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LA VALUTAZIONE DELLE QUOTE NELLE SOCIETÀ PERSONALI IN IPOTESI DI RECESSO ED ESCLUSIONE Documento del 15 novembre 2015

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LA VALUTAZIONE

DELLE QUOTE NELLE

SOCIETÀ PERSONALI IN

IPOTESI DI RECESSO ED

ESCLUSIONE

Documento del 15 novembre 2015

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Sommario: 1. Premessa. – 2. Il criterio legale di liquidazione della quota nelle società personali. – 2.1. Le

operazioni in corso. – 2.2. La valutazione dell’avviamento. – 3. Aspetti metodologici. – 3.1. La determinazione

del valore della quota. – 4. La riduzione nominale o reale del capitale sociale a seguito della liquidazione della

quota al socio uscente. – 5. Conclusioni.

1. Premessa

Il rapporto sociale - recte il rapporto tra la società ed il singolo socio - può interrompersi in

seguito a morte, recesso o esclusione. In linea generale, la morte del socio determina lo

scioglimento del rapporto sociale con gli eredi che subentrano nel diritto alla liquidazione

della quota. Il recesso è un atto unilaterale recettizio che costituisce diretta espressione di un

diritto potestativo spettante ad ogni socio di società contratta a tempo indeterminato, per la

vita di uno dei soci o, comunque, per un tempo superiore alla normale durata della vita

umana. Oltre che in queste ipotesi, il socio può recedere negli altri casi individuati nel

contratto sociale (ove previsti) o se ricorre una giusta causa. “La giusta causa di recesso del

socio dalla società trova fondamento esclusivamente nell’inadempimento di specifici obblighi

contrattuali da parte degli altri soci. In una società di persone ricorre la giusta causa di

recesso del socio ex art. 2285, 2° comma, c.c., ogni qualvolta il recesso sia la conseguenza

dell’estromissione del socio dall’amministrazione e dalla gestione della società” (App. Emilia

Romagna, 20.11.1993). “La giusta causa di recesso del socio di società in nome collettivo va

ricondotta ad una plausibile e giustificabile reazione ad un comportamento degli altri soci,

che in misura obiettiva abbia inciso negativamente sul rapporto fiduciario che deve legare

ciascun socio all’altro” (Trib. Pavia, 21.04.1989).

Il socio, infine, può essere escluso dalla società per gravi inadempienze degli obblighi

derivanti dalla legge o dal contratto sociale (art. 2286 c.c.); l’esclusione è deliberata dalla

maggioranza dei soci. L’esclusione così decisa produrrà effetti decorsi trenta giorni dalla

comunicazione al socio escluso, comunicazione che deve essere necessariamente motivata

anche per la possibilità concessa a questi di proporre opposizione davanti al tribunale al fine

di ottenere la reintegrazione.

Tralasciando in questa sede l’analisi delle singole fattispecie e delle relative problematiche

che ne derivano (L. De Angelis, 2015), occorre segnalare che, in caso di recesso o di

esclusione da società di persone sarà necessario procedere al calcolo della quota spettante al

socio recedente, comprensiva di quanto maturato e maturando non ancora pagato, così come

sancito dall’art. 2285 c.c., che al suo secondo comma prevede che “la liquidazione della

quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo

scioglimento”.

Di norma, al verificarsi della fuoriuscita di un socio dalla società (nelle ipotesi espressamente

disciplinate dalla legge di morte, recesso o esclusione del socio) prevale la logica della

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conservazione dei valori produttivi costituiti da un’impresa operante, conformemente alla

disciplina generale dei contratti plurilaterali associativi (artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c.),

secondo la quale il venir meno del vincolo di una sola delle parti non importa caducazione

dell’intero contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze,

considerarsi essenziale.

