La Vicenda Dell'Autoparco Della Mafia

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(20 ottobre 1992) - Corriere della Sera MILANO, BOLOGNA E NAPOLI CONTRO LE COSCHE “ CONSORZIATE “ "Uccidete un giudice" intercettato l’ordine, proveniente da un carcere: doveva essere eseguito domenica; anticipata l’azione dei GICO, prevista domani per sequestrare mille chili di cocaina; arrestati a Milano Salesi Giovanni 46 anni, titolare dell’Autoparco di Linate e Maccarone Antonio; nel Bolognese arrestati Porzio Vincenzo e Leggio Francesco Paolo 54 anni; tra gli insospettabili fermato Acerra Giovanni 37 anni, impiegato della dogana prima a Milano e poi a Napoli, fratello del direttore carcere Poggioreale; in carcere a Livorno raggiunto da provvedimento Miano Luigi FIRENZE. Hanno rinunciato a mille chili di cocaina per salvare la vita a un magistrato e impedire l’ennesima strage di mafia. L’operazione scattata sabato a Milano, Bologna e Napoli era stata programmata per domani, quando all’autoparco di Linate sarebbe dovuta arrivare una tonnellata di “ coca “ dalla Colombia, acquistata da un “ cartello “ di cosche mafiose: i Cursoti, il clan Madonia, gli uomini di Nitto Santapaola, consorziati nella gestione della base logistica milanese e nell’acquisto della droga per strappare prezzi migliori ai colombiani. A far saltare il piano di un’operazione studiata da mesi e condotta con le più sofisticate apparecchiature fornite alla Guardia di Finanza dal Sisde, il servizio segreto, è stata una “ intercettazione ambientale". Uno dei microfoni piazzati da settimane all’interno del deposito ha fatto “ sentire “ l’ordine di uccidere un magistrato, partito da un carcere, le fasi esecutive e i preparativi di un regolamento di conti tra le cosche nel Catanese. Non si sa chi fosse la vittima designata, probabilmente un magistrato dell’ufficio Gip di Catania dal quale sono passate negli ultimi mesi le più importanti inchieste di mafia. Un’autobomba sarebbe esplosa domenica, mentre il magistrato “ andava a Messa". Da qui il blitz di sabato per evitare ogni rischio. E da allora l’ampio piazzale, l’ufficio blindato dell’autoparco milanese, che si trova di fronte alla Casa Musicale Ricordi, e i 60 container che vi sono parcheggiati cominciano a restituire il loro carico di morte: una ventina di mitragliatori USA Maverick 12 e mitragliette Uzi israeliane, pistole, migliaia di cartucce, 5 chili di eroina, 2 di cocaina, oltre a 50 milioni in

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La Procura di Firenze ha bisogno che venga condannato Pacciani

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(20 ottobre 1992) - Corriere della Sera

MILANO, BOLOGNA E NAPOLI CONTRO LE COSCHE “ CONSORZIATE “

"Uccidete un giudice"intercettato l’ordine, proveniente da un carcere: doveva essere eseguito domenica; anticipata l’azione dei GICO, prevista domani per sequestrare mille chili di cocaina; arrestati a Milano Salesi Giovanni 46 anni, titolare dell’Autoparco di Linate e Maccarone Antonio; nel Bolognese arrestati Porzio Vincenzo e Leggio Francesco Paolo 54 anni; tra gli insospettabili fermato Acerra Giovanni 37 anni, impiegato della dogana prima a Milano e poi a Napoli, fratello del direttore carcere Poggioreale; in carcere a Livorno raggiunto da provvedimento Miano Luigi

FIRENZE. Hanno rinunciato a mille chili di cocaina per salvare la vita a un magistrato e impedire l’ennesima strage di mafia. L’operazione scattata sabato a Milano, Bologna e Napoli era stata programmata per domani, quando all’autoparco di Linate sarebbe dovuta arrivare una tonnellata di “ coca “ dalla Colombia, acquistata da un “ cartello “ di cosche mafiose: i Cursoti, il clan Madonia, gli uomini di Nitto Santapaola, consorziati nella gestione della base logistica milanese e nell’acquisto della droga per strappare prezzi migliori ai colombiani. A far saltare il piano di un’operazione studiata da mesi e condotta con le più sofisticate apparecchiature fornite alla Guardia di Finanza dal Sisde, il servizio segreto, è stata una “ intercettazione ambientale". Uno dei microfoni piazzati da settimane all’interno del deposito ha fatto “ sentire “ l’ordine di uccidere un magistrato, partito da un carcere, le fasi esecutive e i preparativi di un regolamento di conti tra le cosche nel Catanese. Non si sa chi fosse la vittima designata, probabilmente un magistrato dell’ufficio Gip di Catania dal quale sono passate negli ultimi mesi le più importanti inchieste di mafia. Un’autobomba sarebbe esplosa domenica, mentre il magistrato “ andava a Messa". Da qui il blitz di sabato per evitare ogni rischio. E da allora l’ampio piazzale, l’ufficio blindato dell’autoparco milanese, che si trova di fronte alla Casa Musicale Ricordi, e i 60 container che vi sono parcheggiati cominciano a restituire il loro carico di morte: una ventina di mitragliatori USA Maverick 12 e mitragliette Uzi israeliane, pistole, migliaia di cartucce, 5 chili di eroina, 2 di cocaina, oltre a 50 milioni in contanti. E ancora a Sesto San Giovanni, in un’altra base, sono stati trovati 250 milioni in gioielli e 255 in contanti. Altri 50 erano in una cassetta di sicurezza affittata ai “ Magazzini Frigoriferi". Ma, soprattutto, dall’intercapedine di un container è saltata fuori una scatola metallica contenente la contabilità del traffico di droga: un giro d’affari di oltre 700 milioni al giorno. L’operazione investigativa ad altissimo livello tecnologico, che non si è avvalsa di alcun pentito, si è così trasformata nella prima conferma concreta delle rivelazioni del pentito Salvatore Contorno al maxiprocesso di Palermo. Era stato lui il primo a indicare in Giacomo Riina (zio del boss Totò, considerato il capo della mafia), arrestato in febbraio a Bologna, il responsabile per l’Italia Centro.Nord della Cupola siciliana. Da quasi due anni la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, e in particolare il sostituto procuratore Giuseppe Nicolosi, hanno ricostruito pezzo per pezzo l’organizzazione di Riina, fino all’emissione dell’ordine di cattura. Sono 23 le persone raggiunte, tutte con l’accusa di associazione

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mafiosa. Dieci a Milano: tra questi Giovanni Salesi, 46 anni, titolare dell’Autoparco, e Antonio Maccarone, fratello di due killer della mafia uccisi da famiglie rivali. Nel Bolognese sono stati arrestati Vincenzo Porzio, ritenuto il braccio destro di Giacomo Riina, e Francesco Paolo Leggio, 54 anni, nipote dell’anziano boss. Tra gli insospettabili arrestati: Giovanni Acerra, 37 anni, napoletano, impiegato della dogana prima a Milano e poi a Napoli, fratello del direttore del carcere di Poggioreale. In carcere, a Livorno, un provvedimento ha raggiunto Luigi Miano, detto Jimmy, capo del clan Cursoti, condannato all’ergastolo per l’uccisione di Francis Turatello e in galera dal giugno scorso quando venne gravemente ferito a colpi di pistola e abbandonato davanti all’ospedale Cardarelli di Napoli. Si continua a indagare: l’inchiesta avrebbe infatti rivelato una fitta rete di connivenze e complicità che toccherebbero apparati della pubblica amministrazione.

Fallai Paolo, Ambrosini Gianfranco

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(21 ottobre 1992) - Corriere della Sera

Talpa della mafia al ministero

Dall’autoparco di Linate qualcuno chiamava per telefono un complice alla Difesa

Mentre a Palermo annunciano la fine dei veleni ("Tra i giudici è pace, uniti contro la piovra")

FIRENZE. Le cosche catanesi avevano una “ talpa “ al ministero della Difesa. L’inquietante particolare è emerso durante l’indagine culminata con il blitz antimafia di sabato scorso nel campo per container dell’aeroporto di Linate (Milano). Grazie alle sofisticate apparecchiature che il Sisde ha messo a disposizione della Guardia di Finanza, si conoscono tutti i numeri telefonici chiamati negli ultimi mesi dalla base logistica milanese dei clan catanesi “ consorziati". Tra questi c’è quello di un “ cellulare “ che agli investigatori risulta installato su una Thema blindata in dotazione al ministero della Difesa. E spesso era andato alla sede del dicastero, negli ultimi mesi, mentre era pedinato, il gestore dell’autoparco, Giovanni Salesi. Secondo gli inquirenti “ per la mafia era stato un gioco sapere l’ora dell’arrivo di Falcone a Palermo". Da Catania, il giudice Antonino Ferrara, ritenuto dai colleghi fiorentini obiettivo di un attentato ordinato dal carcere ai clan, replica: “ Non sono io il magistrato nel mirino". Intanto al Palazzo di giustizia di Palermo è scoppiata... la pace. Gli otto sostituti procuratori “ rivoltosi", dopo l’allontanamento del procuratore capo Pietro Giammanco, hanno ritirato le dimissioni. Una sconcertante verità è infine scaturita dal Convegno sulla giustizia in corso a Palermo. L’avvocato Giovanni De Salvo, uno dei relatori, ha rivelato l’esistenza di numerosi “ Don Totò “ : pezzi da 90 della mafia locale ai quali la gente si rivolge per dirimere contrasti di svariata natura riconducibili alla civilistica. Insomma, “ pretori “ di Cosa nostra, che emettono sentenze in tempi brevi. Fallai, Mignosi e Purgatori a pagina 12

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(21 ottobre 1992) - Corriere della Sera

TRA I SEGRETI DELL’AUTOPARCO DELLE COSCHE A MILANO ANCHE IL NUMERO TELEFONICO DI UNA VETTURA IN DOTAZIONE ALLA DIFESA

Una “ talpa “ delle cosche al ministero“facile per i clan sapere l’ora d’arrivo di Falcone “; Il procuratore Vigna smentisce: nessuna auto blu; il ruolo di Salesi Giovanni, titolare dell’autoparco; nell’ambito dell’operazione arrestato Motta Teodoro 57 anni

FIRENZE. Le cosche mafiose potevano contare su una “ talpa “ al ministero della Difesa. È l’aspetto più inquietante dell’indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze e culminata sabato con il blitz nell’autoparco di via Salomone a Milano. Grazie alle sofisticate apparecchiature messe a disposizione della Guardia di Finanza dai tecnici del Sisde, gli investigatori dispongono dell’elenco di tutti i numeri telefonici chiamati negli ultimi mesi dall’ufficio blindato dell’autoparco gestito da Giovanni Salesi. Tra queste risulta più volte il numero di un telefono cellulare installato su una Thema blindata che agli investigatori risulta in dotazione al ministero della Difesa. E sempre negli uffici del ministero si è recato più volte negli ultimi mesi proprio Giovanni Salesi, guardato a vista dagli uomini del Gico della Gdf che lo pedinavano. Solo schegge filtrano dal riserbo degli investigatori: i mafiosi “ sapevano molto di trasferimenti e di scorte, tanto che, alla luce di quanto emerso nel corso di questo lavoro, abbiamo capito che per la mafia era uno scherzo conoscere l’ora dell’arrivo a Palermo dell’aereo di Falcone". E ancora nuovi particolari sono emersi sul progetto dell’attentato che avrebbe dovuto colpire Antonino Ferrara, un magistrato dell’ufficio Gip del tribunale di Catania (che ha firmato le più delicate inchieste di mafia degli ultimi anni nel Catanese), con una autobomba da fare esplodere domenica mattina mentre il giudice andava a Messa. Nell’intercettazione di quella che gli investigatori fiorentini chiamano “ la genesi di una strage “ dall’ordine di uccidere partito da un carcere all’organizzazione del gruppo di fuoco incaricato della “ esecuzione", risultano altri preoccupanti segnali. La decisione di anticipare il blitz nell’autoparco, mentre a Catania veniva moltiplicata la scorta al giudice Ferrara, sarebbe frutto anche della sensazione che qualcosa dell’operazione antimafia era filtrato: “ Avevamo capito che avevano saputo qualcosa della nostra indagine", ha ammesso ieri mattina il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Nicolosi, dal cui ufficio è partita tutta l’inchiesta. Il giudice Ferrara, 55 anni, da parte sua, ha negato di essere il magistrato nel mirino della mafia: “ Non sono io il giudice minacciato", ha detto. Comprensibile quindi la tensione con cui tutta la vicenda viene seguita a Firenze: ieri il Procuratore distrettuale Piero Luigi Vigna ha passato quasi tutta la giornata a Roma e in serata, rientrando, si è affrettato a smentire che nell’inchiesta sia stata individuata una Thema blindata appartenente al ministero della Difesa. Ma Vigna non ha detto nulla sul numero di telefono individuato dagli uomini del Gico e che agli investigatori risulta installato sulla autovettura ministeriale. È certo comunque che la base logistica impiantata a Milano da un “ consorzio “ di famiglie mafiose, dai Riina a Cursoti, dai Santapaola ai Madonia, poteva contare su rapporti eccellenti con settori molto delicati: lo

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provano i numerosi visti consolari della Bolivia recuperati “ in bianco", rubati o concessi dal consolato milanese del Paese sudamericano. Secondo gli inquirenti questi visti servivano per ritirare alla dogana merci illegali, probabilmente stupefacenti. Proprio la droga costituiva la maggior “ entrata “ della mafia dell’autoparco con un giro d’affari di 700 milioni al giorno. E ancora il progetto per l’evasione dal carcere di Poggioreale a Napoli del capo del clan Cursoti, Luigi Miano, detto Jimmy, trasferito a Livorno meno di un mese fa. Tra gli arrestati figura Gaetano Acerra, fratello del direttore del carcere di Poggioreale e di un magistrato di sorveglianza, impiegato della dogana. Acerra, già interrogato a Prato, ha smentito le accuse ma gli sarebbero state contestate numerose telefonate con l’apparecchio dell’autoparco milanese. Ieri intanto la Finanza ha fermato un’altra persona, la ventiquattresima dell’operazione. Si tratta di Teodoro Motta, 57 anni, di Seveso. Frattanto prosegue l’indagine sul traffico di stupefacenti che alcuni affiliati al clan Madonia avrebbero cercato di impiantare tra Firenze e Campi Bisenzio. Ieri, sempre su richiesta del sostituto Nicolosi, è stato notificato un nuovo ordine di custodia cautelare in carcere a Giuseppe Madonia, presunto boss dell’omonimo clan di Gela, arrestato il 6 settembre scorso nel Vicentino. Paolo Fallai

Fallai Paolo

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(5 novembre 1992) - Corriere della Sera

IL SOSPETTO NATO DA PERQUISIZIONI AI DANNI DI POLIZIOTTI CHE INTRATTENEVANO RAPPORTI CON SANESI GIOVANNI, TITOLARE DELL’AUTOPARCO DELLA MAFIA

Attentati? voci smentitesecca smentita del procuratore di Firenze Pierluigi Vigna e di quello di Milano Borrelli riguardo le voci di un attentato contro il giudice Antonio Di Pietro

MILANO. Raffica di smentite sull’ipotesi, pubblicata ieri da alcuni quotidiani, di un possibile attentato al giudice Antonio Di Pietro da parte della mafia. Il procuratore di Firenze Pierluigi Vigna ha precisato che “ dagli atti dell’indagine che viene svolta dalla Dda di Firenze non emerge alcun riferimento a un progetto di attentato nei confronti del collega Di Pietro". “ Nei giorni scorsi. ha aggiunto. sono state disposte perquisizioni nei confronti di tre poliziotti e due militari della Guardia di finanza che prestano servizio a Milano per accertare la natura dei loro rapporti con Giovanni Sanesi". Sanesi è il titolare dell’autoparco vicino a Linate usato come base dalla mafia. “ Nei confronti di queste persone. ha aggiunto il magistrato. non è stata emessa alcuna informazione di garanzia". Analoghe smentite da parte del questore di Milano, della Guardia di finanza e della Procura di Brescia. Categorico il procuratore di Milano Borrelli: “ Le perquisizioni non hanno nulla a che vedere con Di Pietro. Collegarle con l’attentato al magistrato è del tutto romanzesco".

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(17 novembre 1992) - Corriere della Sera

ATTRAVERSÒ L’ITALIA IL “ CARICO DI MORTE “ USATO PER ELIMINARE IL GIUDICE FALCONE, LA MOGLIE E LA SCORTA

dalla Jugoslavia l’esplosivo di Capacila pista toscana sulla strage ha permesso di smantellare i clan mafiosi del Centro Nord. l’esplosivo utilizzato per la strage contro il giudice Falcone Giovanni probabilmente è arrivato dall’ex Jugoslavia

FIRENZE. È passato dalla Toscana l’esplosivo utilizzato per la strage di Capaci. Chiuso in sei sacchi di juta, accompagnato da congegni elettronici per il comando a distanza, acquistato probabilmente nel grande mercato delle armi della ex Jugoslavia, il “ carico di morte “ ha attraversato tutta la Penisola prima di arrivare in Sicilia. Sono gli elementi centrali della “ pista toscana “ sulla strage di Capaci, nata dalla tenacia di un’indagine aperta nel 1990 proprio dopo una segnalazione di Giovanni Falcone. Difficile valutare la portata degli elementi che venerdì scorso i magistrati Piero Luigi Vigna e Giuseppe Nicolosi hanno consegnato al loro collega Fausto Cardella, della procura di Caltanissetta. Forse è solo un pezzo del complesso intreccio che sta dietro alla strage, in grado però di fornire indicazioni utilissime alla ricostruzione a cui stanno lavorando i giudici siciliani. In oltre due anni la procura di Firenze ha identificato e smantellato la rete logistica organizzata dalle famiglie mafiose nel Centro.Nord. La stessa che faceva capo a Giacomo Riina, zio del boss dei corleonesi Totò Riina, ritenuto il numero uno della cupola, che il giorno della strage Falcone sarebbe stato visto sull’autostrada Palermo.Punta Raisi. È la stessa struttura operativa che gestiva l’autoparco di via Salomone, a Milano, dove sono stati trovati mitra, centinaia di milioni e documenti preziosi sia sulla contabilità del traffico di droga (un miliardo al giorno di giro d’affari), sia sul sistema informativo delle famiglie: è di questa inchiesta l’intercettazione di telefonate tra uomini del clan dell’autoparco e un telefono cellulare installato su una “ Thema “ del ministero della Difesa. Nel luglio 1991, quando l’inchiesta era in pieno svolgimento, l’Alto commissariato per la lotta alla mafia segnalò al Gico di Firenze (Gruppo di investigazione della Guardia di Finanza) gli spostamenti di un carico di esplosivo destinato “ a far saltare un magistrato siciliano". E faceva dei nomi: quelli di Reno Giacomelli, legato a Pietro Pace, luogotenente di Giacomo Riina in Emilia Romagna, e Salvatore Grazioso, fratello di un genero di Pulvirenti, entrambi arrestati come elementi di riferimento delle cosche siciliane nel Centro.Nord. Le “ certezze “ in mano ai magistrati fiorentini parlano di un carico di 350 kg di esplosivo e di “ innocui telecomandi “ che in realtà identificherebbero i radiocomandi per l’innesto dell’esplosivo. “ Dalle nostre indagini quella informativa viene confermata “ ha detto Vigna. “ È solo una delle numerose piste che stiamo seguendo “ gli ha fatto eco da Caltanissetta il procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano, ma la contraddizione è solo apparente. Firenze potrebbe aver individuato uno dei passaggi dell’"assemblaggio “ che ha preceduto la strage. È vero che la segnalazione in Toscana è arrivata oltre un anno prima della strage, ma un attentato come quello a Falcone non si improvvisa e il periodo coincide con la sua nomina alla direzione Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia. La presenza di molte famiglie siciliane nell’inchiesta toscana dimostra che, nel Centro.Nord, i clan

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avevano trovato un accordo a livello logistico e organizzativo. Non si spiega altrimenti la presenza nell’autoparco di via Salomone dei clan catanesi Santapaola e Cursoti, e dei Madonia, in una struttura che faceva riferimento al groppo guidato dall’anziano Giacomo Riina. Sono loro, tutti insieme, a gestire acquisti comuni di cocaina dalla Colombia pur di ottenere prezzi scontati e sono ancora loro a cercare mitra, bombe a mano, persino un lanciarazzi, per i “ gruppi di fuoco “ che operano in Sicilia. I primi a cui rivolgersi, quindi, per raccogliere esplosivo e congegni sofisticati. E la procura di Firenze sta indagando anche sui contatti tra le famiglie siciliane e Friederich Schaudinn, il tecnico austriaco che approntò il timer per la strage sul rapido “ 904", condannato a 22 anni e fuggito da una villetta di Ostia dove si trovava agli arresti domiciliari. Paolo Fallai

Fallai Paolo

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(27 novembre 1992) - Corriere della Sera

COSTRUTTORE E MASSONE, È ACCUSATO DEL RICICLAGGIO PER CONTO DELLA “ COSCA DELL’AUTOPARCO “. SAREBBE UN UOMO DEL CLAN DI “ GIMMI “ MIANO, CAPO DELLA FAMIGLIA DEI CURSOTI

Mafia a Milano: arrestato esponente del PSDIIn carcere ieri Fiaccabrino Angelo, 43 anni, coinvolto nell’inchiesta che il 17 ottobre scorso ha scoperto un consorzio di famiglie mafiose che gestivano l’autoparco milanese di Salesi Giovanni, centro di smistamento per droga e armi

FIRENZE. Imprenditoria, politica, massoneria, sotto il coordinamento delle cosche mafiose. Un intreccio di “ poteri “ al servizio del crimine, sul quale sta facendo luce l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze sulle basi logistiche della mafia nel centro e nord d’Italia. Il 17 ottobre scorso un blitz ha portato alla scoperta del “ consorzio “ di famiglie mafiose che gestivano l’autoparco milanese di Giovanni Salesi, centro di smistamento per la droga e le armi. Ieri gli uomini del Gico (Gruppo investigativo criminalità organizzata) della Guardia di Finanza hanno arrestato a Milano l’imprenditore immobiliare Angelo Fiaccabrino, 43 anni, originario di Licata (Agrigento). Titolare di varie società immobiliari. tra le quali la “ Afi “ di Milano. Fiaccabrino si era candidato alle elezioni del 5 aprile nelle liste del Psdi ("come esterno", ha precisato la federazione milanese), per la circoscrizione Milano.Pavia piazzandosi al quinto posto dopo Piergianni Prosperini. Il sostituto Procuratore Giuseppe Nicolosi lo accusa formalmente di associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti. Intercettazioni telefoniche e una nutrita serie di documenti sequestrati proprio nell’autoparco di via Salomone indicherebbero l’imprenditore come uomo del clan del boss “ Gimmi “ Miano, capo della famiglia dei Cursoti. “ Fiaccabrino è un faccendiere che si trovava in posizione subordinata rispetto a Salesi “ ha sintetizzato ieri uno degli investigatori fiorentini. E nonostante il riserbo che circonda tutta l’inchiesta prenderebbe forma un quadro di riferimento preciso: compito dell’imprenditore. secondo la ricostruzione dell’accusa. sarebbe stato quello di gestire il reimpiego dei proventi del traffico di stupefacenti. In particolare conducendo alcune operazioni immobiliari, utilizzando anche fondi destinati allo sviluppo del Mezzogiorno. E da Milano l’inchiesta è arrivata in Piemonte e in Abruzzo dove i magistrati di Firenze hanno spedito sette informazioni di garanzia nelle quali si ipotizzano a vario titolo i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e abuso d’ufficio. Soprattutto in Abruzzo, con la complicità di pubblici amministratori, politici ed esponenti della “ Serenissima gran loggia di Milano “ (aderente alla Gran loggia d’Italia di Piazza del Gesù ) cui Fiaccabrino risulta iscritto, gli uomini del Gico sono risaliti a un albergo costruito dall’imprenditore servendosi di fondi di una legge del 1986 per il Mezzogiorno. A questo filone sarebbero legati gli “ importanti sviluppi “ annunciati dagli investigatori per i prossimi giorni sul fronte dei rapporti tra “ mafia dell’autoparco “ e ambienti politici e della pubblica amministrazione. Un complesso di rapporti definito “ molto simile a quelli descritti tra mafia e politica

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di cui ha parlato di recente il pentito Buscetta", mentre sarebbero emersi anche collegamenti con l’inchiesta “ Mani pulite “ della magistratura milanese. “ Quell’autoparco. ha detto uno degli inquirenti. godeva di incredibili coperture". Lo stesso autoparco da dove partivano telefonate. intercettate. dirette a un cellulare installato su un’auto del ministero della Difesa. Paolo Fallai

Fallai Paolo

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(1 dicembre 1992) - Corriere della Sera

L’INCHIESTA SULL’AUTOPARCO

Anche dei poliziotti nel complotto contro Di Pietro?Il filo che lega l’inchiesta Mani pulite all’autoparco delle cosche scoperto nell’intercettazione delle telefonate di Fiaccabrino Angelo

MILANO. “ Quest’indagine di Di Pietro adesso comincia proprio a rompere...". “ Ma no, ma chi se ne frega? Passerà anche quella". C’è un filo che lega l’inchiesta Mani pulite e i misteri dell’autoparco di via Salomone, l’autoparco delle cosche. Ed è un filo che, secondo qualche indiscrezione, correrebbe nelle telefonate tra Angelo Fiaccabrino, l’imprenditore immobiliare arrestato il 26 ottobre a Milano per ordine della magistratura fiorentina, e i suoi amici e compagni d’avventura. Il manager che, secondo il sostituto procuratore di Firenze Giuseppe Nicolosi, sarebbe uno dei terminali economici per i picciotti arrestati nell’autoparco, discuteva anche del lavoro di Antonio Di Pietro. Ancora una volta mafia e tangenti sembrano mischiarsi in un rebus tutto da decifrare. A Fiaccabrino, candidato alle ultime elezioni nel Psdi e legato alla massoneria, sarebbero stati trovati documenti che portano all’inchiesta Mani pulite. L’interesse del clan alle indagini di Di Pietro sarebbe dimostrato da una serie di elementi che sono in mano ai giudici di Firenze. E le ipotesi si accavallano. Sempre da Firenze ne rimbalza una a dir poco inquietante. Si parla di inflitrazioni, di doppi giochi. Di tentativi di delegittimare con operazioni poco pulite il lavoro del giudice antimazzette. C’entra qualcosa in tutto questo anche qualche poliziotto del quarto distretto di Milano finito sotto indagine? I giudici lasciano intuire, ma non si va al di là dei sussurri. Dunque la cautela è d’obbligo. Qualcuno però potrebbe essere riuscito, approfittando magari della vicinanza con altri investigatori impegnati nell’inchiesta di Di Pietro, a carpire qualche segreto, qualche informazione. Forse qualche documento. La trama si complica. E torna alla mente l’allarme lanciato, e smentito in tempo record, proprio per la sicurezza di Di Pietro. Gli uomini dell’autoparco avevano in programma, secondo la procura fiorentina, un attentato contro un giudice. Era l’inquisitore di Tangentopoli il vero obiettivo? La sua indagine ha davvero toccato nei gangli vitali gli interessi di qualche gruppo di uomini d’onore? Altre domande. La sola certezza è la potenza del clan bloccato nell’autoparco. “ Gente che godeva di incredibili coperture", hanno spiegato gli inquirenti sin dal primo momento. Nello studio di Fiaccabrino, ritenuto dagli investigatori molto vicino al boss dei Cursoti “ Gimmi “ Miano, sono stati sequestrati documenti da cui emergerebbero rapporti con uomini politici. Forse con esponenti di governo. E le intercettazioni sull’utenza dell’autoparco avevano rivelato telefonate tra personaggi del clan e una misteriosa automobile blindata del ministero della Difesa. Anche in questo caso le smentite non si sono fatte attendere. Ma l’indagine sull’autoparco forse è davvero racchiusa tutta in un triangolo: tra Firenze, Milano e Roma.

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(20 dicembre 1992) - Corriere della SeraINCHIESTA MANI PULITE MILANO: SI SCAVA SU GIRI DI DENARO E CONNESSIONI INIMMAGINABILI

Mani pulite, piste pericoloseNel mirino Zaffra Loris e società ombra in Svizzera e Gibilterra: 40 miliardi d’affari tra edilizia e turismo; un altro filone parte da Fiaccabrino Angelo, manager massone stimato dalle cosche e dai politici

MILANO. No. Non è finita per nulla. Forse l’inchiesta “ Mani pulite “ non ha ancora fatto sentire il botto più clamoroso, nonostante l’avviso di garanzia a Bettino Craxi, nonostante il fuoco di batteria sulle segreterie amministrative nazionali dei partiti. Due filoni, appena aperti, potrebbero portare i giudici milanesi molto lontano. Sulle piste svizzere dei soldi caldi, da un lato: con un giro misterioso di quattrini da almeno 40 miliardi. Sugli intrecci tra mafia, affari, politica e massoneria, dall’altro: con possibili, imbarazzanti rapporti tra uomini delle cosche e big di partito. Due filoni che. va subito chiarito. non s’intersecano per ora in alcun modo e che partono da due uomini lontanissimi l’uno dall’altro, per storia, vicende personali e posizione processuale: Loris Zaffra e Angelo Fiaccabrino. Zaffra, ex segretario lombardo del Psi ed ex capogruppo del partito a Palazzo Marino, è in carcere per corruzione: dovrà restare a San Vittore altri 45 giorni, dopo la proroga all’ordine di cattura concesso l’altro ieri dal giudice Italo Ghitti alla Procura. I Pm di “ Mani pulite “ stanno frugando tra i suoi affari segreti: e hanno ricostruito, grazie a una consulenza di parte, un mosaico di società di comodo, prestanomi e fiduciarie con un giro d’affari di una quarantina di miliardi e interessi nell’edilizia e nel turismo. In questo mosaico, Zaffra non è il perno centrale. Non è il protagonista, ma solo un comprimario. I giudici stanno lavorando a ritroso, partendo da società milanesi, per arrivare fino a due paradisi del denaro caldo: Svizzera e Gibilterra. È lì che si può scoprire il bandolo della matassa, la sala regì a. Angelo Fiaccabrino, ex socialista, candidato nelle liste socialdemocratiche alle ultime elezioni politiche, massone, è un imprenditore accusato d’associazione mafiosa dai giudici di Firenze. È considerato il terminale finanziario e politico di un gruppo di uomini d’onore che ruotava attorno all’autoparco di via Salomone, a Milano. E, dall’altro ieri, è anche un indagato dell’inchiesta Mani pulite: Antonio Di Pietro, che lo ha interrogato in carcere a Pisa, lo accusa formalmente di concorso in corruzione, concussione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti. A quest’immobiliarista arrestato a Milano il 26 novembre avrebbero guardato con fiducia i corleonesi di Giacomo Riina, zio del superlatitante Totò, e i cursoti di Gimmi Miano. E Fiaccabrino aveva le carte per non deluderli. Secondo le prime indicazioni emerse dall’indagine fiorentina, avrebbe intessuto rapporti eccellenti persino con politici di livello nazionale del partito socialista: nomi molto grossi, su cui i magistrati di Milano e di Firenze stanno lavorando con la massima cautela. Cautela d’obbligo, perchè con un personaggio come Fiaccabrino il rischio di un errore, di un boccone avvelenato che possa inquinare l’inchiesta è tutt’altro che ipotetico. Due storie lontane, una scelta identica: il silenzio. Zaffra, cui sono stati chiesti solo chiarimenti molto vaghi sull’intreccio di azioni e quattrini in cui anche lui sarebbe comparso, ha preferito tacere. È i giudici, del resto, solo ora hanno scoperto le carte: la consulenza di parte che chiama in causa una decina di società ombra, una delle quali

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costituita in Svizzera e trasferita a Gibilterra da un misterioso commercialista elvetico. Pure Fiaccabrino non ha aperto bocca, almeno sui rapporti con i politici. Rapporti trasversali, che non si limiterebbero certo al Psi. Il presunto manager delle cosche andava spesso a Roma per tenere i contatti giusti, investiva quattrini in alberghi abruzzesi e proprio a lui si sarebbe rivolto Giovanni Salesi, il patron dell’autoparco di via Salomone, per ottenere una raccomandazione da qualche politico milanese. Resta aperto intanto il troncone dei trasporti romani, su Atac e Acotral. La Procura chiede una proroga per indagare su Saverio Damiani, il presidente del Coreco del Lazio arrestato il 23 settembre per concussione. A Damiani sarebbero stati scoperti conti correnti per un miliardo. Goffredo Buccini

Buccini Goffredo

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(27 dicembre 1992) - Corriere della Sera

Autoparco: un ingegnere arrestato

Nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco della mafia di via Salomone a Milano arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso D’Insanto Angelo 32 anni, in stretto contatto con Fiaccabrino Angelo

FIRENZE. Angelo D’Isanto, un ingegnere di 32 anni nato a Udine e con abitazioni a Milano e Torino, è stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito dell’inchiesta della Dna di Firenze che ha portato alla scoperta del l’"autoparco della mafia “ di via Salomone, a Milano. Secondo gli inquirenti, D’Isanto era in stretto contatto con Angelo Fiaccabrino, l’imprenditore arrestato un mese fa con l’accusa di essere il tramite tra le cosche di via Salomone e gli ambienti politici, amministrativi e massonici di Milano. Fiaccabrino, che si trova ora nel carcere di Pisa dove il 18 dicembre è stato sentito anche dal giudice Di Pietro, avrebbe avuto, secondo gli inquirenti, anche il compito di fare una serie di operazioni immobiliari per riciclare il denaro della mafia. All’ingegnere di Udine gli uomini del Gico della Finanza sono arrivati grazie all’intercettazione di una serie di telefonate tra d’Isanto e Fiaccabrino nel corso delle quali i due facevano il punto sui loro affari. D’Isanto è stato in passato indagato a Modena per un traffico di dollari falsi.

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(29 dicembre 1992) - Corriere della Sera

Fiaccabrino al telefono: “ non ti preoccupare, tanto Di Pietro lo fanno fuori “

L’autoparco di Milano: intercettata una conversazione tra l’imprenditore, accusato di essere il manager delle cosche, e un amico

MILANO. “ Non ti preoccupare, tanto Di Pietro lo fanno fuori". Parlano i colletti bianchi dell’autoparco di via Salomone, la roccaforte milanese della mafia. Parlano a ruota libera, senza sapere di essere intercettati dai Gico della Guardia di finanza. E ora una frase inquietante filtra dalle maglie dell’inchiesta affidata al procuratore distrettuale di Firenze, Pier Luigi Vigna, e al suo sostituto Giuseppe Nicolosi. Poche parole, tra Angelo Fiaccabrino, l’immobiliarista massone accusato di essere il manager delle cosche, e un suo misterioso interlocutore. Si discute dell’indagine che ha messo sottosopra il sistema nazionale degli appalti, del lavoro di Antonio Di Pietro, che pare stia andando a colpire in qualche modo anche gli interessi degli uomini d’onore. Le microspie captano tutto: “ L’inchiesta sulle tangenti ora rompe proprio le scatole", dice una voce. Un’altra le risponde dura: qualcuno sta pensando di eliminare il magistrato. Si riaccende dunque la luce rossa per Di Pietro. Gli allarmi, smentiti ancora a novembre dallo stesso Vigna, sembrano riguardare proprio lui. Ma certo arriveranno nuove smentite. Le domande sono molte. Con chi sta parlando Fiaccabrino? I giudici fiorentini lavorano in silenzio. E non solo loro. Le trascrizioni di alcune intercettazioni sarebbero state mandate alla magistratura milanese che, per competenza, le avrebbe spedite alla Procura di Brescia. È la prassi: quando c’è di mezzo un giudice, il fascicolo spetta ai colleghi del distretto più vicino. L’intercettazione risale probabilmente a ottobre, certo a prima del blitz della Gdf che ha decapitato la struttura dell’autoparco. Forse è stata fatta in via Salomone, forse nell’ufficio di Fiaccabrino: le microspie dei Gico erano state piazzate un po’ ovunque. Tutto sembra ruotare attorno al presunto manager delle cosche, diventato l’anello di congiunzione tra l’inchiesta antimafia di Firenze e quella antitangenti di Milano. Fiaccabrino, con vantate amicizie ai vertici del Psi, candidato alle ultime politiche nelle liste psdi, sembra un personaggio chiave per molti giudici. Per Vigna e Nicolosi, che l’hanno fatto arrestare. Per Di Pietro e per il suo collega milanese della Procura antimafia Armando Spataro, che sono andati apposta a discutere di lui con i pm fiorentini. Il manager massone è indagato da Firenze per associazione mafiosa. Da Milano per concorso in concussione, corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Secondo i giudici, il suo ruolo, e quello di altri manager vicini al gruppo di via Salomone, sarebbe stato quello di organizzare all’estero un giro di finanziarie, una holding del riciclaggio con due compiti precisi: prendere il controllo di società da inserire nel giro degli appalti; acquistare aziende decotte, usandole come gusci vuoti per accaparrare merce e sparire. L’indagine prende le mosse dalla prima inchiesta fiorentina sulle infiltrazioni mafiose nell’industria: nel ‘90 i magistrati, su indicazione di Giovanni Falcone, avevano cominciato a lavorare per tagliare i tentacoli della Piovra nel settore tessile. Passo dopo passo, sarebbero riusciti a ricomporre il mosaico degli interessi di Cosa nostra nel Centro Nord. Ma ora in quest’inchiesta, sospesa a metà strada tra Firenze e Milano (il 29 gennaio la Cassazione dovrà pronunciarsi sulla questione della competenza sollevata dall’avvocato Mario Murgo, difensore di Giovanni Salesi, il patron dell’autoparco), sembra esserci davvero di tutto: mafia,

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politica, affari, massoneria. Contatti con Mani pulite. Tra le carte sequestrate ci sono documenti della Sea e uno stranissimo fax, trovato a Fiaccabrino, in cui si chiedono accertamenti su un’azienda milanese proprio per l’indagine di Di Pietro. E spuntano persino infiltrazioni vere o presunte nella polizia. Nel mirino è finito un gruppetto di uomini del IV distretto di Milano, che hanno collaborato al lavoro di Di Pietro e che ora sono sospettati di avere rapporti troppo cordiali con Salesi e i suoi soci. E nel provvedimento con cui i giudici fiorentini ordinano il blitz di ottobre si parla di un vero e proprio potere destabilizzante per lo Stato. Il rischio di depistaggi, di bocconi avvelenati con cui inquinare l’inchiesta milanese è altissimo. Forse persino più concreto delle minacce di morte dei picciotti. Goffredo Buccini

Buccini Goffredo

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(31 dicembre 1992) - Corriere della Sera

"Era pronto un attentato contro Di Pietro", la conferma di Vigna

Le notizie sono trapelate dagli ambienti giudiziari fiorentini e denunciate dal procuratore della Repubblica Pierluigi Vigna

FIRENZE. Di Pietro sotto tiro. Il giudice di Mani Pulite sarebbe davvero nel mirino della mafia. Lo ha confermato ieri il procuratore della Repubblica Pierluigi Vigna, riferendosi alle notizie, trapelate nei giorni scorsi dagli ambienti giudiziari fiorentini, di un possibile attentato al magistrato milanese. “ Non ti preoccupare, tanto Di Pietro lo fanno fuori", aveva detto Angelo Fiaccabrino, accusato di essere il manager delle cosche, in una telefonata intercettata a Milano dalla Guardia di Finanza. E dalla Toscana, ieri, Vigna ha ammesso che, nel corso delle recenti indagini della Direzione distrettuale antimafia (Dda) da lui guidata, sono emersi concreti elementi circa l’ipotesi di un attentato al sostituto procuratore milanese che si occupa dell’inchiesta su Tangentopoli. È la prima volta che Vigna ammette l’esistenza di elementi a supporto di una ipotesi così preoccupante, da lui stesso smentita soltanto in novembre. Già nei giorni scorsi tuttavia, negli ambienti giudiziari non si escludeva che qualche segnalazione relativa all’ipotesi di un attentato ad Antonio Di Pietro fosse giunta nel corso delle indagini sull’autoparco di via Salomone a Milano. “ Erano emersi degli elementi di cui abbiamo messo al corrente la Procura della Repubblica milanese “ ha detto Vigna, aggiungendo però che “ non bisogna mai sopravvalutare ciò che emerge nel lavoro d’indagine dei magistrati". Ammissioni sì, dunque, ma con un deciso no all’allarmismo. Il capo della Dda ha fatto riferimento al caso Di Pietro nel corso di una conferenza stampa tenuta in Palazzo Vecchio per presentare un’iniziativa congiunta della Direzione distrettuale antimafia e dell’amministrazione comunale, finalizzata a sensibilizzare i giovani sul problema mafia. Si tratta del ciclo di conferenze che sei magistrati terranno, due volte la settimana, da gennaio a maggio, a 5.500 studenti delle scuole medie inferiori di Firenze. Si chiameranno “ lezioni di mafia", ma avranno tutt’altro segno. Quello di suscitare una anti cultura mafiosa nei ragazzi che si affacciano all’adolescenza. Le lezioni saranno precedute dalla proiezione di un film sulla mafia (quattro i titoli) e seguite da altre iniziative, il cui esito finale chiamerà in causa anche i mass media. I maestri saranno “ eccellenti". Il progetto, impegna accanto ai magistrati di Firenze Vigna (che è anche capo della Procura), Margherita Cassano, Silvia Della Monica e Giuseppe Nicolosi, anche due giudici che provengono dal fronte antimafia siciliano, Antonino Caponnetto e Claudio Lo Curto. Nel sottolineare come “ conoscere ciò che non si conosce in modo da inibirne la mitizzazione e la portata attrattiva, è il miglior antidoto contro la ramificazione della mafia", Vigna ha anche detto che il fenomeno del pentitismo mafioso è in crescita: accade perchè molti “ uomini d’onore", ha spiegato, “ non si riconoscono più nel nuovo modello organizzativo della mafia". Il capo della Dda ha detto che i “ segnali di disgregazione della cultura mafiosa possono far sperare", ma ha aggiunto che i pentiti non sono tutto. Il procedimento penale, dice Vigna, ha bisogno di saperi diversi dal sapere giuridico. Una interdisciplinarietà che va dalla balistica alla medicina legale alle riprese televisive, dovrebbe essere il supporto tecnologico per i riscontri ai pentiti e per farne a meno se non ci sono, affinchè, ha detto, “ l’acume degli investigatori non si sieda sulle loro parole". Soddisfatto l’assessore alla Pubblica Istruzione,

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Lapo Pistelli, copromotore dei corsi nelle scuole fiorentine, conscio di come anche in Toscana ci sia bisogno di sapere di più delle cosche. La mafia, infatti, starebbe già radicandosi nel tessuto economico della regione. Ci sono stati e ci sono dei tentativi d’insediamento. “ Lo stesso Leonardo Messina. ha ricordato Vigna presentando il progetto con Pistelli. ha fatto specifico riferimento alla Toscana davanti alla commissione parlamentare antimafia il 5 dicembre scorso. E in quest’anno ci sono 750 800 persone sottoposte ad indagini per associazione per traffico di stupefacenti, accompagnata da altri delitti, in cui sono presenti radici mafiose". E.U.

