L’evoluzione della pianificazione · L'ultimo modello è quello del radical planning, il quale...
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L’evoluzione della pianificazione
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Negli ultimi anni, dal dibattito internazionale e nazionale sulla pianificazione e
progettazione urbanistica, sono emersi alcuni temi attorno ai quali ruotano diverse
declinazioni ed orientamenti disciplinari.
Utilizzando una definizione derivata dalla "planning theory", alcuni di questi
argomenti fanno riferimento all'urbanistica "sostantiva", cioè quella che si occupa di
definire nella sostanza qual è l'oggetto degli studi urbani e dell'urbanistica e nello
stesso tempo di stabilire quali debbano essere i contenuti dell'oggetto principale
dell'urbanistica, che è il piano.
Altri fanno riferimento all'urbanistica "processuale", che si occupa di stabilire in
prima istanza la legittimità (tecnica e politica) dell'urbanistica e di analizzare le
procedure ed i soggetti coinvolti in tutto il processo di governo del territorio.
Altri ancora sono ragionamenti di carattere culturale o tecnico che riguardano in
generale gli studi urbani ma anche gli ambiti disciplinari (economia, sociologia,
ambiente, geografia) che hanno effetti espliciti sulla gestione del territorio e che
quindi rientrano nelle competenze urbanistiche in maniera più o meno diretta.
Un nuovo approccio è nato in seguito alla presa d'atto che alcuni piani urbanistici
erano inefficaci e/o inefficienti e che il problema non consisteva nel contenuto, nella
struttura del piano o nelle leggi che lo determinano ma nella natura dell'azione
pianificatoria, nei compiti, nelle potenzialità di azione, nella legittimità di azione che i
diversi attori possiedono.
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SITAR model
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L’elencazione e lo sviluppo dei modelli di pianificazione sono stati tradotti in
un'ordinata sequenza, che, alcuni teorici, hanno nominano con la sigla SITAR:
Synoptic planning, Incremental planning, Transactive planning, Advocacy
planning, Radical planning.
Il modello sinottico (synoptic planning) corrisponde all’approccio razionale,
comprensivo; caratterizzato dalla sequenza di quattro operazioni:
• definizione degli obiettivi,
• identificazione delle alternative di governo del territorio,
• valutazione degli strumenti rispetto ai fini,
• implementazione e aggiornamento.
La pianificazione sinottica guarda ai problemi da un punto di vista sistemico,
utilizzando modelli concettuali e matematici correlati ai fini e basati su un numero
consistente di dati quantitativi.
Chiari riferimenti di questo modello sono Geddes, McLoughlin, il CIAM, Banfield.
“Synoptic planning, or the rational comprehensive approach, is the dominant
tradition, and the point of departure for most other planning approaches, which
represent either modifications of synoptic rationality or reactions against it.”
Barclay M. Hudson
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Il modello incrementale (incremental planning) interpreta le teorie di Lindblom del
partisan mutual adjustment e del disjointed incrementalism.
Esso deriva dalle critiche mosse alla razionalità sinottica: alla sua struttura
riduzionista, ai suoi fallimenti nel riconoscere i limiti dei decisori (pochi).
Il modello incrementale contrappone al vecchio sistema decisionale centrale (statico
e a priori), una modalità decisionale dinamica e interazionale per comparazioni
limitate e successive.
Introduce quindi il tema della pluralità dell`attore decisionale (svolta comunicativa), il
concetto di costruzione della conoscenza nel corso dell’azione (pianificazione
transattiva), la dimensione strategica, interattiva e intersoggettiva di un processo
decisionale (pianificazione strategica).
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Il modello transattivo (transactive planning) si basa sul riconoscimento
dell'esperienza delle persone nel rivelare l’orientamento delle politiche, e sull'idea che
la pianificazione non sia calibrata su un’anonima compagine di comunità, ma in
stretto contatto con i destinatari degli effetti delle politiche (Friedmann).
Il modello si basa meno sul sistema dell’analisi di dati e più sul dialogo interpersonale
definito da un processo di mutual learning: una pianificazione decentralizzata che
aiuta ad accrescere il controllo dei cittadini sui processi sociali che governano il loro
benessere.
Rispetto al modello incrementale pone maggiore enfasi sui processi di sviluppo
personale e di gruppo, sul valore delle persone, sul comportamento, sulla loro dignità
e sulla loro percezione di efficacia (consapevolezza di contare) rispetto al processo.
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Il modello a difesa (advocacy planning) nasce ancora una volta nell'ambito del
dibattito sui limiti dell`approccio razionale.
L’advocacy planning si pone come obiettivo quello di “rendere il processo decisionale
più razionale e giusto attraverso la sua equiparazione al processo giudiziario”
(Balducci).
