La tempesta - orecchioacerbo.com di avere mai visto altro essere umano che il padre. ... di buono o...

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William Shakespeare La tempesta adattamento di Mary Ann Lamb illustrazioni di Fabian Negrin La tempesta

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William Shakespeare

La tempestaadattamento di Mary Ann Lamb

illustrazioni di

Fabian Negrin

William

Shakespeare illustrazioni di Fabian N

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pesta

“Se con le vostre arti avete sollevato questa orribile tempesta,

abbiate pietà della loro disperazione.

Guardate, il vascello andrà a pezzi!

Povere anime, periranno tutte!

Se ne avessi il potere, affonderei il mare sotto la terra,

piuttosto che far distruggere quella buona nave

col suo prezioso carico di anime.”

9 788899 064419

euro 19,50

William Shakespeare

La tempestaadattamento di Mary Ann Lamb

illustrazioni di Fabian Negrin

traduzioneAttilio e Maria Grazia Carapezza

C’era un’isola in mezzo al mare

in cui abitavano soltanto un vecchio, di nome Prospero,

e sua figlia Miranda, una fanciulla molto bella.

Era giunta su quest’isola così giovane, da non ricordare

di avere mai visto altro essere umano che il padre.

I due vivevano in una grotta scavata nella roccia

e suddivisa in numerose stanze, una delle quali

era lo studio di Prospero; qui egli teneva i suoi libri,

che trattavano quasi tutti di magia, una scienza

che a quel tempo interessava molto tutti gli uomini

di cultura, e che per lui si rivelò molto utile.

Si era, infatti, ritrovato per uno strano caso su quest’isola,

che era stata incantata da una strega di nome Sicorace,

morta poco prima del suo arrivo. Prospero, grazie

alle sue arti, poté liberare molti buoni spiriti che Sicorace

aveva imprigionati nei tronchi di grossi alberi,

poiché si erano rifiutati di eseguire i suoi ordini malvagi.

Da quel momento questi gentili spiriti si sottomisero

al volere di Prospero. Il loro capo era Ariele.

Il vivace spiritello Ariele aveva una natura estremamente

mite, se si eccettua l’eccessivo piacere che provava

nel tormentare un brutto mostro di nome Calibano,

verso cui nutriva rancore in quanto era il figlio

della sua vecchia nemica Sicorace. Prospero aveva trovato

nel bosco questo Calibano, una strana cosa deforme,

di forme meno umane di quelle di una scimmia;

lo aveva preso con sé e gli aveva insegnato a parlare.

Prospero si era mostrato molto gentile verso di lui,

ma la cattiva natura che Calibano aveva ereditata dalla

madre Sicorace non gli lasciava imparare niente

di buono o di utile: fu perciò impiegato come schiavo,

per raccogliere la legna e per svolgere i lavori più faticosi.

Ariele aveva l’incarico di costringerlo a questi servigi.

Quando Calibano stava in ozio e trascurava il suo lavoro,

Ariele, che era invisibile a tutti tranne che a Prospero,

giungeva furtivamente e lo pizzicava, e qualche volta

lo faceva ruzzolare nel fango; poi gli appariva sotto forma

di scimmia e gli faceva le boccacce.

Quindi, trasformandosi velocemente, assumeva

l’aspetto di un riccio e si metteva a rotolare tra le gambe

di Calibano, che si spaventava di pungersi i piedi nudi

con quegli aculei aguzzi. Con questi ed altri scherzi fastidiosi

Ariele lo tormentava spesso, ogni volta che Calibano trascurava

un lavoro che Prospero gli aveva ordinato di fare.

Disponendo dell’obbedienza di questi potenti spiriti, attraverso

loro Prospero poteva imporre la sua volontà anche

ai venti e alle onde del mare. Per suo ordine essi scatenarono

una tremenda tempesta, nel mezzo della quale, in lotta

contro violente ondate che in ogni momento minacciavano

di ingoiarla, Prospero mostrò a sua figlia una bella nave che,

come le disse, era piena di esseri viventi simili a loro.