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(8 gennaio 1993) - Corriere della Sera

L’EX DEPUTATO PSI QUERELA L’IMPRENDITORE ACCUSATO DI MAFIA

Milani contro Fiaccabrino: ora farò i nomiFiaccabrino Angelo, che con i suoi racconti ha riempito pagine e pagine di verbali, attacca questa volta Milani Gianstefano leader milanese della corrente anticraxiana

MILANO. Minaccia fuoco e fiamme. Promette di fare nomi, e nomi grossi, pure del suo partito. Parla di depistaggi e manovre ai suoi danni. Gianstefano Milani, ex deputato socialista, leader meneghino della corrente anticraxiana, proprio non ci sta a passare per amico di Angelo Fiaccabrino, lo strano imprenditore incarcerato a Pisa, accusato dai giudici di Firenze di associazione mafiosa e da quelli di Milano di concorso in concussione, corruzione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti. Fiaccabrino, ex socialista passato nelle file del Psdi, massone, legato secondo la Procura distrettuale fiorentina ai mafiosi dell’autoparco di via Salomone, parla e parla da tempo. Con i suoi racconti ha riempito pagine e pagine di verbali. Roba da prendere con le molle, perchè questo bizzarro uomo d’affari, la cui credibilità è tutta da verificare, vanta o millanta amicizie preziose pure in casa socialista. E fra i nomi che fa mettere nero su bianco spunta anche quello di Milani. L’ex deputato, letta la notizia, decide di querelarlo per calunnia. E risponde colpo su colpo: “ Nutro forti e fondati sospetti di depistaggio. Ho chiesto ai magistrati di essere sentito in tempi brevissimi. Fiaccabrino ha dei mandanti e farò ai giudici tutti i nomi delle persone che erano in rapporti con lui pure nel Psi. Quando uscirò, venite con le telecamere. Vi garantisco un numero che vi ricorderete. Ormai sono assai prossimo a perdere la pazienza...". Milani rivela anche che Fiaccabrino si presentò nell’85 alle amministrative nelle file del Psi: “ Ed è facile verificare quali furono i suoi sponsor. Dimostrerò, insomma, ai giudici quali erano i reali rapporti che questo signore intratteneva all’interno del Partito socialista e, per far questo, citerò fatti e testimoni". La sortita di Milani è l’ultimo capitolo di una storia sempre più oscura, quella che ruota attorno all’autoparco della mafia, scoperto a Milano a metà ottobre da un blitz della Guardia di finanza. In via Salomone erano di casa i picciotti corleonesi di Giacomo Riina, zio di Totò, l’inafferrabile capo della Cupola, e i Cursoti di Gimmi Miano. Droga e armi circolavano, secondo l’accusa, senza problemi. E il gruppo avrebbe trovato appoggi istituzionali. Una decina di poliziotti milanesi sono finiti nei guai. In un’intercettazione, qualcuno parlava persino di far la pelle ad Antonio Di Pietro. L’arresto del clan e, più tardi, quello di Fiaccabrino, sembravano avere chiuso la partita. Ma ora, puntuale, ecco la coda al veleno.

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(23 gennaio 1993) - Corriere della Sera

LEGAMI ANCHE CON L’AUTOPARCO MILANESE DELLA MAFIA

Il giudice Vigna parla all’Antimafia: in Toscana regna il clan dei trentenniIl procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna davanti ai parlamentari della commissione Antimafia ha parlato dei nomi di mafiosi che operano in Toscana: Riina, Madonia, Santapaola, Inzerillo, Mutolo, Rubia

ROMA. Riina, Madonia, Santapaola, Inzerillo, Mutolo, Rubia. Sono questi i nomi del gotha mafioso che operano in Toscana e che hanno costituito una “ decina “ denominata “ clan dei trentenni". I loro nomi sono stati fatti dal procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna davanti ai parlamentari della Commissione Antimafia. La “ decina “ toscana ha gestito traffici di armi transitate nella regione, provenienti dal Belgio o dalla Sardegna e destinate alla Sicilia o ad altre regioni italiane. Fra un carico e l’altro i capi cosca si sono anche occupati di attività estorsive, hanno tentato di penetrare nel mondo imprenditoriale. Parlando poi delle inchieste sull’autoparco milanese e sull’invio di quell’esplosivo che sarebbe stato utilizzato negli attentati siciliani di questa estate, Vigna ha reso noto che sono ancora in corso delle indagini che potrebbero concludersi nei prossimi giorni. A proposito dell’autoparco di Milano il magistrato ha sottolineato che in due mesi e mezzo lì è transitata eroina per quasi due miliardi. I Cursoti lo avevano organizzato come un’azienda e per gli stessi magistrati inquirenti è stato “ traumatizzante “ osservare come l’autoparco fosse frequentato da agenti di polizia e da un finanziere. Secondo il magistrato, occorre inoltre “ separare economia legale da quella illegale “ in una regione, come la Toscana, dove ampie sono le fonti di ricchezza a cui da tempo punta la mafia. Infatti nella regione, dopo l’invio in soggiorno obbligato dei boss mafiosi, questi ultimi hanno trascinato con sè le loro famiglie sviluppando “ tramite l’intersecazione parentale “ una potente attività criminale. Stessa cosa per i trasferimenti nelle carceri della zona. Rispondendo ad alcune domande dei componenti della commissione il magistrato ha sottolineato che “ c’è una strategia unitaria da parte di Cosa nostra", “ aderente a determinati aspetti “ di tipo politico; in proposito il magistrato ha richiamato il caso della strage del rapido 904.

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(22 aprile 1993) - Corriere della Sera

IL CAPO DELLA DNA AL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO RACCOGLIE DOCUMENTI SUI CANALI INTERNAZIONALI DI RICICLAGGIO

Allarme mafia, Siclari rilancia“in questa città sono sempre numerose le infiltrazioni di organizzazioni criminali “. per il superprocuratore Milano guida la classifica a rischio dell’Italia settentrionale. inchiesta superprocura contro la mafia su riciclaggio denaro sporco

Occhi aperti e guardia sempre alta perchè i tentacoli della Piovra stanno entrando dappertutto, si stanno infilando un po’ ovunque a Milano “ città nella quale le infiltrazioni mafiose sono notevoli; non dimentichiamoci che i Fidanzati, i Ciulla, i Bono e i Liggio sono tutti passati di qua". Parola di capo della Direzione nazionale antimafia. Bruno Siclari ieri era a Milano dove ha incontrato i magistrati della direzione distrettuale nell’ufficio del procuratore della Repubblica, Francesco Saverio Borrelli. E ne ha approfittato per ricordare che il pericolo di progressivi avanzamenti della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale è sempre di grande attualità : quello stesso pericolo che in questi ultimi anni è stato a più riprese denunciato anche da altre autorevoli fonti (il presidente della Camera di commercio Piero Bassetti, per esempio, aveva ripetutamente messo in guardia la business community milanese contro la possibilità di infiltrazioni mafiose nei mercati finanziari). In compenso, però, Siclari non ha voluto fare alcun commento sulla richiesta di autorizzazione a procedere per il ministro della Difesa Salvo Andò fatta dalla procura di Catania e sulla sua trasferta lombarda si è limitato a considerare: “ È stata una visita dovuta ai colleghi della direzione distrettuale milanese antimafia impegnati in un lavoro che seguo in modo particolare. Non cercate motivi specifici di questa visita perchè non ce ne sono". In realtà il superprocuratore dovrebbe aver preso in consegna una serie di incartamenti sui meccanismi di riciclaggio in America Centrale da parte di società operanti in Italia. Siclari ha sottolineato che il capoluogo lombardo è un punto in cui sia la presenza mafiosa sia il rischio di un incremento della presenza mafiosa sono superiori ad altri centri del Nord: “ Ma il vantaggio. ha spiegato. è che quelle radici ventennali non hanno fatto proseliti e i mafiosi giunti a Milano negli anni passati sono rimasti isolati e non sono divenuti parte della struttura sociale come invece accade nel Sud". Una sorta di risposta indiretta al procuratore generale Giulio Catelani che durante l’inaugurazione del penultimo anno giudiziario (gennaio ‘92) aveva affermato che il pericolo di infiltrazioni mafiose nel capoluogo lombardo non era superiore a quello di altre grandi città del Nord. E a chi gli faceva rilevare che negli ultimi anni a Milano non ci sono state importanti inchieste antimafia, Siclari ha risposto: “ Abbiate fiducia, sono molte le iniziative in corso e presto vedrete i risultati". Il numero uno della Direzione nazionale antimafia ha negato che ci siano stati contrasti tra i magistrati milanesi e quelli di Firenze per la vicenda dell’autoparco di via Salomone in cui è stata individuata un’importante base mafiosa. Il magistrato, che ha il compito di coordinare tutte le indagini antimafia, ha detto che in questo caso specifico non c’è stato neanche

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bisogno di un suo intervento per chiarire la competenza tra i magistrati milanesi e quelli fiorentini. In merito al rientro in Italia di Gaetano Fidanzati, Siclari ha detto che “ se volesse potrebbe portare importanti contributi alle indagini antimafia dei giudici milanesi, ma per il momento sembra che non abbia intenzione di collaborare". Sempre a proposito della situazione milanese, il superprocuratore antimafia ha infine rilevato che le recenti dichiarazioni dei pentiti non dovrebbero avere riflessi sul capoluogo lombardo perchè si riferiscono a fatti avvenuti in altre zone del Paese.

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(21 settembre 1993) - Corriere della Sera

L’AUTOPARCO DI MILANO IN VIA SALOMONE

Ex agente Dea riforniva di droga la mafiaEroina e cocaina in cambio di soldi, terreni e vino “ Chianti “. sono finiti in carcere il costaricano Rodriguez Solis Juanguillermo 41 anni ex ufficiale del servizio antidroga del suo paese, Petrella Nicola 42 anni, Amicone Giuseppe 27 anni e Dell’Elce Giuseppe 43 anni

FIRENZE. Un passato da funzionario della Dea, l’agenzia antidroga statunitense, e una passione per il vino “ Chianti". Questo il curriculum di Juanguillermo Rodriguez Solis, 41 anni, costaricano, arrestato domenica scorsa a Firenze dai militari del Gico della Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta, partita lo scorso ottobre, sull’autoparco milanese di via Salomone, ritenuto la base operativa per i traffici di armi e droga delle cosche mafiose Madonia, Santapaola e Cursoti nell’Italia centro settentrionale. La nuova operazione denominata “ Autoparco 5", partita dall’arresto nel maggio scorso della “ segretaria “ della base dei clan a Milano, Rossella Buschi, ha portato alla scoperta di un ingentissimo traffico di cocaina ed eroina (un migliaio di chili a spedizione, a partire dal 1991) dall’America del Sud all’Italia passando per la Turchia, gestito da Solis e tre italiani, tutti arrestati per associazione a delinquere, traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante di avere agevolato organizzazioni mafiose. Per gli inquirenti Solis, fino alla metà degli anni Settanta agente della Dea e anche ex ufficiale del servizio antidroga costaricano, riciclatosi poi come avvocato, provvedeva ai rifornimenti di cocaina, nascosta in container e trasportata via mare dall’America alla Turchia. In cambio il costaricano, che trattava direttamente coi produtturi di stupefacenti facilitato in questo dal suo passato di funzionario addetto al controllo della riconversione delle piantagioni di cocaina in America Latina, si faceva pagare non solo in soldi ma anche con grosse partite di vino “ Chianti “ e con terreni e immobili a Rufina, un Comune sulle colline intorno a Firenze. E a Firenze, Solis era arrivato pochi giorni fa proprio per “ ripulire “ i proventi dei suoi affari con la mafia, rapporti provati, secondo gli inquirenti, da vari documenti sequestrati. Al momento del suo arresto, l’ex agente, stupito, ha dichiarato ai militari “ di essere un collega", mostrando la tessera scaduta della Dea. A Roma, i finanzieri hanno invece arrestato un abruzzese, ritenuto il contatto di Solis in Italia, Nicola Petrella, 42 anni, titolare di un ristorante. Abruzzesi anche Giuseppe Amicone, 27 anni, fermato a Roma, e il commerciante d’auto Giuseppe Dell’Elce, 43 anni, arrestato a Lanciano. Insieme a Solis avrebbero fatto parte dell’organizzazione importatrice di droga per l’autoparco; droga che era poi destinata al gruppo catanese di Jimmy Miano, attivo nel Centro Nord d’Italia, e al gruppo dei Cursoti, a Catania. Insieme i quattro avrebbero dato vita anche a una sorta di joint venture che compiva operazioni immobiliari in Costarica e Panama. Altre tre persone, trafficanti della mafia turca, sarebbero ricercate. Proprio in Turchia, la mafia locale provvedeva a spedire in Italia gli stupefacenti nascondendoli in valigie su pullman turistici diretti a Venezia. Paola Catani

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(29 ottobre 1993) - Corriere della Sera

L’INCHIESTA AUTOPARCO: CLAMOROSI SVILUPPI NELL’INDAGINE DELLA MAGISTRATURA DI FIRENZE: AGENTI PROTETTORI DELLA PIOVRA

In manette un vicequestore di MilanoIacovelli Carlo arrestato con 4 poliziotti: Atterrato Leonardo, Burzì Gennaro, Sornelli Roberto e Grimaldi Vincenzo sono sospettati di legami con la mafia. i mandati di cattura chiesti dal giudice Pier Luigi Vigna. avrebbero aiutato le attività di Cosa Nostra in Lombardia

FIRENZE. Clamorosi sviluppi nell’inchiesta sull’autoparco della mafia di via Salomone a Milano. Ieri sono stati firmati cinque mandati di cattura contro un vicequestore e quattro poliziotti in servizio nel capoluogo lombardo. Sono accusati di associazione mafiosa e di traffico di stupefacenti dalla magistratura fiorentina che si occupa delle indagini. Si tratta del vicequestore Carlo Iacovelli e di Leonardo Atterrato, Gennaro Burzì, Roberto Stornelli e Vincenzo Grimaldi. Quest’ultimo è in servizio con la Digos. I provedimenti firmati dal gip Roberto Mezzi su richiesta del procuratore Piero Luigi Vigna e Giuseppe Nicolosi sono stati quasi tutti eseguiti in serata e alcuni degli inquisiti sono già nel carcere militare di Peschiera. Secondo i giudici della direzione antimafia di Firenze, i cinque avrebbero fornito protezione alle attività della base di Cosa Nostra nel cuore della Lombardia. La centrale era il riferimento di tre grandi famiglie: i Cursoti, gli uomini di Nitto Santapaola e il clan di Giuseppe Madonia. Il 18 ottobre dello scorso anno, nel primo blitz dei reparti speciali della Guardia di Finanza sono state catturate 18 persone. Tra loro anche Giacomo Riina, zio del superpadrino corleonese. Dal deposito di camion sono spuntate decine di armi e chili di droga. E in alcune intercettazioni si parlava di esplosivo e radiocomandi: fu proprio il rischio di un imminente attentato a far scattare l’operazione contro l’autoparco. Venne fatto anche il nome di Antonio Di Pietro come possibile bersaglio. Al telefono uno dei boss aveva detto: “ Non ti preoccupare, tanto Di Pietro lo faranno fuori". Tempo due settimane e le indagini si sono concentrate sul quarto distretto e sul commissariato Monforte di Milano che è stato perquisito su ordine del giudice toscano Nicolosi. Nel mirino anche alcuni finanzieri in servizio nell’aeroporto di Linate. Contro di loro, all’epoca, c’erano solo “ prove sicure di frequentazioni non ortodosse e censurabili". Quelle con Giovanni Salesi, gestore dell’autoparco. Ma colpì soprattutto il coinvolgimento di alcuni funzionari che avevano contribuito alla prima fase delle indagini su Tangentopoli. Il salto di qualità nell’inchiesta era arrivato il 26 novembre con la cattura di Angelo Fiaccabrino, imprenditore immobiliare siciliano trasferito a Milano. Secondo gli investigatori era l’uomo che teneva i contatti tra mafiosi e politici, attraverso gli ambienti della massoneria. Nello stesso giorno infatti viene perquisita anche la sede di una loggia milanese. Ed è proprio negli ambienti della massoneria che sarebbero nate le frequentazioni tra Fiaccabrino, Salesi e alcuni dei poliziotti inquisiti. In alcune intercettazioni, il costruttore parlava di “ ministri contattabili". E Fiaccabrino, candidato nelle liste del Psdi alle elezioni del 5 aprile per il collegio di Pavia ma con buoni contatti anche tra i socialisti, ha attirato l’attenzione anche di Antonio Di Pietro, che lo ha interrogato nel carcere di Pisa. Nei piani della cosca ci sarebbe stato anche l’inserimento nel mondo degli appalti truccati,

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sfruttando il vuoto provocato dall’inchiesta Mani pulite. Per questo Di Pietro lo ha messo sotto inchiesta con le accuse di corruzione e illecito finanziamento.

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(30 ottobre 1993) - Corriere della Sera

“Altri 6 agenti a libro paga della mafia “

Nuovi avvisi di garanzia nell’inchiesta della procura fiorentina sulla base milanese di Cosa nostra, che ha portato all’arresto di Iacovelli Carlo avvenuta giovedì scorso. le reazioni. Serra: “ per noi è una perdita “. Fiaccabrino Angelo. l’uomo chiave: un massone

FIRENZE. “ Quello che abbiamo trovato noi a Milano lo avrebbe scoperto chiunque avesse fatto un po’ di indagini. Ora siamo in grado di dimostrare che tutte le forze di polizia sapevano da anni quello che noi abbiamo trovato ora". Dichiarazioni forti, senza sottintesi. Per gli inquirenti fiorentini la storia dell’autoparco milanese di via Salomone, la centrale operativa della mafia nel Nord Italia scoperta dal sostituto procuratore della Procura distrettuale anti mafia (Dda) di Firenze, Giuseppe Nicolosi, e dal Gico della Guardia di finanza il 17 ottobre del 1992 e che ha portato giovedì scorso all’arresto di cinque poliziotti e ieri all’invio di sei avvisi di garanzia ad altrettanti agenti, l’avrebbe potuta scrivere qualcun altro e molto tempo fa. L’accusa per tutti è di concorso in associazione di stampo mafioso e di traffico di droga. Gli inquirenti fiorentini, che hanno rilanciato l’inchiesta, ribadiscono che per anni la base mafiosa ha potuto godere di “ qualcosa di molto simile a una immunità parlamentare", grazie soprattutto alle “ coperture “ fornite dal IV Distretto di polizia, conosciuto come commissariato Monforte (di cui facevano parte quattro dei poliziotti arrestati e nella cui giurisdizione rientrava l’autoparco). Le indagini, entrate “ in un terreno melmoso e molto pericoloso", puntano ancora più in alto, ad altre coperture che stanno dietro la centrale milanese controllata dai Cursoti, dai Santapaola, dai Madonia e dai corleonesi. A coperture che potrebbero interessare il “ mondo politico e quello della magistratura". Crocevia di armi e droga, ma anche base per organizzare operazioni di riciclaggio e speculazioni finanziarie, frequentata da latitanti famosi come Jimmy Miano (ora in carcere) o come Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina, oggi ricercato numero uno di Cosa nostra, “ costata “ numerosi omicidi: questo e altro ancora è stata per oltre un decennio, a partire dai primi anni Ottanta, la centrale di via Salomone. Per porre fine a tutte queste attività è stato necessario l’intervento della Dda di Firenze (che ha arrestato oltre un centinaio di persone), che però, viene sottolineato, altro non ha fatto che ripercorrere un lavoro investigativo già svolto dalla magistratura milanese alla metà degli Anni ‘80. Il primo a indagare sull’autoparco era stato infatti, a partire dal 1984, il giudice Francesco Di Maggio, sulla base delle dichiarazioni di Angelo Epaminonda, che aveva svelato parte dei segreti della centrale milanese (tra l’altro l’autoparco sorgeva su un’area demaniale ed era abusivo). L’inchiesta di Di Maggio non riuscì però a smantellare la base mafiosa, all’epoca mandata avanti da Salvatore Cuscunà, presunto uomo d’onore legato al clan Santapaola e conosciuto come “ Turi Buatta". Secondo gli inquirenti, a proteggere i mafiosi, chiudendo un occhio o facendo preziose soffiate sulle indagini in corso a Milano, erano appunto i cinque poliziotti arrestati giovedì scorso: il vice questore Carlo Iacovelli, sino a poco tempo fa dirigente del commissariato Monforte, l’ispettore Leonardo Atterrato e i sovrintendenti Gennaro Ursi e Roberto Stornelli, anch’essi ex agenti di Monforte. Il quinto arrestato è invece un sottufficiale della Digos milanese, Vincenzo Grimaldi. Ieri, poi, altri sei avvisi di garanzia sono stati recapitati ad altrettanti poliziotti. Niente nomi. Si sa che

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si tratta di quattro agenti di Milano, due dei quali in servizio in un aeroporto, e di un poliziotto di Roma. Sono tutti sospesi. Poliziotti non “ uomini d’onore", ma comunque “ parte dell’organizzazione": erano sul libro paga di Giovanni Salesi, succeduto nella gestione dell’autoparco a Cuscunà, come testimonierebbero il conto bancario di Iacovelli, che ammonta a “ più d’un miliardo di lire", e i depositi degli altri poliziotti: cifre chiaramente “ non compatibili “ con gli stipendi percepiti come tutori dell’ordine. I nomi dei cinque arrestati erano emersi sin dal novembre 1992. Perquisizioni in casa e successive indagini della Dda fiorentina hanno portato all’acquisizione di prove anche su presunti “ inquinamenti delle indagini relative all’inchiesta Mani pulite “ (il commissariato Monforte aveva operato in merito all’inchiesta sull’Ortomercato e a quella che aveva portato alla perquisizione nella sede provinciale della Dc di via Nirone). A provarlo ci sarebbero dei fax anonimi inviati all’imprenditore immobiliare Angelo Fiaccabrino, un massone candidato per il Psdi alle elezioni del 5 aprile 1992, anche lui finito in manette per l’inchiesta sull’Autoparco, in cui venivano richieste informazioni sulle indagini fatte dai magistrati del pool di Mani pulite. Inoltre. sempre secondo quant’è emerso dall’indagine. Fiaccabrino era in contatto con almeno due dei poliziotti arrestati, per legame di fratellanza massonica. E proprio a seguito delle scoperte della Dda fiorentina, al commissariato Monforte, dopo un vertice a Firenze con il pm Antonio Di Pietro, furono tolte le inchieste di Mani pulite. Ma all’inchiesta sull’Autoparco si legano anche altri misteri, come un mai chiarito “ contatto “ tra i box dell’Autoparco e chi aveva la disponibilità di una Lancia Thema in dotazione al ministero della Difesa, conti bancari in Svizzera riconducibili al clan Santapaola, coperture politiche d’alto livello concesse negli anni scorsi alle bische gestite nel Nord Italia da Cosa nostra. “ All’Autoparco passava un’attività enorme portata avanti con tranquillità. ha commentato uno degli inquirenti.. Erano sicuri che non sarebbero mai stati toccati".

REAZIONI

MILANO. Anche il “ Leoncavallo “ è passato in secondo piano. L’arresto del vicequestore Carlo Iacovelli e di quattro poliziotti coinvolti nell’inchiesta sull’autoparco della mafia si è abbattuto come un ciclone sulla questura di Milano. Ieri mattina, tra i colleghi dei poliziotti finiti in carcere, non si parlava d’altro. “ Il giorno più brutto della mia carriera “ ha sibilato il vicequestore vicario dopo aver seguito per dieci interminabili ore gli agenti della digos fiorentina che eseguivano gli arresti. Altrettanto frastornati i sindacati di polizia. “ Dove sta la pericolosità sociale, il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove? “ fa presente il segretario provinciale del Sap. Ma c’è anche qualcuno che parla per sottintesi, con il sorrisino di quello che sa. “ Me lo aspettavo. dice un funzionario. è un superficiale, un facilone, c’era da immaginarselo...". Anche il questore Achille Serra è perplesso. Non vuole commentare senza notizie di prima mano ma dice: “ Conosco da vent’anni il dottor Iacovelli ed è un ottimo funzionario in ordine pubblico. Per noi è una perdita".

TITOLO: L’uomo chiave: un massone ANGELO FIACCABRINO

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Angelo Fiaccabrino, 54 anni, siciliano, è considerato l’uomo chiave dell’inchiesta sull’autoparco della mafia, in via Salomone, nei pressi dell’Ortomercato. Candidato alle politiche dello scorso anno nella circoscrizione Milano Pavia per il Partito socialdemocratico, ha fatto parte della Serenissima Gran Loggia di Milano. Stando ai magistrati che lo hanno più volte interrogato in questi ultimi mesi è l’uomo cerniera tra mafia e politica. Cosa Nostra lo utilizzava per reinvestire, attraverso operazioni immobiliari, i proventi del traffico di droga. Con quelle cosche, sempre secondo l’accusa, avevano contatti anche almeno una decina di poliziotti del commissariato Monforte. Fiaccabrino è stato inchiodato soprattutto da una telefonata. Ma, ascoltato più volte dal procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna e dal suo sostituto Nicolosi, non ha aiutato molto la giustizia. Ha ammesso soltanto di aver conosciuto per motivi d’affari Giovanni Salesi, il gestore dell’autoparco. L’incontro tra i due sarebbe avvenuto per risolvere il problema dei diritti demaniali che gravavano proprio sulla struttura di via Salomone. L’ordine di lasciare libero quello spazio risaliva ad almeno dieci anni prima. Ma, grazie all’interessamento di Angelo Fiaccabrino, il parcheggio è sempre rimasto nello stesso posto.

Catani Paola

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(30 ottobre 1993) - Corriere della Sera

DOPO I 5 ARRESTI, ALTRETTANTI AGENTI HANNO RICEVUTO UN’INFORMAZIONE DI GARANZIA. PERQUISITI UFFICI E ABITAZIONI

Poliziotti in manette, questura sotto chocArrestati per associazione mafiosa e traffico di droga il vicequestore Iacovelli Carlo, l’ispettore Atterrato Leonardo, i 3 assistenti Stornelli Roberto, Burzì Gennaro, Grimaldi Vincenzo. le reazioni dei colleghi

In carcere anche il capo dell’anticrimine che indagava sui beni dei boss. “ Iacovelli in galera? No, non ci posso credere". Nino D’Amato, capo della squadra mobile, è appena tornato da Roma. Non ha ancora letto il giornale e la notizia degli arresti e degli avvisi di garanzia lo coglie in contropiede. La questura di Milano, squassata da una notizia così dirompente, è in ginocchio, sotto choc: alcuni suoi uomini avrebbero avuto rapporti con la mafia. Poco importa che davanti al portone di via Fatebenefratelli i sindacalisti del Sap stiano manifestando per il riordino delle carriere e per il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da tre anni, se un altro sindacato è in assemblea permanente: in questura si parla solo degli arresti che, giovedì dalle prime ore del pomeriggio a notte inoltrata, hanno portato nel carcere militare di Peschiera del Garda un primo dirigente della polizia di Stato, Carlo Iacovelli, un ispettore, Leonardo Atterrato, e tre assistenti: Roberto Stornelli, Gennaro Burzì e Vincenzo Grimaldi. Su tutti un’accusa da far accapponare la pelle: associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Ma ci sono altri cinque poliziotti “ milanesi “ che hanno ricevuto un avviso di garanzia e hanno avuto uffici e abitazioni perquisiti. Le indagini della magistratura fiorentina sull’Autoparco della mafia di via Salomone non guardano in faccia a nessuno. E fanno paura. A chi toccherà adesso? “ È stato il giorno più brutto della mia carriera", dice il vicequestore vicario Eugenio De Feo che ripercorre nella sua mente il film di una giornata da far tremare i polsi. Giovedì pomeriggio, attorno alle 14, in via Fatebenefratelli arrivano alcuni equipaggi della Digos di Firenze. Si presentano al questore e spiegano che devono eseguire cinque ordini di custodia cautelare. Nessun nome, nessun particolare per i colleghi milanesi. “ Un modo di agire riservato. fa notare un dirigente di polizia. ma discutibile. Cosa pensano i magistrati di Firenze, che avremmo fatto scappare il dottor Iacovelli?". I colleghi del dirigente arrestato sono frastornati, stentano a credere a quello che è successo. “ Insomma non riesco a capirci niente. dice un funzionario., Iacovelli dirigeva da alcuni mesi la divisione anticrimine e stava lavorando al più grande sequestro di beni mafiosi mai avvenuto a Milano". Lo spirito di appartenenza spinge altri funzionari a essere ancora più critici nei confronti delle decisioni prese dall’autorità giudiziaria di Firenze. “ L’inchiesta è aperta da quasi un anno e tutti questi colleghi non sono mai stati arrestati. Se non è intervenuto un elemento nuovo, scatenante, non riesco proprio a capire queste manette. Dove sta la pericolosità sociale? Il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove?". Anche i sindacati di polizia non sono teneri con la magistratura fiorentina. Vincenzo Tomatis, neosegretario provinciale del Sap, si pone quesiti che sono sulla bocca di molti suoi colleghi: “ La pericolosità sociale? Ditemi dove sta. È un anno che indagano. Non

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potevano arrestarli prima?". E l’avvocato Luca Ricci, difensore dell’agente Grimaldi, sostiene: “ Il mio cliente ha conosciuto il boss Fiaccambrino ma ha già chiarito che pensava si trattasse di un imprenditore per bene". Qualcuno invece non sembra sorpreso. “ Me lo aspettavo... c’era da immaginarselo... è un superficiale, un facilone...". E il questore Serra? Il volto è teso e la bocca semicucita. “ Posso solo dire che il provvedimento ci ha colti di sorpresa. Non conosco gli atti della magistratura perchè nessuno mi ha mai comunicato niente. Il dottor Iacovelli? Un funzionario che conosco da vent’anni estremamente valido in ordine pubblico. Per noi è una perdita". Ma in questura i colleghi dei poliziotti arrestati sono sconvolti per i risvolti umani di questa vicenda. Quando giovedì gli hanno notificato l’ordine di custodia cautelare, Iacovelli si è messo a piangere come un bambino. Non riusciva a darsi pace, pensava alla moglie e alle figlie: “ Cosa faranno adesso se mi sospendono dal servizio? Con cosa li mantengo? Cosa dirà la gente che li conosce?". Nel carcere di Peschiera, al dirigente di polizia è stato riservato un trattamento da grande boss: una settimana di isolamento a causa della sua “ altissima pericolosità criminale".

Berticelli Alberto

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(31 ottobre 1993) - Corriere della Sera

ANCHE BORRELLI DIFENDE LA POLIZIA MILANESE DOPO LE INSINUAZIONI DEI GIUDICI FIORENTINI

La questura va all’attaccoSerra respinge i sospetti: “ nessuno può infangarci “. motivo della dura battaglia verbale l’inchiesta sull’autoparco di via Salomone dove ha portato all’arresto il vice questore Carlo Iacovelli e di 5 poliziotti accusati di concorso in associazione mafiosa e traffico droga

La Procura di Firenze accusa, la questura di Milano si ribella e risponde per le rime. Ma in campo a fianco della polizia scende anche, sollecitato dal questore Serra, il procuratore capo Borrelli. Si può ben dire che tra Firenze e Milano è guerra aperta. Motivo della dura battaglia verbale l’inchiesta sull’autoparco di via Salomone che giovedì ha portato all’arresto del vice questore Carlo Iacovelli e di cinque poliziotti accusati di concorso in associazione mafiosa e traffico di droga. Già sotto choc per i colleghi finiti in manette, la questura è rimasta allibita quando ieri mattina ha letto le pesantissime dichiarazioni rilasciate da uno degli inquirenti fiorentini. “ Quello che abbiamo trovato noi a Milano. ha detto uno dei collaboratori del procuratore capo Vigna. lo avrebbe scoperto chiunque avesse fatto un po’ di indagini. Ora siamo in grado di dimostrare che tutte le forze di polizia sapevano da anni quello che noi abbiamo trovato ora". La replica del questore Achille Serra, che il giorno dopo l’arresto dei suoi dipendenti aveva rilasciato soltanto poche parole di circostanza su pressione dei giornalisti, questa volta è immediata e spontanea. Alle 11.15 convoca i cronisti nel suo ufficio. “ Il questore. dice un funzionario. vuole fare una dichiarazione. Non è una conferenza stampa". Un modo diplomatico per dire che non risponderà ad eventuali domande. Scuro in volto, i lineamenti del viso tesi che tradiscono un evidente nervosismo, il dottor Serra, in piedi dietro la scrivania, per prima cosa spiega la presenza dei rappresentanti dei tre più importanti sindacati di polizia, Siulp, Sap e Lisipo. “ Quando hanno saputo quello che sto per dirvi, mi hanno chiesto di poter partecipare all’incontro per dimostrare che condividono questa mia dichiarazione". Il questore fa una breve pausa, poi con voce ferma e determinata riprende a parlare: “ In relazione alle dichiarazioni di un inquirente fiorentino, riportate stamattina da tutti i quotidiani, affermo che nessuno può arrogarsi il diritto di gettare fango gratuitamente sulle forze di polizia e in questo ritengo di poter parlare non solo a nome della polizia. Milano ha una tradizione, per quanto riguarda le forze di polizia è una storia fatta di risultati per ottenere i quali molti hanno perso la vita. La fedeltà delle forze di polizia alle istituzioni è stata ed è indiscutibile, così come indiscutibile è la collaborazione sempre prestata alla magistratura. E ribadisco con forza che qui c’è gente che lavora sodo e vive del suo stipendio. Gente che ha dimostrato e dimostra quotidianamente di combattere la mafia e le organizzazioni criminali". Il questore a questo punto lancia un’occhiata al suo vice Eugenio De Feo e ai sindacalisti, poi aggiunge: “ Ho parlato poco fa con il giudice Vigna, adesso voglio ringraziarlo pubblicamente per l’attestazione di fiducia nei confronti della polizia che ha rilasciato stamattina. Ho chiamato anche il procuratore Borrelli al quale ho chiesto di dare il suo contributo per il ripristino della verità “. Il capo della polizia milanese tira il fiato, poi, come se si fosse levato un peso dallo stomaco, conclude così : “ Ho convocato tutto il

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personale e ho verificato che non c’è alcun avvilimento e che anzi questa triste esperienza servirà a tutti e li spingerà a profondere un impegno ancora maggiore nel lavoro". Qualcuno azzarda una domanda ("Che fine ha fatto il rapporto preparato dalla polizia già nel 1983 sui personaggi in odore di mafia arrestati nel blitz dell’autoparco?"). Il questore finge di non sapere. Fa chiaramente capire che non ha nient’altro da aggiungere. A lui, almeno per il momento, bastano le ultime dichiarazioni del procuratore Pier Luigi Vigna: “ Confermo la fiducia e l’apprezzamento nei confronti della polizia, le indagini svolte su alcuni non intaccano minimamente la stima nella Polizia di Stato che collabora con lealtà nella repressione delle più agguerrite forme di criminalità “. Ma soprattutto al questore Achille Serra avrà fatto piacere la dichiarazione del procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: “ Trovo enorme, e perciò non credo, che un magistrato possa avere dilatato l’incriminazione, sempre dolorosa, di un ristretto numero di poliziotti, fino alla dimensione di un generalizzato sospetto verso tutti i corpi di polizia operanti nella realtà milanese i quali avrebbero ignorato o coperto le attività dell’autoparco. Un simile sospetto è oltraggioso e ingiusto: ritengo di doverlo respingere con forza e confermo, indipendentemente da spiacevoli ma ben circoscritte eccezioni, la fiducia della magistratura milanese nei valorosi collaboratori delle tre polizie". Anche il prefetto Giacomo Rossano si è schierato a fianco delle forze di polizia milanesi dichiarando “ l’incondizionato apprezzamento per l’azione svolta con spirito di sacrificio ed assoluta dedizione al servizio delle istituzioni e a tutela della collettività “.

Orlandi Ranieri

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(1 novembre 1993) - Corriere della Sera

DIETRO LE QUINTE DEI CLAMOROSI ARRESTI CHE HANNO COLPITO LA QUESTURA

I misteri dell’AutoparcoAnche la discoteca Openhouse chiese aiuto ai boss del supercovo. dietro il grande parcheggio recintato destinato ad auto e Tir ruotavano interessi senza confine: armi, droga, riciclaggio, omicidi mafiosi e attentati

Attentati ai giudici, massoneria, armi, omicidi. E poi ancora droga, riciclaggio e perfino la “ protezione “ dell’Openhouse di via Carducci, una delle discoteche più famose della città. Gli interessi che ruotavano intorno all’Autoparco di via Salomone 78 non avevano confini. La base dei misteri inconfessabili, smantellata con gli arresti e i sequestri ordinati un anno fa dalla procura di Firenze, era già finita sotto inchiesta a Milano sei mesi prima: nell’aprile ‘92, quando fu arrestato il latitante Carmelo Fazio, affiliato al clan catanese dei Cursoti. Ma nessun provvedimento era stato preso contro gli altri frequentatori del covo. Giovedì l’indagine di Firenze ha ricevuto una clamorosa accelerazione con l’arresto di un vicequestore e di quattro poliziotti, sospettati di aver goduto di legami e favori con l’Autoparco e il suo proprietario, Giovanni Salesi, 47 anni, nato a Pachino in provincia di Siracusa, residente in via Toscanini 22 a Settala e in carcere dall’ottobre di un anno fa. I magistrati fiorentini hanno accusato i poliziotti di aver saputo da anni. Gli agenti arrestati si difendono: “ Per noi, Salesi era soltanto un imprenditore". Eppure, molti investigatori hanno l’abitudine di controllare nell’archivio dei reati i nomi delle loro nuove amicizie. Perchè nessuno l’ha fatto con Salesi? Attivo dai primi anni ‘80, l’Autoparco era un grande parcheggio recintanto per auto e Tir, su un terreno del demanio: vicino alla tangenziale Est, all’aeroporto di Linate e al Mercato ortofrutticolo. I giudici di Firenze sostengono che sia stata la base operativa in città della mafia legata ai catanesi e a Giacomo Riina, l’anziano zio del superboss di Cosa nostra, Totò. Una novità che a Milano nessuno sospettava? No, ecco i precedenti. Il 6 aprile ‘92, sei mesi prima del blitz deciso da Firenze, la Criminalpol arresta per caso il latitante catanese Carmelo Fazio. Sotto inchiesta c’è la ‘ndrangheta dei boss Pepè Flachi, Franco Coco Trovato e Antonio Schettini che controllano il traffico di droga in mezza Milano e buona parte della Lombardia. E gli investigatori scoprono che l’Autoparco serve da base anche per i loro interessi. Quel giorno la casa dell’amante di Schettini, Nunzia Biron, 39 anni, è sotto controllo. A tarda sera dal suo indirizzo, a Olgiate Molgora, si allontana una Ford Escort. La meta è l’Autoparco: “ Obiettivo già emerso e controllato in paralleli servizi svolti. è scritto nel verbale della polizia.. Gli operanti notavano un notevole movimento di auto e persone nonostante fosse già l’1.15 di notte". Poco dopo l’auto segnalata esce, viene inseguita e fermata. Al volante c’è Emanuele Zuppardo, già conosciuto per associazione mafiosa. Con lui, scende Fazio. Gli investigatori, forse per non scoprire la loro indagine, decidono però di non perquisire il parcheggio di via Salomone, che ha ospitato il ricercato. Zuppardo invece è un vecchio amico di Giovanni Salesi. Già nel maggio ‘89, la polizia li scopre insieme quando, davanti a un bar di piazzale Cuoco, viene ucciso Carmelo Scerra, 38 anni, che era seduto al tavolo con loro. Durante le tante indagini che hanno portato in via Salomone, ecco

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l’altra scoperta. Una conferma dello sconcertante potere della mafia a Milano. Per cinque giorni, nel dicembre ‘91, l’allora proprietario della discoteca Openhouse, Danilo Arlenghi, telefona al capoclan Coco Trovato, nel suo ristorante di Lecco, il Wall Street. Arlenghi chiede che i boss vadano all’Openhouse perchè alcuni calabresi si sono presentati con “ intenzioni estorsive". “ E come l’altra volta. dice. è sufficiente che veniate a trovarmi".

Gatti Fabrizio

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(2 novembre 1993) - Corriere della Sera

Poliziotti al contrattacco

Dopo le accuse sul caso dell’autoparco e le polemiche con Firenze

"Siamo sempre stati i primi a eliminare le mele marce"

I sindacati di polizia sono sul piede di guerra. Non hanno digerito le pesantissime accuse lanciate da un inquirente della Procura di Firenze sulla vicenda dell’autoparco della mafia di via Salomone che ha portato all’arresto di un vice questore e di quattro poliziotti. La tesi secondo la quale tutte le forze dell’ordine milanesi sarebbero corrotte o incapaci. questo il succo della dichiarazione dell’anonimo (ma non tanto) inquirente toscano. ha ferito profondamente la dignità e l’orgoglio dei poliziotti. Il questore Serra e il procuratore capo Borrelli hanno replicato con fermezza alle infamanti accuse, ma la smentita. per la verità molto blanda. del procuratore capo di Firenze, Vigna, non ha placato la rabbia degli agenti. La conferma della tensione viene dalle tre maggiori organizzazioni sindacali della polizia: Siulp, Sap, Lisipo. I loro rappresentanti non cercano di minimizzare il malumore, nè usano giri di parole: “ Io credo che sparare nel mucchio. afferma Orlando Minerva segretario generale del Siulp. come invece ha fatto qualcuno degli inquirenti fiorentini, sia sicuramente destabilizzante. Noi come sindacato possiamo dire che la quasi totalità dei poliziotti è costituita da persone oneste che pensano soltanto a lavorare sacrificando ogni giorno la propria famiglia. Come sempre il tempo è galantuomo e dimostrerà che se c’è stato del marcio verrà estirpato". Vincenzo Tomatis, segretario provinciale del Sap, è altrettanto drastico: “ Quelle dichiarazioni costituiscono un fatto gravissimo, senza precedenti. Episodi di corruzione e di delinquenza in senso generale sono avvenuti, ma è sempre stata la polizia a smascherare e denunciare le mele marce. Non mi risulta che mai qualcuno sia stato coperto e in ultima analisi penso che quando un organismo ha dentro di sè gli anticorpi per debellare i virus vuol dire che è un organismo sano". Durissima anche la presa di posizione di Lucio Carmelo Morgano, segretario generale del Lisipo. “ Se qualche magistrato pensa che i poliziotti milanesi siano tutti corrotti o incapaci, lo dimostri. Affermazioni come quelle di Firenze hanno soltanto l’effetto di demotivare le forze dell’ordine". Tra Milano e Firenze la guerra è aperta.

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(3 novembre 1993) - Corriere della Sera

Parcheggio riservato: solo TIR con armi e droga

La storia dell’Autoparco di via Salomone, gestito dai clan mafiosi dei Cursoti di Catania e trasformato in una base di copertura per traffico di armi e droga

AUTOPARCO. LA STORIA - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Comincia 16 anni fa la storia dell’Autoparco di via Salomone 78. Aperto nel novembre ‘77, ufficialmente come parcheggio privato per Tir su un terreno del Demanio. Gestito dai clan mafiosi dei Cursoti di Catania. Trasformato in base di copertura per traffici di armi e droga. È utilizzato anche dai più forti clan calabresi attivi in Lombardia. POSIZIONE Via Salomone, tra piazza Ovidio e via Bonfadini, è in una posizione strategica: vicina all’aeroporto di Linate, alla tangenziale Est e soprattutto all’Ortomercato, meta ogni giorno di decine di camion che collegano la città con il Sud. SOCI Fino al sequestro dell’area, un anno fa, responsabile dell’Autoparco è Giovanni Salesi, 47 anni, nato a Pachino (Siracusa), residente a Settala in via Toscanini 22 e ora in carcere. Secondo le dichiarazioni alla Camera di commercio, Salesi diventa socio nell’aprile ‘84. All’azienda partecipa il fratello Vincenzo, 34, di Peschiera Borromeo, in via Pascoli 1. Il 18 aprile ‘88 viene ucciso uno dei fondatori dell’Autoparco, Angelo Merodi. Il fratello Rosario, 32 anni, lascia la società 3 anni dopo e avvia un’impresa edile a San Giuliano Milanese. SOSPETTI Il 19 aprile ‘88 la squadra mobile ordina le prime intercettazioni sui telefoni di Giovanni Salesi. Due mesi dopo un rapporto della polizia viene spedito alla procura: “ L’Autoparco costituisce una copertura di attività illecite messe in atto da personaggi già segnalati". ARRESTO Nel maggio ‘89 il proprietario dell’Autoparco, Giovanni Salesi, viene arrestato con un amico per favoreggiamento nei confronti dei killer di un trafficante. I due vengono poi scarcerati. INCHIESTE Tra tutte le inchieste che conducono all’Autoparco, quella avviata dalla procura di Firenze è la più clamorosa con l’arresto, la scorsa settimana, di un vicequestore e quattro poliziotti della Digos e del commissariato Monforte. Sono tutti accusati di associazione mafiosa e traffico di droga: favori che coinvolgono il commissariato, ora in gran parte rinnovato. Le indagini cominciate a Milano non portano invece a nulla. BLITZ Dopo due anni di lavoro, nell’ottobre ‘92 la procura di Firenze ordina la retata. L’Autoparco viene finalmente messo sotto sequestro. L’indagine era partita da una segnalazione diGiovanni Falcone, su un traffico di armi ed esplosivo dalla Croazia. MASSONERIA Il 27 novembre ‘92 finisce in carcere il costruttore massone Angelo Fiaccabrino. Ex candidato del Psdi, sarebbe l’anello di congiunzione tra poliziotti, politici e i boss dell’Autoparco. Di lui si interessa anche il giudice Antonio Di Pietro. Secondo Gianstefano Milani, ex deputato e leader lombardo dei socialisti anticraxiani, “ Fiaccabrino era nella stessa loggia massonica di Salvatore Spinello e Anita Garibaldi". Spinello e la Garibaldi, ex dirigente nazionale del Psi, sono stati personaggi chiave nella Duomo Connection: la prima inchiesta sulle pressioni della mafia su Palazzo Marino.