L’art. 2289, comma 1, c.c. così recita: “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie

limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di

denaro che rappresenti il valore della quota”. Questo sta a significare che il socio recedente

non può sottrarre alcun bene alla destinazione produttiva propria rimanendo quindi detto bene

nel patrimonio della società. Infatti il credito del socio recedente è costituito solo da una

somma di denaro. A tal proposito è stabilito che “anche le cose conferite in godimento restano

vincolate fino al momento fissato nel contratto sociale e non possono essere restituite al socio

il cui rapporto sociale sia sciolto” (G. Cottino, 1999), ma gli verranno restituite solo allo

scioglimento.

La disciplina sinteticamente richiamata offre lo spunto per riflettere su alcuni aspetti dai

rilevanti risvolti pratici trattandosi, nella specie, dei criteri di valutazione delle quote,

dell’avviamento e delle conseguenze prodotte dalla liquidazione della quota sul capitale

sociale delle società di persone.

2. Il criterio legale di liquidazione della quota nelle società personali

L’art. 2289, comma 2, c.c. - come già accennato - prevede che il calcolo del valore della quota

spettante al socio recedente da una società di persone debba essere determinato facendo

riferimento alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo

scioglimento del vincolo sociale.

È convincimento prevalente che si tratti di un bilancio ad hoc, redatto con criteri tali da

rivelare l’effettiva consistenza economica della quota al momento dello scioglimento

unilaterale del vincolo (Trib. Genova 25.01.1982). Secondo la Suprema Corte (Cass.

10.07.1993 n. 7595): “Nel caso di recesso di socio di società di persone, per il calcolo della

liquidazione della quota, a norma dell’art. 2289, comma 2 c.c., deve tenersi conto della

effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del

rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività della azienda stessa; tale redditività,

in cui si sostanzia il concetto di avviamento, deriva da un complesso di elementi che, se pure

cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondono sui

risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti e si

traduce nella probabilità proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci

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superstiti, derivati dall’apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come

componente del patrimonio sociale”.

Qualora, invece, lo statuto sociale preveda che la liquidazione della quota del socio uscente

avvenga in base all’ultimo bilancio approvato, la stessa deve essere effettuata in aderenza a

tale criterio e non con riferimento alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si

verifica lo scioglimento, trattandosi di disposizione derogabile.

Tra gli elementi che concorrono alla determinazione del quantum debeatur è opinione

consolidata che nella liquidazione della quota si debba tener conto degli utili e delle perdite

sulle operazioni in corso, così come disposto dall’art. 2289, comma 3, c.c., e di quella qualità

essenziale ed economicamente rilevante dell’azienda che è costituita dal valore di avviamento

(positivo o negativo), al fine di evitare l’ingiusto arricchimento, che altrimenti ne deriverebbe,

di coloro i quali continuano ad avvalersi dell’organizzazione alla quale l’avviamento inerisce

e giova.

La liquidazione della quota (il cui valore considerato non è quello nominale, ma quello

rapportato al patrimonio) spettante al socio recedente deve essere pagata entro sei mesi dal

giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, senza alcuna corresponsione di interessi.

Si tratta, in ogni caso, di un termine finale che non impedisce di procedere ad un pagamento

immediato a favore del socio uscente.

Per ciò che concerne la natura del credito, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel

ritenere che in capo al socio uscente nasca un mero diritto di credito avente ad oggetto una

somma di denaro, integrante quindi un credito di valuta (pecuniario), che soggiace al

principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c.. In tema la Suprema Corte ha avuto modo di

affermare che: “Il credito di cui all’art. 2289 c.c., relativo alla liquidazione della quota del

socio uscente, avendo fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro, è un credito di valuta

ed è soggetto, quindi, al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c.; non dimeno la

svalutazione monetaria assume rilevanza quando, non essendo avvenuto l’adempimento entro

il termine di sei mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 2289 c.c., diventino applicabili i

principi sul risarcimento del danno conseguente alla mora del debitore” (Cass. 10.06.1994 n.

5647).

Da tale concezione se ne deduce che non è configurabile per il socio uscente un diritto alla

restituzione in natura dei beni conferiti in proprietà o in godimento, in virtù del principio di

conservazione dei valori produttivi dell’impresa sociale, a cui è improntata l’intera disciplina

dello scioglimento del rapporto sociale relativamente a un singolo socio, al fine di

salvaguardare l’integrità aziendale, insuscettibile di subire alterazioni dipendenti dalle vicende

personali dei singoli membri (Aristeia, 2007).

