimane sempre offuscata, mediata, patteggiata. Non che nel Medioevo
se la passassero bene. Forse, con tutta l'incertezza del vivere, fra pestilenze,
guerre e carestie, c'era la necessità di una giustizia divina. Di una forma di
'Livella’, perlomeno dichiarata. Vita e morte, giusto e ingiusto. Onesto,
disonesto. Endiadi chiare. Non sono un nostalgico, lo devo dire. Non credo in
un mondo migliore del passato, non credo neanche che la mia gloriosa e
amatissima Firenze fosse un posto stupendo dove vivere attorno al 1480.
Litigi, omicidi, rivolte, peste e povertà diffuse. Torture. Famiglie distrutte
sull'altare del dio denaro che all'epoca faceva di Firenze una specie di Wall
Street in forma di quadrilatero. Dove le controversie sulle operazioni
finanziarie si risolvevano con condanne a morte. Bianco e nero. Forse
qualcosa di quel mondo ci manca, in un Paese Silenzioso dove i corrotti non
riescono ad abbandonare la presa, la poltrona e dove giusti sospetti su
pratiche di finanziamento a politici e partiti non si risolvono con inchieste
parlamentari, con una rinnovata castità di costumi, ma con un richiamo di
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cospirazioni, trame, congiure. A destra e sinistra. Trasparenza, tutti chiedono.
Onestà, mi vien da pensare. Il Politico Accidentale deve saper parlare anche
dei suoi limiti, dei suoi peccati veniali. Deve conoscere le regole, usarle.
Seguirle. Se non ci si affida a quei brandelli di certezza che la nostra
Costituzione, il nostro impianto di diritto civile e penale affermano, come
possiamo pensare che quella zona di fuffa possano rispondere a quel bisogno
crescente di solidarietà e di riforme?
Noi siamo prigionieri di questa fuffa, che diventa uso scriteriato di dati, di
informazioni, di sondaggi e di opinioni. Che permettono di controllare da dietro
l'opinione pubblica. O di ritardare il momento che arriverà comunque della
rivelazione, che non c'era un piano, una fuga, ma un inseguimento
dell'elettorato.
'Where is the Life we have lost in living?
Where is the wisdom we have lost in knowledge
Where is the knowledge we have lost in information?'
T.S. Eliot ‘The Rock’
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19 Accident Waiting to happen (Billy Bragg said)
Nella mia vita mi occupo di gestione di rischio, ogni giorno scandaglio la
realtà, o un suo angolo specifico, alla ricerca delle aree dell'economia e della
finanza che potrebbero collassare. Cerco il disastro prossimo venturo,
sperando di evitarlo. Mitigazione del rischio, dell'incidente. E questo è difficile
quando allo stesso tempo ho ben cosciente il ruolo che le banche hanno nella
nostra vita, nella società moderna. Non si possono chiudere i rubinetti del
credito, ma bisogna evitare che la crisi finanziaria si propaghi come un virus,
come una malattia. Un gioco di bilancio, di giudizio e di continua discussione.
Di fatto, la gestione del rischio, dentro la finanza moderna, ha un ruolo
sempre più importante. Ci sono varie categorie, da quello di mercato, al
credito, il rischio operativo, quello reputazionale. Ogni elemento dell'attività
economica e sociale che crei incertezza è un rischio. O una potenziale
opportunità. Come sanno bene molti 'strutturatori finanziari’ che hanno usato
prodotti creditizi per generare altra ricchezza, spesso virtuale. Ma questi sono
eccessi che la storia sta punendo e ripulendo. Come era lecito aspettarsi, a
momenti di euforia finanziaria, seguono quelli di moderazione, di 'purga’.
Ed esiste una grande differenza fra 'incidente’ e 'accidente’. Qualcosa che è
accidentale è qualcosa che accade, che si manifesta e che diventa manifesto.
E da quel punto non puoi più evitarlo. Accade. Come un figlio, come un
temporale in campagna che ti costringe a correre al riparo. C'è sempre un
'accident' nella vita. C'è sempre un imprevisto che poi è il risultato dei
movimenti caotici del reale. Ci sono eventi che ne scatenano altri. E persone
che catalizzano, che creano le condizioni per questo susseguirsi di eventi. E
ne parlo in termini positivi. Abbiamo bisogno di persone che facciano
accadere, che facciano incontrare mondi diversi, creare scompensi,
contraddizioni, che ci facciano esporre ai rischi di un confronto franco e serio.
Accidentalmente, naturalmente. Senza ideologie postdatate. Ma dove
l'inflazione del pensiero abbia annullato ogni valore di questo assegno di
filosofia spicciola ottocentesca.
Il Politico Accidentale sa che ogni istante è un bivio, un'opportunità per far
accadere un altro evento, per far nascere nuovi mondi o per consolidare il
progresso delle intuizioni. Sulla società, sul mondo.
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In questo, sta la novità dell'approccio Accidentale. Che ha a che fare con i
rischi e le problematiche del presente e riesce ad aggiustare il tiro, ad
ascoltare gli stakeholder. Bottom Up.
Accidentalmente, la realtà si modifica. E, da un'ottica progressista, è questo
l'istante in cui si deve capire la sostenibilità sociale, ambientale ed economica
di ogni idea. Come siamo pronti a diversi scenari, a gestire il rischio di diverse
ipotesi. Le banche sfornano 'stress test' a ogni istante. Lo facciamo nella
politica di tutti i giorni? Dipingiamo scenari non per mantenere o arrivare al
potere, ma per garantire opportunità alle persone? Siamo progressisti nel
senso di continuare a garantire le condizioni democratiche, o riempiamo tutti i
blog di belle parole e citazioni dotte?