Orientato dal riformismo sociale, esso tende alla formulazione di politiche sociali e
alla difesa dei diritti e degli interessi dei gruppi deboli contro i gruppi forti, nell’intento
di rivelare i desideri della gente e di elaborarli tecnicamente.
Gli aspetti principali dell’advocacy planning sono: l'introduzione del ruolo della
politica nella pianificazione, il riconoscimento della frammentazione dei bisogni e
dell’esclusione sociale, l’inclusione dell'istanza della giustizia sociale e la necessità di
rappresentare gli interessi dei non-rappresentati, il problema distributivo, il tema
dell'interesse pubblico (Crosta).
Dal modello a difesa derivano molte delle azioni e delle teorie che costituiscono le
radici dell'approccio partecipativo grazie alla produzione di una letteratura sul tema
della partecipazione e sulle sue sfaccettature (Amstein).
Lettura consigliata
Alessandro Balducci, Strategic planning as the intentional production of a “Trading Zone”, 2015
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Le teorie di Sherry Amstein (1969) si
soffermano sulle diverse forme di
inclusione, controllo e partecipazione.
L`autrice propone un ragionamento
sulle diverse forme del rapporto tra
cittadini e istituzioni, espresse nella
manipolazione, nella terapia, nella
conciliazione, nel controllo.
Dai principi della Amstein il modello a
difesa ha sviluppato l'eredità
muovendosi verso la costruzione di
nuove idee di pianificazione, a partire
dall'analisi delle dinamiche
processuali e, più in generale, delle
diverse forme di partecipazione e di
inclusione.
L’aspetto più rilevante del modello a
difesa consiste nell'individuare il
dominio politico della pianificazione,
oltre il campo della tecnica.
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UN-WATER 2009
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L'ultimo modello è quello del radical planning, il quale viene individuato come
paradigma emergente di pianificazione basato sulla necessità della sperimentazione
(Grabow, Heskin).
La sua base risiede nella convinzione che solo dall'azione collettiva possano derivare
risultati concreti in un immediato futuro.
Il modello riconosce una delle sue radici fondamentali nel pensiero di John Dewey, e in
particolare che solo dalla vita materiale di tutti i giorni di una comunità, con il minimo
intervento delle istituzioni e la massima partecipazione delle persone nella definizione
e nella gestione del proprio ambiente può nascere qualcosa di positivo.
Il SITAR model, inteso come strumento di sintesi della teoria della pianificazione,
anche se molto essenziale e selettivo, include anche l’individuazione di alcuni criteri
per la valutazione e la comparazione tra i diversi modelli, che rendono possibile
misurare l’efficacia delle politiche e della pianificazione.
Lettura consigliata
V. A. Beard, Learning Radical Planning: The Power of Collective Action, 2013
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• Interesse Pubblico/Interesse Generale: esplicita i principi di giustizia sociale e
distributiva come traduzione degli interessi plurali in risultati;
• Dimensione Umana: riguarda l’impatto delle politiche sul dominio delle persone in
relazione alla loro dignità ed alla capacità di auto-determinazione;
• Feasibility/Fattibilità/Praticabilità: si riferisce alla dimensione dell'adattarsi alle
diverse scale di azione e ai diversi tipi di problemi e di struttura sociale;
• Action Potential/Potenzialità: rappresenta la capacità di tradurre le idee in pratica,
basandosi sull'esperienza nel corso dell'azione (pianificazione transattiva) e sulla
capacità di identificare nuove linee o alternative per una soluzione efficace;
• Substantive Theory: si basa sulle teorie delle tensioni sociali e dei processi di
cambiamento sociale; è caratterizzata dalla capacità di riconoscere le
conseguenze dirette, indirette e a lungo termine, dall'abilità di previsione;
• Self-Reflective: riguarda la capacità di attivare processi aperti alla critica,
imparando dai destinatari della pianificazione;
• Implementation-Oriented Planning: esplicita la complessità dei processi legati alle
politiche e instaura una strategia dell’implementazione;
• Collaborative Planning: riguarda il rapporto con le istituzioni nelle varie forme di
governance (governo del territorio).
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Il numero considerevole di criticità che pervade gli studi di pianificazione hanno motivato un
corpo consistente di riflessioni sull`inevitabilità dell'incertezza degli obiettivi e delle
tecnologie nel trattamento dei problemi della pianificazione, arrivando così ad un’unica
evidenza: non esiste un modello perfetto.
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Forme e Generazioni di Piano Urbano dall’Ottocento ad oggi
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G. Di Benedetto (1977) distingue il piano, a partire dal secolo precedente, in:
ottocentesco, razionalista, post-razionalista.
Per il piano ottocentesco “…possiamo parlare di una pianificazione per elementi:
il tutto urbano viene scomposto negli elementi che fisicamente lo costituiscono,
case, strade, piazze, canalizzazioni, ferrovie, parchi e giardini, edifici pubblici,
opifici...