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Parte minoritaria della dottrina, comunque, riconosce alla società la facoltà di scegliere se

adempiere mediante liquidazione della somma di denaro corrispondente al valore della quota

del socio uscente ovvero mediante la restituzione di beni (o quote di beni) in natura, sul

rilievo che la ratio dell’art. 2289 c.c. sarebbe la tutela esclusiva dell’interesse della società

alla conservazione dei valori produttivi, la quale potrebbe valutare più conveniente operare la

restituzione in natura al socio uscente (G. Ferri, 1981; R. Ambrosini, 1994).

L’obbligo di liquidare la quota fa capo direttamente alla società, e non ai singoli soci restanti,

dato che la stessa società è soggetto di diritto ed è titolare di un autonomo patrimonio.

Ciò è da ultimo confermato dalla Suprema Corte (nella sentenza del 1.04.2014 n. 6373),

nell’affermare che: “il principio secondo il quale le azioni per la liquidazione della quota del

socio uscente vanno proposte nei confronti della società anche se di persone si applica anche

al caso di azione proposta dall’ex socio per conseguire la quota di partecipazione agli utili

inerenti ad operazioni in corso...”. Tale orientamento giurisprudenziale trae le proprie

argomentazioni in forza dei presupposti teorici sulla soggettività giuridica delle società di

persone.

La società di persone, sebbene carente di personalità giuridica, è comunque soggetto di diritto,

in quanto titolare di un patrimonio formato con i beni conferiti dai soci, con la conseguenza

che il debito di liquidazione della quota, al pari di ogni altro debito sociale, deve essere

soddisfatto dalla società e, solo in via sussidiaria, dai restanti soci. Ponendo il debito a carico

dei soci uti singuli, si corre il rischio di scontrarsi con la disciplina propria delle società di

persone, tra le quali, ve ne sono alcune (quali le s.a.s.) caratterizzate dalla presenza di una

categoria di soci (accomandanti) che risponde verso i creditori sociali non illimitatamente

(come gli accomandatari) bensì nei limiti di quanto conferito, laddove l’onere del pagamento

della quota dovrebbe gravare solidalmente ed in ugual misura su tutti i soci.

È minoritario l’orientamento che afferma la legittimazione passiva di tutti i soci in veste di

litisconsorti necessari, trattandosi di obbligazione che graverebbe anche in capo a costoro.

La legittimazione passiva della società non può essere negata nemmeno dando rilievo al fatto

che lo scioglimento del rapporto sociale (e la conseguente liquidazione della quota) comporta

l’accrescimento delle quote degli altri soci, da cui emergerebbe che questi ultimi sarebbero gli

effettivi debitori nei confronti del socio uscente. Il patrimonio sociale, infatti, non

appartiene pro-quota ai soci, come avverrebbe in regime di comunione, ma per intero alla

società, quale ente autonomo dotato di soggettività giuridica.

2.1. Le operazioni in corso

Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite

inerenti alle operazioni medesime.

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Per operazioni in corso si intende l’insieme degli affari già iniziati mentre il socio era

partecipe alla società che, non essendosi ancora integralmente tradotti in variazioni

patrimoniali, continuano a produrre effetti giuridici ed economici anche dopo l’uscita del

socio. Esempi di operazioni in corso possono essere: la nascita di un contenzioso tributario

dopo il recesso del socio a seguito di controlli su operazioni riferibili all’attività partecipativa

del socio; risarcimenti per danni verificatisi prima del recesso; l’accoglimento di richiesta di

contributi sottoposta alla condizione sospensiva di un’approvazione da parte di un organo

pertinente; ecc.

