La Storia Del Vigile Giampaolo Cardosi Di Livorno
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Transcript of La Storia Del Vigile Giampaolo Cardosi Di Livorno
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Ecco una ricerca (certamente incompleta) sulla vicenda del vigile Giampaolo Cardosi, radiato per cattiveria e persecuzione (e non “per errore” come titola il Corriere della sera) – un caso di ingiustizia, conclusosi parzialmente dopo 31 anni…! Corriere della Sera > Cronache > Muore a Livorno Serpico l'ex vigile diventato clochard http://www.corriere.it/cronache/12_settembre_03/muore-serpico-capellone-clochard-gasperetti-livorno_4ca9da10-f58c-11e1-b714-22a5ae719fb5.shtml IL PERSONAGGIO - VENNE CACCIATO PER ERRORE Muore a Livorno Serpico l'ex vigile diventato clochard Accusato di furto e radiato. Assolto ma mai reintegrato «Amavo molto quella divisa che mi hanno scippato»
LIVORNO -«L'amavo molto quella divisa che mi hanno scippato. L'ho portata a testa alta e
con onore, eppure non sono più riuscito ad indossarla», raccontava agli amici. Forse la
indosserà stamani per l'ultima volta quella divisa, Giampaolo Cardosi, l'ex vigile capellone
poi diventato clochard, morto a 69 anni dopo essere caduto dalla bicicletta.
Era stato vittima incolpevole, Giampaolo, di persecuzioni amministrative e giudiziarie:
aveva perso lavoro, casa e la madre era morta di crepacuore. La sua unica colpa era stata
quella di essere controcorrente, di rifiutarsi di tagliare barba e capelli, di non aver ascoltato
gli «ordini» dei suoi superiori che non potevano tollerare quel capellone «sporco e
trasandato». Lo accusarono prima di aver rubato duemila lire di una multa; poi un tavolo e
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quattro vecchie sedie abbandonate in un bosco. Espulso, radiato, canzonato, costretto a
dormire sulle panchine, Giampaolo si era trasformano in una creatura ricurva sulla sua
misera bicicletta, ma allo stesso tempo non aveva perso fierezza e voglia di combattere. E
non arretrò anche quando, dopo decenni di calvario, la giustizia lo prosciolse.
Giampaolo chiese di essere reintegrato: «Vorrei indossare nuovamente la mia divisa, salire
sulla bicicletta, fare il mio dovere». Il Comune rispose di «no» ma gli offrì 300 mila euro
come riparazione del danno subito. Lui rifiutò i soldi, sdegnato.
I guai non sarebbero finiti. Poco tempo fa era stato accusato di aver imbrattato la sede di
Equitalia con frasi offensive. E lui aveva commentato: «La via crucis continua».
Livorno popolare gli voleva bene. E nell'anniversario dell'Unità d'Italia c'è stato chi l'ha
trasformato in Garibaldi, con tanti manifesti affissi e accolti con ironia ma anche sorrisi
compiaciuti.
La sua morte ha scosso la città. «Per favore concedetegli la divisa», ha chiesto un
consigliere comunale dell'opposizione incassando centinaia di messaggi a favore di una
completa riabilitazione. Sul web sta circolando anche l'ultima frase di Giampaolo: «Sono
nato il 7 settembre del 1943 alla vigilia dell'armistizio. Ma nella mia vita io non ho mai
incontrato la pace».
Marco Gasperetti 3 settembre 2012 | 9:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.lanazione.it//cronaca/2010/01/29/286641-livorno_vigile.shtml
Livorno, l'ex vigile capellone da 31 anni vuole giustizia
La città gli avrebbe dovuto chiedere scusa con una cerimonia ufficiale.
Invece, dopo 31 anni di sofferenze, gli hanno offerto trecentomila euro
per chiudere la vicenda
Livorno, 29 gennaio 2010 - La città gli avrebbe dovuto chiedere scusa con una cerimonia
ufficiale in piazza della Repubblica e nominarlo capo onorario della polizia municipale con
medaglia al valore per la resistenza civile alle ingiustizie. Invece, dopo 31 anni di
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sofferenze, gli hanno offerto trecentomila euro per chiudere la vicenda. E lui, pur senza un
centesimo, sfrattato da casa e costretto a sfamarsi alla mensa dei poveri, ha detto di no.
