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37 Ars Historiae aprile/giugno 2007 l committente Il mecenate del Ciclo dei Me- si, così come dell’adegua- mento di Torre Aquila da zo- na difensiva a luogo privato e colto, è il vescovo Giorgio di Liechtenstein. Di- scendente di una ricca e possidente fa- miglia aristocratica morava, già prevo- sto di Santo Stefano a Vienna, fu eletto vescovo di Trento nel marzo del 1391. Una volta insediato in città, cominciò ad esercitare la sua committenza per la ri- strutturazione di vari ambienti, in par- ticolar modo nell’area in esame, ma le sue commissioni artistiche furono nu- merose ed eclettiche e spaziavano dal- l’oreficeria destinata al culto al ricamo dei paramenti religiosi, dagli arredi al- le suppellettili, dagli arazzi di manifat- tura francese ai preziosi libri miniati. Tra questi è ricordato soprattutto uno straordinario Tacuinum Sanitatis, pic- cola enciclopedia illustrata di carattere igienico-sanitario, basata su antichi te- sti arabi, di produzione lombardo-vi- scontea, oggi conser vata alla Biblioteca Nazionale austriaca di Vienna. Nel febbraio del 1407, con la sommos- sa di Trento e l’entrata in città del duca del Tirolo Federico IV d’Austria, detto il “Tascavuota”, il vescovo venne impri- gionato e scacciato da Trento mentre i suoi beni furono requisiti e portati a Vienna. Le immagini del Ciclo dei Mesi, la cui regia si deve certamente a Giorgio di Liechtenstein, con la loro orchestrazio- ne di vita cortese e degli umili, in un equilibrio compositivo misurato e qua- si perfetto, appaiono come un discorso programmatico di un ideale politico a cui il prelato ambiva, per trasformare il principato trentino in un esempio di ar- monia sociale. Ecco che, allora, la me- tafora del “buongoverno” e l’ideale or- dine politico, sembrano essere il moti- vo centrale, forse la ragione stessa, del Ciclo dei Mesi, commissionato dal ve- scovo. Ma l’utopia si scontrò con la realtà. Gli anni del suo vescovato furono segna- ti da rivolte contadine, dal saccheggio dei castelli e da lotte contro le illusio- ni neofeudali del Liechtenstein, fino alla definitiva sommossa che lo allon- tanò dal Castello del Buonconsiglio nell’aprile del 1407 e della quale resta la testimonianza diretta di un graffito su una parete del terzo piano di Tor- re Aquila. L’esecutore Il nome che ricorre per identificare l’autore degli affreschi del Ciclo dei Mesi, è Venceslao. Questo per un con- fronto da documenti coevi dai quali appare che un pittore boemo di nome Venceslao, registrato nel libro della confraternita dei pittori di Sant’Anto- nio all’Arlberg come pittore del ve- scovo di Trento, eseguì gli affreschi della cappella del cimitero di Ruffiano presso Merano nel 1415. Ma questa paternità è confutata dal confronto tra i due cicli, a causa di una notevole dif- ferenza qualitativa a favore del Ciclo di Torre Aquila, eseguito, tra l’altro, almeno tre lustri prima. Anche se l’i- dentità del pittore non coincide, con assoluta probabilità entrambi denun- ciano un’origine boema, evidenziata, per quel che riguarda il maestro dei Mesi, dall’uso di particolari, tratti cer- tamente dalla conoscenza della mi- niatura boema (forse miniatore egli stesso per l’uso di una pennellata fine e descrittiva) che, fiorita nell’ultimo decennio del Trecento intorno alla corte di re Venceslao, ottenne risulta- ti pregiatissimi nella celebre Wenze- sbibel, la Bibbia in vari volumi com- missionati ai migliori miniatori nel 1395, e ora conser vata a Vienna nella Biblioteca Nazionale. Vari sono i mo- menti di vicinanza, probabilmente tratti direttamente da questo bacino iconografico. Ma la cultura figurativa del maestro di Torre Aquila si compone anche di altri elementi desunti dalla visione di opere lombarde e dalla lezione dei Ta- cuina viscontei presenti nel Tirolo, co- me si deduce dall’attenzione naturali- stica ai particolari, alla vegetazione, agli oggetti di uso quotidiano, alle ca- ratteristiche climatiche. Al contrario, però, si può escludere un’origine ita- liana o lombarda del pittore, perché in lui mancano quelle caratteristiche stilistiche di precisa definizione spa- ziale e appaiono invece diverse in- congruenze di proporzioni e scala tra figure e ambienti, non consone ad ar- tisti formati nella cultura pittorica ita- liana. La personalità dell’artista si è arric- chita certamente delle influenze del- le arazzerie francesi di appartenenza del vescovo e, infine, sicuramente il pittore si è ser vito dei taccuini di schiz- zi e modelli, allora in gran circolazio- ne, da cui gli artisti traevano partico- lari di figure, paesaggi o panneggi. L’u- so di questi repertori spiegherebbe certe incongruenze di accostamenti o l’isolamento di alcuni particolari nel- l’insieme delle scene (per esempio nel mese di gennaio il paesaggio è inne- vato, ma non c’è neve sul castello di Stenico che lo domina). L’ultimo dato da sottolineare è la vi- vacità dello sguardo del pittore che ha saputo cogliere e riproporre, dall’os- servazione della realtà, tanti partico- lari tipici della cultura del Tirolo, co- me certi strumenti di lavoro assolu- tamente locali. Qualunque nome avesse questo arti- sta, ha lasciato uno dei momenti più alti della pittura del gotico internazio- nale e il suo eclettismo è il prodotto di una formazione boemo-viennese unita agli elementi lombardo-verone- si che circolavano nel clima culturale della valle dell’Adige, come afferma la tesi di Niccolò Rasmo, a cui oggi tut- ta la critica si allinea. I di Giuliana Ghidoni [email protected] Il ciclo dei mesi di Torre Aquila a Trento La vit a nel Medioevo