Secondo la giurisprudenza di legittimità è compresa nella locuzione qualsiasi situazione che

pur non in atto al momento dello scioglimento del vincolo sociale, debba considerarsi la

conseguenza necessaria ed inevitabile di atti o rapporti giuridici preesistenti anche se la

definizione di questi ultimi sia intervenuta in epoca successiva a quella in cui deve procedersi

alla liquidazione della quota.

Il calcolo relativo alla liquidazione delle operazioni in corso si articolerà in due fasi,

consistenti, rispettivamente, nell’individuazione della somma di denaro rappresentante la

quota e nella valutazione degli utili o delle perdite che derivano dagli affari già avviati ma non

condotti a termine.

Pertanto al fine di definire celermente le pendenze con i soci uscenti si potrà procedere ad una

liquidazione provvisoria alla quale seguiranno eventuali conguagli a completamento avvenuto

delle operazioni.

A tal fine potrebbe essere necessario che la società rediga un bilancio aperto nel quale si tenga

conto in modo dinamico della possibile evoluzione delle situazioni non ancora chiuse o

considerata la difficoltà di individuare con precisione quali operazioni si siano concluse

effettivamente e quali si chiuderanno in futuro si consiglia la redazione di un rendiconto nel

quale indicare anno per anno le operazioni di volta in volta compiute.

2.2. La valutazione dell’avviamento

Per la concreta determinazione del valore della quota da liquidare è necessario tener conto

anche della quota di avviamento della società stessa, in considerazione del fatto che nel

momento in cui il rapporto si scioglie la struttura societaria può aver acquistato valore nel

corso del tempo, che deve essere riconosciuto anche al socio recedente (o defunto), dato che

l’art. 2289 c.c. citato impone di tener conto dell’effettiva consistenza economica del

patrimonio sociale.

La valutazione dell’avviamento deve essere compiuta sia in base ai risultati economici della

gestione passata e presente, sia in base alla capitalizzazione del reddito futuro. Ciò va fatto

individuando la concreta attitudine produttiva dell’azienda e la sua realtà dinamica esistente

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alla data dello scioglimento del rapporto sociale, senza necessariamente fare riferimento

unicamente all’ultimo reddito societario, che pure potrà costituire elemento di valutazione

presuntiva di tale avviamento.

Nella prassi, generalmente si procede alla capitalizzazione del surplus del reddito che

rappresenta il soprareddito che l’azienda è in grado di produrre rispetto al reddito medio del

settore in cui opera, e che, quindi, presenta le stesse caratteristiche di rischio in considerazione

anche delle condizioni ambientali e di mercato. L’avviamento, pertanto, come valore

computabile nella liquidazione del socio uscente, si traduce nella probabilità, fondata su

elementi presenti o passati ma proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i

soci superstiti derivanti dall’apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come

componente del patrimonio sociale (M. Monti, 2007).

In altri casi, si fa riferimento alla base finanziaria e non reddituale; generalmente questa scelta

si riversa anche sull’intera modalità di calcolo del valore aziendale (in questa ultima ipotesi si

discorre di Economic Value Added).

L’avviamento sarà determinato tenendo conto della differenza tra il prezzo d’acquisto

dell’azienda o dell’esercizio commerciale ed il valore del patrimonio netto (pari alla

differenza tra attivo e passivo patrimoniale): qualora il valore risultante da questa operazione

sia di segno positivo, esso si tradurrà in un maggior valore di attività liquidabili,

potenzialmente riconducibile anche al maggior valore degli immobili e alle plusvalenze

latenti.

In generale, comunque, si dovrà tener conto dello stato reale ed effettivo della società al

momento dello scioglimento: la potenzialità della stessa avrà, infatti, un valore tangibile per

chi proseguirà nell’attività sociale, avvalendosi anche del contributo che il socio uscente ha

dato e che deve essergli riconosciuto.

