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DEDICATIO Se dovessi dedicare questo libello a qualcuno, avrei tantissimi nomi in testa, ma credo che la cosa migliore sia dedicarlo alla promessa che abbiamo fatto ai nostri figli di un mondo migliore. E a due politici, uno amico e l’altro amico e parente, Matteo e Gabriele. Per quella loro passione che trasmettono per il quotidiano e il sublime della politica A Sonia, Bianca, Carla e Rosa. A tutti gli amici che lo hanno letto e mi hanno offerto critiche e commenti. We are in this together. Tweet: CosmaYDamiano E.Mail: [email protected] 1

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DEDICATIO Se dovessi dedicare questo libello a qualcuno, avrei tantissimi nomi in testa, ma credo che la cosa

migliore sia dedicarlo alla promessa che abbiamo fatto ai nostri figli di un mondo migliore. E a due

politici, uno amico e l’altro amico e parente, Matteo e Gabriele. Per quella loro passione che

trasmettono per il quotidiano e il sublime della politica

A Sonia, Bianca, Carla e Rosa.

A tutti gli amici che lo hanno letto e mi hanno offerto critiche e commenti.

We are in this together.

Tweet: CosmaYDamiano

E.Mail: [email protected]

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LE RAGIONI

Questo libello polemico, come andava di moda nel 1900, ha preso forma per tre motivi

specifici:

- L'atmosfera imbevuta, satura di politica che ho respirato da bambino in casa, fra parenti e

amici pervasi da questa passione. Che mi ha contagiato per anni, anche dopo che ho deciso

di lasciare l’Italia e lavorare all’estero, anche attraverso il lavoro di mio cognato, parlamentare

del PDL (siamo bipartisan in casa). La genetica ti aspetta al varco;

- Diversi eventi specifici, alcuni molto dolorosi, che mi portarono, a fine 2010, a parlare di

'rivoluzione’ e voglia di cambiare il paese con un caro amico ora sindaco di Firenze, nel suo

ufficio, di fronte a tanti Cosimi dipinti e scolpiti attorno. Da lì un invito alla prima Leopolda dei

Rottamatori del PD, nell'ottobre 2010, quando però ero in viaggio in Asia. Un anno dopo, mi

trovai con questa stessa persona e decine di nuovi amici sul palco del Big Bang (la ‘Leopolda

2’), a fine ottobre 2011, in una Firenze mozzafiato, a raccontare la mia idea di paese, di

speranza. Certe amicizie si pagano a distanza;

- Il governo Monti, che ha riaperto completamente i giochi e che credo sia una vera e unica

opportunità per far ripartire tutte le meccaniche del buon governo. La competenza paga, e

dovrebbe pagare sempre;

Dopo la Leopolda, e dopo la sua euforia, si è aperta una fase incredibile di cambiamento.

Potrebbe essere il momento giusto in cui ragionevolezza emozionale e correttezza possano

prendere il sopravvento sopra il ‘gran circo’ che era diventato il Paese. Non so se è stata la

Leopolda a scatenare questo sommovimento che portò, alla fine dell’anno scorso, alla caduta

del governo Berlusconi, o se ci fossero già tutti gli elementi per una ‘quieta rivoluzione’. So

che c’è un desiderio di pacatezza e di serietà ironica nel paese che esala da ogni poro, che

trasuda dai commenti sui social network. Il progetto della Leopolda - una costola del Partito

Democratico, per come la vedo io - è stato un momento topico, sicuramente per me, e il

lavoro vero comincerebbe ora. Non per tornare al vecchio, ma per scoprire il nuovo,

codificarlo. In maniera positiva. Ripartendo dal positivo, dal concreto, dall’amore per il futuro

piuttosto che dalla paura che il passato genera. Spero questo libello serva come contributo a

una ridefinizione della politica, per quelli che vorranno accettare che il cambiamento passa

spesso da quello che abbiamo di fronte agli occhi.

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“[…]

FakeAmleto: Tu lo sai cosa vuoi dalla vita?

Orazio: No, Amleto, so cosa non voglio

FakeAmleto: Qual è la differenza?

Orazio: Mi evita di discutere con persone che non gradisco, di cose che non mi interessano o dove so di non poterne trarre niente a mio vantaggio.

FakeAmleto: Non è forse questo il problema, caro Orazio? Non è forse per questo che il Regno è in questa situazione? Perché tutti sanno quello che odiano, ma nessuno sa cosa vuole?

Orazio: Non mi va di parlarne ora. Non ne ho voglia...A proposito, quando parti per l’Inghilterra con Rosencrantz e Guilderstern?

FakeAmleto: Perché me lo chiedi?

Orazio: Così, per curiosità. [Orazio ride nervosamente tenendo in mano la lettera del re di Danimarca per quello d'Inghilterra]

[…]”

FakeHamlet – k. J. Okker

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Intro (Strumentale) - We are taking over!

Senza speranza, non si potrebbe ascoltare musica. O fare niente altro. È

un'alba nuova, quella che vedo nel cielo di novembre, dalla mia macchina che

scivola fra Surrey e Kent, nel giardino di Albione. Alla ricerca del mare, delle

frontiere solide, fatte di pietra bianchissima, del paese in cui abito da quindici

anni. Una fortezza o una piattaforma su cui atterrare, da cui decollare. Oltre il

mare freddo della Manica, le sue correnti, le navi cariche di container che

trasportano merci, persone. Spesso idee impacchettate e già pronte per

essere distribuite ai consumatori di tutto il mondo. La Gran Via del Capitale,

l'atto della trasformazione e della creazione di valore aggiunto.

C'è stato un tempo nella storia nel quale le navi, le galee che

circumnavigavano Albione erano romane, fiorentine, genovesi, erano il

braccio armato e commerciale di città-stato, imperi che hanno modificato per

sempre la storia dell'Inghilterra. Un paese che ha sempre saputo, voluto,

dovuto convivere con il cambiamento, con la necessità di usare e sfruttare il

nuovo. Esiste una tendenza anglosassone a far convivere tradizioni millenarie

e spinte rivoluzionarie. Camminando per Londra si trovano le case di Mazzini,

Lenin, Stalin, si incontrano oggi Gianna Nannini, Assange e Krugman. Come

se l’iconoclastia e la formalità fossero unite ai fianchi.

Un paese che riuscì a reinventare l'economia mondiale, da Smith a Keynes. Il

centro vitale della finanza, il ganglio vitale del mondo moderno. Ecco cosa è

Londra, un laboratorio a cielo aperto, del mondo che sarà. Anche nelle sue

mancanze, nelle problematiche esplose nell’estate del 2011 con le rivolte dei

‘ghetti’ delle classi povere. Nello stratificarsi di diverse architetture, di sublime

e carnale.

E, proprio da queste scogliere a mare, a Seven Sisters, invece di lanciarmi di

sotto, preso da quella fascinazione dell'horror vacui, da questi muri di gesso e

pietra bianca che Gae Aulenti cerca di imitare da decenni, sento che c'è

qualcosa che posso raccontare, che posso dire non tanto sul paese che mi

ospita da quindici anni con pazienza ammirabile, ma su quello da cui vengo.

In cui ci sono le mie origini, in cui la mia genetica si sente a proprio agio. Da

quando la porta dell’aereo si apre, e sento l’odore di pini e di salmastro di

Pisa. Sento di poter dire qualcosa su una fascinazione crescente,

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un'attrazione spero non letale di voler contribuire al cambiamento dell'Italia.

Renderla di nuovo un locus admirabilis piuttosto che un loculo in potenza, per

sogni, aspirazioni e idee. Perché in fondo già da Londra si vive in Italia, anche

se lontani, viviamo le contraddizioni e le esagerazioni sulla nostra pelle. Per

questo abbiamo voce in capitolo, noi esuli. Da sempre.

Questo è un libello, un pamphlet come andavano di moda tanti decenni fa.

Una maniera con la quale ancora oggi le idée circolano, soprattutto nella

cultura adatta al dibattito e al confronto di paesi come la Germania, la

Francia. È un percorso interiore che ora diventa un tracciato per altri. Un

disordine apparente, anche tenendo conto che tutto parte, nella mia vita, dalla

lettura disordinata di più cose, mescolate nel mio cervello, mentre leggo

giornali, libri, saggi, riviste sugli aerei. Lavoro e passioni personali. E dalla

musica. Che il fatto che qualcuno riesca ancora ad andare a ritmo, anche in

un forsennato ritmo di metal industriale, mi riempie di speranza per il genere

umano. La politica dovrebbe essere come il rock, ci vuole una band, ci vuole

qualcuno che sappia scrivere i brani e ci vogliono strumentisti adatti. E un

pubblico che sia paziente ma anche critico.

La differenza è che per anni ci hanno fatto credere che per fare politica si

dovesse essere tutti polistrumentisti diplomati a Santa Cecilia o pupazzi nelle

mani di produttori assetati di denaro. Qualcosa è cambiato nel mondo. E

anche in Italia. La politica è tornata ad avere un significato che probabilmente

aveva alla sua origine, di maniera con la quale la città, i cittadini, gli abitanti di

un paese, forse domani del mondo, possono interferire con i policy makers,

con chi, per motivi di ragionevolezza e di rappresentatività, ha il compito di

governare una comunità. Il governo Monti è stato un momento di rottura con

una spirale discendente della capacità della politica di diventare azione, un

elemento che invece mi ha sempre affascinato. Perlomeno, azione per il bene

collettivo.

In un momento in cui i politici di mestiere si scagliano contro l’antipolitica,

definendo così tutti quei movimenti spontanei, liste civiche che esprimono un

disagio enorme, l’assenza di rappresentatività della classe politica attuale

(perlomeno dei suoi leaders maggiori), il loro distacco dalla vita normale delle

persone, credo sia necessario invece ridare importanza al ‘pubblico’. Dopo i

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‘turnisti di lusso’ del governo Monti, dovrà essere il pubblico a richiamare i

‘musicisti’ giusti sul palco. Per un coro alla Simple Minds. Un paese ‘Alive and

Kicking’.

Questo libro è un tentativo, forse ambizioso e banale, di raccontare

un'intuizione personale, che ho definito ‘Politica Accidentale’. O, come la

definirei più volentieri, la ‘Politica Punk’. Il tanto partendo dal poco che ho

imparato proprio strapazzando una chitarra da liceale. Un mondo nuovo ci

aspetta e, qualunque sia il re sul trono, 'we are taking over'. Senza legami a

teorie, al passato di migliaia di libri, working paper e documenti che hanno

cercato di incasellare il tumulto dell’esserci insieme su questo pianeta.

Il Politico Accidentale, ma non per caso, una razza non nuova di persona

interessata alla politica, alla vita pubblica, all'amministrazione non dei bilanci

ma delle speranze che a intervalli regolari riponiamo nell'urna elettorale. Ogni

volta un singulto, un'emozione e un'attesa notturna per i risultati. Per un

cambiamento che DEVE arrivare, che DEVE imporsi. Questa volta, e lo scrivo

in questo periodo a cavallo fra 2011 e 2012, DEVE accadere. Abbiamo

un'occasione unica per riprenderci quello che ci spetta, per ricollegare i punti

della moralità del paese e costruire un mondo nuovo, per noi, i nostri figli, i

nipoti. Una, due, tre generazioni che vogliono riconquistare il loro posto al

sole. Soprattutto dopo che il governo Monti ha legittimato la presenza della

competenza tecnica e una vera opportunità di cambiamento nei soliti giochi di

partiti e correnti.

Amedeo Nazzari è mirabilmente vivo, e abita fra Londra e Lampedusa. Via

Milano, Bergamo, Palermo, Catanzaro, Firenze, Roncobilaccio, Boston e

Pechino. Il nuovo leader del progressismo italiano (ché è questo il milieu

ideologico a cui guardo) cammina, scrive, ride, mangia da qualche parte

attorno a noi. Ma una volta trovato lui, ci vuole tutta una band di persone,

inclusi quelli che gli allestiscano il palco. E che le canzoni siano buone, sennò

non ce ne frega niente.

We are so friggin’ taking over it all.

Alpha: Seven Sisters, 11/11/11 - Omega: Londra 23/03/12

The Witnesses – “We Are Taking Over”

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1. Il Paese Silenzioso

I numeri non racconteranno mai tutta una storia, le statistiche non

rappresentano mai le nicchie, le aree dove le cose funzionano, dove accade

qualcosa di migliore (sorpresa!) della media. Il Bel Paese ama le classifiche

quando sono a proprio favore, quando atleti e giovani, in barba e alla faccia di

ogni ostacolo che si trovano davanti, vincono una gara internazionale di

pattinaggio artistico, di judo. E tutti porteranno quegli esempi di ostinazione,

tutti citeranno le parole famose del campione di turno, i suoi racconti di

allenamenti in sacrestie e piscine ristrutturate in poligoni di tiro. Per poi

tornare al silenzio, al vuoto, alla rabbia degli opinionisti ogni volta che qualche

giornale straniero, qualche ente internazionale ci ricorderà che siamo decimi

nella classifica della corruzione mondiale, ma centocinquantesimi in quella

dell'accesso al credito, dell'equità intergenerazionale, del consumo di idee

nuove.

L’Italia è un paese che vorrebbe il silenzio su di sé, come Perelandra, il

pianeta di C.S. Lewis, un paese dove il peccato originale rimane da lavare, da

pulire, all'intorno dell'ingresso nella modernità. Un paese che cela le sue

paure nelle tradizioni applicate in maniera pruriginosa, per poi scoprirsi

liberale e libertino quando fa comodo al potere di turno. Per poi invocare la

ribalta planetaria, libertaria, in un mondo dove non solo noi ma tutta l’Europa

si scopre periferia.

Un silenzio che non è quiete, non è assenza di un fermento sotto coperta,

sotto la prima coltre di colline, cemento e circonvallazioni. Un paese che

sospira ogni tanto, ma ancora non esala il suo ultimo respiro. Silenzio, nel

senso descritto da John Cage. Silenzio, un altalenarsi di aspettative irrisolte, il

silenzio della madre e del padre che portano il figlio all'aeroporto, verso nuove

avventure, verso la sua vita via da casa. Parmigiano e 'nduja sotto vuoto,

l'anima esposta ai fortunali del destino, le iscrizioni a università prestigiose

raggiunte con forza di volontà e i soldi dei nonni. O una carriera da costruire

da cameriere a sommelier, in uno dei mille e mille ristoranti italiani nel mondo.

Il paese rimane silenzioso, come Bergamo Alta nelle notti di inverno, con le

luci basse, le decorazioni natalizie e le stelle livide e fredde della Tramontana,

che entra sotto gli archi di Santa Maria Maggiore, che spazza via le parole, le

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frasi fatte, lasciando la pietra nuda della tradizione ancora una volta esposta

ai tempi che passano e che la sgretolano.

Il paese è silenzioso, nonostante l’apparente clamore di tutti quelli che

vociano, che urlano. Troppa informazione non crea conoscenza, tantomeno

saggezza (come diceva Eliot) troppe opinioni, troppi punti di vista

interrompono il filo logico del discorso. Come se ogni volta qualcuno cerchi di

dire qualcosa di sensato, la voce di un altro, di un coro di efebi, di monaci, di

prefiche e di lagnoni interrompesse, smorzasse il tono deciso di necessarietà;

quello che è giusto che sia, che accada ora, qui. Il paese si copre di lettere,

dichiarazioni, censimenti di opinioni e di idee. Reagisce alla modernità che

incombe con un mutismo fatto di luoghi comuni urlati come un muezzin

potrebbe fare dall'alto di una torre della periferia di Istanbul. Tutto già detto,

già scritto. Tutto interpretabile secondo la bisogna. Appunto. Il silenzio come

saturazione da troppi messaggi. Osservo l'Italia da fuori, da lontano e vedo il

vuoto che aleggia attorno a un desiderio reale e pressante di cambiare. Un

mondo che lievita, che ansima e che cerca una via di uscita. Spesso per

aereo o nave. A volte si sentono sospiri, esplosioni, come se nella stanza

accanto qualcuno stesse celebrando una festa a un collasso collettivo. In un

rituale di decadenza e incapacità di comunicare. Il Politico Accidentale dovrà,

prima di tutto, ricostruire i canali di trasmissione del messaggio, incanalare le

forze buone e usare la ferocia e la determinazione dei machiavellici per

rigenerare le idee, per dare nuova forza e visibilità alla parte del paese che

non vuol più essere silenziosa.

Riconoscere le parole, il loro peso, evitare le emorragie dialettiche. Trattenere

i commenti, analizzare il contesto. Documentarsi. Il Politico Accidentale sa

che deve sapere, che deve conoscere il suo campo d’azione. Le categorie

Socratiche e Democristiane di una conoscenza per fede, di una paura della

cultura che cristallizza, non suona bene in un pianeta dove trionfano i saperi

millenari, le pazienze confuciane e buddiste, le energie segrete della razza

umana che ci fanno sopravvivere in ogni ambiente tranne che in un paese in

recessione e crisi di valori. Come ci raccontano tragicamente i suicidi di

soldati di ritorno dall’Afghanistan e di imprenditori abbandonati alle loro

lacrime.

Invoco la fine del silenzio, del guardarsi l’ombelico o i piedi, quando

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passeranno cortei di protesta e funebri. Lo stesso errore che distrusse la

reputazione di politici come Blair, quando ignorò due milioni di persone per

strada a chiedere un no alla guerra in Iraq.

L’Italia, il paese silenzioso, ha un beneficio enorme, in questo. Milioni di

antenne da accendere, la cui trasmissione non sia più delegata a guitti di

mestiere, ad associazioni di italioti all’estero, a parlamentari opportunisti.

Cittadini italiani, di prima e seconda generazione, di interi villlaggi del

Connecticut, di famiglie in Cina, Giappone che appartengono a due culture,

che amano un paese che, forse, non esiste più, ma ne conoscono le

componenti fondamentali. Il Pianeta, una volta rotto il suo silenzio, potrà

parlare al mondo, rinnovare una storia di eccellenza e di genio, attraverso

queste antenne, questi diffusori in tutto il pianeta. Da Silenzio a Senso reso

ancora una volta Parola/Testimonianza. Il Politico Accidentale sa di questa

forza, di questa risorsa. Dove le classifiche contano, anche quando le cose

non vanno bene, ma per migliorarle. Queste antenne che sanno, che vivono

in ambienti ostili, che possono portare nuove idée.

Mai più testa sotto la sabbia. Questo dico, dal mio ufficio che guarda verso

Saint Paul. La lunga linea di aerei che atterrano a Heathrow, da cui usciranno

ancora giovani che, appena scesi a terra, si troveranno di fronte un futuro da

inventare e le parole che torneranno ad avere senso. Fatica e sacrificio che

diventano vita. E non più frustrazione.

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2. Il Politico Accidentale

In una prima versione di questo libello, questo capitolo era molto più avanti,

quasi a metà. Poi, alcuni amici che si sono presi la briga di leggere le bozze

mi hanno fatto notare che qui non si tratta di svelare un segreto di un giallo,

ma di dare direzione al pensiero. Non è una dimostrazione scientifica, dove le

ipotesi si sommano e si accumulano per dimostrare una tesi, che è quella del

Politico Accidentale, ma un racconto, di un fatto semplice, alla base di questo

libro, una provocazione all’azione, in tempi di inedia politica, travestita da

iperattivismo bloggista e movimentista. Nata da un coinvolgimento personale.

Nella mia vita, ho sempre dato molto valore al rapporto con le persone, a

quelli che in inglese si chiamano mentor, persone, maestri, che riescano a

suscitare il talento, o il bisogno di altro. Come fareste a definire il bisogno di

un gelato a un eschimese? Conosce il ghiaccio, sa dove trovarne in grandi

proporzioni, ma non sente il bisogno di un bel sorbetto al limone. O non è in

cima alle sue priorità. Finché, magari, un giorno un gelataio torinese gli apre

un negozio sotto casa. Così accade nel Paese Silenzioso. Si capisce che c’è

qualcosa in abbondanza, ci sono genialità, individualità, personalità, ma non

sappiamo, spesso, come usarle in maniera nuova. Cosa farne. Abbiamo i

cervelli, ma ci manca la connessione, fra eccellenze locali, di persone e

gruppi di persone, e la Politica. Quella che decide, che cambia. E non è uno

scambio su Twitter, non è quella maniera autoritaria con cui il politichicchio di

turno si avvicina ai suoi elettori. Come un guru.

Ci vuole un’idea di politica che riparta dalla base, dal modo con cui le cose

accadono. La modalità della libertà o del suo desiderio, una libertà operosa

che permetta alle persone di confrontarsi, comunicare e migliorare

mutualmente. Senza remore o paura della propria posizione. Ci saranno

vincitori e vinti, ma questo non dovrebbe giustificare considerare l’avversario

un perdente, o, peggio, un nemico del popolo. Se crediamo alla democrazia.

E, se crediamo alla democrazia, piuttosto che a una forma elettiva di

oligarchia, bisogna che ognuno di noi si consideri un Politico Accidentale.

Il Pianeta Silenzioso sta attraversando un momento incredibile in cui potrebbe

ritrovare tutta la sua voce. Attraverso nuovi volti, nuove idée e nuove persone.

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Dolorosamente quasi. Attraverso un processo che potrebbe diventare difficile,

tortuoso, lasciare sul campo le sue vittime. Perchè ci saranno dolore e fatica

di dover inventare nuove forme di relazione, di crescita. L’evoluzione della

specie del politico, o una sua mutazione genetica buona.

E questo è il Politico Accidentale: una persona che si impegna nel lavoro,

nella sua vita, nel suo mondo fatto di eventi locali e globali e che ci tiene a

quello che fa, alle conseguenze delle sue azioni e al risultato del suo lavoro,

che abbia un effetto positive sul mondo. Il Politico Accidentale, nonostante

riesca ancora a distinguere la res privata da quella pubblica, le loro differenze

e missioni, ne vede le connessioni. Capisce, per esempio, la relazione

causa/effetto fra quello che una banca fa al suo interno in termini di politiche

di rischio, e l’impatto sulle vite delle persone. E per questo prende posizione,

cerca di modellare le cose che può controllare per raggiungere un First (o,

spesso, Second) Best. Una soluzione che accontenti tutti. O che accontenti

qualcuno ma non scontenti troppo gli altri. Un cittadino che continua a credere

nei valori che ancora fondano la nostra costituzione, qualcuno che riesce a

leggere le sue azioni e quelle degli altri come componenti di uno stesso

mosaico, la società in cui viviamo.

