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Laboratorio Montessori

ISSN 1974-8787

Sabrina Scarpetta

Il mondo del mosaico

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La storia del mosaico risale all’età antica, pertanto, pur essendo un periodo che esula da questa disciplina di insegnamento, mi sembra doveroso riportare, a mò di introduzione, alcuni cenni sul mosaico nella civiltà classica.

Il mosaico nel mondo greco

Mosaico della caccia al leone a Pella

Le tracce più antiche di una primitiva decorazione musiva in Grecia risalgono al V-IV secolo a.C., con la diffusione di mosaici pavimentali di sassolini, lithostrota, ossia pavimenti di pietra, nati più con funzioni pratiche che estetiche, per rendere impermeabile e resistente all'usura il pavimento in terra battuta.

La tecnica a ciottoli raggiunge l'apice a Pella, città natale di Alessandro Magno, in Macedonia, nel V secolo a.C.: nonostante la scarsa gamma di colori, si rappresentano con ottimi risultati animali, scene di caccia, episodi della mitologia. Qui si trova per la prima volta il nome di un autore, Gnosis. Spesso, veniva inserita una sottile lamina di piombo per evidenziare il contorno dei soggetti o definire piccoli particolari, come si farà, diversi secoli dopo, nelle vetrate policrome del gotico.

A partire dal IV secolo a.C. vengono utilizzati cubetti di marmo, onice e pietre varie, che hanno maggiore precisione dei ciottoli, fino ad arrivare, nel III secolo a.C., all'introduzione di tessere tagliate. Il mosaico pavimentale conserva le caratteristiche estetiche dei tappeti: di dimensioni ridotte rispetto alla stanza, collocato anche non ortogonalmente alle pareti, è composto da una serie di bordure intorno a un pannello centrale, detto èmblema, dal greco ΄εμβάλλω (embàllo)= getto dentro, recante un soggetto figurativo. L'èmblema richiama la marcata dipendenza del mosaico dalla pittura del tempo, con la quale i mosaicisti gareggeranno, introducendo l'uso di tessere sempre più minute, fino a 1 mm3.

Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, cita il mosaicista Sosos di Pergamo (II secolo a.C.), inventore dell'Asarotos Oikos, “stanza non spazzata”, e dell'iconografia delle Colombe abbeverantisi, ripresa più volte in ambito romano, come quello di Villa Adriana (Tivoli). L'Asarotos Oikos raffigurava avanzi di cibo lasciati sul pavimento, per evidenziare l'opulenza del proprietario e ostentarne il potere economico, oltre che a nascondere la scarsa pulizia: un'altra teoria sostiene la tradizione di lasciare questi avanzi per placare l'invidia degli spiriti malvagi.

A Pompei resta una copia, risalente al II secolo a.C., della Battaglia di Alessandro, realizzata da Filosseno d'Eretria nel IV secolo a.C.: il mosaico è composto, come nella pittura contemporanea, in quattro colori: nero, giallo, bianco, rosso.

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Il mosaico nel mondo romano

Mosaico di Augusta RauricaLe prime testimonianze di mosaico a tessere a Roma si datano attorno la fine del III secolo a.C.:

anche nel mondo romano ha intenti pratici, per impermeabilizzare il pavimento di terra battuta e renderlo più resistente al calpestìo. Successivamente, con l'espansione in Grecia e in Egitto e quindi con gli scambi non solo commerciali, ma anche culturali, si svilupperà un interesse per la ricerca estetica e la raffinatezza delle composizioni, al punto tale che Plinio esclamerà con disprezzo: “Ecco che cominciamo a voler dipingere con le pietre!”.

Inizialmente le maestranze provenivano dalla Grecia e portavano con sé tecniche di lavorazione e soggetti dal repertorio musivo ellenistico, come le Colombe abbeverantisi e i Paesaggi nilotici. Il mosaico romano diventerà poi indipendente rispetto alla tradizione greca, diffondendosi in tutto l' impero: si preferiscono temi figurativi per lo più stereotipati, ma soprattutto motivi geometrici, arabeschi e vegetazione stilizzata, nei quali i romani eccellono.

Considerato inizialmente bene di lusso, quindi non alla portata di tutti, ha una diffusione lenta, soprattutto con motivi geometrici bicromi: i mosaici policromi sono rari e si trovano soprattutto nelle province, specialmente in Africa. I maestri nordafricani, in particolare, esportarono in una villa patrizia della Sicilia, una superficie musiva estesa oltre 3000 mq, ricchi di colori, riportanti originali scene di vita, di caccia, e di vario genere: questi mosaici, eccellentemente preservatisi al passare del tempo, sono oggi l'attrazione principale di Piazza Armerina (EN), nel cui territorio ricade la splendida Villa del Casale, primo patrimonio dell'umanità che l'UNESCO abbia dichiarato in Sicilia. Si diffondono anche i pavimenti in commessi di marmo chiamati sectilia, soprattutto negli edifici pubblici o di persone altolocate, come i palazzi imperiali del Palatino a Roma e la Villa Adriana di Tivoli.

