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Laboratorio di Scienza e Tecnologia dei Materiali Università di Trento, a.a. 2012/13 Luca Lutterotti, Matteo Leoni, Luca Fambri *@ing.unitn.it tel. 0461-282414/16/13

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Laboratorio di Scienza e Tecnologia

dei MaterialiUniversità di Trento, a.a. 2012/13

Luca Lutterotti, Matteo Leoni, Luca Fambri*@ing.unitn.it

tel. 0461-282414/16/13

Programma del corso

Crediti dell’insegnamento: 6 (circa 60 ore tra lezioni e laboratorio)

Obiettivi del corso: Il corso si prefigge l'obiettivo di introdurre gli studenti alla pratica di laboratorio nel settore materiali, con particolare attenzione sia alle tecniche di produzione che di caratterizzazione tipiche del laboratorio.

Programma del corso

Introduzione alla pratica di laboratorio

Pianificazione dell'esperienza

Esercitazione in laboratorio: preparazione e caratterizzazione di un composito per applicazioni sonar

Preparazione report

Trasduttore per

applicazioni sonar/

ecoscandagli

Introduzione alla pratica di laboratorio

Circa 5 ore

Pianificazione del lavoro

Tecniche di analisi (3)

Pratica di laboratorio

Preparazione report finale

Pianificazione dell'esperienza

Circa 2-3 ore

Presentazione lavoro da condurre

Obiettivo generale e obbiettivi specifici

Suddivisione in gruppi di lavoro

Piano di lavoro e tempi (GANTT)

Esercitazione in laboratorio

Circa 50 oreEsperienza - Preparazione e caratterizzazione di un composito per applicazioni sonarPreparazione composito:

Progettazione (composizioni etc.)

Miscelazione componenti

Trattamenti termici

Preparazione provini

Esercitazione in laboratorio

Caratterizzazione composito:XRD: piezoelettrico e resinaCaratterizzazione al microscopio ottico e SEMMisure densità

Misura proprietà meccaniche e viscoelastiche:

Prove DMTAProve di compressione

Studio caratteristiche in funzione del contenuto di piezoelettrico

Discussione e report

Circa 2-3 ore

Discussione risultati e confronto

Indicazioni preparazione report

Impostazione preparazione report

Come presentare i risultati finali

Orario lezioni

Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Venerdì

1 M 1 S 1 L A 1 G 1 S 1 M 1 V 1 V B 1 L 1 M 1 S 1 L 1 G2 G 2 D 2 M A 2 V 2 D 2 M 2 S 2 S 2 M 2 G 2 D 2 M 2 V3 V 3 L 3 M A 3 S 3 L A 3 G 3 D 3 D 3 M 3 V 3 L B 3 M 3 S4 S 4 M 4 G A 4 D 4 M A 4 V 4 L 4 L B 4 G B 4 S 4 M B 4 G 4 D5 D 5 M 5 V A 5 L A 5 M A 5 S 5 M 5 M B 5 V B 5 D 5 M B 5 V 5 L6 L 6 G 6 S 6 M A 6 G A 6 D 6 M 6 M B 6 S 6 L B 6 G B 6 S 6 M7 M 7 V § 7 D 7 M A 7 V A 7 L 7 G 7 G B 7 D 7 M B 7 V B 7 D 7 M8 M 8 S 8 L A 8 G A 8 S 8 M 8 V 8 V B 8 L B 8 M B 8 S 8 L 8 G9 G 9 D 9 M A 9 V A 9 D 9 M 9 S 9 S 9 M B 9 G B 9 D 9 M 9 V

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Prove in itinere Appelli di esame Il Preside Appelli di laurea LM e VO A Lezioni primo semestre Prof. Ing. Marco TubinoAppelli di laurea LT B Lezioni secondo semestreChiusura § Proclamazione lauree triennaliApertura fino alle 14

GENNAIO 2013OTTOBRE APRILE AGOSTO

2013GIUGNOFEBBRAIO MAGGIOAGOSTO 2012 MARZO

FACOLTA' DI INGEGNERIA

CALENDARIO ACCADEMICOANNO ACCADEMICO 2012-2013

Approvato dal Consiglio di Facoltà del 11 luglio 2012

SETTEMBRE DICEMBRE LUGLIONOVEMBRE

Modalità d’esame e votazione

Preparazione e consegna report finale (per gruppo di lavoro, comprensivo di una copia del quaderno di laboratorio)

Preparazione e presentazione orale dei risultati (individuale con mezzi informatici)

Votazione: 50% report di gruppo - 50% presentazione individuale

Materiale didatticoCopia presentazioni

Fotocopie e stampati (normative, articoli etc.)

