Press nella tempesta

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Transcript of Press nella tempesta

  • agosto 2013

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    Nella tempesta di Motus: il teatro come utopia realizzabilePer portare avanti il 2011>2068 AnimalePolitico Project avviato con The Plot is the Revolution Motus incontra La tempesta di Shakespeare per mettere a tema e forse potremmo anche dire in fila le questioni delloggi che caratterizzano il loro teatro riflessivo.

    Nella tempesta (visto a Mein Herz Drodesera XXXIII) lavora sulle istanze centrali nella riflessio-ne di Daniela Nicol ed Enrico Casagrande: la questione del potere e del rapporto fra generazioni trattata attraverso i rapporti dialettici e controversi fra utopia possibile e sorveglianza/controllo (distopia).Il tutto sotto la lente di un teatro/non teatro costantemente sotto auto-osservazione, che non smette di porsi una domanda sul suo funzionamento con il dispositivo meta-teatrale e pi ancora sul suo compito e senso nella congiuntura storico-sociale, politica ed economica. In questottica lo spettacolo va inteso come una risposta possibile che per non mai affermativa quanto piuttosto propositiva di un punto di vista o di un orientamento di sguardo da proporre allo spettatore.C insomma un filo rosso che tiene insieme lattitudine al mutamento e al movimento che per Motus, si sa, non solo una questione di nome ma teoria e pratica del viaggio, della ricerca, dellincontro con le fonti sia umane sia letterarie da ricombinare per la resa di uno spettacolo da intendersi in chiave processuale, mai concluso una volta per tutte e addirittura pensato per essere portato fuori dal teatro.Senza contare il fatto che la richiesta al pubblico di arrivare a teatro portando con s una coperta che verr usata durante lo spettacolo e lasciata l per poi essere donata a quelle realt sul terri-torio che possano riutilizzarla connota il lavoro in termini di processo anche dal punto di vista temporale: lo spettacolo inizia ben prima dellentrata in teatro e durer, per lo spettatore che ha lasciato una cosa sua, anche dopo

    Drammaturgicamente stratificato e complesso il testo scenico va visto nel suo insieme alla luce di quel rapporto fra forma e contenuto che la cifra stilistica di Motus, perch non esisto-no cose da dire senza un come che le com-ponga. In questo caso viene attivato un dispo-sitivo a partire dai testi. Punto di avvio neces-sario per losservazione di secondo ordine e la riflessivit interna, cio per far s che lo spetta-colo si affidi prima alle parole di altri da ricom-pattare nella costruzione complessiva del lavoro. Dove questultimo il frutto dellincrocio, fra i molti riferimenti, del testo shakespeariano e la sua riscrittura in chiave post-coloniale di Aim Csaire (Une Tempte), la science fiction Philip K. Dick, Brave New World di Aldous Huxley e Les Sentiers de lUtopie di Isabelle Fremeaux e John Jordan. Materiale letterario cui aggiungere altro materiale vivo: il contri-buto degli attori, che attinge alle loro biografie personali, le interviste e le testimonianze raccolte in giro nei viaggi, in Tunisia ad esempio, elementi ricavati dai workshop, come quello al Teatro Valle Occupato di Roma. Il tutto per proporre unidea di utopia realizzabile che sostituisce un atteggiamento antagonista chiuso con uno aperto, capace di entrare in dialogo con le istituzioni e con un sistema che pu essere cambiato solo dallinterno. (Casagrande e Nicol ne hanno parla-to ad esempio qui).

  • agosto 2013

    JJJ

    Perci stare Nella tempesta vuol dire affrontare attivamente quella tempesta macro-sociale che stiamo affrontando, ma anche quelle micro e personali; pu voler dire lasciarsi attraversare o scatenarla basterebbe per capirlo risentire le parole di Judith Malina in un frammento audio dello spettacolo in cui sollecita ad andare incontro alle tempeste e non ad evitarle ma anche cogliere lopportunit di fermarsi e contemplare. Qui ad esempio luragano Sandy con i Motus a New York proprio durante il suo passaggio viene raccontato da Silvia Calderoni/Ariel come sospensione forzata dagli impegni quotidiani e dalle routine che pu diventare unoccasione per riflettere sulla nostra normalit.Come la normalit dellessere guardati senza vedere. Tema della video-sorveglianza, quindi del controllo e del potere (Foucault) che viene trattato con la telecamera che riprende gli attori dai camerini, mentre parlano fra loro e mettendo a parte il pubblico di quella intimit. Fino a quando uno di loro non guarda in camera e ci ricorda che la disponibilit alla comunicazione, e allessere guardati, va ricondotta ad una nuova relazione fra pubblico e privato, verso dimensioni dellintimit che non sono pi quelle del passato. Sta di fatto che la messa a tema del guardare serve per ridise-gnare i confini fra un dentro e un fuori, come quando vediamo Silvia Calderoni in video mentre rien-tra in scena dallesterno della sala, sempre sotto i nostri occhi anche quando non presente.