Gatti Fabrizio

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(3 novembre 1993) - Corriere della Sera

Poliziotti denunciano i giudici

Gli scontri tra la magistratura di Firenze e la polizia di Milano: la ricostruzione della vicenda degli arresti per l’autoparco della mafia di via Salomone, a Milano dure repliche alle accuse di aver coperto gli illeciti. i sindacalisti del SIULP trascineranno in tribunale i magistrati fiorentini

MILANO. Dalle parole ai fatti. Dopo le schermaglie verbali dei giorni scorsi tra magistratura fiorentina e polizia milanese sull’autoparco della mafia di via Salomone, il Siulp, il più grande sindacato di poliziotti vicino a Cgil, Cisl e Uil, passa all’azione. Questa mattina una delegazione di sindacalisti, capeggiata dal segretario provinciale Orlando Minerva, si recherà a palazzo di giustizia per presentare una denuncia esposto “ contro il responsabile di quelle affermazioni diffamanti contro le forze di polizia". È senz’altro la più grave frattura mai verificatasi tra una rappresentanza sindacale di poliziotti e parte della magistratura: un avvenimento senza precedenti. E ad arroventare un clima già incandescente di per sè potrebbe aggiungersi l’esito dell’interrogatorio al quale è stato sottoposto ieri il vicequestore Carlo Iacovelli nel carcere militare di Peschiera Borromeo. Secondo i legali del dirigente di polizia, i magistrati toscani non avrebbero in mano nessuna prova concreta. Cosa è successo di tanto grave da spingere un sindacato che rappresenta all’incirca 36 mila poliziotti (su 110 mila) in tutta Italia a compiere un passo così clamoroso? Il 28 ottobre scorso scatta l’ultimo atto dell’operazione che la magistratura fiorentina (il procuratore Vigna e il suo vice Nicolosi) e la guardia di finanza hanno in corso da quasi un anno contro l’autoparco di via Salomone: un deposito che, secondo gli investigatori, è il terminale al nord della mafia legata a Nitto Santapaola. Una centrale di affari illeciti che vanno dal traffico di armi a quello di droga. Finiscono in carcere cinque poliziotti tra cui il vicequestore Carlo Iacovelli, sino a pochi giorni fa dirigente della divisione anticrimine della questura di Milano. Altri cinque agenti vengono raggiunti da un’informazione di garanzia. Sin qui, pur nella gravità della situazione, tutto regolare. Nessuno critica l’attività della magistratura. Quello che manda in crisi i rapporti tra due poteri dello Stato sono le affermazioni che i poliziotti leggono su tutti i giornali il 30 ottobre. Un non meglio identificato inquirente fiorentino dice: “ Quello che abbiamo trovato a Milano lo avrebbe scoperto chiunque avesse fatto un po’ d’indagini. Ora siamo in grado di dimostrare che tutte le forze di polizia sapevano da anni quello che noi ora abbiamo trovato". Un’accusa pesantissima, indiscriminata contro tutti indistintamente. Immediata la replica sdegnata del questore di Milano Achille Serra e del procuratore capo Francesco Saverio Borrelli. Un fuoco di sbarramento che costringe il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna ad una immediata marcia indietro: “ Confermo la fiducia e l’apprezzamento nei confronti della polizia. Le indagini svolte su alcuni non intaccano minimamente la stima nella polizia di Stato che collabora con lealtà nella repressione delle più agguerrite forme di criminalità “. Parole che non sono servite come unguento su una ferita fresca e dolorosa. “ Abbiamo ricevuto centinaia di telefonate di protesta", dice il segretario del Siulp Orlando Minerva. C’è chi si è detto disgustato, chi demotivato, chi ci ha chiesto di chiudere il commissariato Monforte Vittoria perchè non si può lavorare con un clima così avvelenato". Ecco perchè il Siulp milanese, d’accordo con la segreteria nazionale, ha deciso di rivolgersi alla magistratura. “ Questa è diffamazione gratuita.. rincara la dose

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Minerva.. È gravissimo che un magistrato dica certe cose. Vogliamo che chi ha fatto certe affermazioni lo dimostri. Altrimenti paghi". Durissima la requisitoria del sindacalista anche sul metodo con cui sono state fatte filtrare le notizie da Firenze: “ Il Siulp pretende il rispetto del diritto a un’informazione precisa e corretta. Non, come in questo caso, laconica, fuorviante, frammentaria e volutamente allusiva". “ Il Siulp. precisa Minerva. non difende gli operatori di polizia inquisiti. Non può, però, concepire che un poliziotto debba accettare passivamente anche i pettegolezzi malevoli, perchè così si verificherebbe una grave lesione del diritto all’onore e alla dignità professionale del lavoratore di polizia. Stando così le cose, in sua difesa accorre il Siulp contro chiunque se ne sia reso colpevole".

Berticelli Alberto

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(4 novembre 1993) - Corriere della Sera

All’Autoparco non è finita. clamorose novità in vista

Dopo l’arresto di un vicequestore e di 4 agenti di polizia secondo il procuratore di Firenze Vigna potrebbero esserci nuovi clamorosi sviluppi nell’inchiesta sull’Autoparco gestito dalla mafia in via Salomone

Potrebbero esserci clamorosi sviluppi nell’"affaire “ di via Salomone, l’Autoparco gestito dalla mafia catanese, che ha fatto finire in carcere un vicequestore e 4 agenti della questura di Milano. È questa la voce più inquietante che filtra da Firenze a margine delle dichiarazioni del capo della procura toscana Pier Luigi Vigna. Vigna, ieri mattina, ha incontrato i giornalisti per puntualizzare i termini della contrapposizione violenta che oppone Firenze a Milano. A scatenare il putiferio è stata la dichiarazione di un inquirente fiorentino (un magistrato?) che dopo l’arresto del vicequestore Carlo Iacovelli e dei quattro poliziotti ha detto: “ Quello che abbiamo trovato a Milano lo avrebbe scoperto chiunque avesse fatto un po’ d’indagini. Ora siamo in grado di dimostrare che tutte le forze di polizia sapevano quello che noi ora abbiamo trovato". Una dichiarazione che ha provocato il risentimento del questore Serra e del procuratore Borrelli. E le ire del Siulp che ieri mattina ha presentato un esposto alla procura della Repubblica. “ Mai nessun magistrato di quest’ufficio. ha detto Vigna. e, per quanto mi risulta, nessun investigatore fiorentino, ha pronunciato la frase riportata da alcuni organi di stampa".

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(13 novembre 1993) - Corriere della Sera

RACCOLTE DA SAVERIO BORRELLI IN PERSONA LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DI UN EX MAFIOSO CHE DISEGNA UNO SCENARIO DA “PALAZZO DEI VELENI “

Un pentito: Vigna mi interrogò su Di Pietro“La procura di Firenze che indaga sull’autoparco fa domande strane sui pubblici ministeri di Milano “

MILANO. I giudici di Firenze indagano in segreto sui giudici di Milano. Fanno domande su Antonio Di Pietro, l’eroe di Tangentopoli. Su Alberto Nobili, il pubblico ministero che grazie alle confessioni di Saverio Morabito ha fatto scattare 200 arresti contro la ‘ndrangheta. Su Francesco Di Maggio, ora vicedirettore delle carceri, ma negli anni Ottanta pm contro Angelo Epaminonda e la sua banda. Su Armando Spataro, un altro magistrato di punta della Procura milanese. I giudici di Firenze sembrano sospettare che i colleghi di Milano siano corrotti. Fanno domande insidiose, spesso neppure a verbale. È questo il clamoroso racconto di un pentito di mafia, un pentito ancora sotto copertura, di cui non è possibile rivelare il nome: interrogato una settimana fa direttamente dal procuratore Saverio Borrelli, il nuovo collaboratore dei giudici milanesi ha riempito tre cartelle dattiloscritte con le sue dichiarazioni: e dal verbale sgorga sulla magistratura un incredibile fiume di veleni. Tutto è da prendere con le molle, difficile pronunciarsi sulla credibilità del pentito. Tutte le dichiarazioni del verbale sono da verificare: contengono un potenziale esplosivo più pericoloso di mille bombe. Potrebbe, insomma, trattarsi di una manovra contro i giudici di Milano, o contro quelli di Firenze, o ancora contro gli uni e gli altri. Soprattutto perchè lo sfondo di questa torbida storia è più che mai inquietante. L’intrigo, infatti, ruota attorno all’inchiesta sull’autoparco di via Salomone, l’autoparco della mafia gestito da Giovanni Salesi, scoperto a Milano l’anno scorso. Una vicenda su cui indaga la Procura di Firenze, una storia nera che non finisce di stupire e che, appena due settimane fa, ha portato all’arresto di cinque poliziotti milanesi, tra cui il vicequestore Carlo Jacovelli. Sabato scorso il pentito si presenta spontaneamente davanti a Roberto Aniello, uno dei giudici della procura antimafia di Milano. Si siede nel suo ufficio senza neppure aspettare l’avvocato. E comincia a raccontare che, negli ultimi giorni, è stato interrogato più volte a Firenze. Da chi? Dal sostituto procuratore Giuseppe Nicolosi e, in qualche occasione, anche da Pierluigi Vigna, il procuratore capo. Dice che i magistrati fiorentini si fanno da soli domande e risposte, che con loro non vuole più parlare. E che Vigna, registratore alla mano, gli ha chiesto se conoscesse giudici a Milano. Risposta: no, a parte, ovviamente, Aniello stesso e il suo collega Romanelli, i due pm che lo interrogano spesso e con i quali collabora già da qualche tempo. Vigna sembra non credergli. A questo punto Aniello interrompe l’interrogatorio. La faccenda si fa seria e dunque vengono chiamati Borrelli e il procuratore aggiunto Manlio Minale. Arriva anche l’avvocato del pentito. E, in capo a un’oretta, si riprende. Il quadro diventa sempre più inquietante. Già, perchè il pentito spiega che, secondo lui, Vigna gli ha fatto quelle domande pensando a magistrati di Milano corrotti. Da cosa lo deduce? Dal fatto che poco prima, anche gli ufficiali del Gico (gli specialisti anticrimine della guardia di finanza), che pure erano lì, durante l’interrogatorio, gli avevano

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detto chiaro e tondo che si sapeva, in fondo, che quei giudici erano corrotti. Il pentito racconta ancora. Dice che i finanzieri gli parlano di un delitto di cui s’è occupato a Milano Alberto Nobili e che i colpevoli sarebbero stati coperti perchè dietro c’era Salesi: dunque Nobili sarebbe corrotto. Pure la sua operazione contro la ‘ndrangheta dopo le confessioni di Morabito non sarebbe altro che facciata. Fango. Una valanga di fango che è davvero difficile valutare. E che continua con Di Pietro. Prima di diventare giudice, lavorava al quarto distretto di polizia con Jacovelli: dunque, altre domande pure su di lui. Questo racconta il pentito e dice di avere risposto che Di Pietro lui lo ha visto solo alla tv. Ce n’è anche per Di Maggio, stando al verbale: sapeva tutto sull’autoparco, perchè Epaminonda gliel’aveva raccontato a suo tempo, ma non s’è mosso. Fango, ancora fango. E ancora domande, pure su Spataro, che il pentito dice di non conoscere affatto. Le domande, dice la gola profonda, venivano spesso dai finanzieri, ma il pm Nicolosi era lì. E sempre Nicolosi gli avrebbe detto: tu non vuoi parlare perchè collabori con i milanesi, ma quando avrai finito con loro, ti prenderemo in consegna noi. Vero? Falso? Chissà. Non è finita. Il pentito sostiene ancora che Vigna gli avrebbe chiesto infine se sapeva qualcosa sulla corruzione dei giudici milanesi, anche per sentito dire, anche per storie non legate all’autoparco. Diverso, dice, l’atteggiamento di Nicolosi, che avrebbe chiesto solo elementi specifici. L’ultimo tocco? Eccolo. Gola profonda afferma di non avere neppure potuto controllare i verbali. Peggio: che nessuna delle domande sui giudici milanesi sarebbe stata verbalizzata. Accuse gravissime, assolutamente non provate, contro i magistrati fiorentini. Da stamattina, a Milano e Firenze, andrà in scena un dramma già noto a Palermo: il palazzo dei veleni.

Buccini Goffredo

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(14 novembre 1993) - Corriere della Sera

TENSIONE TRA LE PROCURE DI MILANO E FIRENZE PER LE ACCUSE DI UN PENTITO AI MAGISTRATI MILANESI

Di Maggio: in questa storia c’è qualche cialtrone di troppo e voglio la sua testaLa violenta reazione del magistrato accusato di aver coperto le attività mafiose all’autoparco di via Salomone

L’INTERVISTA. Da Vienna l’ex pm del processo Epaminonda tuona: “ A Firenze qualcosa di strano deve essere successo davvero

MILANO. È furibondo. E come spesso gli accade in questi casi, non sta lì a misurare le parole. “ In questa storia c’è qualche cialtrone di troppo! O il cialtrone è il pentito, e allora voglio la sua testa, o sono cialtroni i Gico e i magistrati di Firenze, e allora voglio le loro di teste...". È a Vienna con la famiglia Francesco Di Maggio. E da Vienna spara a zero. Pubblico ministero antimafia a Milano negli anni Ottanta, pm nel processo contro Angiolino Epaminonda, e ora vicedirettore delle carceri, Di Maggio proprio non riesce a mandar giù quest’intrigo in cui qualcuno cerca di coinvolgerlo: “ Mi hanno chiamato in tanti modi. Ma corrotto mai". Ha una sua chiave di lettura: “ Secondo me a Firenze qualcosa di strano è successo davvero". In che senso, dottor Di Maggio? “ Nel senso che qualcosa al pentito gliel’hanno chiesto". E allora? “ E allora lui magari s’è preoccupato dell’enormità di quello che aveva fatto, magari aveva mollato sotto la pressione psicologica. E allora è venuto a Milano a raccontarlo. Certo, c’è una seconda possibilità “. Quale? “ Che sia proprio lui, il pentito, l’artefice di questo depistaggio alla grande. Certo che è un po’ piccolino questo signore, sì, mi sono fatto dire chi è... È un ultimo arrivato. E quindi, che lui, da solo, abbia azionato il ventilatore con sopra una montagna di fango... Non so. Ho una strana sensazione...". Ce la dica... “ L’indagine di Firenze sull’autoparco l’ho seguita passo dopo passo con il collega Nicolosi. Nelle grandi linee, anche recentemente. Tutto questo è davvero assurdo". Lei non pensa che ci possa essere qualche altro pentito? Qualcuno che magari potrebbe aver ingannato i giudici di Firenze con qualche segnalazione fasulla? “ Quando si parla di fatti specifici, come in questo caso, è evidente che questi fatti devono essere portati a conoscenza del pentito da qualcuno. Il problema è come si gestiscono i pentiti". Come si gestiscono? “ Noi diciamo che nessun atto dev’essere portato a conoscenza del pentito. E che tutto deve essere verbalizzato". Cosa la preoccupa di più in questa storia? “ Se è vero quello che dice il pentito, mi preoccupa il difetto radicale di professionalità di chi l’ha gestito". Beh, a Firenze l’hanno interrogato i magistrati e i finanzieri del Gico... “ E io le dico: se quello non s’è inventato tutte le dichiarazioni che ha fatto poi a Milano, i Gico li voglio vedere in faccia, specie il tenente colonnello. Glielo insegno io come si fanno le indagini!". Ha sentito il giudice Nicolosi in queste ore? “ Sì, oggi l’ho sentito più volte. Lui nega. Mi devo fidare". Ma allora qual è la conclusione? “ Semplice. O sono stato calunniato dal pentito, o dai Gico e dai giudici di Firenze". E come se ne esce? “ Indagando. Un primo elemento di partenza c’è. Si possono confrontare i verbali del pentito a Milano e a Firenze". Lei viene tirato in ballo per vecchie storie di Epaminonda. Si dice che il Tebano le avesse parlato dell’autoparco della mafia, quello su cui gira l’indagine di Firenze, e che lei non fece nulla. In ballo ci dovrebbe

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essere un vecchio personaggio della mala, Turi Buatta... “ Ma io Turi Buatta l’ho arrestato e l’ho fatto condannare a 9 anni di galera. E l’autoparco l’ho tenuto quattro mesi sotto osservazione. Ma la conoscono quella zona? Allora non c’erano le sofisticherie di adesso. Che diavolo vogliono da me?".

Buccini Goffredo

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(14 novembre 1993) - Corriere della Sera

GIUDICI E VELENI. SAREBBE PARTITO DA FIRENZE IL MALE OSCURO PIÙ TEMUTO DAI MAGISTRATI ITALIANI CHE RIGUARDA MANI PULITE

“ma io non ho indagato su Di Pietro “ Pier Luigi Vigna è categorico: mai interrogato pentiti sui colleghi milanesi. “ chi propaga queste notizie cerca di destabilizzare il nostro lavoro. “

FIRENZE. Veleno. La parola corre di bocca in bocca, in ogni corridoio del palazzo di giustizia. Più veloce delle smentite e dei malumori. È il virus più temuto dalla magistratura italiana, capace di soffocare ogni inchiesta. E tutti cercano di isolare il contagio che, stavolta, arriva dalla cittadella di Mani pulite. Il primo a intervenire è il procuratore Piero Luigi Vigna. Scandisce le parole con decisione, senza nascondere un filo di rabbia: “ Mai ho rivolto domande a collaboratori di giustizia o ad altre persone sul collega Di Pietro, verso il quale nutro la massima stima". E con un tono solenne, passa al contrattacco: “ Chi propaga queste notizie cerca evidentemente di destabilizzare l’opera della magistratura e, per parte mia, avrà pane per i suoi denti". Vigna è un giudice famoso, che ha condotto indagini ad alta tensione su stragi e servizi segreti. Un modello per magistrati e cittadini: difficile immaginarlo al centro di un complotto contro i colleghi milanesi. Eppure neanche la prima smentita basta a convincere. Nulla contro Di Pietro. E gli altri quattro giudici che secondo un pentito sarebbero sotto inchiesta a Firenze? Vigna più tardi precisa ancora: “ Nei nostri verbali non c’è il nome di alcun magistrato milanese, nè noi abbiamo rivolto domande su alcun magistrato". Poco dopo scende in campo anche il suo sostituto, Giuseppe Nicolosi, che si occupa in prima persona dell’istruttoria. Stesse smentite, stessa rabbia: “ Il nostro ufficio non conduce indagini nè su Di Pietro, nè su Borrelli, nè su altri magistrati milanesi, i cui nomi non compaiono negli atti dell’inchiesta. Quando gli atti saranno pubblici vi renderete conto di come stanno le cose". E aggiunge: “ C’è qualcuno che ha interesse a far nascere conflitti e a spargere veleni". Che dall’autoparco delle cosche potessero sgorgare pozioni mefitiche, è stato chiaro sin dall’inizio. Ma nessuno pensava che le ombre potessero allungarsi fino a magistrati tanto famosi. Antonio Di Pietro, i pm antimafia Alberto Nobili e Armando Spataro, il vicedirettore delle carceri Francesco Di Maggio. Questi i magistrati sui quali. secondo un pentito. si starebbe indagando. Vigna conferma solo che nei giorni scorsi ha avuto un “ cordiale colloquio “ telefonico con Borrelli. Il procuratore di Milano aveva preannunciato una lettera con una richiesta di chiarimenti. Ma Vigna non può e non vuole aggiungere altro: “Fino a oggi quella lettera non mi è arrivata, nè mi è giunta copia del verbale dell’interrogatorio reso a Milano dal collaboratore di giustizia, di cui quindi non conosco ancora il contenuto". Un pentito parla a Milano. Potrebbe essere uno dei tanti depistaggi che si moltiplicano nell’agonia della Prima Repubblica. Una mossa per scatenare giudice contro giudice. Ma se non è tutto falso, come sono nati quei sospetti a Firenze? Pentito contro pentito? Qualcuno di quelli dell’Autoparco potrebbe aver buttato giù quei nomi. Forse. Si vocifera di un pezzo da novanta che avrebbe vuotato il sacco nel carcere toscano: potrebbe essere lui la prima

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sorgente del veleno. È un anno ormai che quell’inchiesta si è inserita come un cuneo tra le due procure. Prima quell’ "invasione", con il blitz alle porte di Milano ordinato dai fiorentini. Si scopre che quell’autoparco era il santuario di tutti i traffici, il quartier generale di una triade di famiglie terribili: Madonia, Cursoti e Santapaola. Poi le indagini sul commissariato Monforte, su quei funzionari che avevano assistito il pool Mani pulite nei primi passi. E che nello stesso tempo avrebbero coperto gli uomini d’onore. A fine novembre Vigna e Nicolosi fanno arrestare Angelo Fiaccabrino e le due inchieste si intrecciano. Fiaccabrino, costruttore e massone, viene definito “un legame tra la mafia, gli ambienti politici e la pubblica amministrazione milanese". Il 18 dicembre Di Pietro e Spataro corrono a Firenze. Un lungo incontro con Vigna e Nicolosi, rimasto segreto. Poi l’interrogatorio di Fiaccabrino nel penitenziario di Pisa. I due giudici fiorentini accompagnano Di Pietro, che consegna al costruttore un avviso zeppo di contestazioni. Tutte rimaste segrete. Il silenzio dura un anno. Fino al botto di due settimane fa: in manette un vicequestore e quattro agenti. La polemica si riaccende. Da Firenze rimbalza una frase micidiale: “Tutte le forze di polizia sapevano da anni quello che abbiamo trovato noi". Vigna si affretta a smentire: nessuno ha mai detto quelle parole. Una frase “impazzita", quindi. La prima di quello che rischia di diventare il grande autunno dei veleni.

Di Feo Gianluca

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(15 novembre 1993) - Corriere della Sera

“a Firenze regole violate “

Davigo attacca: è un fatto grave se il pentito dice la verità

MILANO. “Ci sono regole stabilite dal codice. E regole di professionalità. Beh, secondo il racconto del pentito, queste regole non sarebbero state rispettate". Piercamillo Davigo va subito al nodo del giallo nato tra le Procure di Milano e Firenze. Un pentito ha raccontato che i giudici fiorentini farebbero domande velenose, fuori verbale, sui colleghi milanesi. E il dottor Sottile del pool Mani pulite spiega: “ Bisogna comunicare ai collaboratori di giustizia il minor numero possibile di notizie: le notizie dobbiamo averle da loro, non viceversa. E quelle che è proprio inevitabile comunicare, perchè sono contenute nelle domande, devono risultare a verbale. Bisogna evitare che ci possano essere circuiti informativi diversi...". È una bacchettata ai giudici di Firenze? Davigo non si sbilancia. Armando Spataro, uno dei magistrati milanesi tirati in ballo dal racconto del pentito, accusa invece di “provincialismo“ i giudici fiorentini che indagano sull’autoparco milanese di via Salomone, l’autoparco della mafia che fa da sfondo a questo intrigo. Le spiegazioni e le smentite della Procura di Firenze sembrano insomma non convincere del tutto i giudici di Milano. Si attendono soprattutto risposte per iscritto a una sola importante domanda: “Davvero indagate su di noi?". La divisione verticale dell’Associazione nazionale magistrati è sancita da due documenti messi a punto durante il convegno di Chianciano. Il primo, emesso dai capi ufficiali dell’Anm, contiene forti richiami ai giudici scansafatiche, mentre nell’altro, reso noto dal gruppo dei ribelli, c’è l’invito a cancellare le correnti. Buccini a pagina 3

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(15 novembre 1993) - Corriere della Sera

GIUDICI E VELENI

“nessuno pretende l’immunità “ Le polemiche sulle indagini per il presunto coinvolgimento del pool milanese di Mani pulite nella vicenda dell’autoparco di via Salomone. Piercamillo Davigo: “ dai collaboratori dobbiamo avere notizie, non darle “. Armando Spataro: in Toscana visione provinciale delle indagini, i primi verbali pubblici a giorni

MILANO. Sembra tranquillo questo day after dei veleni, i corridoi della Procura sono quasi deserti, tacciono le voci e i sussurri. Ma la pace è lontana, la battaglia a distanza con i giudici di Firenze, forse, non è finita. Smentite a mezzo stampa e giuramenti di lealtà al telefono servono a poco. Il dubbio resta: davvero qualcuno sta indagando segretamente su Di Pietro e compagni? La versione del pentito che ha scatenato tutto questo putiferio ormai è arcinota: giudici e finanzieri fiorentini gli avrebbero fatto strane domande fuori verbale su quattro magistrati di Milano. Lo sfondo? I rapporti con i mafiosi dell’autoparco di via Salomone, un covo milanese delle cosche su cui Firenze indaga da un anno. Piercamillo Davigo scuote la testa. Le polemiche non gli sono mai piaciute, sa benissimo che una frase in più, in questi casi, può innescare reazioni a catena. E così il dottor Sottile del pool milanese misura le parole: “Non è che qualcuno qui pretenda l’immunità. Ci mancherebbe. Ci mancherebbe proprio che i magistrati di Milano pensassero di essere intoccabili. Però...". Però ? “Ci sono delle regole stabilite dal codice. E ci sono delle regole di professionalità. Beh, secondo il racconto del pentito, queste regole non sarebbero state rispettate". Davigo non è coinvolto in prima persona nella bagarre. La gola profonda della Procura ha fatto quattro nomi: Antonio Di Pietro, Alberto Nobili, Armando Spataro e Francesco Di Maggio, che ora è vicedirettore generale delle carceri italiane ma che, negli anni Ottanta, fu pubblico ministero nel processo contro Angiolino Epaminonda e la sua banda d’assassini. Proprio con Di Maggio, però, ha lavorato a lungo Davigo. Su molte indagini antimafia, compresa l’inchiesta su Epaminonda. E proprio a un risvolto del caso Epaminonda si riferiscono le insinuazioni contro Di Maggio. Il giudice di Mani pulite evita di scendere sul terreno personale. Dice la sua, però, sul modo di gestire i pentiti: “Bisogna comunicare ai collaboratori di giustizia il minor numero possibile di notizie: le notizie dobbiamo averle da loro, non viceversa. E quelle che è proprio inevitabile comunicare, perchè sono contenute nelle domande, devono risultare a verbale. Bisogna evitare che ci possano essere circuiti informativi diversi...". Anche queste parole sembrano una bacchettata ai magistrati di Firenze. È così? Davigo di più non dice. Chi invece torna sull’argomento è Armando Spataro, stavolta ai microfoni del Tg1: “La visione che la Procura di Firenze ha dell’indagine sull’autoparco potrebbe non coincidere con la realtà milanese. A Milano fatti come quello dell’autoparco sono ordinaria amministrazione: lo dimostrano le centinaia di arresti che questa Procura fa sul fronte della mafia. Certo, l’inchiesta di Firenze è stata rilevante. Ma ipotizzare che la mancata scoperta di quel luogo sia frutto solo di coperture, e non anche del fatto che ci si dedica a decine di cose più rilevanti, potrebbe essere indice di una visione, come dire... un po’ provinciale". Spataro aggiunge: “ È ovvio che nessuno di noi si sogna di dire che non si debba indagare su eventuali coperture. Ma aspettiamo al più presto una risposta chiara e inequivocabile dai colleghi di Firenze. I capi del mio ufficio la aspettano. Per

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iscritto. Per quanto mi riguarda, ho stima e fiducia verso i colleghi di Firenze, ma non potrei escludere il ricorso ad azioni di tutela, anche le più decise, da intraprendere eventualmente anche in modo autonomo". Insomma, non sembra proprio una dichiarazione d’amore. Le rassicurazioni dei fiorentini non convincono più di tanto i giudici milanesi. E, del resto, un’intervista del procuratore Vigna a Repubblica si presta a più di un’interpretazione. Quando i cronisti gli chiedono se è vero che sono state fatte domande sui giudici di Milano, Vigna risponde: “ Non ci sono elementi su nessun magistrato". I cronisti insistono: “ Non avete fatto domande su nessun magistrato?". E lui ripete: “ Io dico: non ci sono elementi su nessun magistrato". Nebbie e ombre sembrano difficili da cacciar via. Cosa può succedere ora? La Procura di Milano ha già deciso probabilmente una linea ben precisa. Ma non c’è ancora nulla di ufficiale. Si attendono risposte da Firenze. Se i fiorentini dovessero mettere nero su bianco che il pentito racconta frottole, ne discenderebbe che sono stati calunniati. Quando? Proprio durante l’interrogatorio in cui la gola profonda ha raccontato a Saverio Borrelli in persona la storia dell’indagine segreta su Di Pietro e gli altri magistrati milanesi. Dunque il pentito dovrebbe essere processato a Milano per calunnia. E a Milano dovrebbero essere spedite tutte le carte del caso. Ma un giudice, l’altra mattina, ricordava sorridendo: “ I processi possono dimostrare la colpevolezza di un imputato, ma anche provarne l’innocenza". Il rebus, insomma, è ancora complicatissimo. L’inchiesta fiorentina pullula di pentiti. Proprio da uno di loro potrebbe essere arrivata qualche soffiata: così potrebbe essersi accesa l’attenzione di Vigna e del suo sostituto Nicolosi sui rapporti tra gli uomini dell’autoparco e i magistrati milanesi. Siamo, ancora una volta, nel campo insidioso dei veleni e dei sussurri. Un primo passaggio sicuro arriverà in questi giorni: la Procura di Firenze ha ormai pronta la richiesta di rinvio a giudizio per i cinque poliziotti milanesi arrestati un mese fa perchè sospettati di avere coperto per anni i mafiosi dell’autoparco. In quelle carte potrebbe esserci una prima chiave di lettura dell’intrigo. Chi sta giocando sporco? Chi vuole incastrare i giudici di Mani pulite?

Buccini Goffredo

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(19 novembre 1993) - Corriere della Sera

LA VICENDA DEL PM DE PASQUALE “ CONGELATO “

I veleni in Procura Attesa per Borrelli Giudici e investigatori: rischio di contrasti Non è ancora chiara la lite con FirenzeTensione tra le procure di Milano e Firenze. i misteri dell’autoparco della mafia in via salomone

MILANO. Il silenzio può neutralizzare l’effetto del veleno? Ieri il palazzo di giustizia sembrava più calmo. Tutti continuavano a discutere della vicenda di Fabio De Pasquale, il pubblico ministero “ congelato “ dall’inchiesta sul patto assicurativo tra l’Eni e Salvatore Ligresti. Tutti continuavano a fornire commenti rassicuranti. Ma dentro gli uffici i timori e i dubbi continuano a covare, pronti a riesplodere. L’esercito dei sostituti attende il pronunciamento di Francesco Saverio Borrelli. E la mossa del procuratore deciderà anche il futuro dell’inchiesta. Il malcontento viene soffocato dalle porte, non raggiunge i corridoi. Un malcontento fisiologico in una macchina investigativa che continua a lavorare senza soste da quasi due anni. Inevitabili liti e dispetti. Ma stavolta il clima è cambiato. Nessuno grida al complotto, anche se molti incominciano a temerlo per davvero. Prima gli interrogatori degli inquirenti fiorentini sui magistrati di Milano per i misteri dell’autoparco della mafia. Poi il collaboratore di De Pasquale che fa domande su Antonio Di Pietro alla ex moglie di Aldo Molino, l’inquisito più conteso del tribunale. Borrelli rimane barricato nel suo ufficio. Continua ad ascoltare i protagonisti dell’inchiesta Eni Sai. Ufficiali, avvocati, indagati. Pesa con attenzione ogni elemento. Come i mandati di comparizione spediti da De Pasquale a Bettino Craxi e Severino Citaristi, con una decisione giudicata da molti affrettata. Ogni scelta ora deve essere valutata con grande diplomazia, per evitare reazioni interne ed esterne. Formalmente, l’inchiesta sembra andare avanti senza problemi. Ieri il gip Maurizio Grigo ha concesso la libertà provvisoria all’ex ambasciatore Rinaldo Petrignani. Ha soltanto l’obbligo di risiedere a Roma o Milano nelle giornate in cui i magistrati interrogheranno i dirigenti della Salomon Brothers: tra i funzionari della banca finiti nel pasticcio c’è pure il figlio di Petrignani. Il pubblico ministero “ congelato “ fa capire di potere chiudere l’istruttoria nel giro di due settimane. Il quadro del grande imbroglio è già chiaro, almeno nell’architettura generale. Dopo la rogatoria nella Salomon Brothers londinese e le deposizioni dei due politici coinvolti, le richieste di rinvio a giudizio sarebbero pronte in un tempo record. Misteri e dubbi verrebbero poi sciolti in aula. Sarebbe una soluzione ottima, che non risolverebbe però il giallo delle domande indiscrete. L’ufficiale della Guardia di Finanza che ha interrogato Elsa Milanesi gode della stima di colleghi e magistrati: possibile che abbia agito di sua iniziativa? O si tratta di un malinteso, amplificato dagli avvocati? Certo, se il capitano venisse sacrificato per la salute della procura, si rischierebbe una scollatura terribile tra i giudici e la squadra di investigatori che gestisce la parte più dura del lavoro. E se a De Pasquale fosse tolta definitivamente l’inchiesta a vantaggio del pool Mani pulite, molti sostituti esterni al team di Tangentopoli resterebbero scontenti. Non solo. Si attende ancora la spiegazione del caso Firenze. L’incontro a Roma con Pier Luigi Vigna si è chiuso con abbracci e strette di mano, senza però spazzare

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via la nube tossica: c’è o meno un’indagine su alcuni magistrati milanesi? Oggi si attende la risposta di Borrelli. Un’unica mossa che dia scacco matto a tutti i veleni. Prima che incomincino a diventare devastanti.

Di Feo Gianluca

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(20 novembre 1993) - Corriere della Sera

TENTATIVI DI INSABBIAMENTO?

Autoparco: nel 1983 già si sapeva tuttoIl Tribunale della libertà di Firenze ha respinto le istanze di scarcerazione presentate dai legali del vicequestore Iacovelli Carlo e dei 3 sottufficiali di polizia arrestati il 28 ottobre scorso

MILANO. Il tribunale della libertà di Firenze ha deciso: il vicequestore Carlo Iacovelli e i tre sottufficiali di polizia arrestati il 28 ottobre scorso nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco della mafia di Milano restano in carcere. Dopo due giorni di camera di consiglio i magistrati fiorentini hanno respinto in blocco le istanze di scarcerazione presentate dai difensori dell’ex dirigente del IV Distretto e degli altri agenti inquisiti. Una decisione che ha colto di sorpresa gli ambienti sindacali della polizia milanese i quali, ieri, si sono tuttavia astenuti da ogni commento in attesa delle motivazioni della sentenza previste per oggi. Secondo quanto è trapelato dagli ambienti giudiziari di Firenze, il Tribunale della libertà, presieduto da Marcello De Roberto, avrebbe compiuto un’approfondita analisi degli atti giudiziari e dei memoriali presentati dalla difesa arrivando alla conclusione che non sussistevano, al momento, le condizioni per scarcerare gli imputati. Nel corso dell’udienza, che si è svolta in un clima piuttosto teso dopo le polemiche dei giorni scorsi tra le procure di Firenze e di Milano, alcuni avvocati avevano presentato fotocopie di articoli di giornali per dimostrare che a Firenze l’inchiesta non viene svolta in un clima di serenità. Particolarmente duri sono stati gli attacchi dei difensori di Jacovelli, avvocati Giampiero Biancolella e Alberto Liguoro, i quali avevano tentato di dimostrare, attraverso una memoria di cinquanta pagine, l’insussistenza di prove contro il vicequestore. Frattanto il settimanale “Panorama“ ha diffuso l’anticipazione di un’inchiesta che apparirà sul prossimo numero della rivista nella quale si fa accenno, per quanto riguarda l’autoparco, a inchieste insabbiate proprio dal IV Distretto. “Panorama“ rivela che da un dossier preparato dal Gico di Firenze si desume che dell’autoparco si parlava già dal 1983. In particolare si fa riferimento a due indagini condotte da un agente di polizia del IV distretto (oggi commissariato Monforte). Nella prima, datata 1983, l’agente aveva già fatto clamorose scoperte su chi si nascondeva dietro l’autoparco e aveva inviato un rapporto al dirigente di allora il cui “vice“ era appunto Iacovelli. Un anno dopo lo stesso poliziotto in un secondo rapporto spiegava, come dice “Panorama", che “nell’autoparco lavorano personaggi in odore di mafia". Il rapporto, dice sempre il settimanale, sarà spedito agli organi competenti solo dopo oltre quattro mesi. Inolte nell’articolo si sostiene che da alcune dichiarazioni di Angelo Epaminonda i carabinieri avevano stilato un allarmato rapporto alla Procura di Milano in cui si parlava “ di una vasta associazione finalizzata al traffico della droga con contatti con appartenenti alle forze dell’ordine".

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(21 novembre 1993) - Corriere della Sera

“il vicequestore Iacovelli faceva favori al boss dell’autoparco milanese “

presunti contatti con i clan: il Tribunale della libertà di Firenze nega la scarcerazione del vicequestore Iacovelli Carlo e dei 3 poliziotti Atterrato Leonardo, Stornelli Roberto e Grimaldi Vincenzo, arrestati nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone

MILANO. Calate le carte come in una partita di poker, si comincia a delineare il quadro per il quale il Tribunale della libertà di Firenze ha respinto le istanze di scarcerazione per il vicequestore Carlo Iacovelli e per i poliziotti Leonardo Atterrato, Roberto Stornelli e Vincenzo Grimaldi, tutti in servizio alla questura di Milano, finiti in carcere nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone, sviluppata dalla direzione distrettuale antimafia di Firenze (pubblico ministero Giuseppe Nicolosi) e i Gico della guardia di finanza. Favori personali, stipendi a nero, rivelazioni di informazioni giudiziarie, frequentazioni assidue: sarebbero questi gli inquietanti indizi in possesso dei magistrati fiorentini che accusano i poliziotti milanesi di aver coperto l’attività dell’autoparco di via Salomone, base operativa nel Nord di Cosa nostra. I giudici del Tribunale della libertà hanno respinto le richieste di scarcerazione avanzate dagli avvocati Alberto Liguoro e Gian Piero Biancolella sostenendo che “ sono in corso indagini molto complesse “ e che esistono “ concreti pericoli di reiterazione dei reati e di inquinamento delle prove". “Per noi si tratta di una sconfitta parziale. ammette l’avvocato Alberto Liguoro. ma sono sicuro al cento per cento che tireremo fuori il dottor Iacovelli da questa incredibile storia". Entrando nelle singole posizioni, il maggior numero di indizi riguarda proprio il vicequestore. Il dottor Iacovelli nel 1984. come dirigente del IV distretto di via Poma. aveva firmato il registro che aveva permesso a Giovanni Salesi (il “cervello“ dell’autoparco, presunto mafioso) di svolgere l’attività di parcheggio e noleggio di autovetture. Questo nonostante che Salesi non avesse i requisiti e la licenza per svolgere l’attività e che “risultasse già più volte denunciato per gravi reati e vi fosse a suo carico un apposito fascicolo". Inoltre, per l’accusa, il vicequestore era un assiduo di Salesi tanto che “a titolo del tutto gratuito aveva un box all’interno dell’autoparco, dove tanti altri presunti mafiosi avevano spazi analoghi“ e dove il funzionario di polizia aveva depositato i suoi mobili. Uno dei personaggi di spicco dell’inchiesta, Rosario Cataffi, ritenuto uomo vicino a Nitto Santapaola, boss della mafia nel Catanese, il 27 ottobre scorso ha dichiarato ai finanzieri del Gico che il dottor Iacovelli era il funzionario di cui Salesi gli aveva accennato, indicandolo come proprio informatore.

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(3 dicembre 1993) - Corriere della Sera

AUTOPARCO E MAFIA

Milano, nei guai due giudiciMILANO. Prosegue lo scontro fra le Procure di Milano e di Firenze. I giudici toscani hanno trasmesso al tribunale di Brescia il fascicolo sulle accuse a due magistrati milanesi per la vicenda dell’Autoparco della mafia. Tra i pubblici ministeri presi di mira c’è Alberto Nobili, il giudice che ha raccolto le rivelazioni di Saverio Morabito sulla ‘ndrangheta. “ È una notizia che corrisponde a voci ed elementi in aria da alcuni giorni. ha commentato Francesco Saverio Borrelli.. Suscita in me e in tutta la Procura stupore profondo e doloroso. Nobili è un uomo che ha acquistato meriti altissimi verso la città di Milano e verso la Giustizia". Di Feo a pagina 11

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(3 dicembre 1993) - Corriere della Sera

LE PRESUNTE RIVELAZIONI DI UN PENTITO CONTRO ALBERTO NOBILI E UN ALTRO SOSTITUTO DEL CAPOLUOGO LOMBARDO

Autoparco, sospetti su due giudicialtro che “ pace “tra Firenze e Milano: Vigna invia le carte a Brescia. saranno i magistrati bresciani a stabilire se davvero i 2 giudici milanesi abbiano fornito appoggio ai boss dell’autoparco della mafia

MILANO. È il grande gelo. Firenze contro Milano. E che decida Brescia. Non si ferma la battaglia tra procure sull’autoparco della mafia. La base di Cosa nostra scoperta dalla magistratura toscana alle porte di Milano continua a produrre sospetti e veleni. Tutt’altro che soffocati. Il procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna ha trasmesso a Brescia gli atti relativi ad almeno due giudici milanesi. Entrambi sarebbero accusati da un pentito di aver fornito appoggio ai boss dell’autoparco. La notizia della trasmissione degli atti non è stata ancora comunicata ufficialmente ai magistrati di Milano. “ Vorrei sia chiaro: lo apprendo da voi. ha detto Francesco Saverio Borrelli.. È una notizia che corrisponde a voci ed elementi in aria da alcuni giorni. Suscita in me e in tutta la procura stupore profondo e doloroso". È noto solo il nome di uno dei magistrati presi di mira: si tratta di Alberto Nobili della direzione distrettuale anticosche. Nobili è il pubblico ministero che ha raccolto le deposizioni di Saverio Morabito, uno dei più importanti collaboratori di giustizia, dalle quali è scaturita l’operazione “Nord Sud“ con oltre 200 arresti. Una mazzata che ha colpito il cuore della ‘ndrangheta e che ha messo in luce le relazioni pericolose con alcuni settori dello Stato. Alberto Nobili è sposato con Ilda Boccassini, il magistrato di Caltanissetta che ha individuato gli esecutori delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. “ Nobili. ha dichiarato Borrelli. è una figura di magistrato da moltissimi anni impegnato, con una tensione spasmodica e con una discrezione che lo tiene lontano da ogni clamore, nella lotta contro la criminalità mafiosa e il traffico di droga. Un uomo che ha acquistato meriti altissimi verso la città di Milano e verso la Giustizia". Invece ora i magistrati bresciani dovranno verificare una serie di rivelazioni che hanno indirizzato gli accertamenti della Guardia di Finanza. In particolare nel caso di Nobili si sospetterebbe che abbia coperto gli autori di tre omicidi. La trasmissione del fascicolo a Brescia, competente a indagare sui magistrati milanesi, è il segno che la tensione tra le due procure non è calata. I primi segnali si erano manifestati a metà ottobre con la cattura di un vicequestore e quattro agenti accusati da Firenze di avere garantito l’impunità dei padrini dell’Autoparco. Alcuni degli arrestati avevano collaborato con il pool Mani pulite nella prima fase dell’inchiesta su Tangentopoli. Poi, all’inizio di novembre, l’allarme nella cittadella di Mani pulite. Un pentito, che era già stato ascoltato dagli investigatori toscani, aveva riferito: “ A Firenze mi hanno fatto domande su parecchi giudici di Milano". E aveva elencato una serie di nomi eccellenti, oggetto dell’interrogatorio fiorentino: Antonio Di Pietro, il vicedirettore degli istituti di pena Francesco Di Maggio, il magistrato antimafia Armando Spataro e Nobili. Si è tentato un chiarimento. Ma due vertici tra Borrelli e Vigna con la mediazione del superprocuratore Bruno Siclari sono stati inutili. L’ultimo risale a otto giorni fa e si è chiuso con la solita litania di dichiarazioni rassicuranti. Soltanto

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Borrelli allora aveva lasciato trasparire la preoccupazione per il rischio di polveroni all’arsenico. “Già un anno e mezzo fa. aveva ricordato. c’erano stati dei tentativi di delegittimazione personale, diretti in particolare contro Di Pietro, che non hanno portato assolutamente a nulla. Ora si ha l’impressione che qualcosa del genere possa riaccendersi". Ieri sera il procuratore di Milano ha risposto con un “no comment“ alle domande sugli incontri con Vigna. Borrelli ha ricordato l’obbligatorietà dell’azione penale. “Ho la massima fiducia nella professionalità dei colleghi bresciani. ha concluso. e attendo con la stessa fiducia che le ombre gettate sulla procura di Milano vengano dissipate". Ma nel tribunale di Milano nessuno nasconde il nervosismo. Soprattutto per i modi con cui è stata presa la decisione di mandare tutto a Brescia. E nell’aria c’è già il sapore di una nuova terribile stagione dei veleni.