Bibliografia specifica sull’esperienza e tecniche di laboratorio. Verrà presentata man mano.

Materiale in rete a: http://www.ing.unitn.it/~luttero/laboratoriomateriali

Pianificazione del lavoro

Stabilire l’obbiettivo generale del lavoro

Fissare gli obbiettivi specifici

Determinare le fasi del lavoro

Fissare i tempi (GANTT)

Prevedere la fase di discussione e verifica

Utilizzo dei risultati

Il GANTT

Tecniche di preparazione

Miscelazione componenti

Reticolazione resina e trattamenti termici

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2.2 Prove termiche: DMTA 2.2.1 Introduzione

Visto che lavoriamo con un composito a matrice polimerica, abbiamo ritenuto opportuno sottoporre il materiale ad un’analisi DMTA (Dynamic Mechanical Thermal Analysis) per studiarne la viscoelasticità lineare, proprietà distintiva e fondamentale dei polimeri che ben evidenzia le complessità e peculiarità di tali materiali.

Risulta molto difficoltoso classificare i polimeri come materiali solidi o fluidi viscosi, poichè le loro proprietà meccaniche dipendono molto dalle condizioni di test. Ad esempio, un polimero può comportarsi esattamente come un solido vetroso, come una gomma elastica o come un fluido viscoso a seconda della temperatura e della scala temporale della misura. Per questo motivo, i polimeri sono usualmente descritti come materiali viscoelastici, un termine generico che enfatizza la loro posizione intermedia tra solidi elastici e liquidi viscosi. A basse temperature, o ad alte frequenze di misura, un polimero può essere vetroso e rompersi per deformazioni maggiori del 5 %. Ad elevate temperature o basse frequenze invece lo stesso polimero può essere gommoso potendo sopportare grosse estensioni (~100%) senza deformazione permanente. A temperature ancora più elevate, si possono presentare deformazioni permanenti sotto carico, ed il polimero si comporta come un liquido molto viscoso. In un intervallo di frequenza o di temperature intermedi, comunemente chiamato range della transizione vetrosa, il polimero non si comporta ne' come gomma ne' come vetro. Mostra un modulo intermedio, è viscoelastico e può dissipare un considerevole ammontare di energia alla deformazione.

2.2.2 Descrizione macchinario e funzionamento prova

Esistono svariati tipi di prove DMTA e la particolare tecnica da utilizzare va scelta in base alle caratteristiche del materiale e alla scala temporale da esplorare. I principali metodi di analisi meccanica si possono raggruppare in cinque categorie e si possono distinguere in base all'intervallo di frequenze a loro accessibile. Si può applicare il metodo del ‘creep and stress relaxation’ per frequenze basse, il metodo del torsional Pendulum va bene per frequenze attorno a 1 Hz, i resonance methods sfruttano vibrazioni risonanti nel range tra 10^2 e 10^4 Hz, e il metodo ‘wave propagation ‘, coprendo una scala di tempi molto bassa si adatta bene solo alle frequenze più alte (maggiori di 10^4 Hz) mentre i metodi delle ‘forced vibrations’ sfruttano le vibrazioni forzate non risonanti del campione e sono molto precisi e semplici. Il principio di funzionamento di questo metodo, che è anche quello che adotteremo, prevede la sollecitazione del materiale con uno stress sinusoidale (oppure uno strain sinusoidale) e la lettura contemporanea dello strain (o dello stress) con il relativo sfasamento. La frequenza non deve essere ovviamente tanto alta da produrre onde di stress di lunghezza d’onda confrontabile con quella del campione per non causare la risonanza di quest'ultimo. Questo effetto identifica il limite superiore della scala di tempi accessibile a questa tecnica. Lo strumento che abbiamo impiegato in questo tipo di analisi è un analizzatore dinamico-meccanico della ‘PolymerLaboratory’ corredato di un dispositivo per il controllo dell'analisi termica e di un computer predisposto per la gestione degli strumenti e l'elaborazione dei dati. L'analizzatore è costituito essenzialmente da cinque componenti: 1) Il portacampione. 2) Un dispositivo per afferrare il campione alle estremità e sottoporlo a trazione. 3) Un rivelatore di spostamento dell'asta ad alta sensibilità. 4) Un motore lineare per la generazione della forza di sollecitazione. 5) Una fornace.