    Ed proprio il rapporto con il pubblico un altro punto cruciale. Prima di tutto grazie alla parola. La dimensione performativa e fisica espressa in maniera potente da Silvia Calderoni insieme a Glen ai, Ilenia Caleo, Fortunato Leccese, Paola Stella Minni - infatti lascia pi spazio ai dialoghi, ai monologhi affidando cos al linguaggio e alla parola non recitata ma verosimile il compito di abbassare limprobabilit della comunicazione (Luhmann) e di rendersi pi comprensibile, avvici-nandosi di fatto al pubblico. Inoltre, portando una coperta si prende parte alla realizzazione della scenografia che, grazie ad unestetica che ha ampiamente assimilato i linguaggi video, la grafica, ecc. pu essere ormai riconvertita in un immaginario legato alla materialit pi povera delle cose, alla patina degli oggetti (soprattutto se appartenuti a qualcuno). La coperta direbbe Michel Serres un quasi-oggetto che serve per la relazione, che serve per fare comunit. Non solo. Tutte insieme le coperte formano scogli, isole, approdi, ripari per gli attori ma anche per estensione non solo metaforica per i rifugiati, per i superstiti, per i bambini quando giocano oppure per gli spettatori che alla fine vanno, se vogliono, a sedersi in scena, dando corpo cos a quella comunit tempora-nea che il teatro pu rappresentare ma anche stimolare. In questo senso allora coperta sta anche per copertura: di un tema o di una serie di questioni che riguardano sempre, alla fine, il rapporto fra individuo e societ e i modi dello stare insieme.

    Motus la lezione del Living lha assimilata ma lha anche resa pertinente allambiente culturale e mediale contemporaneo. La pratica partecipativa di un teatro che aggrediva le strade e lo spettato-re trova una diversa semantica, di certo pi vicina allidea di connessione, diffusione, relazione che dipende dal fatto che cambiato il senso di posizione nella comunicazione. Innescare delle piccole tempeste allora non vuol dire tanto diffonderle per contagio non vuol quindi subirle cos come ancora una certa semantica della viralit definisce questi fenomeni, ma piuttosto vuol dire farle circolare to spread in modo che chiunque abbia quel tipo di urgenza o quel tipo di domanda, partecipi a quella messa in circolazione (Jenkins, Boccia Artieri). Qui il pubblico invitato a fare ma pu anche guardare (lurker) perch la logica con cui si guarda che cambiata e lesserci nella comunicazione, come nel teatro, non mai, non pi, da intendersi come un processo soltanto pas-sivo. Forse unipotesi per un futuro migliore pu partire anche da qui.

    Laura Gemini-

    http://www.darsmagazine.it/

  • 11 agosto 2013

    "Qual il primo rifugio dopo un uragano, un naufragio o un con!itto bellico?La risposta pi immediata sata: una coperta. E la coperta anche l'oggetto pi semplice da raccogliere e re-distribuire nelle citt..."Una coperta. Per ogni spettatore. Questo l'invito che la compagnia ha rivolto al pubblico. Partendo dal presupposto che sia necessario ripartire dall'essenziale per ricostruirsi, Motus allestisce il suo ultimo lavoro in uno spazio bianco, vuoto, raso al suolo dall'ultima tempesta... un luogo distrutto da cui ricomin-ciare a creare. Unico elemento di supporto: la coperta appunto. Una moltitudine di coperte che ogni partecipante al "rito" avrebbe donato alla scena per la durata dello spettacolo per poi vederla regalata agli enti di bene"cenza locali.Coperte che vivono, creano un linguaggio poetico di impatto visivo: evocano l'irrequietezza del mare, riproducono il frastuono dei tuoni, si uniscono a formare uno scoglio a cui aggrapparsi, una tenda in cui ripararsi, un trono su cui ergersi, un mantello con cui svelarsi, un bozzolo in cui trasformarsi. Coperte che testimoniano anche una precisa scelta politica: un contestare lo spreco di denaro per la produzione di scenogra"e maestose, destinate a diventare detriti in qualche magazzino. Coperte che diventano simbo-lo esplicito del primo aiuto o#erto a chi approda sulle nostre terre dopo una fuga per mare."Nella Tempesta" comprende pi piani, come gi nei lavori precedenti, pi strati in cui scavare e ritrovarsi: si parte dal testo shakespeariano, sviscerando in particolare i rapporti di potere tra Prospero, Ariel e Calibano, si passa per la rilettura post-coloniale che ne fece Aim Csaire nel '68 "no ad arrivare a chiari riferimenti all'uragano Sandy (di cui la stessa compagnia stata vittima), alla tempesta economica che ci scuote incessantemente di questi tempi, agli sbarchi a Lampedusa e alle recenti turbolenze rivoluziona-rie degli Indignados, di Occupy Wall Street e dei movimenti Nord Africani e brasiliani.In un continuo vestire e svestire i panni dei personaggi de 'La tempesta', i cinque interpreti entrano ed escono dal testo shakespeariano rendendosi protagonisti di qualsiasi altra possibile tempesta. Passaggi a volte poco netti, amalgamati in un piano quasi quotidiano in cui si perdono le parole di Shakespeare e soprattutto la grandezza dei suoi personaggi. Ma il gioco metateatrale regge, e chi assiste sempre coin-volto, interrogato direttamente. Silvia Calderoni un'Ariel tormentata che cerca nel passaggio tra tutte queste 'tempeste possibili' gli elementi necessari per scatenarne di nuove, perch 'generare vento' l'unico modo per non subirlo, l'unico modo per liberarsi e liberare, per spostare e cambiare punto di vista, come accade al pubblico esortato nel "nale a lasciare le proprie poltrone-scoglio e a gettarsi nella scena prendendo "nalmente una posizione attiva. D. G.