Si segnala infine, per completezza, che la disposizione dell’art. 2289 c.c. è derogabile con

delle clausole che possono precisare o parzialmente limitare gli importi da liquidare: non è

possibile, a rigore, escludere tout court il valore dell’avviamento dal corrispettivo da

liquidare, ma si possono prevedere – anche con patti sociali – determinati criteri anche più

vantaggiosi per i soci superstiti, ad esempio prevedendo una decurtazione di una percentuale

perché il socio che continuerà l’attività ha operato attivamente per la gestione della stessa;

oppure l’imposizione di una percentuale predeterminata del valore dell’avviamento in

rapporto agli utili o, ancora, prevedere di avere come parametro per la commisurazione

dell’avviamento l’ultimo bilancio o il bilancio dell’ultimo esercizio (G. Odetto, E. Zanetti,

2008). Secondo il Consiglio Notarile di Milano, massima n. 74: “la determinazione del valore

di liquidazione delle quote o azioni, nelle ipotesi di cause convenzionali di recesso, può essere

disciplinata da criteri liberamente stabiliti dall’atto costitutivo o dallo statuto, anche in totale

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deroga rispetto ai criteri di liquidazione fissati dalla legge per le cause legali di recesso”; ed

ancora Massima I.H.13 dei Notai del Triveneto: “è possibile, in assenza di un metodo legale e

univoco di valutazione delle partecipazioni societarie, prevedere criteri statutari volti a

determinare in maniera oggettiva il valore di mercato della partecipazione, dovendosi

ritenere illegittime solo quelle clausole che determinano il rimborso della partecipazione

secondo criteri diversi dal valore di mercato. Sono quindi da ritenersi lecite le clausole volte

a determinare il valore dell’avviamento secondo calcoli matematici rapportati alla redditività

degli esercizi precedenti. Sono invece da ritenersi illecite le clausole che determinano il

rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa o che tengano in

considerazione i soli valori contabili”.

3. Aspetti metodologici

Sotto il profilo pratico, aderendo alla tesi della determinazione della somma da liquidare al

socio uscente in proporzione al capitale economico della società, potrebbero manifestarsi tre

diverse situazioni.

Nel caso in cui il patrimonio netto sia coincidente con il capitale economico, la liquidazione

della quota comporta la riduzione del capitale netto, mediante la riduzione proporzionale del

capitale sociale e la distribuzione di eventuali riserve, senza interessare il Conto economico.

In ipotesi di patrimonio netto inferiore al capitale economico, casistica più frequente, fino a

concorrenza del valore della corrispondente frazione del Patrimonio Netto, la liquidazione

non presenta particolari problemi atteso che risulta sufficiente ridurre il capitale sociale e

distribuire una parte delle eventuali riserve. Le difficoltà più rilevanti insorgono per la

differenza residua alla quale deve necessariamente attribuirsi un appropriato trattamento

contabile, previa individuazione della sua natura economica. Nel caso in cui siano esistenti le

riserve di patrimonio netto, le stesse possono essere utilizzate con precedenza rispetto al

capitale, procedendo alla riduzione di quest’ultimo solo ove si renda necessario.

Alla differenza tra il valore della quota liquidata al socio e la corrispondente frazione del

Patrimonio Netto è stata spesso attribuita la natura di costo da addebitare al Conto economico

della società, o da iscrivere come “costo sospeso”, da ripartire in più esercizi, nell’attivo dello

Stato patrimoniale.

Tuttavia, nelle società di persone occorre considerare la diversa natura del rapporto tra i soci e

l’ente societario che può, in realtà, suggerire un’applicazione rigida del principio di

irrilevanza dei componenti positivi, o negativi, di reddito derivanti dai rapporti sociali. Dal

punto di vista strettamente economico, per i soci superstiti la liquidazione della quota al socio

receduto è un’operazione sostanzialmente analoga all’acquisto delle quote dallo stesso

possedute.

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In entrambe le ipotesi, i soci superstiti rimangono gli unici proprietari dell’intero patrimonio

sociale, a fronte di un sacrificio economico che nel caso di acquisto è da loro, personalmente e

direttamente, sostenuto mediante il pagamento del “prezzo”, mentre con il recesso il sacrificio

è indiretto in quanto sopportato dalla società che, a causa della liquidazione, vede diminuire

proporzionalmente il proprio valore.