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37 Ars Historiaeaprile/giugno 2007

l committenteIl mecenate del Ciclo dei Me-si, così come dell’adegua-

mento di Torre Aquila da zo-na difensiva a luogo privato e colto, è ilvescovo Giorgio di Liechtenstein. Di-scendente di una ricca e possidente fa-miglia aristocratica morava, già prevo-sto di Santo Stefano a Vienna, fu elettovescovo di Trento nel marzo del 1391.Una volta insediato in città, cominciò adesercitare la sua committenza per la ri-strutturazione di vari ambienti, in par-ticolar modo nell’area in esame, ma lesue commissioni artistiche furono nu-merose ed eclettiche e spaziavano dal-l’oreficeria destinata al culto al ricamodei paramenti religiosi, dagli arredi al-le suppellettili, dagli arazzi di manifat-tura francese ai preziosi libri miniati. Traquesti è ricordato soprattutto unostraordinario Tacuinum Sanitatis, pic-cola enciclopedia illustrata di carattereigienico-sanitario, basata su antichi te-sti arabi, di produzione lombardo-vi-scontea, oggi conservata alla BibliotecaNazionale austriaca di Vienna.Nel febbraio del 1407, con la sommos-sa di Trento e l’entrata in città del ducadel Tirolo Federico IV d’Austria, dettoil “Tascavuota”, il vescovo venne impri-gionato e scacciato da Trento mentre isuoi beni furono requisiti e portati aVienna.Le immagini del Ciclo dei Mesi, la cuiregia si deve certamente a Giorgio diLiechtenstein, con la loro orchestrazio-ne di vita cortese e degli umili, in unequilibrio compositivo misurato e qua-si perfetto, appaiono come un discorsoprogrammatico di un ideale politico acui il prelato ambiva, per trasformare ilprincipato trentino in un esempio di ar-monia sociale. Ecco che, allora, la me-tafora del “buongoverno” e l’ideale or-dine politico, sembrano essere il moti-vo centrale, forse la ragione stessa, delCiclo dei Mesi, commissionato dal ve-scovo.

Ma l’utopia si scontrò con la realtà. Glianni del suo vescovato furono segna-ti da rivolte contadine, dal saccheggiodei castelli e da lotte contro le illusio-ni neofeudali del Liechtenstein, finoalla definitiva sommossa che lo allon-tanò dal Castello del Buonconsiglionell’aprile del 1407 e della quale restala testimonianza diretta di un graffitosu una parete del terzo piano di Tor-re Aquila.