Il Politico Accidentale risponde al richiamo solenne della realtà, del momento

storico, della vita. E sa che occorre un Accidente, spesso, per suscitare le

energie necessarie al cambiamento, in definitiva, occorre un Evento per

portarlo a fare politica. Un evento che diventa elemento scatenante e che

induce a una morale totalizzante, che origini ancora altre idée. Perché una

volta toccati dal fuoco della passione per gli altri, quella che chiamo la

Politica, il Bene della Polis, non ci sono più passi indietro.

Rimane, rimarrà la flessibilità sul risultato. L’ironia romantica imparata al

Liceo, di un limite che è talmente alto, di una impossibilità del reale, che però

permette di spaziare, di creare mondi nuovi, laddove non c’erano. Soluzioni

alternative, ipotesi avvalorate e caldeggiate. La Politica Accidentale cerca la

risposta dove nessuno la cercava più, nello spazio fra persona e istituzione,

fra ruolo del singolo e quello del popolo. Per risolvere la cancrena

dell’affarismo, del nonnismo, del favoritismo. Del clientelismo.

Il Politico Accidentale non punta necessariamente a una carriera sugli scranni

di Montecitorio. Soprattutto perché si spera che il numero dei parlamentari

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verrà ridotto. Ma non può essere quello il fine ultimo. Che è invece il servire

l’Accidente, l’Evento. Ci saranno riunioni, conciliaboli, peregrinazioni, l’odore

di libri o umido dei luoghi dove si riuniscono i Think Tank, i collettivi e i

comitati, sarà la complessita’ di un mondo nuovo a ridefinire la sua giornata.

Le sue visioni saranno e dovranno essere mediate dal resto della sua vita. Il

Politico Accidentale non necessariamente dovrà lasciare il suo lavoro, ma

sentirà questo impulso, questo desiderio a usare tempo e energie per

alimentare la nuova coscienza e cominciare a vivere dentro la società e, di

più, per la società.

La Politica Accidentale non potrà essere quella della lamentela, della

rivendicazione, di chi usa le folle per imporre un proprio piano di potere, ma

della proposta. Anche rabbiosa, anche controcorrente. Ma che parta dal

positivo, dalla costruzione. In un ambito locale o internazionale.

Non si deve confondere Accidentale con occasionale. Esiste un evento

scatenante, un motivo per il quale alcuni di noi abbandonano le certezze della

propria vita e spenderanno tempo ed energia dietro una visione, un ideale,

ma non potrà essere un episodio isolato. Non dovrebbe interrompersi, ma

diventare un percorso. Le persone maturano e così cambiano le loro priorità.

Chi ha interesse a farsi coinvolgere, lo fa a partire anche da un punto preciso

della sua crescita umana. Alcuni dei miei amici e le persone a cui ho dedicato

questo libello ne hanno fatto un ‘quasi-mestiere’, altri vorranno collaborare,

contribuire, ma sanno che il loro valore rimane inalterato, per un’esperienza di

un movimento politico, se rimangono ancorati a quello che sanno fare meglio.

Bisogna tener conto di come le persone, così le iniziative politiche, maturano

e si evolvono. Le istituzioni, invece, rimangono, soprattutto la democrazia,

non essendoci metodi migliori (da un punto di vista sociale).

Oggi esiste una grande domanda per nuove generazioni di folli/saggi pronta a

dedicarsi alla Res Publica. Al mantenimento delle istituzioni democractiche, al

loro rinnovamento. Allo sfaldamento del vecchio, per affrontare la sfida della

modernità, dalle nuove tecnologie fino al rinnovo dell’etica. Ma la Politica ha

anche bisogno di professionismo, di esperienza. E di riacquistare quel senso

di necessaria apertura. Di coinvolgimento. Per migliorare il patrimonio

genetico della specie. E per permettere alle istituzioni di superare l’empasse,

di resistere alle deviazioni estremiste, nazionaliste, populiste e razziste. E di

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assicurare nuove generazioni di talento, come nel dopoguerra, a guidare il

paese. La coscienza di un ruolo collettivo della politica, di una responsabilità

morale personale di fronte al futuro, ecco cosa mi colpisce ancora oggi di

quella fase del paese. Bartali, al Tour de France, non salvò l’Italia da una

guerra civile. Furono gli italiani a farlo. Fu la loro coscienza di reagire con

compostezza e maturità all’attentato a Togliatti. Non esiste un politico che

salva tutti, non lo è stato Obama, nonostante la sua intelligenza e la sua

umanità strabordante. Siamo noi, a resistere sulle barricate. Noi che

resistiamo e permettiamo al futuro di diventare un luogo più giusto. O, nel

caso opposto, a creare le basi per la rovina.

“Si vive per resistere, si resiste per permettere ad altri di vivere.”

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3. Cribbio (as Mantra)

Bisogna imprecare nella lotta per il paese, ma in maniera educata.

Riconquistare il verbo, la parola, come espressione dell'urgenza, della rabbia

che diventa opera, della speranza e dei piccoli passi, dei piccoli inciampi,

delle rivoluzioni minuscole. Passare dal 'Merda’ Cambronniano al 'Cribbio’.

Riappropiarsi della misura, delle parole usate quando necessario, ridurre la

comunicazione, far parlare i fatti. Riconquistare il Cribbio e il Perdinci. A

spese dei vaffanculi, del fottersi e del testadicazziare ognuno e comunque.

Cribbio, come un mantra, come una parola che sostituisca e attutisca gli

estremi dialettici. Imprecare, alzare gli occhi al cielo, quando le mani saranno

piene di calli, i volti rossi dal sudore e dalla fatica. Quella sensazione che

passano le foto dei nostri nonni, dei bisnonni, quell'Italia fatta e costruita su

una lingua aulica, piena di forme e formalità e sopra le pietre messe una per

una di un muretto a secco. Ogni pietra una maledizione, un'imprecazione che

scavi trincee, che protegga ogni piccolo avanzamento sociale, economico. La

parola forte, intelligente, l'offesa strutturata. Lo scherno e il sarcasmo, le mille

gradazioni dell'ironia.

Il Politico Accidentale deve saper usare le parole, deve saper usare il

linguaggio, le lingue, conoscere come significato e significante si alternano.

Le parole dei giovani, dei vecchi, degli stranieri, le parole che definiscono la

politica ma anche come le diverse realtà del Paese Silenzioso si spiegano,

sviluppano la loro rex cogitans.

E il Politico Accidentale saprà alzare i toni, dovrà farlo, dovrà alzare la voce,

far sentire modi e mondi nuovi. L'eterna gioventù del linguaggio, un

paradigma condito di vintage classic, di novità e di repetita juvant. Cribbio

come un Mantra, come una ripetizione di senso, una richiesta disperata di

parole che raccontino, dicano, spieghino, giustichino. Mai più concetti astratti

in circolo, a giustificazione di altre affermazioni.

Cribbio.

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4. Il Risveglio della Coscienza

Ricordo una coda in autostrada, probabilmente di ritorno da un fine settimana

al mare, un serpente di macchine lunghissimo, chilometri e chilometri, nella

corsia opposta alla mia. Dalla Certosa di Firenze, fin ben oltre San Donato,

quasi al confine con la provincia di Siena. Stavo andando, come accade

spesso nella mia vita, controcorrente. Da quell’altro lato della carreggiata si

era fermato il tempo, si era vanificato. Mi immaginai, quel senso di benessere

e di allegria delle vacanze svanito, evaporato, nell'attesa fra due uscite che

sembravano a milioni di anni luce di distanza, una volta che le macchine

erano piantate sull'asfalto bollente. Era sicuramente la fine dell’estate.

Quando il sole aveva già fatto evaporare tutta l’umidità delle macchie

mediterranee.

Mi ricordo quel senso di frustrazione derivato dagli altri, le migliaia di piccole

rabbie, le considerazioni che ognuno avrà fatto ad alta voce, o nella parte

superiore della testa, sull'opportunità di aver preso un'altra strada, di aver

preso altre decisioni e, magari, di esser rimasti al mare fino al mattino dopo,

per evitare le code del rientro.

Quella abbondanza di scontento mi parlava, mentre la mia macchina

scivolava quasi come uno sberleffo, nella corsia che non solo era vuota, ma

correva verso il mare.

Il paese dei caproni e dei trend, delle decisioni che da personali diventano

collettive. Dell’intuizione di uno che arriva in ufficio dichiarando ‘questo fine

settimana vado al mare’, e che diventa tendenza. Il non doversi fare mancare

nulla, il dover essere dove sia necessario apparire, per essere considerati

esseri umani accettabili. Una coda fatta di pressione, sociale, di competizione

con altri poveri cristi come noi. Perché alla fine vuoi essere come il collega di

cui sopra e apparire in ufficio lunedi mattina abbronzato. Dove la parte del

rientro, del traffico, della sabbia nelle scarpe, dei bambini a cui fa sempre

troppo caldo o troppo freddo, le imprecazioni in una coda nella

circonvallazione di una qualsiasi città del Paese Silenzioso, ti sono celate. Un

silenzio che diventa omertà. Dove nessuno racconta le difficoltà, le rabbie e le

frustrazioni, dove nessuno ti spiega gli elementi di disturbo al raggiungimento

di un qualsiasi status sociale. Sono i modelli a essere sbagliati, come lo sono

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Page 17: la_politica_accidentale.pdf

stati quelli di crescita eterna dell’economia e del credito, che hanno portato

alla crisi del Credit Crunch nel 2007. La stessa ossessione, ma con obiettivi

diversi, la casa grande per tutti, una carta di credito senza limiti. Un mondo

tutto rosa, come dipinto dai media, dagli ottimisti del ‘tanto paga sempre

qualcun altro il conto’. Soprattutto se sei un politico.

Invece, l’ottimismo si è inacidito, come una tazza di latte lasciata al sole.

Dopo la crisi finanziaria, o forse ancora prima, dal 9 settembre del 2001, pian

piano si è sgretolata questa immagine di un occidente sempreverde, o

perlomeno chirurgicamente ringiovanito. Prima la sicurezza del mondo

stesso, poi quella dei singoli, la crisi energetica, quella finanziaria. La presa di

coscienza di questi ultimi mesi dei movimenti di OccupyWhatever. In un

mondo in cui i politici hanno la pretesa di poter parlare ancora allo stesso

livello delle persone in coda. Quando occorre ri-sviluppare un logos, un

discorso che lenisca la rabbia e che induca al cambiamento, al reputarsi non

semidivinità, ma persone prone e chine all'errore.

La coda in autostrada, un'altra incarnazione del paese che decide chi lo

governerà, la folla inerte, la follia indotta dal calore, dalla sovraesposizione a

inefficienze, a problemi che nessuno sa risolvere, o di cui non si vuole

prendere la responsabilità. Il Politico Accidentale dovrebbe tornare indietro,

lungo quella strada e capire l'origine (l’epifania è solo il momento in cui si

rende visibile) del problema, risolverlo. Perché sa che le regole della società,

del vivere in comunità necessitano di una urgente revisione, necessitano

dell'eliminazione del senso di competizione sul reddito. Della frustrazione

subita nel sentirsi sorpassati in autostrada, della rabbia feroce e violenta di chi

zigzaga sulle corsie di emergenza. Per arrivare in tempo a un appuntamento

con una storia ormai mossa altrove.

Un altro episodio torna in mente, quando rimasi bloccato io su un cavalcavia

fra La Spezia e Viareggio. Tantissime macchine e persone fuori a parlare.

Finché, in un parcheggio di emergenza, appare un Super Tele, sfiatato e

quasi bruciato dal sole da un lato. E cominciamo, gruppo di perfetti

sconosciuti, a giocare, all’inizio con celia ma verso la fine, quando già

vedevamo i tir e le macchine cominciare a ripartire, con un agonismo feroce.

Sudati, tutti intenti al gioco. Quando sentiamo i motori ripartire sempre più

vicino, un ragazzo tira un calcio poderoso al Pallone che finisce nel torrente

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Page 18: la_politica_accidentale.pdf

sotto. Vediamo la sfera colorata scivolare nell’acqua trasparente credo del

Magra. Decidiamo, ancora entusiasti dalle risate e dall’agonismo, di fermarci

con fidanzate e altri amici nelle macchine all’autogrill dopo per farsi una

bevuta. Eravamo sei, sette macchine di persone. Quando arrivo al bar, sono

rimaste due machine, la mia e quella di un mio amico. Gli altri avevano deciso

di continuare il viaggio. In fondo era stata una parentesi carina, ma non

avevamo altro da spartire. Altro da cui iniziare un discorso. Questo è lo stesso

rischio che corre la politica: di creare attrattiva, unione, cooperazione,

comunanza e la visione di star lottando attorno alla stessa cosa, ma alla fine

ignori le priorità delle persone, ignori l’opportunità di un progetto più a lungo

termine che tocchi davvero la vita delle persone. Che crei l’illusione di poter

superare le barriere. Ma ne erige altre, impedisce piuttosto che favorire.

La Politica Accidentale, invece, deve partire dalle persone, dalle loro

esigenze. Da quello che le code in autostrada, le persone che affollano un

supermercato, un cinema, una chiesa, raccontano di sé. Delle loro

aspettative, delle loro priorità. Back to basic. Ascoltare, appoggiare le

orecchie sulle rotaie. Il Paese Silenzioso cova un rancore sempre più grande

verso ogni forma di casta; io lavoro per una di queste, quella dei banchieri.

Cioè chi ha ricevuto l’accusa di aver rovinato il mondo intero. Quando invece,

come nelle proteste di Wall Street, c’è sempre una proporzione di 1 a 99 fra

mele marce e mele sane. Fra chi abusa di una posizione e chi invece fa il suo

lavoro. Come la finanza giusta, che permette di costruire, di sviluppare idée,

progetti, così la politica onesta è quella delle idée piccole e grandi, delle

visioni che diventano mondi possibili. Il problema è evitare che le posizioni

non diventino radicalizzanti. Estreme. E questo accade se esiste un

riconoscimento che la vita della società non è solo una successione di code e

partite di Pallone o una conga in un tunnel, bloccati dal freddo, ma un

percorso comune. La politica è lo strumento perchè la società si realizzi. La

democrazia è la lingua franca.

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5. Fra Millenaristi e Secolaristi

Come si ricostruisce la fiducia, quando tutti cospirano per la fine dei tempi?

Come si rievoca la speranza, quando tutti parlano di vacche magre per i

prossimi dieci anni? Il Paese Silenzioso è attraversato da popolazioni intere di

questuanti, maghi, saltatori nel fuoco mediatico, a raccontare di epoche al

collasso, di ere di declino. O di ottimisti dell’irragionevolezza. Perché il mondo

cui eravamo abituati è cambiato per sempre. Senza troppe analisi statistiche

(di cui questo libro è assolutamente privo, dato che vorrei ristabilire il primato

dell’oggettività della parola sulla soggettività avulsa dei dati economici,

sociali), l’Europa e l’Italia sono cambiate per sempre. Non si tratta di un

processo irreversibile, sia mai. Però sono cambiate le condizioni

macroeconomiche. Gli equilibri che studiavamo all’università fra primario,

secondario e terziario, privato e pubblico, sono stati alterati, come se qualche

economista folle avesse usato tecniche OGM sul tessuto della società e

quella zona grigia dove la società si connette alla finanza, all’economia.

Paesi una volta grandi produttori industriali sono diventati fucine umane di call

center e società di servizi, centri assediati da attività artigianali sono diventati

sequenze di negozi di parrucchiere, intimo e pizzeria a taglio. Sono prima

cambiati i bisogni, smaterializzati e resi solo vagamente fisici, e subito dopo

sono cambiate le città, soprattutto in Nord Europa, e in Nord Italia. Sono

scomparsi i produttori locali e sono arrivate le catene. Prima si aveva lo

sconto perchè si conosceva il commerciante, oggi si usa Groupon.

L’Europa medievale dei mercati soffocata dalle praterie consumeristiche del

tutto subito. Dopo l’assalto ai negozi, un attacco subdolo, da guerrilla, alla

psyche della società. È morta l’Europa, o ne è morta una natura suddivisa fra

piazza del mercato, piazza della Chiesa e campagna. Quel mondo dove fu

separato il singolo dall’istituzione, che ci ha regalato la democrazia, il

liberismo economico, e la contestazione come forma di evoluzione.

Invece, la mercificazione della politica e la politicizzazione del commercio, ma

massificazione dei consumi hanno creato le basi per un declino secolare.

Finito il senso di urbe, rappresentato dal medesimo squallore di banlieue

parigine, contrade romane e conurbazioni senza anima che soffocano Milano

e Torino, Novoli a Firenze, e le periferie abismali di Napoli e Palermo, giusto

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per tornare in Italia. L’Europa si è trovata a doversi reinventare asiatica.

Società di massa, ma senza crescita economica.

Ogni volta mi trovo per lavoro a Hong Kong, di fronte a centinaia di grattacieli

tutti uguali, assomiglianti a spine dorsali di qualche mostro marino, penso che

da lassù, in appartamenti microscopici, perlomeno godono di una vista unica

al mondo. Il porto marino da cui le merci partono e arrivano da tutto il pianeta,

quel senso di continuo movimento e cambiamento che si avverte in molte

metropoli asiatiche. Il Millenarismo delle Società Formica. In Cina, Indonesia,

India, si percepiscono i millenni, la loro influenza di saggezza e di follia

assolutista, una rassegnazione dell’individuo alla massa che sprona

all’azione, a muoversi più velocemente, a occupare il posto sulla

metropolitana di Tokyo o in coda al ristorante di Shanghai prima di un altro.

Quel senso di compartecipazione anche non voluta, ma economicamente

necessaria, degli slum di Varanasi. Che genera innovazione, fantasia. Dove

abita il futuro.

Esiste una classe di persone, i millenaristi, che vedono questo momento

storico di passaggio come un’evoluzione dovuta, anche forse ritardata da altri

eventi, della storia. Da un lato, quelli che attendono la fine del mondo come

descritta dai Maya, una tempesta solare che ci spazzi via, come se potesse

accadere a ogni momento, per questo rendendo la Societas umana un

continuo, un amalgama dove si deve ottenere il Massimo beneficio nel

minimo tempo, dall’altro, i Millenaristi che sanno che siamo ben oltre il tempo

per qualche altro stravolgimento sociale, economico. Niente Apocalisse

singola, ma tante piccole estinzioni, di culture. Mondi che scompaiono

sottoterra, fuori dal radar globale. Prima le tribù amazzoniche, ora le culture

locali più deboli.

Esiste invece un Secolarismo Europeo, ben altra cosa. Un lento ma continuo

abdicare a tutto il progresso sociale ed economico che ci ha resi tutti quanti

padroni delle nostre relazioni sociali, della nostra vita, del nostro pezzo di

terra. Padroncini a se stessi. Delle risorse mentali e umane. Del nostro

potenziale. E, per questo, con un prezzo attaccato a questo stesso potere. La

capacità di saper articolare pensieri e volontà indipendentemente dal

progetto, dall’utilitarismo asiatico. Se qualcosa di completamente originale

l’Europa ha generato, è stato l’individuo, il nome nella Storia, e non solo

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Page 21: la_politica_accidentale.pdf

quello dei regnanti e dei principi. Quello delle persone, degli architetti delle

cattedrali, degli studiosi, delle donne pittrici e dei religiosi. Dei ribelli delle

montagne e dei vari ciompi e plebei che hanno attraversato il pianeta.

Studenti irrequieti e musicisti. Come il Cristianesimo impose un volto alla

Salvezza, il vero grande scandalo secondo San Giovanni, così l’Europa dal

Rinascimento in poi ha reinventato l’uomo e la sua creatività ha preso il

centro. La distinzione fra chiesa e impero, fra mercato e chiesa ha generato i

mercanti, le imprese. Ora, pian piano, stiamo perdendo questo primato di

capacità di generare individui. Prima, con una contabilizzazione del genio,

nella creazione di mercati del sapere. Poi, con la vilificazione dell’individuo

rispetto alla massa grigia della società. Nella ricerca di facce e volti, corpi,

piuttosto che idee. Fino alla politica delle liste di belle donne e uomini sempre

abbronzati e in forma.

Probabilmente, questo accade per il sopravvento, dopo il Terziario, del

Settore Quaternario, un settore economico che indica un mondo dove le cose

non accadono neanche più in un luogo fisico, ma nello spazio virtuale della

rete. Di Internet. Lavoriamo e pensiamo in un mondo che si è sradicato dal

territorio, dal rispetto delle risorse, dagli equilibri necessari. Il secolarismo del

capitalismo, l’idea che lo stock di risorse del pianeta sia sempre in crescita o

che la redditivita; marginale degli investimenti sia sempre in positivo viene

pian piano sconfitto dalla scoperta dei limiti del pianeta stesso.

In Europa non si è sofferto la fame, non ci sono state carestie e guerre per

mezzo secolo. Inondazioni e disastri naturali sono stati spesso borghesi, dolci

o limitati, rispetto alle devastazioni che osserviamo in altre parti del mondo.

Non siamo sotto la pressione di salvare il salvabile e le nostre case sono

piene di oggetti che vorremmo portare con noi in caso di incendio. Ma il

mondo si sta spostando. È cominciato il Secolo Asiatico/Latino Americano.

Una condanna dalla storia, ancora prima che l’atterraggio di emergenza delle

economie europee sia compiuto. Non tutto sarà come prima e il mondo non

ripartirà domani come se niente fosse accaduto. I soldi arrivano, non solo nei

negozi di moda di Firenze e Pavia, ma nei fondi di investimento, nelle banche

come depositi, come bond, come azioni comprate all’incanto, da indiani,

brasiliani, cinesi, arabi. Gli italiani e gli europei, anche come investitori, non

osano più, non prendono rischio, ma comprano cose sicure, mattone, titoli

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Page 22: la_politica_accidentale.pdf

governativi solidi. È scomparsa quell’attitudine al rischio che un tempo ci ha

permesso di scoprire il mondo. O forse lo rifaranno i nostri figli, per fame o per

disperazione.

In questo, il Paese Silenzioso, l’Italia, ha subito più di altri l’effetto

dell’espansione economica di paesi un tempo solo fornitori di merci e oggi

competitori, abbiamo scoperto che le tecnologie che usavamo erano in gran

parte risultato del lavoro di persone abili e di menti di designer e scienziati

capaci. Esperienza ed eccellenza accademica. Il secolarismo ha demolito

questo castello, riducendo o facendo indurre a pensare che il lavoro manuale

sia non da persone dabbene, o istruite. I campi di periferia, invece di coltivarli

a carciofi, sono diventati appartamenti e campetti da calcio.