I repertori decorativi e cromativi variavano a seconda delle scuole regionali: ad esempio, i motivi geometrici erano tipici delle Gallie, mentre l'Africa settentrionale era specializzata nei mosaici figurativi.

Una delle fanciulle in bikini nel celebre mosaico di Piazza ArmerinaLe tessere, di dimensioni minutissime, compongono figurazioni riprese dalla pittura, o decorazioni

che richiamano l'architettura. Il mosaico diventa parte integrante dell'ambiente dove si trova, influenzando così anche l'iconografia: scene mitologiche nei templi, motivi marini nelle terme, atleti nelle palestre, nature morte o scene dionisiache nei triclini, cani nei vestiboli, soggetti erotici nelle camere nuziali. I materiali

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utilizzati sono marmo, pietre di varia natura e paste vitree: in particolare il mosaico in pasta vitrea ha grande raffinatezza tecnica, ma resta subordinato all'architettura. L'esecuzione si fa via via più raffinata, tanto da richiedere, come definito dall'Edictum de praetiis di Diocleziano e dal Codice di Teodosio, una suddivisione del lavoro secondo le specialità:

• pictor imaginarius: stabilisce il disegno e la struttura della composizione • pictor parietarius: riporta il disegno nella sede di realizzazione • musivarius: realizza il mosaico vero e proprio, di solito su muro • tessellarius: lavorava i mosaici pavimentali. •

Tipologie del mosaico romano Si distinguono varie tipologie di mosaico, che comunque potevano anche trovarsi accostate tra loro:

• OPUS SIGNINUM: dalla calce di Segni, per pavimenti a calce e cocciopesto, detto anche battuto; costituito da tessere distanziate che creano disegni geometrici. A Mozia viene rielaborato e trasformato in pavimento bicolore bianco e nero, più facile nell'esecuzione e nella reperibilità dei materiali. • OPUS SEGMENTATUM: per pavimenti, in cocciopesto e calce con lapilli e sassolini a formare disegni semplici. • OPUS TESSELLATUM: cubetti grandi, fino 2 cm di lato; per bordure, fondi, disegni geometrici. • OPUS VERMICULATUM: tessere più piccole e di varie forme per ottenere sfumature di colore, che seguono la figurazione, come il segno del bulino nelle incisioni. • OPUS SECTILE : piccole lastre di pietre di colori diversi; utilizzato per lo più in composizioni geometriche o campiture. • OPUS ALEXANDRINUM: tarsia marmorea usata soprattutto nel Medioevo; elementi bianchi e neri su fondo rosso, oppure porfido rosso e serpentino verde. Il nome deriva da Alessandro Severo (222-235), imperatore sotto cui questa tecnica si diffuse. • OPUS MUSIVUM: mosaico parietale in pasta vitrea.

Ercolano, Nettuno e AnfitriteIl mosaico parietale nasce alla fine della Repubblica, verso il I secolo a.C., nelle cosiddette “Grotte

delle Muse”, costruzioni scavate nella roccia, interrate o artificiali, dove l'elemento principale è una sorgente o una fontana: si rende perciò necessario un rivestimento resistente all'umidità anche sulle pareti. A Pompei ed Ercolano era utilizzato anche per rivestire le esedre, nicchie di grandi dimensioni, semicircolari o talvolta poligonali, spesso ornate con una fontana; si ricorda il mosaico di Nettuno e Anfitrite, nell'omonima casa ad Ercolano, e quello di Venere nella Casa dell'Orso a Pompei: entrambi hanno la particolarità di avere inserite anche delle conchiglie, che richiamano il tema marino raffigurato. Nel Gatto che ghermisce una pernice, dalla Casa del Fauno a Pompei, vengono utilizzati smalti per arricchire la scala cromatica: questo mosaico è uno dei cosiddetti xenia, “doni ospitali”, ovvero piccoli quadri rappresentanti frutta, verdura, pollame, cacciagione, che si usavano offrire gli ospiti.

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Soggetto più volte ripreso,forse opera di maestranze egiziane, è il Mosaico nilotico di Palestrina, I secolo a.C., nel Tempio della Fortuna Primigenia: è una descrizione accurata del corso del Nilo, con scene di caccia, pesca, rituali e banchetti, dove è la luce, e non più la sola linea di contorno, a definire le figure, con effetti luministici accentuati dal velo d'acqua che ricopriva il mosaico. Altri temi affrontati erano episodi mitologici, Venationes, ovvero combattimenti tra uomini e belve, scene di teatro, con attori e maschere, che denotano la particolare abilità dei mosaicisti romani nel ritratto.

Già nel I secolo a.C. il mosaico è talmente diffuso che la qualità impoverisce: è ormai presente in tutte le case, con soggetti comuni e poco curati. Manca l'inventiva dell'artista: sono opere di artigiani che si accontentano di copiare grossolanamente temi conosciuti. Anche le tessere sono grezze e il disegno risulta poco preciso. In questo periodo si fanno più rari gli emblèmata, poiché la decorazione figurata arriva ad occupare l'intera pavimentazione.