Pianificare la città per elementi significa dunque definire esattamente le parti che
devono essere realizzate dalla collettività e le parti che sono di assoluta
competenza dei privati... il processo di piano si riduce tutto alla redazione della
planimetria di piano... non occorrono, anzi sarebbero male accetti, ulteriori
strumenti o atti intesi a definire più precisamente i modi dello sviluppo.
Poche norme attuative ... bastano ad esaurire il quadro della strumentazione
attuativa del piano. In coerenza con la sua natura di patto stipulato … il piano ha
validità a tempo indeterminato...”
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Piano di Washington (1791)
Città di nuova fondazione, la capitale in cui convivono l’impianto radiale e ortogonale
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Sintesi dei grandi lavori di Haussmann dal 1853 al 1870 (Lavendan, Plouin, Hugueney, Auzelle)
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Boulevard Sebastopol
Avenue de l’Opera
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Ringstraβe Wien, 1859
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Plan Cerdà, 1860
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La strada diviene vero centro dell’attenzione del piano in quanto “principio generatore e
ordinatore dello sviluppo complessivo della città...”
La rappresentazione in sezione della strada e degli edifici
adiacenti è tipica dei piani e dei manuali ottocenteschi.
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Adolphe Alphand
‘’Les promenades de Paris’’ 1867-1873
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Il piano ottocentesco era solitamente molto meno dettagliato rispetto a quanto
disegnato da Haussmann a Parigi, per il Ring di Vienna, all’Eixample di Cerdà.
Il piano trattava le relazioni tra la sfera pubblica e quella privata mediante un
sistema normativo che regolamentava la disposizione fisica degli elementi (distanze
tra strada ed edifici, altezze), gli aspetti igienico edilizi (dimensioni dei vani, dei
cortili), il decoro degli edifici, le modalità di cessione degli spazi pubblici
(sostanzialmente per il sedime stradale). Esempio di edificazione secondo
piano ottocentesco sono le
Mietskasernen.
Costruite in conformità al
Regolamento Edilizio – vigente tra
il 1853 ed il 1887 - dello stato
prussiano, con una manica su
strada di 20 metri e tre cortili di
5,34 x 5,34 metri.
In sette piani abitabili - con indice
di affollamento da 1,5 a 3 persone
per stanza e stanze con superficie
da 15 ad un massimo di 30 mq -
vivevano ammucchiate da 325 a
650 persone.
I due muri laterali, lunghi 56 m,
erano ovviamente senza finestre.
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Queste
Mietskasernen
rappresentano
un indubbio
miglioramento
rispetto a quelle
conformi al
Regolamento del
1853.
Gli isolati
diventano in
genere più
grandi ed i cortili
interni
acquistano
fortunatamente
maggiore
dimensione.
Assonometria e pianta di due isolati costruiti secondo il Regolamento
Edilizio di Polizia del 1887
Tipici isolati di 3 e 5 piani costruiti in base al Regolamento del 1925
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Il piano razionalista segna l’emergere di un nuovo approccio alla pianificazione in cui si
sottolinea l’importanza dell’analisi e dell’approccio sistemico.
Patrick Geddes affermava: “prima le analisi, poi il piano” ed anche “l’evoluzione delle
città e l’evoluzione dei cittadini sono due processi che debbono svolgersi insieme”.
Alla base del piano razionalista la spinta data dalla “Carta di Atene”, documento che
riassumeva le discussioni condotte in occasione del Congresso Internazionale di
Architettura Moderna del CIAM nel 1933.
La carta individuava le funzioni che la città deve assolvere per rispondere ai bisogni
dell’uomo: “abitare, lavorare, circolare, ricrearsi”.
L’evoluzione positiva del piano razionalista risiede nell’approccio che formula J. Brian
McLoughlin in Urban and Regional Planning: A Systems Approach (1969), il quale
sancisce la città come sistema e l’urbanistica come pratica che agisce sulla città ed il
territorio attraverso i metodi dell'analisi e del controllo dei sistemi.
Lo studio di "come la città funzioni" nelle sue interrelazioni.
Lo strumento principe del piano è lo zoning, che viene portato alle conseguenze
estreme.
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Il piano di Amsterdam, 1929-1932
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“Se da un lato i piani urbanistici fondati sulle semplificazioni concettuali della
Carta d'Atene dilagano nell'ultimo mezzo secolo in tutta l'Europa ... dall'altro il loro
disastro è così clamoroso da rendere necessario prenderne in qualche modo le
distanze sullo stesso versante disciplinare.” Marco Romano
Il processo di crescita delle città si interrompe e la cosiddetta città post fordista
vede l’affermarsi del settore dei servizi, che diviene il settore trainante
dell’economia.
Se fino a qualche decennio fa l’esigenza primaria era di governare l’espansione
delle città, ora diviene fondamentale la riqualificazione dei centri storici, ma anche
e soprattutto delle periferie che colpevolmente si erano create.