«Elemosine non ne voglio: quei 300 mila euro sono il prezzo del mio sangue, sono il prezzo
per aver perso la casa e anche la mamma, morta di crepacuore per il dolore provocato da
tutta questa vicenda. Era il mio unico affetto. Ed è una questione di principio». Giampaolo
Cardosi, il vigile capellone, noi de «La Nazione», come tanti altri cittadini livornesi, lo
conosciamo da almeno vent’anni. All’inizio, quando veniva in redazione per raccontare la
sua storia, tutto sembrava destinato a chiarirsi nel giro di breve tempo. E invece è passata
una vita.
Tutto inizia quando Cardosi, giovane agente della polizia municipale, non esita a infrangere
le regole per salvare una gattina rifugiatasi per partorire in uno scantinato delle scuole
elementari Borsi. Qualcuno, per dispetto aveva murato l’apertura, con calcina e mattoni, e i
miagolii della bestiola avevano messo in allarme la Protezione animali. Nel tardo
pomeriggio, con la scuola già chiusa, il vigile Cardosi si arma di tenaglie, forza il portone
d’ingresso e va a liberare la micetta prigioniera. L’occasione per «punirlo» — così dice —
arriva quando Cardosi commette un passo falso: un errore sull’importo della multa per
un’infrazione commessa da un noto gioielliere. Doveva ammontare a 4000 lire, il vigile
capellone ne commina solo 2000. e viene accusato di essersi intascato l’altra metà. Lo
sospendono e i guai di cui sopra cominciano a farsi ancor più seri: lo accusano — e lo
arrestano — per furto aggravato dopo che, nelle ore libere dal servizio, insieme ad un amico
maresciallo si era messo a ripulire il giardino di un rudere. Viene licenziato dal Comune, col
seguito di processi assolutori e di condanna, fino all’assoluzione definitiva della Cassazione
e il conseguente obbligo alla riassunzione. L’amico maresciallo viene risarcito. Lui no. E
neanche riassunto.
L’amministrazione offre 300 mila euro, per chiudere la vicenda. Ma l’esame peritale stima
che a Cardosi spettino un milione e 600mila euro. E il «vigile capellone» non si arrende,
neppure col freddo di questi giorni rinuncia alla sua lotta. In città intanto sono molte le
persone che stanno in qualche modo sostenendo la battaglia di giustizia e di «riabilitazione
morale» condotta dal «vigile capellone».
Paolo Migone, uno che di capelli lunghi ne sa qualcosa lancia una proposta seria:
«Facciamo uno spettacolo ai ‘4 Mori’ sia per raccogliere fondi, sia per parlare della storia di
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quest’uomo che conosco da quando ero bambino. Io sono disponibile, credo che anche gli
altri comici e attori livornesi possano aderire. Ci muoviamo sempre per le persone lontane,
questa volta mobilitiamoci per chi è vicino a noi. Paolo Cardosi è una persona che ha subito
di tutto nella vita, abbiamo il dovere di aiutarlo».
Luca Filippi
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Trentuno anni per avere giustizia Quel vigile di Livorno è un brivido per tutti
http://www.lanazione.it//cronaca/2010/01/30/287092-trentuno_anni.shtml
Cara Nazione... Risponde il direttore Giuseppe Mascambruno
Caro Direttore,
ho letto sul suo giornale la storia di quell’ex vigile urbano di Livorno, Giampaolo Cardosi, che
ha impiegato 31 anni per vedersi riconosciuta l’innocenza rispetto ad accuse strumentali con le
quali era stato cacciato dal lavoro e inguaiato. La dignità di quest’uomo fa impressione:
un’intera esistenza spesa per ottenere una riabilitazione morale, oltrechè materiale, che si fatica
ancora a riconoscergli. Ma in che Paese viviamo?
Massimo Pieri, Carrara
Carissimo Massimo,
sì, una storia impressionante. Di cui anch’io, da giovane cronista a Livorno, ho vissuto gli
inizi. Poi ne avevo perso le tracce e ho provato un brivido, l’altro ieri, quando i colleghi me
l’hanno riproposta nei termini in cui l’abbiamo raccontata. Cardosi vuole essere
riabilitato dalla sua città e rifiuta i 300mila euro che il Comune gli offre. Preferisce fare il
barbone, sfamarsi alla Caritas, piuttosto che cedere a un compromesso che ha sempre
rifiutato. Il comico Migone, un livornese che, come altri, ha avuto meritato successo nella
vita, su queste colonne ieri proponeva di dedicare a Cardosi un’attenzione, anche
spettacolare, per saldare un debito storico con il concittadino. Magari potrebbe farsi vivo
anche il celebratissimo regista Paolo Virzì. Di certo, sull’onda del nostro servizio, se ne
occuperà Raidue. Speriamo che sia la volta buona. Per la dignità di Cardosi. E di chi
ancora crede nella Giustizia.
