LA STRATEGIA IN PUBBLICITÀ LA STRATEGIA … comunicazione, mercato Collana fondata da Giampaolo...

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Impresa, comunicazione, mercato Collana fondata da Giampaolo Fabris FrancoAngeli LA STRATEGIA IN PUBBLICITÀ Manuale di tecnica multimediale: dai media classici al digitale Prefazione di Luca Pellegrini Marco Lombardi

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Impresa, comunicazione, mercatoCollana fondata da Giampaolo Fabris

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LA STRATEGIA IN PUBBLICITÀManuale di tecnica multimediale: dai media classici al digitale

Prefazione di Luca Pellegrini

Marco Lombardi

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Non c’è più il tempo. Questo manuale ha il compito di risolvere un paradossonel mondo della comunicazione. Da un lato le opportunità e le sfide sonoaumentate. Nuovo è il mondo dei mass media (dal monopolio della tv allaproliferazione delle piattaforme digitali), nuovo è il sistema distributivo(sempre più condizionato dalla distribuzione organizzata e dalle sue marcheprivate), nuovo è il consumatore (sempre meno riconducibile a un mainstreame sempre più attento al prezzo più basso), nuova è la marca competitiva(ben oltre la funzione e l’emozione). Dall’altro lato, il sistema delle agenzieinveste sempre meno nella preparazione dei suoi professionisti: qualunquesia la specializzazione, dalla pubblicità classica al digital.

Marco Lombardi, che lavora in pubblicità da più di quarant’anni concrescenti e diversificate responsabilità, ha voluto riunire in questo manuale“tutto il bagaglio di conoscenze” che vorrebbe “in possesso” dei suoigiovani collaboratori.

Completezza, semplicità, pragmatismo, numerosità dei casi e profonditàteorica fanno di questo manuale un riferimento sicuro per i primi passidi un tecnico pubblicitario accelerando il valore dell'esperienza diretta.

Il libro è arricchito gli interventi di studiosi e specialisti, quali AndreaDa Venezia, Luigi Mozzi, Luca Pellegrini, Luca Roselli.

Riprendendo Il nuovo manuale della pubblicità (11 ed., 2008), best sellernella formazione dei professionisti degli ultimi 15 anni, l’autore ha ampliato eaggiornato i contenuti creando due volumi in stretta connessione: La strategiain pubblicità e La creatività in pubblicità.

Marco Lombardi è presidente della Young&Rubicam Italia, parte del gruppodi comunicazione integrata WPP; è docente allo IULM di Tecniche di creativitàpubblicitaria e di Comunicazione integrata off/online. Presso gli stessi tipiè autore di: La creatività in pubblicità, manuale di linguaggio multimedialedai mezzi classici al digitale, 2°ed, 2014; La marca una come noi. Personalitàdi marca nell’era post spot, 2007; Il dolce tuono. Marca e pubblicità nel terzomillennio, 2°ed, 2007. Ha ricevuto il premio Pirella Comunicatore dell’anno 2014.

Marco LombardiLA STRATEGIA IN PUBBLICITÀManuale di tecnica multimediale: dai media classici al digitale

Impresa, comunicazione, mercatoCollana fondata da Giampaolo Fabris

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

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FrancoAngeli

LA STRATEGIA IN PUBBLICITÀManuale di tecnica multimediale: dai media classici al digitale

Prefazione di Luca Pellegrini

Marco Lombardi

In copertina: artwork di Raymond Gfeller

2a edizione. Copyright © 2010, 2014 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

Ristampa Anno 1 2 3 4 5 6 7 8 9 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023

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IndIce

Prefazione di Luca Pellegrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1. Le evoLuzIonI In corso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . La marca che parla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 .1 La marca funzionale (soap-opera) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .2 La marca aumentata (love-story) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .3 La marca totale (brand-com) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .4 La scorpion-brand . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .5 Il dopo 2008: la marca “senza paura” . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .6 Chi è il vero utente della marca? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 . Il narrow casting . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 I nuovi canali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 Pensare media neutral . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . Il potere della distribuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 . Il potere del pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 .1 La nuova carta d’identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .2 Dissolvenza della classe media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .3 I nuovi trend di consumo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .4 Le nuove adozioni dell’innovazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .5 Il nuovo atteggiamento di consumo . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .6 Frammentazione e più scelte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 . Il poligono delle comunicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 . Integrazione: la chiave per il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. L’arena deLLa pubbLIcItà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Il gruppo di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . Il lavoro di gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .1 Nascita di un gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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2 .2 Gestione di un gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 Generare in gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . L’organizzazione di un’agenzia: la rete esterna . . . . . . . . . . . . . . .4 . L’organizzazione interna di un’agenzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 .1 Il reparto account . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .2 Il reparto creativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .3 Il reparto planning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 . L’iter di lavoro in un’agenzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 . Come orientarsi nel mondo della comunicazione . . . . . . . . . . . .