L’esecutoreIl nome che ricorre per identificarel’autore degli affreschi del Ciclo deiMesi, è Venceslao. Questo per un con-fronto da documenti coevi dai qualiappare che un pittore boemo di nomeVenceslao, registrato nel libro dellaconfraternita dei pittori di Sant’Anto-nio all’Arlberg come pittore del ve-scovo di Trento, eseguì gli affreschidella cappella del cimitero di Ruffianopresso Merano nel 1415. Ma questapaternità è confutata dal confronto trai due cicli, a causa di una notevole dif-ferenza qualitativa a favore del Ciclodi Torre Aquila, eseguito, tra l’altro,almeno tre lustri prima. Anche se l’i-dentità del pittore non coincide, conassoluta probabilità entrambi denun-ciano un’origine boema, evidenziata,per quel che riguarda il maestro deiMesi, dall’uso di particolari, tratti cer-tamente dalla conoscenza della mi-niatura boema (forse miniatore eglistesso per l’uso di una pennellata finee descrittiva) che, fiorita nell’ultimodecennio del Trecento intorno allacorte di re Venceslao, ottenne risulta-ti pregiatissimi nella celebre Wenze-sbibel, la Bibbia in vari volumi com-missionati ai migliori miniatori nel1395, e ora conservata a Vienna nellaBiblioteca Nazionale. Vari sono i mo-menti di vicinanza, probabilmentetratti direttamente da questo bacinoiconografico. Ma la cultura figurativa del maestro

di Torre Aquila si compone anche dialtri elementi desunti dalla visione diopere lombarde e dalla lezione dei Ta-cuina viscontei presenti nel Tirolo, co-me si deduce dall’attenzione naturali-stica ai particolari, alla vegetazione,agli oggetti di uso quotidiano, alle ca-ratteristiche climatiche. Al contrario,però, si può escludere un’origine ita-liana o lombarda del pittore, perchéin lui mancano quelle caratteristichestilistiche di precisa definizione spa-ziale e appaiono invece diverse in-congruenze di proporzioni e scala trafigure e ambienti, non consone ad ar-tisti formati nella cultura pittorica ita-liana.La personalità dell’artista si è arric-chita certamente delle influenze del-le arazzerie francesi di appartenenzadel vescovo e, infine, sicuramente ilpittore si è servito dei taccuini di schiz-zi e modelli, allora in gran circolazio-ne, da cui gli artisti traevano partico-lari di figure, paesaggi o panneggi. L’u-so di questi repertori spiegherebbecerte incongruenze di accostamenti ol’isolamento di alcuni particolari nel-l’insieme delle scene (per esempio nelmese di gennaio il paesaggio è inne-vato, ma non c’è neve sul castello diStenico che lo domina). L’ultimo dato da sottolineare è la vi-vacità dello sguardo del pittore che hasaputo cogliere e riproporre, dall’os-servazione della realtà, tanti partico-lari tipici della cultura del Tirolo, co-me certi strumenti di lavoro assolu-tamente locali.Qualunque nome avesse questo arti-sta, ha lasciato uno dei momenti piùalti della pittura del gotico internazio-nale e il suo eclettismo è il prodottodi una formazione boemo-vienneseunita agli elementi lombardo-verone-si che circolavano nel clima culturaledella valle dell’Adige, come afferma latesi di Niccolò Rasmo, a cui oggi tut-ta la critica si allinea.

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di Giuliana [email protected]