Il Secolarismo, l’abbandono alle direttrici del momento, alle tendenze

dell’odierno, senza una considerazione di più ampio respiro, che definisco

Millenarista, ha decretato una necessità di recuperare questo orizzonte.

Secolaristi e Millenaristi. Pronti al mediocre o al peggio.

Una terza categoria è quella dei Ciclisti, quelli che ancora si indorano la

stessa pillola che poi dovranno assumere, il popolo del ‘Domani è un altro

giorno’. E della speranza che quel maledetto albero davanti a casa cominci a

germogliare, di nuovo. Come se la crisi fosse stata una tempesta e non

un’esondazione di un torrente, rapida e distruttrice. I Ciclisti, quelli che

pensano che prima o poi torneremo indietro, a una specie di 'mondo del

passato’, dove si riaprano le fabbriche chiuse e dove tutti possano

dimenticare la distruzione, l’odio. Come se questi anni fossero passati invano,

come se niente avesse scalfito forse per sempre il nostro modo di concepire il

futuro, le relazioni sociali e di potere. Come i nostalgici della Democrazia

Cristiana e del Partito Comunista. Forse un retaggio del perdono dei peccati,

della consapevolezza cattolica che si può ripartire da zero, da una condizione

vicina alla grazia. Magari fosse vero, penso, mentre osservo l'umanità varia

che inonda le strade di ogni centro cittadino. Gli sguardi incarogniti delle

persone. La paura della diversità, perchè tocca e provoca proprio questa

speranza di svegliarsi un mattino, come nelle fiabe e ritrovare un'Italia che,

sorpresa, forse non è mai esistita. Un'Italia che, come ogni utopia, non si può

mediare dai discorsi delle sale d'aspetto o dalle fotografie in casa. Esistono

periodi aurei, di grande ottimismo. I nostri nonni lo videro, ma dopo una

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guerra che devastò tutto. Ed ora, anche noi, siamo alla fine di questa discesa

funesta della crisi economica, associata, in Italia, a un sacco della ricchezza

pubblica da parte di chi doveva invece proteggere la democrazia e i

fondamenti stessi della giustizia. Sono sotto gli occhi di tutti gli scandali di

denari, favori pagati senza soluzione di continuità. Siamo talmente in basso

nella classifica della corruzione che forse solo James Cameron potrebbe

trovarci, in fondo all'abisso. Siamo sopravvissuti a una guerra. Come i

veterani che affollano le piazze americane, i malls, con le loro magliette, le

loro richieste di aiuti e gli arti mancanti. Siamo i reduci da uno scontro epocale

che ha lasciato generazioni intere circondate da macerie. Ricostruire. Alla

faccia di secolaristi, millenaristi, ciclisti, negazionisti. Moralisti. Ricostruire

ignorando i soliti volti, i Partiti dei Carini, Partiti Nazione. Riforme, Solidarietà.

Fottuto progresso. Liste civiche in caduta libera, come la pioggia di rane del

film Magnolia. Un momento epocale, perlomeno per noi, per la nostra

coscienza che sa che non ci sara’ un passo indietro.

PseudoEnrico IV - "Siete arrivati fino a qui perché... lo sapete perché?

Popolo - "No, diccelo tu Enrico! Tu che ti godevi le discoteche e le feste con Falstaff"

PseudoEnrico IV - "Hey, non ci provate! Lo so, lo so. Ho perso tempo. Dietro a gonne e

pantere. Ma sono qui per il vostro stesso motivo..."

Popolo "Diccelo!! Che il nemico si avvicina e vogliamo essere motivati per la battaglia... E non

è neanche San Crispino e San Crispiano oggi!"

PseudoEnrico IV - "Credete di essere qui perché difendere quel poco che vi era rimasto. Per

disperazione, per rabbia contro chi vuol toglierci tutto, da dentro il castello dei profumati

principi di Alsazia. Invece, siete arrivati con me, scesi dalle navi lungo la costa, ignorando

mall e ristorantini di pesce perché volete prendere il loro posto! Volete rimpiazzare i signorini

impomatati. E io vi dico..."

Popolo - "Cosa, Enrico, che non possiamo farlo? Che non è giusto che tocchi a noi un po’ di

vita facile?? Due diamanti, una fidanzata modella, una macchina di moda?"

PseudoEnrico IV - "Quella vita facile, ignoratela. Come vedete, alla fine, sempre in guerra si

finisce. Chiedete un'altra cosa, la speranza di essere felici, non per voi, ma per i vostri figli!

Per quello vi dico, vinciamo questa battaglia, radiamo al suolo quel palazzo e poi ricostruiamo

tutto a nuovo!"

Popolo - "Ci siamo! Facciamo una foto per il profilo?"

K.J. Okker - PseudoEnrico IV

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6. Nemo profeta in patria

In ogni viaggio, c'è sempre un momento nel quale ci si sente persi e si

vorrebbe tornare a casa all'istante. Io lo definisco il 'Momento di Cork', perché

la prima volta che lo provai avevo diciannove anni ed ero in viaggio a piedi

attraverso l'Irlanda, dopo la maturità classica. Ero con uno dei miei migliori

amici e, dopo 22 ore di traghetto da Le Havre a Rosslare e tre ore di autobus

da Rosslare a Cork, nella parte sud dell'Irlanda, ero già stufo di fare il nomade

hippie. Avevamo passato un giorno intero in treno, da Firenze a Strasburgo,

prima che un controllore benigno ci avesse fatto notare che non esistevano

linee costiere da Calais a le Havre e ci trovammo in coda insieme a centinaia

di altri giovani europei, sotto al sole, per poi dormire una notte intera

all’addiaccio, in pieno Oceano Atlantico. Ricordo Cork, una spiaggia

semideserta, un crepuscolo di agosto, con alcuni giovani irlandesi che

sciamavano tra pub e spiaggia. Il porto pieno di navi. Eravamo finiti a dormire

in un albergo a Quattro stelle, bruciando in un fiat la maggior parte dei soldi

per il viaggio. Il mio amico, di fronte al mio sconforto, mi disse 'capisco tu sia

stanco, ma non vuoi sapere cosa c'è dall'altra parte dell'Irlanda? Non sei

curioso ora che sei qui?'.

Lo guardai fisso negli occhi e decisi che aveva ragione. Che da quel momento

in poi mi sarebbe piaciuto viaggiare per capire cosa c'è dall'altro lato del

presente. C'è la strada e c'è sempre un luogo dove arrivare. Tanto che sono

venuto via dall'Italia e sono ormai diciotto anni che sono fuori dal Paese

Silenzioso. Lui è finito in Oregon, a insegnare all’università una dottrina che si

chiama Ontologia.

Agli estremi dello spettro ma ancora simili. E rimane quella stessa nostalgia

barricadera, un desiderio di cambiare le cose, di arrivare fino in fondo a un

discorso appena iniziato. Di trovare una destinazione di arrivo che sia ancora

una nuova partenza.

Lo stesso per il Paese Silenzioso. La frustrazione del presente, non è forse

uno spunto ad andare ancora più lontano, di sfidare le apparenze che ci

vorrebbero arresi, impotenti di fronte allo sfacelo? Anche da lontano. Che, per

noi all’estero, diventa difficile. Geneticamente e culturalmente, si diventa il

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luogo dove si abita, dove si sviluppano psicogeografie, riferimenti e sponde. E

la casa, quelle terre, quelle vie un tempo familiari ridiventano non frammenti

della tua anima, ma pietre, asfalto, colori. Luoghi.

C’è sempre questo rischio di diventare distaccato, scollegato dalle radici e,

per molte persone, questa cosa accade quasi come una forma di sollievo

rispetto a questo sentirsi sospesi fra mondi diversi, nell’impossibilità, anche

filosofica, di poter dire quello che pensi sul paese di origine (dato che non

conoscendo l’oggetto, kantaniamente, il giudizio diventa irrisolvibile). Nessuno

è profeta in patria. Pensa se sei apolide. Come ci immaginano tanti dal Paese

Silenzioso. E, come forse, ci sentiamo noi che abitiamo all’estero e

troviamo/cerchiamo ragioni di sentirci ancora curiosi. Fino a quando

arriveremo in cima al pianeta, ben oltre Cork. E da lì guarderemo indietro,

anzi, da lì già in tanti guardiamo indietro. Non per compromettere le carriere di

altri, ma per fornire idée.

La Politica Accidentale è questa ricerca di nuovo, al di fuori dei circoli soliti,

dei confini, lo spingersi più in là anche del dovuto/consentito. Di quelli che

benpensano. Dal loro salotto. Trovare non tanto il conforto degli stranieri,

dell’ignoto, ma di trovare nuove ragioni per questo spostarsi nel mondo. Non

più cervelli in fuga, ma cervelli in comodato.

All'inizio del 2012, ho avuto la fortuna di vedere Monti parlare alla London

School of Economics. Mi colpì la sua pacatezza, lo stile completamente

diverso da chi lo aveva preceduto, ma necessariamente politico,

hypertestuale, di riferimenti internazionali, nazionali, civili, politici, economici.

Come una lezione di economia e politica pratiche, piuttosto che un comizio E

rimasi colpito da una delle prime cose che disse, a un’audience composta

essenzialmente di italiani. Non cercava di convincerci a tornare in Italia, per

far rientrare i cervelli. La fuga in realtà la vedeva come un arricchimento per

tutto il paese. Ci vedeva come cervelli da affittare, di cui il paese aveva

bisogno, con tutte le competenze e le risorse umane che erano lì di fronter a

lui. Sapeva, sa, come sappiamo noi, che è inutile coltivare illusioni, sappiamo

che per le nostre aspirazioni e i ruoli che abbiamo spesso raggiunto, non ci

sono neanche posti, od opportunità per gli stessi livelli di gratificazione e di

interesse. Ma colpiva la piccola variazione sul solito mantra del brain drain. In

realtà lo possiamo vedere come un ‘gain’, come una speranza addizionale,

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dove le persone possono imparare il mestiere, i trucchi di ogni forma di arte. E

Monti ci chiedeva questo, di poter 'affittare’ i nostri cervelli, sicuramente i

nostri cuori, con idee, spunti, soluzioni. Un concetto ben definito, utliitarista e

realista. Non tornate, se non volete, ma dateci una mano.

Per una delle prime volte della mia vita, mi sono sentito profeta in patria.

Come se qualcun altro, a parte l’amico sindaco di Firenze, mi lanciasse un

assist perfetto. Monti, un vero Politico Accidentale. Qualcuno che comprende

le condizioni, le circostanze, che coltiva una visione, che è disposto a

condividere. E ne trae le conseguenze.

La stessa cosa che feci io di fronte al mio amico Carlo a Cork. Mi resi conto

che esisteva un’attrattiva in altre due settimane a sbattersi fra ostelli della

gioventù in mezzo al nulla dell’Irlanda prima del boom. Oltre al perdersi cento

volte per stradelli di campagna, dormire in un container con cinquanta

ragazze finlandesi (ma questa è un’altra storia). L’altra sponda dell’Oceano.

L’infinito Gucciniano. I grandi sogni.

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7. Un piano molto semplice

"Qualcuno è stato qui, lo so, ha acceso il riscaldamento in casa. E non ero io"

"Electricity" - Ollie Byrd

Andare e vedere. Arrivare in un luogo e scoprire che qualcun altro ci ha

preceduto, sia nella realtà fisica dello spostarsi sia nel paesaggio filosofico

delle idee. Esplorazione e intuizione sono concetti molto simili. In entrambi i

casi si deve fare un passo fuori da quello che ci si aspetta ragionevolmente

dalla giornata. Cambiare percorso, ogni istante. Scoprire la mappatura dello

spazio attorno alla linea che ci conduce da A a B.

Il politico accidentale, una persona come me, si trova proiettata in una

posizione iniziale, un evento, un incontro, una persona incrociata e si rende

conto che, nel gran schema della sua vita, quell'evento lo costringe a una

reazione. Come uno che ti tira uno schiaffo, che ti spinge, o qualcuno che ti

urla da una parte di un fiume dicendogli di raggiungerlo. E qui conta la

disposizione, contano educazione e cultura. Io, per come sono stato

cresciuto, sono stato abituato ad 'andare e vedere’, come i butteri di Domani

Accadrà di Luchetti. Qualcuno ti parla, ti propone delle idee, come se avesse

una mappa dell'universo, un foglio di carta blu e argento enorme,

spropositato. E questa persona ti guarda negli occhi, dicendoti 'Questi siamo

tutti noi, le costellazioni, le stelle comete, i pianeti, le supernovae, noi siamo

qui e voglio spostare questa galassia da questo punto, troppo vicino a un

buco nero, a questa zona qui. Dove prosperare e crescere. Il piano è

semplice, semplicissimo. Sappiamo dove vogliamo arrivare. E sappiamo che,

forse come poche volte nella storia, dovremmo e potremmo pensare che quel

percorso, quel trascinarsi di pianeti e stelle, possa e debba accadere in

maniera nuova, mai sperimentata prima.

Un piano semplice. Immediato. Fottutamente innocente e spontaneo. Troppo

semplice, per essere vero. O, forse, aiuta essere stato accidentalmente

catapultato dentro un contesto, dentro una mappa.

Il Politico Accidentale è il Punto A. E diventa il Punto B. Lo Stato A e lo Stato

B di Elio. La mappa è la persona. Siamo e diventiamo. E non sperimentiamo,

diventiamo, non esploriamo, ci trasformiamo. Con noi, la società, alcune

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istituzioni. O questo dovrebbero fare. La massa di gambe, cervelli, scarpe,

teste, occhi, cuori che formano la galassia e dentro di essa il Pianeta

SIlenzioso Italia. E noi, noi siamo il cambiamento che accade, che trasforma.

O possiamo decidere di far prevalere la forma sulla sostanza, trasformare le

istituzioni pubbliche in una forma di museo del vintage politico, scegliere di

non cambiare. Far trascinare la forma di intervento del popolo nella politica in

una forma di oligarchia illuminata e corrotta. Perchè vive sugli altri, succhia

idée come un vampiro il sangue. O possiamo trasformarci, (r)innovare la

partecipazione politica. Il piano è spostarci da A a B. Da un mondo stantio e

vecchio, dannatamente vecchio a un futuro che immaginiamo, che già

sappiamo non sarà mai come lo immaginiamo ora, ma vogliamo arrivarci e

vederlo, intravederlo e affermarne l'esistenza. Qualunque forma B avrà alla

fine. Un piano semplice, Trasformarci e trasformare il mondo attorno.

Nella mia recente esperienza, questo vuol dire interessarsi alla dialettica

politica, intervenire e dire la propria, dapprima con ironia, assimilando dalle

informazioni attorno, usando il sarcasmo per i primi incerti passi. Buttarla in

vacca, come si fa nelle camminate in montagna, dove all'inizio siamo tutti

pieni di fiato, entusiasmo e bischerate da enunciare. Ben sapendo che verrà

un momento in cui saremo quasi in cima, senza fiato, sperando che ogni

passo sia quello finale, ma già sapendo che saremo travolti dalla bellezza del

paesaggio. Perche’ si cammina in montagna per arrivare in un punto preciso,

dove tutto è più bello che a fondo valle. Esplorare la bellezza della politica

accidentale, una provocazione che qualcuno ti lancia di dover essere in un

posto, ma rendersi conto della incredibile importanza che ha la nostra

presenza, per quel piano semplice.

E qui parlo di punti condivisibili, di passi brevi e veloci, di piani e programmi

che parlino linguaggio alto dei valori a cui uno si affida, politicamente ed

eticamente, ma anche la praticità di dire cosa si vorrà fare il giorno stesso in

cui ci sia dato il potere di governare, di guidare una città, un paese, una

regione. Un quartiere. Fatti misurabili. Semplici.

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8. I knew Prufrock before he was famous

“In the room the women come and go

Talking of Michelangelo”

T. S. Eliot, “The love song of A.J Prufrock”

Ho conosciuto tanti politici nei miei anni da studente di liceo e poi

universitario. Ho conosciuto quelli che facevano la gavetta nei vari partiti,

nelle associazioni, nelle radio e nei giornali di parte. Anche io ho fatto

volantinaggi, ho attaccato manifesti alle due di notte, all’alba delle elezioni al

Liceo Dante e a Villa Favard, dove si trovava la facoltà di Economia, lungo

l'Arno. Fra amici diretti, parenti e amici di parenti, credo di aver potuto

conoscere almeno tre generazioni di politici fiorentini e toscani. Succede.

Come dicevo all’inizio, è la mia genetica in qualche maniera, o una forma

Pavloviana di attrattiva per il movimento, per l’attivismo e la caciara dialettica.

Da un lato, una fortuna, da un altro una disgrazia, dato che ogni pranzo o

cena di famiglia rischiava di diventare una sessione di argomentazione da

studente del Talmud.

Sono stato rappresentante degli studenti per una lista di ispirazione cattolica,

negli anni della Pantera, al Liceo Dante e poi rappresentante di quartiere a

Rifredi, rappresentante studentesco in Consigli di Facoltà, nel Consiglio per il

Diritto allo Studio. In momenti di grande confusione politica, dove siamo tutti

nati, almeno in Toscana, comunisti o democristiani, per poi trovarsi sbattuti in

ogni direzione, sotto ogni forma di arbusto, sigla.

All’inizio era la Pantera, la crescita esponenziale del Fronte della Gioventù, in

un liceo di chiare tradizioni reazionarie, in una Firenze dove se facevi il

classico al Dante eri 'un fascio autolesionista’ e se lo facevi al Michelangelo

eri un 'figlio del '68 libertario’. Fra traduzioni dal greco al latino in piedi e 6---

politico.

Ho visto e conosciuto vari Prufrock, uomini e donne, persone che si sono

interessate alla politica e hanno continuato nel loro impegno, facendone

spesso una professione, e lo dico qui, in maniera onorevole e onesta. Quando

io invece ho scelto altro. Ho deciso di partire. Ma non di abbandonare quel

desiderio di cambiare le cose da dentro. Come se continuasse la storia

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d'amore con la società. Sicuramente ho avuto il privilegio di vedere queste

carriere di persone a me care muoversi, sbocciare, dai volantinaggi fatti con

mio cognato, quando eravamo giovani democratici cristiani, alle discussioni e

chiaccherate con un ragazzino di quarta ginnasio, della stessa età di mio

fratello, che mi parlava all'intervallo (e per questo ogni tanto mi viene la

tentazione di cazziarlo, come farei con mio fratello, che considero ancora un

quindicenne, ma questo è un mio limite). Di questo giovane, mi colpì la

zazzera di capelli che sembrava quella di Federico Fiumani, il cantante e

chitarrista dei Diaframma, un gruppo storico della New Wave toscana. E la

determinazione al lavoro, al rendere il particolare universale. Una dote dei

politici veri. Diventati amici, ne avrei seguito la carriera dalle stanze del Dante

alla presidenza della provincia di Firenze fino alle stanze di Cosimo I, dove

con mio nonno Luigi andavo a incontrare Bargellini, mentre parlavano di La

Pira e don Milani. E dei giorni tragici dell’alluvione, quando l’ufficio di mio

nonno in via Calzaioli fu distrutto dall’acqua. Per quello, dopo, prese un piano

del palazzo della Reale Mutua, all’entrata di Piazza della Signoria. Da cui ho

imparato le regole del calcio storico e ad associare nomi e volti ai vari politici

che vedevo parlare. Circondati da bandiere rosse, scudocrociate, con

un’edera in mezzo.

Un popolo, quello fiorentino, pronto al dibattito, allo scorno politico. Di politici

non accidentali, ma quasi geneticamente predisposti. In questo mi sono quasi

sempre riconosciuto, per una forma di repulsione personale per quello che è

prestabilito. Come se molti dei politici che ho incontrato, facessero come le

donne di Eliot, che sono quasi costrette a parlare di Michelangelo, senza

avere un dibattito. Invece, nelle zone di casa, ogni domanda era un dilemma

da discutere, da valutare.

Dopo un periodo lungo di estraneità fra parole e azione, finalmente rivedo una

generazione di politici che hanno cambiato il modo di interagire con il loro

elettorato. Perchè le parole, anche le migliori, hanno sempre bisogno di

qualcuno che le renda sue, che le ripeta e che le incarni. Una specie di

sussidiarietà del linguaggio. Dove non arrivano le dichiarazioni, i proclami, le

azioni fanno la differenza, devono raccontare di una differenza dal passato.

Su queste basi, mi sono fatto coinvolgere da Matteo Renzi, il “ragazzo con la

zazzera”, nel suo progetto politico. Anche se da lontano, in una forma di

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Page 31: la_politica_accidentale.pdf

dialogo che ha molto più in comune con Radio Londra che con alcuna forma

di scambio intellettuale. Ma è il mondo oggi. Si scopre che in 140 caratteri si

può dire tanto, eliminando il superfluo. Non sono tempi barocchi. Su queste

stesse basi, continuo a pensare che mio cognato, Gabriele Toccafondi,

parlamentare PDL fiorentino, sia una dimostrazione di come, alla fine, non

siano ideologie o ideali a fare la differenza, per innalzare il dibattito politico e

lo scambio di provocazioni. Occorrono volti, persone che abbiano chiaro cosa

sia morale, giusto, sostenibile.

L’alternanza, il ricambio, sono forme di linguaggio in cui si esprime la

democrazia. Forse la più alta. I toni si possono riscaldare, ma la Politica

Accidentale che immagino è un luogo di confronto, non di diffamazione. Di

apprezzamento e di distinguo.

Un posto dove si possa parlare di Michelangelo, ma si facciano anche le

cose, si creino le opportunità, gli investimenti per far crescere il paese. Certo,

ho fatto la mia scelta di campo. Non posso non considerarmi riformista. E lo

dico dalla posizione in cui sono, dopo aver visto da vicino, molto vicino, i

danni di certo pensiero iperliberista, finanzariamente fallace, ma anche

socialmente pericoloso. Ma lo vedo nell’ottica che imparai da ragazzo, della

sussidiarietà, del supporto pubblico, del minimo comune denominatore dei

servizi pubblici e del merito che sovrasta il casato.