6 .1 I grandi gruppi multinazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .2 Le agenzie in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .3 Strutture di servizio e associazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3. GLI effettI deLLa pubbLIcItà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Due premesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . Come funziona la pubblicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .1 L’elaborazione della pubblicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 .1 I modelli classici: la linearità . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 .2 I nuovi modelli: la non linearità . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 .3 Il modello futuro: l’intelligenza emotiva . . . . . . . . .

2 .2 L’apprendimento del discorso di marca . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 .1 La conoscenza di marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 .2 Il valore di marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .3 L’effetto azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 .1 Creare il punto di azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . Un modello teorico e di misurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 Brand genetics . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .1 .1 La marca ad alta definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 .2 La marca come specie vivente . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 .3 Il profilo genetico di una marca . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 .4 Cambiamento o rafforzamento? . . . . . . . . . . . . . . .

3 .2 Lo stato di salute di una marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .1 Auxologia di una marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .2 La forza di una marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .3 La personalità di marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .4 Il valore finanziario di una marca . . . . . . . . . . . . . .

4 . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4. La strateGIa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Le responsabilità dell’impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . L’importanza della comunicazione nell’ambito

del marketing strategico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 . Costruire una strategia pubblicitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .1 Primo passo: l’analisi degli obiettivi di marketing . . . . . . . .

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3 .2 Il secondo passo: l’analisi situazionale . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .1 L’analisi del rapporto consumatore-prodotto . . . .3 .2 .2 L’analisi della concorrenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .3 Le mappe percettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .4 La sintesi SWOT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .3 Il terzo passo: la definizione del target . . . . . . . . . . . . . . . .3 .3 .1 La variabile di consumo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .3 .2 La variabile sociodemografica . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .3 .3 La variabile psicografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .4 Il quarto passo: la definizione dell’azione da ottenere da parte del target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .5 Il quinto passo: la definizione degli obiettivi pubblicitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .5 .1 Stimolo della domanda primaria . . . . . . . . . . . . . . .3 .5 .2 Crescita della brand awareness . . . . . . . . . . . . . . .3 .5 .3 Miglioramento dell’immagine di marca . . . . . . . . . .3 .5 .4 Aumento dell’intenzione d’acquisto . . . . . . . . . . . .3 .5 .5 Rassicurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .6 Il sesto passo: la definizione del posizionamento di marca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .6 .1 La prima scelta: il territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .6 .2 La seconda scelta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .6 .3 La terza scelta: il beneficio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .7 Il settimo passo: la copy strategy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .8 L’ottavo passo: il copy brief . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .8 .1 I consumer e cultural insight . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .8 .2 Due casi di copy brief . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 . Brand portfolio e copy strategy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .1 Una marca, un prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .2 Una marca ombrello, più prodotti/sotto-marche . . . . . . . .4 .3 Tanti prodotti/marche ed una marca

ombrello (rovesciato) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 . Giudicare la pubblicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 . Pianificazione a tre dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6 .1 Un’applicazione: Dove Unilever . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .2 Primo livello: conoscere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .3 Secondo livello: dare tridimensionalità . . . . . . . . . . . . . . . .

6 .3 .1 La prima dimensione: la marca . . . . . . . . . . . . . . . .6 .3 .2 La seconda dimensione: il mercato . . . . . . . . . . . . .6 .3 .3 La terza dimensione: il pubblico . . . . . . . . . . . . . . .

6 .4 Terzo livello: generare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .5 Quarto livello: chiarire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .6 Quinto livello: valutare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .7 La declinazione esecutiva della strategia . . . . . . . . . . . . . . .

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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5. IL controLLo deLL’effIcacIa deLLa comunIcazIone. . . . . . .1 . La politica della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . Le tecniche di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6. IL controLLo LeGaLe deLLa pubbLIcItà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Etica e pubblicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . La regolamentazione della pubblicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 . Il Codice di autodisciplina pubblicitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7. La GLobaLIzzazIone deLLa pubbLIcItà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Le opzioni per l’impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 . Le megabrand ed i benefici per l’impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 . Il consumatore globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 . L’armonizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 . Il primato dell’armonizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