Non è forse il ruolo della politica ora, sempre di più, prospettare non solo
promesse ma anche problemi, iniettare dubbio e sollecitare soluzioni, dove
ognuno si prenda la sua responsabilità? Sulla questione del lavoro, dov'è la
soluzione? Solo attorno a un tavolo di sindacati, governo e industriali? O è
forse molto più diffusa, spalmata su tutti? In un momento di crisi, quanti sono
disposti a lavorare di meno, a ridurre margini di profitto, a reinventarsi, ad
andare in pensione o a lasciare il proprio lavoro, a de-promuoversi? Da
Professore Emerito a Cultore della Materia, da Dirigente Bancario a
Consulente Senior. Lasciare spazio ai giovani, ai loro errori, ai loro 'accidenti
di percorso’. Da cui si impara. Con cui si matura. Altro che Senato, ci
vorrebbe una Camera degli Emergenti. E una vera e propria analisi dei rischi.
Pro e contro. Cosa cambia il paese o cosa è solo una soluzione
gattopardesca? Cosa espone, in una politica o un programma politico, il
paese a rischi più grandi, anche se di lungo periodo? Cosa ci allontana dalla
modernità, non come fuga o rincorsa di una chimera di tecnologia e
innovazione fini a se stessi, ma un'idea di uomo e di rispetto molto più vasti di
quelli cui siamo stati abituati?
Sicuramente, per me il coinvolgimento con la politica attiva è stato un
'Accidente’, mi ha costretto a rivedere i parametri della mia vita, ha aperto un
mondo da cui mi ero allontanato. Ma mi ha anche permesso di ricominciare a
sperare. L'esperienza della Leopolda di Ottobre 2011. Un momento
copernicano. Che presuppone un rischio, ma che spero di aver misurato e
valutato bene.
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20. Esplosioni contenute
Non sono un esperto di fisica e certo credo nella teoria che il Big Bang sia
stata una superesplosione che in pochi istanti abbia creato le premesse per
l'universo. Massa, materia ed energia. Ogni pensiero di Dio e ogni fetta di
lardo di Colonnata già nel gran disegno complesso che ci porta ora, nel 2012,
ad accellerare particelle elementari in questo spazio Gelminiano sotto la
Svizzera. Mi si spiega che prima del Big Bang, si erano create tutte le
condizioni perchè avvenisse, come se non ci fosse altra soluzione. Un
Evento-Accidente.
E questa ‘Accidentalità’ astrale sicuramente vale anche nella società. Il primo
ritrovo dei ‘rottamatori’ del PD a Firenze nel 2010 non arrivò inatteso. C’erano
già tutti gli elementi, nel dibattito interno ed esterno al partito. Nelle persone
che stavano ammassandosi attorno ai neoleader di quel momento. Renzi,
Serracchiani, Civati, etc. Lo stesso, ma in maniera maggiore, la Leopolda del
2011, appositamente chiamata Big Bang. Un altro momento di deflagrazione
che non è stato come uno sconquasso tellurico che nessuno poteva predire.
Piuttosto, i due eventi del 2010 e 2011 sono stati come molle, i risultati finali di
collassi e scontri iniziali. Energie compresse e legate, costrette. Che hanno
cercato di divincolarsi, di trovare nuovi spazi di espressione.
Il risultato di errori e di miopie varie, o di quello che chiamo il salottismo
generazionale, dove i giovani di bottega sono usati come passacarte o come
decorazione per cene e drink, le truppe cammellate utili per riempire aule di
riunioni per presentazioni di report inutili o trip-ego di politici in forma di
romanzo. Qualcuno ai vertici ha sbagliato. Incapacità o paura di raccogliere i
segnali che la base, che i giovani riformisti e progressisti italiani, mandavano
da anni. Una classe politica dove intere generazioni di potenziali leader sono
state castrate e costrette a guardare oltre. Altrove. A rinunciare a un'idea
progressiva di politica, dove non tanto il giovane, ma la forza delle idee nuove
e più adatte ai tempi avanzano. Spesso, come nel mio caso, ad accantonare
ogni velleità di intervenire nel dibattito, sulla base del fatto che non ci siano
spazi per affermare non tanto un ego, ma una visione diversa.
Da questo punto di vista, la sinistra ha indossato un saio o un burqa
ideologico mentre attorno la destra mostrava le cosce e l'abbronzatura. E
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spiega tutto questo l’appeal iniziale del Berlusconismo, della Lega, di tutti i
movimenti che si sono susseguiti per anni.
In questo, l'esperienza di persone come Renzi e degli altri rottamatori, questi
primi sconquassi fra amici o presunti tali, sembravano una promessa di
cambiamento, di forze nuove e intelligenti che potessero ridare linfa a un
raggruppamento di forze e sigle che soffriva il priapismo culturale
berlusconian/bossiano, non avendo un modello forte da contrapporgli. Parole
chiare, forti, necessarie, questo ho apprezzato di quel momento del 2010. A
dare validità a quelle parole, le azioni, la conoscenza diretta dell’attivismo e
delle azioni ad accompagnare le parole che molti dei primi rottamatori
mostravano come tratto distintivo. Esperienze in amministrazioni locali,
nessuna paura di scheletri negli armadi.