Il ciclo dei mesi di Torre Aquila a Trento

La vita nel Medioevo

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È una delle rappresentazioni più ar-ticolate, in cui i due temi della vitacortese e del mondo rurale si intrec-ciano nell’intero quadro compositivo. In questo mese saltano all’occhio lapreponderanza dell’ambiente agre-ste, che comincia a risvegliarsi, e illavoro dell’uomo. A partire dal bas-so, si possono notare due contadinial lavoro, mentre girano la terra conl’aratro, con l’aiuto di buoi e anche diun cavallo (un’altra scena di araturasi troverà nel mese di settembre). Illoro abbigliamento è decisamente dalavoro: l’uomo che pungola i buoi pro-babilmente indossa un guarnello e uncappuccio appoggiato sul capo, men-tre l’aratore ha i piedi nudi nei calza-ri aperti e indossa un interessantecappello di paglia a tesa larga, atto ariparare dal sole, ma anche da un’e-ventuale pioggia. Poco sopra è viva-ce e realistica la scena dell’insegui-mento della lepre da parte di un se-gugio, in un sottobosco pieno di fun-ghi. Si evidenzia questo particolarein riferimento al brano, tratto dalTheatrum Sanitatis, in cui si leggeche “Le carni leporine sono calde e sec-che in secondo grado e le migliori ri-sultano essere quelle degli animali cat-turati con la caccia dei cani. Giovanoa coloro che sono affetti da una mo-derata pinguedine ma possono nuoce-re perché producono insonnia. Si evi-ta questo danno condendo queste car-ni con spezie di odore sottile e pene-trante.” La lepre era comunque un ci-bo prelibato e molte erano le ricette percucinarlo: “…le carni si facciano frol-lare al sereno della notte … i leprottisono soavi e graditi allo stomaco, siacotti in acqua e vino con salvia e chio-di di garofano oppure in pasticcio…”(“Il libro di casa Cerruti – Tacuinum

sanitatis in medicina”).La presenza dei funghi sottolinea l’u-midità del terreno, evidenziata anchedall’attenzione con cui le due damesulla destra raccolgono le falde delleloro vesti mentre passeggiano in di-rezione del mese successivo, legan-dosi ad esso con il particolare curio-so del braccio della donna in verde,che si appoggia alla colonnina archi-tettonica dipinta a delimitazione delquadro: un unicum nell’intero ciclo.Intanto, poco più su, altre dame si de-dicano all’attività dell’Hortus, chiusoda una recinzione di incannicciata, co-sì come il brolo e l’arativo. Queste re-cinzioni, a tessuto semplice, solide edelastiche, venivano realizzate con ipolloni del salix incana e le molte cep-paie. Una delle dame semina con l’aiu-to di un cavicchio e inserendo i semicon un dito (esattamente come si faancora oggi), mentre l’altra getta aschizzo, con il pollice, dell’acqua dauna bacinella sulle piantine appenanate. Fuori dall’orto altri contadinisembrano incamminarsi al campocon le bestie, o forse se ne stanno an-dando dopo aver fatto il proprio la-voro? Il ragazzo che guida i buoi in-dossa solo una camicia e calzebraghestrappate al ginocchio e senza piede,non ha calzature e si contrappone aglialtri due uomini nella scena del cam-po: quello a cavallo, indaffarato ad er-picare il terreno, indossa una gon-nella abbottonata davanti, una ber-retta, calzebraghe e scarpe, il semi-natore a destra, che tiene i semi in untelo appeso ai fianchi, veste una ciop-petta, un cappuccio, calzebraghe del-lo stesso colore della cioppetta e scar-pe. Entrambi denunciano una condi-zione sociale un poco superiore, for-se uno è il proprietario del terreno.

L’erpice è costruito completamentein legno, a telaio quadrato con tre tra-verse, neppure i “chiodi” che raspa-no la terra sono in ferro.Ecco poi un mulino, come incasto-nato nella montagna, n po’ scostatodal villaggio: l’acqua arriva sulla ruo-ta dall’alto, da un ruscelletto che hapreso velocità tra le rocce. Nel vil-laggio notiamo una tipologia di abi-tazioni tipicamente rurale: tetti in pa-glia, pareti in muratura molte sem-plice. Ogni abitazione è diversa dal-l’altra, denotando, come sempre inquesti affreschi, una grande atten-zione al realismo: si notano scale co-perte, con animali messi nel sotto-scala (forse un maiale?), portoni eporte rialzate dal livello della terra,abbaini, chiavistelli in legno, ferratu-re e cardini in ferro, intelaiature perfar girare l’aria in un probabile gra-naio. Solo la chiesetta spicca per lasua intonacatura bianca e il tetto integole rosse. La foggia pare essereancora romanica, con un piccolo cam-panile a vela. Bello anche il pozzo, dacui attingere attraverso un particola-re meccanismo a bilancia. Nel villag-gio deserto (forse sono tutti nei cam-pi?), c’è solo un cane addormentatoe un viandante di passaggio, anch’e-gli segno della bella stagione alle por-te. Indossa una schiavina (soprabitoa grandi pieghe, lungo sino al pol-paccio con maniche larghe), un cap-pello a calotta con tesa larga, proba-bilmente di feltro, la bisaccia, un cap-puccio dello stesso colore della schia-vina e ha il bordone, il caratteristicobastone usato dai pellegrini.Più su, già in zona più montana, vistala vegetazione mutata, un orso cercaaffannosamente del cibo, dopo il ri-sveglio dal letargo.