8. daL brand interruption aLL’emotional engagement di Luca Roselli e Marco Lombardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 . La scoperta del nuovo mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .1 Ambiguità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .2 Chiarezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 . Analisi della nuova situazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 Il decision making implicito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 Una brand energy in calo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 Un modello obsoleto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 Il nuovo scenario media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .4 .1 Media fragmentation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 .2 Attention deficit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 .3 Difesa dal brand spam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . Il nuovo modello dell’engagement . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 Dalla frammentazione alla coesione . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 Dalla disattenzione all’intelligenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .3 Dal brand spam al redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 . Più brand energy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

appendIcI

1. I mezzI off e onLIne: strateGIa, pIanIfIcazIone, acquIsto di Luigi Mozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Non si può non comunicare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 . Il campo d’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 .1 Istruzioni per l’uso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .2 I mezzi della comunicazione d’impresa . . . . . . . . . . . . . . . .1 .3 Gli “altri” mezzi e gli “altri” modi:

la comunicazione integrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .4 I mezzi e il marketing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .5 I mezzi e la comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 . La funzione media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 Storia ed evoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 La funzione media: le finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 La funzione media: le fasi operative . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . Gli strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 Le ricerche: analisi e misurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .1 .1 Gli studi sulla comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 .2 La misura della pressione pubblicitaria . . . . . . . . . .3 .1 .3 Le ricerche sulla esposizione ai mezzi . . . . . . . . . .3 .1 .4 Le ricerche sui consumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 .2 Il target group . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .1 Le funzioni del target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .2 La struttura del target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .3 I ruoli del target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 .4 Gli indicatori per la definizione del target . . . . . . .

3 .3 Obiettivi e risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 . Le attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4 .1 L’analisi media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .1 .1 Il mercato dei mezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .1 .2 Il mercato dei messaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 .1 .3 Il mercato dei prodotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5 . La strategia media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 .1 Il budget . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6 . La pianificazione media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .1 Selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6 .2 Ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7 . L’acquisto dei mezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 .1 Politica degli acquisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 .2 Pianificazione degli acquisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 .3 Negoziazione finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. La pIanIfIcazIone deI mezzI dIGItaLI di Andrea Da Venezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 . L’evoluzione dei media: dal planning al digital planning . . . . . . . . .1 .1 You, the person of the year . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .2 Il mercato delle opportunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .3 La pianificazione world wide (web) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .4 I big data: analisi e raccolta delle informazioni

della pianificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 .5 Il digital ROI: solo ciò che misuri è ottimizzabile . . . . . . . .

300301

307309310315315317318318318319320322323323324324324325326332332333333333338339340340342343344344345

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2 . La pianificazione online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .1 Il digitale come status quo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .2 Metodi e processi di planning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 La fase di Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .3 .1 Analisi del target digitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .3 .2 Analisi del mercato e dei competitor . . . . . . . . . . .2 .3 .3 Analisi del prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .4 La fase di Progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 .1 Definizione e utilizzo dei canali . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 .2 Identificazione degli obiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .4 .3 Time & scheduling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2 .5 La fase di implementazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .5 .1 Share of voice & KPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .5 .2 Planning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 .5 .3 Buying . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .5 .4 Execution & optimization . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 .5 .5 Evaluation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3 . L’evoluzione del digital planning . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .1 Il Programmatic Buying Advertising . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 .2 Il Real Time Bidding . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 .3 Il digital native advertising . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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prefazIonedi Luca Pellegrini

Il tema della marca ha assunto una centralità sempre più evidente nel marketing. Le scelte che la riguardano non sono più trattate in rapporto alle leve operative delle imprese, ma alla loro strategia di fondo, quella da cui dipende la costruzione e la gestione delle loro relazioni con il mercato, quindi, in definitiva, al modo stesso con cui si concettualizza il marketing. Nei tradizionali testi che introducono alla disciplina, diciamo in quello che ne è stato il capostipite, “il” Kotler, il tema del branding arrivava (e arriva tuttora) “tardi”, nel momento di congiunzione tra mar-keting strategico e operativo, quando si parla della prima “P” del mar-keting mix, quella di prodotto, e si affronta il problema di trovare un nome per ciò che si propone al mercato. È l’approccio classico, nato e codificato nel largo consumo, che ha dato l’imprinting al marketing. Ogni prodotto deve avere un’identificazione distintiva, che testimoni la sua unicità, frutto di innovazione, che, almeno agli albori del largo con-sumo, era sostanziale e legata ad elementi funzionali. La marca era così il nome proprio in cui si materializzava questa identità che permetteva di distinguere un prodotto da quelli con una funzione d’uso simile, ren-dendo possibile comunicare al consumatore la sua esistenza e le sue ca-ratteristiche. È evidente che questa concezione della marca è diventata del tutto inadeguata. Perché? Cosa è successo? Cosa ha determinato le trasformazioni radicali che hanno avuto i discorsi sulla marca?