Di Feo Gianluca

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(9 dicembre 1993) - Corriere della Sera

“Tutte calunnie su Di Maggio “ Il vicedirettore delle carceri Francesco Di Maggio critica le indagini fiorentine sull’autoparco e pensa alle dimissioni

MILANO. “ Qui siamo alla barbarie giuridica". Il giudice Francesco Di Maggio non ci sta: chiede l’intervento del Csm e medita di abbandonare la vicedirezione delle carceri. Il nome dell’ex pm milanese spunta dalle indagini fiorentine sull’Autoparco milanese della mafia. Dice: “È spazzatura. E non mi riferisco alle dichiarazioni del pentito ma alle costruzioni investigative". Dottor Di Maggio, lei pensa a una manovra della mafia? “ Lo escludo. E non si tratta nemmeno di un tentativo di screditare la Procura di Firenze. È una questione volgarissima che si vuole nobilitare. I pentiti qui non c’entrano, anche se si sta spostando la discussione sul loro ruolo. Il problema sono i comportamenti processuali". È tutto casuale? “ Di casuale non c’è nulla in questa vicenda". “Con chi ce l’ha? “ Con chi ha condotto le indagini. Da quanto apprendo dai giornali tutto nasce da informazioni raccolte dai Gico della Guardia di Finanza. Io so che i pentiti devono essere ascoltati dall’autorità giudiziaria, non da chicchessia. I Gico stanno ai pentiti come io sto all’astronomia". Che pensa del procuratore Vigna? “Non esprimo giudizi. ma vorrei capire qual è la competenza della Procura di Firenze sui giudici milanesi. Aggiungo che la storia dell’autoparco è stata gonfiata nella prospettiva fiorentina: ciò che accadeva nel 90 91 non è paragonabile alla situazione dell’84". Pensa di lasciare l’incarico di vicedirettore degli Istituti di pena? “Sto valutando la mia posizione. Non ho ancora presentato le dimissioni. Ma non sarebbe comunque un atto di debolezza. Per fare questo mestiere non solo bisogna essere onesti ma anche apparire tali. L’opinione pubblica ha il diritto di avere ai vertici delle istituzioni persone al di sopra di ogni sospetto". Da giudice antimafia a sospettato di collusioni con i boss. Che cosa si prova? “Vergogna per la gente che ha messo in discussione il mio impegno di magistrato". Certamente non ha dubbi Francesco Saverio Borrelli. Per il procuratore di Milano, il giudice Di Maggio è “collega e fraterno amico, emerso come il più recente possibile bersaglio di insinuazioni calunniose dalla oscura provenienza". Valutazioni che suscitano la “viva soddisfazione“ del ministro Giovanni Conso che si schiera apertamente con Di Maggio. Ma fa di più, il capo di Mani Pulite. Il suo appoggio è incondizionato. Solenne. “Come sempre. dice Borrelli. assumo in prima persona la responsabilità quantomeno professionale e morale di tutti i comportamenti della procura di Milano a partire dall’87, anno in cui ne sono divenuto titolare, e in larga misura anche per i tre anni precedenti". Nel frattempo il caso offre l’occasione per imbastire il solito dibattito sul pentitismo. Proprio quello che Di Maggio non vuole. Dal Csm il consigliere Gianfranco Viglietta spiega: “ Il rischio di inquinamenti e di oscure manovre è molto forte soprattutto quando il collaborante rende le dichiarazioni nel momento immediatamente successivo ad una inchiesta che coinvolge livelli altissimi di responsabilità. Le accuse mosse al pm Nobili e al dottor Di Maggio probabilmente si inseriscono in questo contesto". Alessandro Criscuolo, altro esponente del Consiglio superiore, insiste sul fatto che le dichiarazioni di un pentito “ da sole non valgono assolutamente nulla". E il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Mario Cicala: “La strumentalizzazione dei pentiti esiste. Ed è per questo che l’esperienza ha portato alla elaborazione di regole. Ogni domanda deve essere verbalizzata".

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D’Angelo Vito

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(17 dicembre 1993) - Corriere della Sera

Guerra tra giudici sui pentiti, Conso manda gli ispettori

Autoparco della mafia, il Pg di Milano invia una relazione sulla Procura di Firenze

MILANO. E adesso scende in campo Conso. Gli ispettori del ministro interverranno già da lunedì nella guerra tra le Procure di Milano e Firenze. Una guerra che coinvolge giudici famosi, come Saverio Borrelli e Pierluigi Vigna, e che incide a fondo sui sistemi di gestione dei pentiti. Proprio a Conso e al Csm s’è rivolto il procuratore generale di Milano, Giulio Catelani, con una dura relazione. La querelle è cominciata un mese fa, quando un ex mafioso catanese ha raccontato a Borrelli che, a Firenze, finanzieri e giudici l’hanno interrogato più volte, gli hanno fatto domande fuori verbale su magistrati milanesi che sono stati o sono tuttora in prima linea, gente al di sopra d’ogni sospetto come Antonio Di Pietro, Alberto Nobili, Armando Spataro e Francesco Di Maggio. Lo sfondo? L’autoparco della mafia di via Salomone. Velenosissima la tesi: i giudici di Milano avrebbero coperto gli uomini d’onore. Sono vere o fasulle le rivelazioni del pentito? Mistero. Ma nelle ultime settimane altri pentiti hanno raccontato storie simili: altre domande da Firenze, su altri giudici di Milano. Schizzi di fango sulle due Procure? Depistaggi? Manovre? Chissà. Intanto Catelani spedisce a Roma una relazione pesante sugli investigatori fiorentini. Nel documento si sosterrebbero le tesi di Borrelli e dei suoi uomini: Milano è pulita. Lunedì il procuratore generale vedrà il capo degli ispettori di Conso: “ Un primo incontro", dicono i portavoce del ministro. Poi toccherà a Firenze. Il caso è aperto. Buccini a pagina 11

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(17 dicembre 1993) - Corriere della Sera

LA “ PACE “ FIRMATA DA BORRELLI E VIGNA NON HA RETTO: LUNEDÌ CATELANI VEDRÀ GLI ISPETTORI DEL MINISTRO CONSO

Accuse ai giudici, Milano riapre le ostilitàContinuano le polemiche tra le procure di Milano e di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone: altri pentiti interrogati a Firenze? relazione del procuratore generale al CSM

MILANO. “ Guarda guarda, ci hanno mandato un calendario della finanza. Non saranno mica quelli di Firenze?". Mugugni, risate amare che risuonano cupe nel corridoio della Procura. Già, non c’è traccia di aria natalizia, le grandi boccate al calumet della pace tra Saverio Borrelli e Pierluigi Vigna non sono servite a granchè. E nemmeno la mediazione del superprocuratore Bruno Siclari. Sì, è ancora aperta la querelle cominciata più d’un mese fa tra i giudici di Milano e quelli di Firenze. Anzi, si complica, perchè adesso scendono in campo altri giocatori: il Procuratore generale milanese Giulio Catelani, il Csm e il ministro Conso, con i suoi 007. La storia è semplice e grave. Ai primi di novembre un pentito catanese fa esplodere la sua bomba: racconta al procuratore Borrelli che a Firenze l’hanno interrogato più volte, gli hanno fatto domande insidiose, fuori verbale, su magistrati milanesi che sono stati o sono tuttora in prima linea, gente al di sopra d’ogni sospetto come Antonio Di Pietro, Alberto Nobili, Armando Spataro e Francesco Di Maggio: “ Diccelo, dai, diccelo... si sa che a Milano i giudici sono corrotti". Lo sfondo? Il paludoso Autoparco della mafia di via Salomone, un covo milanese su cui i fiorentini indagano da più di un anno. Chi martellava il pentito con quelle domande? I finanzieri del Gico, sostiene lui, assieme al procuratore di Firenze Pierluigi Vigna e al suo sostituto Giuseppe Nicolosi. Vero o falso? Chissà. Vigna spedisce ai colleghi di Brescia un fascicolo, corredato da un rapportino del Gico, in cui compare di sicuro il nome di Nobili e, secondo alcuni, pure quello di Di Maggio. Chi mente in questa storiaccia? Domanda in sospeso, perchè a questo punto la faccenda s’ingarbuglia ancora di più, altri pentiti e altri inquisiti si presentano a raccontare storie simili, una mezza dozzina di gole profonde cantano con toni diversi lo stesso ritornello: altre domande da Firenze, su altri giudici di Milano, naturalmente fuori verbale. Nel mirino, a sentir loro, ci sarebbero vecchie inchieste sui santuari meneghini delle cosche, antiche coperture, vecchi insabbiamenti. E, ancora una volta, magistrati di primo piano. Vero o falso? Chissà, chissà. Certo il giochino al massacro può aprire una voragine nei sistemi di gestione dei pentiti. Infine, Milano reagisce. Esce allo scoperto Giulio Catelani. È lui che manda a Roma, al ministro Conso e al Csm, una robusta documentazione. Diplomatico come sempre, il Procuratore generale smorza i toni: “ Esposto? Ma no, è una relazione, fa parte dei compiti del mio ufficio... venite lunedì o martedì e capirete meglio". Infatti lunedì il Pg vedrà il capo degli ispettori di Conso. È la prima tappa dell’indagine ministeriale sul caso: dopo avere ascoltato le accuse dei giudici di Milano, i detective del ministro punteranno su Firenze. Anche se i portavoce di Conso gettano acqua sul fuoco: “ È solo un primo incontro con Catelani...". E anche se Vigna dice: “ Un’ispezione? Non ne so nulla. Noi abbiamo sempre tenuto un comportamento chiaro, trasparente e neutrale. Abbiamo chiesto ai colleghi di Brescia di informarci sull’esito

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delle indagini, nell’eventualità che si potesse profilare per il collaborante un’accusa di calunnia in danno dei magistrati milanesi". Non è stato leggero Catelani. A Roma dicono che la sua è una “ relazione vigorosa", in cui si tirerebbero le orecchie ai Gico e si rimprovererebbero i colleghi fiorentini: tra l’altro Catelani viene proprio da Firenze, ma nessuno l’ha mai informato di nulla. Nel documento, ricco di allegati su vecchie inchieste, si sosterrebbero le tesi di Borrelli e dei suoi uomini: Milano è pulita, qualcun altro gioca sporco. Una vera difesa a spada tratta verrebbe fatta per Nobili, il giudice più bersagliato dagli attacchi. Ora tocca a Conso. E al Csm. Che sperava di mediare in silenzio: “ Quella di Catelani è solo un’informazione, vogliamo ricomporre un’atmosfera di collaborazione tra gli uffici giudiziari", dice il pidiessino Franco Coccia, presidente della prima commissione referente. Intanto le prime audizioni sono già fissate. Saranno sentiti Catelani, Siclari, il Pg di Firenze, Luciano Tonni, e qualche giudice di Brescia. Borrelli e Vigna? Non ancora. A Palazzo dei Marescialli qualcuno mormora: “ Per adesso la prendiamo alla larga...".

Buccini Goffredo

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(18 dicembre 1993) - Corriere della Sera

Le procure litigano, gli imputati ridonoI 64 accusati contro Vigna: “la magistratura toscana non è serena e non può giudicarci“. Autoparco di via Salomone: il CSM convoca i procuratori Catelani e Tonni per dirimere il contrasto tra Milano e Firenze

MILANO. Per fermare la battaglia dei veleni tra le Procure di Milano e Firenze, intervengono il Csm e il ministero della Giustizia. Ma intanto gli inquisiti per mafia approfittano delle polemiche per tentare di far saltare il maxiprocesso alla Piovra in Toscana. Ieri la prima sezione del Consiglio superiore della magistratura, che si occupa dei trasferimenti d’ufficio dei giudici, ha convocato a Roma per il 18 gennaio i procuratori generali di Milano e Firenze, Giulio Catelani e Luciano Tonni, massimi responsabili dei due distretti coinvolti nel “ caso autoparco". Un atto ufficiale che rappresenta una prima risposta alla “ relazione esplosiva “ spedita l’altro ieri al Csm dal Pg lombardo. Catelani, nel documento, avrebbe denunciato gravi irregolarità commesse dai colleghi fiorentini che, indagando sulle presunte coperture ai boss, arrestarono un vicequestore e 5 poliziotti. Per poi spedire alla Procura di Brescia un rapporto dei finanzieri del Gico che incastrerebbe il pm Alberto Nobili e l’ex magistrato Francesco Di Maggio. Un dossier nato dalle accuse di un pentito catanese che collabora con la giustizia pure a Milano. Dove, sotto interrogatorio, ha parlato di “ domande fuori verbale “ rivoltegli a Firenze. Ora fra le due Procure è guerra a distanza. Per lunedì a Milano sono attesi gli ispettori ministeriali. Raccolte le testimonianze a discarico, i controllori guidati da Ugo Dinacci scenderanno in Toscana per controinterrogare i pm “ rivali". Intanto il Pg Tonni difende i suoi sottoposti: “ Il punto centrale di questa vicenda non è il comportamento di Firenze e Milano, ma il buon nome della magistratura. C’è da stabilire se questo pentito dice il vero o il falso. Che dovevamo fare, mettere tutto a tacere? “ La direzione antimafia toscana, insomma, si è limitata a “ informare il giudice naturale “ dopo aver ricevuto “ notizie di presunte attività non propriamente istituzionali svolte da magistrati milanesi". Tonni ha chiarito di aver “ esaminato di persona “ il fascicolo trasmesso a Brescia, che “ non contiene accuse ai colleghi milanesi". Quindi ha smentito qualsiasi irregolarità nella gestione del pentito, che anzi rischia di finire sotto processo per calunnia. Sull’attività dei Gico, tuttavia, il Pg ha negato solo “ grosse scorrettezze". Una frase che non dev’essere piaciuta al tenente colonnello Stefano Avarelli, lo 007 del caso autoparco. Infine, due precisazioni. Su Nobili: “ Non lo conosco, ma so che a Milano gode di grandissima stima". Su Di Pietro: “ Non ricordo di aver visto il suo nome agli atti". Stringati i commenti del pm Nicolosi ("Sono assolutamente sereno") e del procuratore capo Vigna ("Indagine chiara, trasparente e neutrale"). Ma il vaso dei veleni ormai è aperto. E proprio ieri è esplosa la prima mina. I difensori di Luigi “ Jimmy “ Miano, boss del clan dei Cursoti, hanno annunciato che martedì, nell’udienza preliminare contro 64 presunti mafiosi dell’autoparco, chiederanno al giudice Mazzi di trasferire il processo a Milano. “ La chiusura delle indagini. hanno spiegato gli avvocati Gianangeli e Vaciago, che assistono anche Barbara Azero e Giuseppe Cantatore. non permette più di perpetuare una situazione in palese contrasto con le norme del codice". Quindi, stop a Vigna, dato che “ sono venute meno le ragioni extragiuridiche “ che finora hanno trattenuto l’inchiesta in Toscana. E se fallirà l’eccezione d’incompetenza territoriale, è già pronta l’arma di riserva: spostare il processo per “ legittima suspicione". Sull’autoparco, infatti, i pm diFirenze non sarebbero abbastanza “ sereni".

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Biondani Paolo

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(16 gennaio 1994) - Corriere della Sera

INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Firenze torna sull’autoparco: indagini record, e Milano ?I temi trattati nelle cerimonie nelle principali città d’Italia

ROMA. Il grande lamento sale, come ogni anno di questi tempi. I Procuratori generali fanno i bilanci della giustizia. E i conti non tornano. Non fatevi ingannare, ammoniscono alcuni di essi, dalle inchieste giudiziarie sui politici corrotti. Non valutiamo in base ai procedimenti su Tangentopoli: quelli sono la vetrina. Ma dietro le quinte le cose vanno in modo ben diverso: in campo penale siamo in molti uffici alla paralisi, mentre la giustizia civile è data da alcuni Procuratori per morta e sepolta. “Non sono le inchieste clamorose l’indice della bontà e dell’efficienza del mondo giudiziario", avverte il Pg di Bari, Guido Montedoro. La serietà dell’azione giudiziaria dovrebbe apparire dalla risoluzione delle migliaia di casi riguardanti la gente comune. Ma qui siamo al disastro. Lo dicono chiaro le cifre: a Palermo si sono accumulati 143 mila procedimenti penali e 94 mila civili. Questi crescono al ritmo di 10 mila ogni anno. A Bari si è raggiunta quota 330 mila fra procedimenti penali e civili. A Torino, il Procuratore generale Silvio Pieri comunica, affranto, che ogni anno si aggiungono 20 mila nuovi processi civili. Stanno ancora peggio i magistrati civili di Roma, i quali devono smaltire un arretrato di ben 432 mila procedimenti. La giustizia civile, sentenzia il Pg dell’Aquila Duilio Villante, è in una tale paralisi che è divenuta “una forma di denegata giustizia". Mafia. Da più parti viene sottolineato il buon momento nella lotta alla mafia. A Palermo, dopo la cattura di Totò Riina, è stato possibile risalire anche ai mandanti e agli esecutori dell’assassinio di Falcone. In Calabria più di 500 boss e gregari sono finiti in carcere negli ultimi tempi, nel corso di tre grosse operazioni. Ma la ‘ndrangheta è ancora salda. Il Pg Cianci calcola che, a parte Reggio, nel resto della regione sono installate 74 cosche, con 2100 affiliati. Anche il Pg di Firenze, Luciano Tonni, ha parlato con preoccupazione del fenomeno e non ha risparmiato una frecciata ai colleghi milanesi sull’autoparco della mafia: “A Milano se ne parlava dall’84, mentre Firenze ha cominciato a indagare nella metà del ‘92 e nel gennaio del ‘94 già parte dell’inchiesta è chiusa con 22 imputati condannati e 38 a giudizio". Tangentopoli. Quasi tutti i Pg hanno messo l’accento sulle inchieste sui politici corrotti nei rispettivi distretti. Ma qualcuno, come il Pg di Torino, ha anche detto che bisogna uscire dall’emergenza di Tangentopoli, che rischia con i suoi processi di “ incidere sull’efficienza del sistema giustizia". Protagonismo. Sono risuonati molti richiami ai magistrati che sfruttano i processi per farsi un nome. Bisogna “evitare ogni spinta al protagonismo", ha detto il Pg dell’Umbria Lodovico Bora, il quale vorrebbe vietare ai titolari di inchieste di parlare con la stampa. Anche a Torino è stato deprecato “ ogni eccesso di protagonismo e di divismo televisivo o giornalistico". Mentre il Pg della Sardegna, Francesco Pintus, è stato ancora più drastico: “Un giudice è un giudice, il suo nome non è importante. Il Paese che sta attraversando tempi di profonda trasformazione non ha bisogno di eroi ma di entità meno appariscenti, capaci di risolvere i problemi quotidiani sottoposti ad esame con equità e rettitudine". Stampa. I Pg se la son presa anche con i giornali e le tv. Il Pg di Venezia Raffaello Cantagalli ritiene che si faccia troppo scandalismo: “

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Una più fredda, distaccata e meno scandalistica presentazione della notizia potrebbe in molti casi rendere giustizia e all’esigenza di informazione serena e obiettiva e al rispetto della persona sottoposta a indagini". Mette sotto accusa anche i magistrati che a volte danno “ notizie agli organi di informazione per fini di contiguità politica e per protagonismo". Carenze. Tutti lamentano la mancanza di magistrati e personale ausiliario. Un solo esempio: a Palermo, 1500 sentenze non vengono depositate per mancanza di dattilografi.

Nese Marco

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(19 gennaio 1994) - Corriere della SeraI CONFLITTI DI COMPETENZA

Sentiti i Pg di Milano e FirenzeChiarimento ieri presso il Csm tra le Procure di Firenze e Milano per la vicenda dell’autoparco della mafia di via Salomone a Milano

ROMA. Chiarimento tra le Procure di Firenze e Milano per la vicenda dell’autoparco. La I Commissione del Csm ha ascoltato ieri i pg, presso la corte d’Appello di Milano e Firenze, Catelani e Tonni. Le audizioni sono servite a chiarire i termini della vicenda nata dalla denuncia di un pentito, secondo cui la magistratura fiorentina gli avrebbe posto domande sui rapporti tra alcuni magistrati milanesi e i gestori dell’autoparco. Le audizioni, comunque, hanno portato a una “ sostanziale sdrammatizzazione “ dei dissidi. Il pentito al centro della vicenda, secondo l’Ansa, è Salvatore Maimone, 41 anni. Dall’inizio dell’anno scorso collabora con la giustizia.

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(21 gennaio 1994) - Corriere della Sera

L’INTERVISTA

“I falsi pentiti infiltrati da Cosa nostra “ Il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna parla dei suoi timori e sospetti di manovre in corso per mandare a monte alcune delicate inchieste e lancia l’allarme: le cosche mafiose tentano un’opera di disinformazione

DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE. “ Ci sono voci che si levano dalla stessa “ Città dei pentiti", chiamiamola così, e che ci mettono in guardia: Cosa nostra può infiltrare falsi pentiti per dirottare qualche indagine. Ci sono segnalazioni, sì... Io lo so dai contatti con colleghi e organi di polizia. È abbastanza recente questa voce. Se si sia concretizzata in episodi specifici non lo so, a me non risulta, può darsi che risulti ad altri magistrati. Però questa cosa veniva data con una certa dose di attendibilità “. Pier Luigi Vigna alza gli occhi, scandisce bene le parole. E disegna i contorni di un incubo: quello dei pentiti al cianuro. Il primo a parlarne era stato l’ex capodecina Leonardo Messina. Ma l’allarme, in bocca a Vigna, fa ben altro effetto e cade inoltre in un momento particolare. È ancora aperta, infatti, al Csm e al ministero, la frattura tra le Procure di Milano e Firenze: un caso nato proprio dalle dichiarazioni di un pentito siciliano, che aveva raccontato a Saverio Borrelli d’essere stato interrogato, con domande fuori verbale sui giudici di Milano, da Vigna, dal suo sostituto Giuseppe Nicolosi e dai Gico fiorentini. E adesso il procuratore di Firenze riaffronta la questione delle gole profonde. Anche se specifica subito: “ Guardi, non sto parlandole di pentiti nostri e nemmeno della questione con Milano". Scusi, dottor Vigna, ma questa è una cosa molto grave comunque. Ne avete discusso alla Procura antimafia? “ Un discorso globale tra tutti i procuratori ancora non è stato fatto. Queste indicazioni a me sono venute da organi di polizia centrali. Ne parlerò alla Procura nazionale antimafia, con Siclari. Noi teniamo sempre presente questo avvertimento che ci è venuto dalle voci di alcuni pentiti: Cosa nostra può tentare un’opera di disinformazione". Fuma una sigaretta dopo l’altra il procuratore, mentre, dalla sua casa sulle colline di Firenze, getta questo nuovo macigno nello stagno del pentitismo mafioso. Sbotta, ripensando alle polemiche con Milano, al velenosissimo strascico dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone: “ Di questa storia s’è detto fin troppo". Sulla nuova stagione delle stragi, spiega: “ Questo è un momento pressante delle indagini. La mafia è stata servente rispetto a progetti di tipo non mafioso. Penso a logge segrete, forse vecchi pezzi di P2, in connessione con lobby economiche che non so precisare". E sull’operazione Unigold, l’ultimo blitz antiriciclaggio, rilancia. Dottor Vigna, lei ha attaccato le banche “ omertose"... “ È una semplice costatazione la mia. Da quando è entrata in vigore la legge antiriciclaggio, abbiamo avuto risultati ridicoli dal fronte delle banche". E cosa propone? “ Beh, è chiaro che il bancario o ha paura di perdere il cliente o ha direttamente... paura del cliente. Io dico: non fondiamo tutto sullo strumento umano. Creiamo un sistema informatico, che ci evidenzi le operazioni bancarie sospette. Inoltre non basta solo una sanzione amministrativa. Io dico: chiudiamo gli sportelli". Procuratore, torniamo allo scontro con i giudici di Milano. È proprio sicuro di non avere niente da rimproverarsi? “ Proprio nulla. Pensi che ai colleghi di Brescia, cui per competenza abbiamo trasmesso il fascicolo, abbiamo chiesto d’essere informati per procedere eventualmente per calunnia, calunnia del pentito ai danni dei colleghi di Milano". Ma, insomma, cosa avete

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raccolto a Firenze sui magistrati di Milano? “ Di fronte a me e a Nicolosi non è stato fatto nessun nome. I nomi il pentito li ha fatti ai finanzieri del Gico e quindi abbiamo trasmesso il fascicolo. Badi bene: un modello 45, diverso dal modello 21 degli indagati". Sembra, però, che anche qualche altro pentito racconti storie del genere su di voi... “ Figuriamoci! Escludo che noi magistrati di Firenze si faccia indagini su Milano! E comunque a Borrelli dissi allora: Saverio, se qualcuno venisse a raccontarmi che tu gli hai chiesto qualcosa su di me, gli direi “ è segno che Borrelli ha le sue buone ragioni, gli dica tutta la verità “. E lei aveva le sue “ buone ragioni"? “ Nooo! Che qualche inquisito voglia intorbidare le acque è anche possibile. Ma vorrei che si levasse dalla mente della gente una cosa: che la Procura di Firenze abbia mai avuto nel cervello un’azione che possa incrinare l’immagine dei magistrati di Mani pulite. Perchè anche questo ho avuto il dolore di leggere. Ma come! Io sono un uomo! E Di Pietro ha mangiato a casa mia, qui! Abbiamo interrogato insieme Angelo Fiaccabrino sull’autoparco! E i magistrati di Milano hanno esaminato le carte, fatto copie... Con Spataro, con il mio amico Spataro!, ci siamo divisi le competenze per iscritto". Beh, veramente il suo “amico“ Spataro dice che voi di Firenze siete un po’ provinciali, che vi siete fissati con ‘sta storia dell’autoparco come se a Milano la mafia fosse solo quella. E poi, come mai ci tenete tanto a tenervi un fascicolo che a occhio, per competenza territoriale, potrebbe anche spettare a Milano? “Su questa cosa di Spataro, dico: vabbè, allora Giotto è nato a Buccinasco e Dante a Cusano Milanino, ha proprio ragione che siamo provinciali! Quanto al resto, pensi: è stata così cercata da noi l’indagine sull’autoparco, che c’è arrivata da uno stralcio della Procura di Prato... Naturalmente, poi, quando ci si applica a un caso, dispiace perderlo". I pm milanesi sono spesso accusati di protagonismo. Lei che ne pensa? “Sono i fatti che determinano i protagonisti. Comunque, e non mi riferisco a Milano, bisogna non accondiscendere troppo". Lei però è un giudice protagonista. Esaltato ai tempi del terrorismo, in prima pagina ora contro la mafia. O no? “Guardi, io ero un sostenitore di quella legge, mai diventata tale, per cui il nome del magistrato non dovrebbe mai comparire. E le racconto un episodio: nel ‘76 ero a Roma per il caso Occorsio. Vivevo in un albergo protetto e il proprietario si lamentava. Chiesi ai giornalisti: non fate più il mio nome. Beh, il giorno dopo ero in prima pagina con questa dichiarazione".

Buccini Goffredo

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(23 gennaio 1994) - Corriere della Sera

Il vicequestore torna in libertà

Iacovelli Carlo, accusato di associazione mafiosa, è uscito dal carcere dopo quasi 3 mesi. il funzionario di polizia di via Fatebenefratelli era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone

È stato liberato, dopo quasi tre mesi di carcere, il vice questore Carlo Iacovelli arrestato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sull’autoparco di via Salomone, ritenuto la centrale operativa più importante della mafia al Nord. Con il primo dirigente della polizia di Stato erano finiti in manette anche quattro sottufficiali, che sono stati anche loro scarcerati. Per tutti le accuse contestate dai giudici toscani sono pesantissime: associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Il dottor Carlo Iacovelli ha lasciato il carcere militare di Peschiera del Garda nel primo pomeriggio di ieri. Ad attenderlo c’erano la moglie e una delle figlie che l’hanno subito riportato a Milano dove lo aspettava l’avvocato Gian Piero Biancolella che assieme al collega Alberto Liguoro si sta battendo per dimostrare l’infondatezza delle accuse. “ Non ho ancora letto. ha commentato a caldo l’avvocato Biancolella. l’ordinanza di scarcerazione, ma evidentemente sono cessate le esigenze istruttorie. In particolare ritengo che i magistrati si siano resi conti che non sussista il pericolo di inquinamento delle prove. La libertà concessa al dottor Iacovelli, vista la gravità dei reati contestatigli, si presta anche a un’altra considerazione: potrebbe esserci un’incrinatura nell’impianto accusatorio. Il gip potrebbe non condividere più la linea del pubblico ministero". I legali del vicequestore attendono intanto con ansia il ricorso da loro presentato in Cassazione, che si discuterà davanti alla prima sezione mercoledì prossimo, nel quale chiedono la revoca dell’ordine di custodia cautelare per mancanza di indizi. Iacovelli, che negli ottantasei giorni passati in cella è dimagrito di 19 chili, ha sempre proclamato la sua innocenza. In effetti il suo arresto suscitò notevole scalpore e sgomento in via Fatebenefratelli dove era da tutti apprezzato soprattutto nei servizi di ordine pubblico. A metterlo nei guai sono state le rivelazioni di un pentito che ha raccontato di ripetuti contatti del funzionario di polizia con Giovanni Salesi (recentemente condannato a 20 anni di carcere), il gestore del famigerato autoparco di via Salomone (si trova proprio davanti alla sede, assegnata dal Prefetto, del Leoncavallo). Secondo l’accusa, il vicequestore nel 1984, quando era dirigente del quarto Distretto di polizia, nella cui zona di competenza si trova via Salomone, aveva firmato il registro che aveva permesso a Salesi di svolgere l’attività di parcheggio e noleggio di automezzi. Il pentito che accusa il vicequestore è lo stesso che qualche tempo fa ha innescato una violenta polemica tra le Procure di Milano e Firenze. “ I giudici toscani. ha detto il collaboratore della giustizia. fuori dagli interrogatori ufficiali mi fanno strane domande sui colleghi milanesi, compreso il giudice Di Pietro".

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(22 febbraio 1994) - Corriere della Sera

“Avvisato “legale milanese

Liguoro Alberto è stato raggiunto da un avviso di garanzia. secondo l’accusa avrebbe cercato di inquinare le indagini riguardanti Iacovelli Carlo, arrestato perchè sospettato di collusione con la mafia nella vicenda dell’autoparco di via Salomone

FIRENZE. Un avviso di garanzia della procura della Repubblica di Firenze ha raggiunto l’avvocato milanese Alberto Liguoro, difensore. e cognato. di Carlo Iacovelli, il vicequestore arrestato il 28 ottobre 1993 perchè sospettato di collusione con la mafia nella vicenda dell’autoparco di via Salomone a Milano. Il legale, sabato scorso, è stato ascoltato dal procuratore Vigna. Secondo le accuse, Liguoro, nel tentativo di inquinare le indagini, avrebbe cercato di ottenere da un editore una fattura con la quale giustificare una somma che gli inquirenti ritengono fosse stata versata dalla mafia al vicequestore.

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(22 febbraio 1994) - Corriere della Sera

Nuovi guai per il vicequestore: indagato anche il suo avvocato

Avviso di garanzia per Liguoro Alberto, l’avvocato di Iacovelli Carlo. secondo l’accusa, avrebbe cercato di inquinare le indagini sul coinvolgimento dell’ex vicequestore nell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone

CASO AUTOPARCO Nuova tegola su Carlo Iacovelli, il vicequestore della polizia di Stato finito in carcere il 28 ottobre 1993 per sospetti di collusione con la mafia nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone e rimesso in libertà il 22 gennaio. Uno dei suoi legali di fiducia, l’avvocato Alberto Liguoro (che è anche suo cognato), ha ricevuto un’informazione di garanzia dalla direzione distrettuale antimafia di Firenze nella quale si ipotizza il reato di favoreggiamento. Secondo il pubblico ministero Giuseppe Nicolosi. che ha firmato il provvedimento. l’avvocato Liguoro avrebbe cercato di inquinare le indagini cercando di ottenere da un editore una fattura falsa da utilizzare per giustificare una somma di 8 milioni contestata dai magistrati fiorentini al vicequestore e ritenuta girata dai mafiosi dell’autoparco al poliziotto. Sdegnata la replica dell’avvocato Alberto Liguoro (che per molti anni è stato proprio magistrato a Milano) il quale ricostruisce la vicenda in modo diametralmente opposto a quella degli inquirenti fiorentini. Ma procediamo con ordine. Sabato scorso l’avvocato Liguoro è stato ascoltato a Firenze dal procuratore Vigna dopo l’informazione di garanzia. La vicenda è legata ad alcune dichiarazioni rese dal pentito catanese Salvatore Maimone, il collaboratore della giustizia che nei mesi scorsi è stato la causa della fortissima tensione tra le procure di Milano e Firenze. Maimone ha raccontato ai magistrati fiorentini di una cena nel gennaio del 1992 nel corso della quale un personaggio di spicco dell’autoparco della mafia, Salvatore Cuscunà, avrebbe consegnato al vicequestore Iacovelli 8 milioni in contanti e un Rolex d’oro per ripagarlo dei suoi servigi. Secondo il pm Nicolosi, il 15 novembre scorso, due giorni prima che a Firenze si riunisse il Tribunale della libertà che negò la libertà al vicequestore, l’avvocato Liguoro avrebbe contattato l’editore che aveva pubblicato un libro del suo assistito su pistole e rivoltelle, chiedendo (e non ottenendo) una fattura falsa di 8 milioni. Secondo i magistrati l’editore avrebbe confermato questa versione. Dice l’avvocato Liguoro: “ Ho telefonato al fratello dell’editore per chiedere la documentazione bancaria a supporto delle dichiarazioni rese da Iacovelli il 5 novembre. Dopo una settimana ho ritelefonato e sempre il fratello dell’editore mi ha comunicato che non era stato possibile rintracciare questa documentazione".

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(5 maggio 1994) - Corriere della Sera

LE INSINUAZIONI SULL’AUTOPARCO AVEVANO SCATENATO POLEMICHE TRA MILANO E FIRENZE

Solo calunnie sul pm NobiliChiesta l’archiviazione della posizione del giudice accusato da un pentito di essere in contatto con un clan della ‘ndrangheta. finisce sotto inchiesta il “ pentito “ Maimone Salvatore che aveva fatto pesanti deposizioni su altri giudici milanesi

BRESCIA. Lo scontro tra le Procure di Milano e Firenze per l’inchiesta sull’autoparco dei clan potrebbe essere vicino alla soluzione. Senza però dissipare completamente i veleni. Ieri il sostituto procuratore di Brescia Guglielmo Ascione ha chiesto di archiviare la posizione del pm milanese Alberto Nobili, accusato da un pentito di essere in contatto con un clan della 'ndrangheta. Si tratta di una vicenda clamorosa, esplosa nello scorso novembre. Salvatore Maimone, coinvolto nelle indagini sulla centrale criminale di via Salomone, aveva fatto deposizioni pesantissime ai magistrati fiorentini su alcuni giudici milanesi: Antonio Di Pietro, Francesco Di Maggio, attuale vicedirettore delle carceri, e soprattutto Nobili. Le confessioni sono arrivate proprio nel momento in cui Nobili era impegnato nelle più importanti operazioni contro le cosche calabresi trapiantate nel Nord. Il 5 novembre Maimone aveva reso le dichiarazioni a Firenze, poi il giorno dopo si era presentato alla Procura di Milano. E nella cittadella di Mani pulite aveva accusato gli inquirenti toscani di avergli “ imbeccato “ le confessioni. In particolare, il “ pentito", aveva sottolineato le insistenze degli ufficiali del Gico, il reparto speciale delle Fiamme Gialle. Dopo una lunga polemica e alcuni vertici presso la Direzione nazionale antimafia, il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna aveva trasmesso tutti gli atti a Brescia, sede competente a investigare sui reati commessi dai pm milanesi. Ma soltanto il nome di Nobili era stato iscritto nel registro degli indagati. Dopo molti accertamenti, il pm Ascione ha deciso di chiedere l’archiviazione. Il magistrato non è entrato nel merito delle inchieste sull’Autoparco, ma si è concentrato sulle due deposizioni di Maimone. E la base della sua ricostruzione sono diventate le testimonianze degli agenti di polizia incaricati di scortare il “pentito". Secondo il responsabile della protezione, Maimone avrebbe più volte confidato di volere fare “rivelazioni esplosive". Anche mentre veniva accompagnato dai magistrati fiorentini, aveva ripetuto: “Adesso salta tutto". Questi fatti sono serviti a smontare la versione del “pentito“ sulle domande degli investigatori toscani. Restano però molti interrogativi irrisolti. Maimone si sarebbe reinserito nella criminalità di Civitanova Marche, città dove era protetto dalla polizia: sarebbe stato notato in alcune bische e indicato come guardaspalle di un boss locale. Ed è sorprendente che la malavita perdoni un “infame", inserito nell’elenco dei collaboratori. C’è poi da capire cosa abbia spinto il “pentito“ verso la seconda deposizione. Secondo il pm milanese, Maimone avrebbe chiesto di essere ascoltato. Ma gli uomini della scorta replicano: no, è stato convocato. Sempre secondo gli agenti della protezione, nel corso del 5 novembre sul telefonino del caposcorta sarebbero arrivate più chiamate di Filippo Ninni, responsabile lombardo della Criminalpol. Ninni avrebbe chiesto sempre di parlare con Maimone. Una conversazione sarebbe avvenuta davanti agli ufficiali della Finanza, immediatamente dopo l’interrogatorio.

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Ninni, ascoltato come teste dal pm bresciano, avrebbe negato di avere mai telefonato alla scorta di Maimone. Nella notte del 5, il “pentito“ è stato ospitato in un albergo di Parma segnalato dalla questura. Secondo la scorta, ha fatto molte chiamate ma non è stato possibile recuperare i numeri. Adesso la posizione di Maimone è stata stralciata: è accusato di calunnia in concorso con ignoti. “Non intendo pronunciarmi. ha commentato ieri Nobili. ma, quale sarà la decisione del gip di Brescia, mi auguro che questa vicenda non venga strumentalizzata contro l’indiscutibile utilità dei collaboratori di giusizia e che, invece, possa servire per adottare maggiore cautela nella gestione dei pentiti".

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(6 maggio 1994) - Corriere della Sera

Firenze batte MilanoRimane a Firenze il processo sull’autoparco di via Salomone a Milano e sulle infiltrazioni mafiose nell’Italia settentrionale. il tribunale ha così respinto il 1o attacco della difesa. un vicequestore e 5 poliziotti tra i 38 imputati

COPERTURE MAFIOSE E VELENI TRA MAGISTRATI “ Sono stati i primi ad aprire l’inchiesta “ Un vicequestore e cinque poliziotti fra i 38 imputati Il processo per l’autoparco resta in Toscana

FIRENZE. Rimane a Firenze il processo “avvelenato“ sull’autoparco di via Salomone a Milano. Il tribunale ha respinto il primo deciso attacco della difesa contro l’impalcatura dell’inchiesta condotta dalla procura fiorentina sulle infiltrazioni mafiose nell’Italia settentrionale. Perchè si deve celebrare proprio a Firenze. si sono chiesti i difensori. visto che tutta l’inchiesta ruota intorno ad attività milanesi, segnalando anche che la stessa procura di Milano aveva aperto un fascicolo processuale nell’agosto 1992 (numero 12157)? “ È indeterminabile il luogo del reato. ha ribattuto il pm Giuseppe Nicolosi. Se Milano ha aperto un fascicolo ad agosto, noi facevamo intercettazioni fin da aprile". Firenze insomma ha cominciato le indagini per prima. E ancora uno scontro durissimo sulle prove: 38 imputati, gran parte dei quali sono accusati di associazione per delinquere, traffico di armi, droga. Per loro i difensori hanno sottolineato la vaghezza delle accuse che mancherebbero di riscontri precisi. “Qui si discute di reati. ha replicato il pubblico ministero Nicolosi. dove basta la messa a disposizione della propria persona per far parte dell’associazione a delinquere". Eccezioni preliminari non di rito, in una vicenda che ha visto polemiche accese tra le procure di Firenze e Milano, coinvolte prima in una discussione sulle competenze, poi trascinate in una polemica durissima dal pentito catanese Salvatore Maimone. Era stato proprio lui a dichiarare che il 5 novembre scorso i magistrati fiorentini gli avevano rivolto domande sui loro colleghi milanesi, lanciando pesanti insinuazioni contro il sostituto procuratore Alberto Nobili. Di qui polemiche e sospetti. Ma proprio alla vigilia del processo fiorentino la Procura di Brescia, che indagava sulle rivelazioni del pentito Maimone, gli ha dato del bugiardo, archiviando gli accertamenti su Nobili e proponendo l’incriminazione dello stesso Salvatore Maimone per calunnia. “Questo conferma la correttezza dell’operato della Procura di Firenze. ha detto ieri il procuratore Pier Luigi Vigna. Ora è importante capire perchè ha detto il falso e chi gliel’ha suggerito". Ciononostante il nome di Maimone è nell’elenco dei testi attesi al processo. Proprio lui dovrà affrontare il difficile terreno delle coperture e delle collusioni che gli investigatori ritengono esistere dietro l’Autoparco, e che hanno portato all’arresto di un vicequestore e cinque poliziotti di Milano. “Noi i pentiti li abbiamo affrontati solo ed esclusivamente quando avevamo significativi e concreti elementi di riscontro. risponde il pubblico ministero Giuseppe Nicolosi., altrimenti avremmo potuto arrestare anche duemila persone. In quest’indagine i pentiti hanno la sfortuna di trovarsi di fronte a una mole di riscontri, intercettazioni telefoniche e ambientali. Se qualcuno dice balle prende dei calci nel sedere".

