La Via della Seta ieri ed oggi

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La via della seta Ieri e Ogg i AT Digital Publishing Angelo R. Todaro

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Un libro su un viaggio avventuroso sulla storica e sull'attuale “Via della seta”, che diviene anche una utile guida per chi vuole percorrere oggi lo stesso itinerario. Partiamo dall’antica capitale cinese Chang’an per raggiungere Damasco in Siria: in mezzo a questo tragitto ci sono tanti popoli e tante culture, ancora differenti tra loro ma tutte ugualmente interessanti, nonostante che il tempo trascorso li abbia maggiormente “ravvicinati”. Alcune città, che esistevano già al tempo delle carovane, sono divenute metropoli moderne, altre sono rimaste piccole e legate alla tradizione, altre invece sono scomparse e di esse restano soltanto i siti archeologici, fermi al momento del loro abbandono, ma proprio per questo ci appaiono ancor più affascinanti delle altre.

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La via della setaIeri e Oggi

AT Digital Publishing

Angelo R. Todaro

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La via della seta… ieri ed oggi

Quasi una guida sull’antico itinerarioper un viaggio affascinante

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Prefazione

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Il filo sottile che legò l’Oriente all’Occidente

uesto libro descrive un viaggio avventuroso e immaginario sulla storica “Via della seta”, ma diviene anche una utile guida per chi voglia percorrere oggi lo stesso itinerario.

Scopriamone la storia, perché nacque e fu sviluppata, ma anche come si presenta oggi quella “via” a distanza di vari secoli dal suo massimo splendore.

L’antica Via della seta terrestre partiva da Chang’an ed arrivava a Roma. Oltre 2000 anni fa Chang’an era la capitale della Cina, e corrisponde all’attuale Xi’an, capoluogo della provincia dello Shaanxi, posta nella parte centro-settentrionale del paese. Per portare le merci della Cina in Occidente e viceversa occorreva, quindi, attraversare la maggior parte del continente asiatico. Tra i due estremi, l’impero cinese e il mondo iranico e classico, si trovava dunque l’Asia Centrale, un’immensa regione prevalentemente stepposa e desertica, interrotta soltanto dalle catene montuose dell’Altai, dei Tianshan e dei Nanshan.

Ieri ed Oggi

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In questa regione fiorirono, fin da epoche molto antiche, due diversi sistemi di vita e di economia, opposti e ostili fra loro ma destinati a interagire l’uno con l’altro.

Ad oriente dell’Asia Centrale fioriva l’impero cinese, che era in contatto con le regioni centro-asiatiche attraverso la provincia nordoccidentale del Gansu, attraversata dal cosiddetto «corridoio di Hexi», passaggio naturale che conduceva dal cuore della Cina verso le regioni dell’Asia Centrale.

Ad occidente troviamo invece i grandi imperi persiani e achemenide, ai quali seguirono, dopo le conquiste di Alessandro Magno, i regni «indo-greci» di Battriana e Sogdiana: il primo regno è famoso perché fu patria di origine del mezzo di trasporto maggiormente utilizzato lungo la Via della seta, il cammello battriano; la Sogdiana è stata invece per generazioni terra di abili mercanti, che spesso hanno monopolizzato il commercio tra Asia orientale ed il Mediterraneo.

Non sappiamo precisamente quando i mercanti abbiano iniziato i loro traffici lungo la via, tuttavia dai dati storici emerge che il periodo più prospero risale al II secolo d.C.

Da allora, per oltre mille anni fino alla metà del XIV secolo, attraverso questa antica via la Cina e i vari paesi occidentali (cioè Asia centrale, meridionale, ed occidentale, Africa ed Europa), hanno avuto ampi scambi in molti settori.

Grazie a questa via, la seta, la siderurgia, la carta, la porcellana, la tecnica di scavo dei pozzi, il tè e molto altro furono esportati dalla Cina in Occidente, mentre gli articoli di lana, il vetro, l’agata, il cotone, l’uva, i cocomeri ed altro furono introdotti in Cina.

Il racconto di questo viaggio è completato da informazioni storiche e turistiche delle città e dei luoghi incontrati, nonché leggende, curiosità, informazioni sui prodotti e sulla cucina locale, e sulle temperature climatiche, utili al viaggiatore.

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In questo libro

1! Il lungo viaggio della seta! ! Le fibre tessili in Occidente e la seta d’Oriente! ! Come Roma conobbe la seta2! Da Beijing a Xi’an! ! La Città Proibita! ! La Grande Muraglia3! A Xi’an! ! Girando per musei! ! La Pagoda della Grande Oca Selvaggia ! ! Il Tang Dynasty Dinner Show! ! Il viaggio di Marco Polo4! Da Xi’an a Lanzhou! ! Mausoleo di Qin Shi Huang, primo imperatore! ! Yang Guifei, la bella concubina! ! Huashan, la montagna sacra5! Lanzhou, la porta del grande ovest cinese! ! Bing Ling Si, le cave dei Mille Buddha! ! Xiahe, un pezzo di Tibet in Cina6! Da Lanzhou a Jiayuguan! ! Jiayuguan Pass, ai margini della Grande Muraglia! ! Il «manuale del viaggiatore» di Balducci Pegolotti7! Da Jiayuguan a Dunhuang! ! Le sabbie che cantano! ! Le artistiche grotte di Mogao

8! Da Dunhuang a Kashgar, sulla via meridionale! ! Ibn Battuta, il Marco Polo arabo9! Da Dunhuang a Turfan, sulla via settentrionale10! Oltre Turfan verso Occidente! ! La gente di Urumqi11! Verso Kashgar, ai margini della Cina! ! Kashgar, la Perla della Via della seta! ! La gente di Kashgar12! Oltre la Cina verso Occidente13! Da Fergana a Samarcanda! ! Samarcanda, la Gemma dell’Est! ! La gente di Samarcanda14! Da Samarcanda a Mashhad! ! Escursioni a Urgench e Khiva! ! Merv, città cosmopolita! ! Mashhad la sacra! ! La gente del Turkmenistan15! Da Mashhad a Ecbatana! ! Ecbatana, residenza reale preferita! ! Perserpolis, splendente e distrutta16! Da Ecbatana a Palmira in Siria! ! Palmira, la Sposa del deserto17! Da Palmira a Damasco! ! In conclusione…

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Toccare i titoli per andare alla pagina corrispondente.

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© 2012 – Testo di Angelo R. Todaro - www.angelotodaro.it - [email protected] dell’Autore e dell’immenso popolo di internet, di coloro che hanno viaggiato sul nostro itinerario (o in parte di esso), e ai quali va il nostro ringraziamento.

ieri ed oggi

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Capitolo 1

Il lungo viaggio della seta

Per migliaia di anni la Via della seta, il fascio di strade che univa la Cina al Mar Mediterraneo, è stata il più importante canale di transito, oltre che della seta e di altri merci, anche delle idee e delle culture tra l’Asia e il mondo occidentale. La ripercorriamo in un viaggio ideale che ci porta dai cortili della Città Proibita, oggi aperti alla curiosità dei turisti, fino alle città dell’inquieta area tra Siria e Iraq e, infine, a Damasco in Siria. Un viaggio attraverso meraviglie naturali e archeologiche e tutte le difficoltà di un mondo millenario

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oche altre denominazioni, oltre quella di «Via della seta», hanno in sé la capacità di possedere un forte potere evocativo, di suscitare emozioni e far viaggiare la nostra

immaginazione su sconfinati scenari naturali che hanno segnato il destino di popoli e culture.

Infatti, per un periodo di oltre duemila anni, dal 500 avanti Cristo al 1500 dopo Cristo, una rete fatta di strade e tratte carovaniere, che divenne lunga oltre 7000 chilometri, costituì il percorso lungo il quale furono trasportate merci e conoscenze tra la Cina, l’India, il Medio Oriente e l’Europa, ma anche viceversa. Erano quelli, allora, i quattro territori principali del mondo civilizzato.

Un secolo fa lo studioso e geografo tedesco Ferdinand von Richtofen (foto a lato) coniò la frase «via della seta» per sintetizzare efficacemente gli intensi traffici commerciali e gli scambi culturali intercorsi tra Oriente e Occidente. Con quella denominazione egli voleva indicare più precisamente quell’insieme di percorsi carovanieri e rotte commerciali che congiungevano la Cina al bacino del Mediterraneo, lungo il quale nei secoli sono transitate carovane di cavalli e cammelli carichi della preziosa seta, della quale la Cina ha conservato a lungo il segreto della lavorazione, garantendosi il monopolio del prodotto tanto ricercato nell’impero di Roma.

Ancor oggi il termine «via della seta» è sinonimo di esotismo,

avventura, viaggio in terre lontane, ma anche d’intensi e prolungati rapporti tra Oriente e Occidente, un nome-simbolo vivo e attuale, sovente utilizzato come denominazione per progetti culturali e interdisciplinari di ampio respiro che vedono coinvolti studiosi,

archeologi e scienziati sia orientali che occidentali. La cosiddetta «via della seta» dovremmo in realtà

chiamarla al plurale perché tante erano le rotte carovaniere che, attraverso le vaste regioni dell’Asia

Centrale, mettevano in contatto popoli tanto diversi. Attraverso i secoli, su queste molte rotte si sono spostati mercanti delle più diverse provenienze e nazionalità coi loro prodotti (seta, profumi, spezie, oro, pelli, metalli, porcellane, medicinali, schiavi, ecc.), si sono mossi condottieri con i loro eserciti, uomini di fede, esploratori, ambasciatori ed emissari, pellegrini, artisti e tanti

altri. La «Via della seta» ebbe quindi la funzione di diffondere anche esperienze culturali e religiose

dalle più diverse matrici: classica, iranica, indiana, cinese.