In altri termini, sembrano più i soci superstiti, e non la società, chiamati ad “acquistare” dal

socio uscente la quota di sua pertinenza del maggior valore del Capitale Economico rispetto

alla corrispondente frazione del Patrimonio Netto.

Seguendo tale impostazione, certamente più aderente all’effettiva rappresentazione economica

dell’operazione di recesso del socio di società di persone, nessun aggravamento del Conto

economico può derivarne, allorquando le riserve risultino insufficienti. In base a tale ultima

tesi la società di persone, assumendo l’onere della liquidazione, svolge sostanzialmente il

ruolo di mandataria dei soci superstiti per conto dei quali, in ultima analisi, l’operazione è

effettuata e può, pertanto, legittimamente vantare nei loro confronti un diritto di credito per la

parte della somma liquidata che eccede l’importo del capitale annullato e delle riserve

distribuite (A. Ricci, 2000).

Infine, qualche complicazione di ordine giuridico può, tuttavia, emergere nel caso, peraltro

assai frequente, in cui il capitale netto sia superiore al capitale sociale a causa dell’esistenza di

riserve. Le difficoltà sono riconducibili alla circostanza per cui il Patrimonio Netto, se dal

punto di vista economico‐aziendale è un valore unitario ed inscindibile (pari alla differenza tra

attività e passività), dal punto di vista giuridico l’articolazione del Patrimonio Netto in

capitale sociale e riserve (di utili o di capitale) assume un rilievo particolare attesa la specifica

funzione svolta dal capitale sociale.

Non sussistono particolari questioni, invece, se il valore attribuito alla quota da liquidare, pur

se inferiore alla corrispondente frazione del Patrimonio Netto, risulti superiore od uguale alla

corrispondente frazione del capitale sociale. In tale ipotesi, infatti, il capitale sociale verrà

ridotto per la quota di partecipazione del socio receduto e le riserve saranno distribuite fino a

concorrenza dell’importo della somma liquidata (è ovvio che se il Capitale Economico risulti

uguale al solo capitale sociale, non vi sarà distribuzione di riserve ma solo riduzione del

capitale sociale).

3.1. La determinazione del valore della quota

Alla luce di quanto su esposto e tenendo conto dei vari metodi di valutazione proposti dalla

dottrina e dalla prassi professionale (patrimoniale, reddituale, finanziario, misto), si ritiene

che la metodologia più idonea a rappresentare il valore economico del patrimonio netto di una

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società di persone in ipotesi di liquidazione della quota per recesso od esclusione del socio

possa essere il metodo misto patrimoniale/reddituale.

Caratteristica essenziale di tale metodo è la ricerca di un risultato finale che consideri appunto

l’aspetto patrimoniale senza peraltro trascurare le attese reddituali.

La prima è costituita dal “patrimonio netto rettificato”, ossia dal valore scaturente

dall’analisi effettuata sulle voci attive e passive afferenti il patrimonio dell’azienda,

opportunamente rettificate secondo i valori corretti.

La seconda componente è rappresentata dalla stima di un valore di “avviamento” scaturente

dalla futura capacità reddituale propria dell’azienda.

Punto di partenza è la situazione patrimoniale aziendale espressa a valori di funzionamento.

Il patrimonio netto contabile risultante dal bilancio o dalle scritture contabili viene rettificato,

adeguando le singole poste con autonome stime, ai valori correnti di mercato.

Le attività vengono valutate al presunto valore di realizzo o al costo attuale di riacquisto; le

passività secondo il presunto valore di estinzione.

La rielaborazione dello stato patrimoniale dell’azienda consente di rilevare un “patrimonio

netto rettificato” del complesso aziendale considerato nel suo insieme, ma valutato nelle sue

singole parti.

Conseguentemente dovrà quindi determinarsi il valore dell’avviamento da sommare al

patrimonio netto rettificato per arrivare alla quantificazione del valore complessivo della

società e quindi al valore della quota da liquidare al socio uscente.