“Oh caro padre” lo implorò Miranda “se con le vostre arti

avete sollevato questa orribile tempesta, abbiate pietà della loro

disperazione. Guardate, il vascello andrà a pezzi! Povere anime,

periranno tutte! Se ne avessi il potere, affonderei il mare sotto

la terra, piuttosto che far distruggere quella buona nave

col suo prezioso carico di anime.”

“Non temere, Miranda” disse Prospero “non sarà fatto alcun

male. Ho dato ordine che nessuno sulla nave ne riceva

danno. Quel che ho fatto, l’ho fatto nel tuo interesse, mia

cara bambina. Tu non sai chi sei, né da dove vieni, e neppure

di me sai di più, se non che sono tuo padre e che vivo in

questa misera caverna. Riesci a ricordare il tempo in cui non

eri ancora arrivata in questa grotta? Non penso che tu possa,

poiché allora non avevi più di tre anni.”

“Certo che posso” rispose Miranda.

“Che cosa” chiese Prospero “un’altra casa o altre persone?

Dimmi che cosa riesci a ricordare, bambina mia.”

Miranda disse: “È come il ricordo di un sogno, ma non avevo

una volta quattro o cinque persone che si occupavano di me?”

Prospero rispose: “Le avevi, ed anche di più.

Ma come mai questo ricordo è ancora vivo nella tua mente?

Ricordi come sei arrivata qui?”

“No, signore” disse Miranda “non ricordo altro.”

“Dodici anni fa” continuò Prospero “ero duca di Milano

e tu eri una principessa, la mia unica erede.

Avevo un fratello più giovane, Antonio, a cui affidai

ogni cosa; poiché amavo la solitudine degli studi, lasciavo

di solito la cura degli affari dello stato a tuo zio,

che si rivelò un perfido fratello. Io, trascurando ogni fine

terreno, mi seppellii tra i libri dedicando

tutto il mio tempo alla cultura. Mio fratello Antonio,

trovandosi in possesso del mio potere, cominciò a pensare

di essere lui il vero duca. L’occasione che gli avevo data,

di rendersi popolare tra i sudditi, risvegliò

nella sua malvagia natura l’ambizioso disegno di privarmi

del ducato, che mise in pratica con l’aiuto del re

di Napoli, potente principe e mio nemico.”

“Per quale ragione” chiese Miranda “non ci uccisero

allora?”

“Non osarono, bambina mia” rispose il padre “perché

troppo grande era l’amore che il popolo nutriva

verso di me.”

“Antonio ci condusse a bordo di una nave, e quando

ci trovammo al largo, a qualche lega di distanza dalla

costa, ci costrinse a scendere su una piccola barca senza

equipaggiamento, senza vela né albero, pensando di

abbandonarci alla morte. Ma un nobile signore della

mia corte, un certo Gonzalo, che mi era devoto, aveva

segretamente rifornito la barca d’acqua, di viveri, d’abiti,

e di alcuni libri che per me valgono più del mio ducato.”

“Come devo esservi stata di peso allora, padre mio”

disse Miranda.

“No, mia cara” disse Prospero “sei stata l’angelo che mi

ha salvato. I tuoi sorrisi innocenti mi davano la forza di

resistere alle mie sventure. I nostri viveri durarono sinché

non approdammo su quest’isola deserta, e da allora la mia

gioia maggiore è stata quella di istruirti, Miranda, e tu hai

tratto buon profitto dai miei insegnamenti.”

“Il cielo ve ne sia grato, caro padre” disse Miranda.

“Adesso vi prego, signore, ditemi per quale ragione avete

sollevato questa tempesta.”

“Sappi allora” disse suo padre “che per mezzo di questa

tempesta i miei nemici, il re di Napoli e il mio crudele

fratello, sono approdati su quest’isola.”

Dette queste parole, Prospero toccò delicatamente

con una bacchetta magica la figlia, che si addormentò

profondamente; proprio in quel momento lo spirito Ariele

si era presentato al cospetto del suo padrone per dargli

un resoconto della tempesta ed informarlo

di come avesse provveduto alla compagnia della nave.

Sebbene gli spiriti fossero sempre invisibili a Miranda,

Prospero non voleva che lei avesse l’impressione di sentirlo

conversare con l’aria.

“Allora, mio spirito coraggioso” disse Prospero ad Ariele

“come hai eseguito il tuo incarico?”