Ecco perché noi ci siamo chiesti: cosa vedremmo, oggi, se percorressimo la stessa rotta degli antichi mercanti, se rifacessimo quello stesso viaggio partendo dal cuore della Cina, attraverso gli stessi territori e le stesse città? Sicuramente nei secoli alcune cose si sono modificate, le città e le genti, chi più chi meno, ma altre sono rimaste quasi immutate, come ad esempio le vaste pianure, il

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Il lungo viaggio della seta

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deserto del Gobi e i monti del Tibet, e i fiumi e i laghi che farebbero da cornice al nostro favoloso viaggio. Così abbiamo scoperto che, viaggiando sulla «Via della seta», potremmo non solo vedere come sono diventate oggi quelle città e quelle genti, ma anche visitare i luoghi che il passare del tempo ha trasformato in interessanti siti archeologici. Ad esempio la Grande Muraglia, che si estendeva in lunghezza per oltre 7000 km per difendere il nord della Cina dai Mongoli; gli ottomila soldati di terracotta che Qin Shihuang, il primo imperatore cinese, fece disporre a protezione del suo mausoleo alle porte di Chang’an; le Grotte di Mogao, meta importante perché ospitava i Buddha e i Bodhisattva (cioè gli “Illuminati” che pronunciavano i loro voti); le suggestive rovine di Jiaohe, un avamposto militare creato in epoca Han per la protezione della frontiera; l’antica e fascinosa Persepolis, con le tombe dei re persiani Serse e Dario; Palmyra, la più ricca e famosa

delle città carovaniere; la vicina e folgorante Damasco, edificata 3500 anni fa e celebre per le sue stoffe; e tanto altro…

Però, quale via intraprendere? Oggi gli itinerari che prendono il nome «Via della seta» si moltiplicano, anche inventati, nei depliant dei tour operator e, inoltre, i percorsi seguiti dai viaggiatori lungo le antiche rotte sono spesso mutati nel tempo, seguendo le alterne fortune delle vicende politiche dei vari Stati attraversati dalle carovaniere. Però qualcuna di quelle vie è rimasta invariata nei secoli e noi abbiamo scelto una di quelle;

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Due vecchie carte con il tracciato della Via della seta.

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abbiamo preferito una via «classica», che partendo dall’antica capitale cinese Chang’an, che Claudio Tolomeo, famoso astronomo e bibliotecario ad Alessandria d’Egitto, chiamava Sera Metropòlis e che oggi ha nome Xi’an, raggiungeva l’oasi di Dunhuang (cioè Raggio luminoso); poi correva in doppio tracciato lungo i bordi del deserto di Taklamakan (l’immenso deserto del Sinkiang cinese che confina con quello sassoso del Gobi), si ricongiungeva a Kashgar (la più occidentale di tutte le città cinesi), proseguiva verso la “Torre di Pietra” (il misterioso Lithinos Pyrgos descritto da Tolomeo); da questo tronco principale si diramavano tortuose carovaniere che solcavano l’immensa Kashgaria degli antichi cartografi, attraversavano montagne vertiginose in direzione di Samarcanda, Persepolis o dei grandi mercati della Persia, fino a raggiungere le rive del Mediterraneo a Damasco o ad Antiochia, oppure ad Alessandria, da dove proseguivano per Roma.

Ecco il nostro viaggio… un viaggio affascinate, non credete? Un viaggio che si snoda su ben sette Stati, tra grandi e piccoli, chiamati oggi: Cina, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia (al posto dell’Iraq) e Siria. Un viaggio da fare dal vero, ma che intanto potete intraprendere in “anteprima”

attraverso la lettura di queste pagine.Conosceremo le città e le genti che oggi s’incontrano su questa

via e, nel frattempo, menzioneremo i numerosi protagonisti di questo affascinante e straordinario viaggio lungo le vie carovaniere che hanno segnato i percorsi della storia; spiegheremo cosa oggi è possibile visitare nei dintorni della via scelta, quali le culture e i luoghi archeologici più interessanti, in modo che tutto ciò possa far da guida ai più avventurosi, a coloro che vorranno percorrere personalmente la «Via della seta». E ciò non è impossibile.

Certamente oggi il Medio Oriente non è luogo da consigliarsi ad un turista e ci sono zone dove è proprio impossibile recarsi. In questa situazione una carovana d’oggi, giunta a Samarcanda,

devierebbe il suo percorso, magari inoltrandosi nella Russia per raggiungere l’Italia attraverso l’Ucraina, la Romania e l’Illiria; oppure, giunta in Siria, devierebbe verso la Turchia, e così potremmo fare noi… Ad ogni modo, il percorso da Xi’an fino a Samarcanda è abbastanza tranquillo e sicuro.Nel prossimo capitolo inizieremo il nostro viaggio, partendo da Xi’an, anche se il turista che raggiunge la Cina non dovrebbe esimersi dal visitare prima Beijing, cioè Pechino, oppure Hong Kong, e poi da là portarsi a Xi’an.

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Damasco

Palmira o Palmyra

Egbatana

Mashhad

Bukkara o Buckara

Samarqand

Kashgar

Dunhuang

Jiayuguan

Lanzhou

Xi‘an

Il percorso del nostro viaggio, che inizia da Xi’an e si snoda su ben sette nazioni fino a Damasco.

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ll’inizio dell’estate del 53 avanti Cristo, sospinto dall’invidia per i trionfi militari di Cesare e Pompeo, Marco Licinio Crasso partì alla volta della Persia con

ben sette legioni: voleva sfidare l’esercito dei Parti, che allora dominavano non solo la pianura della Persia ma anche la Mesopotamia, e tornare a Roma carico di bottino e di onori.

Ma le cose non andarono come egli prevedeva, tant’è che il povero Crasso, uomo esperto più di commerci che di battaglie, pagò quell’imprudenza non solo con una sonora sconfitta, ricordata nella storia romana sotto il nome di battaglia di Carre, ma anche con la vita.

Per quanto funesto, quell’episodio segnò l’occasione in cui per la prima volta i Romani vennero in contatto con la seta. Infatti i guerrieri Parti innalzavano vessilli colorati fatti di un insolito tessuto che proveniva dalla Cina, chiamato dai Cinesi see e dai Mongoli sirgk, termine che dette origine alla parola inglese silk.

Nel secondo secolo dopo Cristo lo storico romano Lucio Anneo Floro ricorda l’episodio della battaglia di Carre; la sua è la prima menzione della seta nelle fonti letterarie occidentali.

Ma vediamo di capire quando i Cinesi cominciarono a lavorare la seta e come essa giunse in Occidente.

Secondo la tradizione sarebbe stata la sposa di Huangdi, mitico Imperatore Giallo e leggendario padre della civiltà cinese vissuto intorno al 3000 a.C., ad aver per prima scoperto le proprietà del filamento prodotto dai bachi da seta. Effettivamente le scoperte archeologiche confermano che le origini della sericoltura sono

antiche quanto dice la leggenda. Infatti, nonostante la seta sia un materiale organico, e perciò molto fragile e soggetto a rapido deterioramento, sono stati riportati alla luce antichi reperti in seta che provengono da siti della cultura tardo-neolitica di Liangzhu, fiorita tra il 3300 e il 2200 avanti Cristo nella Cina orientale, là ove si trovano oggi le moderne città di Hangzhou e Shanghai. Si tratta di pochi frammenti di tessuto e resti di una cintura in seta che,

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Come Roma conobbe la seta

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Marco Licinio Crasso.

A destra, un’immagine che raffigura Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina.

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tuttavia, attestano come quella fibra fosse già nota agli antichi Cinesi dell’epoca dell’Imperatore Giallo e la sua consorte. Inoltre quei reperti dicono che la lavorazione della seta si è inizialmente sviluppata nelle regioni meridionali della Cina, che infatti poi ospitarono i principali centri di produzione dei preziosi tessuti: Hangzhou, con la regione del lago Tai, e a ovest, risalendo il corso del Fiume Azzurro, Chengdu, la capitale della provincia sudoccidentale del Sichuan.

Il «segreto» dell’estrazione del prezioso filamento ha davvero una storia molto antica ed è lecito supporre che già allora l’uso della seta rappresentasse uno status symbol.

La seta cominciò ad essere esportata dalla Cina solo verso la fine del III secolo a.C., al tempo della dinastia Han (vedi le Dinastie cinesi). In quel periodo la Cina si trovò a fronteggiare la pressione alle frontiere di una popolazione nomade denominata Xiongnu (da noi noti come Unni, “Hun’i” nel moderno mandarino), che già effettuava incursioni nel territorio cinese. Gli Xiongnu riuscirono a occupare la regione dell’Ordos, compresa entro la grande ansa settentrionale del Fiume Giallo, e arrivarono a trattative con l’imperatore Gaozu. Fu così che una giovane donna della casa imperiale cinese fu data in moglie al sovrano Xiongnu, e da allora, ogni anno, come sappiamo da fonti cinesi, ai nomadi venivano offerti in dono seta filata e tessuti in seta, oltre a generi alimentari.