Giuseppe Mascambruno
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Livorno: muore l’ex vigile Giampaolo Cardosi, radiato per errore e mai
reintegrato
http://www.fattodiritto.it/livorno-muore-lex-vigile-giampaolo-cardosi-radiato-per-errore-e-mai-
reintegrato/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=livorno-muor
LIVORNO, 3 SETTEMBRE ’12 – E’ morto a Livorno, in seguito ad una caduta dalla bicicletta,
l’ex vigile Giampaolo Cardosi, 69 anni, divenuto clochard dopo essere stato licenziato nel 1979
perché accusato del presunto furto di duemila lire di una multa, di un tavolo e di alcune vecchie
sedie abbandonate in un bosco. Il “vigile capellone”, così era conosciuto proprio per via della
folta chioma che mai ha voluto tagliare, neppure quando l’ordine era arrivato dai suoi superiori,
viene descritto come un uomo buono e che mai avrebbe fatto del male. La notizia del suo
decesso ha colpito la comunità al punto che sono già oltre 200 i messaggi di cordoglio lasciati
sui social network e sulle pagine on line dei quotidiani, commenti come “mi ricordo ancora di
quando indossavi la divisa. mi mancherai, per me sei il simbolo della voglia di libertà, l’hai
amata così tanto da rinunciare a tutto. Mi piace pensarti in cielo a correre con la tua bicicletta ed
i tuoi lunghi capelli al vento”. Il suo nome era finito sulle pagine dei quotidiani quando, lo
scorso maggio, aveva confessato di aver imbrattato con la scritta “Tribunale ladro” la sede di
Equitalia perché la casa dove era nato era stata messa all’asta. Cardosi, che da quando non
aveva più potuto indossare la divisa mangiava alla Caritas e dormiva di tanto in tanto al pronto
soccorso, era stato prosciolto da tutte le accuse ma nonostante ciò il comune non aveva
accettato la sua richiesta di reintegro arrivando ad offrirgli 300mila euro che però l’ex vigile
rifiutò. La città di Livorno di stringe attorno al ricordo di quest’uomo dallo sguardo dolce e sul
web si moltiplicano le condivisioni di una sua celebre frase: Sono nato il 7 settembre del 1943
alla vigilia dell’armistizio. Ma nella mia vita io non ho mai incontrato la pace. La dinamica
dell’incidente che gli è costato la vita è al vaglio dei vigili urbani, Cardosi sarebbe stato
trasportato in pronto soccorso dopo la caduta ma il suo corpo stanco non ce l’ha fatta.
ELEONORA DOTTORI
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LIVORNO
Addio al «vigile capellone», morto cadendo dalla bici
Agente anticonformista e capellone, poi clochard non per scelta. La storia di
Giuseppe Cardosi, 69 anni, apprezzato e conosciuto in tutta la città
03 settembre 2012
Vigile anticonformista e capellone, poi clochard non per scelta. Un tempo lo si poteva
definire Serpico, negli ultimi anni un Forrest Gump. È morto sabato a Livorno un
personaggio molto noto in città, un personaggio strambo ma apprezzato, Giampaolo
Cardosi, 69 anni: è caduto dalla sua bicicletta e ha battuto la testa. Non c'era più nulla da
fare, come riferiscono oggi alcuni giornali nelle edizioni locali, quando l'ambulanza è
arrivata al pronto soccorso che era diventato una delle sue 'case d'invernò per ripararsi dal
freddo.
C'era chi storceva il naso vedendo quel vigile con capelli e barba lunghi, i pantaloni a zampa
di elefante. Ma Cardosi se n'era infischiato, andava avanti a fare il suo dovere. E, forse, se
avesse accettato di cambiare, ora pensa qualcuno, la sua esistenza non sarebbe deragliata.
Non si era mai voluto piegare, neppure ad un compromesso che gli avrebbe potuto
consentire di vivere agiatamente. Dopo il licenziamento da parte del Comune con un'accusa
- furto - dalla quale era stato assolto in tribunale, aveva rifiutato il risarcimento che
l'amministrazione gli aveva proposto, 300.000 euro. «No - aveva obiettato lui - rivoglio la
mia divisa».
E, proprio come Forrest Gump, aveva continuato la sua battaglia per ottenere quel che
riteneva gli fosse stato portato via ingiustamente: su e giù per la città con la sua bicicletta.