Dopo la prima Leopolda, alcune stelle della nuova galassia che si era formata
sotto i nostri occhi, dentro lo spazio ristrutturato da Gae Aulenti o via
streaming, si sono allontanate. E, grazie a quella forza di catalizzatore che
Matteo ha, e che tutti gli riconoscono da anni, si sono condensate altre
energie. Gli amici, le persone con cui ha lavorato, che ha conosciuto. Me
incluso. Quelle persone che sono state come accidenti, come eventi. E con le
quali ha creato un rapporto. Basato sulla necessità di formare un bastione di
persone, idee e ideali (no ideologie!) su cui ricostruire un'idea di riformismo
all'Italiana. Che non vuol dire 'alla cazzo di cane’, ma che parli di solidarietà,
di concertazione, di sussidiarietà. Di intervento pubblico in un'economia che
non può più non essere globale, liberalizzante e regolaristica. Le regole del
gioco e la fantasia dell'imprenditoria e della società. Questo il nocciolo di
energie che ho riconosciuto quando mi sono incontrato con gli amici della
Leopolda, durante l'organizzazione dell'evento. In una Firenze da brividi. E la
voce di un amico che, a pochi passi dalla pietra su cui fu ucciso il Savonarola,
mi dice 'Bentornato a casa’. La casa di tutti, penso. Palazzo Vecchio, Firenze,
l'Italia. La Stazione Leopolda. In quel momento ho sentito la deflagrazione
dentro. Un piccolo big bang fra amici. Vecchi e nuovi. Amici a divenire.
Abbiamo dimenticato che la politica e la democrazia nascono come maniera
per aggregare chi la pensa similarmente, quindi più adatto a simpatizzare.
Quando si condividono i valori, si può condividerne la loro applicazione nella
realtà.
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Esplosioni misurate, contenute ma che contribuiscono a creare una visione.
Come un artista argentino che 'dipinge’ sui muri partendo da microesplosioni
su muri intonacati. Un lavoro lunghissimo di preparazione e poi in poco tempo
si forma un immagine, un volto. Un paesaggio fatto e costruito di piccole
detonazioni. Dopo quella iniziale, che è l’intuizione di un elemento nuovo che
può contribuire al rinnovamento del paese, la competenza. Che non vuol dire
durata di lavoro, non vuol dire esperienza. La competenza è la capacità di
riuscire a svolgere una funzione. Nel mondo delle imprese, nell’accademia e
nella politica. O meglio, un principio che vale spesso nel mondo del privato,
ma non in quello del pubblico. Competenza che non è competizione. Come
ha capito Matteo Renzi al Big Bang, come si fa nelle pratiche di brain
storming, ci vogliono persone competenti e disponibili a rischiare, a mettersi in
gioco, amiche non tanto per trascorsi comuni, ma per un modo comune di
intendere la vita. Questi elementi creano universi. Forse non ancora stabili.
Ma pieni di energia.
Come Politico Accidentale, è questa una delle attrattive di un processo
democratico, della politica. L’idea che il futuro non appartenga alla
convenienza di alcuni, ma alla competenza di tutti.
‘Rock like sculpture is the solid body of a dream’, recitava Patti Smith nel suo
monologo ‘Salvation of Rock’. Oggi dico lo stesso della politica. E le
microesplosioni aiutano la vera immagine di quello che i nostri sogni sono a
rivelarsi.
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21. L'ora è ora (Cribbio!)
Bisogna sporcarsi le mani. Da subito. Che non equivale a sporcarsi la
coscienza. Che non equivale a tornare ai soliti vizi. Non voglio diventare un
anziano arrogante e presuntuoso, lo sono già da giovane. Perché so quello
che voglio e lo voglio ora. In questo istante. Quello che spetta a me e alla mia
generazione.
L'Italia non è un paese semplice. C'è il rischio che si parli di certe cose, di
ricambio di classi politiche e di innovazione, ma alla fine in un contesto di
salotti e di poche persone, del famoso 1% degli indignados, che spesso sono
figli o parenti di alcuni dei ricchi che contestano. Per la capacità di viaggiare,
di studiare, di aprirmi al mondo non lavorando per tre euro all'ora, sono un
privilegiato anch'io. Lo riconosco. E per questo, quando cammino per le
strade di Londra, di casa, quando vedo le folle, le persone su un autobus, mi
chiedo chi possa salvare questi destini? Chi o cosa cambia la vita a queste
speranze appese a un filo, al ragazzo che passa le giornate su un cantiere
delle ferrovie, alla signora che porta a passeggio la sua bicicletta con la spesa
essenziale per le strade di Novoli?
Cosa vogliamo non per i nostri figli ma per i figli degli altri? Cosa vogliamo ora
che renda la flebile promessa di un domani migliore una certezza?
Abbiamo la statura morale di poter accogliere queste istanze e risolverle, o
stiamo correndo il rischio di inseguire un altro sogno personale di gloria, fama,
ricchezza, ottimizzazione sociale? Vogliamo diventare personaggi da salotto
di signore bene? O siamo anche noi il popolo, siamo anche noi parte delle
masse che si muovono e che richiedono attenzione?
So che ora è il momento giusto per rispondere a questa e altre domande, è
ora lo spazio mentale e storico per richiedersi che senso abbia la politica, o
cosa debba diventare. Un coro di lamentele che diventano un argomento o un
momento di confronto che diventa proposta?