  • 8 agosto 2013

  • 7 agosto 2013

  • #4 - 5 agosto 2013

  • 3 agosto 2013

    DRODESERA La bella factory del castelloGIANNI MANZELLA DRO

    Un mucchio di vecchie coperte e un proiettore luminoso, quanto serve a MotusGira e rigira, fra i festival dell'estate, si torna sempre volentieri in questo angolo di Trentino, dove da pi di trent'anni va in scena il metamorfico festival che ancora porta, un po' nasco-sto, il nome di Drodesera. Nel frattempo il festival ha trovato casa nel moresco castello della Centrale Fies; e si trasformato in una struttura produttiva, una vera e propria factory , che guarda soprattutto ai gruppi dell'ultima o penultima generazione

    ...Un mucchio di vecchie coperte e un proiettore luminoso, tutto ci che serve a Motus per precipitare lo spettatore Nella tempesta , proprio quella di Shakespeare e i suoi dintorni. Con le coperte costruiscono il profilo di un'isola, erigono torri, fanno mantelli, compongono la scritta this island is mine. Nel fascio di luce che da un angolo del proscenio attraversa in diagonale lo spazio scenico un'attrice, Silvia Calderoni, presta il suo danzante corpo andro-gino alla pi aerea delle figure scespiriane. Ariel ha preso il posto del Maestro assente, di cui resta solo quel muto simulacro luminoso, per ricomporre pezzi di memoria. Qui si pu fare qualsiasi cosa, dice. Ed tutto un andare dentro e fuori e di traverso al testo, dalla Tem-pesta post-coloniale di Aim Csaire a un Calibano albanese che racconta le sue peripezie di sans-papier , ben sapendo che fuori dalla finzione c' un'altra finzione. Lo spettacolo molto bello. E emoziona la voce di Judith Malina che ancora predica la necessit di un'e-splosione. Forse per questo sembra ancor pi inappropriato quel finale comunitario che convoca gli spettatori sul palco e riconsegna lo spettacolo a una precettistica che non merita.

  • 30 giugno 2013

  • 26 giugno 2013

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    (D Nella TempestaD La Tempte> ^>-d - This Land is Mine >E ^ EzLa Tempte Ne pas se protger :D chevaucher la tempte :DWD corps toujours ailleurs ^ ' E W

    Nella TempestaMotusZD>hE Z^ DDsWsW

    Jean-Louis Perrier

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  • n3/2013 luglio/settembre

  • 22 giugno 2013

  • 21 giugno 2013

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  • 16#giugno#2013

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  • giugno 2013

  • 15 maggio 2013

  • 8 maggio 2013

  • NELLA TEMPESTA intervista radiofonica

    Il teatro di Radio 3 Teatro in Prova / Motus nella Tempesta - 17 giugno 2013 frammenti audio dello spettacolo si intrecciano con lintervista di Laura Palmieri a Enrico Casagrande, Daniela Nicol e Silvia Calderoni la puntata si pu scaricare dal link http://www.radio.rai.it/podcast/A42640048.mp3

    videointervista web

    KLPteatro intervista di Renzo Francabandera a Daniela Nicol ed Enrico Casagrande Sulla NELLA TEMPESTA - 24 luglio 2013 http://www.klpteatro.it/motus-nella-tempesta-la-videointervista intervista radiofonica

    Les bons plaisirs Programma radiofonico di FranceCulture Agathe Le Taillandier de Gabory intervista Enrico Casagrande da Venezia (dur.7 min) http://www.franceculture.fr/player/reecouter?play=4672602