4. La riduzione nominale o reale del capitale sociale a seguito della liquidazione

della quota al socio uscente

Aderire alla tesi dominante, secondo cui il soggetto legittimato passivo obbligato alla

liquidazione della quota al socio uscente sia la società, implica la necessità di verificare se, ed

in quali termini, il relativo pagamento incida sul capitale della società e quale sia il regime

giuridico di tale riduzione. Tale problematica ovviamente non può porsi quando alla

liquidazione si provveda mediante utili o riserve eventualmente esistenti nel patrimonio. In

questo caso l’utilizzo delle riserve comporterebbe un accrescimento proporzionale delle quote

dei soci superstiti, lasciando invariato il capitale.

Al riguardo appare funzionale un richiamo a quanto previsto per le società a responsabilità

limitata, in materia di rimborso al socio receduto (così come al socio escluso ed agli eredi del

socio defunto).

L’art. 2473, comma 4, c.c. fissa le modalità per procedere alla liquidazione del socio

recedente (G. Agrusti, R. Marcello, 2006; R. Marcello, 2010; R. Marcello, 2011) e stabilisce

un ordine da seguire: va innanzitutto verificata la volontà degli altri soci di effettuare

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l’acquisto proporzionalmente alle loro quote di partecipazione, oppure la volontà da parte di

un terzo concordemente individuato dai soci. L’enunciazione riflette il carattere chiuso della

società a responsabilità limitata: il legislatore con tale formula tende, infatti, a preferire

all’ingresso di soggetti estranei alla compagine sociale, la divisione della quota del recedente

tra gli altri membri che, fino a quel momento, hanno condiviso l’esperienza societaria,

attivando quello che viene comunemente detto “recesso atipico”. Il legislatore si pone anche

l’obiettivo di tutelare il patrimonio della società; infatti, solo qualora i soci non acquistino le

quote del recedente e nemmeno si trovi un terzo disposto ad acquistarle, il rimborso è

effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, riducendo il capitale sociale, nel

rispetto però di quanto previsto dall’art. 2482 c.c.. In questo caso, il rimborso sarà

subordinato alla mancata opposizione dei creditori nel termine di 90 giorni dall’iscrizione

della delibera al registro dell’imprese, salvo che il tribunale non disponga che l’esecuzione

abbia comunque luogo, nel caso in cui “ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i

creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia”.

L’art. 2473-bis c.c., invece, stabilisce che in caso di esclusione il rimborso della

partecipazione del socio non possa avvenire mediante riduzione del capitale sociale.

Ma se il legislatore in materia di società a responsabilità limitata, pur avendo esplicitamente

richiamato la disciplina della riduzione reale in caso di recesso, ha vietato il ricorso alla

riduzione quale tecnica di rimborso della quota del socio escluso, è forse il caso di dubitare

che tali modalità siano adottabili nelle società di persone, dovendo inevitabilmente essere

unificate le fattispecie di scioglimento parziale del rapporto sociale (recesso, esclusione e

morte). In mancanza di prescrizioni normative testuali differenti, il riferimento alla disciplina

delle società di capitali sarebbe applicabile solo in parte. Occorre pertanto una diversa

ricostruzione.

A livello giurisprudenziale non si rinvengono pronunce specifiche ma a livello dottrinale

esistono due fronti contrapposti.

Vi è chi sostiene (G. Ferri, 1971) che la riduzione in esame sia sottratta al disposto dell’art.

2306 c.c. e sia invece immediatamente efficace per essere i terzi creditori della società

adeguatamente tutelati dal mantenimento della responsabilità illimitata per le obbligazioni

sociali anteriori allo scioglimento del vincolo in capo al socio o ai suoi eredi. Oppure che la

lettera della norma ne limita l’applicazione esclusivamente alle ipotesi di riduzione del

capitale eseguite mediante rimborso delle quote versate o liberazione dai conferimenti

ancora da eseguire, fattispecie che risulterebbe dunque diversa da quella oggetto di analisi,

dove al socio (o agli eredi) spetta una somma pari al valore effettivo della sua partecipazione

che costituirebbe un debito analogo a quello di qualsiasi altro debitore della società per il cui

pagamento non è necessario alcun assenso degli altri creditori nè vi è obbligo di rispettare il

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principio della par condicio. Ancora potrebbe sostenersi che l’art. 2306 disciplina

unicamente la riduzione effettiva “volontaria” del capitale, non quella che discenda da un

fatto (morte) o da una scelta eteronoma (recesso del socio).