Abbiamo paura del futuro, dell'altro diverso da noi e vogliamo isolarci dal
mondo? O vogliamo aprire le porte alla differenza e abbandonarci arricchirci
con le esperienze degli altri?
Dubbi, domande. Necessari. Perchè nessuno qui vuol essere un Messia, ma
ognuno ha bisogno di sentirsi discepolo, anche mutualmente, di un altro
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maestro. E forse è qui la risposta. Ci saranno sempre persone disposte a
salire su un palco e a parlare e altre che ascolteranno e giudicheranno.
La Politica Accidentale vuole che questo processo diventi fondamentale. Qui
e ora. Si discute, si parla. Ci si muove. Con tutto il nostro bagaglio di
domande e dubbi, ma con la capacità mentale di ascoltare e di pensare che,
chiunque fra 'donne e uomini della Leopolda’, un giorno spero non lontano,
avrà un ruolo di responsabilità sappia che dovrà non rispondere ai salotti
romani e londinesi, ma alla signora che prende il 20 barrato o al bambino che
va a scuola in un rinnovato centro de L'Aquila per imparare come costruirsi un
futuro possibile. Antisismico e sostenibile.
Qui e ora. Fra un anno sarà tardi. Si alzi la voce. E si spranghino le uscite di
sicurezza. Perchè chi deve ascoltare, intenda. E, mentre tutti cercano nella
rete, nei nuovi social media, il Politico Accidentale lo cerca nel presente,
fisico, reale, nel porta a porta e le strade impolverate. Le domande delle
persone che non scrivono tweet, che non hanno a volte il tempo di pensare, di
volere, perché schiacciate dal ruolo, dalle responsabilità, dalle
preoccupazioni. Siamo nell'istante e le domande a cui rispondere sono tante.
Che sono espresse da una società che cambia, che si muove, che genera
consenso o rabbia a seconda, spesso, della percezione di un'altra fregatura in
forma di 'nuovo’, di 'innovativo’. Quelle persone, siamo noi. È il presente. Che
diventa futuro. Passo dopo passo.
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22. Molto con poco. L'etica Punk al potere.
Sono cresciuto nella Firenze che si scopriva nuovo centro della cultura
alternativa europea. Una specie di Seattle Anti-litteram. Dopo la stagione di
fuoco della fine degli Anni Settanta, lo storico concerto di Patti Smith del 1979
all'Artemio Franchi. La città scopriva nei suoi giovani idee originali, non
necessariamente mutuate da modelli angloamericani, ma dalla suggestione
che il Rinascimento ha sempre avuto sulle giovani generazioni di fiorentini. È
facile fare il bohemienne in una città che sembra stata costruita apposta per
film di Ivory. Gotica, austera, silenziosa e caciarona. Guascona. La Firenze
delle parole, delle metafore. Dei club letterari e della fascinazione velenosa
del bello. E, come in altri posti in Italia, Bologna, Pordenone, Catania,
nasceva un movimento punk che guardava a Est, all'Oriente. E che,
soprattutto, nasceva senza mezzi finanziari, senza pecunia, ma con tante
idee. Il punk. Dal poco, tutto.
Senza saper suonare strumenti, perlomeno avendolo imparato a orecchio,
basso, chitarra, batteria. Strumenti da poche lire, l'inventiva e le tecnologie
che all'epoca erano avanzatissime, cassette da cinque minuti per i
demotapes, il VHS e tastiere che oggi le fa la Bontempi ma all'epoca erano
rivoluzionarie. Drum machines. Studi nella casa di campagna di un genitore, o
nel garage. Oppure i primi abiti, i primi dipinti presentati in una piccola
boutique di periferia. Da poco, tutto.
Dalla gioventù, dall'entusiasmo e dall'errore. Che diventava spesso una virtù.
Come nella registrazione di Party Girl degli U2, in Under a Red Blood Sky,
dove The Edge sbaglia l'assolo, scarrucola e stona. Ma rimane nel disco,
l'ultimo grande disco post-punk degli U2, prima di scoprire l'America e le sue
chimere. Prima di scoprire che il palco non era un trampolino ma un altare
liturgico.
Di quell'epoca fiorentina e italiana, del Great Complotto, della Punk Attack
Records, della IRA e del Banana Moon, mi è rimasto qualcosa addosso, a
parte le amicizie. Mi è rimasto chiaro in mente che si può fare tanto anche con
pochissimo, che le idee possono cambiare il mondo, ancor prima dei soldi e
del potere. Che si può creare un mondo, di suoni, immagini, a partire da
poche cose. Come la cucina italiana. Pochi ingredienti, ma buoni. E nasce il
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sapore.
La Politica Accidentale, come risultato di questa Etica Punk, dell'autoprodotto,
del nuovo che rimpiazza il vecchio, il prog rock di Bersani contro lo ska che
invece vorremmo sentire dai nostri politici. Senza costrutti astrusi, senza la
pretesa che per apprezzare la musica si debba aver studiato al
Conservatorio. La politica deve essere semplice, elementare come base,
come accesso, come possibilità. Deve spingere all'azione, alla danza,
perlomeno a muovere il piede a ritmo. Oppure, i suoni scarni, profondi della
new wave italiana. E la profondità dei bassi e delle parole. Come se ogni
istante la politica potesse ripartire, su un nastro vergine, come se
improvvisando e provando, si arrivasse a parlare, a dialogare insieme. I
Politici Accidentali non sono professionisti del sermone, ma sono coinvolti
nella vita del paese, conoscono le proprie origini e sanno cosa possono
offrire. Un amico musicista mi disse una volta 'La musica non la faccio io, ma
la fa il pubblico. Se al pubblico non va di suonare, io ho una serata orribile,
non mi riconosco.' Il politico, la sua capacità di entusiasmare, di smuovere le
opinioni, di convincere anche i più ostici a serrare i ranghi, lo fa quando
interagisce, quando provoca ma raccoglie il messaggio del 'pubblico’.