Nel 1977, il piano post-razionalista per Di Benedetto era:
“… tutto contenuto in un disegno … terreno per terreno viene indicato: se lo
sfruttamento è possibile … ; il modo in cui è possibile sfruttare ...; la misura nella
quale è possibile sfruttare (cubatura edificabile, altezza delle costruzioni, sviluppo
planimetrico realizzabile). ...un piano particolareggiato esteso a tutto il territorio
comunale.
In quanto tale esso non necessita di una gestione: si amministra da sé, attraverso
l’applicazione meccanica delle proprie indicazioni”
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Principi che appaiono derivazione diretta del piano razionalista, nei quali non
si intravede un nuovo approccio.
In realtà per l’evoluzione del piano post razionalista è opportuno fare
riferimento al SITAR model.
Nella esperienza italiana la comparsa del piano viene sancita da due leggi,
quella “Sulla espropriazione per pubblica utilità” del 1865 e quella per il
“risanamento della città di Napoli del 1885”.
La prima definisce il “piano regolatore edilizio” come lo strumento per
intervenire sulla città esistente, mentre le espansioni sono l’oggetto del “piano
di ampliamento”.
Per l’evoluzione del piano italiano è importante richiamare quanto definito da
Campos Venuti il quale individua, a partire dal primo e secondo dopoguerra,
tre generazioni di piani.
Si tratta di una articolazione che discende da una valutazione
dell’orientamento e della efficacia di questi strumenti in quanto “piani della
ricostruzione urbana”.
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I Piani di prima generazione, nati dalla spinta della ricostruzione del dopoguerra,
sono strumenti relativamente semplici, che consistono essenzialmente in una
ristrutturazione della rete viaria e nell'aumento delle densità dei nuclei centrali,
senza tener conto delle destinazioni d'uso.
“Piani del primo ordinamento urbano”, ossia “strumenti ancora generici, dettati dal
desiderio di porre una qualunque regola al caos della crescita cittadina … Sono
concepiti più o meno esplicitamente a favore del regime immobiliare”.
Il capostipite di questi piani può essere considerato il piano di Piacentini per Roma,
che è del 1931 e che influenzerà la formazione della legge urbanistica del 1942.
“Piani dell’espansione urbana”, ossia “la Seconda Generazione che affronta la
cultura dell’espansione producendo una notevole evoluzione disciplinare”.
Nascono i cosiddetti piani dell’urbanistica riformista in contrapposizione a
quell’urbanistica che non era stata in grado di ostacolare la speculazione della
rendita fondiaria.
I Piani della seconda generazione affrontano il tema dell'espansione urbana come
crescita necessaria, da razionalizzare e da non limitare, cercando di capire i
meccanismi della rendita urbana e le loro ricadute sulla città.
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La terza generazione è “quella che segna il passaggio dalla cultura dell’espansione
urbana alla cultura della trasformazione”.
Si pone in evidenza la necessità di imporre criteri di recupero e riqualificazione dei
centri storici e dell’edilizia esistente e di ridurre i ritmi di sviluppo residenziale.
Allo stesso tempo è necessario dare risoluzione ai problemi urbanistici delle zone
interstiziali e di trasformazione funzionale delle aree industriali dismesse, degli scali
ferroviari, esplicitando il tema della qualità urbana.
La morfologia urbana torna ad essere un elemento importante della qualità della città.
Questa generazione pone l’accento non solo sulla scala locale ma anche sulla scala
metropolitana, regionale e nazionale, coinvolgendo altre parti sociali ed economiche.
Per alcuni di questi piani, i cosiddetti piani disegnati, un ruolo centrale nella
definizione della loro forma viene assunto dal progetto di architettura che elabora il
disegno della città fisica.
Per Vittorio Gregotti, il disegno del piano assume una immagine interpretativa e
progettuale forte e riconoscibile.
Un punto di vista lontano da una visione di città flessibile: “avere un'idea della
morfologia della città a venire è un elemento imprescindibile per l'attività
pianificatoria. Ma ridurre la complessità della pianificazione al mero disegno
architettonico, o alla giustapposizione di più disegni architettonici, ha dimostrato nel
tempo la sua debolezza…”
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La crisi del piano di terza generazione ha comportato una ulteriore ricerca di una
congruenza ottimale tra tempi ed azioni del Piano e la complessità dei sistemi socio-
economici.