Fallai Paolo

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(10 maggio 1994) - Corriere della Sera

ASSISE PROCESSO AUTOPARCO VIA SALOMONE

“Quegli agenti corrotti “ I pentiti Corica Salvatore 46 anni e Sapienza Andrea 35 anni hanno disegnato un inquietante scenario riguardo l’Autoparco di via Salomone: le ambizioni di Sanesi Giovanni, legato a Fiaccabrino Angelo, e i particolari sui soldi ai poliziotti per proteggere i boss

Due nuovi pentiti: “ Cento milioni l’anno per proteggere i boss “ PROCESSO PER L’AUTOPARCO

FIRENZE. Talmente sicuri delle “ protezioni “ da pagare mazzette a un ispettore di polizia durante una cena in un ristorante, invitare carabinieri in divisa a guardare una partita di calcio alla tv nell’ufficio da cui partivano le ordinazioni di armi e droga. Gli uomini dell’Autoparco di via Salomone a Milano non solo non si aspettavano il blitz del 17 ottobre ‘92 ma erano sicuri d’essere preavvertiti. È lo scenario portato nell’aula bunker di Firenze da due nuovi “ pentiti “ dell’organizzazione. In gennaio hanno scelto di collaborare col pm Giuseppe Nicolosi, al quale hanno portato conferme inattese: tra queste le accuse ai poliziotti milanesi, arrestati per le “ coperture “ all’Autoparco, rivelazioni di particolari inediti sulle ambizioni di Giovanni Salesi, gestore della struttura e già condannato a vent’anni, che voleva aprire un Europarcheggio in viale Umbria. Contava sulla “ fortuna “ politica di Angelo Fiaccabrino, primo dei non eletti per il Psdi alle politiche del ‘92 e che secondo l’accusa stava cercando di raccogliere forze e voti degli amici per conquistare un seggio a Palazzo Marino e puntare poi a un assessorato. Ma soprattutto hanno dato nuova linfa alla “ pista politica “ dell’inchiesta fiorentina: nelle pagine in cui parlano dei contatti tra le cosche ed esponenti del Psi gli omissis del pm coprono gli sviluppi in corso in queste settimane. I nuovi collaboratori di giustizia sono Salvatore Corica, 46 anni, trafficante di droga che frequentava l’Autoparco e che ha detto d’appartenere al clan dei Cursoti di Jimmy Miano, e Andrea Sapienza, 35 anni, fratello di un affiliato al clan Santapaola ucciso nel 1988 a Catania. “ L’Autoparco. ha detto Sapienza. non poteva mai essere scoperto, perchè qualsiasi operazione di polizia fosse stata gestita su Milano era destinata al fallimento". Ha anche precisato che Salesi gli aveva confessato che la loro attività era al sicuro per la presenza di poliziotti “ amici nostri ricompensati con denaro e regalie in cambio di copertura". Tra questi Sapienza ha indicato il vicequestore Carlo Jacovelli (arrestato in novembre) definendolo “ persona affidabile". Anche Corica ha sostenuto che l’Autoparco godeva di protezioni da “ poliziotti appartenenti al IV Distretto di via Poma “ e che Salesi diceva che queste coperture gli costavano 100 milioni l’anno. È proprio Corica a raccontare l’episodio dei due carabinieri sorpresi nell’estate ‘91 all’interno degli uffici con uno dei presunti mafiosi dell’Autoparco, intenti a seguire una partita di calcio alla tv. Secondo Sapienza, Salesi aveva anche “ agganci con appartenenti alla Guardia di finanza, anche ad alto livello". Ce n’è per tutti: dalle notizie “ apprese da poliziotti corrotti della Sezione catturandi di Catania sull’arresto del latitante Turi Cappello", al progetto di un omicidio: “ Dai santapaoliani. ha detto Sapienza. avevo saputo che qualcuno dei poliziotti era stato incaricato di uccidere Turi Cappello a Milano". Insieme ai verbali di Sapienza e Corica sono arrivati al processo di Firenze anche gli

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interrogatori di Salvatore Maimone, il “ pentito “ che con le sue dichiarazioni ha scatenato la polemica tra le procure di Milano e Firenze: proprio alla vigilia del processo fiorentino la procura di Brescia gli ha dato del bugiardo, quantomeno sulle dichiarazioni tese a screditare il magistrato milanese Alberto Nobili. “ L’Autoparco poteva andare avanti altri cinquant’anni. dice Maimone. perchè nessuno a Milano avrebbe mai fatto niente. Mi era stato riferito che anche magistrati inquirenti coprivano le attività dell’Autoparco". Ed è ancora lui a parlare della necessità di far trasferire il processo da Firenze, dove “ i magistrati avevano rotto le palle", a Milano, dove c’erano “ magistrati già avvicinati in passato dall’organizzazione per aggiustare processi".

Fallai Paolo

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(20 maggio 1994) - Corriere della Sera

INCHIESTA AUTOPARCO: POLEMICHE E ACCUSE DOPO IL SEQUESTRO NELLA SEDE DEL CLUB DI TREZZANO ORDINATO DAGLI INQUIRENTI FIORENTINI

Spazzali: giù le mani dal questore SerraL’irruzione in un Rotary, le illazioni, ma Vigna dice: non indago sul superpoliziotto. le reazioni dei soci: siamo un’associazione senza elenchi segreti. il procuratore: questa storia è stata montata dai giornalisti. intanto a Firenze proseguono le indagini e il dibattimento. Epaminonda Angelo in aula sostiene di aver parlato ai giudici della struttura di via Salomone già nel 1984. il pm chiede di processare i 5 poliziotti accusati di dare copertura in cambio di denaro

INCHIESTA AUTOPARCO. Polemiche e accuse dopo il sequestro nella sede del Club di Trezzano ordinato dagli inquirenti fiorentini TITOLO: Spazzali: giù le mani dal questore Serra Il procuratore: questa storia è stata montata dai giornalisti I finanzieri hanno portato via alcune schede di iscrizione “ Ma bastava consultare il nostro annuario che è pubblico “ L’irruzione in un Rotary, le illazioni, ma Vigna dice: non indago sul superpoliziotto - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - MILANO. Erano in due: un capitano e un tenente dei Gico, le squadre speciali della Guardia di Finanza. Dieci giorni fa hanno bussato prima alla porta dell’ex presidente poi a quella del segretario del Rotary San Carlo Trezzano sul Naviglio, club che prende il nome da un grosso centro dell’hinterland patria vent’anni fa dei boss della mafia. “ Abbiamo un decreto di sequestro. sono state le loro parole. firmato dal procuratore della Repubblica di Firenze Pier Luigi Vigna e dal sostituto Nicolosi. Dateci tutta la documentazione che riguarda le iscrizione di Carlo Iacovelli, Lucio Carluccio, Francesco Colucci, Achille Serra, Alberto Liguoro, Mario Blandini e Walter Conca". Motivo di quella clamorosa iniziativa, tenuto conto che nell’elenco compaiono quattro questori e vicequestori, tra cui il superpoliziotto Serra che Berlusconi aveva proposto come ministro degli Interni e il capo dei Gip della procura della Repubblica di Milano, Mario Blandini, è stato il tentativo di acquisire agli atti dossier su queste persone, tutti soci fondatori del Rotary inaugurato sei anni fa. “ C’è un clima da caccia alle streghe. Il teorema dei magistrati fiorentini. ha spiegato l’ex presidente del Rotary San Carlo Trezzano sul Naviglio, l’avvocato Giordano Rao Torres., è davvero sconcertante: secondo loro è possibile accomunare chi, tra i nostri iscritti, può aver sbagliato con chi, invece, ha mantenuto sempre un comportamento irreprensibile. Siccome Iacovelli, arrestato per la vicenda dell’autoparco (e rinviato a giudizio proprio ieri per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, n.d.r.), figurava nei nostri elenchi con suo cognato avvocato, tre colleghi poliziotti, un magistrato e un colonnello della Finanza, secondo Vigna poteva aver inquinato anche il nostro Rotary. Gli ufficiali delle Fiamme Gialle sono tornati a Firenze con davvero poco d’interessante: soltanto le schede di queste sette persone. I dati che comparivano sui foglietti? Li definirei modesti e sommari: nome, cognome, età, indirizzo, professione e cosi via. Insomma per avere queste informazioni sarebbe stato sufficiente consultare il nostro annuario che, come ricordo, è pubblico". Stranamente l’azione dei Gico non è rimasta riservata. Ieri mattina Serra ha letto sulla prima pagina di un giornale

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romano che Vigna aveva sequestrato la sua scheda e che si indagava sul Rotary nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone. Il questore, un gentleman abituato a controllare le proprie reazioni, ha alzato il telefono e si è affidato all’avvocato Giuliano Spazzali, il difensore di Cusani. Spazzali ha subito convocato una conferenza stampa. “ Si può uccidere un uomo in vari modi. ha detto.; ora il più frequente è quello di ipotizzare incontri o scontri tra le persone indagate, o presunte tali, e inquirenti. Dopo aver garantito che Serra non è indagato, Spazzali ha sostenuto che chi ha fornito la notizia aveva uno scopo ben preciso: screditare chi non è indagato, allo scopo di farlo apparire tale. “ A questo punto. ha tuonato il legale. chiedo che si voglia chiarire il significato della notizia fatta filtrare, che la magistratura fiorentina smentisca ogni illazione su indagini a carico del dottor Serra e che si apra un procedimento sulla fuga della notizia. Inoltre, se il dottor Nicolosi vuole parlare con me, alzi il telefono e io corro da lui". Non si è fatta attendere la risposta di Pier Luigi Vigna. Il magistrato ha precisato che l’acquisizione di materiale nella sede del Rotary club Trezzano sul Naviglio è stato un “ normale atto investigativo". E ha aggiunto: “ È una storia che state montando voi giornalisti, lasciatela perdere. Siamo solo andati lì a verificare delle cose perchè c’era qualcuno che ci interessava". Quanto al fatto che Serra si sia risentito, Vigna ha detto: “ Non capisco perchè abbia nominato un difensore, visto che non c’è nessun indagato". Immediata la replica del questore di Milano: “ Non ho nominato nessun difensore. Ho soltanto incaricato un avvocato di tutelare la mia immagine di fronte ad articoli che la screditano, così come screditano quelle di altri importanti esponenti delle istituzioni". In via Fatebenefratelli, quartier generale della questura, si sono avute reazioni di vario tipo. “ Come facciamo a difenderci. ha affermato sconsolato un funzionario. da questa politica del sospetto?". “ Mettere in discussione Serra. ha aggiunto un altro commissario. è come lanciare un boomerang. Il questore, moralmente e professionalmente, è inattaccabile". E Serra? È uscito dalla sua stanza attorno alle 12.30 per incontrare i suoi dirigenti, un centinaio di persone. Appena è entrato nella stanza è scattato un lungo applauso di solidarietà. “ Se ben ricordo. ha raccontato Roberto Cambiaghi, attuale presidente del San Carlo Trezzano sul Naviglio.Serra, Colucci e Carluccio sono stati presentati dal professor Roberto Franceschini. Era il 1988. Perchè tanti poliziotti iscritti allo stesso Rotary? Se è per questo c’erano anche cinque primari. Sia chiaro, sto parlando di persone irreprensibili e al di sopra di ogni sospetto, proprio come il magistrato Mario Blandini. La nostra, è bene sottolinearlo, è un’associazione culturale e non una loggia massonica. Facciamo beneficenza e non affari sporchi, come qualcuno potrebbe sospettare. Devo aggiungere che Serra ha smesso di frequentare il club più di due anni fa. Anche Colucci e Carluccio non si facevano vedere da tempo. Quanto a Iacovelli è rimasto iscritto tre mesi. Lo aveva presentato il cognato Alberto Liguoro, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica, accusato a sua volta di favoreggiamento nell’inchiesta sull’autoparco".

TITOLO: “ Siamo un’associazione senza elenchi segreti “ LE REAZIONI DEI SOCI - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - MILANO. Soltanto un siluro al questore Serra: ai rotariani milanesi il tentativo di dipingere la loro associazione come una loggia massonica che affratella “ guardie e ladri “ sembra solo un maldestro sgambetto a chi stava per diventare ministro degli Interni. Maldestro, “ perchè il Rotary non ha elenchi segreti, è semplicemente ridicolo anche solo pensarlo. si stupisce l’avvocato Piergiusto Jaeger, presidente del Rotary club di Milano., le schede sequestrate contengono le stesse informazioni pubblicate sul nostro annuario,

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che chiunque può avere o consultare. Abbiamo festeggiato in novembre il nostro 70esimo anniversario con il senatore Spadolini. Tra i nostri consoci ci sono magistrati di altissimo livello". La notizia coglie in contropiede anche un altro rotariano, Roberto Pontremoli, liquidatore della Maa assicurazioni: “ Il Rotary è soprattutto solidarietà. spiega., sotto il profilo professionale, economico e dell’impegno volontario. Come tutte le comunità può includere il buono e il cattivo, ma le procedure di selezione sono rigorose: nessuno può entrare se c’è l’opposizione anche di un solo presidente degli altri club del distretto. Venti, nel caso di Milano. Tra noi non si parla, o non si dovrebbe parlare di affari. Personalmente non ho mai concluso affari con un altro rotariano. Sarebbe bastato che il giudice Vigna telefonasse e gli avremmo fatto avere immediatamente il nostro annuario". Non ci sono altre notizie sui soci, magari riservate, nelle schede conservate in archivio? “ C’è un curriculum vitae, aggiornato soltanto fino alla data di accesso. Forse delle referenze. ipotizza Pontremoli., ma niente di più. Quanto ai nostri scopi e attività, basta documentarsi: con l’Unicef, la Rotary Foundation sta lavorando al progetto “ Polioplus", per debellare la poliomielite nel mondo entro il 2005. Ci occupiamo di programmi umanitari e, tra i nostri obiettivi istituzionali, ci sono il restauro di beni artistici e la conservazione dell’ambiente". Scava nella memoria il governatore del distretto di Milano, Arrigo Beltrame: “ Tangentopoli ha fatto qualche vittima anche tra i nostri soci. non nega., ma era quasi inevitabile, dato che i nostri iscritti occupano spesso posti chiave nel mondo dell’economia. Ricordo di aver dato indicazione ai presidenti dei club perchè chiedessero loro di dimettersi. Il Rotary è un consiglio di benpensanti, slegati dalla politica partitica. È un’associazione che non dovrebbe avere al suo interno nè incriminati nè incriminabili. Quando il giudice Cordova mandò i carabinieri al Rotary di Pesaro in cerca di massoni, gli rispondemmo che non era necessario disturbare l’Arma: bastava chiedesse l’annuario al suo vice di Palmi, nostro socio".

TITOLO: “ Processate i 5 poliziotti “ Il pm Nicolosi chiede 30 rinvii a giudizio “ Gli agenti erano al servizio della mafia Davano copertura in cambio di denaro “ LE INDAGINI E IL DIBATTIMENTO DI FIRENZE Epaminonda in aula accusa: parlai della struttura già nell’84 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - FIRENZE. Arrivano sul tavolo del giudice per le indagini preliminari i faldoni dell’inchiesta “ Autoparco due", sulle protezioni di cui godeva la struttura di Giovanni Salesi. È la parte più scottante dell’inchiesta fiorentina, quella “ segnata “ dall’arresto di cinque poliziotti e soprattutto da una tensione altissima con la procura milanese. Il sostituto procuratore Giuseppe Nicolosi ha chiesto il rinvio a giudizio per 30 indagati con accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti al favoreggiamento. L’accusa più grave coinvolge proprio i cinque poliziotti, arrestati il 28 ottobre dello scorso anno: il vicequestore Carlo Iacovelli, dirigente del commissariato di Monforte e gli ispettori Leonardo Atterrato, Gennaro Burzì, Vincenzo Grimaldi e Roberto Stornelli. Nei loro confronti l’accusa non usa mezzi termini: li definisce “ del tutto organici “ all’organizzazione che faceva capo all’autoparco. Nella richiesta di rinvio a giudizio si accusano i cinque poliziotti, scarcerati nel gennaio scorso, di essere stati “ a continuativa disposizione dell’associazione “ per “ fornire notizie di informazioni riservate relative alle indagini che potessero riguardare l’associazione o a procedimenti relativi all’applicazione di misure di prevenzione a carattere patrimoniale". Ancora, i cinque sono accusati di avere “ fornito copertura “ all’organizzazione, in relazione all’attività economica che “ veniva

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abusivamente esercitata come schermo delle attività delittuose". In cambio avrebbero ricevuto “ compensi in denaro e altre utilità “. Contro di loro la Procura distrettuale antimafia di Firenze ha utilizzato le immagini dell’autoparco. filmato dai reparti speciali della Guardia di finanza per mesi., intercettazioni telefoniche e ambientali, riscontri patrimoniali e le dichiarazioni di alcuni “ pentiti". Tra coloro per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sul quale il Gip Roberto Mazzi ha fissato l’udienza preliminare per il 2 luglio prossimo, anche l’avvocato milanese Alberto Liguoro, difensore e cognato del vicequestore Iacovelli, accusato di aver cercato di favorire il funzionario di polizia facendo preparare una falsa ricevuta per diritti d’autore per giustificare un versamento di otto milioni di lire sul suo conto. Proprio mentre il pm Nicolosi depositava le sue richieste, nell’aula bunker di Firenze dove è in corso il processo nei confronti dei trentotto imputati del primo troncone dell’inchiesta sull’autoparco è arrivata la “ testimonianza accusa “ di Angelo Epaminonda, detto “ il tebano", personaggio di rilievo della mala milanese degli anni Settanta insieme a Francis Turatello fino al 1984 quando venne arrestato e cominciò a collaborare con gli inquirenti. “ Dell’autoparco di via Salomone. ha detto. avevo parlato ai magistrati milanesi fin dal 1984, dopo il mio arresto. C’erano il dottor Di Maggio e la polizia. Pensavo che fosse stato già smantellato, che la polizia fosse intervenuta, e invece poi in Tv 8 anni e mezzo dopo seppi che erano intervenuti gli inquirenti fiorentini".

Chiarelli Paolo, Fallai Paolo, Rosaspina Elisabetta

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(1 giugno 1994) - Corriere della Sera

“Non solo vittima dei pentiti “

I legali di Iacovelli Carlo, il funzionario coinvolto nella vicenda Autoparco, si appellano al ministro della Giustizia: il loro assistito sarebbe “in balia dei magistrati“. contestato soprattutto un episodio riguardante il pentito Maimone Salvatore, Cuscunà Salvatore e lo stesso poliziotto

"No, non è un problema di pentiti. Ma di magistrati". Ludovico Isolabella, il noto penalista che da qualche settimana affianca il collega Gian Piero Biancolella nella difesa del vicequestore Carlo Iacovelli, rinviato a giudizio per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti, ha deciso di passare al contrattacco sparando bordate, pur non citandoli direttamente, contro il procuratore della Repubblica di Firenze Pier Luigi Vigna e il suo sostituto Giuseppe Nicolosi. L’offensiva dell’avvocato si è concretizzata con l’invio di esposti al procuratore generale di Milano, Giulio Catelani, al procuratore generale della Corte di Cassazione, al ministro di Grazia e Giustizia e al Gip di Firenze. In sostanza, stando a quanto sostiene il legale, la procura del capoluogo toscano ha trasmesso una documentazione incompleta al tribunale della libertà che doveva decidere sulla scarcerazione del funzionario arrestato il 26 ottobre scorso perchè coinvolto nell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone. In particolare i giudici hanno apposto a un verbale un “omissis“ su una circostanza importantissima. Eccola. L’argomento forte dell’accusa riguardava un pranzo al quale avevano partecipato il pentito Salvatore Maimone, il pregiudicato Salvatore Cuscunà e lo stesso poliziotto. Durante l’incontro, avvenuto secondo Maimone “verso la fine del 1990, cioè poco dopo la mia fuga dalla Germania avvenuta nel settembre di quell’anno", Iacovelli “per chiudere un occhio su una partita di 700 chili di droga ricevette otto milioni in contanti, un Rolex d’oro e, giusto per festeggiare, fece una sniffata di cocaina". “A quell’epoca. aggiunse il collaboratore. il funzionario comandava il commissariato Monforte, sotto la cui giurisdizione cade l’autoparco". “La circostanza della fuga. sostiene nei ricorsi Isolabella. rappresentava l’unico elemento obiettivo per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni di Maimone, il pregiudicato che con le sue insinuazioni ha tentato di coinvolgere anche il sostituto procuratore Alberto Nobili. Così non è stato e Iacovelli è finito in galera. Sarebbe bastato fare piccoli accertamenti per scoprire che il mio cliente era diventato responsabile del Monforte nel dicembre del 1991, cioè un anno dopo". “Ed è a questo punto. aggiunge il difensore di Iacovelli. che alla procura hanno deciso di cambiare le carte in tavola. Senza preoccuparsi se si fosse trattato di uno scambio di persona o di una calunnia, il pm ha interrogato ancora una volta Maimone (il quale, messo davanti alla fotografia del funzionario, non lo aveva riconosciuto, n.d.r.) chiedendogli di ricollocare temporalmente il pranzo, ponendogli però la domanda ex novo. Maimone si era corretto e aveva parlato di un incontro avvenuto nel gennaio del 1992". “Alla fine. conclude il legale. davanti al tribunale della libertà, il pm ha risolto ogni problema mettendo un omissis proprio sui riferimenti temporali che avrebbero dimostrato la contraddittorietà della vicenda. E il mio assistito, prima di essere scarcerato, ha dovuto farsi 86 giorni di galera". Nel dare notizia dell’esposto, Isolabella e Iacovelli hanno voluto smantellare uno ad uno gli indizi raccolti nei confronti del poliziotto. Un esempio? Stando alla procura fiorentina il funzionario era di casa in via Salomone,

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tanto è vero che un certo giorno “la signora Iacovelli aveva telefonato per informare che di lì a poco sarebbe passato il figlio a ritirare il camion". Il vicequestore, però, ha soltanto figlie, per di più non in età da patente. “E poi. si domanda ancora Isolabella. perchè non si è mai indagato sul fatto che all’autoparco si appoggiava effettivamente un camionista di cognome Iacovelli con un figlio?". Perchè allora tanto accanimento da parte “dei fiorentini"? “Forse. ha risposto Iacovelli. la risposta sta in una delle operazioni che ho fatto negli ultimi anni. Mi riferisco a 20 miliardi di Cct falsi sequestrati, a un’inchiesta sull’Ortomercato, a una perquisizione alla Democrazia cristiana subito dopo lo scoppio di Tangentopoli".

Chiarelli Paolo

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(1 giugno 1994) - Corriere della Sera

Solo calunnie sul pm NobiliArchiviata l’inchiesta sulla posizione del pubblico ministero che era stato accusato dal pentito Maimone Salvatore di collusione mafiosa. giudicate completamente infondate le sue dichiarazioni

BRESCIA. Solo calunnie contro il Pm antimafia Alberto Nobili. Il Gip Andrea Battistacci, accogliendo le richieste del Pm Guglielmo Ascione, ha archiviato l’inchiesta sull’Autoparco dei veleni: sette mesi di indagini hanno accertato la completa infondatezza delle dichiarazioni del pentito calabrese Salvatore Maimone, che davanti ai Gico di Firenze aveva accusato il magistrato milanese di collusione. Scagionato Nobili, l’inchiesta continua: la Procura di Brescia intende chiarire chi abbia gestito le false accuse del pentito, che ora è indagato per calunnia “in concorso con ignoti".

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(5 giugno 1994) - Corriere della Sera

Intrigo all’OrtomercatoIl problema mafia a Milano: dopo l’indagine Duomo connection il caso è riesploso con gli arresti a fine 1992 per l’Autoparco di via Salomone. sospetti anche su poliziotti e le loro mogli. i possibili legami tra le 2 inchieste

In affari con la mafia, sospetti anche su poliziotti e le loro mogli - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Da Tangentopoli a “ Mafialandia". Mentre il pool Mani pulite continua a sciogliere il gran de intreccio affari politica, Milano torna al centro dell’emergenza mafia. Ma nella guerra a Cosa nostra spuntano, come sempre, mille nemici invisibili: un esercito di “ talpe “ e “ corvi “ che potrebbe sabotare dall’interno la macchina investigativa. A Milano come a Palermo. Sembra passato un secolo dai tempi della Duomo connection, quando sindaci e parlamentari milanesi garantivano che “ qui la mafia non esiste". Ora è il ministro dell’Interno, il lombardo Roberto Maroni, ad ammonire che “ questa città è la capitale delle attività lecite e illecite", con “ tante mafie diverse “ che fanno affari d’oro con droga, armi e soldi sporchi da riciclare nell’economia. Per difendere Milano, i magistrati del pool antimafia hanno lanciato da almeno due anni una colossale offensiva che ha decimato clan radicati da decenni nel Milanese. Nomi come Papalia, Sergi, Trovato, Flachi, Miriadi, Morabito, Miano, Mannino e Fidanzati. Centinaia di arresti che però non hanno dissipato i sospetti: a Milano la mafia ha trovato complicità fra le forze dell’ordine? Qualche uomo di legge ha coperto le basi di Cosa nostra? Già nel ‘90 il comitato antimafia aveva denunciato “ rischi di infiltrazioni all’Ortomercato": negli stand di via Lombroso, oltre a frutta e verdura, arrivava anche droga? Finora la magistratura ha trovato conferme soltanto parziali a questa pista. In compenso Tangentopoli ha decapitato i vecchi vertici della Sogemi, la società comunale che gestisce questo mercato all’ingrosso da duemila miliardi. Ma il sospetto di traffici clandestini e protezioni eccellenti è rimasto. E alla fine del ‘92 è esploso il “ caso Autoparco": un’inchiesta della Procura di Firenze portò in cella un vicequestore e quattro poliziotti del quarto distretto, sotto processo con l’accusa di aver protetto la centrale criminale di via Salomone. Un parcheggio per Tir aperto dalle cosche su un terreno demaniale, grazie alla complicità di almeno un funzionario dell’Intendenza di Finanza. Una base per i traffici di droga e armi in funzio ne per tutti gli anni ‘80. Ed ecco il sospetto: magistratura e polizia sapevano? Per ora le bocce sono ferme: a Firenze continua il processo per mafia contro il vicequestore Iacovelli e quattro ispettori del commissariato Monforte; mentre la Procura di Brescia ha demolito le accuse contro il pm Alberto Nobili, mettendo sotto inchiesta per calunnia il pentito Salvatore Maimone, che potrebbe aver tentato di incastrare il magistrato per screditare le sue precedenti confessioni sui veri mafiosi. E mentre Brescia cerca di capire chi abbia manovrato il pentito, gli inquirenti tosca ni continuano a indagare: l’ultimo blitz ha colpito il Rotary Club di Trezzano, con una richiesta delle schede di iscritti eccellenti come il questore Serra. Un’indagine shock o una manovra oscura? A complicare il quadro, ieri, ha pensato un’inchiesta giornalistica del “ Secolo d’Italia", organo ufficiale di Alleanza nazionale: il quotidiano di partito collega i casi Autoparco e Ortomercato, ipotizzando che i poliziotti corrotti dalla ma fia abbiano manovrato il pool Mani pulite “ pilotando l’inchiesta sulla corruzione “ per “ distogliere l’attenzione dai rapporti fra cosche e istituzioni". Fra i “ riscontri “ del presunto depistaggio viene citata una società, la Geacom srl, costituita nel ‘90 da Maria Luisa Morani, ex socia di uno dei fondatori dell’Autoparco e

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moglie dell’ex vicedirettore dell’Ortomercato Goffredo Ferro; Luigi Osvaldo Cè, titolare di una tabaccheria nel palazzo della Sogemi, accanto a una sede staccata del quarto distretto di polizia; e Anna Maria Della Fontana, consorte del maresciallo Pio Caffaro, indagato a Firenze per l’Autoparco. Ricostruendo gli intrecci fra altre quattro società, il giornale denuncia un’alleanza occulta tra “ mafiosi, mogli di dirigenti dell’Ortomercato e poliziotti del quarto distretto". Lo stesso dove, prima di diventare magistrato, lavorava Antonio Di Pietro, che forse è il vero bersaglio di questa nuova ondata di veleni.

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(7 giugno 1994) - Corriere della Sera

ASSISE PROCESSO AUTOPARCO VIA SALOMONE

Autoparco: il pm chiede condanne per 700 anniDura requisitoria ieri del pubblico ministero che chiede il massimo della pena per i responsabili dell’autoparco della mafia in via Salomone a Milano: Pierluigi Vigna silenzioso in aula per confermare l’unità della Procura

FIRENZE. Autoparco di via Salomone: la Procura chiede il massimo della pena. Il pm Giuseppe Nicolosi ha speso tutta la giornata di ieri per confermare, prova su prova, il complesso degli elementi d’accusa. Ha chiesto condanne per quasi 700 anni. Trent’anni per i quattro considerati i capi dell’organizzazione: Giacomo Riina, parente del più famoso boss dei Corleonesi, Jimmy Miano, presunto boss dei Cursoti, Al Barrage e Joseph Shallita. Vent’anni per l’imprenditore Angelo Fiaccabrino, massone e candidato non eletto per il Psdi alle politiche del ‘92 proprio nel collegio Milano Pavia: “Si definisce lui stesso appartenente all’organizzazione", ha detto il pm citando un’intercettazione. Condanne pesanti per tutti gli altri imputati per una somma finale di 697 anni. A sorpresa Nicolosi ha chiesto una sola assoluzione, per Leoluca Bagarella. “ Nel corso di una telefonata due imputati parlano di Bagarella come dello specialista nel mettere a posto le ossa. ha detto il pm.; poi, dopo l’arresto di Giacomo Riina, nell’organizzazione nasce l’esigenza di mettersi in contatto con un grosso referente all’interno di Cosa Nostra. Insomma c’è la prova che cercavano Bagarella ma manca quella della sua effettiva partecipazione". Ma se il pm ha fatto uscire dal processo il nome di uno dei latitanti più famosi della cupola, lo stesso che circola tra gl’investigatori che cercano di fare luce sulle bombe del ‘93 a Roma, Milano e Firenze, su tutto il resto ha risposto con durezza. Affiancato dal procuratore Pierluigi Vigna, testimone muto della compattezza della procura fiorentina, Nicolosi ha risposto agli avvocati di 22 dei 38 imputati che venerdì avevano presentato un’istanza di remissione ad altro giudice per l’inquinamento provocato dalle dichiarazioni di Salvatore Maimone, un pentito giudicato un calunniatore. “Chi ha scritto quell’istanza. ha detto Nicolosi. ha sbagliato processo, per ignoranza o per malafede. È grave far credere che siamo in quest’aula perchè c’è stato Maimone, noi qui portiamo prove. E possiamo fare il processo senza mai citare Maimone". Il pm ha riepilogato la genesi dell’indagine: “ Giorno dopo giorno abbiamo capito che all’Autoparco milanese operava un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti e di armi". Fino al blitz del 17 ottobre ‘92 con il sequestro di centinaia di milioni in contanti, armi, stupefacenti e documenti che dimostrano il passaggio di quintali di droga. “Potevamo fermarci ai risultati di quel blitz. ha concluso Nicolosi. per dimostrare che nell’Autoparco operava un’organizzazione di stampo mafioso. Ma successivamente alcune persone hanno deciso di collaborare e ci hanno confermato non solo l’esistenza e la natura dell’organizzazione ma anche i rapporti esistenti con alcuni poliziotti". Ma questo è già un altro processo.

Fallai Paolo

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(12 luglio 1994) - Corriere della Sera

La Cassazione: resta a Firenze il processo ai 38 dell’autoparcoGiudicato inammissibile il ricorso presentato dagli imputati che chiedevano la remissione ad un altro giudice

ROMA. Il processo ai 38 imputati per la vicenda dell’autoparco della mafia di Milano continuerà a Firenze. Il ricorso presentato dagli imputati che chiedevano la remissione del procedimento ad un altro giudice è stato giudicato inammissibile dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione presieduta da Giulio Franco. I ricorrenti chiedevano il trasferimento del processo per due motivi: sostenevano che fosse inquinato dalle dichiarazioni di un pentito giudicato un calunniatore e ritenevano che i giudici dimostrassero “una precisa e preordinata volontà di emettere una sentenza esemplare". Il processo riprenderà il 14 luglio.

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(7 ottobre 1994) - Corriere della SeraMANI PULITE. L’ESPOSTO INVIATO DAL GOVERNO AL PRESIDENTE SCALFARO DOPO L’INTERVISTA DI FRANCESCO SAVERIO BORRELLI AL CORRIERE: REAZIONI E COMMENTI

Borrelli: resto saldo al mio posto“non lascio la magistratura a meno che non mi caccino. finchè non si chiarisce tutto metto da parte le aspirazioni “. “ la denuncia? rischio fino a 24 anni di reclusione: spero di vivere a lungo “

MILANO. Alla fine aveva scelto Firenze. Dopo averci pensato parecchio, dopo aver tentennato e rimuginato a lungo, Saverio Borrelli aveva deciso di tornarsene nella città dov’era stato ragazzino, la città che gli ricordava la sua giovinezza. Dunque lunedì aveva fatto partire la sua domanda per concorrere alla presidenza della Corte d’appello fiorentina. Ma tutto cambia nel giro di 48 ore. Mercoledì, l’intervista del procuratore al Corriere fa esplodere lo scontro col governo. Ieri, un esposto contro Borrelli viene approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri e mandato a Scalfaro e al Pg della Cassazione, Vittorio Sgroj. Nella bufera, scelte, stanchezze e desideri familiari si consumano in fretta. E così, alle cinque di pomeriggio, il capo di Mani pulite dà un taglio alle voci che lo vorrebbero già sul piede di partenza: “ Non me ne vado dalla magistratura a meno che non mi caccino, non me ne vado dalla procura a meno che non mi rimuovano. Anzi, accantono tutte le mie aspirazioni alla Corte d’appello finchè non si definisce questa vicenda". In serata, gli uomini del pool buttano giù la bozza d’una lettera, che potrebbe essere pronta già stamattina, in cui gli chiedono di ritirare la domanda per Firenze: è il segno che il gruppo s’è di nuovo riunito dopo le polemiche delle ultime settimane. Quali che siano le conseguenze dell’intervista del procuratore, l’effetto nel palazzaccio è chiarissimo: al momento dello scontro, giudici di qua e politici di là. Le recenti voci su abbracci, veri o presunti, con Alleanza nazionale sembrano lontane anni luce, svanite nell’unanimità di quell’esposto firmato dai ministri del governo Berlusconi. Pure Gerardo D’Ambrosio, spesso su posizioni molto critiche verso il pool, si schiera senza mezze misure. Il pomeriggio comincia presto, nello studio del procuratore. Eccoli lì, i flash che riportano il testo dell’esposto a Scalfaro: “ Illustre Presidente, sottoponiamo alla sua attenzione per le determinazioni conseguenti, considerazioni di vivo allarme...". Si cita l’articolo 289 del codice penale, che punisce con un minimo di dieci anni di carcere l’attentato contro gli organi costituzionali. Si sostiene che l’intervista al Corriere è “ univocamente orientata (...) a lanciare un pesante avvertimento (...) rivolto al presidente del Consiglio e, per suo tramite, al governo che egli presiede". Borrelli legge, sorride a una ventina di cronisti che gli affollano la stanza: “ Immagino che siate venuti a portarmi la vostra solidarietà...". Brusì o. Il procuratore continua: “ Ovviamente non ho nulla da dire, dichiarazioni non ne faccio". Beh, magari una spiegazione tecnica... “ D’accordo, il presidente e il procuratore generale hanno l’obbligo di denunciarmi". Beh, il reato è piuttosto grave, no? “ Direi. Ho controllato. Non meno di dieci anni di reclusione. Il che vuol dire che potrebbero darmene anche ventiquattro. E io mi auguro di vivere altri ventiquattro anni, perchè arriverei a ottantanove... Davvero, a parte gli scherzi, non fatemi dire di più. La questione è stata portata su binari ufficiali ed è a quelli che mi dovrò riferire". L’esposto, dunque, finirà, per competenza

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territoriale, alla procura più vicina a quella di Milano: a Brescia. Lì, al fascicolo su Di Pietro, già indagato per una denuncia di Sergino Cusani, si aggiungerà così un fascicolo su Saverio Borrelli. Il capo del pool vorrebbe chiudere qui, non ha voglia di parlare ancora. Ma, a questo punto, comincia una breve commedia degli equivoci. Borrelli non ha fatto cenno al suo progetto fiorentino, forse vorrebbe tenerlo riservato. Così, quando i cronisti gli chiedono se ha intenzione di dimettersi, risponde: “ Dimettermi? Perchè ? Io resto al mio posto". Poi: “ Certo, non posso restare avvitato alla poltrona". E infine: “ Perchè dovrei lasciare la magistratura?". Già, ma la procura di Milano? “ Su questo non rispondo, se ne darebbe una lettura sbagliata. Si potrebbe pensare a una cosa consequenziale". Ce n’è abbastanza, questa sembra proprio una conferma. Borrelli allarga le braccia: “ Facciamo finta che la domanda non me l’avete fatta e che io, quindi, la risposta non ve l’ho data". Eh, no, non si può far finta... “ Vabbè, allora vi posso dire... è noto che la mia aspirazione è finire la carriera alla presidenza di una corte d’appello". Apriti cielo. Non conoscendo il risvolto fiorentino, non sapendo nulla della domanda presentata prima che scoppiasse la bagarre, la sola interpretazione possibile è che il procuratore sta annunciando il suo addio. Le molte esitazioni del suo discorso sembrano altrettante conferme. E così una ventina di telefonini cellulari si attivano contemporaneamente. C’è da avvertire le redazioni. I più veloci sono i cronisti delle radio: qualcuno si trova a dare la notizia in tempo reale e la manda in onda. È un rovescio, un vero colpo di sfortuna. Perchè, dopo neanche dieci minuti, Piercamillo Davigo va nell’ufficio di Borrelli e gli spiega quello che sta succedendo. Il procuratore esce in corridoio, pallido in viso e, per la prima volta nella giornata, perde le staffe. Quasi urla alla squadretta di giornalisti: “ Ma cosa avete capito? Io ho detto che non mi dimetto! Che non c’è nessuna mia iniziativa consequenziale a quanto è successo. Non me ne vado da Milano". E dalla procura? “ Nemmeno dalla procura! Non me ne vado e basta!". Il giallo si scioglie subito dopo. Basta scavare un po’, parlare con qualcuno al quarto piano del palazzaccio, per avere la spiegazione. La storia della domanda per Firenze, per quel posto eccellente a cui si può concorrere fino al 17 ottobre, salta fuori in fretta. Non fosse successo tutto questo pandemonio, Borrelli si sarebbe potuto trovare a lavorare gomito a gomito con Pierluigi Vigna, il procuratore fiorentino che in passato è stato in polemica dura con Milano per l’inchiesta sull’autoparco della mafia. Ma neanche stavolta il capo di Mani pulite scopre le sue carte. Qualcuno gli chiede: “ Che avrebbe detto Vigna se un giorno lei gli fosse apparso davanti a Firenze?". E lui, sornione: “ Che fa, mi fa i saltafossi? Ha imparato da Di Pietro?". Quando si dice destino. È la seconda volta che Borrelli rinuncia alla sua corsa per la corte d’appello. Aveva già dovuto fare marcia indietro a primavera. Una mattina era stata convocata in procura una conferenza stampa lampo. Nell’ufficio del procuratore, che allora era in ballo per la successione a Piero Pajardi, c’erano Di Pietro e Davigo ai quali, fino a quel giorno, continuavano a piovere le offerte di entrare nel governo. I due sostituti e il loro capo s’erano schierati davanti ai cronisti e Borrelli aveva annunciato: “ Di Pietro e Davigo restano qui, in procura, a lavorare. Io resto qui, in procura, a lavorare. E, a proposito, abbiamo preparato le richieste di rinvio a giudizio per l’Enimont... Eccole qua".

Buccini Goffredo

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(19 ottobre 1994) - Corriere della SeraVOCI SUBITO SMENTITE DAI MAGISTRATI SU UN COINVOLGIMENTO DELL’EX QUESTORE SERRA ACHILLE. RIPRENDE IL DIBATTIMENTO CONTRO IL 2° GRUPPO DI IMPUTATI

Nuovi veleni sulla poliziaSviluppi sulla vicenda dell’Autoparco milanese. Di Modica Luigi, un pentito di via Salomone che domani sarà in aula a Firenze insieme all’altro pentito Maccarone Antonino 28 anni: ci avvisavano col teledrin

La polizia? “ Ci avvertiva con il teledrin. In questo modo i gestori delle bische venivano avvisati di un’eventuale azione di polizia". Così Luigi Di Modica, uno dei killer dell’autoparco della mafia di via Salomone, collaboratore di giustizia, svela ai magistrati nuovi particolari sulle coperture di cui l’organizzazione ha goduto. Domani lui e un altro pentito, Antonino Maccarone, saranno nell’aula bunker di Firenze (dove è in programma il processo al secondo gruppo di imputati) per confermare le accuse ai poliziotti accusati di essere stati pagati dalle organizzazioni criminali in cambio di protezione. E potrebbero aprirsi nuovi scenari sulle presunte collusioni che per anni avrebbero legato alcuni poliziotti del distretto di via Carlo Poma alla potente organizzazione mafiosa che trattava eroina e armi nascondendole nei camion che arrivavano in città, tra le casse di frutta, dal Sud. Oltre al vicequestore Carlo Iacovelli e a cinque appartenenti alla polizia di Stato tutti finiti in carcere, uno dei pentiti ha riferito di “voci“ che coinvolgerebbero l’ex questore di Milano Achille Serra, attuale vicecapo vicario della polizia. Ma a domanda precisa del magistrato il pentito non ha saputo fornire nessuna indicazione precisa del suo coinvolgimento in qualche attività poco chiara: un “flop“ che ha svuotato di ogni significato la deposizione del collaboratore di giustizia. A questo proposito, le procure della Repubblica di Firenze e Milano, in un comunicato congiunto diffuso ieri in serata dopo le notizie sulle nuove dichiarazioni dei pentiti, hanno rilevato che “ancora una volta, vengono propalate, con evidenza e ad effetto, senza verificarne il fondamento o il grado di plausibilità, notizie relative a dichiarazioni di collaboratori processuali coinvolgenti l’immagine di pubblici funzionari. Nella specie le notizie si riferiscono, oltre che a uno stimato ispettore, al vice capo della polizia dottor Achille Serra, già questore di Milano: si tratta di un uomo il cui indiscusso valore professionale è avvalorato dai risultati conseguiti in anni di brillanti indagini, condotte in ogni settore criminale. Le procure della Repubblica di Firenze e di Milano ritengono priva di attendibilità la dichiarazione del collaboratore, riguardante, peraltro, voci generiche, da lui percepite, neppure attribuibili a specifiche fonti". Il 7 settembre scorso il catanese Antonino Maccarone, 28 anni, viene ascoltato nel carcere di Como dai pubblici ministeri Armando Spataro e Armando Musso (della direzione distrettuale antimafia di Milano) e da Giuseppe Nicolosi (di Firenze). Rispondendo a una domanda dei magistrati Maccarone ha raccontato che il gestore dell’autoparco della mafia Giovanni Salesi si lamentava che le coperture della polizia gli costavano “ qualche centinaio di milioni l’anno “ e ha confermato che il vicequestore Carlo Iacovelli e altri tre poliziotti (oggi imputati) erano referenti dell’organizzazione. “ Circolavano nell’organizzazione. aggiunge ancora il pentito. voci generiche che io non ero e non sono in grado di controllare: sentivo fare i nomi dell’ispettore Fontanella (una volta in servizio alla squadra mobile milanese, poi alla Dia, ndr)

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e del questore dottor Serra, con particolare riferimento alla facilità con cui alcuni pregiudicati potevano avere il porto d’armi. Queste voci le sentivo prima dell’arresto, nell’autoparco, da parte dei vari Calderiera, Giuffrida, Franco Coco". A questo punto dell’interrogatorio interviene il pubblico ministero Giuseppe Nicolosi che domanda al pentito: “ Conosce il nome di qualche pregiudicato che ha avuto il porto d’armi? “ Risposta di Maccarone: “ No. Una volta fecero il nome di un pregiudicato di Sesto San Giovanni di cui non ricordo il nome".

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(27 ottobre 1994) - Corriere della SeraCLAMOROSA SVOLTA A FIRENZE

Autoparco della mafia “ si giudichi a Milano “ Il tribunale di Firenze non è competente territorialmente a celebrare il secondo processo all’organizzazione mafiosa che gestiva l’autoparco di via Salomone. il vicequestore Iacovelli Carlo e gli altri imputati tirano un sospiro di sollievo

"Si giudichi a Milano “ La metropoli competente per territorio Cento le condanne in primo grado che ora torneranno in gioco

MILANO. “Finalmente cominciamo a rivedere il sole". È un Carlo Iacovelli raggiante quello che ieri pomeriggio ha commentato la notizia bomba appena ricevuta: il tribunale di Firenze non è competente territorialmente a celebrare il secondo processo all’organizzazione mafiosa che gestiva l’autoparco di via Salomone, a Milano. Carlo Iacovelli è il vicequestore della polizia accusato di aver coperto l’attività delle cosche in cambio di denaro: un’accusa che il dirigente di polizia ha sempre respinto con tutte le sue forze. Il colpo di scena avrà delle conseguenze sostanziali sulla intricatissima vicenda: il processo verrà sottratto ai magistrati fiorentini (il pm Giuseppe Nicolosi e il procuratore capo Pier Luigi Vigna) e sarà trasferito nel capoluogo lombardo. La decisione è stata presa dalla seconda sezione penale del tribunale di Firenze presieduta da Francesco Maradei che nelle ultime due udienze aveva analizzato le eccezioni di incompetenza avanzate dai difensori di alcuni dei 22 imputati. In mancanza della motivazione dell’ordinanza (che sarà depositata entro 30 giorni) l’avvocato Luca Ricci, difensore dei sottufficiali Roberto Stornelli e Vincenzo Grimaldi, dà una sua versione dei motivi che potrebbero aver convinto la corte a prendere la decisione. “ Nell’udienza di giovedi 20 ottobre. spiega il legale. abbiamo sollevato la questione della competenza territoriale sostenendo che, come criterio prioritario, bisognava tenere presente la prima iscrizione di notizia di reato. E la prima iscrizione di indagine sull’autoparco è di Milano, in data 12 settembre 1992, dal pubblico ministero dottor Aniello". Se difensori e imputati hanno tirato un sospiro di sollievo, mastica invece amaro la pubblica accusa. Giuseppe Nicolosi ha preferito non commentare la decisione del tribunale ("Aspetto di vedere le motivazioni, non so cosa succederà delle altre condanne") e lo stesso ha fatto il procuratore Vigna. La decisione del tribunale avrà ripercussioni sulle oltre 100 condanne già pronunciate in primo grado per la vicenda dell’autoparco. Nel primo troncone gli avvocati avevano già sollevato la questione della competenza territoriale ma il tribunale (all’interno del quale due giudici su tre sono gli stessi che hanno preso la decisione di ieri) le aveva respinte. Le prime avvisaglie di queste schermaglie si sono già avute: alcuni avvocati hanno annunciato istanza di scarcerazione per i loro assistiti già condannati.