Etica Punk/Emo applicata alla democrazia. È il popolo a comandare, a
decidere, e i politici seguono l'hint, la nota lanciata ed eseguono il brano
seguendo il ritmo della folla che balla, che si muove, che fa stage diving, che
interviene senza paura di essere portata via dalla security.
La politica accidentale vuol ridar fiato a questa interazione fra chi ha la voglia,
la aspirazione di guidare un movimento e il 'pubblico’. Partendo da poche
cose, la voce, le idee e l'azione.
Come un concerto dei Fugazi. Dove tutti finivamo almeno una volta sul palco
a urlare nel microfono o a saltare come matti. Senza che nessuno si facesse
male. Intenzionalmente (smirk). Il Politico Accidentale dovrà essere un
veicolo, una cassa di risonanza, un'antenna. La società è un costrutto
astratto, finchè non ci si mettono volti, storie, episodi e desideri. Come
facevamo noi al liceo, quando pensavamo che fosse l'idea a creare il
cambiamento, e non l'ideologia.
'You are all engineers and architects
72
That's how it looks
I am an ex-spectator, can't you see
I am an ex-spectator
never let my vision get in the way of mè
Ex Spectator - Fugazi
73
23. Poco con molto. Contro la Plutocrazia.
La spinta propulsiva del punk e della new wave ci regalò tantissime cose, fra
cui la letteratura di Pier Vittorio Tondelli. E non dovrei aggiungere altro. Ci ha
dato l'impressione che ognuno potesse essere un artista e, citando un altro
amico musicista, 'alla fine chi continuò a fare musica era gente che aveva
mediamente meno talento di chi si spostò a fare altre cose’. Non credo che
sia vero, ma rende l'idea di come l'esperienza, il momento di crescita di una
persona, di un individuo abbia bisogno di questi bagni di follia, di esuberanza.
Fuori dalle regole, ma non necessariamente per poi tornare negli alvei della
regolarità come un Enrico V che abbandona il suo Falstaff. Non sono bagordi
e gioie alla San Francesco, ma iniziazioni alla vita.
La cosa che mi è rimasta addosso di quel periodo, a parte la destrutturazione
rispetto al lavoro, dove amo la creatività che sostituisce il rigore formale, è la
mancanza di attrattiva che sento per salotti e circoli chiusi, dove il censo
prende il sopravvento sulla personalità. Dove il gioco del dropping names,
places sostituisce una bella sderenante chiaccherata.
Sistemi di potere, basati sull'accesso a certi circoli, a divani di signore bene in
quartieri pieni di alberi sempre in fiore. Un macerarsi lento di arazzi cinesi e
maioliche marchigiane, su muri dai colori patrizi. O i neohip, con il loro
minimalismo post-Ikea. Il cimitero dei pomodori di pachino.
Ho sempre malvisto questo mondo dello 0.5% e so che sono gli stessi mondi
magnificati da Dagospia, dalla stampa italiana come luoghi dove la politica
accade, dove le decisioni sono prese su un aperitivo. Dal tanto finanziario, il
poco per il popolo. La rabbia proletaria di politici comunisti corrotta su grechi
di tufo, il fervore bandolero dei leghisti affogato al caffè. Che tutto si può dire
della Lega ma non che non avesse un'etica Punk e autocraticamente sincera
all'inizio. Rudimentale nel risolvere il problema di un paese chiaramente
esposto a forze oscure, alla mafia, alla corruzione. La parabola leghista
un'altra conferma che il cancro dei salotti è uno dei mali da debellare, per
ristabilire una Politica Accidentale, partecipativa. Innovativa. Dal tanto del
censo, il poco. Il nulla, riempito di silicone o di cocaina. Con musiche di Paolo
Conte sullo sfondo. O qualche musicaccia brasiliana.
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La Plutocrazia, come la Demagogia Spicciola, i grandi nemici del
cambiamento. Il Politico Accidentale sa che non potrà ignorare questa parte
della società, le caste, le famiglie che possiedono le chiavi del potere
economico, ma dovrà, potrà invitarli fuori dal palazzo, invitarli alla
'compassione’, alla condivisione dei problemi.
In molti si lamentano del distacco fra il governo Monti e la vita delle persone
normali. Secondo me, è già stato fatto un passo avanti. Di fronte al Salario
Minimo per disoccupati di 1000 Euro, sono sicuro che ministri che li
guadagnano in un giorno si porranno delle domande. Forse se le sono già
poste, come faccio io quando vedo il differenziale fra il mio stipendio e quello
di amici che fanno lavori molto più utili, come insegnare ai miei figli, curargli il
raffreddore, portarli a scuola con il tube. Senza questo distacco reso evidente,
come pensiamo di ridurre la sperequazione?