Di Prufrock ne conoscerò ancora tanti, spero, di giovani talenti che entreranno

nella sfera politica, non per un tornaconto, per solleticare le signore bene a

parlare di un altro giovane talentuoso, ma per continuare un lavoro, un

progetto di una politica, anche in maniera bipartisan, migliore.

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Page 32: la_politica_accidentale.pdf

9. Senza Rete/Senza Scampo

'Give me the words/that tell me everything'

Tuxedomoon - "Manner of Speaking”

Cosa fa nascere un movimento politico? Qual‘è il passaggio da un momento

spontaneo di aggregazione, un'intuizione che nasce nella testa di un individuo

e che poi comincia a contagiare altre teste, altri cuori e diventa uno

spostamento di persone, generazione di altre idee, fino all'estrema

conseguenza di un'organizzazione complessa? Negli ultimi venti anni, dal

naufragio della Balena Bianca sugli scogli del Pio Albergo Trivulzio, quanti

capitani e comandanti abbiamo visto fallire nel loro mandato, quanti Mariotti

Segni, quanti movimenti con molta più ricerca nei nomi che nella capacità di

rendere le idée sostenibili. Ogni volta con uno spunto o due geniali, con valori

forti, importanti. Con programmi anche dettagliati, per certi versi, ma senza

quello che si chiamerebbe ‘respiro’.

Abbiamo consumato ore e ore della nostra vita in stanze, aule convegni,

consumato gli occhi a leggere instant books sul futuro del paese. Ogni volta

illusi che il cambiamento fosse arrivato, che il Pianeta Silenzioso fosse

arrivato a una svolta. Per poi svegliarsi ubriachi di concetti, ma disillusi dal

responso del 'popolòo’ a ogni ipotesi di riforma profonda della politica.

Forse potremmo chiederci se molti dei nuovi rasta della politica italiana

avessero davvero quella carica e quel carisma che si chiede a un leader o se,

forse, fossero troppo soli, in una maniera don chisciottesca, contro i mulini a

vento delle gerarchie politiche, delle dinastie elettorali, dei piccoli, medi e gran

poteri che ancora modellano il Bel Paese, come e più dei movimenti di

orogenesi.

I 'Nuovi in Politica’ sono una specialità stagionale della politica italiana, come i

carciofi. Abbiamo vissuto stagioni di girotondi, sit-in e popoli di vari colori.

Comici che diventano leader, per tornare a far ridere pian piano, mentre le

loro idee si scolorano. Politici che cercano il consenso di calciatori e veline

ancor prima di quello del popolo, perché in fondo, ogni imperatore ha bisogno

dei suoi circensi, per ammansire le folle.

Cosa rende stabile, e cosa potrebbe essere il 'game changer', l'espediente

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Page 33: la_politica_accidentale.pdf

che renda un movimento o una strafottuta corrente di partito un luogo di

persone e idee che diventi davvero un meccanismo di cambiamento, come

accadde con il New Labour di Blair?

Cosa rende, secondo me, i Politici Accidentali un vero segno di novità e di

rottura rispetto a chi li ha preceduti, ai mestieranti dei partiti? Alcuni principi

base:

- Dal locale al globale - Un'esperienza di governo o di gestione particolare,

ben definita, dove il Politico Accidentale possa sperimentare non solo nuove

idee e nuovi processi di implementazione delle stesse, ma dove possa anche

cominciare ad avere prove tangibili dell'efficacia delle stesse idée. Non vuol

dire per forza un ruolo politico, ma sicuramente il Politico Accidentale deve

sapersi muovere da istanze locali, parziali, regionali o di settore, ma per

allargare la visione, renderla se non universale almeno condivisa. Deve saper

usare la lezione imparata sul territorio, nell'ambito limitato che ha di fronte,

come un paradigma e come un esempio. La cultura del cambiamento vero

accade, si manifesta con questa capacità di tramutare energie locali in

sommovimenti anche al centro. Senza rabbia, ma costruendo.

- Diversità e Affiatamento - Le persone accanto al/ai leader di un movimento

che voglia 'funzionare’ dovranno arrivare da esperienze di lavoro,

accademiche e sociali disparate. Non ha futuro un 'partito di categoria’ o

basato sul censo, sul casato. Un popolo ha bisogno di sentire che da subito ci

sono elementi di diversità, di immedesimazione. Un po’ come la logica del

Varietà televisivo delle domeniche sera negli anni Settanta. Qualcosa per tutti,

in uno spettacolo unificato, unificante. Con una trama, un plot e un conduttore

famoso e iconico. Raimondo Vianello. Dove, nei suoi spettacoli, aveva

sempre un ruolo importante il capo clack. Il capo del pubblico, quelli che

devono applaudire, e ridere a comanda. Un'idea di team trasversale, che si

muova dai camerini al palco, alle prime linee del pubblico. Ci sono, ergo

partecipo. Sono parte del team. L'affiatamento accade spesso quando ci sono

grandi differenze.

- Rete di Reti o La Matrice della Diffusione Politica - La presenza non solo di

diversità sociali ma anche territoriali è determinante. Si vince consenso se si

investigano/apprezzano e accolgono le istanze di aree diverse del paese, con

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Page 34: la_politica_accidentale.pdf

le loro differenze di crescita economica, sociale. Un paese come l'Italia vive di

migliaia di piccole diverse realtà. Una Politica Accidentale che funzioni non

può esimersi dal conoscere e valorizzare questa estrema ricchezza e la

maniera con la quale problemi come, per dirne due, corruzione e

disoccupazione giovanile, si declinano lungo il paese. Quindi un 'globale’ fatto

di tantissimi localismi.

L'intuizione iniziale dovrà spostarsi senza snaturarsi nella sua radicalità, ma

dovrà trovare nuovi ambasciatori per adattarla. Un movimento che sappia

parlare ai banchieri della City e ai giovani di Enna. Ai giovani di Enna che

fanno i banchieri. La rete, il network, è la capacità di offrire politica come un

Servizio Universale, come le poste. La partecipazione sociale è l’ultimo vero

requisito che uno stato dovrebbe fornire, supportare. E se vogliamo essere

seri nel cambiare le regole del gioco dovremo parlare a tutti. Essere ovunque,

avere un ideale che possa essere condiviso ma che non diventi una regola. Ci

vogliono le parole nuove nella politica. Parole che dicano tutto, che

definiscano il mondo, semplicemente. E le soluzioni. Con lo stesso linguaggio.

Quello della Rete.

Il Politico Accidentale dovrà organizzarsi, partendo dalle sue conoscenze,

perchè, come dirò dopo, la struttura tradizionale del partito che abbiamo

ereditato dal diciannovesimo secolo potrebbe non essere più adatta. Se non

addirittura perniciosa. Distruggere il passato che non ci appartiene. Ripartire

dalle relazioni umane. La struttura e l’organizzazione dovranno garantire non

solo una continuità del messaggio politico, ma anche la capacità stessa di

una rottura, di un cambiamento. Troppo spesso, i movimenti politici diventano

solo enormi amministrazioni di comunicati, di ruoli e di lavori. Tradendo la loro

genesi, la loro capacità di condensare attorno a sé le forze buone della

politica. Anche quando certe istanze sono reazionarie, quando nascono da un

disagio che diventa troppo comune per essere contenuto.

Invece qui reclamo la necessità di un programma articolato, condiviso, di

ideali che diventano visioni e che diventano standard da raggiungere. In caso

questo non accada, il Politico Accidentale dovrà lasciare, permettendo ad altri

di prendere controllo della direzione del ‘movimento’. Esiste la rete, esistono

le connessioni, i nodi rappresentati dalle persone possono cambiare. Come

nel cervello, dove le cellule sono solo terminazioni e la vera informazione

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Page 35: la_politica_accidentale.pdf

risiede nelle sinapsi. E questa confusione di informazione deve essere

sintetizzata, deve accogliere tutti ma poi rendere evidente quale sia la priorità

del giorno, del mese, dell'anno. Credo che uno dei motivi di maggiore

alimentazione della corruzione siano state proprio le aggregazioni incredibili di

richieste, di istanze diverse che hanno investito i politici, i detentori di un

potere enorme. Dove ognuno, da ogni parte politica, ha voluto avere la sua

fetta di benefici.

Il Politico Accidentale non cerca privilegi per sé, serve, aiuta, supporta le

comunità, sia locali che nazionali. Entra nel merito, non per fare un piacere

all'amico del paesello da cui viene, ma perché crede che quel progetto

specifico sia positivo, utile. Che cambi. Per quello, tutti abbiamo un ruolo da

giocare, nei nostri localismi, anche all'estero, nella nostra generazione e nel

nostro specifico lavorativo. Siamo tutti protagonisti, ma non possiamo più

caricare la politica di ruoli di facilitamento, per pigrizia. Il futuro siamo quello

che vogliamo. E lo facciamo e costruiamo noi. Ogni giorno.

‘The future is yours, so fill this part in’

Marnie Stern – “Transformer”

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Page 36: la_politica_accidentale.pdf

10. Ideologia vs. Valori

I miei genitori sono nati durante la II Guerra Mondiale, i loro amici più giovani

hanno fatto il ’68, i miei cugini più anziani hanno fatto il ’76, hanno studiato

durante gli Anni di Piombo e noi, la generazione dei 40enni attuale, abbiamo

visto brandelli di lotta politica, le ultime grandi occupazioni, abbiamo scoperto

il veleno della politica 20 anni, e abbiamo lasciato a un popolo di Senza

Qualità e Senza Speranza la democrazia, tramutata da un mercato libero di

idée e di pensieri a un oligopolio travestito da chaos.

Ci hanno fatto credere al fantasma dell’ideologia, un mondo verboso e ostico,

dove si deve leggere Hoffmann, bisogna saper discernere fra una Falanghina

e un Greco di Tufo. Come fra un Socialista Lombardiano, un Riformista

Esperito e un Proto-Comunista. Le parole, anzi, i motti, le filosofie, sono

diventate più importanti dell’affermazione di principi base, di valori.

Negli scritti di politica si cita Adorno come si aggiunge parmigiano alle

melanzane. Si citano Foucault e Grossman. E così dicendo. Come se il futuro

si potesse costruire partendo da un bagaglio di storia della politica e della

filosofia occidentale. È questa la prima grande barriera a una politica nuova,

questo gioco di citazioni, rimandi, di parole e testi, di citazioni dotte,

sicuramente, ma che poco dicono sul presente e sulla necessità di ridefinire il

mondo, le nostre aspirazioni. Un movimento politico è come una rockstar,

come un gruppo pop. Ci sono momenti di Gloria, poi si dovrà lasciare il passo

ai giovani. Senza intrattenere uno spettacolo indecoroso di settantenni che

saltano in calzamaglia sul palco.

L’Ideologia lasci il posto all’Ideogenia. Lo sviluppo di innovazione in politica,

partendo dai Valori che condividiamo, in cui sono cresciuto e mi sono affilato

le armi dialettiche umane. Come scritto in introduzione, le generazioni

attualmente abili e arruolate alla vita adulta (chi ha oggi dai 25 ai 50 anni)

hanno vissuto di rimando, di rimbalzo momenti decisivi del paese. Come molti

dei junior che lavorano per me in banca non sanno quasi chi sia Paul

McCartney (accade!), così in Italia molti giovani non hanno vissuto il momento

principe dello stravolgimento democratico, che fu l’omicidio ideologicamente

motivato/provocato di Aldo Moro. Quella fu la linea che tutto il paese dovette

attraversare, con i governi di unità nazionale e la Socialistizzazione della

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Page 37: la_politica_accidentale.pdf

politica Italiana. L’atterraggio molesto della corruzione e la sua pervasiva

permanenza nel panorama italiano nacque dall’impossibilità del paese allora

di trovare una forma di ribellione, di reazione di fronte all’omicidio della

Grande Alleanza della Sinistra DC e del Centrismo Comunista di Berlinguer.

Da un lato gli estremisti, dall’altro gli affaristi e i Pidduisti, entrambi, con una

necessità di un empasse istituzionale, dove poterrne approfittare.

Il socialismo di Craxi, la corruzione, Mani Pulite, il Berlusconismo e il

Minettismo, la Lega. Figli dell’Omicidio Moro. L’ideologia che diventa una

scusa, per eliminare dal dibattito politico l’Ideogenia.

Oggi, a più di trenta anni di distanza da via Fani, a venti anni da Mani Pulite,

in un momento di governo tecnico, di incertezza politica assoluta, il Politico

Accidentale è qui per ribadire alcuni concetti. Per rimuovere il coperchio delle

etichette e delle ideologie e riparlare di Valori, di Cosa Vale, di cosa ci sta a

cuore. (‘What We Care About’, avrebbe detto Don Milani).

Quali sono questi Valori?

a. Riformismo Vs. Gattopardismo – La Politica Accidentale non può non

essere riformista, innovativa. La liberazione quieta e decisa di energie

nuove. Riforme sociali, economiche. Come se, dopo averlo osservato da

lontano, da dentro, alcune persone si arrogassero il diritto a una revisione

delle dinamiche che regolano il paese, le regole, le relazioni di forza, le

pressioni sociali e internazionali. È chiaro che un paese come quello

Silenzioso vive all’interno di una rete relazionale, ma l’anomalia italiana è

stata la sua fissità assoluta rispetto ad altre realtà, la mancanza di

ricambio non tanto dei volti, che, cribbio, ogni tanto qualcuno dei vecchi

leader muore, ma delle idée o della maniera nella quale la società si

sviluppa. La famiglia, la Chiesa e tutti i circoli/salotti alla luce del sole.

Correnti sotterranee di sotterfugi, piaceri personali e favori pubblicamente

remunerati. Sicuramente, in Italia ci dovrebbe essere una specie di

indicatore, in ogni evento e azione politica ed economica, da una manovra

finanziaria a un accordo fra sindacati e imprese, che indichi quanto

quell’evento cambi le regole del gioco, migliori il paese ed elimini quel

senso di sclerotizzazione della società. Una specie di Gattopardo Index,

con tre o cinque livelli, dal ‘Verde’ di ‘bassi livelli di gattopardità’, fino al

profondo rosso o il nero di un livello ‘Mob Rulez’, dove non solo le cose

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Page 38: la_politica_accidentale.pdf

non cambiano, ma ci sono pressioni forti a non farle cambiare. Come gli

indicatori di consumo degli elettrodomestici. Un indicatore di

cambiamento. E, badate bene, non sempre le cose devono cambiare.

Esistono regole e istituzioni che beneficiano un paese per la loro

immobilità. Creano certezza. Sicurezza nei riferimenti istituzionali e morali.

Non necessariamente le chiese, i capi religiosi. Opinione personale, ma

credo che la chiesa cattolica o Cristiana dovrebbe destabilizzare, creare

confusione, disordine, nell’ordine delle cose del mondo. Rovesciare tavoli

di mercanti nei templi, insegnare nelle scuole l’incertezza e il dubbio e poi

far riabbracciare agli studenti la bellezza della Fede. Per chi ha coraggio di

ammetterlo. Un modello savonarolesco di religione. Le certezze vengono

dal diritto. Dalle opere. Dalla certezza morale che sono le azioni a definire

il paese, quello che accade sul palco della vita pubblica e non quello che

si decide dietro la quinta del teatro o nel foyer. Per questo il riformismo è

importante, per questo i valori di solidarietà e di giustizia devono

continuare a essere incarnati, ricercati. Disperatamente voluti. Catalogati.

Gattopardo Index (r), presto su tutte le vostre azioni il primo Indicatore

Riformista di Sviluppo del Cambiamento del Paese.

b. Solidarietà Intra e InterGenerazionale – ‘E io pago’, diceva Totò nella

macchietta del padre che deve sempre provvedere ai vizi e stravizi della

famiglia. ‘E noi paghiamo’, anzi, ‘abbiamo pagato’ direbbero i nostri

bisnonni e nonni, quelle due o tre generazioni del dopoguerra che hanno

generato la ricchezza e il benessere sulla loro pelle, sui loro sacrifice e

fatica. Per permettere ad altre due o tre generazioni di usare quella

ricchezza accumulata. Come se non ci fosse un domani. O come se ci

fosse un domani di eternità. Aspettativa di vita che si allunga. Che è un

indice di progresso. O di degenerazione del progresso, quando non solo le

generazioni correnti vicino alla pensione hanno usato le risorse

accumulate dai padri, ma pretendono al tesoretto pensionistico che le

generazioni correnti stanno accumulando. Il Politico Accidentale sa che la

sostenibilità del futuro passa attraverso una nuova forma di solidarietà,

come se la generazione di chi lavora ora si trovasse all’indomani di una

guerra mondiale, come se anche le strutture funzionanti dovessero essere

ripensate per un periodo di pace, di calma. Si sa che durante una guerra,

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Page 39: la_politica_accidentale.pdf

si mettono mine, si distruggono infrastrutture per rendere al nemico le

cose più difficili, ma in pace si costruisce e si usano le risorse per

difendersi dall’aggressione del tempo. Dall’usura della corruzione.

c. Futuro come Visione – Quando ogni aspetto della vita di un paese è, in

qualche maniera, controllato da ultrasessantenni ideologicamente delusi,

ma economicamente motivati, è difficile che l’orizzonte temporale delle

decisioni valichi quello che si definirebbe un “medio periodo” di 3, 5 anni.

Le associazioni dei giovani dei partiti sono piene di quarantenni ancora in

cerca di autore e manca la vera pianificazione, l'immaginarsi un futuro

possibile o scenari di futuri alla portata di mano. Che non è progettare

lavori di infrastrutture che dureranno per venti anni. Questo è egoismo, o

menefreghismo. Dato che è una maniera per far beneficiare a chi vive nel

presente il ritorno economico, il rendimento di progetti, che saranno ‘vivi’

solo in un futuro lontano, dove altri pagheranno il vero debito finanziario.

Trovandosi di fronte opere ed impianti che magari saranno già obsoleti. La

Politica Accidentale invece dovrebbe parlare di una visione del futuro,

come risultato di trasformazioni della società che accadano in maniera

‘giusnaturalista’. Cambiare a poco a poco, non lanciarsi in proclami ma

definire un punto di arrivo. È lecito immaginarsi come sarà il mondo fra 20

anni, perchè si decide oggi. Lo decidiamo con cosa insegnare nelle

scuole, con la costruzione di infrastrutture che rispettino l’ambiente e che

diano respire alla società civile. Ludoteche e piscine nei quartieri popolari,

biblioteche luminose e treni veloci per sostituire gli aeroporti. Quanto è

lungo il lungo periodo? Sicuramente abbastanza per definirlo come valore

a sé, a parte la intergenerazionalità. Il Lungo Periodo è la risposta alla

domanda ‘Cosa vogliamo lasciare di tangibile ai nostri discendenti? Per

cosa vogliamo essere ricordati?’ che non è necessariamente un tunnel

sotto il Tirreno o una torre di seicento piani. Ad Atene, l’idea di democrazia

è resistita molto meglio di ogni monumento, teatro, tempio, presto svuotati

di attori e divinità. Invece le opere, il pensiero che ha modellato quella

societa ha resistito. E noi, cribbio, vogliamo lasciare che siano i deliri

leghisti e le incertezze progressiste a rimanere come documento di

quest’epoca? Come vogliamo modellare il futuro a partire dalle cose in cui

crediamo e che crediamo possano fare il bene del popolo. Ergo, di noi

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stessi. O della nostra genetica che continuerà a camminare e a ricordarsi

di noi, nella memoria collettiva che portiamo dentro. Come gli istinti

primordiali. Il futuro si genera ora. Nei valori che scegliamo. Tolleranza,

Affetto, Condivisione. Chiarezza e Rigore.

d. Meritofilia – Dove finisce il talento? Dove si crea, forse? Dove si coltiva?

Quali sono le fabbriche di speranza generazionale? È la meritocrazia un

valore per se o dovremmo ribattezzarla e trasformarla in ‘meritofilià? Non

tanto una determinazione a priori di un progresso nella carriera

determinato dal merito ma una società che sappia accogliere ogni tipo di

capacità e talento, al di fuori del jargon e del lingo corporate. Il Politico

Accidentale, se viene da un percorso professionale, sa che le capacità

crescono sulla base della fiducia accordata, sugli spazi di libertà e di

inventiva lasciata alla persona. Non si tratta di ridurre a sistema qualcosa

in sostituzione ai criteri di anzianità o di clientelismo, ma di riuscire ad

apprezzare la novità, l’entusiasmo non più come segni di debolezza o di

mancanza di pelo sullo stomaco, ma di necessarie virtù per un Paese

Silenzioso che vuole ritrovare la sua voce. La Meritofilia è amare il talento

altrui, amare quello che le connessioni fra le diverse capacità delle

persone può generare. Ai tempi dell’università ricordo un’amica che era

bravissima a volantinare, a distribuire ogni tipo di materiale in giro, a

parlare con le persone. Poi, la mettevi di fronte a un professore in un

esame e panicava. Nessuno capiva come mai una persona così brillante

socialmente e chiaramente preparata non riuscisse a dimostrare cosa

valesse in un’aula di esame. Fin quando uno dei docenti le insegnò a

chiedere prima dell’esame una sessione serale, quando non c’era più

nessuno nella stanza. La sua carriera universitaria cambiò radicalmente. E

continuò a essere la colonna portante di ogni operazione di volantinaggio.

Con molta più motivazione. Il professore aveva voluto bene al talento della

ragazza, trovato il merito e sviluppato la sua consapevolezza. Meritofilia.

Dovrebbe accadere così nella società. Nella politica. I Politici Accidentali

non saranno mai tutti leader di partito, ma quel che conta è il paese, è la

speranza, a cui tutti possiamo aggiungere qualcosa. Cribbio, non lo diceva

forse già il Vangelo?

e. Volumi Zero – Ci voleva anche il ‘fad’ della decrescita. Come spengere i

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Page 41: la_politica_accidentale.pdf

motori di un jet che scivola sopra le Alpi e dire ‘via, ora si scende senza

sprecare benzina, tanto ci sono le ali, sperando di trovare un aeroporto in

linea con la nostra traiettoria di avvicinamento alla terra’. Apparentemente

gli aerei moderni possono viaggiare senza carburante, solo scivolando nel

cielo grazie alla forza di gravità, per centinaia di chilometri. Ma è bene che

quando arrivi al suolo ci sia una pista in asfalto o un mare non troppo

ostile. Quando sento parlare di decrescita, penso alla stessa cosa. A un

motore che viene spento, una luce in una stanza senza finestre che viene

spenta. E tutti cerchiamo l’interruttore con le luci dei cellulari. Però esiste

un valore assoluto nella teoria dei volumi zero, di poter continuare a vivere

in maniera decorosa, consumando sempre meno fattori di produzione.