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2.2 Prove termiche: DMTA 2.2.1 Introduzione

Visto che lavoriamo con un composito a matrice polimerica, abbiamo ritenuto opportuno sottoporre il materiale ad un’analisi DMTA (Dynamic Mechanical Thermal Analysis) per studiarne la viscoelasticità lineare, proprietà distintiva e fondamentale dei polimeri che ben evidenzia le complessità e peculiarità di tali materiali.

Risulta molto difficoltoso classificare i polimeri come materiali solidi o fluidi viscosi, poichè le loro proprietà meccaniche dipendono molto dalle condizioni di test. Ad esempio, un polimero può comportarsi esattamente come un solido vetroso, come una gomma elastica o come un fluido viscoso a seconda della temperatura e della scala temporale della misura. Per questo motivo, i polimeri sono usualmente descritti come materiali viscoelastici, un termine generico che enfatizza la loro posizione intermedia tra solidi elastici e liquidi viscosi. A basse temperature, o ad alte frequenze di misura, un polimero può essere vetroso e rompersi per deformazioni maggiori del 5 %. Ad elevate temperature o basse frequenze invece lo stesso polimero può essere gommoso potendo sopportare grosse estensioni (~100%) senza deformazione permanente. A temperature ancora più elevate, si possono presentare deformazioni permanenti sotto carico, ed il polimero si comporta come un liquido molto viscoso. In un intervallo di frequenza o di temperature intermedi, comunemente chiamato range della transizione vetrosa, il polimero non si comporta ne' come gomma ne' come vetro. Mostra un modulo intermedio, è viscoelastico e può dissipare un considerevole ammontare di energia alla deformazione.

2.2.2 Descrizione macchinario e funzionamento prova

Esistono svariati tipi di prove DMTA e la particolare tecnica da utilizzare va scelta in base alle caratteristiche del materiale e alla scala temporale da esplorare. I principali metodi di analisi meccanica si possono raggruppare in cinque categorie e si possono distinguere in base all'intervallo di frequenze a loro accessibile. Si può applicare il metodo del ‘creep and stress relaxation’ per frequenze basse, il metodo del torsional Pendulum va bene per frequenze attorno a 1 Hz, i resonance methods sfruttano vibrazioni risonanti nel range tra 10^2 e 10^4 Hz, e il metodo ‘wave propagation ‘, coprendo una scala di tempi molto bassa si adatta bene solo alle frequenze più alte (maggiori di 10^4 Hz) mentre i metodi delle ‘forced vibrations’ sfruttano le vibrazioni forzate non risonanti del campione e sono molto precisi e semplici. Il principio di funzionamento di questo metodo, che è anche quello che adotteremo, prevede la sollecitazione del materiale con uno stress sinusoidale (oppure uno strain sinusoidale) e la lettura contemporanea dello strain (o dello stress) con il relativo sfasamento. La frequenza non deve essere ovviamente tanto alta da produrre onde di stress di lunghezza d’onda confrontabile con quella del campione per non causare la risonanza di quest'ultimo. Questo effetto identifica il limite superiore della scala di tempi accessibile a questa tecnica. Lo strumento che abbiamo impiegato in questo tipo di analisi è un analizzatore dinamico-meccanico della ‘PolymerLaboratory’ corredato di un dispositivo per il controllo dell'analisi termica e di un computer predisposto per la gestione degli strumenti e l'elaborazione dei dati. L'analizzatore è costituito essenzialmente da cinque componenti: 1) Il portacampione. 2) Un dispositivo per afferrare il campione alle estremità e sottoporlo a trazione. 3) Un rivelatore di spostamento dell'asta ad alta sensibilità. 4) Un motore lineare per la generazione della forza di sollecitazione. 5) Una fornace.