Berticelli Alberto

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(29 ottobre 1994) - Corriere della Sera

Era pronto un “ Corvo “ contro il pm. veleni anche dall’autoparco dei clan

Retroscena e indiscrezioni sullo sfogo di Antonio Di Pietro durante la requisitoria al processo sulle tangenti pagate per le discariche. veleni dall’inchiesta di Firenze sull’autoparco della mafia

I RETROSCENA Giallo sul fax inviato da Spazzali Un’agenzia: forse quella missiva era stata sollecitata dagli ispettori Ma arrivano solo delle smentite

MILANO. Quelle voci che vengono dal carcere... a chi si riferisce Tonino Di Pietro durante il suo clamoroso sfogo in tribunale? Probabilmente non a un solo episodio. Il pm da tempo non fa più dichiarazioni alla stampa, ma chiacchierando con qualche amico si lascia sfuggire che ha voluto soprattutto sottolineare un clima in cui ciascuno si alza e tira un colpo al piccione, lanciando un’accusa al pool. Forse i veleni di questi ultimi giorni sono stati discussi anche in un vertice, ieri sera, nell’ufficio del procuratore Borrelli. Alcuni segnali vengono da Firenze, dal consueto calderone dell’inchiesta sull’autoparco della mafia. Fanghi e improbabili confidenze filtrano ormai da un anno abbondante. Eppure c’è anche qualcos’altro. Un detenuto ha raccontato al suo avvocato che certi compagni di carcere gli avrebbero chiesto di scrivere una lettera, anonima, contro quattro magistrati: Antonio Di Pietro, Armando Spataro, Alberto Nobili e Francesco Di Maggio. E, grosso modo, lo stesso gruppo di giudici già nel mirino dei vecchi veleni fiorentini. Insinuazioni inverosimili, che forse tentano di creare attriti tra le procure di Milano e Firenze. O che, forse, puntano a screditare i pentiti e l’indagine. La storia di questo detenuto viene a galla quando l’avvocato, correttamente, va da Di Pietro e da Spataro per informarli della vicenda. Il detenuto racconta che qualcuno, in carcere, gli ha fatto avere un compitino: lui dovrebbe scrivere, in sostanza, che Di Pietro e i tre colleghi si spartiscono ogni mese una sessantina di milioni, quattrini che sarebbero il compenso di chissà quali favori per un paio di pentiti. Cosa c’entri Di Pietro con i pentiti di mafia e cosa c’entrino i giudici antimafia con Di Pietro è difficile da comprendere. Ancor più difficile capire perchè i corvi dovrebbero ricorrere a un detenuto per scrivere una lettera anonima, anzichè servirsi di qualcuno in libertà e senza controlli sulla corrispondenza. Il fangoso bigliettino doveva essere indirizzato al procuratore fiorentino Vigna. Ma c’è pure un’altra storiaccia. Dalla vicenda dell’autoparco filtrano le soffiate di un personaggio, considerato poco credibile, che continua a ripetere di come un detective fiorentino gli avrebbe fatto domande sui giudici di Milano. Questo personaggio riempie verbali, racconta agli inquirenti milanesi la sua storia e gli atti finiscono alla procura di Brescia. Ai sussurri s’aggiunge un giallo, per tutt’altra faccenda. Due giorni fa l’avvocato Giuliano Spazzali invitava con un fax i colleghi della Camera penale milanese a segnalare “ casi interessanti “ sulle indagini della procura da portare all’attenzione degli ispettori di Biondi. Ieri sera l’agenzia di stampa Adnkronos lancia una voce: “ I ben informati sostengono che in realtà la richiesta per quella missiva sia partita proprio dagli ispettori del ministero". Ovvero: l’iniziativa di Spazzali sarebbe stata sollecitata dagli uomini di Biondi. La stessa agenzia, però, registra che la voce trova solo smentite. Quella di Spazzali, innanzitutto, e poi

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quella di Gaetano Pecorella, presidente nazionale delle Camere penali, che assume su di sè la responsabilità dell’invito. Brutto clima davvero.

Buccini Goffredo

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(10 gennaio 1995) - Corriere della Sera

MAFIA

Autoparco: processo nulloFIRENZE. Il processo dell’autoparco è tutto da rifare. E sarà trasferito da Firenze a Milano, come già era successo il 26 ottobre scorso per un’altra parte dell’inchiesta. “ Incompetenza territoriale “ ha sentenziato ieri la seconda sezione della corte d’appello di Firenze che si occupa del caso del parcheggio milanese di via Salomone considerato la “ Centrale operativa", di Cosa nostra nell’Italia centro settenrionale. La corte ha così annullato la sentenza del Gip fiorentino Roberto Mazzi che nel gennaio del ‘94 inflisse, tra l’altro, vent’anni di reclusione a Giovanni Salesi, gestore dell’autoparco.

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(10 gennaio 1995) - Corriere della SeraPER LA “ BASE “ CRIMINALE IN VIA SALOMONE ALLA SBARRA ANCHE UOMINI DELLA POLIZIA

I veleni del caso AutoparcoImputati eccellenti e legami con la mafia nel processo trasferito a Milano

Con una sentenza in parte prevista, la seconda sezione della Corte d’appello di Firenze ha annullato le condanne inflitte ai primi 23 imputati dell’autoparco della mafia di via Salomone. I giudici hanno accolto, contrariamente alla richiesta del procuratore generale Tindari Baglioni, l’eccezione di incompetenza territoriale della magistratura fiorentina sollevata da alcuni avvocati difensori, tra cui quelli di Giovanni Salesi, il gestore dell’autoparco della mafia condannato a 20 anni di reclusione. La sentenza di ieri ricalca quella del 26 ottobre dello scorso anno, quando il tribunale di Firenze, chiamato a giudicare sul secondo troncone di imputati dell’inchiesta condotta dalla direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano, aveva accolto le tesi difensive riconoscendo la propria incompetenza territoriale, con conseguente passaggio a Milano del processo, fissato per il prossimo 7 marzo. Tra gli imputati del secondo troncone c’erano anche il vicequestore Carlo Iacovelli (all’epoca dirigente del IV distretto di polizia di via Carlo Poma) e tre poliziotti, tutti accusati di avere avuto, a vario titolo, collusioni con l’organizzazione mafiosa. L’inchiesta sull’autoparco della mafia, considerato dagli investigatori fiorentini la “ centrale operativa “ della mafia catanese in Italia settentrionale, era scattata nel 1992, seguendo i contatti e i traffici di un’organizzazione mafiosa individuata a Prato, in Toscana, e proprio in virtù di questa primogenitura iscritta nel registro dei reati a Firenze. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica di Firenze Giuseppe Nicolosi e svolte materialmente dai Gico della guardia di finanza, hanno portato dietro le sbarre decine di imputati. Dopo il blitz nell’autoparco di via Salomone avvenuto il 17 ottobre 1992, era nata la stagione dei veleni tra le Procure di Firenze e di Milano. In base alle rivelazioni di alcuni pentiti si era aperto un nuovo troncone nell’inchiesta per le presunte coperture e collusioni che alcuni poliziotti avevano concesso, dietro compenso, ai capi che tiravano le fila dei traffici illeciti (droga e armi) che gravitavano attorno all’autoparco della mafia. Il primo troncone dell’inchiesta si era concluso, in primo grado, con le 23 condanne inflitte. con rito abbreviato. dal giudice delle indagini preliminari Roberto Mazzi. Altre 32 condanne erano state poi comminate dal tribunale. Tra le più pesanti, quella a 30 anni a Jimmy Miano, considerato uno dei personaggi chiave dell’organizzazione, e a Giacomo Riina, zio del boss Totò Riina, condannato a 8 anni per associazione mafiosa. Per la seconda tranche dell’inchiesta, sempre lo stesso magistrato aveva assolto una persona e inflitto undici condanne: tra queste. e sempre con il rito abbreviato. quella contro l’ispettore di polizia Leonardo Atterrato, ai tempi in servizio a Milano, condannato a quattro anni, sempre per associazione mafiosa.

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(14 febbraio 1995) - Corriere della Sera

AVVISO DI GARANZIA PER FRANCESCO MANDALARI E VINCENZO MAVILLA: RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA

Due avvocati accusati di mafiaSospetto atroce: uno dei legali voleva fare assassinare un collega

Sotto inchiesta per mafia altri due avvocati milanesi. Uno dei quali, secondo l’accusa, avrebbe chiesto ai picciotti il “ favore “ di ammazzare un noto collega. Nei giorni scorsi la Direzione distrettuale antimafia ha notificato due informazioni di garanzia per associazione a delinquere di stampo mafioso a Vincenzo Mavilla e Francesco Mandalari, difensori di grossi esponenti della criminalità organizzata. Gli investigatori della Criminalpol hanno già perquisito le abitazioni e gli studi dei due avvocati, sequestrando documenti giudicati “ molto interessanti". Si parla di carte scottanti sulle cosche che controllavano l’autoparco di via Salomone, finito sotto inchiesta prima a Firenze, come centrale dei traffici di armi e droga, poi a Milano, come “ scannatoio “ della ‘ndrangheta e di Cosa Nostra. Nella stessa indagine, mesi fa, il pentito Luigi Di Modica aveva fatto anche il nome dell’avvocato Giuliano Spazzali: una dubbia dichiarazione “ de relato “ che provocò una furibonda smentita del legale. Mavilla e Mandalari, secondo l’accusa, avrebbe accettato di fare da “ portaordini “ dei clan, trasmettendo messaggi tra i boss detenuti e gli affiliati ancora in libertà. Contro Mavilla il pm Armando Spataro ha fatto partire anche una richiesta di misura di sicurezza, la “ libertà vigilata", che si fonda sul presupposto della “ pericolosità sociale". Proprio lui infatti avrebbe domandato alle cosche prima di gambizzare e poi di eliminare un collega, l’avvocato Egidio Egidi. Un’"esecuzione “ che sarebbe legata a motivi di gelosia professionale. Sulla richiesta del pm si pronuncerà nei prossimi giorni il gip Guglielmo Leo. Mandalari era stato arrestato nei mesi scorsi nel corso dell’operazione “ Belgio", come presunto complice dei clan della droga di Piazza Prealpi. L’accusa, allora, era di associazione a delinquere con finalità di narcotraffico. Ora, dopo la scarcerazione decisa dal gip per il venir meno delle esigenze istruttorie, deve rispondere del reato infamante previsto dall’articolo 416 bis del codice penale: mafia. A chiamare in causa i due avvocati è Giorgio Tocci, 36 anni, che dal giugno scorso è uno dei due superpentiti dell’inchiesta milanese sull’autoparco. Tocci, originario di San Giorgio Jonio (Taranto), è un ex poliziotto: negli anni 80 fu arrestato e condannato per una serie di favori al boss Angelo Epaminonda, in particolare per avergli consegnato aragoste e fumetti porno in cella di sicurezza. “ Quando uscii dal carcere. ha poi spiegato Tocci ai giudici. decisi di diventare un vero criminale e cominciai a fare il killer". Ieri pomeriggio il Consiglio dell’Ordine degli avvocati si è riunito, alla presenza del pm Spataro, per esaminare il caso in vista di eventuali provvedimenti di sospensione cautelativa dei due legali inquisiti.

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(1 giugno 1995) - Corriere della Sera

UN PENTITO SULL’AUTOPARCO: VERBALI SUGGERITI ANCHE DA VIGNA

“Costretto a inguaiare i pm milanesi “ MILANO. Il caso dell’autoparco si arricchisce di un nuovo capitolo. Un pentito di ‘ndrangheta, Salvatore Maimone, chiamato a deporre in tribunale a Milano, ha indirettamente accusato i finanzieri e il procuratore di Firenze, Vigna, con un suo sostituto, Nicolosi, di avergli suggerito i verbali nei quali indicava i nomi di poliziotti e magistrati milanesi, a suo dire, collusi con le cosche. Salvatore Maimone, ieri in aula, si è limitato a confermare le dichiarazioni rese in istruttoria alle Procure di Milano e Brescia: proprio in quelle dichiarazioni spiegava di avere mosso accuse fra gli altri ad Alberto Nobili e Armando Spataro (due inquirenti da sempre in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata) su suggerimento degli investigatori di Firenze. Biondani a pagina 15

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(1 giugno 1995) - Corriere della Sera

PROCESSO AUTOPARCO. MAIMONE SMENTISCE LE PRIME DICHIARAZIONI

Il pentito accusa Firenze“Sì, volevano farmi inguaiare i magistrati di Milano “

"Mi chiedevano se c’entrava Di Pietro ma io risposi che l’avevo visto solo in Tv Per loro Nobili aveva protetto dei killer"

MILANO. Al processo autoparco, il pentito ritratta le accuse contro poliziotti e giudici di Milano “ corrotti dalle cosche". Confermando che quei verbali di due anni fa “ furono suggeriti": “ Finanzieri e magistrati di Firenze fanno le domande e si danno le risposte da soli". Il protagonista dell’intrigo giudiziario, che rischia di aprire un nuovo scontro tra Procure in prima linea, è Salvatore Maimone, 42 anni, “ santista “ catanese della ‘ndrangheta del Nord e collaboratore chiave dell’inchiesta sulla centrale delle cosche di via Salomone. L’inchiesta sull’autoparco fu aperta a Firenze nel ‘92, ma l’anno scorso il processo fu trasferito a Milano per competenza. Sul banco degli imputati, con i presunti boss, un drappello di poliziotti del quarto distretto, guidati dall’ex vicequestore Carlo Iacovelli. Ma nell’indagine toscana, condotta dai finanzieri dei “ Gico", si parlava anche di “ magistrati milanesi corrotti". E l’ondata di fango, nel novembre ‘93, aveva raggiunto nientemeno che il pm Alberto Nobili, subito difeso da Borrelli come “ punta di diamante dell’antimafia". È poi scagionato con formula piena dai giudici di Brescia. Il caso si è riaperto ieri con questa deposizione del pentito Maimone davanti alla terza sezione del tribunale: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, ma confermo tutte le dichiarazioni rese ai giudici di Milano e Brescia". L’avvocato Isolabella, che difende Iacovelli, esulta: “Visto? Maimone non conferma i verbali di Firenze!". E l’ex vicequestore sorride: “A Brescia e Milano, il pentito aveva smentito le accuse di Firenze. È la conferma che i Gico si sono inventati tutto". Il verbale chiave della complessa vicenda è del 6 dicembre ‘93: Maimone piomba a Milano chiedendo di “ conferire urgentemente con il pm Aniello". E dichiara: “ Nei giorni scorsi sono stato interrogato diverse volte dalla Procura di Firenze... Però non vorrei più essere interrogato da loro perchè si danno le risposte da soli... Mi riferisco solo al dottor Nicolosi, perchè nell’ufficio di Vigna è stato usato il registratore e quando lui mi ha chiesto se conoscevo magistrati di Milano, ho risposto di no". L’interrogatorio prosegue “ alla presenza di Borrelli": “ Gli ufficiali dei Gico dicevano che Nobili aveva protetto i colpevoli di un omicidio... Poi hanno iniziato a chiedermi di Di Pietro, dicendomi che nell’80 faceva il poliziotto con Iacovelli, ma io ho risposto che l’ho visto solo in Tv... Mi dicevano anche che Di Maggio sapeva tutto sull’autoparco, dal boss Epaminonda... Mi hanno inoltre parlato del dottor Spataro, che non avevo mai visto... Il dottor Vigna mi ha domandato se, almeno per sentito dire, ero a conoscenza di fatti di corruzione relativi a magistrati di Milano. Nicolosi invece mi aveva invitato a riferire solo fatti precisi". Del caso viene investita la Procura di Brescia, dove il 12 dicembre ‘93 Maimone conferma: “ Al quarto distretto i mafiosi avevano complicità... Ma i nomi dei poliziotti non li so...". Domanda del pm Maddalo: “ Qualcuno le ha mai

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confidato di magistrati che coprivano l’autoparco?". Risposta: “ Sì, i Gico di Firenze". Ma le sorprese non sono finite. Ieri a Milano il pm Chiaro ha chiesto di acquisire, nel silenzio di Maimone, tutti i verbali del pentito, tranne quello firmato dal procuratore Borrelli. I difensori sono insorti. E il presidente Gamacchio ha accolto l’obiezione: “ Per capire questa storia, serve anche il verbale di Milano".

Biondani Paolo

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(18 giugno 1995) - Corriere della Sera

NEL DEPOSITO DI VIA SALOMONE LA CHIAVE DI 17 DELITTI DI MAFIA: IL PM SPATARO CHIEDE 89 RINVII A GIUDIZIO

Autoparco mattatoio dei clanI killer uccidevano, poi i corpi finivano pressati nei rottami

Diciassette omicidi, tra cui spicca l’assassinio di Roberto Cutolo. Altri nove delitti falliti per un soffio. E, sullo sfondo, una scoperta: l’autoparco di via Salomone non era una “ semplice “ centrale operativa per i traffici di droga e armi, ma un vero e proprio “ scannatoio “ della mafia. Una base sicura dove poter strangolare i nemici di turno. Eliminando anche i cadaveri, pressati con i rottami delle macchine. Il pm Armando Spataro ha chiuso con 89 richieste di rinvio a giudizio la seconda inchiesta milanese sulla “ federazione delle cosche “ che vinse la guerra di mafia esplosa a Milano nei primi anni ‘90: sotto accusa un’alleanza criminale tra ‘ndrangheta, camorra, clan catanesi e pugliesi. L’indagine ruota attorno al famoso autoparco che già nel ‘92 finì nel mirino dei magistrati di Firenze. Che accertarono complicità eccellenti anche nella massoneria e nelle istituzioni: in questi giorni, tra mille veleni, sono sotto processo alcuni poliziotti, come l’ex vicequestore Iacovelli, che secondo l’accusa si sarebbero lasciati corrompere dai mafiosi. Raccogliendo la “ sfida “ di Firenze, gli investigatori milanesi hanno proseguito le indagini, alzando il tiro: boss e picciotti, ora, devono rispondere non solo di traffici sporchi, ma anche di 26 omicidi tentati o realizzati dal ‘90 al ‘93. La vittima più celebre fu Roberto Cutolo, figlio del boss della camorra perdente, ammazzato il 19 dicembre ‘90 a colpi di lupara nel Varesotto, dove era in soggiorno obbligato. Quattro giorni più tardi, in Campania, fu ucciso Salvatore Batti, che aveva tentato di raccogliere l’eredità del “ re della Comasina “ Renato Vallanzasca. Secondo il pm Spataro, quella doppia esecuzione fu uno “ scambio di favori": Cutolo fu eliminato dai killer del clan calabrese di Franco Coco Trovato, Pepè Flachi e Antonio Schettini, deciso a sfondare i confini lecchesi; Batti, sospettato tra l’altro di passare informazioni alla Criminalpol, fu ucciso dai camorristi emergenti di Raffaele Ascione e del superlatitante Mario Fabbrocino. Per far luce sulla “ federazione mafiosa", che comprendeva anche i calabresi di Paviglianiti e i catanesi di Jimmy Miano e Turi Cappello, sono risultate decisive le rivelazioni di 15 pentiti, tra cui spiccano Luigi Di Modica e l’ex poliziotto Giorgio Tocci, già inquisito per aver passato cocaina e aragoste al “ detenuto “ Angelo Epaminonda. Nel suo atto d’accusa, che verrà esaminato dal gip Guglielmo Leo nell’udienza preliminare del 4 luglio, il pm Spataro, che pure ne ha viste tante, si dichiara impressionato dalla “ straordinaria ferocia “ dei killer dell’autoparco. Testimoniata, ad esempio, dal destino di due corrieri turchi, strangolati in via Salomone perchè la ‘ndrangheta non voleva pagare i carichi di eroina. In un verbale agghiacciante, il pentito Annacondia cita una confidenza di Coco Trovato: “ Beati voi pugliesi, che potete bruciare i cadaveri in spiaggia o nelle cave. Qui a Milano non s’incendia neppure un copertone senza dare nell’occhio. E così dobbiamo ridurre i corpi a scatolette con la pressa dell’autodemolitore". Tra i capitoli più inquietanti, la “ corruzione tra le forze dell’ordine". Sotto accusa, per ora, tre persone: Franco Spatola, poliziotto a Porta Genova fino al giugno ‘94;

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l’ispettore in pensione Paolo La Vigna, fotografato all’Ippodromo anche nel ‘93; e Giorgio Nuzzo, ex carabiniere di Monza. Ma sul fronte delle coperture l’inchiesta continua: nel mirino insospettabili riciclatori, come il defunto Ubaldo Nigro (negozi Uba Uba), e altri complici eccellenti, alcuni dei quali in divisa.

Biondani Paolo

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(20 giugno 1995) - Corriere della Sera

DETTO E FATTO

Processo Autoparco. sentiti Iacovelli e LiguoroSolo rapporti commerciali per la compravendita di automobili e il trasporto di mobili e nessun tipo di regalo ci sarebbero stati tra i titolari dell' autoparco di via Salomone e Carlo Iacovelli, 46 anni, vice questore ed ex dirigente del quarto distretto della questura. Lo ha dichiarato al tribunale penale lo stesso Iacovelli, imputato di associazione per delinquere. Durante l' udienza di ieri e' stato sentito anche l' ex sostituto procuratore generale di Milano Alberto Liguoro, accusato di favoreggiamento.

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(24 ottobre 1995) - Corriere della Sera

DUE LIBRI DI BRUNO VESPA E ANDREA PAMPARANA CERCANO DI RACCONTARE PERCHÈ IL PM PIÙ FAMOSO D’ITALIA DECISE DI TOGLIERSI LA TOGA

Un intrigo di mafia contro Di PietroL’atroce sospetto: Cosa nostra voleva distruggere il magistrato di “ Mani pulite “

Un anno fa, novembre. Un avviso di garanzia liquida il presidente del Consiglio Berlusconi. Un anno fa, dicembre. La toga di Antonio Di Pietro finisce nel guardaroba del processo Enimont. In pochi giorni l’auto in corsa della rivoluzione italiana accelera, sbanda, va in testacoda. Crolla un governo, s’infrange un mito. È la stagione dei veleni che spariglia i giochi della mai nata Seconda Repubblica e apre il pozzo nero dei dossier. Il duello, lo scontro vero, la guerra pesante per il potere comincia qui, con carte vere e carte false, ispezioni alla procura di Milano, insinuazioni, messaggi trasversali, vendette e clamorosi voltafaccia. Bisogna rileggere il romanzo degli ultimi mesi vissuti dal Paese sull’orlo del burrone per capire come finirà. A scriverlo ci ha provato Bruno Vespa, ex direttore ed editorialista del Tg1, che parte da quella mattina del 21 novembre quando l’ex pm di Mani pulite scrive di suo pugno l’avviso di garanzia destinato al presidente del Consiglio in carica, per dare una trama allo scontro politico istituzionale in atto. “ Il duello “ (Nuova Eri, Mondadori editore) ci porta nel cratere del vulcano che brucia politici e magistrati. Da quella notte (qui sotto pubblichiamo un capitolo del libro, quello dello scoop del Corriere che anticipo’ la notizia di portata mondiale, mentre Berlusconi a Napoli presiedeva il vertice del G7) niente è più come prima. Giudici contro politici, politici contro magistrati, procure contro procure: tutti contro tutti, insomma, Destra, Centro, Sinistra attorcigliati in un battaglia di cui nessuno ha ancora fischiato la fine. Verità, rivelazioni, testimonianze. Che si fondono con quelle di un altro pamphlet uscito in questi giorni. È di Andrea Pamparana, cronista storico del Tg5 dal fronte di Tangentopoli, che offre una chiave di lettura diversa per capire meglio la reale posta in gioco. “ Distruggete Antonio Di Pietro “ (Pironti editore) è un libro dossier che svela il complotto per fermare l’uomo simbolo di Mani pulite e anticipa il piano della Mafia per bloccare l’inchiesta che ha sconvolto l’Italia. “Quando l’inchiesta si avvicinava all’unica grande verità accertata in questi ultimi quattro anni, quella che la corruzione politica utilizzava, e forse utilizza ancora oggi, gli stessi canali di circolazione del denaro utilizzati da Cosa nostra, è stata stoppata". Pamparana mette il naso nel mistero dell’Autoparco di via Salamone, estrema periferia Sud di Milano, a pochi metri dall’Ortomercato, luogo di compravendite di macchine usate e distrutte, ma in realtà avamposto della mafia al Nord per il traffico della droga e il riciclaggio del denaro, e rivela gli inediti di un viaggio americano di Antonio Di Pietro: “Nel ‘92 il magistrato sbarca negli USA. Certamente interrogò uno dei principali collaboratori di Ligresti, altrettanto certamente ebbe un incontro con un ufficiale della Dea per parlare di strani intrecci finanziari del gruppo Ligresti. Poco prima della sua partenza uno dei poliziotti che collaboravano con lui all’inchiesta Mani pulite e lavorava al IV Distretto mi confidò che Di Pietro negli USA avrebbe addirittura dovuto incontrare Tommaso Buscetta". Vero? Falso?

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Dietro l’Autoparco e il blitz della procura di Firenze che smantella il quartier generale di Cosa nostra c’è un altro mistero: tra gli arrestati c’è Angelo Fiaccabrino, faccendiere che ha fallito la scalata politica ma tiene rapporti con le cosche e con i poliziotti del IV Distretto che lavoravano a fianco di Di Pietro. Dunque, la Mafia, interessata agli appalti pubblici, teneva sotto controllo le indagini del pm e aveva informazioni di prima mano? Fu la Mafia a ordinare: distruggete Di Pietro? Pamparana lancia il sospetto. Il seguito alla prossima puntata.

Schiavi Giangiacomo

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(14 dicembre 1995) - Corriere della Sera

DETTO E FATTO

Autoparco, il pm chiede sette anni per IacovelliAl processo autoparco il pm Chiaro ha chiesto 7 anni di reclusione per l' ex vicequestore Carlo Iacovelli, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione, e sei anni per gli altri poliziotti considerati complici dell' "alleanza di cosche" di via Salomone. La condanna piu' pesante, 20 anni di carcere, e' stata chiesta per il presunto gestore dell' autoparco Salvatore Cuscuna' . Tra le altre richieste, 12 anni per l' avvocato Cucinotta e 9 per l' imprenditore siciliano Cattafi. La sentenza e' affidata alla terza sezione del tribunale (presidente Gamacchio).

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(11 gennaio 1996) - Corriere della Sera

AUTOPARCO

Firenze annulla la sentenzaFIRENZE. Annullata la sentenza contro i 32 imputati (e le relative condanne di reclusione dai 30 ai 2 anni) del primo troncone dell' inchiesta fiorentina sull' autoparco di via Salomone a Milano, considerato una centrale operativa dei clan mafiosi per i traffici di droga e armi. La prima sezione della Corte d' appello di Firenze ha accolto le eccezioni della difesa, contrario il sostituto procuratore generale Tindari Baglione, e ha dichiarato l' incompetenza territoriale. La Corte d' appello ha quindi disposto la trasmissione degli atti al tribunale di Milano, dove e' in corso il processo per il secondo troncone.

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(31 gennaio 1996) - Corriere della Sera

Autoparco, 18 colpevoli

Condannati anche due poliziotti per corruzione

Assolto l' ex vicequestore. Pene pesanti ai boss implicati nel grosso traffico d' armi e di droga

MILANO. Diciotto condanne e quattro assoluzioni. Con due importanti verita' giudiziarie, dopo tre anni di veleni: l' autoparco di via Salomone a Milano, scoperto nell' ottobre ' 92, nascondeva una centrale dei traffici di droga e armi utilizzata da piu' clan nel segno della pax mafiosa. Ma l' indagine sulle coperture istituzionali non e' riuscita a provare che i poliziotti del quarto distretto fossero complici di Cosa Nostra: l' ex vicequestore Carlo Iacovelli e il suo collaboratore Vincenzo Grimaldi sono stati scagionati con formula piena; due agenti dello stesso commissariato, Roberto Stornelli e Gennaro Burzi' , sono colpevoli di corruzione e pagheranno con 4 anni e mezzo di reclusione, ma non di "concorso esterno in associazione mafiosa". La sentenza e' stata letta ieri alle 19 dal presidente della terza sezione del tribunale, Piero Gamacchio. Dopo 7 giorni di camera di consiglio i giudici hanno convalidato il teorema dell' accusa per capi, gregari e amici difensori. L' avvocato Giuseppe Cucinotta, incarcerato per due mesi come "portaordini delle cosche" grazie ai colloqui in carcere, si e' visto infliggere 10 anni e mezzo per concorso esterno in mafia. Rosario Cattafi, imprenditore siciliano con un passato in Ordine Nuovo, e' stato punito con 11 anni e 8 mesi: detenuto dall' ottobre ' 93 come finanziatore dei traffici di armi e droga, dopo il verdetto e' scoppiato a piangere. Alberto Liguoro, gia' sostituto procuratore generale a Milano e poi avvocato dell' ex vicequestore Iacovelli, e' stato condannato a un anno, con la condizionale, per tentato favoreggiamento. Tredici anni al catanese Salvatore Cuscuna' detto Turi Buatta, presunto "dominus" dell' autoparco per conto di Santapaola. Le pene piu' pesanti sono toccate ai presunti boss della droga (eroina, cocaina ed ecstasy): 30 anni al fornitore giordano Hassan Masalmeh, 18 e mezzo ai suoi fratelli Wahab e Kaled, tutti latitanti, e al costaricano Ianguillermo Rodriguez Solis; tra i 17 e i 18 anni e mezzo a Francesco Di Bella, Giovanni Gurreri, Carmelo Fazio e Pietro Cutugno. Assolti "Turi" Ventura e l' editore Renato Dattolico, protagonista del caso Iacovelli: era accusato di aver mascherato, consegnando a Liguoro una falsa fattura per un libro, una "tangente mafiosa" di 8 milioni all' ex vicequestore. Il vincitore del processo e' proprio Iacovelli: "Sono uscito da un incubo". Il suo difensore, Ludovico Isolabella, attacca: "L' autoparco? La prima manovra, fallita, per fermare i pm di Milano. Ora ci stanno riuscendo". L' avvocato di Grimaldi e Stornelli, Luca Ricci, aggiunge: "Giustizia e' fatta, perche' e' caduta l' assurda accusa di mafia. E ora l' appello".

Biondani Paolo

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(1 febbraio 1996) - Corriere della Sera

DALLE 448 PAGINE DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE RIBALTA LE TESI SOSTENUTE DAI PM TOSCANI

Autoparco, smontato il teoremaI giudici: “ Falso il racconto del pentito sui poliziotti “

Sono centrate sul caso Iacovelli le 448 pagine di motivazioni della sentenza autoparco, lette l’altra sera in tribunale dal presidente Piero Gamacchio I giudici non si sono limitati ad assolvere il vicequestore arrestato nel ‘93 con l’infamante accusa di associazione mafiosa, ma lo hanno riabilitato capovolgendo l’accusa: “Proprio Iacovelli, come dirigente del quarto distretto, aveva dato coerente sviluppo alle informative della Finanza e nel marzo del ‘92 aveva cercato di spostare il commissariato nell’area abusivamente occupata dall’autoparco". Uno sgombero delle cosche bloccato da due politici. Per proclamare Iacovelli innocente, i giudici demoliscono “ le due architravi “ dell’inchiesta. Per cominciare, “la difesa ha dimostrato che il suo patrimonio è di provenienza lecita", mentre “la prova d’accusa è pacificamente caduta in dibattimento, tanto che lo stesso pm ha rinunziato a discuterne". Smontata la perizia contabile, restava solo la “chiamata di reità, e non di correità“, del pentito Salvatore Maimone. Senonchè “le sue accuse, rese a Firenze, sono state sostanzialmente ritrattate a Brescia, per tacere di Milano". Un “ radicale mutamento di rotta “ che, secondo Gamacchio, “ potrebbe chiudere qui la discussione". Ma “ sono tali e tanti gli elementi da cui desumere la inattendibilità di Maimone, che il giudizio trasmoda in una valutazione di falsità “. Nessun altro teste, spiegano i giudici per 60 pagine, conferma il pentito, che invece si smentisce da sè sull’ultimo gestore dell’autoparco (ancora Salvatore Cuscunà anzichè Giovanni Salesi), sulla sua frequentazione (da “ assidua “ a “ episodica") e perfino sulla propria affiliazione (da Cosa nostra alla ‘ndrangheta). Una “ totale inaffidabilità “, che sfocia nell’ammissione di “ non aver mai saputo i nomi dei poliziotti corrotti di Milano, ma solo di Como". Resta da capire che fine farà il maxiprocesso al clan Mazzaferro: circa 400 accusati da Maimone. Quanto all’avvocato Giuseppe Cucinotta, condannato a 10 anni e mezzo come portaordini del boss Jimmy Miano, il giudizio è drastico: “ È evidente il suo contributo volontario e consapevole non solo all’associazione mafiosa ma anche a quella finalizzata al traffico di stupefacenti, in un momento particolarmente importante per la loro sopravvivenza". Nella sentenza non mancano sorprese: un assegno “ trovato all’autoparco dentro la fotocopia arrotolata di una sentenza della Cassazione": o la scoperta che il blitz dell’ottobre del ‘92 bloccò una trattativa su “ mille chili di cocaina". Da parte sua, il pm Domenico Chiaro si dice “ soddisfatto per le 18 condanne che confermano l’impostazione dell’accusa sulla pericolosità dell’organizzazione “ e annuncia appello contro 3 delle 4 assoluzioni. Per Iacovelli e un altro poliziotto assolto, Vincenzo Grimaldi, l’incubo del processo continua.

Biondani Paolo

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(1 febbraio 1996) - Corriere della Sera

PARLA IL VICEQUESTORE ASSOLTO

Iacovelli: “ I miei tre anni di calvario “ “Qualcuno aveva interesse a bollarmi come mafioso... Ho sopportato tutto grazie alla famiglia e alla Fede “

Allora, dottor Iacovelli: adesso, dopo essere stato seppellito da un cumulo d’accuse, non è più un mafioso? Carlo Iacovelli, il vicequestore ex dirigente del IV distretto della polizia di Stato di via Carlo Poma accusato dai giudici di Firenze di essere un “ fiancheggiatore esterno “ nell’autoparco della mafia, è ancora frastornato dalla sentenza che lo ha assolto con formula piena. Stanco, svuotato, felice ma ancora “ triste di dentro", fatica a rispondere alle domande. “ Guardi, per la verità, mafioso non lo sono mai stato. Era nelle intenzioni di qualcuno che lo fossi. O meglio: serviva a qualcuno farlo credere". E chi è questo qualcuno che le vuol male? “ Basta leggere le motivazioni della sentenza, che sono pubbliche. Si parla del modo in cui sono stati effettuati alcuni passaggi fondamentali delle indagini. Di più, per il momento, non voglio aggiungere. C’è tempo per le polemiche". Sua moglie e le sue due figlie come hanno preso la sentenza di assoluzione? “ Con una grande, grandissima, gioia. Abbiamo ritrovato la serenità. Anche se, interiormente, io sono sempre stato sereno, perchè non ho mai avuto nulla di cui rimproverarmi. E la mia famiglia lo sapeva, non l’ha mai dubitato minimamente". Tornerà presto al lavoro? “ Sicuramente, ma adesso voglio riposarmi un po’. La sentenza, comunque, è immediatamente esecutiva. La farò conoscere al questore, che la trasmetterà al ministero dell’Interno per l’immediato reintegro". Ma vuole riprendere servizio a Milano? “ Inizialmente sì, certamente. Non ho dubbi. Ma voglio valutare la situazione con calma. A caldo, tutte le valutazioni possono essere sbagliate. Forse però è meglio essere inghiottiti in un ufficio di un’altra grande città, in una grande Questura, dove nessuno ti conosce e puoi vivere tranquillo. Tanto la vita me l’hanno già distrutta abbastanza". Qual è stato il momento più brutto di questa agghiacciante vicenda che l’ha vista finire in prigione con il sospetto d’essere legato ai mafiosi? “ Ce ne sono stati diversi. Il primo, senz’altro, quando sono stato arrestato e mi hanno chiuso in carcere. Non capivo più niente, non riuscivo nemmeno a ragionare, a rendermi conto del perchè. In carcere ho perso venticinque chili. Poi, quando sono uscito, per qualche tempo ho fatto fatica a guardare la gente in faccia". Chi l’ha aiutata a sopportare questi tre anni di calvario? “ Innanzitutto mia moglie e le mie figlie. E poi ho avuto la solidarietà di molti colleghi di lavoro che non solo non hanno mai pensato, neppure per un solo attimo, che io potessi essere responsabile per le accuse che mi venivano mosse, ma che si sono persino autotassati per aiutarmi e farmi vivere in modo dignitoso. Ma soprattutto mi ha aiutato la Fede, la convinzione che prima o poi sarebbe arrivata la Giustizia, quella vera".

Berticelli Alberto

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(10 febbraio 1996) - Corriere della Sera

DOPO LA BUFERA SUL PROCESSO PACCIANI, ATTACCO DAL LEGALE CHE HA FATTO ASSOLVERE IL VICEQUESTORE

“Vigna manipola le prove “ L’avvocato Isolabella accusa: indagini truccate nel caso Autoparco. “ Ho denunciato il procuratore di Firenze il pm Nicolosi e il Gico della Finanza “

MILANO. Il caso autoparco diventa un boomerang che si ritorce contro la Procura di Firenze. A decretare il dietrofront è l’avvocato Lodovico Isolabella, che ha appena stravinto il processo conquistando una piena assoluzione per il vicequestore di Milano Carlo Iacovelli, incarcerato nell’ottobre ‘93 con l’accusa infamante di associazione mafiosa: “ Sì. conferma il legale. ho denunciato il procuratore Pier Luigi Vigna, il suo sostituto Giuseppe Nicolosi e i finanzieri del Gico di Firenze per manipolazione delle prove. In questo procedimento sono accadute cose di gravità inaudita. Non essendo un magistrato, non tocca a me decidere se queste incredibili storture abbiano rilevanza penale. Io mi sono limitato a firmare degli esposti e a trasmetterli al ministero della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, titolari dell’azione disciplinare. Dopo aver segnalato al procuratore nazionale Bruno Siclari alcune dichiarazioni inquietanti di quei magistrati". La sentenza autoparco, 448 pagine firmate dal presidente Piero Gamacchio, ha fatto a pezzi il troncone più delicato dell’inchiesta di Firenze: il tribunale di Milano ha confermato la pericolosità dell’alleanza di cosche sgominata dal Gico nell’ottobre ‘92, ma ha demolito l’indagine chiave sulle coperture istituzionali, avviata un anno più tardi. Dei 4 poliziotti imputati, nessuno è colpevole di mafia. Quanto alle insinuazioni sui pm Alberto Nobili e Armando Spataro e gli ex colleghi Antonio Di Pietro e Francesco Di Maggio, la sentenza non si limita a confermare l’archiviazione già decisa a Brescia, ma arriva a mettere in dubbio l’intera gestione fiorentina dei pentiti. Un verdetto dirompente per i pm che hanno in mano l’inchiesta sulle autobombe mafiose del ‘93. L’avvocato Isolabella nega di voler approfittare dell’onda d’urto dell’"uragano Tony". “ Sul processo Pacciani non mi pronuncio. dice. io parlo solo dei casi che conosco. I miei esposti contro Vigna, comunque, sono a Roma da tempo". “ Il problema è un altro. incalza l’avvocato. qui a Milano, in tanti processi, non ho mai visto neppure mezza prova alterata. Mentre a Firenze qualcuno, io non so chi, ha nascosto la verità. Ecco un esempio: il pentito Salvatore Maimone cambia le date su un incontro decisivo con Iacovelli, ma qualcuno copre con un “ omissis “ proprio quella modifica. Non basta. Nello stesso verbale Maimone accusa il vicequestore per una vendita di auto, con le stesse parole usate il giorno prima dal gestore dell’autoparco Giovanni Salesi. È evidente che qualcuno gliele ha suggerite. Poi il pentito dice di aver visto un magistrato di Milano mentre intascava soldi dalla ‘ndrangheta. Ma poi ritratta e la sua scorta giura che ha lasciato Firenze gridando: “ Io quel verbale non lo firmo". Insomma una manovra. Gestita da chi? “ Mah... Io non lo so... Certo, nel caso autoparco saltano fuori strane convivenze tra pentiti, a Como e altrove... Mi pare che Vigna abbia incarichi di vertice nella struttura che gestisce i collaboratori... Ma non escludo che qualcuno abbia mostrato alla Procura di Firenze il classico drappo rosso su

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cui scagliarsi... Non dimentichiamo che l’inchiesta fu gestita dal Sisde e dalla Finanza. È che il vero obiettivo era la procura di Milano. Con i poliziotti che, indagando sull’intreccio mafia tangenti, si erano scontrati con un certo Cerciello. Un’operazione gestita dalle stesse persone che dal ‘94 manovreranno per far dimettere Di Pietro". Dunque, lei accusa Vigna ma difende il pool. E i famosi abusi nei metodi di indagine? “ Guardi. sospira Isolabella. a 65 anni penso di potermi permettere di dare a Cesare quel che è di Cesare. I pm di Mani pulite non hanno violato la legge: hanno solo portato a tangentopoli le tecniche di lotta alla criminalità organizzata. Tra politici e imprese, in buona sostanza, c’era un vincolo associativo. Ebbene: se mi arrestano con 100 chili di eroina, posso tornare libero ammettendo solo di averla posseduta? Evidentemente no: dovrò dimostrare di aver tagliato i ponti con i complici, facendo i nomi di fornitori, clienti, finanziatori... Per lo stesso motivo, è giustissimo tenere dentro i tangentisti che tacciono sui fondi neri". Sorriso: “ Almeno in questa povera Italia".

Biondani Paolo

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(11 febbraio 1996) - Corriere della SeraLE ACCUSE A VIGNA E CERCIELLO

Taormina replica: querelo Isolabella"Dovrà rispondere per aver sostenuto che il generale ha tentato di bloccare l’inchiesta sull’autoparco della mafia"

MILANO. Guerra di avvocati per l’inchiesta sull’autoparco milanese della mafia che già in passato aveva opposto la procura di Milano a quella di Firenze. Dopo le accuse di Lodovico Isolabella, il generale della guardia di finanza Giuseppe Cerciello passa al contrattacco. Il suo difensore, Carlo Taormina, ha annunciato ieri di aver ricevuto dal suo assistito l’incarico di denunciare per calunnia l’avvocato Isolabella. Taormina vuole prima accertare se “ corrisponde al vero la notizia secondo cui l’avvocato Isolabella avrebbe inviato una lettera al sostituto procuratore milanese Francesco Greco, accusando il generale Cerciello di aver abusato del suo ufficio con un presunto, quanto inesistente, blocco dell’inchiesta sull’autoparco per impedire che essa raggiungesse livelli da santuario". “ L’avvocato Isolabella. continua il suo collega che difende Cerciello. sarà anche querelato immediatamente per la diffamazione perpetrata ai danni del generale Cerciello per essersi a lui riferito, nell’ambito di una intervista rilasciata al Corriere della Sera, in termini spregiativi con riguardo all’esercizio delle sue funzioni di comandante del nucleo di polizia tributaria di Milano". Tace invece il procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna, già al centro delle polemiche sul processo Pacciani. In merito all’inchiesta sull’autoparco della mafia, allestito non lontano dall’aeroporto milanese di Linate, oltre ai presunti boss di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta, nel ‘92 la procura di Firenze aveva ordinato anche l’arresto di un vicequestore di Milano, Carlo Iacovelli. Dopo mesi di carcere militare, il caso Iacovelli era stato trasferito a Milano. E pochi giorni fa il funzionario di polizia, difeso dall’avvocato Lodovico Isolabella, era stato assolto. I pentiti che lo accusavano si erano sbagliati. O avevano detto il falso. Così nel suo atto d’accusa rivelato l’altro ieri l’avvocato Isolabella se l’è presa anche con il procuratore di Firenze Vigna, con il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Giuseppe Nicolosi, e con gli uomini del Gico di Firenze, il reparto della guardia di finanza specializzato contro la criminalità organizzata. Ma Vigna preferisce non fare commenti. Rientrato a Firenze dopo tre giorni di lavoro in altre città, è rimasto chiuso per tutta la mattinata nel suo ufficio. “ Il procuratore si scusa. ha fatto dire a un suo collaboratore. ma non intende rilasciare dichiarazioni".