È un percorso lungo, tutt’altro che lineare, ma che forse si può ricon-durre ai profondi cambiamenti dei modi con cui le imprese tentano di soddisfare bisogni e desideri dei loro clienti. L’elementare politica di marca di un tempo è entrata in crisi quando è cominciata a venire meno l’identità fra marche e singoli prodotti. Quando, in altri termini, la spinta alla differenziazione dell’offerta ha fatto sì che diventasse sempre più difficile mantenere una loro stabile identità fisica e su questa base comu-nicarli. Per tre contemporanee tendenze:

■ alla varietà: segmentazioni sempre più minute, fino al paradigma dell’one-to-one;

■ alla variabilità: modifiche, spesso marginali, sempre più rapide;

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■ alle estensioni di portafoglio: tentativi di valorizzare i marchi in es-sere (il loro reach), utilizzandoli anche per altri prodotti che possono condividerne attributi stilistici, valoriali, comportamentali.

Se tutto ciò avviene, viene meno anche la possibilità di pensare alla marca in rapporto a un prodotto e ai suoi attributi elementari, e diventa inevitabile cominciare a identificarla con qualche cosa di più generale, che possa ricomprendere una varietà di offerta maggiore, in continuo cambiamento e spesso anche estesa su oggetti con funzioni lontane da quelle che aveva il bene che in origine veniva proposto con essa. In de-finitiva, in questo percorso diventa inevitabile cominciare a connotare la marca con dimensioni più astratte, con dimensioni immateriali.

Le componenti funzionali sono importanti, costituiscono un elemento che condiziona il reach della marca, ma non sono più sufficienti neanche per prodotti che ridefiniscono i paradigmi di un’intera categoria, rivolu-zionandone gli attributi percepiti come essenziali, l’iPod per esempio. Un prodotto deve essere collocato in un sistema di valori, deve trovare una relazione rispetto ai comportamenti di chi lo consumerà. Chi lo pro-pone è chiamato a esporsi, a dargli senso dentro alle pratiche di consumo di cui sarà un elemento più o meno rilevante, e la marca è lo strumento per farlo, perché diventa l’elemento di continuità che permette di fare riconoscere e spiegare varianti, modifiche ed estensioni di portafoglio.

Per molti versi è una tendenza che segue le predizioni di Maslow, che immaginava un progressivo spostamento da bisogni fisiologici a bisogni legati alla propria autorealizzazione. Ciò che forse era meno prevedibile è che questo percorso non si sarebbe compiuto solo attraverso un cam-biamento dei prodotti consumati, con un aumento del peso di quelli che soddisfano bisogni di ordine superiore, ma con una ridefinizione degli attributi di tutti i beni e i servizi, anche di quelli più semplici, collocati nella parte più bassa di questa scala. Ed è proprio la marca che lo per-mette, diventando il supporto per fissare attorno a un prodotto queste immaterialità.

La controprova di questa pervasività della marca, dell’impossibilità di trovare un sistema di relazione fra chi offre un prodotto e il suo mer-cato al di fuori di una politica di marca, è costituita proprio dalle pole-miche che questa crescente rilevanza ha suscitato. Le marche dei distri-butori, le cosiddette marche commerciali, che a molti sono apparse al loro inizio come strumenti contro la marca, sono diventate marche a tutti gli effetti, proposte con architetture e sintassi tanto complesse quanto quelle delle marche industriali a cui volevano sottrarre mercato. Quando Carrefour, nel lontano 1976, ha lanciato i suoi primi prodotti a marchio commerciale li ha aggressivamente chiamati “produits libres”, liberi dai marchi dell’industria, ma se di catene si trattava, il consumatore non ha potuto che sostituire quelle dell’industria con quelle della distribuzione. Più di recente, Mujj è diventata famosa con i suoi negozi che si propon-gono con lo slogan “prodotti di qualità senza marchio”. Appunto fa-mosa, con un marchio ormai internazionalmente riconosciuto per la sua

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connotazione di minimalismo giapponese. Persino il luddismo anti-marca, quello che si può riassumere nel fortunato libro di Naomi Klein, No logo, ha finito per essere identificato e riconoscibile con il titolo del libro, diventato così un vero e proprio brand. È davvero paradossale che ci sia ancora qualcuno che continui periodicamente a parlare della crisi della marca, riferendosi, di fatto, alla crisi di quelle che non hanno sa-puto fare fronte alle nuove piattaforme valoriali e comportamentali delle marche che nascevano.

La marca è dunque diventata il paradigma centrale per qualunque forma di comunicazione, le commodity non esistono più e non le vuole nessuno, come ci mostra la pubblicità del fustino Dash. In alcuni casi, che mostrano di nuovo quanto sia ormai imprescindibile la marca, esse hanno conquistato quote talmente elevate da poter essere definite, con un ossimoro, commodity di marca. In altri ancora, si identificano così profondamente con una categoria di prodotto da dover difendere, come nel caso di Nutella, la maiuscola che ne sottolinea il copyright quando entrano a fare parte dei vocabolari.