I Cinesi consideravano la seta, giustamente, il più prezioso e raro

dei loro prodotti e quindi quanto di meglio essi potessero offrire al sovrano straniero che guidava le temibili orde nomadi, per accattivarselo. Infatti quei doni avevano lo scopo di evitare che i nomadi si rifornissero da soli di tali prodotti, saccheggiando periodicamente il territorio cinese. Ma tra gli Xiongnu, nomadi della steppa che vestivano di pelli, i delicati tessuti e i filati di seta non potevano certo trovare largo impiego, così essi li utilizzavano come preziosa merce da scambiare con altri popoli dell’Asia. In questo modo ebbe inizio la diffusione della seta fuori dei confini della Cina. La seta «contrabbandata» arrivava in India e da qui in Asia Occidentale, ma non oltrepassava mai i confini di questi due paesi, per cui il commercio della seta si sviluppò oltre questi territori soltanto quando i Cinesi iniziarono a controllare

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Una strada della parte vecchia di Hangzhou. Un defilè a Singapore con tessuti di seta.

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direttamente le vaste regioni dell’Asia Centrale.

La cauta politica dei sovrani cinesi cambiò quando salí al trono l’imperatore Xiaowu, il quale modificò l’atteggiamento della Cina verso gli Xiongnu. Egli inviò loro, anziché la preziosa seta, le sue potenti armate al comando di generali decisi a farsi valere. L’imperatore cinese cercò poi alleati che lo affiancassero nello scontro militare e inviò verso Occidente un suo rappresentante di nome Zhang Qian. Costui, dopo una lunga serie di peripezie, riuscì a raggiungere un territorio situato a nord, corrispondente a parte delle attuali repubbliche di Uzbekistan e Tagikistan; poi si spinse a sud, giungendo nell’odierno Afghanistan settentrionale, dove egli fece una importante scoperta: nei mercati di Daxia venivano smerciati prodotti e tessuti provenienti dall’India ma originari dello Yunnan e del Sichuan, le due provincie sud-occidentali della Cina. Com’era possibile? Sicuramente doveva esserci una via collegante la Cina all’India: tale via infatti esisteva e raggiungeva il bacino del Gange attraverso i monti della Birmania. Lungo questo tragitto fioriva un commercio non controllato di prodotti che passavano di mano in mano, di popolo in popolo, e tra le merci che transitavano vi erano anche i tessuti di seta cinesi.

Zhang Qian, che era stato il primo cinese a spingersi in territori cosí lontani e a raccogliere informazioni su terre e popoli stranieri di cui in Cina si ignorava persino l’esistenza, visitò anche la Partia, la regione del Golfo Persico. Zhang Qian si rese anche conto che in tutti i territori visitati, compresi quelli controllati dai Parti, la seta era del tutto assente. Per la Cina ciò significava l’apertura di nuovi mercati per un prodotto di cui era l’esclusivo produttore. Risolta la questione Xiongnu, relegando quel popolo a nord del deserto del Gobi, l’imperatore cinese affidò a Zhang Qian una nuova missione di «politica internazionale» per trovare nuovi alleati. Cosicché

Zhang Qian partì nuovamente con un seguito di trecento uomini, migliaia di capi di bestiame e doni preziosi in oro e seta dal valore altissimo, per meglio intrecciare relazioni diplomatiche con i nuovi Paesi di cui egli era venuto a conoscenza. Quindi, in quest’occasione, ai Parti fu donata un’adeguata quantità di seta in nome dell’imperatore cinese. E alcune di quelle stoffe divennero i vessilli delle armate persiane che videro i Romani.

Intorno al 100 a.C. la Cina condusse due spedizioni militari in Afghanistan, per punirlo di aver rifiutato una fornitura di cavalli. Quella spedizione segnò l’inizio dell’egemonia cinese sull’Asia Centrale e il graduale declino di quella Xiongnu. Con la conquista e sottomissione di questo vasto territorio, la Cina assunse il controllo totale delle due importanti vie carovaniere costituenti l’itinerario «classico» della Via della seta: quella che passava per le oasi settentrionali del Taklamakan e quella che passava per le oasi meridionali. Entrambi i percorsi si diramavano dalla città di Dunhuang e terminavano ai piedi del massiccio del Pamir: la via settentrionale terminava a Kashgar (per i Cinesi «Shulo») e quella meridionale a Yarkand. Questo era il sistema viario che nel corso del tempo, arricchitosi di diramazioni e varianti, Ferdinand von Richtofen sinteticamente e romanticamente chiamò «via della seta».

Dal I secolo a.C. le merci viaggiavano regolarmente tra la capitale cinese Chang’an e il Mediterraneo, coprendo via terra una distanza di oltre 7000 chilometri. I prodotti venivano trasportati da carovane formate da cavalli e cammelli che si spostavano sulle piste della Via della seta sostando nelle oasi e nelle città carovaniere, dove mercanti di ogni provenienza effettuavano le loro transazioni. Nessuna carovana ricopriva l’intero percorso: nei luoghi di scambio i prodotti passavano di mano proseguendo il loro cammino verso la tappa successiva. Terreni aspri e difficili e

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condizioni climatiche spesso avverse richiedevano pesanti contributi alle carovane e ai loro carichi, facendo così lievitare il costo delle merci trasportate.

Anche le bande di predoni costituivano un pericolo per il commercio, nonostante fossero in qualche modo controllate dalle milizie dei vari Stati, ma la protezione militare, che si estendeva anche alla salvaguardia delle vite dei mercanti nei centri di scambio, aveva tuttavia il suo prezzo sotto forma di tasse e balzelli. Pertanto quando alcune tratte divenivano troppo insicure, o costose, i mercanti si spostavano verso rotte più tranquille; e quando il rischio si faceva troppo alto, il commercio veniva interrotto in attesa di tempi migliori. Allora, gli Stati che si venivano a trovare lungo la nuova Via della seta cercavano di trarre il massimo beneficio possibile da quel commercio, poiché la rete carovaniera consentiva loro di poter indirizzare verso i mercati stranieri anche i prodotti locali.

I Romani, quindi, conobbero la seta in occasione della battaglia di Carre; essa ebbe luogo a circa sei anni dall’istituzione, da parte della Cina, del protettorato generale dei Paesi d’Occidente dopo la conquista dell’Asia Centrale. Infatti la diffusione commerciale della seta su scala internazionale si avviò non appena i Cinesi ebbero cominciato a controllare essi stessi, e in modo regolare, il commercio del prezioso materiale.

Nemmeno mezzo secolo dopo quella tragica battaglia, la «serica» (così chiamata perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri, come i Romani chiamavano i Cinesi) divenne il tessuto più ambito,

simbolo della nobiltà romana che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità. Ma sebbene Roma e Cina tentassero di inviarsi l’un l’altra ambasciatori, esse non giunsero mai a contatto diretto perché erano separate da due grandi imperi: i Parti in Persia e i Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan. Tuttavia pare che un tentativo romano di contattare direttamente i Seri ci sia stato; nel periodo degli Han Occidentali, nel 166 d.C., fu registrato l’arrivo a Luoyang (la capitale cinese di allora) di un’ambasciata da Da

Qin (come i Cinesi chiamavano Roma a quel tempo) da parte del sovrano romano An Dun (probabilmente era Marc’Aurelio, che si faceva chiamare anche col nome di Antonino Augusto). Tuttavia non avvenne nulla, perché a causa dei doni romani piuttosto modesti, offerti all’imperatore cinese, la provenienza dell’ambasceria fu messa in dubbio.

Così i Romani non seppero nulla circa l’origine della seta e della lavorazione necessaria per tesserla. Seppero soltanto che la seta proveniva da un Paese più orientale della Persia, vicino alle Indie, e che quel Paese si chiamava Serica, gli abitanti Seri e la sua capitale Sera Metropòlis. Infatti Plinio il Vecchio diceva che i Seri erano «famosi per la lana delle loro foreste» e che essi «…staccano una peluria bianca dalle foglie e la innaffiano; le donne quindi eseguono il doppio lavoro di dipanarla e di tesserla». Dei bachi da seta non dava alcuna notizia. In Cina, d’altronde, il segreto di quel prodotto così importante era custodito con la massima cura, tanto che l’esportazione dei bachi da seta era proibita da una legge severissima.

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Un antico arciere cinese in un parco di Hangzhou.

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Capitolo 6

Da Lanzhou a Jiayuguan

Era una roccaforte costruita su un passo strategico della Via della seta per difenderlo dagli attacchi dei Mongoli. Per la sua imponenza e importanza, il forte fu definito come «il primo ed il più grande passo sotto il cielo». Bellissima nell’antichità, Jiayuguan è stata restaurata ed è stupenda. In nome del turismo oggi i Cinesi ci hanno costruito attorno autostrade, industrie e persino un parco divertimenti.

Nella foto: il forte di Jiayuguan.

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asciata Lanzhou, ultima grande città sita lungo le sponde del Fiume Giallo, procediamo verso nord, così come facevano un tempo le carovane cariche di seta e di altre

merci preziose.Come ben potremo constatare guardandoci attorno, le carovane

procedevano in un territorio che diveniva sempre piú spoglio di vegetazione, tra le pendici dei rilievi che cingono ai lati il cosiddetto «corridoio di Hexi», nel Gansu nord-occidentale. Si tratta di un passaggio naturale lungo circa 500 km che, seguendo le vallate di alcuni fiumi conduce, dal bacino del Fiume Giallo (da dove siamo partiti), fino al margine occidentale del deserto del Gobi, il quale, nei secoli, ha costituito la naturale via di comunicazione tra la Cina interna e l’Asia Centrale.

A sud del corridoio di Hexi si trova l’altopiano tibetano del Qinghai, oggi provincia cinese, mentre a nord una serie di alture lo separa dal grande deserto settentrionale del Gobi, nella Mongolia. A mano a mano che si procede lungo questo percorso, le piogge si fanno sempre più rade e le colture si limitano ai fondovalle, mentre la pastorizia nomade occupa i pendii dei rilievi. Si delinea, insomma, fin qui a cominciare dal Gansu, il paesaggio aspro della Via della seta segnato dalle catene montuose; ai piedi di questi si snodavano i percorsi carovanieri fino all’orlo dell’altopiano iranico: montagne spoglie, spesso nevose, deserti di sabbia e di pietra interrotti da oasi, laghi salati, fiumi che si perdevano evaporandosi o interrandosi nelle sabbie.