Commento a cura di Davide Bonali, Cinzia Cappelletti, Paola Fabbri, Anna Fabbri

Aprile

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Se nel mese precedente, come è nel-la realtà, erano solo gli alberi ad es-sere in fiore, ora anche i prati e i ce-spugli di rose trionfano nel mese de-dicato a loro. In questo immenso giar-dino le coppie si svagano con giochiamorosi: le dame sfuggono, incoro-nano i loro corteggiatori inginoc-chiati, appartati si scambiano affu-sioni. Sono famose le festività per ilCalendimaggio e questo ne è unesempio. Più che un momento di unaspecifica festa, sembra però che l’au-tore volesse mostrare come tutto que-sto mese fosse dedicato a tali diver-timenti. Gli abiti sono eleganti e fre-schi, adatti ad una festa fuori palaz-zo. In questo insieme di gioia, di cor-teggiamenti e di incontri amorosi,possiamo notare bellissime pellande;data l’ampiezza delle maniche non do-vrebbe trattarsi di gonnelle, che era-no una “veste per di sotto” e quindinon potevano avere maniche larghe,come la pellanda indossata dalla fan-ciulla a sinistra, che ci mostra un’am-pia scollatura ovale, caratteristica del-la fine del XIV secolo e larghissimemaniche, come del resto tutti gli in-dumenti maschili e femminili raffi-gurati in questo mese. Graziosa l’im-magine della fanciulla in alto a destraintenta ad immergere le mani nellafonte, le maniche della sua soprav-veste sono ornate all’orlo da una guar-nizione a foglia di quercia, come le af-frappature che ornano l’orlo della fi-gura maschile in basso al centro. Nel-la figura femminile seduta al tavolo siintravede una scollatura a punta bor-data di pelliccia. Molto belle anche lesopravvesti maschili (Cioppetta). Diparticolare bellezza ed eleganza è lafigura del giovane in ginocchio a de-

stra con calzebraghe bipartite e ciop-petta in tessuto broccato d’oro “litte-rato” (decorazioni a forma di lettere),con ampie maniche affrappate chemettono in risalto l’azzurro della fo-dera. Le teste dei personaggi, dai ca-pelli rigorosamente biondi, sono de-corate da ghirlande di fiori e da na-stri che conferiscono alle figure unagrazia e una freschezza tipicamentegiovanile. Le ghirlande fiorite nonrappresentavano soltanto un’accon-ciatura femminile ma un messaggiod’amore, che le ragazze regalavanoai giovani e viceversa. Per essere ele-gante una ghirlanda doveva essereleggera: Francesco da Barberino con-siglia alla fanciulla “... che non vi af-fastelli troppi fiori, e tra questi scelgali più piccoletti”(1).Si notano anche i copricapi femmini-li molto particolari della zona (somi-glianti ad un basco), presenti anchenegli altri mesi. Appena fuori le mura della città, altrecoppie si stanno godendo un pranzoall’aria aperta, vicino ad una fontanadove potersi rinfrescare e attingerel’acqua. Altra comodità è il tavolino tondo, pro-babilmente portatile e basso (vistoche i commensali paiono seduti perterra o sui massi): evidentemente inobili commensali non volevano far-si mancare nulla, neppure per un ban-chetto agreste, senza però dimenti-care la praticità. Si può notare la tovaglia in lino bian-co con decoro bianco su bianco a oc-chio di pernice, la trama a losangheera largamente diffusa e veniva tes-suta anche su telai domestici. Postodi fronte ad ogni commensale si ve-de una spessa fetta di pane detta “ta-