In questo percorso, che affiora continuamente nel volume di Lom-bardi, l’associazione non più solo con prodotti innovativi, ma con valori e comportamenti ha reso la marca nello stesso tempo più forte e più fragile. È sì aumentata la sua rilevanza per i gruppi di consumatori per i quali è rilevante, ma con il rischio che se ne approprino e la usino anche al di là di quanto desidera chi ne è proprietario. I valori e i comporta-menti adottati diventano inoltre un vincolo, perché per essere credibile l’impresa vi si deve attenere in tutti i suoi comportamenti. Ancora, si riduce a poco a poco la distanza fra la marca e chi la usa: diventa media-tore culturale per esprimere valori, attitudini, credi; è valutata e giudi-cata; le sollecitazioni della comunicazione generano risposte dirette che comportano domande e richiedono risposte.

In definitiva, se il contenuto del brand diviene astratto, è inevitabile che si venga anzitutto a porre un problema di coerenza con i più generali contenuti che l’impresa si è data in termini di missione, di cultura e di comportamenti. L’impresa non si “nasconde” più dietro il suo portafo-glio di marche, ma diventa lei stessa un prodotto. È un prodotto “so-ciale”, che non può non dichiarare gli obiettivi che persegue – la sua missione –, il percorso che ha compiuto – la sua storia e la sua visone del futuro –, le caratteristiche dall’ambiente interno che genera la sua offerta – la sua cultura –, e il senso delle relazioni con quello esterno con cui cerca di relazionarsi – la comunità e gli impegni che con essa assume. Chi si muova su questa strada, a partire dal modello più tradizionale, deve affrontare aggiustamenti che consentano di dare forma unitaria a tutti questi elementi. Del resto, il modello del passato, di una marca come puro elemento di identificazione fattuale, aveva proprio questo vantaggio: era meno impegnativa, poteva limitarsi a promesse assai più facili da mantenere.

Comunicare la marca è quindi diventato molto più complicato e alla fine porta a una domanda: come si fa? La letteratura di impostazione più

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accademica ci propone modelli, ma non ci dice come renderli operativi. Di converso, quella più orientata all’immediato della professione, ci de-scrive i processi operativi senza dirci con quali modelli attivarli. Il libro di Marco Lombardi ha il grande pregio di aiutarci su entrambi i fronti. Risponde alla domanda di come si fa oggi comunicazione, guidandoci in un processo sempre più complesso e sfaccettato, dove le certezze di un tempo hanno lasciato spazio a una ricombinazione molto ampia di alternative. Lo fa cercando di dare anche il senso di questa evoluzione, non proponendo a chi vuole fare pubblicità ricette semplici, ma mo-strando come si sono strutturati nel tempo i percorsi e come si defini-scono le alternative a disposizione. I sempre più sofisticati processi ope-rativi usati oggi per governare la comunicazione assumono così senso proprio a motivo delle trasformazione che la marca ha vissuto e per la sua crescente importanza per il successo e la creazione di valore delle imprese.

I temi trattati nel libro sono così numerosi che qui non avrebbe senso nemmeno provare a riassumerli, ma ci sono tre questioni che meritano di essere almeno citate.

La prima riguarda un tema vecchio quanto la pubblicità, quello del difficile rapporto fra chi governa i processi di comunicazione delle im-prese (incluse anche le agenzie) e chi è chiamato a fornire contenuti cre-ativi. È una questione fondamentale, che Lombardi giustamente sottoli-nea non poter più essere trattata come in passato, quando intuizione e creatività finivano per essere una variabile esogena, magari rappresen-tata da un guru. Oggi esistono strumenti sempre più sofisticati per la verifica, sia in fase di costruzione dei messaggi sia nella valutazione ex-post, ed essi devono diventare parte del bagaglio di chi fa pubblicità, in particolare proprio di coloro che svolgono un ruolo creativo.

La seconda questione, di cui oggi tanto si discute, riguarda la molti-plicazione dei canali attraverso i quali la comunicazione raggiunge i suoi destinatari e la necessità di usarli in modo coerente e sinergico. Il mito di Madison Avenue è ormai molto lontano e la pervasività e vici-nanza della marca porta a dover usare orizzontalmente un insieme di mezzi assai più ricco che in passato, dove spot destinati a milioni di soggetti si accompagnano a blog sulla rete e a iniziative di street marke-ting che avvicinano anche fisicamente la marca a piccoli segmenti di clienti.

La multicanalità introduce alla terza questione, quella della globali-zazzione come contesto di riferimento per un numero sempre più grande di marche. Se la marca è un fenomeno sociale, la globalizzazione aggiunge un ulteriore elemento di complessità poiché i messaggi do-vranno essere adattati alla sensibilità di comunità diverse senza perdere la loro dimensione identitaria fondamentale.