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(5 marzo 1996) - Corriere della Sera

Autoparco. i giudici smentiscono il pentito

Nuova smentita giudiziaria per il pentito dell’autoparco Salvatore Maimone. La terza sezione del tribunale (presidente D’Antonio) ha assolto da un’accusa di traffico di eroina il presunto boss della ‘ndrangheta Antonio Papalia e l’affiliato Vincenzo Saffiotti, condannando a 11 anni solo Giovanni Salesi. Il pm Roberto Aniello aveva chiesto 14 anni a testa. Decisiva la testimonianza “ difensiva “ di Saverio Morabito, il superpentito del processo Nord Sud: il clan Papalia, tra il ‘90 e il ‘91, non utilizzava come base dello spaccio il bar di Corsico indicato invece da Maimone, che sosteneva anche di aver assistito a consegne di droga. Salesi era già stato condannato a 18 anni come custode dell’autoparco.

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(21 settembre 1996) - Corriere della Sera

FERROVIE E TANGENTI. SCONTRO A COLPI DI CARTA BOLLATA FRA L’EX PM DEL POOL E GIULIANO FERRARA SULLE “ AMICIZIE PERICOLOSE “

La “ guerra “ di Di Pietro“Il Foglio “ fa riemergere ombre sul suo passato. Il ministro querela. I misteri sull’impiego alla Difesa: “ Sono fantasie diffamatorie “. Parte la controquerela

MILANO. “ Le coincidenze fatali “ sono solo menzogne. Non c’è nessun legame tra l’inchiesta su Lorenzo Necci e l’ex pm Antonio Di Pietro. Il ministro dei Lavori pubblici risponde annunciando una querela contro Giuliano Ferrara per quell’articolo dal titolo inquietante pubblicato ieri su Il Foglio. Fatti vecchi e nuovi accostati al nome dell’eroe di Mani pulite: dall’indagine sull’autoparco della mafia al “ mai chiarito periodo di impiego dell’ex magistrato al ministero della Difesa". Tuona Tonino: “ Sono proprio curioso di vedere quale linea difensiva adotterà Ferrara quando sarà chiamato dal magistrato per dare spiegazioni delle fantasie diffamatorie che lo hanno portato a scrivere menzogne palesi nel suo menzognero quotidiano". Non si scompone il direttore de Il Foglio, e rilancia: “ Attendo con ansia di poter illustrare in Tribunale quelle che nell’articolo di oggi (ieri, ndr) ho definito “ le coincidenze fatali che legano l’inchiesta su Necci a Di Pietro". Anzi, per evitare che il ministro scantoni. aggiunge Ferrara. ho dato mandato all’avvocato Grazia Volo di sporgere querela nei suoi confronti per aver definito menzognero Il Foglio". Ma già nelle prossime settimane Giuliano Ferrara potrebbe avere l’occasione di parlare dell’ex pm di Mani pulite davanti al Tribunale di Brescia, dove proprio lunedì si apre il processo a Cesare Previti, Paolo Berlusconi, Domenico De Biase e Ugo Dinacci, accusati del presunto complotto che avrebbe portato Di Pietro ad abbandonare la toga. Nella lista dei 200 testimoni presentata dai pm Fabio Salamone e Silvio Bonfigli c’è infatti anche il nome di Ferrara che, secondo le intenzioni dell’accusa, dovrebbe deporre, con Vittorio Sgarbi e Tiziana Maiolo, “ sull’asserita campagna di delegittimazione svolta attraverso i mass media nel 1994 nei confronti del dottor Di Pietro". Il timore che il processo bresciano (in cui l’ex pm è parte lesa) si ribalti diventando un processo a Di Pietro sta già facendo surriscaldare il clima, tanto da spingere il difensore di Tonino, Massimo Dinoia, ad annunciare che il ministro si costituirà parte civile. Di Pietro, prosciolto dai gip di Brescia in tutte le inchieste che lo vedevano accusato di concussione e di abuso d’ufficio, ha presentato da maggio dello scorso anno montagne di querele chiedendo che sia fatta luce su più di 140 episodi definiti “ tentativi di delegittimazione". Voci, veleni, dossier anonimi e minacce sui quali sta ancora indagando il pm di Brescia Silvio Bonfigli. Adesso, con l’esplodere del caso Necci, c’è chi, come Ferrara, sembra cogliere un sottile filo che collega fatti sui quali la magistratura non ha ancora fatto chiarezza. Ed ecco spuntare le “ fatali coincidenze". Il Foglio ricorda, per esempio, che l’inchiesta spezzina parte dall’indagine della Procura di Firenze sull’autoparco di via Salomone a Milano, nata nel 1992, che ha coinvolto poliziotti alle dipendenze di Di Pietro, all’epoca dei fatti ispettore del quarto distretto. Ritornano le voci secondo le quali il blitz, dopo le rivelazioni di

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un “ pentito", creò tensioni fra la magistratura fiorentina e la Procura di Milano. Inoltre dall’autoparco partì un altro filone di indagini su un traffico di armi in seguito al quale il pm di Messina, Angelo Giorgianni (oggi sottosegretario agli Interni), arrestò l’imprenditore Rosario Cattafi. Spezzoni di questi “ fatti “ furono rilanciati lo scorso anno dall’avvocato Carlo Taormina che, durante il processo Cerciello, chiese inutilmente la citazione come teste di Di Pietro per chiarire “ i suoi rapporti con il pm Giorgianni in riferimento a un carico di armi su una nave al largo di Messina “ e “ i rapporti con tale Cattafi per la vicenda dell’autoparco". Di Pietro smentì tutto e presentò un esposto memoria querela a Brescia. Altre “ coincidenze fatali": Necci è difeso da Massimo Dinoia, il legale di Di Pietro, e Pacini Battaglia da Giuseppe Lucibello, vecchio amico di Tonino. Poi c’è il mistero sul lavoro di Di Pietro come impiegato della Difesa, controllo armamenti, incarico che, secondo quanto dichiarato al pm di Brescia, svolse “ dal 1973 al 1977". In realtà, rivela Il Foglio, ricoprì l’incarico sino al gennaio ‘80. E così si scopre un piccolo giallo. Nel libro della Larus che testualmente riporta tutti gli interrogatori di Tonino a Brescia c’è una differenza con l’originale. Invece di “ 1977 “ compare “ 1979". Un errore di stampa?

Corvi Luigi

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(13 ottobre 1996) - Corriere della Sera

L’ITALIA DEI MISTERI. LO SCONTRO CON FIRENZE

La sentenza Autoparco: “ Quei Finanzieri pasticciano sulle intercettazioni “ Il pentito del processo: “ Volevano costringermi a denunciare gli inquirenti milanesi. Non firmai il verbale “

MILANO. Una clamorosa ritrattazione di un pentito chiave: “Quei finanzieri volevano costringermi a dire che i pm Alberto Nobili, Francesco Di Maggio, Antonio Di Pietro e Armando Spataro erano corrotti. Ma io ho urlato: no, quel verbale non lo firmo". È un lungo elenco di svarioni investigativi, denunciati da una sentenza del tribunale che demolisce anche interi faldoni di intercettazioni. Scoprendo anomalie tanto strane da far dubitare dell’ipotesi di semplici errori di interpretazione o trascrizione delle telefonate. Tra pool di Milano e Gico di Firenze la tensione è altissima da almeno tre anni. L’ultima ondata di veleni parte dal caso Pacini Lucibello Di Pietro. E dal sospetto che, sotto la Tangentopoli 2 di La Spezia, possa covare l’ennesima manovra contro Mani Pulite. A spiegare la diffidenza è un predecente: la prima grande inchiesta del Gico di Firenze. Nell’aprile ‘92, a due mesi dall’inizio di Mani Pulite, gli stessi finanzieri che ora lavorano su Necci e Pacini cominciano a indagare sull’"autoparco della mafia “ di via Salomone 78 a Milano. A fine estate il Gico alza il tiro sulle “ coperture": nel mirino i poliziotti del quarto distretto. Lo stesso commissariato in cui, nell’81, lavorò Di Pietro. Il 5 novembre ‘93, nuovo colpo di scena: il pentito Salvatore Maimone, a Firenze, accusa di corruzione nientemeno che Alberto Nobili, il pm che ha appena chiuso con oltre 200 arresti la prima (e a tutt’oggi più importante) inchiesta sulla ‘ndrangheta del Nord. Toccando centri di potere nevralgici. Il 6 novembre però Maimone scappa a Milano e, davanti a Borrelli, ritratta. Accusando il Gico di voler incastrare Nobili e altri tre pm milanesi, di cui però nei verbali di Firenze non c’è traccia. Questa inchiesta finisce alla Procura di Brescia, che non solo scagiona Nobili, ma apre un’indagine su chi lo ha calunniato. Mentre Di Maggio attacca: “ Ora è chiaro chi sono i cialtroni che gettano merda nel ventilatore. Meritano la galera". Nel ‘95 a Milano si apre il resto del processo autoparco. Principale imputato, il vicequestore Carlo Iacovelli. Che dopo tre mesi di galera per mafia, viene assolto con formula piena. Per diradare ogni ombra, il tribunale ha interrogato 153 tra imputati e testimoni. E nelle 448 pagine di motivazioni il presidente Piero Gamacchio getta ombre anche sulle intercettazioni. A pagina 387, il giudice scopre una strana omonimia: “ Ben poco è da dire sull’errata identificazione nella moglie di Iacovelli Carlo della donna che per due volte, nel luglio 1992, telefona all’autoparco e si presenta come Iacovelli. Sin dall’ammissione delle prove, la difesa aveva sollecitato a correggere il dato. La risposta del Gico, contenuta nell’annotazione del 20 dicembre 1993, e riconfermata in aula, riconosce che l’interlocutrice è Mariani Carla, moglie di Iacovelli Cesare, intestatario di autocarri ricoverati nell’autoparco". In pratica i finanzieri scambiarono il vicequestore con un camionista. Al processo era stato l’avvocato Ludovico Isolabella a contestare il caso al comandante Stefano Avarelli (promosso dopo il processo) e al capitano Nello D’Andrea, tuttora a Firenze. Udienza dell’11 luglio ‘95. Il legale di Iacovelli spiega di aver scoperto che “ c’è stata un’inchiesta parallela a Prato, che per combinazione ha preso le stesse telefonate. Queste sono le vostre intercettazioni: “ Chiamante,

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Mollo Adele, moglie di Iacovelli Carlo. Chiamati, Maf Abdullah e Medica Rosario “ (due presunti mafiosi, ndr). Invece in quelle di Prato c’è scritto: “ Iacovelli donna per Giorgio, dice di far chiamare a casa il marito". I finanzieri cadono dalle nuvole. È “ non ricordano “ da dove sia giunta la prima “ notizia di reato “ sul vicequestore, che pure è l’imputato chiave. Un altro mistero riguarda Angelo Fiaccabrino, il massone che avrebbe fatto da tramite fra mafiosi e poliziotti. Il Gico di Firenze mette agli atti un’intercettazione ambientale che appare schiacciante. Ecco la frase di Fiaccabrino captata dalla cimice: “ Io quando voglio informazioni, c’ho anche il vicequestore... anche quello ce l’abbiamo legato molto bene... con i soldi tutto fanno". Senonchè il tribunale va a leggersi l’intero brogliaccio delle intercettazioni di Fiaccabrino. È nelle motivazioni il giudice Gamacchio conclude: “ Rileva il collegio che la conversazione si inserisce in un ben più ampio numero di dialoghi intercettati, tutti pacificamente riguardanti un altro vicequestore, da lungo in costanti rapporti con il Fiaccabrino: il dottor Michele Tornatore".

Biondani Paolo

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(17 ottobre 1996) - Corriere della Sera

L’ITALIA DEI MISTERI. IL RETROSCENA

È nel caso Autoparco spunta la figlia di CercielloMILANO. Dal Sisde al Gico. È da Contrada a Cerciello. Il caso autoparco. la grande inchiesta di Firenze sulle infiltrazioni mafiose a Milano, che il pool considera come la prima vera manovra contro Mani pulite. distilla nuovi veleni. L’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada, condannato per mafia al processo di Palermo, ha rivendicato il merito di aver ispirato quell’indagine, condotta dal Gico di Firenze. È proprio a Firenze ha lavorato per 5 anni, come agente del servizio segreto civile, Alessandra Cerciello, figlia del generale della Finanza che fu arrestato a Milano e condannato a Brescia per corruzione. Dopo essere diventato il grande accusatore di Antonio Di Pietro. Un caso destinato ad alimentare nuovi sospetti? O una semplice coincidenza? Alessandra Cerciello è stata assunta al Sisde di Firenze nel 1991, come “ trimestrale": la via ordinaria per l’ingresso del personale civile nei servizi. Nella primavera di quest’anno, assunta ormai in via definitiva, la figlia del generale è passata al Sisde di Bologna. Un trasferimento che, per un gioco del destino, è scattato poche settimane dopo la sentenza che ha ridimensionato l’intero lavoro del Gico di Firenze: gli stessi finanzieri che ora indagano sull’affare Pacini con la Procura di La Spezia. Un’altra indagine nata (come recitano gli atti) da “ notizie informative". È che oggi si è allargata fino a lambire il pool, con l’intercettazione della famosa frase “ si è pagato per uscire da Tangentopoli". Veleni che riportano i pm milanesi al passato. L’inchiesta autoparco, ha dichiarato Contrada a Palermo, era nata da un appunto anonimo preparato dal centro “ Roma 3 “ del Sisde. Quell’informativa fu tramessa (ma altre fonti dicono: ritornò ) a Firenze nell’aprile ‘92, due mesi dopo l’inizio di Mani pulite. Al processo autoparco, fu un difensore, Ludovico Isolabella, a denunciare il ruolo propulsivo del Sisde. Dopo la clamorosa ritrattazione di un pentito chiave, e la sentenza assolutoria (30 gennaio ‘96), lo stesso avvocato con una raffica di esposti ipotizzò un coinvolgimento di Cerciello nella “ manovra “ per infangare Di Pietro e altri pm dell’antimafia milanese: da Nobili a Di Maggio. Già nel ‘93, cioè un anno prima dell’arresto per tangenti, Giuseppe Cerciello, allora comandante del nucleo milanese delle Fiamme gialle, non godeva della fiducia del pool. Al processo di Brescia fu proprio il generale a protestare per essere stato escluso dalla delicata inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Ora riaperta a La Spezia con l’arresto del banchiere Chicchi Pacini Battaglia. Insomma, un nuovo intrigo. Che attende chiarezza.

Biondani Paolo

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(3 novembre 1996) - Corriere della Sera

I REPARTI SPECIALI DELLA GUARDIA DI FINANZA

Gico, dall’antimafia alle indagini sulla criminalità economicaMILANO. L’indagine condotta dal Gico di Firenze per conto della Procura di La Spezia ha portato alla ribalta questi reparti speciali della Guardia di Finanza, finora poco noti in quanto diventati operativi solo dal dicembre ‘93. Nati come gruppi di investigazione sulla criminalità organizzata e dislocati su tutto il territorio nazionale, i Gico erano stati istituiti per le indagini su mafia, camorra e ‘ndrangheta. Ma proprio l’inchiesta di La Spezia ha dimostrato che la loro attività investigativa, concentrata spesso sugli aspetti finanziari, inevitabilmente estende il raggio d’azione alla grande criminalità economica legata al mondo politico affaristico. I Gico fanno capo al Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico), che ha sede a Roma in una palazzina del quartiere periferico Nuovo Salario. L’attuale comandante è il generale Mario Iannelli, coadiuvato da un vicecomandante operativo, il colonnello Michele Donati. Lo Scico risponde al comando generale della Guardia di Finanza, dove recentemente è stato costituito un reparto di collegamento, detto Ispettorato per i reparti speciali, comandato dal generale Giuseppe Cincotti. I finanzieri di Iannelli e Donati hanno eseguito operazioni prevalentemente sul traffico internazionale di stupefacenti e di armi, su sequestri di persona, estorsioni, usura e riciclaggio di denaro sporco. Nelle inchieste viene utilizzata la capacità delle Fiamme Gialle di eseguire indagini fiscali, finanziarie, valutarie, patrimoniali e bancarie, individuando così i flussi di capitali illeciti e i personaggi che li maneggiano. Nel caso La Spezia il Gico di Firenze è partito dalle intercettazioni telefoniche del banchiere faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, per poi passare a una attività più approfondita, che ha generato il rapporto di circa mille pagine ora a La Spezia. Alcuni finanzieri dei Gico sono autorizzati a operare sotto copertura per infiltrarsi nelle organizzazioni criminali. Ma le investigazioni più sofisticate sono sul riciclaggio di denaro sporco. Sono stati individuati inediti strumenti finanziari con cui le organizzazioni criminali provavano a cancellare ogni traccia dell’origine del denaro nero. Nel caso Cannizzo, seguito in collaborazione con l’Antimafia di Catania, sono spuntati per esempio dei titoli bancari, detti Primary bank guarantee (Pbg), che risultavano addirittura sconosciuti alla Banca d’Italia, in quanto utilizzati in modo sommerso dalle grandi banche. Adesso, gli uomini di Iannelli e Donati stanno lavorando su originali titoli esteri, ancora più complessi, rappresentativi del mercato immobiliare. Complessivamente, lo Scico ha annunciato di aver provocato il sequestro di patrimoni illeciti stimati oltre 1.800 miliardi di lire. L’inchiesta di La Spezia, inizialmente, era stata un grosso colpo per il Gico di Firenze e aveva lanciato l’immagine di tutto il servizio che fa capo a Iannelli e Donati. Ma, adesso, sui giornali stanno dilagando dubbi e polemiche sugli atti che accuserebbero magistrati e investigatori di aver coperto (durante la prima fase di Mani pulite) le responsabilità di Pacini Battaglia. Si allude a possibili strumentalizzazioni delle fiamme gialle fiorentine contro la Procura di Milano e contro il ministro Antonio Di Pietro, ex magistrato del pool Mani pulite. Il procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli, è intervenuto dicendosi pronto a querelare direttamente la Guardia di Finanza. In passato, il Gico di Firenze si era già trovato in contrasto con la Procura di Milano nell’indagine sull’Autoparco. Ne era scaturita una polemica con

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la Procura di Firenze diretta da Pier Luigi Vigna. Ora emergono anche accuse di rapporti con notabili romani del capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza, Nicolò Pollari, indagato nell’inchiesta Phoney Money, considerato il potente organizzatore del comando generale e il grande sostenitore dei reparti speciali delle Fiamme Gialle. Iannelli e Donati però contestano tutte le interpretazioni che mettono in discussione l’indipendenza, la correttezza e i risultati investigativi del Gico di Firenze.

Caizzi Ivo

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(9 novembre 1996) - Corriere della Sera

IL CASO GIUSTIZIA. VIAGGIO NELLA PROCURA DI FIRENZE

“La notizia me l’ha data Borrelli “ Il magistrato promosso cancella ogni polemica e invita alla collaborazione. “ Mai in guerra con i colleghi, da soli non si va da nessuna parte. Sempre deprecabili gli scontri tra giudici. La Spezia? Non so nulla Sacrosante le parole di Scalfaro, intercettazioni da rivedere “. “ I Gico scrupolosi. Le polemiche nate dalle indagini sopravvalutate “

DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE. È questione di fiuto, naturalmente, roba da cacciatore incallito. Alla fine del giorno più lungo e più atteso, Piero Luigi Vigna afferra tutto al volo e si dispone al sorriso migliore: “ Vuole sapere chi mi ha dato la notizia? Chi m’ha detto che mi avevano nominato alla Procura antimafia? Beh, me l’ha detto Saverio Borrelli, sì, proprio lui, mi ha telefonato, una telefonata piena d’affetto che mi ha dato una doppia gioia". Alleluja, alleluja, pare di sentire il duetto, “ bravo, Piero, ce l’hai fatta", “ grazie, Saverio, amici più di prima". E la guerra dei 4 anni, quella che durava dai tempi dell’Autoparco? E il nuovo tormentone avvelenato tra La Spezia, il pool di Milano e il Gico di Firenze? “ Per carità, la storia dell’Autoparco l’avete montata voi giornalisti, io non mi sono mai sentito in guerra con un collega, e poi le dico che i moniti di Scalfaro sono sacrosanti, le guerre fra i magistrati sono sempre deprecabili. Specie adesso, con questo nuovo incarico, le ripeto: collaborazione, senza quella non si va da nessuna parte. Quanto a La Spezia, mi creda, di quell’inchiesta qui non sappiamo nulla, ma nulla. Cardino mi chiamò per ringraziarmi della disponibilità dei Gico e stop", dice il nuovo superprocuratore, ormai molto ecumenico, perchè la seconda telefonata, dopo quella del caro Saverio, viene da Giancarlo Caselli, sì, quello del tavolo con i politici che a Vigna non è mai piaciuto troppo, anche se adesso è necessario qualche distinguo, “ se da quel tavolo si tratta di dare suggerimenti tecnici, allora lo capisco, ma se si tratta di consegnare soluzioni, no: insomma, noi dobbiamo essere politicamente neutri e tecnicamente forti". È interminabile la giornata di Piero il Cacciatore, l’ultima da signore assoluto della procura di Firenze, e in questa giornata c’è posto anche per quegli omini in verde, per i cacciatori del Gico, che un tempo hanno sgobbato gomito a gomito con lui e che adesso annaspano un po’ fra le intercettazioni di Pacini Battaglia e le ire di Di Pietro, Borrelli e compagnia. C’è posto per una difesa tecnica, cauta, ma pur sempre difesa: “ Li conosco bene, e hanno sempre lavorato con scrupolo, dedizione e attenzione". Inferno e paradiso, beatitudine e dannazione. Forse anche la storia di Vigna, della sua procura, dei suoi investigatori è sospesa su questo paradosso tutto fiorentino che qualche anno fa raccontava don Gino Ciolini, un teologo agostiniano, un saggio che ha raccolto attorno a sè molti giovani e molti intellettuali: “ I fiorentini non amano l’autostrada indicata dalla Chiesa, cercano una scorciatoia, s’inerpicano sulla collina. E lì possono diventare santi, oppure possono finire al rogo come Savonarola". Così in fondo è successo per Vigna, che è stato anima dell’antiterrorismo e dell’antisequestri, segugio applauditissimo, ma anche giudice in conflitto con il pool milanese, dipinto da molti come l’avversario di Mani pulite, quello che pensava a come indagare sui colleghi. E che è stato colpito meno d’un mese fa, mentre era ai nastri di partenza nella gara per la Dna che s’è chiusa ora, da un principio di procedimento disciplinare, che

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poteva tagliargli le gambe, per una breve e forse non inopportuna esternazione su Giovanni Brusca e sul suo dubbio pentimento. Sembrava l’inferno, e invece è il paradiso, tutti battono le mani e soffrono un po’, come Francesco Fleury, il vice del Cacciatore, “ da oggi siamo tutti un po’ orfani, Piero è insostituibile". E insomma Vigna finora non è stato solo il procuratore, qui, è stato la procura. A chi gli chiede da quanto tempo il Cacciatore sia procuratore capo, Luca Saldarelli, presidente degli avvocati fiorentini, risponde con una domanda: “ Di diritto o di fatto?". E questa diventa dunque la storia di un magistrato che ha incarnato la città, dall’inchiesta sul 904 a quelle sulle stragi e sulla mafia passando per Pacciani, nel bene e nel male, nel torto o nella ragione, passando attraverso i mugugni repressi dei sostituti che non lavorando all’Antimafia si sentivano a volte dimenticati, è la storia di un magistrato amato, perchè fiorentino, da fiorentini che allo stadio urlano semplicemente un nome, “ Firenze!", e che tutto possono perdonare a chi rispondeva piccato alle accuse di provincialismo che venivano da Gherardo Colombo: “ Sì, siamo i provinciali del paese di Dante e Giotto". Orgoglio, vocazione, voglia di esserci. Ma l’avvocato Saldarelli dice anche che tutto questo ha portato “ all’importazione delle questioni giudiziarie", a un’idea di competenza un po’ onnivora, che ha spinto a volte Vigna molto oltre i confini del distretto. E qui si arriva di nuovo all’Autoparco di Milano, ai veleni, al ruolo che Firenze ha giocato in questi anni di guerre e di ipertrofia delle procure. Saldarelli dice ancora: “ Ormai c’è il rischio che le squadre di polizia giudiziaria diventino tanti eserciti personali per altrettante procure, altrettanti feudi da cui vengono coperti comunque. Questo è un rischio per la tenuta democratica del Paese, sono stati creati dei mostri. Se in Italia si mettono a un tavolo 5 procuratori, possono fare quello che vogliono. Se non fanno un golpe è perchè sono dei galantuomini". “ Saltate tutte le competenze, le procure fanno la guerra ad altre procure e la gente non capisce più niente", mormora Francesco Ferri, il giudice che assolse Pacciani in Appello, lasciò inorridito la magistratura e si tirò addosso le ire di Vigna e dei suoi con un libro sull’innocenza del Vampa, a suo dire novello protagonista della Colonna infame: “ Il fatto è che tutti i nostri procuratori più famosi sono superpoliziotti e si finisce per appiattirsi sulla polizia giudiziaria". Per capire il clima, bisogna forse fare due passi, fino al palazzotto grigio di via Santa Reparata, fortino dei Gico. Anche qui si mischiano santità e dannazione, duro lavoro antimafia e pericolose diatribe su Di Pietro e Pacini, che ormai sembrano quasi una questione personale. Applausi e fischi. Gli uomini del Gico non possono parlare perchè rischiano sanzioni dure. E tira aria da epurazione. Michele Donati, il colonnello che coordina i Gico di tutt’Italia, accetta di dire qualcosa, e smussa dove può : “ In via confidenziale, le dico che nelle nostre pagine non c’è nessun riferimento, diretto o indiretto, in cui si affermi che un magistrato di Mani pulite abbia preso soldi. Tutto il resto sono ipotesi investigative. La verità è che siamo sfortunati: l’Autoparco era la Dodge City del Duemila, tutti applaudivano la nostra inchiesta, poi salta fuori un pentito, parla e tutti dicono che i Gico volevano incastrare i pm di Milano. Così con La Spezia: se sentiamo Pacini che dice “ quello mi ha sbancato", cosa dobbiamo fare? Tapparci le orecchie? Bruciare tutto? Non ho mai visto le cattiverie che vedo contro di noi...". Donati ora è spesso a Firenze, tanto spesso da diventare l’involontaria conferma dell’aria da “ commissariamento", anche perchè dal comando di Roma filtrano ormai perplessità verso “ quella gente", cioè i colleghi fiorentini. Eppure il colonnello prova a smussare ancora, quasi contro l’evidenza: “ Diciamo che sono un manager e adesso sto nel posto dove c’è l’inchiesta più delicata". Quanto ha pesato tutto

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questo su Firenze? Giuseppe Nicolosi, il pm antimafia che lavorò con i Gico sull’Autoparco, non si trattiene: “ Senta, dire che la nostra procura c’entri con l’inchiesta di La Spezia è una sonora scemenza. C’è qualcuno che vuole strumentalizzare queste cose. Detto questo, le aggiungo che i Gico di Firenze sono i più bravi in assoluto, dovessi scegliere qualcuno per le intercettazioni, sceglierei sempre loro". Ma forse tutto questo è già storia, è già una pagina voltata, nel giorno della festa di Vigna. È storia lontana, come lontana sembra, per dire, la storia di Pacciani, “ ormai Vigna è alla Dna, può starci anche un Pacciani assolto", dice ancora l’avvocato Saldarelli, che al processo fu parte civile. Il nuovo superprocuratore oggi ha una risposta e una parola conciliante per tutti. “ Anche questa faccenda dei Gico dipende dalla sopravvalutazione che tutti danno alle indagini preliminari, tutti dobbiamo cambiare punto di vista e guardare alla verità processuale, che non sta nelle indagini preliminari, sta nel giudizio, quello sì che è importante". Dice: “ Noi non dobbiamo sentirci depositari di verità assolute". Ammette che, sì, “ forse c’è stata una sovraesposizione dei magistrati, che sono legittimati a parlare quando le indagini sono attaccate strumentalmente, ma che al di là di questo devono tacere e men che meno possono intervenire su questioni politiche". Vigna dice perfino che “ bisogna trovare una via di mezzo sulle intercettazioni, tra privacy e necessità d’inchiesta", riconciliandosi forse oggi con Piero Tony, il pg che in appello chiese l’assoluzione di Pacciani e adesso teme che la vita di tutti sia spiata da un Grande Orecchio, “ si fa strame delle persone, ormai". C’è posto per Tony e per molte altre cose, oggi, nella giornata del Cacciatore che forse, per qualche ora, sarà disposto anche a mettere a riposo la sua anima di segugio che non ci sta mai a perdere. Quell’istinto che la scorsa estate, nel mare di Capalbio, dopo due sconfitte di troppo a scopone, lo portò a dire seriamente a due belle signore romane sue avversarie: “ Sarà deformazione professionale, ma io ho un sospetto: voi due vi fate i segni...".

Buccini Goffredo

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(9 novembre 1996) - Corriere della Sera

IL CASO GIUSTIZIA. DOPO UN LUNGO BRACCIO DI FERRO NELLE FIAMME GIALLE “ SALTA “ L’UFFICIALE CHE GUIDAVA LA SQUADRA DELL’INCHIESTA DI LA SPEZIA

Rimosso il capo dei Gico di FirenzeIl colonnello Autuori trasferito a Bologna e sostituito da un investigatore di Mani Pulite. L’ufficiale non aveva nascosto la sua amarezza quando le accuse a Lucibello erano state derubricate al millantato credito

DAL NOSTRO INVIATO LA SPEZIA. Ha parlato troppo. Alla fine gliel’hanno fatta pagare. Il tenente colonnello Giuseppe Autuori, comandante dei Gico di Firenze e vero motore dell’inchiesta di La Spezia, è stato “sostituito". Ovvero: rimosso e spedito a Bologna. Nel giorno del monito di Scalfaro sulle intercettazioni pubblicate col contagocce, nelle ore della stangatina annunciata dal ministro Flick, salta colui che veniva considerato il piccolo grande nemico di Antonio Di Pietro. Il generale Mario Iannelli, comandante dello Scico (il servizio centrale che coordina gli 007 della finanza) minimizza, nega che si tratti di un provvedimento punitivo, giustifica con il “ clima di stress “ determinato dalle vicende degli ultimi giorni. E dall’entourage del ministro dei Lavori Pubblici si esclude che le denunce contro i “ calunniatori “ del Gico, stilate nelle ultime ore a Porta Pia, indichino il nome del colonnello Autuori. Un fatto sembra certo, però : il capo dei Gico di Firenza paga le troppe dichiarazioni fatte nei giorni scorsi, i giudizi espressi in pubblico, le intercettazioni a orologeria fatte filtrare nei momenti caldi dell’inchiesta. E anche le frasi sopra le righe di qualche ufficiale di S. Reparata (la sede fiorentina dei Gico) che, mentre i magistrati bresciani e spezzini smentivano il coinvolgimento di Di Pietro, è andato ripetendo di aver raccolto “ riscontri oggettivi e fatti incontrovertibili “ sui presunti favori di Tonino a Pacini Battaglia. “ Io sono un militare e obbedisco, le indagini continuano. commenta adesso Autuori.. Mi auguro solamente che questo provvedimento serva a rasserenare gli animi, a tutti i livelli". La notizia del siluramento è stata data a Silvio Franz e ad Alberto Cardino dal colonnello Michele Donati, numero due dello Scico, che nel pomeriggio è salito in tutta fretta da Roma a La Spezia: “ La sostituzione non era nell’aria. sgrana gli occhi Franz.. Continueremo comunque a investigare coi Gico di Firenze, non vedo motivi per non farlo: noi collaboriamo con un organismo, non con una persona". Sulla poltrona di Autuori va a sedersi da Trapani il maggiore Ignazio Gibilaro, finanziere che ha lavorato con Falcone a Palermo e soprattutto, nel 1994, con il pool di Milano. Proprio a Milano, del resto, i Gico fiorentini hanno sempre creato problemi: agli inizi degli anni Novanta (quando il salernitano Autuori non c’era ancora), con l’inchiesta sulle presunte “ coperture “ all’autoparco della mafia di via Salomone; ora, con i dossier e le intercettazioni su Di Pietro e sul “ pool". Sulla rimozione di Autuori, c’è stato un braccio di ferro d’una settimana. L’ultima volta che il colonnello è comparso a La Spezia, lunedì scorso, si è capito che la situazione stava precipitando. I Gico spingevano per il coinvolgimento di Di Pietro, la procura aveva invece deciso di frenare. E Autuori non aveva nascosto la sua amarezza, poche ore prima della decisione di derubricare il reato contestato a Giuseppe Lucibello (amico di Tonino) da peculato in

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semplice millantato credito. Mercoledì, con la pubblicazione su un giornale dei giudizi di “ un ufficiale dei Gico di Firenze", le cose si sono complicate. Di Pietro ha sporto denunce, ricevendo la solidarietà di D’Alema. E al quinto giorno Autuori è saltato. I Gico di Firenze, che da più di un anno lavorano senza sosta all’inchiesta della Spezia ("non ci siamo fatti nemmeno le ferie"), vanno dunque avanti a indagare. E ora, forse, l’obiettivo dell’inchiesta si sposta di nuovo su Pacini. Che probabilmente non si presenterà il 12 novembre a Milano, all’udienza preliminare sui fondi neri (difensore Lucibello). E di nuovo in un verbale di interrogatorio, torna a parlare di come salvò da “ Mani pulite “ Omar Jaja, l’affarista arabo coinvolto nel filone spezzino sul traffico d’armi nell’inchiesta veneziana su Argo 16.

Battistini Francesco

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(9 novembre 1996) - Corriere della Sera

IL CASO GIUSTIZIA. UN PENTITO DELL’AUTOPARCO

“Firenze mi spingeva a compromettere il Pool “ MILANO. (pa. b.) “ Il tenente D’Andrea, mentre eravamo soli al Gico di Firenze, mi disse che potevo scegliere fra 30 anni di galera e una brevissima detenzione. E che questo dipendeva dal fatto che compromettessi i magistrati e la polizia di Milano. Menzionò espressamente i pm Nobili, Spataro, Di Maggio e Di Pietro". Un verbale inedito getta nuove ombre sui finanzieri tra cui, secondo Di Pietro, qualcuno tramerebbe “ una vendetta mostruosa". A denunciare le “ pressioni “ è Giovanni Salesi, arrestato dal Gico come capo dell’"autoparco della mafia". “ D’Andrea manifestò particolare animosità per Nobili. dichiara Salesi il 14 ottobre ‘94 al gip Leo.. Non è che mi invitasse a dire il falso: lui cercava conferme". Nobili è l’ex marito di Ilda Boccassini. Conclude Salesi: “ Nell’agosto ‘94 in cella il pentito Maccarone mi disse: “ Lascia perdere Nobili. Ora questi vogliono Iacovelli e Achille Serra".

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(10 novembre 1996) - Corriere della Sera

L’ITALIA DEI MISTERI. IL NUOVO COMANDANTE

Il successore: da Falcone a Tonino, in silenzioMILANO. “ Gibilaro? È un maggiore delle nuove leve che sembra il classico investigatore vecchio stile: preparato e scrupoloso, è un silenzioso esecutore di ordini, che non ama le polemiche, i commenti sulle indagini e i riflettori dei mass media. Ha poco più di trent’anni, ma si è già fatto stimare, per precisione e affidabilità, a Palermo, Milano, Roma e Trapani". Viene descritto così, dai suoi superiori, il nuovo comandante del Gico, spedito da Roma a Firenze per continuare l’inchiesta sulla “ banda Pacini", chiudendo però l’ennesima stagione di veleni. Il maggiore Ignazio Gibilaro, 34 anni, radici siciliane, ha iniziato la sua brillante carriera a Palermo, al fianco di un magistrato d’eccezione: Giovanni Falcone. Dopo gli anni in trincea contro la mafia, Gibilaro è arrivato a Milano nel periodo più difficile della storia delle Fiamme gialle. Nell’estate del ‘94, mentre i (tanti) finanzieri puliti arrestavano più di cento colleghi che si erano fatti corrompere da imprenditori e commercialisti, Gibilaro ha seguì to la parte più delicata della Tangentopoli fiscale: agli ordini del colonnello Pasquale Debidda, attuale comandante del nucleo, ha portato a termine decine di “ contro verifiche". Obiettivo: tornare sul “ luogo del delitto", cioè nelle aziende incriminate, e rifare gli accertamenti, per far emergere l’evasione che era stata coperta con le bustarelle. Con questo compito specifico, Gibilaro ha collaborato fino alla primavera del ‘95 con i pm del pool, in particolare eseguendo le direttive prima di Antonio Di Pietro e poi di Piercamillo Davigo. Benchè non abbia fatto parte della “ squadra “ interna di polizia giudiziaria, lo si può quindi definire un ex “ investigatore di Mani Pulite": in forza al nucleo di polizia tributaria, ma in “ prestito “ al pool. Proprio questo ruolo “ esterno", unito al carattere “ molto defilato", spiega perchè ieri Gerardo D’Ambrosio potesse affermare, perplesso, che il nome di Gibilaro “ non gli diceva niente". Lasciata Milano, il nuovo comandante del Gico di Firenze è tornato in Sicilia per un’altra inchiesta importante: i presunti affari sporchi di Saman, sullo sfondo dell’omicidio del giornalista Mauro Rostagno. In un anno e mezzo di lavoro a Trapani, Gibilaro si è occupato in particolare del patrimonio e dei finanziamenti delle comunità del “ guru “ craxiano Francesco Cardella: proprio il troncone d’indagine che, davanti ai giudici, si è dimostrato il più forte per prove e riscontri oggettivi. Ora, dopo un mese di servizio a Roma al comando generale, per il maggiore Gibilaro è arrivato l’incarico più difficile: guidare l’inchiesta sulle coperture investigative del banchiere che stava “ un gradino sotto Dio". Facendo dimenticare il precedente dell’autoparco: una grande indagine antimafia (e non “ un flop") rovinata da due annotazioni di polizia giudiziaria, con veleni inspiegabili su mezza Procura di Milano e accuse false contro 7 famosi magistrati.

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(16 novembre 1996) - Corriere della Sera

IL CASO DI PIETRO. CONTRO I PM MILANESI RIAPERTE A BRESCIA VECCHIE INCHIESTE CON FASCICOLI “ DIMENTICATI “, TRA CUI UN RAPPORTO DEL GICO DI FIRENZE

Fuoco sul Pool, rispunta anche l’AutoparcoIl caso: l’appartamento messo a disposizione del figlio di Dinacci ex 007 del ministero. E da Roma è partita la denuncia per un’indagine “ sospetta “ fatta archiviare nel 1993

Contro i pm milanesi riaperte a Brescia vecchie inchieste con fascicoli “ dimenticati", tra cui un rapporto del Gico di Firenze Fuoco sul Pool, rispunta anche l’Autoparco Il caso: l’appartamento messo a disposizione del figlio di Dinacci ex 007 del ministero E da Roma è partita la denuncia per un’indagine “ sospetta “ fatta archiviare nel ‘93

DAL NOSTRO INVIATO BRESCIA - Fuoco sul Pool. Saranno anche “ fatali coincidenze", ma all’improvviso sonnolente procure si svegliano. Da polverosi scaffali rispuntano vecchie inchieste, fascicoli dimenticati, rapporti sottovalutati: veri contenitori di veleni sui magistrati di Milano. E tutto finisce, per competenza, alla procura di Brescia, che - già impegnata sul nuovo “ caso Di Pietro “ - rischia di crollare sotto il peso schiacciante delle nuove indagini. Sono già una ventina i fascicoli aperti nelle ultime settimane, cinque i sostituti che se ne occupano praticamente a tempo pieno. È l’ultimo capitolo tornato sotto i riflettori è quello dell’Autoparco, una riscoperta - questa - della stessa procura bresciana. Il presunto coinvolgimento di magistrati milanesi per coperture a boss della mafia era già stato vagliato in un’inchiesta condotta dal pm Guglielmo Ascione e conclusasi nel ‘94 con un’archiviazione da parte del gip Andrea Battistacci. In sostanza, dopo sette mesi di indagini, erano state ritenute infondate le dichiarazioni del pentito calabrese Salvatore Maimone che, in una dichiarazione raccolta dal Gico di Firenze, aveva accusato di collusione il pm Alberto Nobili. Ma, nel febbraio dello scorso anno, il Gico aveva fatto un nuovo rapporto considerato una “ rivisitazione “ di tutta la storia dell’Autoparco. Il documento era finito prima alla procura di Bologna (per risvolti che riguardavano la “ banda delle coop") e da questo ufficio sarebbe stato trasmesso a Brescia per via di conclusioni inquietanti: “ circostanze oggettive “ che, alla luce di una nuova dichiarazione di Maimone, definirebbero i contorni di una trama ordita da magistrati milanesi per coprire boss della mafia e colleghi corrotti. Il rapporto, “ dimenticato “ dopo il trasferimento di Ascione a Verona, è stato riscoperto nei giorni scorsi grazie a una telefonata della procura di Bologna che chiedeva informazioni. Ed ora sarebbe sul tavolo del pm Silvio Bonfigli, coordinatore del pool bresciano. Intanto sui pm di Mani Pulite, già indagati per la “ gestione “ di Francesco Pacini Battaglia, arrivano altre accuse, questa volta dall’ex “ porto delle nebbie", la Procura di Roma. Un ufficiale di polizia giudiziaria ha recapitato sabato 2 novembre alla procura di Brescia una denuncia del gip romano Maurizio Pacioni. E per Di Pietro, Borrelli, Davigo, Colombo, D’Ambrosio e l’ex gip Ghitti è subito scattata una doppia ipotesi di accusa: falso ideologico e abuso d’ufficio. È una vicenda che inizia a Milano il 28 aprile ‘93, in piena Tangentopoli. Quel

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giorno Di Pietro interroga il manager della Fiat Impresit Ugo Montevecchi, il quale a pagina 18 del verbale racconta che nel dicembre ‘91 il senatore dc Giorgio Moschetti, “ punto di riferimento nella distribuzione delle commesse pubbliche a Roma", gli chiese di far acquistare dalla Fiat un appartamento ai Parioli (costo: 2 miliardi e 400 milioni) da mettere a disposizione di un avvocato romano, Filippo Dinacci, figlio di Ugo Dinacci, capo degli ispettori ministeriali nel periodo in cui fu aperta la famosa inchiesta riservata su Di Pietro e che ora viene processato a Brescia per concussione nei confronti dell’ex pm. L’undici maggio Moschetti ricevette un avviso di garanzia dal Pool. Il 7 giugno fu presentata la richiesta di archiviazione firmata da Di Pietro, Davigo, Colombo, Borrelli e D’Ambrosio, richiesta accolta dieci giorni dopo dal gip Italo Ghitti. Poco prima dell’avvio dell’inchiesta ministeriale sulla procura di Milano disposta dal ministro Biondi, Montevecchi spedì ai magistrati di Milano una nuova memoria. Ma, essendo già stata archiviata l’inchiesta, il documento fu trasmessso a Roma il 29 dello stesso mese. Ricevendo in assegnazione il carteggio, il pm della capitale Francesco Misiani scrisse alla procura di Milano per sapere se in quella sede era già stato aperto un procedimento contro Moschetti per la storia dell’appartamento. Fu Piercamillo Davigo a rispondere con una lettera datata 27 febbraio ‘95 che si concludeva così : “...in merito al suindicato fatto specifico, si comunica che questo ufficio non procede". Misiani aprì allora un’inchiesta su Moschetti il quale fece presente di essere già stato prosciolto a Milano. Il pm chiese copia degli atti ai colleghi, ma non avrebbe mai avuto risposta. Così arrivò a chiedere il rinvio a giudizio del senatore democristiano per corruzione. Ma il gip Pacioni volle vederci chiaro. A quel punto il legale di Moschetti si recò a Milano dove acquisì il fascicolo dell’archiviazione e, un mese fa, Moschetti è stato prosciolto anche a Roma. Subito dopo Pacioni ha deciso di rivolgersi alla procura di Brescia inviando gli atti insieme con una lettera di tre pagine in cui chiede di accertare se fu regolare il comportamento dei magistrati di Milano. L’avvocato Filippo Dinacci ieri ha voluto precisare che non usufruì mai dell’appartamento dei Parioli. “ Quando venni a sapere che quella casa non era di Moschetti ma della Fiat - ha spiegato - decisi di non mandare avanti le trattative di locazione in corso".