Che non dovrebbe turbare i fanatici della crescita economica, dato che il

minor consumo procapite potrebbe essere mitigato dalla crescita della

popolazione. Una Politica Accidentale a Volumi Zero dovrebbe seguire gli

stessi principi. Ridurre il peso della politica, come costo economico e

sociale, permettendo a chi si occupa di altre cose di interessarsi, di

partecipare non solo al dibattito, ma al governo della cosa pubblica. Politici

a volumi zero perché non ci sarebbe una continua crescita di poltrone e

posti per accomodare chi viene trombato alle elezioni, chi perde un seggio

(e da qui tutto un mondo di fondazioni, istituti di ricerca, etc), ma

tornerebbero a fare il loro lavoro. La politica è dopo la finanza e la

prostituzione, il mestiere più antico del mondo. Tutti e tre hanno sofferto e

soffrono continuamente di crisi di reputazione. Come le banche hanno

cominciato a ridurre il loro organico, a punire più severamente chi non

segue le regole, così dovrebbe funzionare in politica. Adeguarsi al

momento storico, ridurre le chiacchere e aumentare le soluzioni. La

prostituzione, di solito, segue gli andamenti di questi altri due mestieri. Tre

piccioni con una fava.

Quello che l’idea di Politica Accidentale prospetta è un mondo di valori antichi,

che riconosciamo nelle nostre persone, nelle strade. La solidarietà, il rispetto

per la libertà di opinione e azione. L’apertura a regole che alimentino il

benessere, riducendo gli sprechi. Far parlare le persone, lasciare che ognuno

si prenda la sua responsabilità. La politica come scelta temporanea nel ruolo

pubblico, ma endemicamente connessa alla società.

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Page 42: la_politica_accidentale.pdf

11. Big Bang ed Effetto Wimbledon

Nel 1987, la Tatcher premise (o promise?) una rivoluzione dei mercati

finanziari in Inghilterra che cambiò il mondo per sempre. Tutto si può dire

della Iron Lady tranne che non avesse una visione rivoluzionaria, per certi

versi iconoclasta. I duri e puri Labour non digeriscono ancora la sua

devastante (e violenta) opera di riduzionismo sui sindacati, la Poll Tax e tutta

la retorica Tory di classismo e di censo come indicatore di successo sociale.

Che penalizzò, alla fine, i Labour. Perchè la Tatcher mosse il paese e forse il

mondo in una direzione che permise 25 anni di insperato vigore economico,

anzi, diciamocelo, finanziario. Fu chiamato il Big Bang. Prima di Jovanotti,

della Leopolda e dei suoi irrequieti e sorridenti abitanti. I mercati finanziari

furono meccanizzati, fu possibile operare sulle borse attraverso terminali, di

fatto aprendo la Borsa di Londra, tutti gli Exchange di vari prodotti finanziari al

mondo. Come un velo del Sancta Sanctorum che improvvisamente si

squarciò. Aprendo tutti i mercati a oscillazioni, esagerazioni, incidenti come il

fallimento di banche, brokers. Come se una nave ferma nei dock da secoli si

trovasse all’improvviso in un mare aperto, sotto stelle nuove e cieli insoliti. E

fu la salvezza della City. Non solo. L’Inghilterra si tolse la muffa di dosso,

centinaia di giovani talenti si spostarono verso Londra, con tutto il loro

bagaglio di educazione e di esperienze. Questo sommovimento di risorse

umane fu chiamato 'Effetto Wimbledon'. Come si sa, all’All English Club non

vince un inglese da decenni. Neanche nel doppio misto. Ma questo non rende

Wimbledon meno anglosassone. I riti, la flemma e l’organizzazione, lo spirito

sottile, come le fragole e il Pimm's, rimangono immutati. Anglobalisation, la

definirei. Così nella City della fine degli anni Ottanta, il talento che fece

esplodere i mercati dei derivati, delle commodity, delle azioni (creando anche

le premesse strutturali per la crisi del 2008, forse) era o straniero o…

popolare. Veniva da altrove. Dalle periferie inglesi, dall’Essex, dalle scuole

pubbliche, dal proletariato inglese che, improvvisamente, aveva di fronte

un’opportunità di arricchirsi con una forma più raffinata di gambling. Il Gran

Casinò dello Square Mile.

Non si può però negare che la Tatcher abbia creato una mobilità sociale

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senza precedenti. Una città che veniva soffocata alla gola dal rispetto anale

per le sue tradizioni, mentre anche il punk si afflosciava sotto il peso del

Cream Tea e delle torme di anglofili alla ricerca del cappello di Sherlock

Holmes, si rinnovò. Diventando la capitale del Mondo. Ci abito da 16 anni e

condivido un pensiero di Samuel Johnson, filosofo del XVIII secolo: ‘chi si

annoia di Londra si annoia della vita’. Questo accade quando si permette alla

diversità, al nuovo, di influenzare le vecchie regole del gioco. Innovazione?

No. Umanesimo. Realtà. La constatazione che la società cambia e che il

passo da mantenere le regole a creare ghetti e muri di cinta è brevissimo,

quando la politica non si adegua, è brevissimo.

Per questo, il Paese Silenzioso è oggi nella posizione perfetta per un Big

Bang, un attimo prima di un’implosione che ci dicono i modelli economici, che

ci raccontano gli analisti quantitativi di tutto il mondo. Stiamo implodendo ma

dentro al cuore vorremo ancora una volta esplodere. Liberalizzare la politica,

renderla trasparente e tecnologicamente adeguata alla comunicazione.

Facendo in modo che i Politici Accidentali possano emergere dalle nebbie e

dall’instabilità istituzionale.

Subito dopo, “Effetto Wimbledon”. Le facce allegre e spensierate della

gioventù della Leopolda, il calore di un abbraccio o di una discussione piena

di idée piuttosto che opinioni. Centinaia di persone a dirsi, a brutto muso,

quello che conta. Pochi ‘inglesi della politica’. Vogliamo essere tutti come

Nadal, quando scalò in maniera anarchica la gradinata di Wimbledon, dopo la

sua vittoria contro Federer, da vero outsider, ma con tutti i numeri giusti per

farsi valere. Da casa mia, che guarda verso l’All English Club, sentivamo le

voci impazzite del campo centrale. In televisione le immagini di un giovane

spagnolo sul tetto della reggia di Albione.

Vorrei fosse un giovane pratese di origini cinesi il mio presidente del consiglio

quando andrò in pensione. Spring rolls e c aspirata. Come Don Milani

profetizzò sulla Chiesa.

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12. Gli Sconosciuti/Eroi comunque

Ci sono migliaia di foto sui siti dei social network di politici famosi, di

personaggi pubblici circondati da perfetti sconosciuti. Che sia Berlusconi o

che siano Bersani, Letta o Formigoni, attorno a loro ci sono sempre i soliti

volti, le facce degli italiani che ci provano, che cercano di trovare una ragione

e provare a schiodarsi dal muro dell'elettorato passivo cui sono stati crocefissi

tanti anni fa. Ci tornerò sull'argomento, sull'obsolescenza del modello partitico

(ma non degli ideali, anche se sotto le orride spoglie dell'ideologia

annacquata). Intanto osservo i ragazzi dagli occhiali colorati, le ragazze con

l'abito della festa, i signori di una certa età in regimental o maglioncino rosso

o azzurro. Tutti attorno al politico, al vate. Cene, pranzi, sagre. Feste in

discoteca o riunioni di sezioni provinciali. Sorrisi, larghi, vistosi. Sicuramente

le mani del politico logore dal troppo stringerne altre, la camicia appena

aperta.

Il fascino del ruolo, della politica. Le falene del popolo verso la luce. E questa

voglia di fare, bipartisan. Le opinioni che cercano conferma, che esondano

nelle discussioni. In ogni posto, sempre qualcuno con un'idea migliore, il solito

signore che si alza e invece di fare una domanda, comincia un monologo di

mezz'ora. È questo il popolo da riconquistare prima. Alla Politica Accidentale.

Leggo i titoli dei dibattiti, sempre qualche forma di santino del politico, una sua

disquisizione, una presentazione di un suo libro. Come se non esistessero

altri motivi per parlare con gli altri. La discesa del principe, quasi. L'autorità

donata dalle parole sicuramente, dalla sicumera con la quale il deputato, il

protoministro, chiunque sia, elucubra ed elabora un discorso sul niente

legislante. Autoreferente. Propaganda per il sé, nascosta, celata sotto un

interesse per l'altro. Storie simili, mi immagino. In un paese con problematiche

alte come le sue catene montuose, un Pianeta SIlenzioso dove ogni cosa è

tortuosa come le sue strade di campagna, le stradine che scendono a mare

lungo molte coste. I pensieri come paesi di collina, collegati da un discorso

che spesso non finisce da nessuna parte o si trova impantanato in code,

traffici di distinguo e differenziazioni cartacee.

Il Politico Accidentale osserva questa umanità magari dolorante, ma ancora

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sorridente nelle fotografie. E sa che chi ancora crede nella forza delle idee,

delle parole che diventano progetto, a cui si chiede al politico una direzione,

chi crede ancora in tutto questo è un eroe. Uno stramaledetto eroe nazionale.

Sconosciuto, ignoto. Una parentesi di vita e di speranze dentro un testo già

scritto, dove il politico navigato sa già cosa dire, cosa solleticherà l'appetito.

Come dire 'costolicci’ a un abruzzese.

Il Politico Accidentale avrà un programma, delle idee, saprà quale direzione

proporre, ma vorrà/dovrà ascoltare. Conoscere questi eroi ignoti. E renderli

visibili, accogliere le idee, le istanze e promuovere quello che accade

localmente a livello nazionale. Questi volti che si affacciano, le piccole o

medie realtà, le associazioni e le fondazioni. Ogni giorno, un'idea nuova per

cambiare il paese, ma in un ambito 'micro’. Piccole civili azioni quotidiane.

Come costruire autostrade ovunque, magari senza distruggere la bellezza di

quello che c'è attorno. Canali privilegiati, ma non lobbismo. Il Politico

Accidentale arriva dall'esperienza sul terreno, ha conoscenze specifiche,

cribbio, anche limitate. Ma sa di cosa parla. E dovrà ascoltare e farsi ascoltare

quando necessario. Il futuro della politica non è tanto il consenso ma

l'interessamento dei vari 'stakeholder'. Gli eroi del giorno che passa, della

notte dove si lavora e si costruisce, dei mattini di azione e i pomeriggi di

seminari. Gli eroi dei mesi dove si costruiscono idee che possano collimare.

Concertazione. La parola giusta. Concertare ed essere pronti a cambiare le

proprie idee, la propria concezione di mondo.

Questi volti che ho davanti, che brindano con l'europarlamentare, vogliono

parlare, essere dentro il programma, essere dentro il Parlamento e dentro il

Governo. Vogliono poter contare. O poter esprimere le loro idee. Od

osservare in un silenzio che sia denso di significato. Forse non vogliono più

pendere dalle labbra del solito vetrinista di partito. Non vogliono più neanche

sprecare tempo nel fingere una connivenza programmatica. Gli eroi che

costruiscono le Feste dell'Unità, che preparano i raduni dei giovani, degli

anziani. Gli eroi che parlano e che hanno un loro giudizio. Politica

Accidentale. Deve essere diffusa. I mezzi ci sono. Intanto, chiunque

raccoglierà la loro sfida dovrà tener conto del loro coraggio, della voglia di

giustizia, democrazia che diventa sbattimento. Rendere onore a questo è un

passo chiave. Il resto è tecnologia. Il resto è comunicazione. Quel che conta

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sono le persone, il rispetto che il politico gli deve, che passa anche nel far

presente cosa sia possibile o impossibile, cosa sia lecito, auspicabile. Spesso

mi immagino una campagna elettorale e la vedo come un autobus

impolverato che sale verso la vetta di un paesino. Caldo, polvere, camicie

bianche e un bar accanto al municipio di qualche parte del Bel Paese

Silenzioso. Le persone che si avvicinano all’autobus e cominciano a fare

domande. A chiedere, e a raccontare le loro storie. Se non sarà questa

l’anima del cambiamento, i volti, le persone, le mille anime dell’Italia, non

andremo mai da nessuna parte.

‘E donne strette dentro scialli neri

Vennero a domandare scelte chiare’

CSI - Inquieto

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Page 47: la_politica_accidentale.pdf

13. Siamo noi la California, siamo noi la libertà Ogni volta che passo in macchina da Livorno, verso la Maremma, mi imbatto

in questo cartello stradale, che indica la California. Un quartiere, una zona

della provincia di Livorno, sulla cui etimologia esiste un dibattito ormai

pluriannuale con parenti e amici. C'è chi gli assegna una forma di significato

romano, dove i forni sono i canali di irrigazione. O chi fa credere a tutti che il

nome derivi dai primi emigranti di ritorno che dissero 'sembra la California

qui...', il che è in fondo vero. Le colline basse, vitigni come in Napa Valley, se

non più pregiati, un mare bizzoso e ventoso a pochi chilometri. Pure lo stile di

vita e l'accento dei Livornesi potrebbe essere benissimo adattabile a quello

degli americani californiani. Tutti sole, vita, energia e sfottò.

Come tante parti dell'Italia, anche la toponomastica cambia in base

all'influenza degli italiani di ritorno, della commistione fra generazioni e popoli

diversi. Ma il punto non è quello. È quello che definisco il ‘displacement effect’

che la politica dovrebbe attuare. Ridonare il senso di un mondo nuovo a cui

dare un nome altrettanto originale e nuovo. Si parla di displacement quando

qualcuno vede una cosa, un oggetto, un panorama e lo associa ad altro, a un

altrove reale, conosciuto o immaginario. 'Bello, sembra Bucarest' dice un

attore di Ovosodo, di un altro livornese californianamente ispirato, Virzì,

quando entra nel quartiere dove il protagonista, il figlio della classe operaia

toscana, vive con la famiglia. Bello, sembra Bucarest. Bello, sembra Clinton.

Sembra Blair. Sembra una democrazia. Sembra bipolarismo. Sembra

qualcos'altro. Sembra un inizio di guerra civile cilena, potrebbe aggiungere

qualcuno.

Eppure, il Displacement Effect aiuta, sposta la discussione sulle differenze, su

quello che ci manca per essere un paese non più silenzioso moralmente. Su

quello che ci ha reso un tempo, seppur brevemente, una fucina di talento, di

innovazione – ma perche’ eravamo il centro dell’Occidente. La bellezza ci

rimane, ma sempre più sfiorita. Non rinnovata. Decontestualizzata. Lo penso

ogni volta che mi avvicino ai centri storici di una qualsiasi città non solo

italiana, ma europea. Le file di negozi tutti uguali, la stessa edilizia in serie,

attorno a Lille, Bruxelles, Londra, Firenze.

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Page 48: la_politica_accidentale.pdf

Poi, a scavare, a fermarsi a quardare il particolare, si scoprono, anche in

Milano, dei frammenti, delle piccole tasche di bellezza. E che richiamano

altro.

Vorremmo poter usare qualcosa di quello che vediamo attorno. Potremmo

ripensare tante cose, ispirandoci ad altre esperienze. Il Politico Accidentale sa

che bisogna non imitare, ma sviluppare, usare la fantasia, la conoscenza,

l'esperienza e provare a riproporre, a rimodellare intuizioni che altri hanno

avuto. Lo facciamo in tanti ambiti. Dal metodo champenois all'uso del curry

nella cucina. Oppure, esiste un'altra maniera. Riscoprire i frammenti di altro in

quello che abbiamo attorno e svilupparli. Riprendendo il discorso degli eroi.

Usare quel frammento di alterità che abbiamo attorno. Dagli stranieri che già

vivono con noi, capire, approfondire quali sono i loro valori. La California o la

Cina che già sono fra di noi. L'Angola ed il Senegal, la Romania e la Russia,

la Pampa, le Ande. Tutto il mondo che già aleggia attorno.

Una cara amica è stata coinvolta in un progetto del Comune di Milano, dove

le comunità straniere sono state incluse in una serie di incontri regolari con

l’assessorato alla cultura meneghino, e dove ognuno porta il suo contributo.

Ero lì una sera tiepida di dicembre, dentro il palazzo reale, una stanza

enorme piena di persone e colori. Un momento di una commozione profonda,

quelle voci che parlavano un italiano corretto e pieno di accenti per poi

svisare naturalmente in altre lingue, inglese, spagnolo. Voci, musiche, idee.

La California che è in noi che già parla, si muove, nei bambini che vanno a

scuola e parlano in romanesco e giapponese. In questo progetto del Comune,

le comunità straniere dovranno funzionare da ambasciatori per l'Expo di

Milano. Il Displacement Effect, quando le delegazioni delle varie nazioni

arriveranno. Troveranno questi volti, ancora una volta eroi, ad attutire le

difficoltà in un paese contorto ma alla fine ospitale come l'Italia. Parlano la

lingua, conoscono la cultura. Sanno che certe cose non si fanno o si dicono.

Displacement. Spiazzamento. Rendere accogliente la politica allo stesso

modo. Il Politico Accidentale saprà accogliere queste istanze. Per rendere il

mondo di tutti più idoneo ad accogliere la diversità, le opinioni che diventano

fatti, azioni, opera e dismettere tutto il chiacchericcio che soffoca ogni

riunione, ogni convegno. La fuffa, la palla di cotone nella gola dei gatti. E noi,

il pubblico televisivo, in sala, in radio, a osservare questi animali che

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Page 49: la_politica_accidentale.pdf

tossiscono parole, si contorcono prima di vomitare una palla di argomenti

dismessi da tempo.

La Politica dovrebbe avere la stessa profondità di un cielo californiano,

dovrebbe far sognare il sole di Vada o di Puerto Escondido. Aprire a orizzonti,

terre promesse, ma costruendo in attesa del prossimo Big One.

Siamo noi la California, siamo noi la libertà.

==========================================

FakeCaliban - 'Ho atteso questa visita per molti anni, temuta e desiderata allo

stesso tempo’

Duca di Milano - 'È per quello che non ti sei mai spostato da qui?'

FakeCaliban - 'Si. Mi accontentavo dei resoconti di Ariel che volava sopra gli

oceani. Ma mi immagivano già tutto e trovavo qui attorno a me luoghi e

oggetti che immaginavo fossero frammenti di altri mondi’

Ariel - 'Non hai mai pensato che magari inventassi tutto?'

FakeCaliban - 'Tutto è inventato, qui, cara Ariel. Siamo già un'invenzione di

quello che vorremmo, no?'

Duca - ' Per quello ci odi, perchè non siamo quello che volevi?'

FakeCaliban - ' No, vi odio e amo allo stesso tempo perché, rivelando la

menzogna che vivevo, mi avete rivelato la verità su di me. Avete interrotto un

sogno, che è alla radice del mio odio, ma lo avete rimpiazzato con l'evidenza

del mondo, della necessità di un futuro che sia migliore di tutto il passato che

ho avuto su questa penisola’

The FakeTempest - K. J. Okker

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14. Big Ben/Bang/Bond

Mi piace giocare con le parole, forse come scaramanzia per evitare che

giochino loro con me. Significato e significante. La parola che diventa veicolo

surreale di collegamenti. La parola comunica, c’è poco da fare. Come le

immagini che evoca.

Passo spesso sotto al Big Ben, che è un’immagine perfetta della maniacalità

che gli inglesi hanno per il dominio del tempo. Non tanto con la sua

precisione, che in quello gli svizzeri hanno il monopolio. Parlo di Dominio. Di

controllo. Del tempo, della sua misurazione. E della constatazione che il luogo

che definisce lo scorrere del tempo passa da qui vicino, a Greenwich. A

partire da questa linea immaginaria che attraversa Isle of Dogs ed il museo

della Marina sul Tamigi (frall’altro una delle gemme poco conosciute dai

turisti, ma questa non è una guida di Londra). Il Big Ben detta il tempo della

politica, provvede per la tempistica degli incontri, delle sedute del Parlamento

inglese. Fin quando si arriva dalla City, si vede il padellone bianco di

Westminster. Ci si regola subito. Il tempo dell’economia è e deve rimanere in

linea con quello della politica. Come dicevo prima, il Big Bang della Tatcher

ha riaperto il mondo i mercati del mondo all’incertezza e all’opportunità, ma

dentro il grande alveo delle regole. Quel gran divario fra il darwinismo

regolamentare angloamericano/sassone e la regolamentazione come

macigno alla Mosè Europeo e asiatico. Precedente contro Statuto.

Quel che conta è dominare il Tempo, quello degli eventi che accadono e che

necessitano cambiamento e i minuti e le ore, prima che giorni, settimane,

mesi e anni, passino invano. Il Big Ben ricorda a tutti che esiste un tempo che

passa per tutti e che per continuare a dominare i Tempi si deve promettere

alternanza, opportunità.

Il Politico Accidentale sa che il Tempo ha un valore enorme. Lega le

generazioni, le loro aspirazioni e, come in ogni attività umana, determina il

ritorno, il valore aggiunto che ci aspettiamo da ogni azione. Un valore che può

e deve essere sociale. Il tempo esalta e logora le passioni delle persone, le

rende urgenti, immanenti e poi spenge gli ardori, le pulsioni, in una forma di

grigiume senza forma. Il tempo va dominato o dominerà la politica. Da un lato

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Page 51: la_politica_accidentale.pdf

impedendo il ricambio generazionale, dall'altro facendo accavallare

generazioni.

Bisognerebbe garantire per legge, ogni tanto, un Big Bang, una rivoluzione,

che, in assenza di un desiderio di sangue e violenza, di guerre civili e morti,

renda il cambiamento al potere un obbligo. Introdurre alla politica persone

nuove, diverse.

Il Politico Accidentale è chi si offre alla comunità per risolvere problemi, per

offrire i suoi servizi, ma sulla base della sua fungibilità ed esperienza

personale. Il tempo, che secondo gli scienziati non esisteva nel mondo prima

del Big Bang. E ora è qui, alimenta i nostri sogni e le nostre frustrazioni. Ma

crea le generazioni. I team, le associazioni, diciamo anche le correnti. In

realtà il tempo dovrebbe diventare una maniera con la quale politici ed elettori

di età diverse riescono a comunicare, a collaborare. Non più a competere.