Sono contro i salotti, ma in favore di luoghi in ogni città dove le persone si
possano incontrare, come i club madrileni dove si incontrano principi dai
cognomi lunghissimi e contadini peruviani , come piazza Kennedy a Cosenza,
dove i giovani di ogni età e censo si strusciano addosso e si conoscono. Si
menano, magari, si sposano. Non si potrà eliminare la disuguaglianza, che
crea comunque movimento sociale, migrazione di persone e idee. Ma si può
rendere fertile.
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24. Determinazione
Della Leopolda del 2011 mi ricordo un'assenza, quella di mia madre. Che era
morta un anno prima. E che mi avrebbe detto di tutto, con il suo carattere
fiorentino giocoso e critico allo stesso tempo, della mia voglia di 'sinistra’. Lei
che era cresciuta in un periodo di grandi contrasti sociali, con un padre
democristiano costretto a emigrare negli anni '50 per l'avversione del Partito
Comunista a un 'cattolico in comune’. Erano tempi diversi, mio nonno fece la
sua fortuna con la sua avventura maremmana, ma è un'altra storia.
Mi mancava, come mi manca tutt'ora, mia madre, per il suo sguardo benevolo
e critico, la battuta feroce e la risata ironica. Mi mancherà la sua versione
della storia del piccolo mondo della famiglia. E forse sarebbe stata orgogliosa,
al racconto che ho fatto, titubante e quasi tremante, di fronte alle telecamere,
di fronte alle luci e di fronte a un'audience italiana. A cui non sono ancora
abituato.
Orgogliosa, come mi sono sentito io. A raccontare di due bisnonni, uno
socialista e uno cattolico, entrambi ferrovieri alla Leopolda all'inizio del XX
secolo, entrambi costretti a lasciare il lavoro per non prendere la tessera del
partito fascista. E di come ho provato a raccontare di quel posto magico, di
quella stazione da cui partivano i treni e i macchinisti, i controllori. E,
viaggiando, conoscevano il mondo, si stupivano di fronte ad altri luoghi e
apprezzavano la libertà di un treno lanciato su arcate sul vuoto degli
Appennini e delle Alpi e riportavano a casa idee nuove, rivoluzionarie. Che i
tedeschi, i francesi, gli inglesi, non erano nemici, ma erano persone mosse
dagli stessi ideali, dalle stesse passioni. E si poteva imparare tanto.
Riportavano Marx e Peguy, parlavano di Comuni parigini e di dittature
lontane. Il mondo esplodeva alla Leopolda. Così come è successo in quei tre
giorni dell'Ottobre 2011. Senza mia madre a vedere quei volti sorridenti, di
giovani, anziani, persone mature, pronte a raccogliere la sfida del futuro del
paese. L'entusiasmo per niente barocco e finto delle parole. Contagioso.
Irrispettoso del potere costituito. Con tutto il rischio che definisco della
'corriera del giorno dopo’, quella sensazioine di sconforto che assaliva da
ragazzini, quando si tornava dal campo scout, quando quell'utopia
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passeggera sembrava finita. Ritorno alla normalità. La Leopolda invece è
stata una sveglia, un ritorno alla Realtà. L'espressione di desideri coincidenti
di persone molto diverse. Di istanze diverse ma coincidenti.
Alla Leopolda è nata la mia avventura di Politica Accidentale, della voglia di
dare del mio, di prendermi tutta la responsabilità necessaria a cambiare il
Paese Silenzioso, di ridargli una voce, senza retorica Vendoliana, senza
parolacce, se non quando serve. Senza troppi soldi in gioco, se non quelli
guadagnati. Molto con poco.
Per me la Leopolda è stata l'emozione di parlare di fronte a tante persone
della mia idea, del grido che all'epoca sentivo dentro di una reputazione
internazionale del paese rovinata non solo dal primo ministro dell'epoca, ma
anche dall'accettazione passiva di questo sfacelo che avevamo davanti, la
reputazione di un paese senza alternative a Berlusconi, se non un gruppo di
partitelli litigiosi.
Noi eravamo e siamo ancora lì, grazie a Dio, per cambiare tutto questo.
Ricordo di quei cinque minuti una disperata voglia di fermare l'orologio, di dire
tanto, di più. E la sensazione che ognuno davanti a me avesse almeno due o
tre idee da formulare nei loro cinque minuti. La Politica Accidentale, come se
l'ideologia fosse stata finalmente cacciata dal tempio.
In fondo alla sala, per un attimo, ho visto la mia famiglia, gli amici cari. Volti di
persone che magari non condividevano la posizione che ho preso, come mia
madre mi avrebbe voluto meno 'comunista’ (si legga progressista). Ma mi
voleva bene e ancora me ne vuole, ne sono sicuro. Perché la libertà delle
idee e la libertà nel poterle esprimere è un valore che è sempre stato
condiviso nelle mura di casa mia e nella mia concezione di politica.
Mia madre sopravvive, lo so. Anche negli occhi di Bianca Ilaria e Carla Rosa,
le mie bambine che mi seguivano da Londra con mia moglie Sonia. Perché la
genetica è la stessa e sono loro la promessa futura che voglio sia onorata.
Loro e tutte le figlie e i figli delle persone che ho accanto. Anche i figli dei figli
di Berlusconi e i nipoti di Bossi.
La mia Politica Accidentale è questo senso di giustizia della storia, che mi ha
portato a parlare di futuro e speranza dallo stesso luogo dove la storia della
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mia genetica è passata. Da dove spero possa tornare il futuro.
Ci vorrà determinazione, ma la risoluzione è tutta lì. Sta a noi onorarla. A tutti
noi che eravamo alla Leopolda eda chi accetterà quella sfida aperta.