Nel II secolo l'Impero vive un periodo di crisi economica, politica e culturale, che segna la fine imminente dell'età classica. Questo cambiamento si riflette anche nel mondo dell'arte, con la rottura con la tradizione ellenistica e la nascita di un nuovo linguaggio formale. Si nota un orientamento verso l'astrazione, con forme più essenziali e un uso ridotto del colore. Le prime composizioni in bianco e nero derivano da un nuovo gusto cromatico ma anche per risparmiare sui materiali. Ad Ostia e nella Villa Adriana a Tivoli l'astrazione è favorita dalla diffusione di cristianesimo, neoplatonismo e orfismo: secondo queste dottrine l'immagine deve superare la realtà e suggerire il soprannaturale.

Forme significative della pittura bizantina sono le famose icone – immagini della Madonna, di Cristo o di santi dipinte a mezzo busto su tavole di legno – e i mosaici parietali. Il mosaico esemplifica chiaramente lo stile bizantino; queste le peculiarità: - figure rigide, piatte, stilizzate, quasi sempre ritratte di fronte; - fissità dello sguardo da cui non traspare nessun sentimento particolare; le figure sembrano astratte, lontane; - assenza di rilievo, di chiaroscuro, di prospettiva: il fondo d’oro crea un’atmosfera irreale.

Ai Bizantini non interessava raffigurare immagini vere, ambienti reali. Per loro Cristo, la Madonna, l’imperatore e i dignitari erano solo simboli del potere spirituale e temporale, per cui non intendevano portarli al livello degli uomini comuni. Erano, per così dire, personaggi troppo in alto, astratti, semplici forme e colori che si avvicinavano ben poco alla realtà. Per rendere questo mondo inavvicinabile viene usato appunto il mosaico che non i suoi colori splendenti, con i suoi giochi di luce, si addice ottimamente a creare un’atmosfera suggestiva e irreale.

I mosaici più antichi hanno il fondo azzurro e le figure degli apostoli, dei profeti, del Buon Pastore sono rappresentate ancora con un certo realismo. Mosaici di questo tipo si trovano nel Mausoleo di Galla Placida (secondo quarto del V secolo) a Ravenna. La volta a botte dell’edificio è ricoperta da un tappeto musivo di fiori baluginanti sul fondo azzurro scuro; all’incrocio dei bracci volano nel cielo gli essere apocalittici, come visioni d’oro, fra stelle che s’inseguono entro spirali e abbracciano una croce aurea posta in direzione dell’Oriente. Sulle lunette laterali, cervi si abbeverano alle fonti della vita e calpestano i serpenti simboli del male; sulla porta d’entrata, il Cristo, pastore dagli abiti d’oro, è fra le pecorelle entro un paesaggio luminoso, mentre sul fondo l’armadio con i Vangeli è aperto verso il martire Lorenzo, indicato dalla griglia su cui patì il supplizio. Nelle lunette poste sotto la cupola centrale otto apostoli acclamano la visione della croce celeste sorgendo dalla penombra sopra altissimi podii.

L’intenso aspetto visionario di questo interno si ritrova nella volta del Battistero degli Ortodossi, alta costruzione ottagonale con quattro nicchie, in origine a copertura piana e coperta da

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una volta fatta realizzare dal vescovo Neone con tubi fittili nel 458 circa. Dagli otto peducci della cupola salgono altrettanti candelabri d’oro che inquadrano i padiglioni d’un giardino nei quali sono alternativamente esposti i libri dei quattro Vangeli o le insigne imperiali di Cristo poste su un trono. Nel registro superiore avanzano i dodici apostoli suddivisi da altrettanti candelabri d’oro. Un drappeggio pende da un oculo allusivamente aperto al centro da una cupola e ricade dietro le teste dei dodici. Infine l’oculo è occupato dalla rappresentazione sul fondo d’oro, del battesimo di Gesù.

Con il passare del tempo, alla rappresentazione del cielo azzurro si sostituisce un fondo d’oro che diviene una superficie continua sulle pareti dell’interno, “cancellando” gli spigoli e dando l’illusione di un’atmosfera irreale. Le figure diventano sempre più rigide, frontali e prive di rilievo; sono composte simmetricamente o secondo ritmi uniformi e disposte su di un unico piano dove assumono gli stessi atteggiamenti. Mosaici di questo tipo si trovano nel presbiterio della Chiesa di San Vitale a Ravenna. La volta a crociera è occupata da una rigogliosa decorazione vegetale dalla quale spiccano quattro angeli che reggono un medaglione con l’agnello; nelle lunette, sono rappresentati i quattro evangelisti, con i rispettivi simboli, le storie di Mosè e i due quadri simbolici dell’offerta di Abele. Presso l’altare sono i due celebri pannelli con l’imperatrice Teodora e il suo seguito che, dall’atrio, si avviano verso la chiesa, e Giustiniano, con il suo seguito e l’arcivescovo Massimiano e altri dignitari, che si dirigono verso l’altare.

Infatti Ravenna che fu per un lungo periodo metropoli bizantina, è piena di ricordi di quell'epoca: basta ricordare la chiesa di S. Vitale, S. Apollinare in Classe e S. Apollinare Nuovo.