Da Big Ben a Big Bond. Siamo ‘uno’. Come le nervature di una foglia. Siamo

un passo del percorso dell’evoluzione. Siamo tutti parte di un cammino della

società umana. Ed è questo legame che permette la sopravvivenza. Che

impedisce a un qualsiasi dittatore folle di schiacciare un bottone che lanci

missili nucleari, che faccia ricadere il pianeta dentro un caos primordiale. Il

Grande Patto, o il Grande Abbraccio dell’umanità. Che sono i nostri padri, i

nostri figli e i loro figli, che già ci immaginiamo simili a noi. Quella genetica

che viaggerà ancora lungo le stesse strade. La Politica Accidentale un

processo che permetterà di stabilire quail sono le possibilità del futuro,

determinare quail sono le emergenze e le urgenze dettate dal Tempo.

Guardare ogni tanto il Big Ben. Favorire che il Grande Legame non diventi un

peso ma un’opportunità.

Tutto questo vuol dire pianificazione, sostenibilità e temporaneità del lavoro

del Politico Accidentale. Una 4x400 piuttosto che una maratona. Quegli ultimi

50 metri prima di passare il testimone, lo sguardo della persona davanti,

magari tua figlia, un sorriso, la posizione della mano tesa. Il bastone che

viene passato, lo sguardo della staffetta che ora sfida la corsia, ondeggia per

trovare un equilibrio e riparte, mentre la folla esulta. Il tuo cuore che quasi si

ferma. Il sangue carente di ossigeno. La luce di un’arena di atletica. E

qualcuno che corre ad abbracciarti. Questa dovrebbe essere la Politica

Accidentale. Purposeful.

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15. L'iridescenza Blairiana

Sono arrivato a Londra nel 1997, nel momento preciso in cui Blair esplodeva.

Un nuovo Big Bang inglese. Le classi medie e proletarie con una qualche

forma di aspirazione che ritrovavano la loro voce, il loro volto. Questo non

accadde per caso. Fu un processo egregiamente e dolorosamente ricostruito

da Philip Gould in ‘The Unfinished Revolution’ che dovrebbe essere lettura

obbligatoria per chiunque voglia fare il progressista. Si renderà conto del

momento assoluto di rottura e di rispetto della tradizione che Blair e la sua

gang imposero a un partito che aveva paura di perdere. A un paese che stava

uscendo da una crisi economica, reduce da una guerra breve ma intensa

contro l’Argentina e una continua minaccia dall’Irlanda del Nord. Un paese

anche recidivo, sempre più aperto al mondo. Il Big Bang della Tatcher e il

grande spettacolo Blairiano, l’arcobaleno della cultura multirazziale

anglosassone degli anni ’90.

Un paese che seppe cogliere il giusto momento per diventare riformista e

innovativo. Le cose cambiarono sotto Blair, io c’ero. Un senso di positivo, di

nuovo. Il Brit Pop e la Brit Art. Un senso di orgoglio non tanto di appartenre a

una nazione ma di essere tutti artefici di un momento di novità. Si respirava

ovunque, la Cool Britannia. Tutt’ora, anche durante la crisi economica, rimane

quel senso di possibilità, di opportunita; che si impara durante le difficoltà. Da

qualche anno va di moda la Stayation, cioè la vacanza estiva in Inghilterra o

Scozia, senza andare nel Chianti, in Spagna, nelle Algarve o dai cugini

neozelandesi. Gli inglesi sono capaci di muoversi da big spenders d'Europa a

un’austerità personale e collettiva senza soluzione di continuità. Da qualche

parte nella loro genetica hanno il DNA dello sforzo, del sacrificio. Tempo non

per cattedrali, ma per un tè o una pinta. Tempo non per viaggi esotici, ma per

camminare attraverso le colline del Kent. Come se si preparassero a qualche

altra migrazione di massa.

Ma questo è leggermente fuori tema. Quel che mi interessa sottolineare è

che quella iridescenza che ha permesso a Blair di sfavillare ed eccellere, la

sua capacità di tirar fuori il meglio della società civile o capirne le vere

necessità, i suoi bisogni, era dentro un genoma della politica come servizio.

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Sicuramente ha giocato un ruolo importante la ricerca assidua di Gould e dei

suoi ragazzi su dati statistici, demografici, la sua persistente e tenace ricerca

di informazioni laterali, sondaggi astrusi, ma che raccontavano una fetta

d'Inghilterra. Per un certo periodo, Tony non ne sbagliava una. Come quando

cerchi qualcosa su Amazon un libro e ti suggerisce qualcosa che ti interessa.

Blair parlava di qualcosa, di salute, di sistema sanitario, e ti parlava anche di

uguaglianza sociale, di lavoro e di sviluppo. Andava al funerale di Lady D e

ricordava a tutti che la grandezza della Famiglia Reale alla fine era la

grandezza di un popolo attorno, una Magna Charta di carne e ossa. La

legittimazione del potere assoluto costruita dall’assenso di milioni di individui.

Un Leader Accidentale necessita di questa iridescenza, di questa maniera

sottile in cui poche parole dicono tante altre cose. Un continuo rimando ad

altro. Non come distrazione dalla questione principale, ma come la capacità di

vederla inserita in un contesto, in una visione. Cribbio.

Chi vorrà aspirare a guidare il Paese Silenzioso fuori dalla sua opacità dovrà

avere questa iridescenza, questa maniera di affrontare i problemi come se

fosse sempre in nome del popolo che rappresenta, qualcuno che capisca,

come detto prima, il Tempo e i tempi. Qualcuno che permetta alla società di

emanciparsi (ma si, usiamola questa parola sempre meno usata), di

accogliere e di considerare differenti istanze, ma di aver ben chiaro in mente il

da farsi. Una mappatura. Non è un caso che Monti piaccia molto agli italiani e

che riscuota successo all’estero. Ha in sé quel gene di esperienza, di capacità

di lettura del reale. E di praticità. Non ha lo sguardo ammaliante di Blair o la

ferocia elisabettiana della Tatcher. Non è un imbonitore come Berlusconi. Ma

ha gli occhi di chi sa cosa dice e sa cosa aspettarsi da quello che promuove.

In comune con gli omologhi inglesi citati. In comune con un Fanfani o un

Berlinguer giovani, che avevano chiara la sfida di fronte, sapevano il costo

sociale e politico di certe scelte, ma le fecero comunque. Quello che si

definisce 'bene comune’. L’iridescenza del Politico Accidentale. Di chi serve,

piuttosto che di aspettarsi di essere riverito.

Un punto di metodo. Blair, come la Tatcher, è stato la propaggine apicale di

un iceberg di lavoro, sui dati, sulle persone, sull’intelligenza e

sull’innovazione. Blair non era Blair senza il suo team, senza le persone che

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lo consigliavano, senza le persone che lo fermavano per strada e gli dicevano

cosa pensavano, ma soprattutto Blair non sarebbe stato Blair se non fosse

stato investito e reso tale da una sua ambizione condivisa dall'ambizione di

quelli attorno a lui. Purtroppo ha fallito in una cosa, non ha lasciato eredi

evidenti, schiacciato da un'alleanza con Gordon Brown, ma anche quel

momento di sconfitta del Labour ha insegnato tanto. Il Politico Accidentale ha

coscienza della sua finitezza, ma dell’infinitezza delle permutazioni del popolo

che serve. E capisce quando è il momento di lasciare. L’ultima grandezza di

Blair fu quella. Lasciare con tutto il suo bagaglio di responsabilità e di errori

del suo secondo mandato. Lasciando un partito ferito, non necessariamente

morto. Permettendo che nuove forze cominciassero a rigenerare il Labour e la

sua presa sulla società.

Nel Paese Silenzioso, ogni leader serio della coalizione progressista non

potrà esimersi da questo lavoro, da questa assunzione di responsabilità. E

dovrà avere un volto che parli alla gente non dei loro limiti, ma di come tutti

compartecipiamo alla loro risoluzione. Un volto che parli di futuro che passa

attraverso la fatica del presente. Di un futuro che non sia populistico,

demagogico. Nella mia testa, non credo in un mondo che debba diventare

pauperista, dove chi ha fatto fortuna, come alcuni ministri del governo Monti,

in maniera del tutto legittima e professionale, debba essere considerato

distaccato dalla società.

Non credo che la ricchezza in sé sia un limite, o un peccato mortale. La sua

ostentazione, lo è. O, meglio, l'ostentazione di uno status, che in Italia è uno

sport nazionale. A partire dai politici, il cui benessere dipende e deriva da

quello del loro ruolo pubblico. Senza arrivare alle macchine blu. Ai politici

chiedo di ascoltare e di farsi umili di fronte alle persone. Non chiedo di

stracciarsi le vesta, ma di sedersi dove siedono e far lavorare il cervello non

su come assicurarsi un futuro e ruoli redditizi, ma su come spostare il paese

su un percorso di solidità sociale e finanziaria. Assieme a loro.

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16. Dal Partito Ottocentesco alla Rete Neurale

Quando Blair ha lasciato la sua ‘cadrega’, era chiaro che i Laburisti avrebbero

perso le elezioni, cosi; come quando Bush The Second finì il secondo

mandato, fu chiaro che anche un pescatore di frodo avrebbe vinto contro un

candidato repubblicano. Ma questo non fece abbassare la guardia sia in UK

che in America. Non ci fu una scelta alla ‘meno peggio’, ma processi robusti e

partecipati come mai prima, soprattutto in America, per trovare successori a

due personalità ingombranti, per motivi diversi.

E qui vorrei soffermarmi sulla natura dell’organizzazione e della ragion

d’essere dei partiti politici in Italia, in Europa, come sono oggi. Non vorrà

essere una difesa del bipartitismo, ma piuttosto una critica dell’obsolescenza

di un modello partitico. Di un’organizzazione che ormai, come i sindacati,

protegge le rendite di posizione - e che rendite - di partiti e movimenti politici

inesistenti, non presenti sul territorio o talmente transienti che è difficile

capirne l’affidabilità. La sinistra italiana ha cambiato così tanti simboli e nomi,

che anche Prince ne rimarrebbe stupito. Peraltro non regalandoci argomenti

probabili, se non una continua serie di scaramucce interne e di discussioni

sull’interno del movimento piuttosto che sul futuro del paese, su una visione

che sia ragionata e condivisibile.

Perché? Perché accade a tutti, se io oggi mi spostassi a fare il mio lavoro in

un’altra banca, probabilmente manterrei le stesse idiosincrasie. Qui si parla di

due generazioni di dirigenti di alcuni partiti storici italiani, dal PCI, alla DC, che

sono gli stessi, le stesse cellule, lo stesso DNA, spesso accompagnati dai loro

allora giovani fedeli, che si ritrovano a fare un lavoro simile, a parte il simbolo.

Che bandirei. Perchè un simbolo evoca, crea un immaginario. E questo è

sbagliato. Perché quello che promettono nelle poche parole del simbolo,

democrazia, progresso, non esiste. Non appartiene al DNA stesso dei partiti

gerarchici e controllati furiosamente nel dettaglio da segreterie e strutture

amministrative complesse come ministeri.

Amministrazione finanziaria, di risorse umane. Sicuramente che generano

lavoro, reddito nazionale. Quale sarà l’incidenza della politica, come indotto,

nell’economia del paese? O, quali saranno i costi? Alla fine, le conferenze di

partito creano esperti di immagine, design, catering, ma non aiutano a

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svecchiare la leadership di partito. Non educano i giovani, le scuole di partito.

Perchè dovrebbero mandarli per due settimane in un quartiere depresso del

Sud o a lavorare in un call center, piuttosto che dargli un badge disegnato da

Giugiaro e riunirli in un castello dell’Appennino Tosco Emiliano o in una

località termale del Lazio.

I partiti puzzano. Non di sudore, di fatica, ma di morto. Sono strutture che non

si rinnovano, perchè ci sono troppi interessi o, forse, mancano le idée, le

alternative. Molti leader parlano di OpenGov, ma pochi, nessuno, di

OpenParties. Chi finanzia le campagne elettorali, dove finiscono i soldi, dove

vengono spesi, in quali ristoranti, in quali iniziative. Come viene risolta la

sperequazione delle risorse finanziarie, aiutando le sezioni meno abbienti? E

chi controlla il patrimonio immobiliare? È fruibile a tutti?

Fondo di Fondi si definirebbe in Italia il sistema partitico. Liquidità, Real

Estate. Magari azioni di banche del centro Italia, dove il partito ha investito. Ci

sono forme di controllo, rappresentanze politiche nelle Casse Cooperative,

nelle Fondazioni bancarie. Che potrebbe aver senso, data la correlazione fra

interventi locali delle banche e benessere sociale. Ma ci vuole più

trasparenza, anche sulla capacità dei membri dei consigli di amministrazione

delle banche locali, a nomina politica. Sulla loro competenza. E sul loro

contributo.

Ci si chiede se sia davvero il caso che i partiti investino in Tanzania, che

abbiano accumulato patrimoni enormi, ma tutti senza alcuna forma di

controllo rigoroso. Perchè da questo gioco non si salva nessuno. Il

plurisecolare PD, che ha immobili ovunque, il PDL, la cui macchina

organizzativa ha un costo che stento a credere sia coperto solo dalle tessere

e dal finanziamento pubblico.

I partiti come sono oggi sono un’altra reliquia dell’Ottocento, di un periodo

dove l’organizzazione territoriale delle forze politiche doveva ricalcare come le

altre forze in gioco - la Chiesa, lo Stato - erano organizzati. Ci voleva una

sezione di fronte al Duomo, di fronte al Palazzo del Pretore. Ci volevano

eventi che avvicinassero le persone, Feste Locali, Rionali. E questo non era

sbagliato. La nostra democrazia, seppure traballante, è riuscita a

sopravvivere grazie alla capillare presenza dei partiti nel tessuto urbano e

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Page 57: la_politica_accidentale.pdf

rurale del Paese SIlenzioso. Le idée passavano per dibattiti e discussioni

nella piazza centrale. Ora le piazze, i circoli sono vuoti, deserti. La rete parla,

la rete neurale, che ci mette in contatto, crea questo cervello elettronico, ma

dove ogni neurone è una persona, un’idea. Il futuro passa per la banda larga,

per la capacità di chi ha voglia di impegnarsi in politica di associarsi e di

creare opinione, e dall’opinione politica, visione. Programmi.

Non è solo un problema di sviluppo tecnologico, ma di atteggiamento

mentale. Il mondo accade, avviene, ora. Si sviluppa. Come in finanza, le cose

cambiano ogni giorno, si rivedono i piani come se dovessimo ogni momento

decidere la posizione giusta. Spostamenti minimali e strattoni verticali, forti,

profondi.

I partiti come concepiti oggi non ce la fanno più. Usano la rete come forma di

marketing e non come piattaforma di creazione di idée, di sviluppo di

soluzioni. Politici illustri scrivono su Facebook o Twitter, ma come se fossero

post-it. La gente risponde e loro non reagiscono mai alle provocazioni. Si

perde così quella cosa stupenda di sviluppare il pensiero. Di combinare prese

di posizioni diverse e condensarle, sintetizzarle in qualcosa di condiviso. A

dire il vero, non me ne potrebbe fregar di meno che Letta parli a

RadioStereoNotte, se so che non riesco a influenzare, come affiliato allo

stesso partito, come uno che dovrebbe condividere I suoi ideali, almeno

l’azione (che il pensiero è una libertà individuale. Posso fare si con la testa,

ma ho la liberta; di pensare che la persona che ho davanti sia un bischero).

Un convegno di partito oggi potrebbe accadere in streaming. Bersani a mollo

nella sua vasca da bagno potrebbe arringare tutto il PD, senza spostare

centinaia di persone. Deludendo i vari operatori del catering e chi gli

affitterebbe il salone o il palazzo dei congressi. Ma questa è una

estremizzazione. In realtà, la tecnologia offre molto di piu; la capacità di

condividere documenti programmatici, di discutere e cambiare gli stessi

programmi in tempo reale. Durante il dibattito, in fasi pre o post congressuali.

Un Partito Neurale e non, come oggi, Nevrotico. Il segretario e la dirigenza

come Webmaster di questa rete enorme di speranze e possibili soluzioni.

Il Politico Accidentale arriva da contesti di lavoro dove il mondo viaggia già su

queste lunghezze d’onda, dove la comunicazione diventa creazione, sviluppo.

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Page 58: la_politica_accidentale.pdf

Conference call attraverso gli Oceani, documenti condivisi, esaminati da varie

persone. O vive questa esperienza con gli amici attorno. Un partito serio

dovrebbe avere sezioni virtuali. Accanto a quelle locali, accanto alla rete

locale di Persone, non di Patrimonio Immobiliare e Interessi di Parte.

Una nota a margine. Il Territorio conta, nella visione della Politica Accidentale.

Non si predica la chiusura delle sezioni dei partiti, o la loro trasformazione in

edilizia popolare, ma lo smantellamento di questa visione univoca

ottocentesca in cui quello che accade a Roma diventa prima Vangelo e poi

Corano lungo la strada. Ci vuole una Riforma Protestante dei partiti. E, come

sempre, saranno le periferie dell’Impero, come fu la Germania, come fu il

povero Savonarola, a farlo. Lo stesso che (come scopro grazie a un

eccellente saggio di, ahimè, un inglese) inventò il pamphlet stampato ancor

prima di Lutero, la canzone politica e, sicuramente, fu la prima grande vittima

di un piano di Austerity. Certe cose non cambiano mai, ancora una volta

rivoluzioni che nascono da nuove possibilità di comunicazione. E dal

Territorio, dalle periferie come fonti di ispirazione piuttosto che come aree di

evangelizzazione.

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17. La Sfiga

Non esiste la sfiga in politica, ma esiste l'incompetenza che si traveste da

sfortuna, malora e si tramuta in disappunto e in una generale incapacità di

capire cosa è andato storto. Come non esiste in finanza. Alcuni storici

raccontano che la grande crisi di Wall Street del 1929 cominciò quando

Milady Luck morì. Di sifilide. Era una delle matrone di uno dei bordelli di lusso

di New York. E molti banchieri, nel timore di essere contagiati, vendettero

azioni all'incanto scatenando la prima ondata di panico. Ho provato a

verificare questa storia raccontata in un film breve sulla crisi

(www.crisisinthecreditsystems.org), ma non ho mai potuto confermarlo in

fondo. Sicuramente, c'è molto di vero. Scaramanzia, terrore della fine, denaro

e sesso. Un classico.

Nella politica, accade che si cerchi il 'culprit', il capro espiatorio al di fuori di

noi, come in ogni ambito umano. E così funziona anche nella sinistra italiana.

Si cercano scusanti, si accusano divinità mediatiche, ma non si capisce che la

'sfiga’ a volte ce la vogliamo tatuare addosso o godiamo nel portarla in giro

come una patrona nel giorno di festa. Non ci sono par condicio, ceteris

paribus, omnibus e parabellum, porcellum che tengano. We call the shots.

Il Politico Accidentale, proprio perché abituato spesso alla complessità della

vita reale, sa che i votanti sono persone, che ci sono bisogni, che ci sono

correnti di pensiero, ci sono statistiche che possono raccontare dove vuole

essere l'elettorato. Al di fuori degli esperti dell'opinione che spesso si fanno

un'idea su sondaggi telefonici e impressioni raccolte su terrazzi settembrini

romani. Esiste una politica che passa dalle cose pratiche. Da una discussione

fatta nell'androne di una casa popolare, da uno studio di informazioni

disparate. Da cosa ascoltano le persone su iTunes in un'area geografica.

Siete depressi calabresi? Perché ascoltate Adele così tanto? Perché durante

la crisi smettiamo di fregarcene di accoppiare i colori e facciamo crescere la

barba, o tagliamo i capelli? Cosa raccontano questi segnali? La politica non la

domina la sfiga, ma dovrebbe essere l'ultimo dominio dell'umano, quello

supremo dove conti l'ontologia, la conoscenza dei comportamenti che usano

società come Amazon e Facebook per capire cosa ti piace, se sei un target

per mogli russe o per peeling facciale. Ma questo sarebbe solo marketing. Il

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Page 60: la_politica_accidentale.pdf

Politico Accidentale usa l'informazione, ma il metodo è non la vendita di un

prodotto, ma la soddisfazione di un bisogno, di un'esigenza.

Soluzioni eque, condivise. La forza della sinistra italiana è la sua capacità di

dibattere. Se riuscisse ad aggiungere a questo un elemento di introspezione

sociale e una capacità di tagliare con la fuffa, con la capacita; di chiudere un

incontro senza un aggiornamento ma con un 'visto, si faccia’, saremmo a

cavallo.

La sfiga è roba da Ottocento, da un mondo dove scrivevano Verga e Pascoli.

Tutto è concatenato, perdi perché non ascolti chi ti dovrebbe votare e pensi di

poter imporre il tuo pensiero. Perdi perché ti focalizzi in informazioni che le

persone non capiscono. Perdi perché spaventi piuttosto che rincuorare.

Perdi perché credi nella sfiga, in una forma di destino avverso, piuttosto che

nell'evidente baldanza che dovresti avere. La Politica Accidentale non include

la sfiga, ma l'incapacità, come fattore determinante di una sconfitta.

L'incapacità temporanea, anche intelligente e sapiente, la distanza con

l'elettorato.

Avvicinarsi all'elettorato vuol dire flessibilità, uccidere i dogmi, le teorie

precostituite. Come sono obsoleti i partiti ottocenteschi o del primo

dopoguerra, così sono obsoleti i teoremi. Ricordarsi di tracciare una linea,

quella vera Linea Gotica che è il tempo. Che domina le azioni e che, se ci fa

dimenticare le doglie del parto, potrebbe farci dimenticare Vasto, il Congresso

di Livorno e le elezioni del 1992.

La Politica Accidentale è un foglio bianco dove poter mappare ancora una

volta cosa vogliamo essere, senza paura delle batoste, senza paura di un

destino avverso. Shit happens. Have a cup of tea. E riparti.

Praticamente, vuol dire una cosa. Novità nei volti, nei programmi.

Riconsiderare le teorie che hanno condizionato le scelte politiche in maniera

aperta, non didascalica.

Qui a Londra, abbiamo cominciato un piccolo esperimento. Persone di

diverso orientamento progressista - dal Renzista Consapevole che sono io,

fino al giovane comunista, il Veltroniano, un DiPietrino, insomma, varie

umanità e facce della sinistra - stanno pianificando di trovarsi periodicamente

e discutere su alcuni temi. Credito alle imprese, Europa, Diritti dei Lavoratori.