La conclusione più ragionevole sembra quella di qualificare tale riduzione del capitale

sociale, come riduzione nominale (per perdite) e non come riduzione reale, in quanto il

debito di liquidazione della quota sociale di cui all’art. 2289 c.c. è da assimilare ad una

perdita d’esercizio.

La riduzione sarà sempre operata in misura pari al valore nominale della partecipazione in

quanto l’irrilevanza, nelle società di persone, del rapporto tra capitale e patrimonio netto,

porta a ritenere che la misura della liquidazione della quota sia del tutto ininfluente rispetto

alla misura della riduzione del capitale. Occorre, comunque, rilevare che laddove il rimborso

fosse superiore al valore nominale della quota del socio receduto e non vi fossero nel

patrimonio sociale utilità ulteriori (riserve disponibili), la riduzione potrebbe in parte

coinvolgere le quote degli altri soci.

Saremmo cioè in presenza di una riduzione qualificabile in parte come riduzione reale (per

quella parte corrispondente al valore nominale della quota del socio receduto) ed in parte

come riduzione per perdite (per la parte eccedente e che andrà a gravare sulle quote degli altri

soci). Considerata, però, la disciplina propria delle società di persone, tale riduzione (per

perdite) andrà operata solo nei limiti di quanto stabilito dall’art. 2303 c.c., solo cioè al fine di

consentire la successiva distribuzione di utili fra i soci (Massima elaborata dalla Commissione

Orientamenti Societari del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato,

2012).

5. Conclusioni

Dalla lettura delle note che precedono appare evidente che molti aspetti, dai rilevanti risvolti

pratici, legati al recesso e all’esclusione del socio dalla società di persone non sono affrontati

in modo esplicito dal legislatore.

Tutte le norme richiamate, ad esempio, stabiliscono palesemente l’inderogabilità della

liquidazione della quota al socio uscente senza neppure porsi il problema di un’eventuale

corrispondente riduzione del capitale sociale che, se operata, avverrebbe al solo fine di

adeguare quest’ultimo alla mutata compagine sociale.

In nessuna di tali disposizioni, poi, è previsto lo scioglimento della società come conseguenza

dell’impossibilità di effettuare il rimborso della quota spettante al socio (tranne che

nell’ipotesi di cui all’art. 2284 c.c. che, comunque, presuppone una decisione in tal senso da

parte dei soci superstiti) e neppure l’art. 2272 c.c. inserisce tra le cause di scioglimento della

società un’ipotesi del genere.

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Documento del 15 novembre 2015

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In assenza di riferimenti normativi sicuri ed univoci sulla questione, si viene chiamati a

fornire una versione che risulti, di volta in volta, conforme ad un approccio metodologico

coerente e ragionevole. Si auspica pertanto in tal senso un intervento del legislatore che ponga

rimedio al vacuum legis, individuando criteri di valutazione della quota del socio in caso di

scioglimento unilaterale del rapporto societario (recesso, esclusione e decesso) che privilegino,

sulla scorta anche dell’interpretazione resa dalla giurisprudenza, un criterio che ancori la

liquidazione della quota al valore effettivo, vale a dire al suo valore di mercato al momento

della dichiarazione di recesso o dell’esclusione ovvero del decesso.

Raffaele Marcello – 15 novembre 2015

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Documento del 15 novembre 2015

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Massima elaborata dalla Commissione Orientamenti Societari del Consiglio Notarile dei

Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, “Recesso da società di persone e riduzione del

capitale sociale”, n. 29/2012, presentata in occasione del Convegno organizzato dal predetto

Consiglio Notarile dal titolo “Presentazione dei nuovi orientamenti elaborati” tenutosi a

Firenze l’8.06.2012.

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