Ha ragione Lombardi, se la comunicazione è sempre stata un terreno affascinante oggi lo è ancora di più.

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premessa

contro gli stereotipiIl testo è la prima parte di una revisione completa della precedente edi-zione del nostro manuale di tecniche pubblicitarie (2010): il necessario ampliamento (a causa dei continui cambiamenti del mondo della comu-nicazione) e la nuova organizzazione del sistema universitario (suddivi-sione fra triennio di base e biennio magistrale) hanno consigliato di am-pliare e dividere il manuale in due sezioni pubblicate separatamente. La prima (quella presente) dedicata alla strategia e la seconda dedicata alla creatività; ambedue i testi spaziano dai media classici a quelli interattivi, tentando, per la prima volta, un’integrazione fra le diverse discipline oggi necessarie per comunicare e costruire una marca: fascino e difficoltà di un mestiere ancora così poco studiato e mal insegnato.

Vi è sempre meno tempo per la riflessione, l’aggiornamento e l’adde-stramento, costretti, come si è, da una professione sempre più specializ-zata, competitiva e con pochi e decrescenti profitti; manca inoltre in Ita-lia una classe di docenti che abbiano una reale competenza maturata sul campo.

Mettendo a frutto una pluridecennale esperienza in una dei gruppi più grandi e importanti della comunicazione integrata (WPP), abbiamo toc-cato tutti i temi fondamentali – principi, modelli, tecniche – per il comu-nicatore, individuando un percorso semplice, strutturato e completo sino alle ultime frontiere, dando numerosi esempi (evidenziati nel testo1) e cercando di non dimenticare le esigenze pragmatiche del professionista2. In sintesi, tutto il bagaglio tecnico, un baedeker che vorremmo avessero i nostri collaboratori, per mettere a frutto l’esperienza quotidiana e negare tre luoghi comuni che si accompagnano al nostro mestiere. Vediamoli.

1 Abbiamo introdotto molti casi nel testo e in alcune schede speciali intitolate “Quan-do la comunicazione funziona”, casi scelti tra i premi APG; molti casi sono inglesi: l’In-ghilterra rimane il punto di riferimento più importante per la nostra comunicazione com-merciale.

2 Per ulteriori approfondimenti rimandiamo a: Lombardi (2000, 2007).

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a) Siamo insofferenti al wannamarchismo con grandi investimenti che troppo spesso (e sempre di più) viene attribuito al mondo della comuni-cazione commerciale (in particolare alla pubblicità classica e alle rela-zioni pubbliche): un push fàtico, come ben distingueva Jakobson3 (1958: 350), un po’ imbroglione, un ansioso appello al contatto senza contenuti e argomentazioni. Un rossiniano triplice rullo di tamburo (Beghelli, 2005) che introduce il nulla (invece dell’opera “La gazza ladra”, pardon the pun) e, al massimo, raggiunge una awareness poco fattuale. Eppure la crisi del 2008 e i suoi effetti hanno insegnato alle marche e ai comunica-tori che forse è facile entrare sotto il radar sospettoso delle persone ma non basta una boutade promozionale estemporanea per rimanerci: conta la relazione, una lunga relazione, molto più di una transazione.

b) Ma forse è peggiore la convinzione di molti professionisti e gestori di marche che un colpo più o meno casuale di originalità possa essere la base del processo e dell’efficacia nel comunicare; assurdo atteggiamento che induce comportamenti erratici e confusivi in un contesto già polve-rizzato di miriadi di marche, media, opinioni, stili di consumo e di ascolto. Le grandi scuole del marketing e della comunicazione come P&G e Unilever (ma anche le italiane Barilla e Ferrero) hanno insegnato e insegnano che il loro successo è il punto di arrivo di una costante e severa disciplina strategica. Il fondamento della strategia permette di attraversare l’attuale scenario caotico dove anche le migliori marche ri-schiano una perdita di potenziale se non ben guidate.