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Page 61: la_politica_accidentale.pdf

A tutto campo. Non lasciando niente al caso. Una specie di Collettivo Amedeo

Nazzari. Niente siti web o altro. L'idea è partire dalla provocazione di alcuni

temi e trovare un discorso, non tanto un luogo, comune. Un 'logos' che diventi

parola e proposta, sperando diventi azione. Con l'idea che queste idee

diventino un 'volantino’ di punti, di idee che condividiamo. E che vorremmo

fossero parte di un discorso più grande, a livello nazionale. Amedeo Nazzari è

vivo, a Londra. La sfiga non esiste. Ci sono uomini e donne, idee e pensieri,

azioni e proposte. Con l'idea che esiste un bene maggiore per il quale siamo

insieme, che sopravvive anche le nostre idiosincrasie. Quello del progresso

umano.

'We are the people and we live forever'

John Mellencamp

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Page 62: la_politica_accidentale.pdf

18. La Fuffa

Ricordo una chiesa di un paesino di montagna, in Alto Adige. Non ricordo la

valle. Ma ho ancora memoria del freddo alle ossa, dopo una colazione

abbondante, il rumore del torrente e l'aria sontuosa di un mattino di inizio

luglio. L'odore di pini e le cime ancora innevate. Con alcuni amici corriamo

dietro l'abside di questa chiesa, alla ricerca di un posto per un caffè, prima

della arrampicata dolomitica. Il primo di noi gira l'angolo ed esclama 'O

questo??'. Arriviamo ridendo e ci fermiamo basiti. Un affresco enorme, su

tutto il lato di quella che è la casa del parroco, forse. Un palazzo di qualche

secolo fa. Demoni, angeli, un mostro al centro e tutta una serie di persone

che si muovono, come in un palco delle fortune della vita, dai lati del dipinto,

verso il centro, dove un gorgo di fiamme e braci li attende, o verso un empireo

che era raffigurato come un cielo azzurro, sicuramente originalmente. Un

occhio di Dio e vari santi ad accogliere anime ripulite dal peccato.

Uno dei miei amici si gira e dice 'certo, all'epoca, mica scherzavano. Avevano

chiara la distinzione fra bene e male, mica come noi, con tutta questa fuffa nel

mezzo...'

La fuffa nel mezzo, quella forma di relativismo filosofico, per cui la verità sulle

cose rimane sempre offuscata, mediata, patteggiata. Non che nel Medioevo

se la passassero bene. Forse, con tutta l'incertezza del vivere, fra pestilenze,

guerre e carestie, c'era la necessità di una giustizia divina. Di una forma di

'Livella’, perlomeno dichiarata. Vita e morte, giusto e ingiusto. Onesto,

disonesto. Endiadi chiare. Non sono un nostalgico, lo devo dire. Non credo in

un mondo migliore del passato, non credo neanche che la mia gloriosa e

amatissima Firenze fosse un posto stupendo dove vivere attorno al 1480.

Litigi, omicidi, rivolte, peste e povertà diffuse. Torture. Famiglie distrutte

sull'altare del dio denaro che all'epoca faceva di Firenze una specie di Wall

Street in forma di quadrilatero. Dove le controversie sulle operazioni

finanziarie si risolvevano con condanne a morte. Bianco e nero. Forse

qualcosa di quel mondo ci manca, in un Paese Silenzioso dove i corrotti non

riescono ad abbandonare la presa, la poltrona e dove giusti sospetti su

pratiche di finanziamento a politici e partiti non si risolvono con inchieste

parlamentari, con una rinnovata castità di costumi, ma con un richiamo di

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Page 63: la_politica_accidentale.pdf

cospirazioni, trame, congiure. A destra e sinistra. Trasparenza, tutti chiedono.

Onestà, mi vien da pensare. Il Politico Accidentale deve saper parlare anche

dei suoi limiti, dei suoi peccati veniali. Deve conoscere le regole, usarle.

Seguirle. Se non ci si affida a quei brandelli di certezza che la nostra

Costituzione, il nostro impianto di diritto civile e penale affermano, come

possiamo pensare che quella zona di fuffa possano rispondere a quel bisogno

crescente di solidarietà e di riforme?

Noi siamo prigionieri di questa fuffa, che diventa uso scriteriato di dati, di

informazioni, di sondaggi e di opinioni. Che permettono di controllare da dietro

l'opinione pubblica. O di ritardare il momento che arriverà comunque della

rivelazione, che non c'era un piano, una fuga, ma un inseguimento

dell'elettorato.

'Where is the Life we have lost in living?

Where is the wisdom we have lost in knowledge

Where is the knowledge we have lost in information?'

T.S. Eliot ‘The Rock’

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Page 64: la_politica_accidentale.pdf

19 Accident Waiting to happen (Billy Bragg said)

Nella mia vita mi occupo di gestione di rischio, ogni giorno scandaglio la

realtà, o un suo angolo specifico, alla ricerca delle aree dell'economia e della

finanza che potrebbero collassare. Cerco il disastro prossimo venturo,

sperando di evitarlo. Mitigazione del rischio, dell'incidente. E questo è difficile

quando allo stesso tempo ho ben cosciente il ruolo che le banche hanno nella

nostra vita, nella società moderna. Non si possono chiudere i rubinetti del

credito, ma bisogna evitare che la crisi finanziaria si propaghi come un virus,

come una malattia. Un gioco di bilancio, di giudizio e di continua discussione.

Di fatto, la gestione del rischio, dentro la finanza moderna, ha un ruolo

sempre più importante. Ci sono varie categorie, da quello di mercato, al

credito, il rischio operativo, quello reputazionale. Ogni elemento dell'attività

economica e sociale che crei incertezza è un rischio. O una potenziale

opportunità. Come sanno bene molti 'strutturatori finanziari’ che hanno usato

prodotti creditizi per generare altra ricchezza, spesso virtuale. Ma questi sono

eccessi che la storia sta punendo e ripulendo. Come era lecito aspettarsi, a

momenti di euforia finanziaria, seguono quelli di moderazione, di 'purga’.

Ed esiste una grande differenza fra 'incidente’ e 'accidente’. Qualcosa che è

accidentale è qualcosa che accade, che si manifesta e che diventa manifesto.

E da quel punto non puoi più evitarlo. Accade. Come un figlio, come un

temporale in campagna che ti costringe a correre al riparo. C'è sempre un

'accident' nella vita. C'è sempre un imprevisto che poi è il risultato dei

movimenti caotici del reale. Ci sono eventi che ne scatenano altri. E persone

che catalizzano, che creano le condizioni per questo susseguirsi di eventi. E

ne parlo in termini positivi. Abbiamo bisogno di persone che facciano

accadere, che facciano incontrare mondi diversi, creare scompensi,

contraddizioni, che ci facciano esporre ai rischi di un confronto franco e serio.

Accidentalmente, naturalmente. Senza ideologie postdatate. Ma dove

l'inflazione del pensiero abbia annullato ogni valore di questo assegno di

filosofia spicciola ottocentesca.

Il Politico Accidentale sa che ogni istante è un bivio, un'opportunità per far

accadere un altro evento, per far nascere nuovi mondi o per consolidare il

progresso delle intuizioni. Sulla società, sul mondo.

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In questo, sta la novità dell'approccio Accidentale. Che ha a che fare con i

rischi e le problematiche del presente e riesce ad aggiustare il tiro, ad

ascoltare gli stakeholder. Bottom Up.

Accidentalmente, la realtà si modifica. E, da un'ottica progressista, è questo

l'istante in cui si deve capire la sostenibilità sociale, ambientale ed economica

di ogni idea. Come siamo pronti a diversi scenari, a gestire il rischio di diverse

ipotesi. Le banche sfornano 'stress test' a ogni istante. Lo facciamo nella

politica di tutti i giorni? Dipingiamo scenari non per mantenere o arrivare al

potere, ma per garantire opportunità alle persone? Siamo progressisti nel

senso di continuare a garantire le condizioni democratiche, o riempiamo tutti i

blog di belle parole e citazioni dotte?

Non è forse il ruolo della politica ora, sempre di più, prospettare non solo

promesse ma anche problemi, iniettare dubbio e sollecitare soluzioni, dove

ognuno si prenda la sua responsabilità? Sulla questione del lavoro, dov'è la

soluzione? Solo attorno a un tavolo di sindacati, governo e industriali? O è

forse molto più diffusa, spalmata su tutti? In un momento di crisi, quanti sono

disposti a lavorare di meno, a ridurre margini di profitto, a reinventarsi, ad

andare in pensione o a lasciare il proprio lavoro, a de-promuoversi? Da

Professore Emerito a Cultore della Materia, da Dirigente Bancario a

Consulente Senior. Lasciare spazio ai giovani, ai loro errori, ai loro 'accidenti

di percorso’. Da cui si impara. Con cui si matura. Altro che Senato, ci

vorrebbe una Camera degli Emergenti. E una vera e propria analisi dei rischi.

Pro e contro. Cosa cambia il paese o cosa è solo una soluzione

gattopardesca? Cosa espone, in una politica o un programma politico, il

paese a rischi più grandi, anche se di lungo periodo? Cosa ci allontana dalla

modernità, non come fuga o rincorsa di una chimera di tecnologia e

innovazione fini a se stessi, ma un'idea di uomo e di rispetto molto più vasti di

quelli cui siamo stati abituati?

Sicuramente, per me il coinvolgimento con la politica attiva è stato un

'Accidente’, mi ha costretto a rivedere i parametri della mia vita, ha aperto un

mondo da cui mi ero allontanato. Ma mi ha anche permesso di ricominciare a

sperare. L'esperienza della Leopolda di Ottobre 2011. Un momento

copernicano. Che presuppone un rischio, ma che spero di aver misurato e

valutato bene.

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20. Esplosioni contenute

Non sono un esperto di fisica e certo credo nella teoria che il Big Bang sia

stata una superesplosione che in pochi istanti abbia creato le premesse per

l'universo. Massa, materia ed energia. Ogni pensiero di Dio e ogni fetta di

lardo di Colonnata già nel gran disegno complesso che ci porta ora, nel 2012,

ad accellerare particelle elementari in questo spazio Gelminiano sotto la

Svizzera. Mi si spiega che prima del Big Bang, si erano create tutte le

condizioni perchè avvenisse, come se non ci fosse altra soluzione. Un

Evento-Accidente.

E questa ‘Accidentalità’ astrale sicuramente vale anche nella società. Il primo

ritrovo dei ‘rottamatori’ del PD a Firenze nel 2010 non arrivò inatteso. C’erano

già tutti gli elementi, nel dibattito interno ed esterno al partito. Nelle persone

che stavano ammassandosi attorno ai neoleader di quel momento. Renzi,

Serracchiani, Civati, etc. Lo stesso, ma in maniera maggiore, la Leopolda del

2011, appositamente chiamata Big Bang. Un altro momento di deflagrazione

che non è stato come uno sconquasso tellurico che nessuno poteva predire.

Piuttosto, i due eventi del 2010 e 2011 sono stati come molle, i risultati finali di

collassi e scontri iniziali. Energie compresse e legate, costrette. Che hanno

cercato di divincolarsi, di trovare nuovi spazi di espressione.

Il risultato di errori e di miopie varie, o di quello che chiamo il salottismo

generazionale, dove i giovani di bottega sono usati come passacarte o come

decorazione per cene e drink, le truppe cammellate utili per riempire aule di

riunioni per presentazioni di report inutili o trip-ego di politici in forma di

romanzo. Qualcuno ai vertici ha sbagliato. Incapacità o paura di raccogliere i

segnali che la base, che i giovani riformisti e progressisti italiani, mandavano

da anni. Una classe politica dove intere generazioni di potenziali leader sono

state castrate e costrette a guardare oltre. Altrove. A rinunciare a un'idea

progressiva di politica, dove non tanto il giovane, ma la forza delle idee nuove

e più adatte ai tempi avanzano. Spesso, come nel mio caso, ad accantonare

ogni velleità di intervenire nel dibattito, sulla base del fatto che non ci siano

spazi per affermare non tanto un ego, ma una visione diversa.

Da questo punto di vista, la sinistra ha indossato un saio o un burqa

ideologico mentre attorno la destra mostrava le cosce e l'abbronzatura. E

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spiega tutto questo l’appeal iniziale del Berlusconismo, della Lega, di tutti i

movimenti che si sono susseguiti per anni.

In questo, l'esperienza di persone come Renzi e degli altri rottamatori, questi

primi sconquassi fra amici o presunti tali, sembravano una promessa di

cambiamento, di forze nuove e intelligenti che potessero ridare linfa a un

raggruppamento di forze e sigle che soffriva il priapismo culturale

berlusconian/bossiano, non avendo un modello forte da contrapporgli. Parole

chiare, forti, necessarie, questo ho apprezzato di quel momento del 2010. A

dare validità a quelle parole, le azioni, la conoscenza diretta dell’attivismo e

delle azioni ad accompagnare le parole che molti dei primi rottamatori

mostravano come tratto distintivo. Esperienze in amministrazioni locali,

nessuna paura di scheletri negli armadi.

Dopo la prima Leopolda, alcune stelle della nuova galassia che si era formata

sotto i nostri occhi, dentro lo spazio ristrutturato da Gae Aulenti o via

streaming, si sono allontanate. E, grazie a quella forza di catalizzatore che

Matteo ha, e che tutti gli riconoscono da anni, si sono condensate altre

energie. Gli amici, le persone con cui ha lavorato, che ha conosciuto. Me

incluso. Quelle persone che sono state come accidenti, come eventi. E con le

quali ha creato un rapporto. Basato sulla necessità di formare un bastione di

persone, idee e ideali (no ideologie!) su cui ricostruire un'idea di riformismo

all'Italiana. Che non vuol dire 'alla cazzo di cane’, ma che parli di solidarietà,

di concertazione, di sussidiarietà. Di intervento pubblico in un'economia che

non può più non essere globale, liberalizzante e regolaristica. Le regole del

gioco e la fantasia dell'imprenditoria e della società. Questo il nocciolo di

energie che ho riconosciuto quando mi sono incontrato con gli amici della

Leopolda, durante l'organizzazione dell'evento. In una Firenze da brividi. E la

voce di un amico che, a pochi passi dalla pietra su cui fu ucciso il Savonarola,

mi dice 'Bentornato a casa’. La casa di tutti, penso. Palazzo Vecchio, Firenze,

l'Italia. La Stazione Leopolda. In quel momento ho sentito la deflagrazione

dentro. Un piccolo big bang fra amici. Vecchi e nuovi. Amici a divenire.

Abbiamo dimenticato che la politica e la democrazia nascono come maniera

per aggregare chi la pensa similarmente, quindi più adatto a simpatizzare.

Quando si condividono i valori, si può condividerne la loro applicazione nella

realtà.

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Esplosioni misurate, contenute ma che contribuiscono a creare una visione.

Come un artista argentino che 'dipinge’ sui muri partendo da microesplosioni

su muri intonacati. Un lavoro lunghissimo di preparazione e poi in poco tempo

si forma un immagine, un volto. Un paesaggio fatto e costruito di piccole

detonazioni. Dopo quella iniziale, che è l’intuizione di un elemento nuovo che

può contribuire al rinnovamento del paese, la competenza. Che non vuol dire

durata di lavoro, non vuol dire esperienza. La competenza è la capacità di

riuscire a svolgere una funzione. Nel mondo delle imprese, nell’accademia e

nella politica. O meglio, un principio che vale spesso nel mondo del privato,

ma non in quello del pubblico. Competenza che non è competizione. Come

ha capito Matteo Renzi al Big Bang, come si fa nelle pratiche di brain

storming, ci vogliono persone competenti e disponibili a rischiare, a mettersi in

gioco, amiche non tanto per trascorsi comuni, ma per un modo comune di

intendere la vita. Questi elementi creano universi. Forse non ancora stabili.

Ma pieni di energia.

Come Politico Accidentale, è questa una delle attrattive di un processo

democratico, della politica. L’idea che il futuro non appartenga alla

convenienza di alcuni, ma alla competenza di tutti.

‘Rock like sculpture is the solid body of a dream’, recitava Patti Smith nel suo

monologo ‘Salvation of Rock’. Oggi dico lo stesso della politica. E le

microesplosioni aiutano la vera immagine di quello che i nostri sogni sono a

rivelarsi.

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21. L'ora è ora (Cribbio!)

Bisogna sporcarsi le mani. Da subito. Che non equivale a sporcarsi la

coscienza. Che non equivale a tornare ai soliti vizi. Non voglio diventare un

anziano arrogante e presuntuoso, lo sono già da giovane. Perché so quello

che voglio e lo voglio ora. In questo istante. Quello che spetta a me e alla mia

generazione.

L'Italia non è un paese semplice. C'è il rischio che si parli di certe cose, di

ricambio di classi politiche e di innovazione, ma alla fine in un contesto di

salotti e di poche persone, del famoso 1% degli indignados, che spesso sono

figli o parenti di alcuni dei ricchi che contestano. Per la capacità di viaggiare,

di studiare, di aprirmi al mondo non lavorando per tre euro all'ora, sono un

privilegiato anch'io. Lo riconosco. E per questo, quando cammino per le

strade di Londra, di casa, quando vedo le folle, le persone su un autobus, mi

chiedo chi possa salvare questi destini? Chi o cosa cambia la vita a queste

speranze appese a un filo, al ragazzo che passa le giornate su un cantiere

delle ferrovie, alla signora che porta a passeggio la sua bicicletta con la spesa

essenziale per le strade di Novoli?

Cosa vogliamo non per i nostri figli ma per i figli degli altri? Cosa vogliamo ora

che renda la flebile promessa di un domani migliore una certezza?

Abbiamo la statura morale di poter accogliere queste istanze e risolverle, o

stiamo correndo il rischio di inseguire un altro sogno personale di gloria, fama,

ricchezza, ottimizzazione sociale? Vogliamo diventare personaggi da salotto

di signore bene? O siamo anche noi il popolo, siamo anche noi parte delle

masse che si muovono e che richiedono attenzione?

So che ora è il momento giusto per rispondere a questa e altre domande, è

ora lo spazio mentale e storico per richiedersi che senso abbia la politica, o

cosa debba diventare. Un coro di lamentele che diventano un argomento o un

momento di confronto che diventa proposta?

Abbiamo paura del futuro, dell'altro diverso da noi e vogliamo isolarci dal

mondo? O vogliamo aprire le porte alla differenza e abbandonarci arricchirci

con le esperienze degli altri?

Dubbi, domande. Necessari. Perchè nessuno qui vuol essere un Messia, ma

ognuno ha bisogno di sentirsi discepolo, anche mutualmente, di un altro

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maestro. E forse è qui la risposta. Ci saranno sempre persone disposte a

salire su un palco e a parlare e altre che ascolteranno e giudicheranno.

La Politica Accidentale vuole che questo processo diventi fondamentale. Qui

e ora. Si discute, si parla. Ci si muove. Con tutto il nostro bagaglio di

domande e dubbi, ma con la capacità mentale di ascoltare e di pensare che,

chiunque fra 'donne e uomini della Leopolda’, un giorno spero non lontano,

avrà un ruolo di responsabilità sappia che dovrà non rispondere ai salotti

romani e londinesi, ma alla signora che prende il 20 barrato o al bambino che

va a scuola in un rinnovato centro de L'Aquila per imparare come costruirsi un

futuro possibile. Antisismico e sostenibile.

Qui e ora. Fra un anno sarà tardi. Si alzi la voce. E si spranghino le uscite di

sicurezza. Perchè chi deve ascoltare, intenda. E, mentre tutti cercano nella

rete, nei nuovi social media, il Politico Accidentale lo cerca nel presente,

fisico, reale, nel porta a porta e le strade impolverate. Le domande delle

persone che non scrivono tweet, che non hanno a volte il tempo di pensare, di

volere, perché schiacciate dal ruolo, dalle responsabilità, dalle

preoccupazioni. Siamo nell'istante e le domande a cui rispondere sono tante.

Che sono espresse da una società che cambia, che si muove, che genera

consenso o rabbia a seconda, spesso, della percezione di un'altra fregatura in

forma di 'nuovo’, di 'innovativo’. Quelle persone, siamo noi. È il presente. Che

diventa futuro. Passo dopo passo.

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22. Molto con poco. L'etica Punk al potere.

Sono cresciuto nella Firenze che si scopriva nuovo centro della cultura

alternativa europea. Una specie di Seattle Anti-litteram. Dopo la stagione di

fuoco della fine degli Anni Settanta, lo storico concerto di Patti Smith del 1979

all'Artemio Franchi. La città scopriva nei suoi giovani idee originali, non

necessariamente mutuate da modelli angloamericani, ma dalla suggestione

che il Rinascimento ha sempre avuto sulle giovani generazioni di fiorentini. È

facile fare il bohemienne in una città che sembra stata costruita apposta per

film di Ivory. Gotica, austera, silenziosa e caciarona. Guascona. La Firenze

delle parole, delle metafore. Dei club letterari e della fascinazione velenosa

del bello. E, come in altri posti in Italia, Bologna, Pordenone, Catania,

nasceva un movimento punk che guardava a Est, all'Oriente. E che,

soprattutto, nasceva senza mezzi finanziari, senza pecunia, ma con tante

idee. Il punk. Dal poco, tutto.

Senza saper suonare strumenti, perlomeno avendolo imparato a orecchio,

basso, chitarra, batteria. Strumenti da poche lire, l'inventiva e le tecnologie

che all'epoca erano avanzatissime, cassette da cinque minuti per i

demotapes, il VHS e tastiere che oggi le fa la Bontempi ma all'epoca erano

rivoluzionarie. Drum machines. Studi nella casa di campagna di un genitore, o

nel garage. Oppure i primi abiti, i primi dipinti presentati in una piccola

boutique di periferia. Da poco, tutto.

Dalla gioventù, dall'entusiasmo e dall'errore. Che diventava spesso una virtù.

Come nella registrazione di Party Girl degli U2, in Under a Red Blood Sky,

dove The Edge sbaglia l'assolo, scarrucola e stona. Ma rimane nel disco,

l'ultimo grande disco post-punk degli U2, prima di scoprire l'America e le sue

chimere. Prima di scoprire che il palco non era un trampolino ma un altare

liturgico.