Il Gansu, che era regione di agricoltori e pastori seminomadi,

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Da Lanzhou a Jiayuguan

Il tracciato della Grande Muraglia al tempo della dinastia Ming, col Passo Jiayuguan.

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produceva un particolare articolo di esportazione: la radice di rabarbaro, che aveva molti utilizzi anche in campo medico, ma poiché essa è deperibile era molto costosa. Il rabarbaro costituiva per il Gansu, regione altrimenti povera e poco produttiva, una importante fonte di sostentamento, ed infatti la merce veniva regolarmente aggiunta nei carichi diretti in Occidente.

Per la cronaca qui il rabarbaro viene ancora prodotto, poiché non solo il succo della radice è un ottimo tonico, ma gli indigeni ci

assicurano pure che mangiare i porri cotti aumenta l’appetito e il loro succo è utile se applicato ai morsi di cani idrofobi. Provare per credere.

Quindi, il commercio con l’Asia Centrale era vitale per la poco popolosa regione del Gansu, ma occorreva proteggere i mercanti dalle incursioni dei cavalieri nomadi del nord. La protezione fu garantita da una serie di fortificazioni e linee difensive costruite

durante il periodo degli Stati Combattenti (476-221 a.C.) dagli Stati cinesi del Nord e disposti lungo le alture a nord del corridoio di Hexi. Perciò molti centri del nord cinese nacquero inizialmente come colonie militari, create come spartiacque tra il tranquillo mondo degli agricoltori del bacino del Fiume Giallo e quello turbolento dei nomadi delle steppe.Quando il Gansu fu occupato militarmente dai Cinesi a partire dal 117 a.C. vi furono impiantati ulteriori avamposti militari Han (Ganzhou – ora Zhangye – , Suzhou – ora Jiuquan –, Yumen), divenuti col tempo tappe obbligate nel cammino delle carovane. I resti di q u e s t i a v a m p o s t i a n c o r a s’incontrano lungo la via.

Ma torniamo al nostro viaggio. Lasciata Lanzhou dal traffico

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Jiayuguan Pass

Jiuquan

Tempio del Grande Buddha

Monastero di Shengrong

Tempio di Confucio

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caotico occorre percorrere 20 km di strada in direzione nord-ovest per lasciare l’urbanizzazione. La valle sembra soffocata da una cappa di nebbiolina che non è facile capire se sia foschia o smog. Tutt’intorno le montagne divengono man mano sempre più brulle, finché ci appaiono senza alberi e senza erba.

Seguendo, lungo la strada nazionale G312, un piccolo fiume, che a 30 km da Lanzhou affluisce nel Fiume Giallo, sorpassiamo poveri villaggi dalle case basse e marroni, con tanta confusione, disordine e sensazione di sporco. Tuttavia la valle è ben coltivata con molte varietà di piante e ortaggi, campi di riso e, in alcune zone al confine tra un campo e l’altro, alte piante di marijuana.

Ad un centinaio di chilometri da Lanzhou giungiamo nella contea di Yongdeng; la strada in salita attraversa altri piccoli e poveri villaggi, una grande cava di argilla e la vicina fabbrica di mattoni con molte fornaci, quasi interrate, con centinaia di operai che seguono le varie fasi della lavorazione, completamente a mano.

Cosicché, dai 1570 metri di Lanzhou, la strada in salita ci porta a quota 2400 dove, tuttavia, si presenta ai nostri occhi un ambiente

colorato di verde e giallo con contrasti fortissimi; si alternano e si mescolano campi gialli di soia e verdi d i g r a n o t u r c o (sembrerebbe assurdo che possano crescere, qui ad oltre 2000 metri!), che s e m b r a n o p a e s a g g i dipinti da Van Gogh.A 2930 metri di altitudine si vedono solo verdi

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Viaggiando verso Jiayuguan si lasciano le verdi valli…

… e pian piano ci si trova nel deserto.

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pascoli. Qui alcuni Cinesi, infagottati per la bassa temperatura, offrono ai passanti meloni e angurie. La valle è come un’immenso altopiano inclinato, con la strada prima in salita e poi finalmente in discesa, che va giù dritta, senza tornanti. A 2000 metri la fitta erba del pascolo diventa rada, finché riprendono le coltivazioni; sullo sfondo le montagne sembrano enormi dune di sabbia indurita. Greggi di pecore e mandrie di bovini brucano la scarsa erba, sacchi rossi appesi lungo la strada offrono ai passanti funghi freschi. La temperatura si è alzata a 33°C, e c’è anche un po’ di vento. Qualche interruzione stradale (si sta costruendo la nuova autostrada) rallenta la marcia e le molte tombe scoperchiate, che si vedono qua e là, dimostrano che l’opera stradale non è indolore.

La strada continua a scendere fino a 1500 metri e finalmente, dopo aver percorso 290 km da Lanzhou, entriamo nella cittadina di Wuwei, anch’essa dal traffico impossibile, dallo smog elevato, con un concerto ossessionante di clacson e trilli di campanellini.

(continua)

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A Wuwei il “Cavallo posato su una rondine in volo” lo si vede su molti monumenti.Sopra a destra: il Tempio di Confucio.

Wuwei: tempio taoista.

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Capitolo 7

Da Jiayuguan a Dunhuang

Verso l’estremo avamposto della Cina antica in Asia Centrale: Dunhuang, importantissima oasi all’ingresso nel deserto del Gobi, punto d’incontro delle due Vie della seta, la nord e la sud. I suoi dintorni meritano proprio una visita.

Nella foto: panorama di Dunhuang, con le dune di sabbia addossate alle case di periferia.

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iprendiamo il nostro viaggio sull’antica Via della seta in direzione della prossima tappa: Dunhuang. Perciò lasciamo i 1600 metri di altitudine del passo di Jiayuguan

e scendiamo per inoltrarci sempre più nella zona desertica della provincia cinese del Gansu.

La strada corre in un deserto di terra scura, appena macchiato di cespugli.

Ma è un deserto che non fa paura, perché sono brevi le distanze da percorrere prima di trovare altre forme di vita. Spesso si superano piccoli villaggi-oasi, poco lontani dalla strada principale, individuabili dalle classiche macchie di alti pioppi. Alcuni

appaiono desolati, addirittura abbandonati.Per 50 km è il solito tran tran, finché vediamo una

“cooperativa” (un kolkoz, alla sovietica), dove vivono una ventina di famiglie che mettono in comune la terra e gli strumenti per lavorarla. Abbiamo davanti un tipico esempio delle città industriali della Rivoluzione culturale, spuntate dal nulla quando Mao decise di sfruttare le risorse minerarie del nord del Gansu e, contemporaneamente, di mantenere il controllo sull’unità territoriale del Paese, anche nelle province più lontane, in un periodo in cui il dialogo con i vicini Sovietici rischiava di scivolare verso la rissa. Per questo, decine di migliaia di giovani furono

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Da Jiayuguan a Dunhuang

Nella prima parte del viaggio verso il nord del Gansu si vedono strade alberatee casette con alberi e fiori.

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sradicati dalle più popolate città dell’Est e mandati a costruire villaggi in queste zone inospitali. Dopo la svolta politica imposta da Deng Xiaoping, la cui ascesa a partire dal 1973 ha segnato la fine della rivoluzione culturale per iniziare la fase riformistica della cosiddetta

“porta aperta” (ossia introducendo massicce ma controllate dosi di libero mercato), molte famiglie tornarono nelle città d’origine, dove era più facile trovare lavoro e mettere insieme piccole fortune economiche, abbandonando al loro destino questi villaggi. Ecco il perché di quelle case vuote.Tuttavia qui, in questo deserto, ogni anno vengono ancora trasferiti duemila contadini dai territori a sud, dove la terra, sfruttata al di là delle sue capacità produttive, si è andata via via impoverendo. Ma oggi il governo cinese non impone più le sue decisioni, come ai tempi di Mao. Per convincere i contadini a venire a rendere fertile questo deserto offre loro incentivi economici e un appezzamento di terreno da coltivare, almeno in parte, a cereali, pur assecondando le esigenze dei piani agricoli. Quello che vediamo davanti a noi è un edificio lungo e basso, diviso in “appartamenti”, uno per ciascuna famiglia, con orticello e cortile. Gli abitanti hanno a disposizione abbastanza terra irrigata per viverci, ma a prezzo  di un duro lavoro, perché l’acqua certo non abbonda, mentre, ad esempio, la coltivazione del cotone ne richiede molta. (continua)

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Yumenguan Pass

Grotte dei Cento Buddha

Mingsha

Grotte Mogao

Grotte Changma

Jiayuguan Pass

Nel deserto spuntano fabbriche con ciminiere fumantie qualche cartello indicatore scritto solo in cinese.

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uanto era importante un’oasi come quella di Dunhuang per i viaggiatori del deserto? Molto, ovviamente, perché dalla presenza dell’acqua dipendeva la possibilità di

poter continuare il viaggio attraverso una terra così inospitale.La sopravvivenza di Dunhuang, così come di tutte le altre oasi

dell’Asia Centrale, era resa possibile dalla corretta amministrazione delle riserve d’acqua e dalla manutenzione dei canali di irrigazione che garantivano le colture e quindi il sostentamento alimentare. Sappiamo che già in epoca Han i militari di stanza in questa guarnigione avevano mansioni specifiche mirate al buon

funzionamento del sistema irriguo; infatti nei documenti dell’epoca si parla di «soldati dei canali d’irrigazione» così come dei «soldati dei granai», in pratica contadini in servizio militare che mettevano a coltura i terreni dell’oasi, mentre i soldati di prima linea pattugliavano il deserto ed effettuavano il controllo doganale.