Un esempio per tutte: il presidente Obama (che possiamo considerare una vera e propria marca4) aveva una forza e una personalità enorme per incon-trare la voglia di cambiamento del pubblico, non solo americano, ma fondamen-tale è stata la sua strategia di comunicazione . Citiamo ad esempio la ripresa dell’intimità con il pubblico che aveva trovato con spirito di innovazione la marca Roosvelt all’inizio degli anni ’30 . La radio era in quel periodo un mezzo di massa molto innovativo (portava la voce in casa del pubblico) e popolare: poteva contare su fascino e quantità; quasi il 90% dei nordamericani ascoltava le trasmissioni radio, radunandosi attorno all’apparecchio ricevente come si faceva attorno al caminetto: una amata abitudine per stare insieme (lo swing delle grandi big band americane si propagò così, moltiplicando esponenzial-mente le folle che invadevano le ball rooms), scambiare opinioni e chiacchiere, rinsaldare i legami affettivi . Roosvelt colse con intelligenza questi aspetti con le sue fireside chats radiofoniche: quasi un dialogo amichevole, intimo (“good eve-ning friends!”, era il suo incipit), alla sera prima di andare a letto, paterne confi-

3 “Vi sono messaggi che servono essenzialmente a stabilire, prolungare o interrompe-re la comunicazione, a verificare se il canale funziona (‘Pronto, mi senti?’), ad attirare l’attenzione dell’interlocutore o ad assicurarsi la sua continuità (‘Allora, mi ascolti?’ o, in stile shakespeariano, ‘Prestami orecchio!’ e – all’altro capo del filo – ‘Hm, hm’). Questa accentuazione del contatto, la funzione fàtica, può dar luogo ad uno scambio sovrabbon-dante di formule stereotipate, a interi dialoghi il cui unico scopo è prolungare la comuni-cazione”.

4 “La marque Obama vue de Madison Avenue”, Talbot, 2008.

Da Roosevelt a Obama

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Yes we can

Nella premessa di questo volume abbiamo già parlato della riproposta che il presidente statuni-tense Obama (2009) ha fatto dei fireside chat di Roosevelt, ovviamente con i media odierni: il digitale invece della radio ma con uguale intima metacomunicazione, negli anni ’30 e oggi. L’uso dell’on-line in modo differenziato per target è stata una sua strategia vincente.L’esempio che facciamo è indirizzato in particolare ai giovani ebrei liberal con genitori probabil-mente in pensione e ritirati in temperate aree americane come la Florida, nota per essere un feudo repubblicano, tradizionalista come aveva dimostrato nell’elezione di George Bush. Questo seg-mento anziano è il vero target: vanno convinti della spinta al cambiamento che può dare un presidente democratico e nuovo. In particolare si teme la disinformazione e gli stereotipi: un nero? E quindi un ribelle? Uno contro? Con un nome così strano e simile a quello di un mussulmano o di un terrorista (Osama Bin Laden)? Viene chiamata una testimone: Sarah Silverman, giovane attrice e scrittrice nata nel Saturday Night Live Show, molto popolare (Big S è il suo nickname, con provocatorio significato in inglese), com-mentatrice, comica, cabarettista, fustigatrice di taboo sociali e malcostumi politici. Ed è un’ebrea, come il pubblico di coetanei ai quali si indirizza. La brand idea (la marca Obama) è forte, media neutral e al centro di una comunicazione granulare in grado di ingaggiare il target. E The Great Schlep (se ne cerchino le tracce sul web) in yiddish è il grande viaggio, faticoso e noioso ma necessario: Sarah invita i giovani ebrei a visitare i propri vecchi almeno una volta nella loro vita, a fare un salto da loro per spiegare chi è veramente e cosa può fare Obama. Un invito forte con la minaccia sati-rica (e cinica) di rimanere disillusa della propria razza, dando ragione agli stereotipi criminali nazisti (Big S, fedele al suo stile, cita Hitler, i tratti somatici degli ebrei, le loro tradizioni bigotte e mammone).Il tutto viene affidato a un lungo video virale (YouTube), a un sito web, a iniziative 2.0 (vengono messi on line i video degli schlep veramente avvenuti), a vari blog. Un tale successo che la concor-renza John McCain inventa il contro-Schlep: sono ora i genitori in pensione ad essere chiamati a fare un salto dai propri figli nella East o West coast per parlare con loro e raccontare come stanno realmente le cose. Una lezione di marketing e comunicazione da vera scorpion brand: si ricordi che solo ciò che è discutibile, provocatorio, dirompente ha chance di navigare nel web.

quando la comunicazione funziona

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denze su argomenti ostici (come la fiducia nel sistema bancario) a fianco di un ideale caminetto acceso nelle case degli americani in piena depressione . Il lin-guaggio del presidente del New Deal era semplice (un piccolo vocabolario di parole usate da tutti), pieno di aneddoti e metafore; il successo fu enorme, superiore a quello degli show di intrattenimento (le soap opera nascevano al-lora, alla radio) al punto che la visita a casa dell’amico presidente durò per circa dieci anni (1933/1944) con una minima frequenza più che sufficiente per un mezzo allora così invasivo e monopolistico (trentuno chats in tutto) . Il presi-dente Obama ripete la strategia intima di Roosevelt, e la implementa (per primo) attraverso la piattaforma digitale (non più mass media, ma granulare, narrowcasted) andando incontro alle persone, ai sottogruppi, all’individuo . Blog, video su Youtube, Twitter, Facebook, web site per target particolari, rubriche nel website della White House . Una strategia vincente, non certo casuale o dovuta perché nella moda dei social network o del web 2 .0: vincente come reach, vincente come metacomunicazione (Obama parla con le parole popolari, non con la lingua politica, è una persona vicino a me) .