gliere” o “mensa”, che aveva la fun-zione di identificare il cibo che il com-mensale aveva preso dal piatto co-mune, e aveva già incominciato amangiare, e di salvaguardare la tova-glia assorbendo i sughi della vivan-da. Vicino alla “mensa” è posato il col-tello, oggetto indispensabile sulla ta-vola medievale. A tavola, la personaeducata poteva scegliere di prendereil cibo dal piatto comune infilzandolocon il suo coltello o usando le dita del-la mano destra. Al centro della tavo-la spicca il piatto comune con un vo-latile, presumibilmente arrostito, da-to che è rappresentato intero.La città, raggiungibile attraverso unponte levatoio in legno, è elegante eben difesa. Lo stacco dal villaggio diprima è notevole: mura possenti inpietra locale (non sembrano mattoni,visto che il colore della roccia dellamontagna accanto è lo stesso) conmolte torri (di cui alcune sicura-mente scudate, cioè senza muro ver-so l’interno della città). Interessantianche le strutture lignee con tetto co-perto da tegole, che aggettano dallemura e da una torre: le prime, piùestese, forse in funzione difensiva (siaffacciano a fianco dell’ingresso del-la città), mentre la seconda struttura,più piccola è probabilmente un ba-gno. All’interno delle mura si vedonoricche abitazioni a più piani con tor-ri in muratura (o pietra?) e tetti in mat-toni. Anche qui spicca la chiesa into-nacata, ma in questo caso le formesono elegantemente moderne e goti-che. Sulla piazza della cittadina si af-faccia un ricco palazzo dotato di co-perti, probabilmente il luogo deputa-to all’amministrazione del potere edegli affari.

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Commento a cura di Davide Bonali, Cinzia Cappelletti, Paola Fabbri, Anna Fabbri

Maggio

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Giugno ci appare coloratissimo, tra ilverde della vegetazione, il rosso dellaroccia, i palazzi della città, i brillanti co-lori degli abiti dalle svariate fogge.Come sempre gli elementi più di spic-co sono i divertimenti dei nobili signo-ri, che qui paiono avanzare danzando acoppie. Sembra di notare che le coppiesiano messe in ordine d’età, dai più gio-vani ai più anziani (la coppia più vicinaai musici). Anche l’abbigliamento variaa seconda dell’età, da abiti e acconcia-ture più allegre e goderecce a guar-nacche molto coprenti e scure: soprat-tutto per le dame, si passa da vesti ver-di (il colore della giovinezza), abbon-danti scollature (come la terza dama),tagli aderenti e capelli scoperti (anchese raccolti) a abiti accollati, ampi e scu-ri e cappelli che nascondono le capi-gliature. Anche gli uomini passano daabiti succinti (come il secondo), ele-ganti cinture, fasce con sonagli (comeil penultimo uomo), visi sbarbati e ca-pelli alla moda, ad abiti ampi e barbelunghe. In questo caso l’ordine d’etànon è poi così evidente come per le da-me. Anche nel mese di Giugno, non-ostante la stagione calda, notiamo im-ponenti pellande, alcune molto accolla-te, come nella figura femminile al cen-tro con in testa un grazioso cappello contesa rialzata, in contrasto con le scolla-ture che andavano da spalla a spalla. An-che in questo caso ecco che cronisti enovellieri ebbero di che lamentarsi ac-cusando le donne di essere prive dibuon senso. Il musico a destra e quel-lo a sinistra indossano una cioppetta conmaniche larghe, la figura in centro in-dossa una sopravveste bianca, proba-bilmente un guarazzone con manicheampie. Le maniche hanno particolareimportanza nell’abbigliamento maschi-le e femminile: sono moderatamentestrette nella gonnella, corte e ornate damanicottoli nella guarnacca e molto am-pie nella pellanda.I musici seguono con raffinatezza l’ele-gante incedere del gruppo, che forserappresenta un corteo nuziale in festa:chiarine con gonfaloni, strumenti a fia-to e naccheroni suggeriscono un alle-