Ariele fece una vivace descrizione della tempesta, e del terrore

dei marinai, narrando come il figlio del re, Ferdinando,

fosse stato il primo a tuffarsi in mare e di come il padre

avesse pensato di vedere morire, ingoiato dalle onde,

il suo caro figliolo. “Ma egli è in salvo” disse Ariele,

“in un angolo dell’isola. Sta seduto con le braccia incrociate

a lamentare mestamente la perdita del re, suo padre,

che ritiene annegato. Non ha perso neanche un capello,

e i suoi abiti regali, malgrado il bagno in mare, sembrano

più nuovi di prima.”

“Riconosco la delicatezza del mio Ariele” disse Prospero.

“Porta qui questo giovane principe, mia figlia deve vederlo.

Dove sono il re e mio fratello?”

“Quando li ho lasciati” rispose Ariele “cercavano Ferdinando,

che sperano poco di ritrovare, pensando di averlo visto morire.

Dell’equipaggio della nave non manca nessuno, sebbene

ciascuno si consideri l’unico scampato; e la nave, che ho resa

invisibile, è al sicuro nel porto.”

“Hai svolto puntualmente il tuo compito, Ariele”

disse Prospero “ma non hai ancora finito.”

“Ancora lavoro?” disse Ariele. “Permettetevi di rammentarvi,

signore, che avevate promesso di liberarmi. Vi prego

di ricordare che vi ho reso importanti servigi,

non vi ho mentito, non ho commesso errori, ho obbedito

senza lamentarmi.”

“Ma come!” disse Prospero. “Non ricordi da quale tormento

ti ho liberato. Hai dimenticato la strega Sicorace, quasi piegata

in due dall’età e dal livore? Dove era nata? Parla, rispondi.”

“Ad Algeri, signore” disse Ariele.

“Davvero?” disse Prospero. “Devo ricordarti chi eri,

perché vedo che non lo ricordi. La crudele strega

Sicorace, a causa delle sue arti magiche, troppo terribili

perché orecchie umane le sentano, fu bandita da Algeri,

e abbandonata qui dai marinai. E poiché tu eri

uno spirito troppo gentile per eseguire i suoi ordini

scellerati, ti rinchiuse ad ululare nel cavo di un albero,

dove io ti ho trovato. È da questo tormento

che ti ho liberato, ricordalo.”

“Perdonatemi, caro padrone” disse Ariele, vergognandosi

di sembrare ingrato “obbedirò ai vostri ordini.”

“Fai così” disse Prospero “e io ti libererò.”

Gli diede quindi le disposizioni sul da farsi, e Ariele

si diresse subito dove aveva lasciato Ferdinando,

che trovò ancora seduto sull’erba, nella stessa posizione

malinconica.

“Mio giovane signore” disse Ariele quando lo vide,

“ti porterò via presto. Devi essere condotto,

mi è sembrato di capire, dove Miranda possa ammirare

la tua bella persona. Vieni, signore, seguimi.”

Poi cominciò a cantare:

A cinque tese tuo padre è sepolto;

coralli gli son fatte le ossa;

son perle gli occhi nel suo volto,

niente in lui che perire possa,

che il mar non lo vada convertendo

in qualcosa di ricco e stupendo.

Suonano a morte le ninfe del mare.

Ascolta! Ora le odo: Din don, squille.

Queste strane notizie del padre perduto risvegliarono

presto il principe dal torpore in cui era caduto.

Pieno di stupore, seguì il suono della voce di Ariele,

che lo condusse da Prospero e Miranda, seduti all’ombra

di un grande albero. Miranda non aveva mai visto

prima altro uomo che il padre.

“Miranda” disse Prospero “dimmi che cosa guardi laggiù.”

“O padre” disse Miranda, con una certa sorpresa,

“deve essere certamente uno spirito. Dio, come si guarda

attorno! Credetemi, signore, è una creatura assai bella.

Non è uno spirito?”

“No, bambina” rispose suo padre “mangia, dorme, e ha

sensi uguali ai nostri. Il giovane che vedi era nella nave.

Se non fosse alterato dal dolore, si potrebbe dire che è

bello. Ha perso i suoi compagni, e vaga alla loro ricerca.”

faustaorecchio
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