Tecniche di analisi

Misura densità (bilancia archimede e porosimetrie)

XRD

Microscopi ottici, SEM/TEM

DMTA, macchine per trazione/compressione

Misure elettriche

XRD

2.3 Fig 1

XRD (X-ray Diffraction)

Identificare fasi (amorfe, cristalline e polimorfi)

Quantificare le quantità relative (anche amorfo/cristallino)

Determinare le dimensioni del dominio cristallino e difetti (cristalliti e microstrain)

Caratteristiche cristallografiche (parametri di cella, occupazioni atomiche)

XRD: home-work

Scaricare Maud (versione 2, http://www.ing.unitn.it/~maud)

Eseguire tutorial per analisi quantitative

Cercare informazioni sulle fasi cristalline del PbTiO3

Microscopie ottiche/SEM/TEM

Controllare la microstruttura

Determinare porosita’ e distribuzione fasi

Verificare dimensioni domini cristallini

Verificare interfaccia particelle/matrice

Composizione EDAX

SEM

2.7 Fig 2

2.7 Fig 3

2.7 Fig 2

2.7 Fig 3

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Questi elettroni vengono rilevati da un rivelatore e convertiti in impulsi elettrici. Il fascio non è fisso ma viene fatto scandire: viene cioè fatto passare sul campione in una zona rettangolare, riga per riga, in sequenza. Il segnale degli elettroni secondari viene mandato ad uno schermo (un monitor) dove viene eseguita una scansione analoga. Il risultato è un'immagine in bianco e nero che ha caratteristiche simili a quelle di una normale immagine fotografica. Per questa ragione le immagini SEM sono immediatamente intelligibili ed intuitive da comprendere.

Il potere di risoluzione di un normale microscopio elettronico SEM a catodo di tungsteno si aggira intorno ai 5 nm, ma alcuni modelli arrivano a 1 nm. L'immagine SEM ha un'elevata profondità di campo. Il campione è sotto alto vuoto (10-5 Torr) poiché l'aria impedirebbe la produzione del fascio (data la bassa energia degli elettroni), e deve essere conduttivo (oppure metallizzato), altrimenti produce cariche elettrostatiche che disturbano la rivelazione dei secondari.

Gli altri segnali emessi dal campione in seguito all'eccitazione del fascio sono: elettroni riflessi (fenomeno di backscattering), elettroni channelling, raggi X, catodoluminescenza, correnti indotte dal fascio e per alcuni tipi di campioni, anche elettroni trasmessi. Questi segnali possono essere rivelati da appositi rivelatori/apparecchiature e sono usati in numerose tecniche di misura: catodoluminescenza, EBIC, spettroscopia EDX (energy dispersive X-ray microanalisys), channelling patterns, ecc.

Esistono anche SEM modificati per determinate applicazioni: con il SEM a pressione variabile low vacuum per esempio si riescono ad analizzare anche campioni biologici non metallizzati o isolanti. Con il cosiddetto "Environmental SEM" inoltre si possono analizzare anche campioni liquidi.

2.7.1 Analisi dati

Dalle immagini (2.7 Fig. 1) si può stimare una dimensione media dei pori di 0.2 mm (cerchi più scuri). Le particelle di PbTiO3 hanno una forma irregolare con dimensioni variabili (particelle più chiare). Le particelle nere (2.7 Fig. 1, 2.7 Fig. 2) sono crateri lasciati dopo il processo di lappatura che ha scalzato le particelle di PbTiO3 dalla matrice; ciò si è potuto capire grazie ad un’analisi puntuale ai raggi-X che ha evidenziato un picco principale di carbonio (matrice polimerica). Nel provino da 10% (2.7 Fig. 3) si nota una stratificazione della polvere dovuta ad una cattiva miscelazione del composito in fase di preparazione. Nel provino da 50% si nota invece una bassa porosità e i solchi lasciati dalla lappatura (2.7 Fig. 4). E’ stata inoltre fatta una mappatura (2.7 Fig. 5) degli elementi di un provino evidenziando la matrice polimerica (rosso), l’ossigeno omogeneamente distribuito (verde), le particelle di PbTiO3 (blu e giallo).

2.8 Prove di compressione Utilizzando un Dinamometro per prove meccaniche a controllo elettromeccanico (INSTRON), si sono raccolti dati sui tre provini per poter risalire poi al modulo elastico del composito. I dati raccolti (forza applicata e spostamento verticale) sono stati elaborati ottenendo dei valori di modulo elastico non attendibili, ovvero troppo bassi per appartenere al composito in esame. Questo risultato è dovuto alla geometria non regolare dei provini che presentavano facce non parallele e quindi una distribuzione non omogenea del carico;; inoltre l’intervallo di forza applicata non è stata sufficiente per raccogliere una serie apprezzabile di dati.