Oltre la cittadina di Dunhuang era la presenza dell’acqua a determinare i percorsi della Via della seta, come a mantenere in vita le stesse oasi. Ma l’acqua certamente non era facile a trovarsi. Anche oggi, in queste piane desertiche battute dai venti, con precipitazioni scarsissime e flagellate da fortissime escursioni

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Le sabbie che cantano

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A Yangjiaqiao, l’ingresso in cemento per raggiungere le “sabbie che cantano”.

Oltre l’ingresso i

cammelli attendono i

turisti.

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termiche, molti corsi d’acqua che discendono dalle alture disposte attorno alle pianure desertiche si perdono in laghi salati in mezzo al deserto, che vengono prosciugati dall’evaporazione. Eppure nonostante ciò, specchi d’acqua, sia pur rari, si possono trovare anche nei deserti più infuocati.

Avete mai sentito parlare di un lago perenne di acqua limpida che si trova in pieno deserto, nei pressi di Dunhuang, posto al centro di altissime dune di sabbia che cantano? Dune che ancor più cantano se vi lasciate scivolar giù lungo i suoi ripidi pendii?

Ebbene, qui tutto questo c’è. Qui potrete ascoltare il suono meraviglioso della “montagna che canta”, come anche dissetarvi nelle acque cristalline di un laghetto circondato dal verde, al centro di queste altissime dune di sabbia.

Anche Marco Polo, che attraversò le grandi dune del deserto del Taklimakan, non lontano da Dunhuang, ci ha parlato del fenomeno

delle “sabbie che cantano”, sabbie che emettevano un suono curioso creato dal vento che vi soffiava sopra.

La montagna in questione si trova a cinque chilometri dalla città di Dunhuang. Vista da lontano, appare come un drago dorato che saltella sull’orizzonte nel riverbero della calura, ma mentre vi avvicinate ad essa vi rendete conto che la sabbia della montagna cambia colore; varia dal rosso al giallo, al verde, al nero e persino al bianco. Se soffia un forte vento, la sabbia attorno si solleva inferocita e schizza via veloce ruggendo; ma quando il vento è poco più di una leggera brezza, allora la sabbia produce suoni paragonabili ad una musica soave. Lo stesso suono udite se vi fate scivolare lentamente lungo il fianco della duna. Inizialmente, quando la vostra discesa è ancora lenta, la sabbia sotto i vostri piedi appena bisbiglia; poi, quando scivolate più velocemente, il suono aumenta ancora di più, finché diviene simile al rombo di un

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Turisti in groppa ai cammelli in marcia per il Lago della Luna crescente.

Un’altra carovana,

invece, raggiunge la meta.

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tuono o ai colpi dati ad un tamburo. Cosicché, alcuni dicono che la sabbia sta cantando, altri che è un echeggiare di suoni, oppure che sembra l’avvicinarsi di un temporale. Ecco perché la montagna ha questo curioso nome.

Per sentire con le proprie orecchie se ciò è vero occorre fare una capatina a sud della città di Dunhuang, dove sono le dune delle sabbie che cantano (in cinese Minshashan). Potete prendere un pullman, oppure un taxi (costano poco) o affittare una bicicletta… Però, volete mettere il gusto di poter effettuare il viaggio per l’oasi imitando i mercanti di un tempo, quando viaggiavano sulla Via della seta? In che modo? Ma a dorso di un cammello! Soltanto cavalcando un cammello potreste godere della vista meravigliosa delle sabbie del deserto mentre vi fate dondolare placidamente dalla vostra “nave del deserto” come se foste su una barca in balia delle onde del mare.

Perciò recatevi in auto sul luogo da dove iniziare l’escursione, raggiungendo un villaggio che si chiama Yangjiaqiao. Camminando sulla strada asfaltata, spesso coperta di sabbia, si intravedono già le prime dune, enormi, di centinaia di metri di altezza, fantastiche. Poi, improvvisamente, tutto intorno a voi è recintato. I Cinesi lo hanno fatto per “proteggere” il luogo dalle “intrusioni” e hanno costruito un ingresso di marmo e cemento armato su uno spiazzo asfaltato che si riempie di centinaia di bancarelle di souvenir e migliaia di turisti. È un peccato tutto quel cemento, che turba il fascino di ciò che chiunque si aspetterebbe di trovare nel deserto! Comunque, gli affari sono affari, si sa.

(continua)

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Cammelli in sosta.

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Capitolo 14

Da Samarcanda a MashhadOra rechiamoci nel Khorasan iraniano e nella città santa, detta il “Santuario” perché in esso è ospitato il venerato luogo di sepoltura dell’ottavo Imam dello Sciismo duodecimano.

Nella foto: la moschea Tan Shahid a Mashhad.

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roseguiamo il viaggio verso Mashhad dirigendoci prima su Bukhara, la nostra prossima tappa, attraverso rigogliosi paesaggi, cittadine popolose e vive, campi di

cotone e zone coltivate a gelsi per l’allevamento dei bachi da seta. Lungo la strada s’incontrano cartelli che indicano la nostra meta

con la parola uzbeka latinizzata “Buxoro”. L’itinerario migliore è quello della strada a quattro corsie M37 che dopo 260 km ci porta a Bukhara. Attraversa diverse cittadine, tra le quali le più importanti sono Navoy e Karmana, quest’ultima a quasi 139 km, e Gizhduvan, dove si può ammirare il Mausoleo di Mezquita Abd al-Halik. Qui si possono anche acquistare particolari oggetti realizzati nel vicino villaggio di Uba, i tradizionali giocattoli in terracotta ouchpuliak, che raffigurano sempre animali: leoni, montoni, cavalli, upupe, passeri, galline, ecc. tutti dipinti con i colori diluiti nelle chiare d’uovo. Alcuni di questi animali portano sul dorso un fiore o un uccello, altri hanno un cavaliere e ce ne sono alcuni modificati in fischietti molto sonori. L’ouchpulick fu concepito per il divertimento dei bambini, ma col tempo è divenuto un oggetto folkloristico pieno di sapore popolare

naif, che riscuote un grande successo.Continuiamo la nostra strada attraversando prima una fertile

pianura ondulata, irrigata con le acque canalizzate dell’Amu Darya, poi un paesaggio più arido che prelude al Kyzyl Kum, il deserto rosso, il quale si presenta con il suo mare di sabbia rivestito di cespugli spinosi, unico cibo per i dromedari.

Oltre il deserto ecco spuntare Bukhara, o Bukkara. La città delle vasche d’acqua emerge dalle sabbie mostrandosi prima in una sbiadita tonalità cachi, perfettamente mimetizzata nel deserto. L’antica oasi mantiene, della vita del deserto, la passione per

l’acqua. Di sorgenti e di khauz (canali), Bukhara ne aveva davvero tanti. Furono progettati dagli architetti persiani per portare acqua e vita alla città, rifornendo le circa 200 vasche in pietra dove la gente si radunava per bere, lavare e parlare. Ma poiché l’acqua veniva cambiata raramente, Bukhara divenne anche famosa per le pestilenze che la colpivano; pare che nel XIX secolo gli abitanti della città morissero in media intorno ai 32 anni di età. Per questo motivo le vasche sono state progressivamente eliminate o interrate dai Sovietici, che hanno

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Da Samarcanda a Mashhad

il Mausoleo di Mezquita Abd al-Halik a Gizhduvan.

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invece costruito un moderno acquedotto che attraversa il deserto. Le malattie endemiche sono così scomparse, ma insieme ad esse si sono volatilizzate anche le cicogne, le quali hanno lasciato sul posto i nidi disabitati, ancora ben visibili sulle cupole delle moschee, in vetta ai minareti e sugli alberi più alti.

Bukhara è una delle poche città dell’Uzbekistan che si è sviluppata, dal V sec. a.C. in poi, sempre nello stesso posto. L’intera città è un museo, con i suoi ben 140 monumenti costruiti all’interno delle sue mura che conservano la memoria di venticinque secoli di storia. Non a caso l’Unesco l’ha inserita nella lista dei tesori scientifici e culturali dichiarandola Patrimonio mondiale dell’umanità.

La città è. quindi. particolarmente interessante ed anche accogliente, così che per il turista camminare nelle sue strade è molto più che un sempl ice percorso t ra un monumento e l’altro.

(continua)

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Samarcanda

Mashhad

Khiva

Mary

Chardzhou

Bukhara

Via della seta: il percorso Samarcanda-Mashhad.

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a popolazione è prevalentemente composta di Turkmeni (anticamente Turcomanni), più una minoranza perlopiù di Uzbeki e Russi. Fino a due o tre generazioni fa i Turkmeni

erano quasi del tutto nomadi, e di tutte le popolazioni centro-asiatiche sono quelli che hanno mantenuto l’uso dei vestiti più tradizionali. Ancor oggi ciò che apprezzano di più è la vita rurale, centrata attorno alle loro cerimonie, la loro ospitalità, i veloci cavalli Akhal-Teke e i famosi tappeti decorati con motivi tradizionali.

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La gente del Turkmenistan

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Capitolo 16

Da Ecbatana a Palmira in Siria

In viaggio per un’altra tappa della Via della seta, una prospera stazione carovaniera sulla strada tra l’Eufrate e il Mediterraneo: Palmira, importante città-stato resa ancor più grande dalla fiera e battagliera regina Zenobia, che estese l’influenza del suo regno in Asia Minore e in Egitto, finché…

Nella foto: un ponte sul fiume Tigri.