Nel febbraio scorso, il Tar aveva respinto il suo ricorso ma lui aveva annunciato che si
sarebbe rivolto al Consiglio di Stato. Nel frattempo, aveva perso la casa per un debito di
neppure 2.000 euro con un avvocato. La sua vita ultimamente scorreva tra la mensa della
Caritas, la sala d'attesa del pronto soccorso dove dormiva e il tribunale penale dove
trascorreva qualche mattinata anche per essere presente a una delle udienze che lo
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riguardavano. «Una testa dura a cui era impossibile far cambiare idea», lo descrivono gli
amici. Una testa dura, un ribelle d'altri tempi, che a molti livornesi un poco mancherà.
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http://laveja.blogspot.it/2012/09/muore-livorno-giampaolo-cardosi-detto.html
Accusato di furto e radiato. Assolto ma mai reintegrato «Amavo molto quella divisa che mi
hanno scippato». Ha rifiutato un super risarcimento che poteva salvarlo Nel 2010 gli è stata
pignorata la casa per un debito, da allora ha vissuto da clochard con la sua bici.
LIVORNO. Per riprendersi un briciolo di vita gli sarebbe bastato poco: piegarsi. Ma il vigile
capellone non lo ha mai fatto, anche se di occasioni ne ha avute. Avrebbe potuto cominciare una
trentina di anni fa quando era soprannominato “Serpico” come il poliziotto newyorkese
interpretato da Al Pacino e girava per la città con la divisa di vigile urbano e i pantaloni a
zampa di elefante.
Allora gli sarebbe bastato entrare in un negozio di parrucchiere, chinare la testa e farsi tagliare
quel groviglio di barba e capelli che uscivano da sotto il berretto e che a molti non andava giù
che portasse abbinati all’uniforme. Ma niente.
Poi quando il Comune, qualche anno dopo, gli ha offerto trecento mila euro di risarcimento per
un licenziamento poco trasparente a causa di un furto dal quale è stato assolto, avrebbe potuto
accettare e assicurarsi con quei soldi una vecchiaia in santa pace. Rispose: «No grazie, rivoglio
la mia divisa». E continuò a correre (in bici) da un punto all’altro della città come Forrest Gump
e a dare battaglia per riavere il suo posto, nonostante le porte in faccia e l’ultimo no del
Tribunale amministrativo che nel febbraio scorso rigettò il suo ricorso. «Andrò al Consiglio di
stato», disse all’indomani.
Giampaolo Cardosi molto probabilmente avrebbe potuto vivere più a lungo in ginocchio, invece
ha scelto di morire in piedi sei giorni prima di compiere 69 anni mentre era in sella alla sua
bicicletta.
«Una testa dura a cui era impossibile far cambiare idea», lo descrivono gli amici. Ecco perché
per continuare la sua battaglia contro le ingiustizie di cui diceva di essere vittima, aveva
rinunciato a tutte le cose che vengono considerate ricchezza e viveva da clochard: niente casa,
ad esempio.
La sua era stata pignorata nel 2010 per un debito di 1850 euro con un avvocato di Pistoia. «Me
l’hanno rubata», diceva appena entrava nel discorso e poco importava se davanti a sé aveva un
giudice o un pubblico ministero: «C’è scritto nelle carte – ripeteva – se fosse una bugia mi
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avrebbero già arrestato». Dentro all’appartamento in via Brigate Partigiane, dove ha abitato per
una vita, aveva lasciato anche i suoi affetti. «Mia madre – raccontava – non ha sopportato tutto
quello che è successo ed è morta di crepacuore».
Dal giorno dello sfratto che finì a botte e offese con le forze dell’ordine, aveva messo la sua
esistenza in un container dalle parti di Chianni, in provincia di Pisa, dove era nato alla vigilia
dell’8 settembre del ’43 che segnò lo sbriciolamento delle istituzioni davanti alla guerra.
La sua vita oggi era fatta di tre punti fermi: la mensa della Caritas dove mangiava pranzo e
cena, una sedia nella sala d’attesa del pronto soccorso dove dormiva e il tribunale penale di via
Falcone e Borsellino dove non mancava mai di fare una visita o di essere presente a una delle
udienze nelle quali era imputato.
Ma nonostante l’aspetto trasandato, l’odore di strada, la barba di mille colori e i vestiti lisi,
quando ti guardava negli occhi si accendeva la luce della speranza.
Forse era proprio per la sua testardaggine e la vita da ribelle che ai livornesi “il Cardosi” è
sempre stato simpatico come quegli esemplari in via di estinzione: unici e un po’ strambi. Così
nell'anno del 150° anniversario dell'unità d'Italia, i suoi concittadini hanno tappezzato la città
con il suo volto come quello dell'ultimo dei Mille.