Attraverso un approccio teorico, considerando sia il fatto che il materiale in esame è un composito, sia che è presente una percentuale di porosità costante ed omogenea stimata a livello qualitativo con un 10% in volume è stato possibile ottenere risultati più coerenti. Il modulo elastico del composito è stato quindi così calcolato:

TEM

SEM/TEM: Scanning & Transmission Electron Microscopy

Importante la preparazione del campione

La tecnica verrà presentata durante l’analisi

Pratica di laboratorio

Rispettare le norme di laboratorio

Sistematicità nel lavoro

Il quaderno di laboratorio

Alcune note aggiuntive:

Preparazione bibliografica

Conoscere la tecnica

Verificare la normativa

Il quaderno di laboratorio

Tiene traccia del lavoro svolto

Annota le procedure, problemi riscontrati, soluzioni trovate

Vengono annotate nuove idee, esperimenti

Permette di risalire all’origine di un problema

Ha funzione “ricordo” per il materiale (campioni, files, dati etc.)

Il quaderno di laboratorio

Importante per chi continuerà il lavoro successivamente

Fondamentale nelle dispute (brevetti)

Viene firmato da chi esegue gli esperimenti, analisi etc.

Ogni fine giornata dal capo laboratorio

Ogni strumento ha in genere un suo quaderno d’uso

Preparazione report finale

Gli obbiettivi del report finale:

Non è quello di “prendere un buon voto”

Ma archiviare il lavoro fatto e renderlo “leggibile” a chi potrebbe farne un uso successivo

Cosa deve contenere il report finale

Risutati? Si!

Dati? Si e no.

Il report finale

Chiarire gli obbiettivi del lavoro

Illustrare la base scientifica di partenza del problema

Illustrare l’approccio scientifico alla risoluzione del problema

Presentare le tecniche di laboratorio e metodologie utilizzate

Discutere le analisi condotte

Mostrare i risultati raggiunti

Il contenuto del report finale

Titolo

Riassunto (scopo del lavoro e risultati raggiunti)

Introduzione (obbiettivi e motivazioni del lavoro, la rilevanza dello stesso rispetto alle conoscenze attuali)

Parte metodologica (base scientifica di partenza del problema e approccio metodologico seguito); riguardante solo il lavoro fatto.

Il contenuto del report finale

Parte sperimentale (descrizione strumenti ed esperimenti eseguiti; metodi di analisi utilizzati). Quì non vanno messi dati e/o risultati!

Analisi dei dati e discussione (quì vanno riportati i risultati e la loro discussione; non vanno messi i dati grezzi, ma la loro elaborazione)

Il contenuto del report finale

Discussione finale e conclusioni (qui vanno riassunti i risultati principali)

Bibliografia (relativamente al lavoro svolto; ogni referenza deve essere referenziata nel testo; no referenze generiche)

Appendice (riportare in un’appendice calcoli svolti o procedure di analisi particolari in modo da non appesantire il testo)

Che tipo di report?

Prendere a riferimento lavori scientifici su riviste

Presentare pdf e stampato, gradito anche formato aggiuntivo html (facoltativo)

I reports verranno messi in rete locale

Non report lunghi, ma ben fatti!

Home-workEntro 18 aprile!

Dividersi in gruppi (circa 2-3 persone per gruppo)

Ricordarsi di fare gruppi omogenei, i gruppi lavoreranno cooperativamente (evitate cose tipo un gruppo intero di “sperimentali” o di “teorici”).

Per ogni gruppo nominare: coordinatore, addetto relazioni pubbliche, archiviatore

Compiti specificiCoordinatore:

coordina il lavoro del gruppocoordina tempi di laboratoriosi coordina con gli altri coordinatori

Addetto relazioni pubbliche:responsabile pubblicazione risultati intermediscambia dati e risultati con gli altri gruppi

Archiviatore: responsabile del “quaderno di laboratorio”responsabile materiale

Materiale specifico

Paragrafi specifici:2.7.4, 6.4.6. A. J. Moulson & J. M. Herbert, Electroceramics 2nd ed, 2003, Wiley.

In generale cap 6 e 2.7.

Maud: http://www.ing.unitn.it/~maud

Slides: http://www.ing.unitn.it/~laboratoriomateriali