Sono anche da ricordarsi a Milano la chiesa di S. Lorenzo, a Venezia la chiesa di S. Marco, la cosidetta basilica d'oro per il bellissimi e sfolgoranti mosaici, eretta verso il 1000 in schietto stile bizantino, riflesso delle relazioni commerciali che Venezia aveva con Costantinopoli.

Giovanni II e sua moglie Piroska. Mosaico all'interno della Basilica di Santa Sofia (Istanbul

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, che fu evidente con l'arrivo delle insegne imperiali di Romolo Augusto a Costantinopoli, il mosaico conobbe le sue espressioni più fulgide. Dal IV secolo i favolosi mosaici bizantini arrivarono anche in Italia, grazie alla riconquista ordinata da Giustiniano I di Bisanzio, e capeggiata dal miglior generale di quei tempi, il generalissimo Belisario, per poi lasciare il posto al suo rivale Narsete. Nel 540 Belisario entrò trionfante a Ravenna, la vecchia capitale dell'Impero Romano d'Occidente, e la popolazione che si sentiva liberata festeggiò e decise che sarebbe stata decorata una chiesa per commemorare la vittoria dei bizantini sui goti: la basilica, iniziata già da Teodorico, fu chiamata San Vitale, decorata con sfarzosi mosaici, tra i quali i famosi riquadricche rappresentano da una parte Giustiniano, considerato il salvatore dell'Impero Romano, insieme a tutta la sua corte; dall'altra Teodora insieme alla sua corte. Vengono rappresentate anche scene tratte dalla Bibbia, riguardanti storie dell'Antico Testamento.

I mosaici che ornano le pareti delle basiliche delle due città imperiali, Ravenna e Costantinopoli, costituiti di tessere vetrose (smalti) e oro zecchino sono di una bellezza impareggiabile; l'impronta bizantina si distingue molto facilmente, le figure sono ferme, immobili, non hanno il senso del movimento, e non

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hanno un vero e proprio appoggio per i piedi, tanto che i personaggi sembrano galleggiare sullo sfondo dorato, simbolo della luce di Dio. In seguito, la figura di Teodora sarà presa come modello per la Madonna, che da ora fino al romanico e parte del gotico sarà vestita come un'imperatrice bizantina (basilissa).

Il re ostrogoto Teodorico fece costruire la chiesa di Sant'Apollinare Nuovo nella sua capitale, Ravenna, facendosi ritrarre in uno dei mosaici che la decorano. Nel 540, però, quando i bizantini conquistarono la vecchia capitale dei romani d'Occidente, i mosaici raffiguranti personaggi di fede cristiana ariana, qual era Teodorico, vennero sostituiti con panneggi mosaicati: restano, tuttavia, alcuni frammenti delle decorazioni precedenti, in particolare sulle colonne. Sulla parete nord della navata troviamo la processione delle vergini, vestite di una lunga tunica drappeggiata che scende fino ai piedi, mentre sulla parete sud, è raffigurata la processione dei martiri, vestiti di bianco.

Sempre a Ravenna fu costruita Sant'Apollinare in Classe, consacrata nel 549: l'abside della chiesa è interamente mosaicato. La zona inferiore presenta alle estremità le raffigurazioni di due città che hanno le mura adorne di pietre preziose: sono Gerusalemme e Betlemme, dalle quali escono i dodici apostoli sotto l'aspetto di agnelli. Nei rinfianchi dell'arco vi sono due palme, che nella letteratura biblica sono emblema del giusto. Sotto a queste si trovano le figure degli arcangeli Michele e Gabriele, con il busto di San Matteo e di un altro santo non chiaramente identificato.

Sant'Apollinare in Classe, volta dell'absideTutta la decorazione del catino absidale risale circa alla metà del VI secolo e si può dividere in due

zone:

1. Nella parte superiore un grande disco racchiude un cielo stellato nel quale campeggia una croce gemmata, che reca all'incrocio dei bracci il volto di Cristo. Sopra la croce si vede una mano che esce dalle nuvole: è la mano di Dio. Ai lati del disco vi sono le figure di Elia e Mosè. I tre agnelli, che si trovano spostati un po' verso il basso, proprio all'inizio della zona verde, con il muso rivolto verso la croce gemmata, simboleggiano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni: siamo chiaramente di fronte alla rappresentazione della Trasfigurazione. 2. Nella zona più bassa si allarga una verde valle fiorita, dove ci sono rocce, cespugli, piante e uccelli. Al centro si erge solenne la figura di sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia aperte in atteggiamento di orante: è ritratto, infatti, nel momento di innalzare le sue preghiere a Dio perché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua cura, i quali sono qui rappresentati da dodici agnelli bianchi. Negli spazi tra le finestre sono rappresentati quattro vescovi, fondatori delle principali basiliche ravennati: Ursicino, Orso, Severo ed Ecclesio, vestiti in abito sacerdotale e recanti un libro in mano. Ai lati dell'abside si trovano due pannelli del VII secolo: quello di sinistra, molto rimaneggiato, riproduce l'imperatore di Bisanzio, Costantino IV, mentre conferisce i privilegi per la Chiesa ravennate a Reparato, un inviato dell'arcivescovo Mauro. Nel pannello di destra sono rappresentati Abramo, Abele e Melchisedec attorno ad un altare mentre offrono un sacrificio al Signore.