Corvi Luigi

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(18 novembre 1996) - Corriere della Sera

I VERBALI

Autoparco, le due “ verita “ del pentitoAi pm di Firenze: “Vi dico tutto dei traffici di Milano“. E al Pool: “Vigna insiste che gli parli di voi...“. Nelle frasi di Maimone i retroscena di ciò che Tonino ha definito “mostruosa vendetta“. “ Non voglio essere interrogato dai toscani fanno domande e si danno risposte da soli “. I motivi dell’archiviazione a Brescia nel ‘94

DAL NOSTRO INVIATO LA SPEZIA - Perchè la magistratura di Brescia ha riaperto il caso Autoparco? Chi sono i finanzieri del Gico di Firenze che Di Pietro ha denunciato, con nomi e cognomi, come autori di “una vendetta mostruosa“ contro Mani pulite? E dietro la nuova ondata di “ indagini sulle indagini “ può nascondersi una “ guerra tra procure"? Una prima risposta a questi interrogativi (in attesa di una verità giudiziaria) esce da due rapporti riservati del Gico e da un autorevole verbale milanese che si smentiscono a vicenda: le “ pietre dello scandalo “ che segnano l’inizio di tutti i veleni. In discussione, la credibilità dell’inchiesta “ Autoparco 2", aperta a Firenze per smascherare presunte coperture giudiziarie che dal 1980 al 1992 avrebbero favorito una potente “ centrale della mafia “ a Milano. Un’indagine al vetriolo condotta dallo stesso gruppo investigativo che oggi lavora alla Spezia su Pacini e a Brescia su Di Pietro e i suoi amici. La prima “ annotazione di polizia giudiziaria “ è firmata dal colonnello Avarelli, dal capitano Chieregato e dal tenente D’Andrea. “ Il 29 ottobre ‘93 - scrive il Gico di Firenze - il collaboratore di giustizia Salvatore Maimone veniva interrogato, con apparato di registrazione, dal procuratore Vigna, dimostrando un atteggiamento riluttante (...). Al termine di tale atto confidava a (noi) ufficiali l’intenzione di rendere dichiarazioni sulle coperture dell’organizzazione, ma di dover (prima) ricevere assicurazioni sulla variazione della sua dipendenza da Milano. Inoltre specificava che le sue deposizioni ai sostituti Aniello e Romanelli di Milano erano state strumentalizzate in quanto gli era stato impedito di rivelare fatti che non interessavano loro. In merito precisava che gli era stata manifestata in più occasioni la volontà di non parlare dell’Autoparco (...) inoltre sosteneva che il pm Nobili aveva offerto più volte copertura all’organizzazione (...) e rivelava di avergli consegnato personalmente denaro". Va subito precisato che Nobili, ex marito di Ilda Boccassini, aveva appena fatto arrestare 200 mafiosi: a Brescia lo hanno prosciolto con tante scuse. Ma il caso Autoparco non finisce qui. In una seconda annotazione il Gico scrive: “ Il 5 novembre ‘93 Maimone riferiva spontaneamente che se avesse potuto collaborare con Firenze avrebbe avuto qualcosa da dire anche sul dottor Di Maggio, in relazione sempre all’Autoparco e alle rivelazioni fatte da Epaminonda (...); prima dell’interrogatorio davanti al pm Nicolosi il Maimone ribadiva che non avrebbe potuto rivelare le coperture se fosse rimasto sotto la tutela di Milano, sottolineando, solo a titolo di esempio: “ Come potrei parlare di magistrati famosi come Nobili, Di Pietro, Borrelli, eccetera? Se io parlassi, passerei per pazzo". Senonchè il 6 novembre, a Milano, il caso Autoparco si capovolge. Davanti al procuratore Borrelli e ai pm Aniello e Minale (capo dell’Antimafia) il pentito Maimone dichiara: “ Non vorrei più essere interrogato dai magistrati di Firenze perchè loro fanno le domande e si danno le risposte da soli (...) (anche) il dottor Vigna mi ha chiesto dei magistrati di Milano e alla mia risposta negativa (non so nulla) ha affermato che non ero sincero (...); gli ufficiali del Gico, in

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particolare D’Andrea, un capitano e un colonnello con il pizzetto, mi hanno parlato dell’omicidio Scera dicendo che Nobili aveva coperto i colpevoli (...) poi hanno iniziato a chiedermi anche di Di Pietro, in quanto nel 1980 era poliziotto al quarto distretto con il dottor Iacovelli; io ho risposto che Di Pietro l’avevo soltanto visto in televisione (...); mi hanno anche detto che nell’84 Di Maggio aveva raccolto le confessioni di Epaminonda e quindi sapeva tutto sull’autoparco (...) mi hanno inoltre parlato del dottor Spataro, che non ho mai visto (...); nel penultimo interrogatorio a un certo punto il dottor Vigna, alla mia risposta negativa, mi ha domandato se, almeno per sentito dire, ero a conoscenza di fatti di corruzione di magistrati di Milano sull’Autoparco, ma anche più in generale. Invece Nicolosi mi aveva invitato a riferire soltanto fatti precisi (...); sono stato convocato a Firenze 5 o 6 volte, ma non sempre è stato redatto un verbale, in particolare non quando mi hanno chiesto di magistrati, perchè io non avevo potuto riferire nulla". La prima indagine su questa guerra tra procure fu archiviata nel ‘94 dal pm Guglielmo Ascione: tutta colpa di Maimone. Ora, con la nuova inchiesta bresciana sull’"Autoparco 2", il caso dei veleni è riaperto.

Biondani Paolo

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(19 novembre 1996) - Corriere della Sera

GLI STRALCI DEL RAPPORTO SEGRETO ELABORATO DA SERVIZI DEVIATI ALLO SCOPO DI SCREDITARE L’EX PM E IL SUO LAVORO PER MANI PULITE

Ecco tutti i veleni del dossier “ Achille “ “L’interesse di Di Pietro era volto a orientare le indagini per scagionare Lucibello... “

ROMA - Di Pietro si è dimesso da ministro perchè sarebbe in atto, ha detto, “ una mostruosita “ contro inchieste e uomini di Mani pulite. Gran parte dei veleni emersi negli ultimi mesi erano già contenuti in vari anonimi, tra cui il dossier Achille, di cui magistratura e Comitato parlamentare di controllo sull’attività dei servizi segreti hanno potuto acquisire solo una piccolissima parte. Di cui oggi, per dovere di cronaca, pubblichamo gli stralci principali. Si tratta di “ notizie “ raccolte ed elaborate allo scopo di screditare Di Pietro e i colleghi milanesi. Numerose indiscrezioni riguardano i rapporti tra pubblici ministeri e Guardia di Finanza. Già allora si sottolineava un ruolo particolare che avrebbe svolto Pacini Battaglia. E già da allora (‘93 - ‘94) si parlava dei presunti tentativi di insabbiare l’inchiesta sui finanziamenti illeciti al Pci - Pds, sulle coperture di cui avrebbero goduto le attività dell’avvocato Lucibello, e di quelle che avrebbero caratterizzato le indagini sull’Autoparco di Milano, utilizzato dalla mafia per i suoi traffici. Una vera e propria attività di spionaggio, dunque, che è stata già “ bollata “ come illegittima dal precedente Comitato di controllo presieduto dal pidiessino Massimo Brutti e sulla quale hanno a lungo indagato la magistratura di Brescia e di Roma. Indagini giudiziarie su presunte coperture ed insabbiamenti che si sono concluse con l’archiviazione. Da più di un anno Comitato parlamentare e autorità giudiziaria hanno chiesto inutilmente al Sisde la trasmissione dell’intero dossier Achille, composto da centinaia di pagine. La prossima settimana il presidente del Consiglio risponderà a Montecitorio su tutte le attività di dossieraggio nei confronti di Di Pietro.

LE PAGINE CONTRO TONINO “ Mollò l’inchiesta ai giudici di Napoli per poterla controllare meglio “ Ecco il testo di alcuni documenti su Di Pietro e la conduzione di Mani pulite, acquisiti dalla magistratura di Brescia e dal Comitato servizi, provenienti dal dossier Achille. La grafia dei nomi è quella originale dei testi. La titolazione è redazionale. L’inchiesta sull’autoparco - Le coperture sui traffici Autoparco di Milano risalgono ad almeno dieci anni fa e oltre. Di Maggio, il giudice di Milano, faceva l’avvocato presso lo studio del difensore del conte Borletti nella vicenda del Casinò di Sanremo. Di Pietro, con il commissario appena arrestato con i 4 agenti, operava al commissariato “ Magenta". “ Al suo cliente ci penso io “ Un sottufficiale dei servizi segreti (GdF) di stanza stabilmente a Montecarlo che indagava sul catanese Catafi per un traffico d’armi legato all’autoparco s’imbattè nella vicenda del Casinò di Sanremo. Riferì ai diretti superiori chiedendo la protezione sui suoi informatori che ne informarono il pm Davigo. Risultato: mandato di cattura per tutti per una decina di reati, dal tentato omicidio alla scorribanda armata. Gli arresti avvennero (siamo nell’84 - 85) all’indomani della pubblicazione su Panorama

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di un articolo nel quale un secidente “ dottor Rossi “ (era l’agente dei servizi) forniva dettagli sugli argomenti oggetto dell’indagine. Si vuole che l’agente, registrando telefonate, ne abbia intercettata una in cui Di Maggio “ assicurava “ il legale del conte Borletti: “ Al suo cliente ci penso io". L’agente dei servizi, interrogato da Di Maggio e da Davigo, nel giro di pochi giorni fu rimesso in libertà, con l’obbligo settimanale di firmare il registro, facendo su e giù da Montecarlo a Milano. Evidente il fine intimidatorio. Dopo otto anni, lo scorso anno, si è celebrato a Milano il processo. È durato dieci minuti, in apertura il pm Tiziana Parenti ha chiesto il proscioglimento e tutto è finito lì. “ Borrelli doveva vedere “ Il fascicolo dovrebbe essere di facile reperimento, così come le bobine dei nastri registrati. In tutti questi anni procuratore della Repubblica è stato Borrelli che come rivendicato dai giudici fiorentini non poteva non vedere quello che avveniva all’autoparco di Milano su cui tutte le segnalazioni e denunce venivano... trascurate. Vincenzo Balsamo, Di Pietro e D’Adamo - Il possibile testimone della presentazione a Balzamo (il nome giusto è in realtà Vincenzo Balsamo, ex segretario amministrativo del Partito socialista di Craxi, deceduto, ndr) da parte di Di Pietro del costruttore D’Adamo non è disponibile per la sua posizione personale (è stato coinvolto dalla Guardia di finanza di Venezia nell’inchiesta su De Michelis). “ Tonino lasciò perdere... “ Il fatto è vero ma non provabile. L’incontro avvenne dopo il coinvolgimento di Balzamo nell’inchiesta del sost. Di Pietro su “ Lombardia Informatica". Tutte le decine di persone coinvolte furono rinviate a giudizio. Contrariamente a quella che è una costante nell’operato di Di Pietro, le posizioni di Balzamo e Boccia furono stralciate e rimesse a Brescia dove furono archiviate. Il rapporto Di Pietro - Balzamo si consolidò con l’inchiesta “ Duomo Connection “ nella quale rimase coinvolta la dipendente del Comune di Milano, Laura Saletta, che, pur figurando come segretaria dell’ass. Schemmari, in realtà operava al servizio del capo ripartizione, arrestato e condannato. Sul conto bancario della Saletta furono ritrovati soldi che, a quel che si dice, furono poi restituiti a quello che lei disse essere il suo uomo... Appena scoppiata Tangentopoli Di Pietro cominciò ad interessarsi anche della “ Informatica “ alle ferrovie. Si vuole, in ambiente Fs, che poi lasciò perdere perchè una tranche del lavoro fu avviato dalla società dell’avv. Lucibello. Lucibello e i lettori ottici per la sanità - L’inchiesta sulla Sanità a Napoli fu passata, per competenza, dal dott. Di Pietro. Questi iniziò l’inchiesta con l’interrogatorio a Roma, per una intera notte, di un responsabile della società “ Sopin “ di proprietà di Patrucco e che opera nel sistema informatico. Zavaroni (è il nome del dirigente della Sopin) legato al Psdi non è stato sentito “ a verbale", ma in maniera informale. Disse tutto ciò che sapeva sul segretario di De Lorenzo, Maroni, il quale poi divenne il principale collaboratore di Di Pietro. “ Tenerne fuori Lucibello “ Nel settore dei lettori ottici, per la sanità, ha interessi l’avv. Lucibello di Milano e pare che tutto l’interesse di Di Pietro è stato volto ad orientare le indagini in maniera da tenerne fuori Lucibello. L’estromissione dall’inchiesta di Zavaroni e della Sopin sarebbe il prezzo pagato al silenzio sulle attività di Lucibello. Di qui la decisione di Di Pietro di “ mollare “ l’inchiesta ai giudici di Napoli dove, riportano i giornali, si reca spesso per interrogare Poggiolini o altri, ma in realtà per controllare l’andamento dell’inchiesta. “ Il sistema Pacini “ Nell’ambito dell’inchiesta meglio nota come “ fronte rosso", il Nucleo di polizia tributaria di Milano ha acquisito una informazione circa il possesso di un soggetto identificato, di documentazione bancaria comprovante illeciti finanziamenti al Pci / Pds attraverso il cosiddetto sistema Pacini Battaglia. Tale soggetto avrebbe asserito che la citata documentazione proveniente a mezzo “

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spallone “ della Banca Svizzera Karfinko sarebbe stata consegnata dallo stesso al sostituto Procuratore della Repubblica di Milano dr. Francesco Greco. “ L’inerzia del pm “ La immediata disamina del materiale permetteva di formulare preliminari valutazioni di cui si fa rimando all’allegato denominato “ Appunto informativo". Il predetto episodio che è indice dell’inerzia del pm di “ Mani pulite “ potrebbe far rivisitare tutta l’attività di indagine svolta dalla Procura di Milano nei confronti di esponenti politici del Pci / Pds. Le due perquisizioni nella sede romana del Pds - (...) Le testimonianze rese permettevano di ricostruire le vicende connesse ad una tentata compravendita di un immobile di Roma sito in via Serchio di proprietà di una società collegata al Pci - Pds (...). Il Binasco (l’imprenditore acquirente dell’immobile, Bruno Binasco, ndr) veniva sentito in prima battuta dal pm Paolo Ielo e successivamlente dalla dott.ssa Tiziana Parenti - la quale ne aveva richiesto l’interrogatorio - che a seguito di questo richiedeva un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Fredda e Greganti. Benchè l’indagine fosse delegata alla Guardia di Finanza tali arresti sono stati fatti eseguire dai Carabinieri i quali, su ordine del pm Pier Camillo Davigo, procedevano anche ad una perquisizione locale alla sede romana del Pds. Nel corso dell’atto di PG i militi dell’Arma provvedevano al suggellamento dell’ufficio di Fredda e dei mobili ivi contenuti. Il giorno 21.9.1993 un altro pm di Milano, la dott.ssa Parenti, ordinava un’ulteriore perquisizione nell’ufficio di Fredda (sito al terzo piano della sede del Pds di via Botteghe Oscure) che veniva eseguita in data 22.9.1993 dalla Guardia di Finanza. I militari dopo aver proceduto al dissuggellamento alla presenza di un legale constatavano la totale assenza di documentazione (in nero nel documento, ndr) particolare che è stata immediatamente rappresentata allo stesso legale che assisteva.(...) Ventiquattr’ore dopo la perquisizione in data 23.9.1993 alle ore 19.52 il servizio Rai / Televideo trasmetteva il seguente comunicato: “ Visitata Botteghe Oscure - violati e rovistati gli uffici delle Botteghe Oscure. L’episodio è avvenuto nei primi giorni di agosto, ma è trapelato solo ora. Di notte è stata scardinata una porta laterale e sarebbero stati raggiunti e frugati uffici al terzo piano dove ha sede l’amministrazione della Quercia (...)". Di Pietro e il caso Greganti - In data 27.10.1993 il dr. Di Pietro trasmetteva una nota tramite la quale chiedeva alla Guardia di Finanza di Milano di riferire in merito ai sei punti stralciati dalla richiesta del Gip Italo Ghitti, relativa alla proroga di ulteriori quattro mesi delle indagini sul conto Gabbietta ed indicati nel foglio allegato nr.1. “ Quei punti ridotti “ In proposito si specifica che la richiesta del Gip Italo Ghitti conteneva originariamente nr.7 punti ridotti successivamente dal dr. Di Pietro all’atto della trasmissione eliminando il punto 6 recante: “ Verificare se solo il Greganti avesse la disponibilità del conto Sorgente; in caso negativo, chi altri poteva operare su detto conto". “ Le correzioni su Greganti “ Con lettera nr. 6842:UG del 27.10.1993 la Guardia di Finanza di Milano trasmetteva al dr. Di Pietro una relazione redatta da tre ufficiali di Polizia Tributaria e della Polizia Valutaria di Milano. Tale relazione recapitata a mano dal capitano Gianfranco Ardizzone non veniva accettata dal dr. Di Pietro il quale dettava all’ufficiale alcune correzioni e aggiunte da evidenziare all’interno della relazione di pg. Le correzioni sono le seguenti: - “ Dire nella relazione che non si reputa necessario ricorrere ad accertamenti bancari perchè appare verosimile che il Ferrari non abbia reso palesi le entrate derivanti da un preliminare che riporta cifre da lui percepite in nero"; - “ per ciò che attiene ai movimenti di Greganti è da ritenersi che nei giorni 26.6.1991 e 29.10.1991 egli fosse nei luoghi ove ha stipulato gli atti". Tali correzioni venivano dettate dal pm in questione al capitano Ardizzone il quale

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provvedeva a riportarle sulla relazione originale alla presenza di questi (vds allegato nr.2). Il b. Simonetti al suo rientro presso gli uffici del Nucleo pt riferì l’accaduto al Ten. Col. Giuliano Montanari e al magg. Carta. È opportuno evidenziare che le date 26.6.1991 e 29.10.1991 corrispondono a quelle di stipulazione rispettivamente del preliminare e del rogito di vendita dell’immobile sito in Roma, via Tirso, 83. L’informativa nr.7601 / UG / VII 1 trasmessa dalla Guardia di Finanza in data 25.11.1993 alla Procura di Milano a pag. 14 reca infatti la circostanza priva di una plausibile spiegazione relativa al fatto che Greganti Primo o chi per lui abbia prelevato la somma di lire 379.623.288 (utilizzata per l’acquisto dell’immobile) dalla Banca di Lugano lo stesso giorno in cui alle 09.30 avrebbe in Roma versato l’ultima tranche del corrispettivo, pattuito in nero al Ferrari Mario. (...) A seguito del rifiuto di eseguire pedissequamente le correzioni richieste dal magistrato il col. Montanari riceveva critiche e suggerimenti relativi alle indagini in corso da parte del Proc. Aggiunto Dott. D’Ambrosio.

LA “ GUIDA “ I nomi dei protagonisti del fascicolo ROSARIO CATTAFI - Imprenditore messinese, condannato in primo grado per l’Autoparco. Sotto inchiesta in Sicilia per traffico d’armi, citato pure negli atti spezzini dell’inchiesta su Pierfrancesco Pacini Battaglia. Al centro di numerosi anonimi contro Antonio Di Pietro, ha sempre respinto le accuse. FRANCESCO DI MAGGIO - Magistrato morto un mese fa. Smantellò il clan Epaminonda, fece parte dell’Alto commissariato antimafia. Direttore delle carceri, si dimise dopo il Decreto Biondi. Chiamato in causa dal Gico di Firenze per l’Autoparco, presentò numerose denunce. CONTE BORLETTI - Coinvolto nell’inchiesta sulla scalata della mafia ai casinò. ANTONIO D’ADAMO - Immobiliarista milanese, amico di Di Pietro. La moglie dell’ex pm era sua consulente. I rapporti con D’Adamo erano trattati nel dossier del Sabato del 1993. Adesso è oggetto dell’ultima inchiesta bresciana: avrebbe ricevuto 15 miliardi da Pacini Battaglia grazie all’interessamento di Lucibello. I LETTORI OTTICI - La questione era trattata in un anonimo del 1994 e si intreccia con i veleni dell’Autoparco: si parlava di una società nella quale avrebbe avuto interessi Lucibello. L’inchiesta è stata trasmessa a Napoli. BINASCO E BOTTEGHE OSCURE - Il Pool fece perquisire gli uffici nel 1993 per trovare documenti sul patrimonio immobiliare del Pci - Pds dopo le rivelazioni di Bruno Binasco, manager dell’Itinera, sull’attività di Primo Greganti. Il tema è stato oggetto di una denuncia anonima. La procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla presunta violazione dei sigilli. I CONTI DI GREGANTI - Il gip Italo Ghitti, respingendo la richiesta di archiviazione nei confronti di Marcello Stefanini, tesoriere del Pds defunto nel 1994, aveva ordinato nuove indagini sui conti esteri. Gli accertamenti non sono mai stati completati anche perchè le rogatorie non hanno avuto risposta.

Calabrò Maria Antonietta

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(27 novembre 1996) - Corriere della Sera

DALLA CORTE D’APPELLO PER VIZI PROCEDURALI. GLI ATTI RINVIATI ALLA PROCURA

Processo autoparco, annullate metà delle condanneDalla Corte d’appello per vizi procedurali. Gli atti rinviati alla Procura Processo autoparco, annullate metà delle condanne Dimezzato il processo autoparco. Per metà degli imputati si riparte da zero: condanne annullate, per vizi procedurali, e ritorno in Procura, per una nuova inchiesta. Tra i presunti innocenti, l’avvocato Giuseppe Cucinotta, che in tribunale era stato punito con 10 anni e mezzo di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Sentenza cancellata anche per il protagonista di uno dei più misteriosi capitoli del caso Di Pietro: Rosario Cattafi, imprenditore messinese arrestato come boss di Cosa Nostra, ma poi condannato a 11 anni e 8 mesi solo per traffico di cocaina (e non di armi). La prima corte d’appello (presidente Lucilio Gnocchi) ha invece ribadito la validità della parte più delicata del processo autoparco. Nulla da eccepire, in particolare, sull’assoluzione con formula piena del vicequestore Carlo Iacovelli. Per lui, come per altri nove imputati, il processo d’appello prosegue oggi senza variazioni. Il caso autoparco è uno dei più controversi degli ultimi anni. L’inchiesta parte da Firenze, nell’aprile ‘92, con una serie di operazioni contro una “ federazione di cosche “ che dal ‘91 faceva base in un parcheggio per camion in via Salomone 78 a Milano. Sopra quell’indagine ne viene costruita un’altra, sulle presunte “ coperture": nel mirino una decina di ex poliziotti del quarto distretto. Poi, il giallo: il 6 novembre ‘93 il pentito del caso autoparco, Salvatore Maimone, si precipita a Milano per firmare, davanti a Borrelli, un verbale inquietante: “ A Firenze vogliono incastrare con accuse false i pm Di Pietro, Di Maggio, Spataro e Nobili". Dopo uno scontro frontale tra le due Procure, l’indagine sui magistrati milanesi viene archiviata a Brescia (con tante scuse). Ma due mesi fa il caso, che sembrava chiuso, si riapre con l’inchiesta di La Spezia su Pacini e Necci: la nuova indagine (con le famose intercettazioni che tirano in ballo anche Di Pietro) è infatti condotta dai finanzieri del Gico di Firenze, gli stessi dell’autoparco. In discussione, ieri, era proprio il processo sulle “ coperture", il più delicato. L’annullamento della sentenza di primo grado (18 condanne e 4 assoluzioni) era stato chiesto per vizi procedurali. In marzo la Corte costituzionale ha deciso che, quando cambia la competenza territoriale, il fascicolo deve tornare nella fase delle indagini, per consentire i “ riti alternativi". Da Firenze, invece, il caso autoparco arrivò a Milano direttamente in tribunale. Un vizio che però non interessa gli imputati che, come Carlo Iacovelli, non avevano chiesto il “ rito abbreviato". Per tutti gli altri, si ricomincia.

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(29 novembre 1996) - Corriere della Sera

ATTO D’ACCUSA DEL MAGISTRATO

Autoparco, processo bis Il pg: “ Il Gico di Firenze ha manovrato il pentito “ Chiesti però sette anni per il vicequestore Iacovelli

MILANO - Al processo d’appello per il caso Autoparco finisce sotto accusa il Gico di Firenze. Cioè il famoso gruppo investigativo che, con la Procura di La Spezia, ha fatto esplodere “ Tangentopoli 2", arrestando “ Chicchi “ Pacini Battaglia, con Lorenzo Necci, e riaprendo anche il caso Di Pietro. L’attacco al Gico porta la firma del sostituto procuratore generale Isabella Pugliese. Lo stesso magistrato, ieri sera, ha chiuso la sua requisitoria riconfermando la solidità generale dell’inchiesta (nata a Firenze) sulle presunte “ coperture “ dell’autoparco milanese del boss Jimmy Miano. Tanto da chiedere 7 anni di prigione, per mafia e corruzione, per l’imputato più in vista: il vicequestore Carlo Iacovelli, che in primo grado era stato assolto con formula piena. “ Quella sentenza - esordisce il sostituto pg - è frutto di un grosso pregiudizio: il pentito Salvatore Maimone deve mentire. Perchè ? Diciamocela tutta: Maimone è stato il tramite di accuse pesantissime contro un nostro collega stimatissimo e degnissimo, per la cui onestà io metto entrambe le mani sul fuoco. Ma non bisogna buttar via l’acqua sporca con il bambino!". Traduzione: lo stesso pentito che accusava i poliziotti sarebbe stato usato anche per infangare almeno 4 magistrati onesti di Milano. A cominciare dal pm antimafia Alberto Nobili, prosciolto da tempo. Sostiene Pugliese: “ Le accuse al nostro collega nascevano, in pratica, dal fatto che lui, per combinazione, era di turno esterno nel giorno dell’omicidio Scerra, che risale all’89. Noi sappiamo come vanno le cose: sfido chiunque a risolvere un delitto di mafia con un turno esterno. Ma per il Gico non è così... Poi, però, a Firenze si sono resi conto di avere in mano molto poco. E allora hanno chiamato Maimone, che è un chiacchierino. Ma il punto è che lui, con i pm di Firenze, ha messo a verbale solo questo: “ Sui magistrati milanesi io non so niente". Quindi il sostituto pg prende tre “ annotazioni “ del Gico (quelle dove si legge che Maimone vorrebbe accusare Nobili, Spataro, Di Maggio e Di Pietro, ma non può farlo per paura) e le sventola in aria: “ Mi dispiace, ma queste cose mi stupiscono... Il Gico consegna ai pm di Firenze dichiarazioni accusatorie che Maimone non ha mai messo a verbale! Mi stupisce che ufficiali di polizia giudiziaria possano indicarle come fonti di prova... alla faccia del codice. E mi stupisce ancor più che altri magistrati possano prendere questa spazzatura senza dignità per costruirci sopra un’archiviazione. Invece di dire “ contro i pm milanesi non c’è niente", si dice: “ Maimone quelle cose le ha dette, ma erano false". E poi si indaga sul pentito per calunnia... Ma come si fa a dare la calunnia a uno che si è rifiutato di firmare il verbale? Il colmo che è questa indagine, da Brescia, è finita proprio a Firenze, dove pende da due anni".

Biondani Paolo

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(11 dicembre 1996) - Corriere della Sera

ALTRI 61 RINVIATI A GIUDIZIO. OGGI LA SENTENZA D’APPELLO PER IL VICEQUESTORE

Autoparco, l’inchiesta del Gico alla resa dei contiAltri 61 rinviati a giudizio. Oggi la sentenza d’appello per il vicequestore Autoparco, l’inchiesta del Gico alla resa dei conti Alla stretta finale il caso autoparco. Con il decollo o la chiusura di tre diversi processi, scaturiti tutti dalla grande inchiesta antimafia del Gico di Firenze, il gruppo speciale della Finanza che oggi è al centro di polemiche per l’ultimo blitz contro Di Pietro. In corte d’appello, per oggi pomeriggio, si attende la sentenza sul capitolo più controverso dell’indagine: le presunte “ coperture “ istituzionali che avrebbero protetto la pericolosa “ federazione di cosche “ che fino al ‘92 faceva base in via Salomone 78 a Milano. L’imputato più in vista è il vicequestore Carlo Iacovelli, che in primo grado fu assolto con formula piena, dopo tre mesi di carcere preventivo a Firenze. In appello, la pubblica accusa ha di nuovo proposto una condanna pesante: sette anni. Ma il difensore, l’avvocato Ludovico Isolabella, ha ribattuto attaccando il Gico per presunte manovre sulle intercettazioni e sui pentiti: “ Queste non sono calunnie - ha detto il legale -: sono denunce di illeciti". Il filone più velenoso dell’inchiesta, con il Gico che accusava insospettabili pm milanesi, si è chiuso già nel ‘94 con la piena assoluzione dei magistrati. Nel ‘93 ne era nato un duro scontro tra Milano e Firenze: un caso ancora aperto. Alla seconda sezione del tribunale, ieri, è cominciato invece il processo - base a 21 imputati di associazione mafiosa, traffico di droga e armi. L’imputato numero uno è Jimmy Miano, il boss dell’autoparco, già condannato a Milano all’epoca del pentito Epaminonda. Ma sotto inchiesta c’è anche Giacomo Riina, l’anziano zio di Totò. A Firenze, prima dell’annullamento del processo per incompetenza territoriale, era stato condannato a 8 anni anche Angelo Fiaccabrino, un imprenditore milanese che il Gico aveva indicato come presunto intermediario tra mafia, affari, politica e massoneria. Il suo difensore, Luca Ricci, ha già parlato in aula di ricostruzione inverosimile: “ Fiaccabrino, candidato nel ‘92 con il Psdi nella circoscrizione Milano - Pavia, ottenne appena 589 voti. E soltanto 4 nella zona dell’autoparco". Nella sua relazione, invece, il pm Domenico Chiaro ha ribadito la pericolosità dell’organizzazione e l’importanza delle coperture addebitate a politici e poliziotti. Sempre ieri si è chiuso un altro troncone dell’inchiesta autoparco, nato dal sequestro a Firenze di un carico di hashish e armi che il clan Di Giovine aveva spedito da Milano a Napoli. Su richiesta del pm Maurizio Romanelli, il gip Roberta Cossia ha rinviato a giudizio 61 imputati minori, considerati come la “ manovalanza “ delle cosche. Processo il 23 aprile.

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(12 dicembre 1996) - Corriere della Sera

Autoparco, colpo di scena. Il vice questore Iacovelli condannato per corruzione

Autoparco, colpo di scena Il vice questore Iacovelli condannato per corruzione Colpo di scena al processo d’appello per il caso autoparco. Il vicequestore Carlo Iacovelli, che in primo grado era stato assolto con formula piena, è stato condannato a 4 anni e mezzo di prigione per corruzione continuata. Verdetto rovesciato anche per il poliziotto Vincenzo Grimaldi, che si è visto infliggere 2 anni e mezzo. Per il suo collega Roberto Stornelli, l’unico che era già stato riconosciuto colpevole, la condanna è stata ridotta a 3 anni, rispetto ai 4 e mezzo del giudizio precedente. La prima corte d’appello (presidente Gnocchi, a latere Poppi e Carnevali), dopo quasi otto ore di camera di consiglio, ha in pratica “ riabilitato “ l’intera inchiesta sulle “ coperture “ che un gruppo di poliziotti del quarto Distretto avrebbe garantito ai clan mafiosi dell’autoparco di via Salomone. Un’indagine firmata dal Gico di Firenze, il gruppo speciale della Finanza che ora è nella bufera per il caso Di Pietro. I tre poliziotti condannati per corruzione, alle 19 di ieri, erano tutti in aula per ascoltare il verdetto. In prima fila c’era Iacovelli, che si è messo le mani sugli occhi ed è scoppiato a piangere. Stornelli, lasciando l’aula, ha commentato: “ Ci hanno rovinato". Per i difensori, l’unica consolazione è la conferma dell’assoluzione per il reato più infamante: nessun poliziotto è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Iacovelli e Grimaldi sono stati condannati per corruzione continuata, mentre Stornelli per un’unica bustarella, da lui definita “un prestito": due milioni in contanti versati dal boss dell’autoparco Giovanni Salesi. Confermate inoltre le condanne, da 9 a 16 anni, per sei trafficanti, imputati per mafia, droga o armi. Sotto choc i difensori, che ora preparano la rivincita in Cassazione. L’avvocato Ludovico Isolabella si dice “stupefatto": “ Per Iacovelli, la corruzione non è storicamente vera nè tantomeno dimostrabile. La Corte non ha proprio capito i fatti". Luca Ricci, che difende Stornelli e Grimaldi, parla di “ sentenza infondata “ e ricorda che “ l’accusa di corruzione fu introdotta solo a Milano, quando il pm si accorse che zoppicava il teorema di Firenze sulla mafia".

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(31 dicembre 1996) - Corriere della Sera

FIRENZE, LA BIMBA ORA HA 10 ANNI

“Processate quel pentito. Durante la protezione ha abusato della figlia “ FIRENZE - Un pentito di mafia è accusato dalla Procura di aver compiuto per almeno due anni - quando già era sotto protezione - atti di libidine violenta sulla figlia, che ha ora 10 anni. Il pm Pietro Suchan ne ha chiesto il rinvio a giudizio (l’udienza preliminare è fissata per il 31 gennaio) al termine di tre mesi di indagine. Copia degli atti è stata trasmessa al Servizio centrale di protezione. L’inchiesta è nata dalle dichiarazioni fatte dalla bambina dopo che era stata trasferita in un istituto religioso toscano. Il pentito cominciò a collaborare l’8 aprile ‘93 davanti al sostituto procuratore Giuseppe Nicolosi ed è stato “ gestito “ dal Gico della Gdf. Fu uno dei principali testi d’accusa nelle inchieste della Dia fiorentina su un’organizzazione mafiosa che riforniva di armi le cosche catanesi. Durante l’indagine gli inquirenti scoprirono l’"autoparco della mafia “ di Milano. Gli abusi sulla figlia sarebbero cominciati nel ‘94 a Firenze e proseguiti poi a Pistoia, a Torino e probabilmente anche nell’abitazione di Cuneo che l’uomo aveva ricevuto dal Servizio di protezione. In diversi casi, le violenze sarebbero avvenute in stanze d’albergo. La bambina tempo fa era stata allontanata dal padre, che in seguito aveva litigato con le suore alle quali era stata affidata e che non volevano fargliela incontrare. L’uomo, orginario di Messina, finì in carcere nel novembre ‘91 per reati comuni. Nel maggio ‘92 fu accusato di associazione mafiosa finalizzata al traffico di armi. L’8 aprile 1993, di fronte al sostituto procuratore fiorentino Giuseppe Nicolosi, cominciò a collaborare: ammise di aver trafficato in armi ed esplosivi, d’essere stato il punto di riferimento in Toscana per i clan Santapaola e Pulvirenti, d’aver procurato alle cosche anche bazooka destinati ad attentati a magistrati. Al magistrato spiegò di essersi convinto a collaborare per “ un senso di repulsione dopo le stragi in cui sono morti Falcone e Borsellino “ e per il “ cambiamento di clima “ avvenuto dentro Cosa nostra. Inoltre precisò : “ Ho pensato moltissimo a mia moglie e ai miei figli e ho deciso di dare una svolta alla mia vita, perchè ho capito che questa era l’unica via per poter sperare di rifarmi una vita e non perdere la mia famiglia. I miei figli me li sono goduti molto poco perchè sono stato molto tempo in carcere, spero però di poter avere il tempo di godermi la mia famiglia e di stare più a lungo con essa". Nel ‘95 il pentito fu al centro di polemiche. La Corte d’Appello di Firenze assolse Giuseppe Lucio Puglisi, giovane catanese accusato di associazione mafiosa e rapina per le quali aveva già scontato due anni e 19 giorni di carcere. Contro Puglisi c’erano soprattutto le parole del pentito, che lo aveva riconosciuto - emerse in Appello - basandosi soltanto sulla fotocopia di una foto segnaletica.

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(5 dicembre 1997) - Corriere della Sera

L’INDAGINE DI BRESCIA

Falsi verbali, l’ultima assoluzione: il gip censura il lavoro della ProcuraSull’autoparco il gip di Firenze parla di “ dubbi non inconsistenti “ sul ruolo avuto dal Gico della Gdf

MILANO - In ordine di tempo, è stata l'ultima assoluzione di Antonio Di Pietro. E ha smentito le teorie del Pubblico ministero di Brescia, Roberto Di Martino, che il 22 ottobre chiese senza successo il rinvio a giudizio dell'ex Pm di Mani Pulite, insieme con cinque agenti di polizia, per avere falsificato sette verbali di interrogatorio. Le motivazioni della sentenza di non luogo a procedere “ perchè il fatto non sussiste", pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari di Brescia, Gianluca Alessio, suonano infatti come una censura severa e definitiva del lavoro di indagine svolto in questi mesi dai magistrati della Procura bresciana. In tutto, quarantaquattro cartelle dattiloscritte che dell'impianto accusatorio demoliscono tutto: dalle premesse giuridiche ai criteri di conduzione dell'istruttoria, alle sue prospettate conseguenze penali. Scrive dunque il Giudice per le indagini preliminari: “ Va segnalato che l'indagine appare da un lato estesa ad attività per le quali non risulta prospettata in termini di sufficiente concretezza alcuna notizia di reato e dall'altro ingiustificatamente ristretta sul piano soggettivo (l'esposto non fa riferimento esclusivo a Di Pietro, ma all'intero procedimento Mani Pulite e, quindi, a tutti i magistrati del Pool) e oggettivo (non risulta comprensibile a questo giudice quali circostanze abbiano impedito la materiale acquisizione di tutti gli interrogatori condotti o, comunque, attribuiti a Di Pietro)". Di qui, la conclusione del magistrato: “ Resta l'anomalia di un ambizioso piano di indagine le cui premesse non hanno trovato coerente corollario e svolgimento nelle scelte investigative dell'organo inquirente". A favore di Antonio Di Pietro si è chiuso anche il capitolo più velenoso del cosiddetto “ Caso autoparco": la prima inchiesta del Gico della Guardia di finanza di Firenze. Il Giudice per le indagini preliminari Soresina, assolvendo il pentito Salvatore Maimone, ha escluso che i Pubblici ministeri milanesi abbiano mai coperto la mafia. Il giudice di Firenze scrive invece che le “ anomalie “ di quella indagine “ fanno sorgere dubbi non inconsistenti “ sul ruolo del Gico della Guardia di finanza. E aggiunge che le “asserite“ rivelazioni potrebbero essere state “ arricchite con le elaborazioni e le conoscenze proprie degli ufficiali di Polizia giudiziaria".

Bonini Carlo

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(4 luglio 1998) - Corriere della Sera

BIANCA & NERA

Processo autoparco. Assolto FiaccabrinoProcesso autoparco Assolto Fiaccabrino Bianca & Nera Angelo Fiaccabrino, che a Firenze fu condannato a 8 anni quale presunto “ anello di contatto “ tra mafia, politica e massoneria, è stato invece assolto ieri, nella ripetizione del processo Autoparco svoltasi a Milano, perchè “ il fatto non sussiste". Soddisfatto il suo legale, Luca Ricci, anche perchè “ questa sentenza incrina il “ teorema fiorentino “ sulle presunte coperture da parte di pezzi della polizia e della magistratura milanese nei confronti dei clan dell'Autoparco". Parziale assoluzione anche per Giacomo Riina, zio di Totò; 30 anni al boss Gimmi Miano.

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Page 148: La Vicenda Dell'Autoparco Della Mafia

(9 luglio 1998) - Corriere della Sera

SETTE ASSOLTI

Autoparco della mafia. Quattordici condanneChiuso il processo sull'autoparco della mafia di via Salomone: 14 condanne e 7 assoluzioni, tra cui quella per Giacomo Riina, zio del boss siciliano Salvatore. Il procedimento avrà comunque un seguito: sarà infatti valutata la posizione dei pentiti che avevano accusato imputati risultati estranei ai fatti. Tra questi, Salvatore Maimone che, dopo aver chiamato in causa 20 persone, aveva sollevato dubbi infondati anche sul pm dell'Antimafia, Alberto Nobili. Gli assolti sono: Angelo Fiaccabrino, Ugolino Manfredi, Fabio Mazziotti, Antonino Miano, Piero Pace, Sebastiano Romano, oltre a Giacomo Riina. Con quella di Maimone, saranno riesaminate le posizioni degli “accusatori “ Bruno Carbonaro, Marco Berruti e Giampaolo Casellato che avevano chiamato in causa Fiaccabrino, ora assolto perchè il fatto non sussiste. Il Tribunale, presieduto da Vincenzo Perozziello, ha condannato a 30 anni di reclusione e 300 milioni di multa Luigi “ Jimmi “ Miano, 20 anni e 180 milioni per Gabriele Francini, e 16 anni e cinque mesi per Salvatore Maugeri, tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Gli altri condannati sono Barbaro Asero, Giuseppe Cantatore, Salvatore Cavallo, Ambrogio Crescente, Luciano Fabbro, Armando Fornile, Maurizio Francini, Antonino Giustolisi, Ottavio Lenti, Antonio Schettini e Francesco Cava. Dissequestrati i beni degli imputati assolti.

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(19 maggio 2000) - Corriere della Sera

MAFIA E VELENI

Autoparco, frana l’accusa Scagionato FiaccabrinoMafia e veleni Autoparco, frana l’accusa Scagionato Fiaccabrino. Magistrati e finanzieri del Gico di Firenze lo avevano arrestato accusandolo di essere addirittura l’anello di collegamento tra mafia, affari, politica e massoneria a Milano. Ma dopo 2 anni e 8 mesi di carcere preventivo è stato assolto prima in tribunale e ora anche in appello. Per l’imprenditore Angelo Fiaccabrino si chiude così un incubo iniziato con le manette nell'autunno ‘92: Mi hanno rovinato - è il suo amaro commento - e non ho ancora capito il perchè. Al centro dell’inchiesta c’era l’autoparco di via Salomone, indicato dal Gico di Firenze come la centrale della mafia nel Nord. Dopo una prima retata di narcotrafficanti, l’indagine sembrava aver toccato il secondo livello appunto con l’arresto di Fiaccabrino, immobiliarista e candidato del Psdi nel ‘92. Nel ‘93 spuntarono le coperture, con accuse a 4 poliziotti (ancora in attesa di giudizio) e velenose confidenze non verbalizzate contro 4 pm milanesi, tutti scagionati fin dal ‘95. Con l’assoluzione di Fiaccabrino - conclude il suo avvocato Luca Ricci - dell’inchiesta autoparco resta in piedi solo una storia di criminalità pura, senza secondi o terzi livelli, come a Milano se n’erano viste a decine. La terza Corte d’appello ha assolto anche Giacomo Riina, l’anziano zio del capo di Cosa nostra. Condannati invece una quindicina di imputati per droga e associazione mafiosa: la pena più grave, 30 anni, è toccata a Luigi Jimmy Miano, già all’ergastolo per omicidio.

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