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ontinuiamo il nostro viaggio sull’antica Via della seta con destinazione l’antica città di Palmira. Se si potesse passare per

l’Irak faremmo un percorso più breve, sulla rotta Backhtaran-Baghdad-Dayr Az Zawr-Palmira. Purtroppo la difficile situazione politica di quel Paese ci costringe a deviare per la Turchia.

Perciò lasciamo Hamadan e dirigiamoci a nord lungo la statale 6, fino al villaggio di Takestan, dove prendiamo l’autostrada A01 per Zanjan, che generalmente è affollata perché è quasi gratis.

Poco prima di arrivare alla città di Zanjan si incrociano le rovine dell’antica città di Soltaniyeh (Città dei sultani) che fu nel XIV secolo capitale dei sovrani dell’Ilkhanato, il nome dato alla Persia dominata dai Mongoli; il sito archeologico ha un c a p o l a v o ro d i a rc h i t e t t u r a rappresentato dal mausoleo mongolo di Olyeitu, eretto tra il 1302 ed il 1312, con una grande cupola di 48 m. di altezza e 25 di diametro, in parte occultata dai

ponteggi del restauro iniziato da un gruppo italiano ma sospeso da tempo e mai completato per mancanza di fondi. Il mausoleo è su 3 piani; purtroppo gran parte delle decorazioni esterne sono andate perdute, ma all’interno si vedono bellissime decorazioni in maiolica blu, turchese e rosa antico che hanno ispirato i disegni usati nella tessitura dei

tappeti persiani. Nel 2005 Solteniyeh è stata inserita dall’Unesco n e l l ’ e l e n c o d e i P a t r i m o n i dell’umanità. Zanjan significa “moglie cara”, ma non si sa cara di cosa. È capoluogo di una delle trenta province iraniane ed una delle più industrializzate del Paese. Il suo territorio ha una caratteristica particolare; oltre ad essere noto per la produzione dei coltelli lo è anche per la coltivazione di uva senza semi.

Percorriamo una strada che passa vicina al mar Caspio e attraversa un altopiano brullo che ci conduce fin nel cuore del Kurdistan, una delle regioni più occidentali dell’Iran,

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Da Ecbatana a Palmira in Siria

Soltaniyeh: mausoleo di Olyeitu.

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dove, però, bisogna salire fino ai 2.500 metri di Takht-e Soleyman, il Trono di Salomone, per scovare un po’ dello spirito perduto delle vecchie carovaniere.

Takht-e Soleyman è in una vallata più a sud, nei pressi dell’odierna città di Takab e ci si può arrivare con una piccola deviazione. Si tratta di una cittadella sassanide del III sec. d.C. situata su un lago dove si venerava il Grande Fuoco Reale. Secondo la tradizione, il re Salomone aveva l’abitudine di imprigionare creature mostruose all’interno di un vicino cratere, profondo circa 100 metri, detto Zendan-e Soleyman (Prigione di

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Baghdad

Palmira

Via della seta: Il percorso che passava per Baghdad

La cittadella sassanide di Takht-e Soleyman.

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Palmira

Sergiopolis

Tall al Abyad

Dyarbakir

Maku

Tabriz

Il nostro viaggio fino a Palmira, passando per la Turchia

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Salomone). In un altro cratere all’interno della stessa città si trova la sorgente naturale che, secondo la leggenda, fu creata da Salomone stesso.

I re Sassanidi, dopo essere stati incoronati a Ctesifonte, capitale della Mesopotamia, erano tenuti a recarsi a piedi in pellegrinaggio in questa remota e sacra località per ricevere una seconda investitura ufficiale. Infatti, fin dal tempo dei re Magi, Takht-e-Soleyman è rimasto un luogo sacro.

Secondo alcuni studiosi si trovava in questo luogo Partica di Faaspa, la città che nel 36 a.C. fu attaccata inutilmente da Marco Antonio con 10000 legionari. Dato il suo fascino unico, anche Takh-e Soleyman, come accade per molti antichi luoghi del culto

Zoroastriano, viene considerato tradizionalmente il luogo di nascita di Zarathustra.

In tutta la città si vedono le torri delle tombe pre-mongole del dodicesimo e quattordicesimo secolo. Una delle più interessanti è la Gonbad-e Kabud, o Torre Blu. Un fregio in caratteri cufici (lo stile calligrafico della lingua araba) corre lungo la base del tetto, sotto un cornicione di stalattite.

A pochi chilometri dal villaggio, dove i ritmi dell’agricoltura e della pastorizia non sono ancora alterati dalla modernità, sorge la fortezza che risale al tempo dei Parti e che fu uno dei centri della religione zoroastriana. Ma ciò che resta del complesso sono le massicce mura di pietra ed i resti di trentotto torri.

(continua)

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Il villaggio di Kandovan.

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almira fu in tempi antichi un’importante città della Siria, posta in un’oasi a 215 km a nord-est di Damasco e 120 km a sud-ovest del fiume Eufrate. Si trovava vicina alla

sorgente dell’Efqua che, sgorgando dal monte Djebel Muntar, permetteva, oltre al continuo rifornimento idrico alla città, la crescita di un’estesa oasi di palme, ulivi e melograni e consentiva l’irrigazione e quindi la coltivazione del deserto circostante.

Plinio il Vecchio scrisse di lei: “Palmyra è una nobile città per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque. Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed ella è come isolata dal mondo per opera della natura”.

Tutto vero, ma Palmira isolata non era, poiché per la sua felice posizione geografica fu per lungo tempo un vitale centro carovaniero per i viaggiatori e i mercanti che attraversavano il deserto siriaco che univa la Mesopotamia e la Siria settentrionale, tanto da essere soprannominata la Sposa del deserto.

Il nome greco della città, Palmyra, è la fedele traduzione dall’originale aramaico, Tadmor, che significa “palma”. E Tadmor (anche Tadmur) è l’attuale nome della cittadina sorta in prossimità delle rovine e che vive quasi esclusivamente di turismo.

Col nome Tadmor, Palmira è menzionata in una tavoletta assira scritta in caratteri cuneiformi trovata a Kultepe in Cappadocia; con lo stesso nome viene nominata anche negli archivi della città mesopotamica Mari, nel II millennio a.C.

Tadmor è citata anche nella Bibbia (Secondo libro delle Cronache 8.4) come una città del deserto fortificata da Salomone, re d’Israele.

Ma la tradizione vuole che Salomone l’abbia pure fondata, anzi sembra quasi che egli andasse continuamente in giro a fondare città.

Dopo la morte di Alessandro Magno, quando i Seleucidi presero il controllo della Siria nel 323 a.C., Palmira fu abbandonata a se stessa e divenne indipendente. Essa fiorì come città carovaniera durante il I secolo a.C., soprattutto dal 62 a.C. quando entrò nella

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Palmira, la Sposa del deserto

L a v i a d e l l a s e t a – i e r i e d o g g i

Palmira illuminata dai raggi dorati del sole al tramonto.

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sfera d’influenza romana per opera di Pompeo. Nel 41 a.C. Marco Antonio, che ebbe il compito di dare assetto alla Siria, cercò di occupare la ricca città con le sue legioni, ma il tentativo non gli riuscì.

Il via ai rapporti commerciali con la Persia lo diede poi Augusto, e Palmira venne così a trovarsi coinvolta nei traffici tra Roma e l’Oriente. Le merci, che vi affluivano in quantità, venivano smistate, imballate e caricate su carovane scortate dalla milizia palmirena, prima con destinazione Homs e Damasco, poi verso l’Occidente.

Durante il regno di Tiberio, Palmira, essendo nodo centrale del commercio tra la Persia, l’India, la Cina e l’Impero romano, entrò definitivamente a far parte della provincia romana di Siria e divenne così una grande e prospera città-stato.

La via commerciale per Palmira fu sempre la più battuta, perché sicura e ben organizzata; infatti le numerose carovane preferirono questa alla vecchia via che passava per Petra, capitale carovaniera dei Nabatei che era stata conquistata dai Romani nel 106 d.C.. Cosicché con l’emarginazione di Petra, Palmira non ebbe rivali e le si aprì l’epoca del trionfo. Nel suo serraglio arrivavano le merci

preziose per le quali l’Occidente smaniava, e che Roma pagava fino a cento volte il loro prezzo d’origine. Seta e porcellane dalla Cina, perle e profumi dall’Arabia, vetri e porpore, stoffe e tappeti, droghe, spezie, il preziosissimo sale, cibi conservati, pietre e metalli preziosi, avorio e persino schiavi e, naturalmente, le tante prostitute che intrattenevano i mercanti durante le loro soste.

Nel 129 l’imperatore Adriano visitò Palmira e ne restò colpito. Esteta e letterato, sensibile al fascino dell’Oriente, l’imperatore sviluppò la cittadina abbellendola di importanti edifici, aprì nuove strade nel deserto, distribuì le oasi a distanze prestabilite rendendole nuclei autosufficienti, fece costruire nuove abitazioni che dette ad Arabi, Romani, Greci, Egiziani. Infine proclamò Palmira “città libera”, consentendole di decidere in proprio le tariffe doganali sulle merci; la città grata si ribattezzò col nome di Palmira Hadriana.

Palmira continuò a svilupparsi per tutto il secondo secolo, tanto da aprire altre società commerciali in tutto l’Oriente e perfino in Occidente. E non solo nel commercio: i suoi arcieri erano così intrepidi che furono arruolati nell’esercito romano, facendosi grande onore in Africa, dove furono impiegati nelle guerre contro i Numidi.