Si è giunti quindi alla cosiddetta quarta generazione di piano secondo i seguenti
obiettivi:
coerenza e raccordo tra Pianificazione urbana-territoriale e Programmazione
socio-economica;
articolazione del Piano su due livelli distinti e complementari, uno della
Pianificazione di tipo strategico-strutturale e l’altro della Pianificazione operativa;
articolazione cronologica dei livelli di pianificazione e delle azioni decisionali;
maggior coordinamento dei differenti livelli amministrativi preposti alla
pianificazione ed alla gestione dell’assetto territoriale;
introduzione di forme di regime dei suoli di tipo perequativo che consentano di
conseguire un’equa ripartizione degli oneri e dei vantaggi delle trasformazione
urbane;
adozione di tecniche e metodologie per l’ascolto e la valutazione delle dinamiche
economiche e sociali e delle variazioni della domanda insediativa;
dare al piano una maggiore capacità di adattamento alle situazioni di complessità,
di incertezza, di pluralismo e pluralità di attori, decisori, operatori.
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Le componenti Strutturali ed Operative
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L’Istituto Nazionale di Urbanistica nel 1995 formalizza una proposta di Piano comunale
fondato su due strumenti diversi e complementari: il Piano comunale strutturale e il
Piano comunale operativo, accennando anche ad un Regolamento. Il Piano strutturale
veniva definito come piano ”direttore, con il compito di definire lo scenario relativo alle
politiche e alle grandi scelte previste sul territorio per il medio periodo”. Gli elementi
fondamentali della componente Strutturale del Piano, secondo l’INU, erano i seguenti.
Validità di lungo periodo, al limite a tempo indeterminato;
Definisce il quadro delle “invarianti strutturali” (sistema delle infrastrutture e
ambientale), tramite uno scenario generale e programmatico d’assetto del territorio;
Non prescrittivo, non vincolistico (se non per i vincoli atemporali e da non
indennizzare) e non conformativo dei diritti del suolo;
Recepisce i valori e vincoli ambientali della pianificazione sovraordinata; contiene
quindi norme e regole riguardanti il sistema ambientale e il territorio agricolo;
Contiene il quadro conoscitivo necessario per la legittimazione dei caratteri e delle
limitazioni d’uso del suolo, e per assumere le scelte di governo di pianificazione;
Fissa esplicitamente indirizzi, obiettivi, prestazioni, parametri qualitativi e condizioni
di comportamento per i successivi Piani operativi comunali;
Determina il sistema delle coerenze e delle precondizioni per l’attuazione delle
trasformazioni del territorio;
Esplicita le indicazioni non prescrittive e di carattere programmatico sulle
trasformazioni future.
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Costruire un Piano Strutturale significa ridurre all’essenziale le sue previsioni
articolate nei tre sistemi fondamentali infrastrutturale, ambientale e insediativo;
si tratta di previsioni programmatiche, data la natura giuridica non conformativa
della proprietà dello strumento, salvo quelle derivanti da “vincoli ricognitivi”
derivanti da normative statali e regionali e da progetti, anche locali, definiti in ogni
loro parte, che nelle migliori esperienze regionali, sono state definite come
“invarianti”, dato il loro carattere più duraturo e stabile nel tempo e riguardanti
intere categorie di beni o territorio.
Alla definizione delle “invarianti” contribuisce il sapere tecnico dell’urbanista e
degli specialisti che contribuiscono alla formazione dei vari aspetti del piano; un
sapere importante, costruito nel tempo, ma troppo spesso vilipeso dalla politica,
anche per qualche responsabilità degli stessi urbanisti.
Istituto Nazione di Urbanistica
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Se il Piano strutturale comunale è chiamato a prefigurare una “visione” e ad
assolvere ad una funzione “statutaria”, il Piano comunale operativo, nella
formulazione dell’INU, contiene gli interventi pubblici e privati da realizzare nel corso
di un mandato amministrativo (da cui la definizione di “Piano del Sindaco”).
Gli elementi fondamentali di questa componente, secondo l’INU, sono i seguenti.
Validità di breve-medio periodo, preferenzialmente 5 anni, corrispondente anche al
periodo di legittimità dei vincoli urbanistici;
Interessa tutte le parti del territorio ed in particolare quelle oggetto di
trasformazione urbanistica programmata secondo le potenzialità indicate dal
Piano strutturale comunale;
Definisce il regime giuridico delle aree e degli immobili e dettaglia le previsioni
della componente Strutturale in termini prescrittivi e conformativi dei diritti
dell’uso del suolo;
Pone in relazione gli interventi ai Programmi triennali delle opere pubbliche e ai
bilanci comunali;
E’ basato, in via ordinaria, su modalità attuative perequative, e solo in via
eccezionale, su modalità espropriative.
Il Piano comunale operativo vorrebbe riassorbire le finalità dei programmi pluriennali
di attuazione della legge fondamentale dell’urbanistica, impegnando le politiche di
governo del territorio di un intero mandato amministrativo dell’Amministrazione.
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La legge fondamentale dell’urbanistica italiana vorrebbe assicurata l'attuazione
della "città pubblica" attraverso il meccanismo dei vincoli espropriativi imposti dal
piano regolare, i quali debbono essere indennizzati e sono soggetti a decadenza, e
la successiva espropriazione delle aree vincolate con finanze proprie dell'ente.