Un caso particolare è la basilica di Santa Sofia (Hagia Sophia) di Istanbul: costruita nel VI secolo da Giustiniano I di Bisanzio sopra le rovine di altre chiese precedenti, venne decorata inizialmente con motivi

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geometrici e floreali. Fu arricchita, dopo il periodo iconoclasta, con immagini figurative, di cui restano Cristo in trono, la Madonna in trono col Bambino, l'arcangelo Michele, l'imperatore Leone VI di Bisanzio e i Padri della Chiesa. Nel XV secolo i musulmani invasero Costantinopoli e trasformarono la basilica in moschea, scialbando tutti i mosaici: solo nel 1935, quando la chiesa venne trasformata in museo, vennero riportati alla luce.

Il mosaico nel Medioevo

Sant'AgneseNell'arte romanica il mosaico non ha ruolo dominante per motivi economici e gli si preferisce

l'affresco. Le decorazioni sono comunque influenzate dall'arte bizantina, soprattutto per quanto riguarda i rivestimenti musivi. È interessante l'introduzione di vetri meno scintillanti per giocare con le variazioni luminose prodotte dall'alternarsi di elementi più o meno lucidi. Accanto ai frammenti di vetro, venivano impiegati pietre colorate, la malachite per tessere verdi, il lapislazzuli per i blu, marmo o madreperla per i grigi e i bianchi, pietre naturali per gli incarnati.

Le maggiori committenze sono di provenienza ecclesiastica.

Il mosaico, però, è per lo più pavimentale e vive il suo apice nel XII secolo: tuttavia, già nel secolo successivo si preferiscono le più economiche mattonelle di ceramica smaltata. Vengono utilizzati materiali lapidei locali, in tre colori: bianco, nero e rosso; è molto diffuso il reimpiego di antichi frammenti o di tessere di mosaici già esistenti, come nella chiesa dei Santi Maria e Donato a Murano, dove le grandi lastre di pietra del pavimento sono frammenti di sarcofagi, e a Roma, dove i pavimenti cosmateschi, che riprendono l'opus sectile, hanno dischi di porfido o marmo tagliati da colonne.

Per i costi elevati di realizzazione, il mosaico ricopriva una superficie molto ridotta: nelle chiese si trovava solo vicino all'altare, talvolta anche in coro e transetto.

I soggetti preferiti sono episodi della Bibbia, come il Peccato originale, Giona e Sansone; allegorie per spiegare ai fedeli concetti astratti; favole e gesta cavalleresche, che alludono comunque alla vittoria di Cristo sul peccato e la morte e alla lotta contro il male e che incitano il cristiano a difendere la fede anche con le armi. Si assiste anche al recupero della mitologia classica, come exemplum morale della cultura cristiana: Teseo e il Minotauro rappresentano Davide e Golia.

Si diffondono anche rappresentazioni di esseri bizzarri e mostruosi, tratti da fonti letterarie antiche, come il Grifone, il Drago, il Centauro, la Chimera.

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Cattedrale di San Cataldo (Taranto) - Mosaico pavimentale di Petroio di Taranto allievo di Pantaleone

Il più noto mosaico pavimentale di questo periodo è quello della cattedrale di Otranto, risalente al 1163-1165 e raffigurante l'Albero della vita, realizzato nell'arco di due anni dal monaco Pantaleone. Raffigura scene bibliche, animali mostruosi e personaggi dell'antichità. Si suppone che contenga in esso messaggi di difficile, se non addirittura impossibile, decifratura. Sull'argomento sono stati scritti numerosi testi da parte di studiosi di tutto il mondo.

I tempi d'oro del mosaico in Sicilia furono l'età del Regno normanno nel XII secolo. Le maestranze greche che lavoravano in Sicilia avevano sviluppato il loro proprio stile, che mostra l'influenza delle tendenze artistiche dell'Islam e dell'Europa occidentale.Gli esempi migliori dell'arte siciliana del mosaico sono la Cappella Palatina di Ruggero II, la chiesa di Martorana a Palermo e le cattedrali di Cefalù e di Monreale.La Cappella Palatina mostra chiaramente il mescolamento degli stili orientali ed occidentali. La cupola (1142-42) e l'estremità orientale della chiesa (1143-1154) sono state decorate con il tipico stile Bizantino dei mosaici: il Cristo Pantocratore, angeli, scene dalla vita di Cristo. Anche le iscrizioni sono scritte in greco. Le scene narrative della navata (dal Vecchio Testamento, vite dei Santi Pietro e Paolo) richiamano i mosaici dell'antica Basilica di Pietro e Paolo a Roma (iscrizioni latine, 1154-66).

La chiesa di Martorana (decorata intorno 1143) sembra ancor più bizantina anche se le parti più importanti sono state successivamente demolite. Il mosaico è molto simile a quello della Cappella Palatina con Cristo in trono al centro e quattro angeli. Le iscrizioni greche, i modelli decorativi, gli evangelisti sono eseguiti probabilmente dagli stessi maestri greci che hanno lavorato nella Capella Palatina.