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Panoramica di Palmira.

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Da Palmira il mondo romano apprese il consumo del latte vaccino, che i nomadi arabi bevevano bollito (una tecnica cinese, mutuata dagli arabi, cioè la pastorizzazione che noi scopriremo solo nel 1857 con Pasteur) oppure coagulato e inacidito (lo yogurt); questo processo permetteva non solo di evitare le intossicazioni intestinali ma addirittura favorire, con la sua particolare flora batterica, una certa attività benefica per l’organismo. Tuttavia bere il latte sotto forma di yogurt non s’impose nell’alimentazione mediterranea latina; ritornò in Sicilia solo con l’arrivo degli Arabi, che lo riproposero insieme al caglio e ai fermenti lattici; l’uso restò comunque circoscritto all’isola fino al 1600-1800, quando poi risalì pian piano la penisola.

Dopo Adriano, che possiamo considerarlo come il secondo fondatore di Palmira, nel 212 sopraggiunse il siriano Caracalla, il quale emise un decreto che nominò Palmira colonia romana,

territorio dell’Impero a tutti gli effetti, titolo molto ambito perché non si sarebbero più versate a Roma le pesanti tasse che gravavano sui territori sottomessi.

Ma ecco che il commercio a Palmira cominciò ad essere intaccato quando Sapore I, re della Persia dal 241 al 272 d.C., iniziò la sua campagna militare contro i Romani. Prima occupò i territori del Tigri e dell’Eufrate, poi conquistò Antiochia di Siria, quindi, nel 260 d.C., sconfisse l’esercito romano e catturò l’imperatore Valeriano nella battaglia di Edessa.

Una simile situazione non era certamente vantaggiosa per una città commerciale come Palmira. Il suo reggente, Odenato (Adhinath), che aveva il nome gentilizio di Septimius perché la sua famiglia di appartenenza aveva ricevuto nel 190 la cittadinanza romana sotto la dinastia dei Severi, diventando così la famiglia più importante di Palmira, tentò prima di ingraziarsi le amicizie di re Sapore, ma quando questi rifiutò sdegnosamente i suoi doni allora

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A sinistra: l’ingresso a Palmira.

Resti della città di Palmira.

Nelle altre due foto: resti della città di Palmira.

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si alleò con Roma.Con l’approvazione di Gallieno (co-imperatore con

Valeriano, suo padre) Odenato riconquistò le posizioni strappate da Sapore ai Romani. Con una serie di rapide e vittoriose campagne, insieme a suo figlio maggiore Hairan (Erode), Odenato liberò le città di Edessa, Nisibis e Carre, e si spinse fin nell’interno dell’Impero Persiano mettendo sotto assedio la stessa capitale Ctesifonte (264).

Così l’autorità imperiale romana fu ripristinata in Oriente e in cambio Odenato ottenne da Roma il titolo di corrector totius Orientis con la giurisdizione sulle province romane orientali, nonché un proprio impero indipendente, chiamato Regno di Palmira, che durante la sua vita, ancora breve, mai entrò in discordia con Roma.

La seconda moglie di Odenato, Zenobia, il cui vero nome era Bath-zabbai, assunse il potere del Regno di Palmira nel 267 a seguito all’assassinio del marito e di Hairan, e forse non fu estranea alla loro morte. Già da quando aveva sposato Odenato, di circa quarant’anni più vecchio di lei, la donna aveva iniziato a nutrire ambizioni di potere.

Rimasta vedova, essendo il secondo figlio di Odenato troppo piccolo, la bella Zenobia, che si proclamava discendente di Cleopatra e che chiamava se stessa “Septimia”, in omaggio ai Severi, nominò Augustus il suo giovane figlio Vaballato (Vahballat). Ella era siriana di nascita, ma aveva avuto una eccellente educazione e, oltre al siriano, parlava greco e latino. Con un’audace politica estese l’influenza di Palmira in Asia Minore, e accrebbe i domini con l’occupazione dell’Anatolia e del Basso Egitto. Inoltre stipulò un accordo con i Persiani per garantirsi il tranquillo passaggio delle carovane dirette a Palmira, che così

tornò ad essere un floridissimo centro commerciale.Gallieno fu costretto a riconoscere il suo potere, ma nel 270 alla guida dell’Impero romano subentrò l’imperatore Aureliano, che due anni più tardi mosse guerra alla bella Zenobia. Le truppe della regina furono sconfitte ad Antiochia e ad Emesa e persero anche Palmira. La regina e suo figlio furono imprigionati dopo un inutile tentativo di fuga verso est, in groppa ai dromedari, nella speranza di raggiungere i Sassanidi oltre l’Eufrate. Zenobia fu portata a Roma e fatta sfilare davanti al carro del vincitore, legata con delle catene d’oro. Ma poi fu risparmiata: Aureliano le assegnò una rendita e acconsentì a che si ritirasse a vita privata in una villa di Tivoli, dove fu lasciata libera di partecipare alla vita mondana. L’orgogliosa regina morì a Tivoli nel

275. Vaballato, invece, pare che morì durante il viaggio in prigionia verso Roma.

Palmira divenne una base militare per le legioni romane, anche se la città non mostrava nulla di “militare”: crebbe come un organismo fastoso, irregolare, plasmato dalla devozione agli dei d’Oriente e ai riti civili del commercio e della “cosa pubblica” che si celebravano nelle piazze e nel Senato.

Una decina d’anni più tardi Diocleziano fortificò la città, assegnandole molte più legioni per difenderla ancora una volta dalle mire dei Sassanidi.

Durante il periodo della dominazione bizantina nella città furono costruite alcune chiese (affreschi cristiani s’intravedono ancora anche nel tempio di Bel). Poi la città fu presa dagli Arabi e cadde ben presto in rovina; a completare l’opera giunsero vari terremoti e il saccheggio di Tamerlano.

Della splendida Palmira resterà per secoli solo un cumulo di 38

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Busto di Zenobia.

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maestose rovine, frugate dal muso indifferente di capre e cammelli.

Ora, immaginiamo cosa poteva accadere a Palmira nel momento del suo fulgore.

Ecco che arriva una carovana bardata e carica. Quanta animazione, per ogni fila di cammelli (dromedari, soprattutto) che varca le grandi porte, con i cammellieri che incitano le bestie provate dal viaggio, tra sbuffi di polvere. Polvere, certo, perché il grande spiazzo è in terra battuta! Niente lastricato, per rispettare le zampe sensibili dei cammelli. Beati Assiri, che introdussero nel Vicino e Medio Oriente questi animali, le “navi del deserto” resistenti alle fatiche e all’arsura! Grazie ad essi sono nate le vie carovaniere che attraversano steppe e sabbie, affrancando il

commercio dalla difficoltà dei fiumi navigabili. Ora gli animali vengono alleggeriti dei carichi e condotti a gruppi verso gli abbeveratoi. Come sono grandi, queste fontane, per tantissimi animali. Gli uomini, invece, tutti alle terme. Proprio così: terme in pieno deserto! Sorte ai tempi di Settimio Severo, maestose come si conviene, che non resteranno mai all’asciutto. Ma a questo lusso di acque, Palmira ci è abituata. Le sorgenti rendono verdeggiante da millenni la sua oasi ed ora riforniscono d’acqua pure le terme. Da dove verrà questa carovana? Dall’Oman o dalla Persia? Dalla foce del Tigri o dall’Abissinia? E quante merci porta! Merci che raggiungeranno poi il mondo occidentale: Roma, innanzitutto, ma anche Egitto, Spagna e Gallia.

Che ricchezza di vita in città, lungo le immense strade porticate e piene di botteghe; perché la grande via carovaniera in città diventa una grande e splendida strada affiancata da un ampio portico alto una decina di metri, le cui colonne sostengono, tramite mensole, mille statue che rappresentano i personaggi più importanti di Palmira, del passato ed anche del presente.

Superato il colonnato c’è il grande tempio di Bel, costruito nel 32 d.C., che sorge in una delle aree più antiche della città, al centro di un ampio recinto sacro circondato da un colonnato e da un muro. Il tempio è coperto da una terrazza con quattro torri angolari. All’interno ci sono le statue di tre divinità del pantheon palmireno: Bel, il signore degli dei e degli uomini (simile a Zeus), Yarhibol, il

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1 - Museo2 - Hotel Zenobia3 - Tempio di Baal-Shamin4 - Ninfeo5 - Tetrapylon6 - Teatro7 - Terme di Diocleziano8 - Arco monumentale9 - Tempio di Nebo10 - Tempio di Bel11 - Casa romana12 - Tariffario doganale13 - Agorà14 - Sala banchetti15 - Via colonnata16 - Chiese bizantine17 - Tempio funerario18 - Tempio di Allath19 - Casa reale20 - Campo di Diocleziano21 - Porta Damasco

Pianta di Palmira

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dio del sole, e Aglibol, il dio della luna.

Dopo tanti anni di oblio, la scoperta della città fantasma la si deve ad alcuni mercanti inglesi. Nel 1678 essi vennero a sapere da alcuni arabi dell’esistenza delle splendide rovine di un’antica città situata nel deserto. Decisero così di organizzare una spedizione. La prima però fallì, ma la seconda, effettuata nel 1691, ebbe buon esito.

Da allora si accese una vera febbre di archeologia in Europa: mercanti, intellettuali, avventurieri (e avventuriere) raggiunsero, dopo giorni di viaggio scomodo e rischioso e scortati dalle tribù beduine, l’immenso sito antico in cerca di emozioni e tesori.