L’articolazione in strutturale e operativo del Piano comunale è tesa ad eliminare le
rendite di attesa ed a conferire al Piano la flessibilità necessaria a rifiutare le
continue varianti e la staticità nello sviluppo delle trasformazioni urbane.
Con la riforma di livello nazionale del Titolo V della Costituzione (Legge
costituzionale n. 3/2001), una serie di leggi regionali hanno preso vita (in realtà
alcune regioni quali la Basilicata, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Puglia avevano già
legiferato in merito) sul tema di governo del territorio e sull’articolazione del piano
comunale.
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… l’INU deve riconsiderare con maggiore spirito critico l’intera esperienza delle leggi
regionali riformiste approvate dopo il 1995 e poi dopo il 2001… Una riforma incompiuta
perché non tutte le Regioni hanno sviluppato adeguatamente il modello INU, basato
essenzialmente su il nuovo piano strutturale programmatico, non conformativo e portatore
di una visione strategica, il piano operativo prescrittivo e conformativo...
Alcune Regioni, infatti, hanno utilizzato le nuove denominazioni senza cambiare la
sostanza giuridica dei piani, altre hanno confermato la vecchia forma regolativa del PRG,
completamente inefficace di fronte alle attuali trasformazioni territoriali.
Anche il nuovo modello attuativo proposto dall’INU, perequazione, compensazione, nuova
disciplina dei diritti edificatori, adottato quasi dovunque, non ha però trovato sviluppi
pienamente soddisfacenti, per l’assenza di una normativa nazionale in una materia che
riguarda competenze esclusive dello Stato, trattate impropriamente dalle leggi regionali…
alcune esperienze hanno evidenziato … l’eccessivo consumo di suolo delle pratiche
perequative – compensative basate su superfici ed edificabilità e non sui valori delle
trasformazioni ipotizzate; una soluzione quest’ultima che sembra più adeguata alla
situazione attuale.
Emerge quindi un quadro di una riforma incompiuta e di un “federalismo urbanistico”
alquanto improbabile (forse ridicolo), con tante denominazioni diverse per la stessa cosa
e molte contraddizioni giuridiche che hanno spesso indebolito le leggi regionali di fronte
alla giurisprudenza amministrativa.
Su tutto spicca l’assenza dello Stato con la legge sui principi fondamentali del governo del
territorio, una legge indispensabile per correggere le soluzioni impazzite del mosaico
regionale.
Istituto Nazione di Urbanistica
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA
Amministrare l’Urbanistica Prof. Pier Benedetto Mezzapelle
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Disegno di legge: Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e
trasformazione urbana.
Il disegno di legge costituzionale presentato l’8 agosto 2014 prevedeva un’ampia
revisione e razionalizzazione delle competenze legislative, dirette a rimuovere le
incertezze, le sovrapposizioni e gli eccessi di conflittualità che si sono manifestati
a seguito della riforma del 2001 e che hanno avuto rilevanti ricadute sui rapporti tra
i livelli di governo che compongono la Repubblica.
Poiché la formulazione dell’articolo 117 non consente, ad esempio, una puntuale
identificazione di ambiti oggettivi (norme generali sul governo del territorio).
Da queste prospettive discendono le innovazioni che interessano il titolo V, quali:
- la riconduzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato di alcune materie e
funzioni, originariamente attribuite alla legislazione concorrente, per esigenze di
unità giuridica della Repubblica
- l’attribuzione alle regioni della potestà legislativa in ogni materia e funzione non
espressamente riservata alla legislazione esclusiva dello Stato
- l’introduzione di una clausola di supremazia, in base alla quale la legge statale,
può intervenire su materie o funzioni che non sono di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, allorché lo richiedano esigenze di tutela dell’unità giuridica.
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Lo Strumento Urbanistico Generale
Comunale in Lombardia
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La Legge Regionale 12/1005 e s.m.i. definisce all’art. 8 il Documento di Piano come
segue.