c) Ecco, andare incontro all’individuo. Il concetto stesso di audience è oggi superato nella sua accezione passiva di gruppo di persone in ascolto (audire). Roosvelt aveva un’audience vasta che poteva aspettarlo in ascolto; bastava un intelligente push. Certo ci sono ancora le audience, ma non necessariamente ascoltano la marca che parla; l’ascolto è fra gli individui che parlano della marca, sono loro che usano prodotti, i loghi e l’iconografia delle marche, gli slogan; loro scelgono e sono in con-trollo di cosa e quando guardare, di cosa e quando leggere, di dove mettere la propria attenzione. La marca è fuori da questo nuovo flusso di comunicazione a meno che attenda l’individuo, pronta ad incon-trarlo (pull strategy) con le motivazioni e nei momenti rilevanti (touch points) per l’individuo stesso. Il presidente Obama ha voluto cercarsi tante piccole audience: le ha ascoltate attendendole nei touch points (me-dia e concettuali) rilevanti per le persone che lo hanno trovato, ascoltato e eletto.

La marca può riacquistare ruolo se ascolta5, non se parla. Anche per la marca (una come noi) l’ascolto è un’arte e una scienza per coltivare re-lazioni in una società di individui sempre più connessi e attivi. La comu-nicazione deve coprire il last mile del marketing (Featherstone, 2009): la connessione.

5 Nel testo parleremo di una inversione del classico modello di Laswell, Emittente> Ricevente. Garfield (2009) parla di listenomics, riferendosi a tutto un sistema economico aziendale che deve orientarsi all’ascolto. Illuminanti i due esempi che cita. Lego e il suo Mindstorm, un vero e proprio sistema di ascolto degli individui, sollecitati a dare pareri su un prodotto – il mattoncino multicolorato di plastica – superato dai giochi digitali; e Coca Cola con il suo insuccesso nel lancio di New Coke nel 1985: numerose ricerche e analisi suggerivano una ricetta più dolce; il pubblico americano aveva approvato il nuovo gusto, eppure rifiutò il prodotto. Molte domande gli erano state fatte, tranne forse quella più rile-vante: come americano, allevato a fianco dell’icona Coke, avrebbe accettato che cambiasse?

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Ne siamo così convinti che ci uniamo a coloro che vogliono riscrivere il lessico della comunicazione (ad esempio: Pillips, 2009); la guerra, l’in-vasione, l’aggressività (push) hanno ispirato le parole e i concetti che usiamo (target, lancio, piano, strategia, tattica, conquista, posiziona-mento, ecc.) mentre la realtà di oggi dovrebbe ispirare parole e concetti olistici di pace, di uguaglianza, di comprensione: marca e persona sono uguali.

Arte dell’ascolto più che della parola è in sintesi il vero titolo di questo testo: svolgeremo la tesi in tutte le pagine seguenti.

Il miglior lavoro al mondo

Nel 2008 l’ufficio del turismo del Queensland decide di promuovere le isole della Gran Barriera corallina australiana che soffrono in particolar modo la recessione economica . Una semplice idea di grande impatto, rilevante, richiama – con un investimento molto basso – l’at-tenzione del mondo su queste isole tropicali . Un’idea virale per tutto il web e di sicuro engagement con il pubblico giovane al quale ci si rivolge .Viene annunciata la ricerca di un curatore per l’isola di Hamilton del Queensland . Il lavoro viene definito come Best job in the world: sei mesi ben retribuiti (110 .000 US$) in un cottage sul mare, più piscina e iscrizione a un golf club, con l’unico incarico di raccontare la splendore di uno stile di vita unico in un paradiso . Il curatore deve nuotare, fare snorkelling e amicizie, conoscere il cibo lo-cale, tutto da raccontare al mondo su un blog, con aggiornamenti continui video, interviste e un diario foto-grafico .La notizia del reclutamento raccoglie 50 milioni di pagine web viste in 2 mesi, 35 .000 candidati; i 16 finalisti parteci-pano ad un web reality show sull’isola, con prove sportive e di capacità comunicativa; vince un britannico, il signor Southhall, intervistato dai mass media globali .L’idea del reclutamento raccoglie audience prima (la ri-cerca), durante (la selezione) e dopo (il lavoro): una cerimonia media digitale che coinvolge tutti in una favola moderna (di evasione antidepressiva) e porta turismo nelle isole del Queensland .

quando la comunicazione funziona