Il mosaico che raffigura Ruggero II di Sicilia, vestito in abiti imperiali bizantini, mentre riceve la corona dalle mani di Cristo, era originalmente nel nartece demolito insieme ad un altro pannello, il Theotokos con Georgios di Antiochia, il fondatore della chiesa.

A Cefalù (1148) soltanto il presbiterio gotico alto e francese è stato coperto di mosaici: il Pantocratore nell'abside e cherubini sulla volta. Sulle pareti possiamo vedere i santi latini e greci, con iscrizioni greche.

I mosaici di Monreale costituiscono la più grande decorazione di questo genere in Italia: coprono 0.75 ettari con tessere di pietra ed almeno di 100 milioni di vetro. Questo lavoro enorme è stato eseguito fra il 1176 e il 1186 per volere del re Guglielmo II di Sicilia. L'iconografia dei mosaici nel presbiterio è simile a Cefalù mentre le immagini nella navata sono quasi le stesse delle scene narrative nella Cappella Palatina.

Il mosaico di Martorana di Ruggero II benedetto da Cristo è stato ripetuto con la figura del re Guglielmo II anziché il suo predecessore. Un altro pannello mostra il re che offre il modello della cattedrale al Theotokos.

La produzione sempre più vasta di piastrelle di ceramica verniciate sostituirà il mosaico pavimentale a causa del costo nettamente inferiore.

Il più grande cantiere di mosaico del Trecento è la facciata del Duomo di Orvieto, su un primo progetto di Lorenzo Maitani. Resta, però, un unico mosaico superstite, che risale al 1365, mentre gli altri

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sono stati restaurati: è conservato al Victoria and Albert Museum di Londra e rappresenta la nascita della Vergine.

Pavimento musivo della cattedrale di OtrantoIl vero tesoro della Cattedrale di Otranto è il pavimento musivo. Il committente normanno, Guglielmo il Malo (qui chiamato Magnificus) decise, su sollecitazione dell'Arcivescovo Gionata, di abbellire l'interno della cattedrale con un nuovo mosaico pavimentale. Sulle maestranze che eseguirono questo capolavoro abbiamo la sola indicazione dell'iscrizione "PER DEXTERAM PANTALEONIS", molti sostengono che si tratti di un monaco del vicino monastero di San Nicola de Casulis. Nell'opera si distinguono almeno tre grandi aree: L'albero della vita che va dalla navata centrale sino alle due laterali; il pavimento musivo, che dal transetto fin sotto l'altare, riprende tappeti e drappeggi orientali; le figure disposte intorno all'antico altare circolare. Navata centrale.

L'albero occupa tutta la navata centrale fino al transetto, è sorretto da due elefanti e termina con Adamo ed Eva. Sulla destra degli elefanti vediamo i suonatori d'olifante, sulla sinistra i lottatori. In alto, sempre a destra, Alessandro Magno che sale al cielo tendendo le esche a due grifoni.

Tutto intorno numerose figure ispirate dal "Roman d'Alexandre" la più interessante delle quali è l'amazzone che caccia un cervo (sulla sinistra). Sopra di essa un leone quadricorpore che schiaccia due serpenti. I due serpenti partoriscono come descritto nel "Phisiologus": la vipera femmina divora il maschio ed i cuccioli le divorano il ventre per uscire. Al di sopra, la costruzione della torre di Babele. Viene poi la raffigurazione del diluvio universale con l'arca di Noè, gli animali e la colomba col ramoscello d'ulivo.

Dal transetto all'altare

Una raffigurazione, che ha la forma di un tappeto orientale, mostra nei tondi i mesi con i segni zodiacali.

• Gennaio si presenta con pochi elementi: un uomo accanto al fuoco (Giano in forma umana) ed il simbolo del Capricorno. • Febbraio: una donna cucina un maialino allo spiedo ed allontana una pentola, un angioletto versa l'acqua da un acquaio - Acquario. • Marzo: vi si vede un uomo che raffigura lo spinario dolorante. Due Pesci simboleggiano il segno, nessun accenno a Marte. • Aprile: si portano le greggi al pascolo, un Ariete simboleggia il segno. • Maggio: la primavera, una donna è seduta su di un trono in abiti regali. Il Toro è in alto. • Giugno: la scena mostra la mietitura, i due Gemelli sono in alto a destra.

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• Luglio: un bello scorcio sugli attrezzi usati per separare il grano dalla pula: due scope di paglia ed una correggia. Il granchio (lat. Cancer) simboleggia il segno. • Agosto: un maldestro contadino raccoglie l'uva dalla vite con un coltello ed inciampa in un secchio. Il Leone è in alto a destra. • Settembre: un contadino pigia l'uva. La Vergine è sulla destra, vestita di bianco.