1. Il documento di piano… definisce:
a) il quadro ricognitivo e programmatorio di riferimento per lo sviluppo economico e
sociale del comune …
b) il quadro conoscitivo del territorio comunale … individuando i grandi sistemi
territoriali, il sistema della mobilità, le aree a rischio o vulnerabili, le aree di interesse
archeologico e i beni di interesse paesaggistico o storico-monumentale … i siti
interessati da habitat naturali … la struttura del paesaggio agrario e l’assetto
tipologico del tessuto urbano …
c) l’assetto geologico, idrogeologico e sismico…
2. … il documento di piano:
a) individua gli obiettivi di sviluppo, miglioramento e conservazione che abbiano
valore strategico per la politica territoriale …
b) determina gli obiettivi quantitativi di sviluppo complessivo del PGT … ; nella
definizione di tali obiettivi il documento di piano tiene conto della riqualificazione del
territorio, della minimizzazione del consumo del suolo …
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b-bis) nella definizione degli obiettivi quantitativi tiene conto prioritariamente
dell'eventuale presenza di patrimonio edilizio dismesso o sottoutilizzato …
b-ter) quantifica il grado di intervenuto consumo di suolo sulla base dei criteri e dei
parametri stabiliti dal PTR e definisce la soglia comunale di consumo del suolo, quale
somma delle previsioni contenute negli atti del PGT …
b-quater) stabilisce che nelle scelte pianificatorie venga rispettato il principio
dell'invarianza idraulica e idrologica …
c) determina … le politiche di intervento per la residenza … le attività produttive … ivi
comprese quelle della distribuzione commerciale …
d) dimostra la compatibilità delle politiche di intervento e della mobilità con le risorse
economiche attivabili dalla pubblica amministrazione …
e) Individua … gli ambiti di trasformazione, definendone gli indici urbanistico-edilizi
in linea di massima, le vocazioni funzionali e i criteri di negoziazione, nonché i criteri
di intervento …
e-bis) individua le aree … (degradate o dismesse), determinando le finalità del
recupero e le modalità d’intervento …
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e-quinquies) individua … gli ambiti nei quali avviare processi di rigenerazione urbana
e territoriale prevedendo specifiche modalità di intervento e adeguate misure di
incentivazione …
…
g-bis) definisce meccanismi gestionali e un sistema di monitoraggio che permetta di
dare una priorità e un ordine di attuazione agli interventi previsti per gli ambiti di
trasformazione e agli interventi infrastrutturali …
…
g) definisce gli eventuali criteri di compensazione, di perequazione e di
incentivazione.
3. Il documento di piano non contiene previsioni che producano effetti diretti sul
regime giuridico dei suoli.
4. Il documento di piano ha validità quinquennale ed è sempre modificabile …
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La Legge Regionale 12/1005 e s.m.i. definisce all’art. 9 il Piano dei servizi come
segue.
1. I comuni redigono … il piano dei servizi al fine di assicurare una dotazione globale
di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico e generale, le eventuali aree
per l’edilizia residenziale pubblica … i corridoi ecologici e il sistema del verde ...
2. I comuni redigono il piano dei servizi determinando il numero degli utenti dei
servizi dell'intero territorio, secondo i seguenti criteri: popolazione stabilmente
residente nel comune …; … popolazione da insediare … ; … popolazione gravitante
nel territorio, stimata in base agli occupati nel comune, agli studenti, agli utenti dei
servizi di rilievo sovracomunale, nonché in base ai flussi turistici.
3. … è comunque assicurata una dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche
e di interesse pubblico o generale pari a diciotto metri quadrati per abitante …
4. Il piano dei servizi esplicita la sostenibilità dei costi … anche in rapporto al
programma triennale delle opere pubbliche, nell’ambito delle risorse comunali e di
quelle provenienti dalla realizzazione diretta degli interventi da parte dei privati.
...
5. Nei comuni aventi caratteristiche di polo attrattore … in relazione al flusso di
pendolari per motivi di lavoro, studio e fruizione di servizi … il piano dei servizi
contiene la previsione di servizi … di interesse sovracomunale necessari al
soddisfacimento della domanda espressa dal bacino territoriale di gravitazione.
…
8. Il piano dei servizi è integrato, per quanto riguarda l’infrastrutturazione del
sottosuolo, con le disposizioni del piano urbano generale dei servizi nel sottosuolo
(PUGSS) …
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12. I vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione … di attrezzature e
servizi previsti dal piano dei servizi hanno la durata di cinque anni … Detti vincoli
decadono qualora, entro tale termine, l’intervento … non sia inserito … nel
programma triennale delle opere pubbliche … ovvero non sia stato approvato lo
strumento attuativo che ne preveda la realizzazione …
13. Non configurano vincolo espropriativo … le previsioni del piano dei servizi che
demandino al proprietario dell’area la diretta realizzazione di attrezzature e servizi,
ovvero ne contemplino la facoltà in alternativa all’intervento della pubblica
amministrazione.
14. Il piano dei servizi non ha termini di validità ed è sempre modificabile.
La Legge Regionale 12/1005 e s.m.i. definisce all’art. 10 il Piano delle Regole come
segue.
1. Il piano delle regole:
a) definisce … gli ambiti del tessuto urbano consolidato…
b) indica gli immobili assoggettati a tutela …
c) individua le aree e gli edifici a rischio di degrado e di incidente rilevante
d) contiene … (l’individuazione delle aree a pericolosità e vulnerabilità geologica,
idrogeologica e sismica nonché le norme e le prescrizioni a cui le medesime aree
sono assoggettate …)
e) Individua … le aree destinate all’agricoltura; … le aree di valore paesaggistico-
ambientale ed ecologiche; … le aree non soggette a trasformazione urbanistica.