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25. Io Sono Ognuno
Mi trovo in una mattina di primavera su Lexington Avenue, New York. Il vento
scende teso lungo i canyon artificiali della metropoli. Come una brezza
romana persistente e oceanica. Giro l'angolo e un senzacasa ha un cartello in
mano che dice "I Am Everybody". O al massimo il 99% penso, nella città
americana dove, per ogni manifestante contro Wall Street, ci sono circa 20
milionari. Statistiche ufficiali di un'isola astrusa, dove vive una parte dell'elite
del pianeta, servita e riverita da una conurbazione che si estende per tre Stati.
Un giorno nel futuro gli storici riguarderanno agli eventi che si sono susseguiti
in questi ultimi anni e capiranno che il Credit Crunch, la Grande Crisi del
2008, altro non fu che uno stirarsi improvviso e repentino dell'ambizione delle
classi medie a sentirsi dentro quel 1% di supericchi. Macchine, case, viaggi,
occhiali e abiti di marca. Come se una buona fetta del mondo volesse vivere
in un penthouse di Manhattan ed educare i figli nelle stesse scuole. O, nel
caso italico, come se i padri volessero offrire alla propria discendenza un
futuro fatto di privilegi fasulli, fede nei media, nella capacità di riscatto di una
carriera come cantante, calciatore o nel terziario avanzato. L'immagine sopra
la sostanza.
'I Am Everybody", la scritta a caratteri cubitali sul cartello del signore seduto
per terra in un istante newyorkese, invece, è il ritorno della sostanza, senza
una forma precisa. La sostanza di un mondo che ci unisce, che ci fa stare
spalla a spalla e che ci fa camminare per le stesse strade, respirare la stessa
aria. Professori di finanza di NYU, donne delle pulizie, giovani famiglie che
attraversano agli incroci guardando in alto. We Are Everybody.
La Politica Accidentale è riconoscere questo fatto essenziale. Che siamo tutti
in qualche maniera, Ognuno. Il nocciolo di desideri e di aspirazioni di base si
riflettono l'uno nell'altro come in un gioco di specchi. E, come di fronte a una
riflettente, qualcuno deve cominciare a muoversi, a darsi da fare, a cambiare
posizione, anche facendo smorfie. Anche cambiando l'inclinazione dello
specchio. Che apra gli orizzonti, che apra gli occhi al panorama attorno. Basta
con la autoreferenzialità della società, al trionfo della griffe anche in politica.
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Come se ci volesse un brand name, un logo giusto. Quando ci vogliono idee,
visioni ma soprattutto persone.
Quindi, se siamo tutti Ognuno, Ognuno di noi è parte dell'origine del problema
e parte della soluzione della modernità. Ognuno di noi ha un ruolo. Ed è il
momento di riprenderselo, di salire sul palco, anche se affollato, anche se le
assi sono ancora incerte. Non si può fare riformismo senza un popolo che
voglia le riforme.
Eccomi qui, il Politico Accidentale, un altro Ognuno. Quello che sono nel
milieu del dibattito politico italiano. Avrei potuto dire che sono nessuno, ma
dopo ottanta pagine di sproloqui, sarebbe difficile difendere questo punto di
vista. Ho sicuramente le mie idee, maturate in una vita che mi ha visto
accettare una serie di sfide, tutte sulla mia pelle. Come tatuaggi.
Sono Ognuno, senza essere uno qualunque. Come lo sono tutti. Sono
Ognuno che decide di prendersi le sue responsabilità, di sentirsi padroncino
di questo furgoncino sgangherato che guida lungo le provinciali e le
autostrade del mondo.
Sono Ognuno che vuol darsi da fare, cercare la maniera con la quale dare un
contributo al futuro. E, come ognuno di voi, ho una visione, un sogno anche, a
dire il vero, parecchio realizzabile. A portata di mano. E di cuore. Ripetendo il
giochino della Leopolda del 2011, il Big Bang, dove i principali attori (e amici),
Matteo Renzi, Davide Faraone e Matteo Richetti, chiedevano alle persone di
dire cosa avrebbero voluto fare se fossero stati a capo del paese, io ho
pensato che la cosa più importante di tutte, per le generazioni future è, a
parte i programmi economici, finanziari, sociali, a parte le agende elettroniche,
digitali, di Nonna Papera, non farci più sentire che un'elite governa il paese,
ma è semplicemente un'elite diversa. Democratizzare tutto, il potere, le
istituzioni. Liberalizzare il pensiero, come le persone intendono formarsi una
famiglia. Non c'è l'1% e il 99%. C'è un 100% che va considerato.
"You can change the chapter
You can change the book
But the story remains the same
If you take a look"
Yazoo - Nobody's Diary
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26. Gran Finale (come non detto, ma le pare)
Non so se sia riuscito in queste pagine a definire dettagliatamente il Politico
Accidentale, o a proporre un modello di politica alternativa a quella dei partiti
e delle correnti subpartitiche. A volte sembra un'utopia il solo pensiero di
poter riuscire a cambiare anche un solo assessore senza passare dai soliti
circoli, dal potere stabilito e immobile. Dove i quasi sessantenni si comportano
nei confronti del futuro del paese come se fossero ventenni e avessero di
fronte a sé trenta anni di lucidità e di energia.