Intorno alla metà del 700, due viaggiatori, Robert Wood e Stephen Dawkins, visitarono le rovine di Palmira e pubblicarono il libro The Ruins of Palmyra, otherwise Tadmor, in the desert (Londra, 1753), dove c’erano alcuni disegni di ciò che avevano visto; quei disegni stupirono moltissimo gli ambienti scientifici e artistici dell’epoca e influenzarono il movimento neoclassico in Inghilterra. “È quasi impossibile concepire qualcosa di più sorprendente. – scrisse Wood – È l’effetto più fantastico che si possa immaginare”. Il francese Volney, di rincalzo, disse: «Né in Grecia né in Italia, l’antichità ha lasciato qualcosa di paragonabile alle rovine di Palmira».

Nel 1881 il principe russo Simon Lazarev, appassionato di archeologia, scoprì presso la via colonnata un’enorme lastra, larga quasi 5 m, incisa con più di 400 righe in palmireno e in greco: era il tariffario doganale inciso per ordine del Senato del 137 d.C. e stabiliva l’importo delle tasse dovute dalle carovane che entravano a Palmira. Gran parte degli introiti della città, infatti, proveniva da questo dazio. Lazarev portò con sé a San Pietroburgo la lastra, che lasciò a bocca aperta la comunità scientifica d’Europa. Oggi la stele è conservata al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

Su Palmira furono scritti numerosi poemi e persino libretti d’opera. I musicisti (da Albinoni ad Anfossi a Rossini) inventarono trame patetiche, dove Zenobia, fiera e passionale, e l’imperatore romano, eroe magnanimo, si contendono il favore del pubblico; i “lieti fini” si sprecano: Aureliano, che ha corteggiato invano la regina ribelle, si rassegna a benedire le nozze di Zenobia e dell’amante persiano di lei, Arsace, in una Palmira tornata fedele all’impero. Tutta fantasia, naturalmente, che colmava un vuoto di notizie sicure.

Poi Palmira tornò dimenticata; tra le antiche mura, che servivano come rifugio dagli attacchi dei predoni del deserto, tra i templi e le colonne si sviluppò un villaggio arabo, un curioso esempio di promiscuità.

(continua)

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Due disegni di Robert Wood e Stephen Dawkins tratti dal libro The Ruins of Palmyra, otherwise Tadmor, in the desert.

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Capitolo 17

Da Palmira a Damasco

In viaggio per la nostra ultima tappa della Via della seta, una città storica, pittoresca e ricca di monumenti la cui origine è sconosciuta ma antichissima. Damasco è nota per i suoi lavori artigianali, in particolare per la decorazione dei metalli e i famosi tessuti di seta “damasco”(con disegni lucidi su fondo opaco e viceversa) e “damascati” (che oltre al lucido-opaco con anche fili multicolori).

Nella foto: l’ingresso in Damasco nel traffico caotico.

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Damasco terminava il lungo percorso carovaniero che trasportava i prodotti provenienti dalla Cina, ai quali si aggiungevano man mano quelli tipici dei territori che esso attraversava.

Da Damasco le merci, raggiunte le coste dell’attuale Libano, potevano essere imbarcate sulle navi nei porti di città, a seconda del periodo storico, come Byblos o Al-Mina o Beirut oppure Tiro. Ma potevano anche essere trasportate via terra a sud, raggiungevano Alessandria d’Egitto o ancora in città più lontane: Cirene (Libia) e Cartagine (odierna Tunisi), dove le navi cariche di mercanzie partivano per raggiungere i porti del nord Mediterraneo e soprattutto Roma (fra Cartagine e Roma c’erano quasi cento navi al giorno che facevano la spola). 

Altro percorso usato fu quello che conduceva a nord della Siria: Antiochia, Alessandretta, Costantinopoli, Atene, Venezia.

Su queste vie carovaniere passarono non soltanto le merci esotiche che, provenienti dai paesi orientali, invadevano l’Occidente, ma si svilupparono anche gli scambi culturali che determinarono cambiamenti di vita notevoli, si scambiavano le tecniche agricole e soprattutto grazie a queste, s’introducevano nuovi prodotti: le prime arance, le albicocche, le pesche, i limoni, le fragole, le prugne, le ciliegie, le pere e buona parte delle mele che oggi conosciamo. E, come abbiamo già detto, arrivavano anche le scuole filosofiche, le tradizioni culturali e le correnti religiose.

Ma la Via della seta fu la strada attraverso cui, viaggiando in senso contrario, furono diffusi i princìpi ed i valori del Cristianesimo, dello Zoroastrismo e dell’Islam. Infatti, lungo questa via, la quale poteva variare secondo la situazione politica o di sicurezza dei luoghi che doveva attraversare, sorsero importanti centri di culto proprio in corrispondenza delle oasi e dei luoghi di sosta utilizzati dalle carovane.

Oggi, quell’antica Via della seta, pur senza l’avventura d’un tempo, resta un percorso ideale che possiamo percorrere per tracciare la nostra sensibilità sociale ed antropologica, per conoscere

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In conclusione…

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le vere radici dell’umanità e, perché no, per amare ancor di più una natura che ci mostra tante e diverse bellezze, tutte ampiamente apprezzabili.

Siamo partiti dall’antica capitale cinese Chang’an a abbiamo raggiunto Damasco in Siria.In mezzo a questo tragitto ci sono tanti popoli e tante culture, ancora differenti tra loro, ma tutte ugualmente interessanti, nonostante che

il tempo trascorso li abbia maggiormente “ravvicinati”. Alcune città, che esistevano già al tempo delle carovane, sono divenute metropoli moderne, altre sono rimaste piccole e legate alla tradizione, altre invece sono scomparse e di esse restano soltanto i siti archeologici, fermi al momento del loro abbandono, che proprio per questo ci appaiono ancor più affascinanti delle altre.

Buona avventura, a chi vorrà intraprendere dal vero il viaggio sulla Via della seta.

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Dinastie imperiali cinesi

ANTICO

Tre Augusti e Cinque Imperatori (2850 a.C. - 2100 a.C.)• Non una dinastia. I Tre Augusti, noti anche come i Tre sovrani, erano semidei o re-dei

che usavano i loro poteri magici per migliorare la vita del loro popolo. i Cinque Imperatori erano sovrani mitologici della Cina

Xia (ca. 2100 a.C. - 1600 a.C.)

Shang (ca. 1600 a.C. - ca. 1046 a.C.)

Zhou Occidentali (1046 a.C. - 771 a.C.)

Zhou Orientali (770 - 221 a.C.)• Periodo delle Primavere e degli Autunni (770-476 a.C.). Nasce il Taoismo, Lao-tzu (604

a.C. - 520 a.C., date incerte) pubblica Il Libro del Tao e della Virtù (Tao Tê Ching). Opera di Confucio (Shandong, 551 circa - 479 a.C.)

• Periodo dei Regni Combattenti (476-221 a.C.)

IMPERIALE

Qin (221-207 a.C.)•! Ying Zheng (221-210 a.C.) fu il primo imperatore della Cina unificata (nome postumo =

Qin Shi Huang), colui che costruì la Grande Muraglia. Morì lasciando un mausoleo a Lintong, con il famoso esercito di statue di terracotta a grandezza naturale

Han (206 a.C.- 220 d.C.) • Han Occidentali (206 a.C.- 24 d.C.)• Han Orientali (25 d.C. - 220 d.C.)

Periodo dei Tre Regni (220-280 d.C.) • Wei (220-263 d.C.) • Shu Han (220-265)• Wu (220-280)

Jin (265-420 d.C.) • Jin Occidentali (265-317 d.C.) • Jin Orientali (317-420)

Dinastie del Sud (420-589 d.C.) • Song (420-479 d.C.) • Qi (479-502) • Liang (502-557) • Chen (557-589)

Dinastie del Nord (368-581 d.C.) • Wei Settentrionali (386-534) • Wei Orientali (534-550)• Wei Occidentali (535-556)• Qi Settentrionali (550-577) • Zhou Settentrionali (557-581)

Sui (581-618)• Riunificazione dell’Impero

Tang (618-907)

Periodo delle Cinque Dinastie (907-960 d.C.) • Liang Posteriori (907-923)• Tang Posteriori (923-936) • Jin Posteriori (936-946) • Han Posteriori (947-950) • Zhou Posteriori (951-960)

Periodo dei Dieci Regni (902-976)• Wu (902-937) • Wuyue (907-978) • Han del Sud (907-971) • Chu (907-951) • Shu Anteriori (908-925) • Min (909-944) • Jingnan (913-963) • Shu Posteriori (934-965) • Tang del Sud (937-975) • Han del Nord (951-976)

Liao (916-1125)

Song (960-1279)• Song del Nord (960-1127)• Song del Sud (1127-1279)

!Jin (1115-1234), conosciuta anche come dinastia Jurchen.

• L’ultimo imperatore Modì (1234) ebbe il più breve regno della storia cinese (meno di un giorno) perché fu ucciso dai Mongoli quando assalirono il palazzo reale il giorno dell’incoronazione

Yuan (1279-1368)• Yuan Taizu (1206-1227), fu il nome templare (alla cinese) che identificava Temujin

(Gengis Khan), colui che avviò la dominazione mongola sulla Cina.• Shizu (1260-1294), fu il nome templare di Qubilai Khan o Kublai Khan, nipote di Gengis

Khan, primo vero imperatore Yuan, anche se lui volle far iniziare la dinastia da Gengis Khan. In questa epoca Marco Polo effettuò il suo viaggio in Cina

Ming (1368-1644)

Qing (1644-1911)• Ultima dinastia imperiale cinese

Termini del glossario correlati

Indice

Capitolo 1 - Come Roma conobbe la seta

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