Di quell'epoca fiorentina e italiana, del Great Complotto, della Punk Attack

Records, della IRA e del Banana Moon, mi è rimasto qualcosa addosso, a

parte le amicizie. Mi è rimasto chiaro in mente che si può fare tanto anche con

pochissimo, che le idee possono cambiare il mondo, ancor prima dei soldi e

del potere. Che si può creare un mondo, di suoni, immagini, a partire da

poche cose. Come la cucina italiana. Pochi ingredienti, ma buoni. E nasce il

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sapore.

La Politica Accidentale, come risultato di questa Etica Punk, dell'autoprodotto,

del nuovo che rimpiazza il vecchio, il prog rock di Bersani contro lo ska che

invece vorremmo sentire dai nostri politici. Senza costrutti astrusi, senza la

pretesa che per apprezzare la musica si debba aver studiato al

Conservatorio. La politica deve essere semplice, elementare come base,

come accesso, come possibilità. Deve spingere all'azione, alla danza,

perlomeno a muovere il piede a ritmo. Oppure, i suoni scarni, profondi della

new wave italiana. E la profondità dei bassi e delle parole. Come se ogni

istante la politica potesse ripartire, su un nastro vergine, come se

improvvisando e provando, si arrivasse a parlare, a dialogare insieme. I

Politici Accidentali non sono professionisti del sermone, ma sono coinvolti

nella vita del paese, conoscono le proprie origini e sanno cosa possono

offrire. Un amico musicista mi disse una volta 'La musica non la faccio io, ma

la fa il pubblico. Se al pubblico non va di suonare, io ho una serata orribile,

non mi riconosco.' Il politico, la sua capacità di entusiasmare, di smuovere le

opinioni, di convincere anche i più ostici a serrare i ranghi, lo fa quando

interagisce, quando provoca ma raccoglie il messaggio del 'pubblico’.

Etica Punk/Emo applicata alla democrazia. È il popolo a comandare, a

decidere, e i politici seguono l'hint, la nota lanciata ed eseguono il brano

seguendo il ritmo della folla che balla, che si muove, che fa stage diving, che

interviene senza paura di essere portata via dalla security.

La politica accidentale vuol ridar fiato a questa interazione fra chi ha la voglia,

la aspirazione di guidare un movimento e il 'pubblico’. Partendo da poche

cose, la voce, le idee e l'azione.

Come un concerto dei Fugazi. Dove tutti finivamo almeno una volta sul palco

a urlare nel microfono o a saltare come matti. Senza che nessuno si facesse

male. Intenzionalmente (smirk). Il Politico Accidentale dovrà essere un

veicolo, una cassa di risonanza, un'antenna. La società è un costrutto

astratto, finchè non ci si mettono volti, storie, episodi e desideri. Come

facevamo noi al liceo, quando pensavamo che fosse l'idea a creare il

cambiamento, e non l'ideologia.

'You are all engineers and architects

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That's how it looks

I am an ex-spectator, can't you see

I am an ex-spectator

never let my vision get in the way of mè

Ex Spectator - Fugazi

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23. Poco con molto. Contro la Plutocrazia.

La spinta propulsiva del punk e della new wave ci regalò tantissime cose, fra

cui la letteratura di Pier Vittorio Tondelli. E non dovrei aggiungere altro. Ci ha

dato l'impressione che ognuno potesse essere un artista e, citando un altro

amico musicista, 'alla fine chi continuò a fare musica era gente che aveva

mediamente meno talento di chi si spostò a fare altre cose’. Non credo che

sia vero, ma rende l'idea di come l'esperienza, il momento di crescita di una

persona, di un individuo abbia bisogno di questi bagni di follia, di esuberanza.

Fuori dalle regole, ma non necessariamente per poi tornare negli alvei della

regolarità come un Enrico V che abbandona il suo Falstaff. Non sono bagordi

e gioie alla San Francesco, ma iniziazioni alla vita.

La cosa che mi è rimasta addosso di quel periodo, a parte la destrutturazione

rispetto al lavoro, dove amo la creatività che sostituisce il rigore formale, è la

mancanza di attrattiva che sento per salotti e circoli chiusi, dove il censo

prende il sopravvento sulla personalità. Dove il gioco del dropping names,

places sostituisce una bella sderenante chiaccherata.

Sistemi di potere, basati sull'accesso a certi circoli, a divani di signore bene in

quartieri pieni di alberi sempre in fiore. Un macerarsi lento di arazzi cinesi e

maioliche marchigiane, su muri dai colori patrizi. O i neohip, con il loro

minimalismo post-Ikea. Il cimitero dei pomodori di pachino.

Ho sempre malvisto questo mondo dello 0.5% e so che sono gli stessi mondi

magnificati da Dagospia, dalla stampa italiana come luoghi dove la politica

accade, dove le decisioni sono prese su un aperitivo. Dal tanto finanziario, il

poco per il popolo. La rabbia proletaria di politici comunisti corrotta su grechi

di tufo, il fervore bandolero dei leghisti affogato al caffè. Che tutto si può dire

della Lega ma non che non avesse un'etica Punk e autocraticamente sincera

all'inizio. Rudimentale nel risolvere il problema di un paese chiaramente

esposto a forze oscure, alla mafia, alla corruzione. La parabola leghista

un'altra conferma che il cancro dei salotti è uno dei mali da debellare, per

ristabilire una Politica Accidentale, partecipativa. Innovativa. Dal tanto del

censo, il poco. Il nulla, riempito di silicone o di cocaina. Con musiche di Paolo

Conte sullo sfondo. O qualche musicaccia brasiliana.

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La Plutocrazia, come la Demagogia Spicciola, i grandi nemici del

cambiamento. Il Politico Accidentale sa che non potrà ignorare questa parte

della società, le caste, le famiglie che possiedono le chiavi del potere

economico, ma dovrà, potrà invitarli fuori dal palazzo, invitarli alla

'compassione’, alla condivisione dei problemi.

In molti si lamentano del distacco fra il governo Monti e la vita delle persone

normali. Secondo me, è già stato fatto un passo avanti. Di fronte al Salario

Minimo per disoccupati di 1000 Euro, sono sicuro che ministri che li

guadagnano in un giorno si porranno delle domande. Forse se le sono già

poste, come faccio io quando vedo il differenziale fra il mio stipendio e quello

di amici che fanno lavori molto più utili, come insegnare ai miei figli, curargli il

raffreddore, portarli a scuola con il tube. Senza questo distacco reso evidente,

come pensiamo di ridurre la sperequazione?

Sono contro i salotti, ma in favore di luoghi in ogni città dove le persone si

possano incontrare, come i club madrileni dove si incontrano principi dai

cognomi lunghissimi e contadini peruviani , come piazza Kennedy a Cosenza,

dove i giovani di ogni età e censo si strusciano addosso e si conoscono. Si

menano, magari, si sposano. Non si potrà eliminare la disuguaglianza, che

crea comunque movimento sociale, migrazione di persone e idee. Ma si può

rendere fertile.

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24. Determinazione

Della Leopolda del 2011 mi ricordo un'assenza, quella di mia madre. Che era

morta un anno prima. E che mi avrebbe detto di tutto, con il suo carattere

fiorentino giocoso e critico allo stesso tempo, della mia voglia di 'sinistra’. Lei

che era cresciuta in un periodo di grandi contrasti sociali, con un padre

democristiano costretto a emigrare negli anni '50 per l'avversione del Partito

Comunista a un 'cattolico in comune’. Erano tempi diversi, mio nonno fece la

sua fortuna con la sua avventura maremmana, ma è un'altra storia.

Mi mancava, come mi manca tutt'ora, mia madre, per il suo sguardo benevolo

e critico, la battuta feroce e la risata ironica. Mi mancherà la sua versione

della storia del piccolo mondo della famiglia. E forse sarebbe stata orgogliosa,

al racconto che ho fatto, titubante e quasi tremante, di fronte alle telecamere,

di fronte alle luci e di fronte a un'audience italiana. A cui non sono ancora

abituato.

Orgogliosa, come mi sono sentito io. A raccontare di due bisnonni, uno

socialista e uno cattolico, entrambi ferrovieri alla Leopolda all'inizio del XX

secolo, entrambi costretti a lasciare il lavoro per non prendere la tessera del

partito fascista. E di come ho provato a raccontare di quel posto magico, di

quella stazione da cui partivano i treni e i macchinisti, i controllori. E,

viaggiando, conoscevano il mondo, si stupivano di fronte ad altri luoghi e

apprezzavano la libertà di un treno lanciato su arcate sul vuoto degli

Appennini e delle Alpi e riportavano a casa idee nuove, rivoluzionarie. Che i

tedeschi, i francesi, gli inglesi, non erano nemici, ma erano persone mosse

dagli stessi ideali, dalle stesse passioni. E si poteva imparare tanto.

Riportavano Marx e Peguy, parlavano di Comuni parigini e di dittature

lontane. Il mondo esplodeva alla Leopolda. Così come è successo in quei tre

giorni dell'Ottobre 2011. Senza mia madre a vedere quei volti sorridenti, di

giovani, anziani, persone mature, pronte a raccogliere la sfida del futuro del

paese. L'entusiasmo per niente barocco e finto delle parole. Contagioso.

Irrispettoso del potere costituito. Con tutto il rischio che definisco della

'corriera del giorno dopo’, quella sensazioine di sconforto che assaliva da

ragazzini, quando si tornava dal campo scout, quando quell'utopia

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passeggera sembrava finita. Ritorno alla normalità. La Leopolda invece è

stata una sveglia, un ritorno alla Realtà. L'espressione di desideri coincidenti

di persone molto diverse. Di istanze diverse ma coincidenti.

Alla Leopolda è nata la mia avventura di Politica Accidentale, della voglia di

dare del mio, di prendermi tutta la responsabilità necessaria a cambiare il

Paese Silenzioso, di ridargli una voce, senza retorica Vendoliana, senza

parolacce, se non quando serve. Senza troppi soldi in gioco, se non quelli

guadagnati. Molto con poco.

Per me la Leopolda è stata l'emozione di parlare di fronte a tante persone

della mia idea, del grido che all'epoca sentivo dentro di una reputazione

internazionale del paese rovinata non solo dal primo ministro dell'epoca, ma

anche dall'accettazione passiva di questo sfacelo che avevamo davanti, la

reputazione di un paese senza alternative a Berlusconi, se non un gruppo di

partitelli litigiosi.

Noi eravamo e siamo ancora lì, grazie a Dio, per cambiare tutto questo.

Ricordo di quei cinque minuti una disperata voglia di fermare l'orologio, di dire

tanto, di più. E la sensazione che ognuno davanti a me avesse almeno due o

tre idee da formulare nei loro cinque minuti. La Politica Accidentale, come se

l'ideologia fosse stata finalmente cacciata dal tempio.

In fondo alla sala, per un attimo, ho visto la mia famiglia, gli amici cari. Volti di

persone che magari non condividevano la posizione che ho preso, come mia

madre mi avrebbe voluto meno 'comunista’ (si legga progressista). Ma mi

voleva bene e ancora me ne vuole, ne sono sicuro. Perché la libertà delle

idee e la libertà nel poterle esprimere è un valore che è sempre stato

condiviso nelle mura di casa mia e nella mia concezione di politica.

Mia madre sopravvive, lo so. Anche negli occhi di Bianca Ilaria e Carla Rosa,

le mie bambine che mi seguivano da Londra con mia moglie Sonia. Perché la

genetica è la stessa e sono loro la promessa futura che voglio sia onorata.

Loro e tutte le figlie e i figli delle persone che ho accanto. Anche i figli dei figli

di Berlusconi e i nipoti di Bossi.

La mia Politica Accidentale è questo senso di giustizia della storia, che mi ha

portato a parlare di futuro e speranza dallo stesso luogo dove la storia della

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mia genetica è passata. Da dove spero possa tornare il futuro.

Ci vorrà determinazione, ma la risoluzione è tutta lì. Sta a noi onorarla. A tutti

noi che eravamo alla Leopolda eda chi accetterà quella sfida aperta.

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25. Io Sono Ognuno

Mi trovo in una mattina di primavera su Lexington Avenue, New York. Il vento

scende teso lungo i canyon artificiali della metropoli. Come una brezza

romana persistente e oceanica. Giro l'angolo e un senzacasa ha un cartello in

mano che dice "I Am Everybody". O al massimo il 99% penso, nella città

americana dove, per ogni manifestante contro Wall Street, ci sono circa 20

milionari. Statistiche ufficiali di un'isola astrusa, dove vive una parte dell'elite

del pianeta, servita e riverita da una conurbazione che si estende per tre Stati.

Un giorno nel futuro gli storici riguarderanno agli eventi che si sono susseguiti

in questi ultimi anni e capiranno che il Credit Crunch, la Grande Crisi del

2008, altro non fu che uno stirarsi improvviso e repentino dell'ambizione delle

classi medie a sentirsi dentro quel 1% di supericchi. Macchine, case, viaggi,

occhiali e abiti di marca. Come se una buona fetta del mondo volesse vivere

in un penthouse di Manhattan ed educare i figli nelle stesse scuole. O, nel

caso italico, come se i padri volessero offrire alla propria discendenza un

futuro fatto di privilegi fasulli, fede nei media, nella capacità di riscatto di una

carriera come cantante, calciatore o nel terziario avanzato. L'immagine sopra

la sostanza.

'I Am Everybody", la scritta a caratteri cubitali sul cartello del signore seduto

per terra in un istante newyorkese, invece, è il ritorno della sostanza, senza

una forma precisa. La sostanza di un mondo che ci unisce, che ci fa stare

spalla a spalla e che ci fa camminare per le stesse strade, respirare la stessa

aria. Professori di finanza di NYU, donne delle pulizie, giovani famiglie che

attraversano agli incroci guardando in alto. We Are Everybody.

La Politica Accidentale è riconoscere questo fatto essenziale. Che siamo tutti

in qualche maniera, Ognuno. Il nocciolo di desideri e di aspirazioni di base si

riflettono l'uno nell'altro come in un gioco di specchi. E, come di fronte a una

riflettente, qualcuno deve cominciare a muoversi, a darsi da fare, a cambiare

posizione, anche facendo smorfie. Anche cambiando l'inclinazione dello

specchio. Che apra gli orizzonti, che apra gli occhi al panorama attorno. Basta

con la autoreferenzialità della società, al trionfo della griffe anche in politica.

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Come se ci volesse un brand name, un logo giusto. Quando ci vogliono idee,

visioni ma soprattutto persone.

Quindi, se siamo tutti Ognuno, Ognuno di noi è parte dell'origine del problema

e parte della soluzione della modernità. Ognuno di noi ha un ruolo. Ed è il

momento di riprenderselo, di salire sul palco, anche se affollato, anche se le

assi sono ancora incerte. Non si può fare riformismo senza un popolo che

voglia le riforme.

Eccomi qui, il Politico Accidentale, un altro Ognuno. Quello che sono nel

milieu del dibattito politico italiano. Avrei potuto dire che sono nessuno, ma

dopo ottanta pagine di sproloqui, sarebbe difficile difendere questo punto di

vista. Ho sicuramente le mie idee, maturate in una vita che mi ha visto

accettare una serie di sfide, tutte sulla mia pelle. Come tatuaggi.

Sono Ognuno, senza essere uno qualunque. Come lo sono tutti. Sono

Ognuno che decide di prendersi le sue responsabilità, di sentirsi padroncino

di questo furgoncino sgangherato che guida lungo le provinciali e le

autostrade del mondo.

Sono Ognuno che vuol darsi da fare, cercare la maniera con la quale dare un

contributo al futuro. E, come ognuno di voi, ho una visione, un sogno anche, a

dire il vero, parecchio realizzabile. A portata di mano. E di cuore. Ripetendo il

giochino della Leopolda del 2011, il Big Bang, dove i principali attori (e amici),

Matteo Renzi, Davide Faraone e Matteo Richetti, chiedevano alle persone di

dire cosa avrebbero voluto fare se fossero stati a capo del paese, io ho

pensato che la cosa più importante di tutte, per le generazioni future è, a

parte i programmi economici, finanziari, sociali, a parte le agende elettroniche,

digitali, di Nonna Papera, non farci più sentire che un'elite governa il paese,

ma è semplicemente un'elite diversa. Democratizzare tutto, il potere, le

istituzioni. Liberalizzare il pensiero, come le persone intendono formarsi una

famiglia. Non c'è l'1% e il 99%. C'è un 100% che va considerato.

"You can change the chapter

You can change the book

But the story remains the same

If you take a look"

Yazoo - Nobody's Diary

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26. Gran Finale (come non detto, ma le pare)

Non so se sia riuscito in queste pagine a definire dettagliatamente il Politico

Accidentale, o a proporre un modello di politica alternativa a quella dei partiti

e delle correnti subpartitiche. A volte sembra un'utopia il solo pensiero di

poter riuscire a cambiare anche un solo assessore senza passare dai soliti

circoli, dal potere stabilito e immobile. Dove i quasi sessantenni si comportano

nei confronti del futuro del paese come se fossero ventenni e avessero di

fronte a sé trenta anni di lucidità e di energia.

Quando persone come Renzi sono state elette, dopo spargimenti di sangue

elettorale alle primarie, mi sono sempre stupito, fin quasi alle lacrime. Perché

vedo ora più da vicino che quella che è in corso non è una partita semplice,

ma una vera e propria guerra fra maniere diverse di concepire la politica, il

servizio pubblico. Non parlo di onestà ma quella che in finanza si chiama

stabilità. Il sistema sembra reggere solo se le solite persone sono sempre

coinvolte e se il dibattito non si sposta sulla natura insita dell'organizzazione

politica, ma rimane sospeso a mezz'aria, dove bisogna trovare un nemico

comune, o in sua assenza, giustificare la fallacia e gli errori alla meno peggio.

Siamo sempre meno peggio degli altri. Siamo sempre un attimo più furbi a

non sporcarsi le mani, direi. Come fanno invece i politici locali, che devono

entrare nel merito della questione. A Firenze e a Palermo, dove lavorano cari

amici in politica, non scappi dai tuoi elettori, sono vicinissimi e devi prendere

decisioni pratiche, che hanno un impatto veloce, vorace, sulla realtà.

Credo che l'esperienza locale, di amministratori di realtà specifiche, sia il

punto di forza di molti dei politici con più esperienza che ho conosciuto alla

Leopolda. Persone come Chiamparino e Parisi, come lo stesso Matteo Renzi,

che lottano con centraline dell'inquinamento, cibo caldo o freddo servito alla

mensa, orari delle farmacie comunali. È come nelle banche passare dal

lavoro sulla 'first line’, con i clienti, le notti in bianco su un grafico, per poi

spostarsi su posizioni manageriali. Ma sai di cosa si tratta, lavorare nello

sporco, sai cosa vuol dire passare ore in consigli di quartiere e comunali. Il

Politico Accidentale, lo ripeto, vive nella realtà, fatica e prende i mezzi

pubblici, si ostina a voler rimanere informato e ad arricchire la sua esperienza.

E ha una scadenza temporale. Non vuole fare il politico per mestiere, ma per

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'accidentale opportunità'. Vuole contribuire a un progetto. In questo, tutti

possiamo esserlo, politici accidentali.

Dalle scogliere di Dover che si stanno sgretolando, forse si vede la Francia,

sicuramente si sente la distanza fra le due rive, soprattutto quando il mare del

Canale è mosso, con le onde che aggrediscono la roccia friabile

bianchissima. Sedimenti secolari, ricolmi di fossili e di memorie del passato.

In mezzo, un mare grigio, aperto, freddo, ma che apre al mondo, se si hanno

le vele giuste. Quello che vivo è questo preciso momento della partenza di

qualcosa di più importante di me stesso e della somma di tutti i miei desideri.

Non ho mai pensato di tornare a fare politica attivamente e, come dice un

caro amico, 'sei terrorizzato che ti si voglia far tornare in Italia’. E forse ha

ragione. Come avrete letto, penso già come uno di questi angloitaliani che

non apprezzo completamente. Comparo con quello che ho vissuto qui e

l'Italia. Ma è la mia vita. Sono i miei parametri. E la mia esperienza, come

quella di tante altre persone non può che essere utile a ridare una voce al

Pianeta Silenzioso.

Ho conosciuto tante persone in questi mesi, fra Londra e altre città europee,

ho ricevuto tante telefonate ed emails di Italiani all'estero, che, dopo aver

visto cinque minuti del mio errabondo e teso discorsetto alla Leopolda, si

sono interessati, mi hanno chiesto come dare una mano, contribuire a un

progetto che riapra il paese, che, con le tecnologie moderne, usi il talento e il

genio in giro fra il Belpaese e il resto del mondo. Siamo una generazione

senza padri ideologici e forse anche senza nonni e bisnonni ideali. E io,

francamente, ne ho abbastanza di ideologie e di mostrine acquistate al

mercato delle pulci della partitocrazia. È un momento translucido, unico, in cui

possiamo osare, possiamo esporre i nostri corpi in prima linea. E cadere, ma

a viso in avanti. Con le ferite davanti e non dietro, uccisi nella fuga.

Abbiamo solo bisogno di suscitare un leader, una persona che prenda su di

sé il peso di migliaia di coscienze, di passioni e di desideri. Come diceva

Milosz, 'Desta un uomo’. O una donna. O, forse, è giusto che, per evitare un

altro abbacinamento collettivo per il bellino di turno, il furioso, il celodurista, si

desti un gruppo di persone. Pronte a rendere la Politica Accidentale un

paradigma per i tempi a venire. Tieniamoli sulle spine questi spiriti che ancora

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infestano le nostre istituzioni. We will prevail. Us, the People.

Perché a tutti gli amici politici che avranno la pazienza di arrivare fino a qui

nella lettura, dico che, se a volte basterebbe un dito delle loro mani curate a

indicare la posizione di un oggetto, che sia una mela o la luna, ci vogliono

tutte le mani possibili per afferrarlo.

"It's not enough my friend to relegate,

Let's keep them on their toes,

Let's keep the bigots from their properties,

Let's keep the rabbits in their homes"

Boy and Bear - The Rabbit Song

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''I will be as harsh as truth and as uncompromising as justice. On this subject, I do not wish to speak, or think, or write with moderation. I am in earnest. I will not equivocate, I will not excuse, I will not retreat a single inch, and I will be heard.”

William Lloyd Garrison, "To The Public" The Liberator, Gennaio 1831'

Nessuna scusa o paura. Il futuro e’ nostro.

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