gro ritmo.L’attenzione alla vegetazione è semprealta: ecco i gigli, che qui fioriscono inquesto periodo. Ci sono cani ovunque:giocano ai piedi dei musici, scorrazza-no (forse sfuggiti al guinzaglio dell’uo-mo in uscita dalla città), annusano latraccia delle quaglie nel bosco.A proposito della città, va notato il ta-glio completamente diverso da quelladel mese precedente: non più una cittàturrita e ordinata, ma un’elegante citta-dina, sempre difesa da mura ma che quipaiono essere messe in secondo pianorispetto all’architettura puramente abi-tativa, messa in risalto da colori vivacie gioiosi. Notevoli sono le finestre del-l’edificio che spicca sopra la porta: si no-tano chiaramente la forma quadrata, in-gentilita da un decoro trilobato supe-riore, costituite da vetrate, fatte da ton-di di vetro. Bella è anche la torre tondacon ampio aggettato in muratura al cul-mine, che sembra far parte dello stes-so edificio, evidentemente di gran lus-so.Più in alto, le malghe dei contadini, trale montagne verdeggianti d’erba e ric-che di erbe profumate. Qui si vedonosolo donne che lavorano, molto sem-plicemente vestite, con le maniche ri-voltate e i piedi scalzi. C’è proprio tuttala “catena produttiva” del latte: una mun-ge le mucche, anch’esse accaldate estanche, che muggiscono, cariche di lat-te; un’altra donna sta usando la zango-la per fare il burro, mentre un’altra an-cora porta i piccoli secchi pieni di latteverso le malghe. Qui una quarta donnafa il formaggio strizzando con le maniil caglio attinto da un secchio e pigian-dolo dentro una fascera di legno; evi-dentemente più in “alto” nella catenaproduttiva, questa ha un abito più riccoe un bel cappello di paglia. Plinio nella Naturalis Historia dice che:“Dal latte si ricava anche il burro ali-mento più raffinato dei popoli barbariche distingue i ricchi dai poveri. La mag-gior parte del burro si fa col latte di muc-ca e questo spiega il suo nome”.Platina nel suo De honesta voluptate etvaletudine a proposito del burro dice:

“Il burro si fa con il latte nel modo chesegue. Dai secchi di mungitura si trava-sa con cura il latte in una caldaia stret-ta alla base, che si allarga verso l’alto aguisa di campana. Nella quiete e nell’u-midità della notte viene a galla il gras-so del latte, che i campagnoli chiamanopanna. Con un mestolo si travasa la pan-na in un recipiente piuttosto grande, diforma oblunga, e si continua a mesco-larla con una paletta finché si raccogliein una massa unica che viene poi ripo-sta in vasi e usata in luogo del grasso edell’olio per cucinare qualsiasi vivanda.Il burro viene adoperato per lo più da chiabita nelle regioni occidentali e setten-trionali, che difettano di olio, mentre que-st’ultimo abbonda nelle zone calde e tem-perate. Il burro è caldo e umido, nutre efa ingrassare. Facendone un uso esage-rato nuoce allo stomaco e lenisce invecele malattie da pituita(1). Mangiato insie-me con mandorle pelate e con zuccheroelimina infatti il catarro e guarisce latosse fredda e secca; cosparso sui morsidi animali velenosi è un antidoto effica-cie in luogo della triaca(2)”. (BartolomeoPlatina, Il piacere onesto e la buona sa-lute. A cura di Emilio Faccioli).Ancora vari riferimenti a questo pro-dotto caseario si trovano nel TheatrumSanitatis: “Il burro è di natura calda edumida e il migliore è quello fatto con lat-te di pecora. E’ utile a fare espellere lesuperfluità generate nel polmone, a cau-sa del freddo e del secco (freddo secco).Nuoce perchè produce fiacchezza di sto-maco e inerzia. Si evita questo danno,tuttavia, usando rimedi stitici.”Molto belle sono le malghe, innalzatetutte con tronchi o con assi di legno in-castrati, con tetti forse costruiti con ta-vole di legno.

Commento a cura di Davide Bonali, Cinzia Cappelletti, Paola Fabbri, Anna Fabbri

Giugno

Note1 Umore bianco e vischioso segregato da certiorgani, e specialmente quello che viene dal na-so e dai bronchi. Seguendo la dottrina degli an-tichi uno dei quattro umori fondamentali delcorpo.2 Sorta di medicamento che si riteneva efficacecontro il morso dei serpenti.