• Ottobre: l'aratura dei campi, occorre dissodare attentamente il terreno. La Bilancia campeggia sostenuta da una mano. • Novembre: vi è raffigurato un artigiano che ha appena terminato di costruire un vaso e di riparare vari attrezzi: una grossa ascia, un vomere, una pala; lo Scorpione è in alto. • Dicembre: caccia al cinghiale, come impone il Sagittario, che, a causa dell'imprecisione dell'artista nel gestire proporzioni e prospettive, sembra quasi colpire lo stesso cacciatore.Dopo di essi si vede la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, Caino che uccide Abele e Re Artù col gatto di Losanna. La leggenda di Artù ed il Gatto di Losanna Un pescatore, vedendo lo scarso bottino dei giorni precedenti promise al Cristo che avrebbe donato il primo pesce della giornata. Ne abboccò uno enorme, che avrebbe garantito la sopravvivenza della sua famiglia per molto tempo.

A questo punto, fece marcia indietro e ripromise il secondo pesce. Ne pescò un secondo, dieci volte più grande del primo, già enorme. Il pescatore, riflettendo disse: con il primo avrò di che sfamare la mia famiglia per molto tempo, con il secondo diventerò ricco, donerò il terzo. Fu così che pescò un gattino. Ancora una volta, il pescatore non mantenne la promessa pensando: sono ricco, il gatto mi farà comodo per scacciare i topi. Portò anche il gatto con sé che crebbe fino a diventare enorme, divorando il pescatore e la sua famiglia. L'animale prodigioso scappò, in seguito, sui monti intorno a Losanna, terrorizzando gli abitanti del luogo con continue scorrerie. Da lì passò Re Artù che fu informato dell'impossibilità di valicare i monti per la presenza del felino. Il Re accettò la sfida ed ingaggiò una tremenda battaglia. Non appena la belva fu ferita, dal suo sangue nacque un giovane gigante che si pose al servizio di Artù ed entrò per sempre a far parte della sua corte.

Segue una seconda raffigurazione che ha la forma di un tappeto orientale. Dall'alto vediamo i primi due tondi con la Regina di Saba (l'iscrizione recita Regina Austri) ed accanto re Salomone. Quest'ultimo era considerato, assieme a G. Crisostomo, uno dei compilatori del Physiologus. In sequenza gli altri tondi. La Sirena con, all'esterno dello sferico, un suonatore d'olifante che annuncia un tondo con un "grifone leonino alato" che preda un ariete. L'iscrizione recita: P.A.S.C.A. (Pardus Alatus Sternit Cornutum Arietem) secondo il Maroccia. Al centro, il mosaicista si rivolge direttamente ai cavalieri: un centauro caccia un cervo, il cacciatore è

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stupito (come denota l'atteggiamento con la bocca aperta). L'animale lo scruta con aria di rimprovero. È un chiaro riferimento alla leggenda di S. Uberto, che, prima di diventare Santo, pensava più a cacciare che a pregare ed incontrò un cervo le cui sembianze celavano Gesù Cristo. È un "memento mori" rivolto ai cavalieri. Ai due lati Pantaleone e l'unicorno, poi un'antilope. Al di sotto un dromedario, un elefante, un serpente unicorno che divora un agnello, la pantera che caccia una lepre, l'orso ed il bue. Tra di essi, fuori dai tondi, l'asino che suona l'arpa e la scimmia che suona i piatti. Infine Adamo ed Eva tentati dal serpente sulla cima dell'albero.

Le figure intorno all'Altare Maggiore Partendo da destra, vengono raffigurati una serie di pescatori e marinai, poco oltre due uomini a bordo di una barca indicano ad un terzo un avvenimento eccezionale: un anziano con la barba consegna un bastone a forma di Tau ad un giovane, essi si incontrano presso due porte aperte.

L'interpretazione non è ancora chiara. Nella scena successiva un uomo nudo, a piedi, regge un bastone, un altro, a cavallo e vestito gli è davanti; un cinghiale ferito è azzannato da un cane, più avanti una lince azzanna un maialino, nei pressi cani e lepri. In basso vi è la sequenza (tratta dalla Bibbia) di Giona che predice la distruzione di Ninive.

Una donna nuda con una lunghissima treccia ed una sorta di cane unicorno, sono ulteriori figure il cui senso è avvolto nel più fitto mistero. In alto, un serpente piumato ed alato, che stritola un cervo; Sansone che uccide il leone; una scimmia ed un babbuino mangiano una mela, un cervo li osserva.

Un asino danzante con una mano ed un piede umani sembra richiamare l'Asino d'Oro di Apuleio. Tre figure, con un uomo che regge una coppa d'oro guardano verso un punto del mosaico che oggi è distrutto.

Nella navata sinistra un albero (l'albero del Bene e del Male) sorretto da un toro separa gli eletti dai dannati. Tra gli eletti si riconoscono Abramo, Isacco e Giacobbe; tra i dannati il ricco Epulone. Segue la raffigurazione di una bilancia che pesa i peccati; i dannati cotti nei calderoni e Satana con la corona in quanto re degli inferi. Nella navata destra un altro albero che termina con Atlante che regge il Mondo. Sulla destra si notano la sfinge alata, l'arpia e Marvuacius che trafuga l'Arca dell'Alleanza, sulla sinistra il leone che azzanna un serpente mentre divora un caprone.