Quando persone come Renzi sono state elette, dopo spargimenti di sangue
elettorale alle primarie, mi sono sempre stupito, fin quasi alle lacrime. Perché
vedo ora più da vicino che quella che è in corso non è una partita semplice,
ma una vera e propria guerra fra maniere diverse di concepire la politica, il
servizio pubblico. Non parlo di onestà ma quella che in finanza si chiama
stabilità. Il sistema sembra reggere solo se le solite persone sono sempre
coinvolte e se il dibattito non si sposta sulla natura insita dell'organizzazione
politica, ma rimane sospeso a mezz'aria, dove bisogna trovare un nemico
comune, o in sua assenza, giustificare la fallacia e gli errori alla meno peggio.
Siamo sempre meno peggio degli altri. Siamo sempre un attimo più furbi a
non sporcarsi le mani, direi. Come fanno invece i politici locali, che devono
entrare nel merito della questione. A Firenze e a Palermo, dove lavorano cari
amici in politica, non scappi dai tuoi elettori, sono vicinissimi e devi prendere
decisioni pratiche, che hanno un impatto veloce, vorace, sulla realtà.
Credo che l'esperienza locale, di amministratori di realtà specifiche, sia il
punto di forza di molti dei politici con più esperienza che ho conosciuto alla
Leopolda. Persone come Chiamparino e Parisi, come lo stesso Matteo Renzi,
che lottano con centraline dell'inquinamento, cibo caldo o freddo servito alla
mensa, orari delle farmacie comunali. È come nelle banche passare dal
lavoro sulla 'first line’, con i clienti, le notti in bianco su un grafico, per poi
spostarsi su posizioni manageriali. Ma sai di cosa si tratta, lavorare nello
sporco, sai cosa vuol dire passare ore in consigli di quartiere e comunali. Il
Politico Accidentale, lo ripeto, vive nella realtà, fatica e prende i mezzi
pubblici, si ostina a voler rimanere informato e ad arricchire la sua esperienza.
E ha una scadenza temporale. Non vuole fare il politico per mestiere, ma per
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'accidentale opportunità'. Vuole contribuire a un progetto. In questo, tutti
possiamo esserlo, politici accidentali.
Dalle scogliere di Dover che si stanno sgretolando, forse si vede la Francia,
sicuramente si sente la distanza fra le due rive, soprattutto quando il mare del
Canale è mosso, con le onde che aggrediscono la roccia friabile
bianchissima. Sedimenti secolari, ricolmi di fossili e di memorie del passato.
In mezzo, un mare grigio, aperto, freddo, ma che apre al mondo, se si hanno
le vele giuste. Quello che vivo è questo preciso momento della partenza di
qualcosa di più importante di me stesso e della somma di tutti i miei desideri.
Non ho mai pensato di tornare a fare politica attivamente e, come dice un
caro amico, 'sei terrorizzato che ti si voglia far tornare in Italia’. E forse ha
ragione. Come avrete letto, penso già come uno di questi angloitaliani che
non apprezzo completamente. Comparo con quello che ho vissuto qui e
l'Italia. Ma è la mia vita. Sono i miei parametri. E la mia esperienza, come
quella di tante altre persone non può che essere utile a ridare una voce al
Pianeta Silenzioso.
Ho conosciuto tante persone in questi mesi, fra Londra e altre città europee,
ho ricevuto tante telefonate ed emails di Italiani all'estero, che, dopo aver
visto cinque minuti del mio errabondo e teso discorsetto alla Leopolda, si
sono interessati, mi hanno chiesto come dare una mano, contribuire a un
progetto che riapra il paese, che, con le tecnologie moderne, usi il talento e il
genio in giro fra il Belpaese e il resto del mondo. Siamo una generazione
senza padri ideologici e forse anche senza nonni e bisnonni ideali. E io,
francamente, ne ho abbastanza di ideologie e di mostrine acquistate al
mercato delle pulci della partitocrazia. È un momento translucido, unico, in cui
possiamo osare, possiamo esporre i nostri corpi in prima linea. E cadere, ma
a viso in avanti. Con le ferite davanti e non dietro, uccisi nella fuga.
Abbiamo solo bisogno di suscitare un leader, una persona che prenda su di
sé il peso di migliaia di coscienze, di passioni e di desideri. Come diceva
Milosz, 'Desta un uomo’. O una donna. O, forse, è giusto che, per evitare un
altro abbacinamento collettivo per il bellino di turno, il furioso, il celodurista, si
desti un gruppo di persone. Pronte a rendere la Politica Accidentale un
paradigma per i tempi a venire. Tieniamoli sulle spine questi spiriti che ancora
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infestano le nostre istituzioni. We will prevail. Us, the People.
Perché a tutti gli amici politici che avranno la pazienza di arrivare fino a qui
nella lettura, dico che, se a volte basterebbe un dito delle loro mani curate a
indicare la posizione di un oggetto, che sia una mela o la luna, ci vogliono
tutte le mani possibili per afferrarlo.
"It's not enough my friend to relegate,
Let's keep them on their toes,
Let's keep the bigots from their properties,
Let's keep the rabbits in their homes"
Boy and Bear - The Rabbit Song
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''I will be as harsh as truth and as uncompromising as justice. On this subject, I do not wish to speak, or think, or write with moderation. I am in earnest. I will not equivocate, I will not excuse, I will not retreat a single inch, and I will be heard.”
William Lloyd Garrison, "To The Public" The Liberator, Gennaio 1831'
Nessuna scusa o paura. Il futuro e’ nostro.
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