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e-bis) individua e quantifica, a mezzo di specifico elaborato denominato Carta del
consumo di suolo, la superficie agricola … le aree dismesse … i lotti liberi, le superfici
oggetto di progetti di recupero o di rigenerazione urbana … L'approvazione della Carta
del consumo di suolo costituisce presupposto necessario e vincolante per la
realizzazione di interventi edificatori, sia pubblici sia privati, sia residenziali, sia di
servizi sia di attività produttive, comportanti … consumo di nuovo suolo.
1-bis. Il piano delle regole deve prevedere, per gli ambiti di rigenerazione urbana in cui
vengano previsti interventi di ristrutturazione urbanistica, la riduzione del contributo
di costruzione ...
2. … il piano delle regole individua i nuclei di antica formazione ed identifica i beni
ambientali e storico-artistico-monumentali oggetto di tutela ... Il piano delle regole
definisce … le caratteristiche fisico-morfologiche che connotano l’esistente, da
rispettare in caso di eventuali interventi integrativi o sostitutivi, nonché le modalità di
intervento ...
…
5. Le indicazioni contenute nel piano delle regole hanno carattere vincolante e
producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli.
6. Il piano delle regole non ha termini di validità ed è sempre modificabile.
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Lo Strumento Urbanistico Generale
Comunale in Piemonte
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Legge regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 come modificata dalle Leggi n. 3 del
25 marzo 2013, n. 17 del 12 agosto 2013 e n. 3 del 11 marzo 2015
Art. 1 bis
(Copianificazione, partecipazione e sostenibilità)
1. I processi di pianificazione del territorio avvengono applicando i principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, mediante il confronto e i processi di
copianificazione tra i soggetti … la copianificazione garantisce la partecipazione
attiva e con pari dignità delle amministrazioni interessate, ciascuna per le proprie
competenze.
…
Art. 14 bis
(Elaborazione del piano regolatore generale nelle componenti strutturale e operativa)
1. … gli elaborati del PRG possono essere articolati nelle componenti strutturale e
operativa...
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Art. 15 bis
(Conferenza di copianificazione e valutazione)
….
2. Alla conferenza di copianificazione e valutazione partecipano con diritto di voto: il
comune … la provincia, la città metropolitana … la Regione … il Ministero per i beni e
le attività culturali, con diritto di voto.
Partecipano senza diritto di voto:
a) altri soggetti o amministrazioni pubbliche la cui partecipazione sia ritenuta
necessaria ai fini della copianificazione e della valutazione ambientale;
b) amministrazioni o enti pubblici o erogatori di servizi pubblici competenti …
c) soggetti competenti in materia ambientale.
…
5. Sono vincolanti, ancorché minoritari all'interno della conferenza … i pareri espressi
dalla Regione … relativi all’adeguamento e alla conformità agli strumenti di
pianificazione regionale o riferiti … a tutela (del) … paesaggio, ambiente, beni
culturali, pericolosità e rischio geologico, aree di elevata fertilità, infrastrutture o in
merito agli aspetti connessi alla VAS o per assicurare il coordinamento di politiche
territoriali o garantire la fattibilità di politiche comunitarie, nazionali e regionali ...
5bis. Il parere del Ministero … espresso in conferenza o trasmesso alla stessa,
assume carattere vincolante in merito agli aspetti riguardanti i beni paesaggistici …
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Riferimenti bibliografici
Alessandro Balducci, Strategic planning as the intentional production of a “Trading Zone”, in City,
Territory and ArchitectureAn interdisciplinary debate on project perspectives, licensee Springer,
2015
V. A. Beard, Learning Radical Planning: The Power of Collective Action, SAGE Journals Online and
HighWire Press platform, 2013
L. Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, Laterza,1983
G. Campos Venuti, La terza generazione dell’urbanistica, Franco Angeli, 1987
G. Campos Venuti e F. Oliva (a cura di), Urbanistica alternativa a Pavia, Marsilio, 1978
G. Campos Venuti e F. Oliva (a cura di), Cinquant’anni di urbanistica in Italia. 1942-1992, Laterza, 1993
A. Cappuccitti, Le diverse velocità del Piano urbanistico comunale e il Piano strutturale, Urbanistica
Informazioni, supplemento al n. 210 del 2006
R. De Lotto, M. L. Di Tolle (a cura di), Elementi di Progettazione Urbanistica, Maggioli editore, 2013
G. Di Benedetto, Introduzione all'Urbanistica, Vallecchi, 1977
P. Gabellini, Il disegno urbanistico, NIS, La Nuova Italia Scientifica,1996
B. M. Hudson, Comparison of Current Planning Theories: Counterparts and Contradictions, Journal
of the American Planning Association, 1979
C. Perrone, DiverCity, Franco Angeli, 2010