Elio Paiano

Il mito di Deucalione e Pirra

Deucalione e Pirra

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Il mito di Deucalione e Pirra è uno delle moltissime varianti, rintracciabili in quasi ogni religione, sul tema del diluvio universale. Deucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo ed Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli, scelti per salvarsi dal diluvio che sarebbe caduto sulla terra e quindi per far rinascere l'umanità. Su ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo.

Secondo una prima versione essi hanno, come premio per la loro virtù, diritto ad un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone. Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra.

Secondo un differente racconto l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro le ossa della loro madre. Essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra, ricordiamo che enrambi siono figli di Titani, e agiscono di coseguenza.

Il mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna od in Tessaglia.

Infine, a conclusione di questo percorso affascinante, un tuffo nell’arte contemporanea, dove un riconosciuto artista che oggi gode di un buon successo di pubblico e di critica si è ispirato appunto alla tecnica del mosaico in alcune delle sue opere più famose: è G. Klimt.

Protagonista della Secessione viennese è senza dubbio Gustav Klimt (Vienna 1862-1918), nella cui opera pittorica convergono, ad alto livello, molte delle più tipiche istanze dell’Art nouveau: accentuato linearismo, bidimensionalità, storicismo, simbolismo. Ma il significato di ciascuno di questi caratteri ed il modo con cui vengono accostati è personalissimo: brani di puro decorativismo astratto, il cui risalto cromatico risale talvolta al fulgore dei mosaici di Ravenna, convivono con pungenti precisazioni anatomiche derivate dal naturalismo tedesco alla Klinger, sia pur piegato ad aspre caratterizzazioni ed a deformazioni che anticipano l’Espressionismo.

Nato in un sobborgo di Vienna, Baumgarten il 14 luglio 1862, Klimt è figlio di un orafo incisore originario della Boemia, e sicuramente la memoria dell’artigianato paterno eserciterà una suggestione ben percepibile sul futuro sviluppo della sua arte.

Grazie alla frequenza presso la Scuola d’arti applicate Klimt entra in possesso di tecniche diverse, come il mosaico o la lavorazione dei metalli, e di un repertorio di motivi decorativi tratti da epoche e culture diverse. I suoi inizi si svolgono nell’ambito dello stile accademico di gusto tradizionale: è il trionfo dello storicismo. Successivamente, quell’esigenza di una svolta, forte nella nuova generazione di artisti sul finire del secolo in tutta Europa, porterà Klimt a farsi promotore, nel 1867, di un nuovo modo di fare arte: la Secessione annulla le divisioni tradizionali dei generi per una vera riforma del gusto.

Tra il 1900 e il 1903 l’artista definisce compiutamente il suo stile: nel 1903 Klimt visita due volte Ravenna, rimanendo incantato dall’oro dei mosaici. Decide così di esperire fino in fondo le potenzialità del metallo prezioso: è il suo periodo d’oro, che coincide con il pieno rigoglio della sua maturità creativa.

La peculiarità del periodo d’oro, che vede un massiccio e seducente uso dell’oro puro in foglia e carta dorata, consiste anche nel ruolo strutturale che questo colore assume nella pittura: come nel mosaico bizantino osservato in San Vitale (Teodora e la sua corte), l’oro klimtiano vuole trasfigurare la realtà e fissare l’immagine in una eterna sublime trascendenza, congelandola nella distanza e nella perfezione del metallo. L’uso che l’artista fa dell’oro ricorda la tecnica di Gentile da Fabriano: l’oro non è mai semplice fondale, ma, nelle due qualità di opaco e brillante, modula il rapporto tra le parti plastiche e quelle della superficie.

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Il bacio (1907-1908) è senza dubbio il culmine dello stile aureo. Come nel ritratto di Adele Bloch-Bauer, gli unici momenti di naturalismo plastico sono i volti e le mani, ritagliati nel paesaggio tutto d’oro e nei parametri che rivestono la coppia. Lo stile aureo si spinge fino quasi all’icona di una nuova, ossessiva Bisanzio.

La peculiarità e la modernità dello stile maturo di Klimt consiste nel fatto che i singoli elementi decorativi, pur essendo parti integranti dell’armonia dell’insieme, sono di per sé autonomi, quadri nel quadro, piccole composizioni astratte e musicali che suggeriranno più di quanto si creda ad un Kandinsky o ad un Klee.

L’abito setoso diventa una tunica di metallo splendente della stessa materia della poltrona e del fondo. Nel luccicore degli ori e nella fitta vegetazione di motivi ornamentali i contorni della figura restano ambigui, e solo il volto perlaceo e le mani intrecciate nervosamente sfuggono alla metallizzazione e appaiono come ritagliati nell’intarsio.

Bibliografia: P. Ball: Colore. Una biografia. Bur 2007 (Cap.IV in part. pgg.104-109).E. di Stefano: Klimt. Giunti 1999.G. Dorfles, A. Vettese: Storia dell’arte. Atlas 2007. F. Negri Arnoldi: Storia dell’arte. Fabbri 1986.