Ma lui alla soglia dei settant’anni cominciava ad essere stanco, così nell’aprile scorso aveva
preso foglio e penna e aveva scritto un appello alle Autorità attraverso il nostro giornale. «Dalla
perdita della mia casa – ricordava – dormo seduto su una sedia dei locali del pronto soccorso
con ulteriori gravi problemi di circolazione, piedi doloranti e gonfi: con pericolose infermità,
non potendo stendermi a questa età su un letto. Per i motivi di cui sopra, rivolgo alla Ss. Vv.
rispettosa istanza di carcerazione».
Il grido d’aiuto di un uomo stanco, dolorante che solo la morte ha piegato.
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http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2012/09/02/news/tra-serpico-e-forrest-gump-una-vita-da-
ribelle-senza-piegarsi-1.562965
Tra Serpico e Forrest Gump una vita da ribelle senza piegarsi
Licenziato dal Comune nel 1979 ha rifiutato un super risarcimento che poteva salvarlo Nel 2010
gli è stata pignorata la casa per un debito, da allora ha vissuto da clochard con la sua bic
di Federico Lazzotti
LIVORNO. Per riprendersi un briciolo di vita gli sarebbe bastato poco: piegarsi. Ma il vigile
capellone non lo ha mai fatto, anche se di occasioni ne ha avute. Avrebbe potuto cominciare una
trentina di anni fa quando era soprannominato “Serpico” come il poliziotto newyorkese
interpretato da Al Pacino e girava per la città con la divisa di vigile urbano e i pantaloni a
zampa di elefante.
Allora gli sarebbe bastato entrare in un negozio di parrucchiere, chinare la testa e farsi tagliare
quel groviglio di barba e capelli che uscivano da sotto il berretto e che a molti non andava giù
che portasse abbinati all’uniforme. Ma niente.
Poi quando il Comune, qualche anno dopo, gli ha offerto trecento mila euro di risarcimento per
un licenziamento poco trasparente a causa di un furto dal quale è stato assolto, avrebbe potuto
accettare e assicurarsi con quei soldi una vecchiaia in santa pace. Rispose: «No grazie, rivoglio
la mia divisa». E continuò a correre (in bici) da un punto all’altro della città come Forrest Gump
e a dare battaglia per riavere il suo posto, nonostante le porte in faccia e l’ultimo no del
Tribunale amministrativo che nel febbraio scorso rigettò il suo ricorso. «Andrò al Consiglio di
stato», disse all’indomani.
Giampaolo Cardosi molto probabilmente avrebbe potuto vivere più a lungo in ginocchio, invece
ha scelto di morire in piedi sei giorni prima di compiere 69 anni mentre era in sella alla sua
bicicletta.
«Una testa dura a cui era impossibile far cambiare idea», lo descrivono gli amici. Ecco perché
per continuare la sua battaglia contro le ingiustizie di cui diceva di essere vittima, aveva
rinunciato a tutte le cose che vengono considerate ricchezza e viveva da clochard: niente casa,
ad esempio.
La sua era stata pignorata nel 2010 per un debito di 1850 euro con un avvocato di Pistoia. «Me
l’hanno rubata», diceva appena entrava nel discorso e poco importava se davanti a sé aveva un
giudice o un pubblico ministero: «C’è scritto nelle carte – ripeteva – se fosse una bugia mi
avrebbero già arrestato». Dentro all’appartamento in via Brigate Partigiane, dove ha abitato per
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una vita, aveva lasciato anche i suoi affetti. «Mia madre – raccontava – non ha sopportato tutto
quello che è successo ed è morta di crepacuore».
Dal giorno dello sfratto che finì a botte e offese con le forze dell’ordine, aveva messo la sua
esistenza in un container dalle parti di Chianni, in provincia di Pisa, dove era nato alla vigilia
dell’8 settembre del ’43 che segnò lo sbriciolamento delle istituzioni davanti alla guerra.
La sua vita oggi era fatta di tre punti fermi: la mensa della Caritas dove mangiava pranzo e
cena, una sedia nella sala d’attesa del pronto soccorso dove dormiva e il tribunale penale di via
Falcone e Borsellino dove non mancava mai di fare una visita o di essere presente a una delle
udienze nelle quali era imputato.
Ma nonostante l’aspetto trasandato, l’odore di strada, la barba di mille colori e i vestiti lisi,
quando ti guardava negli occhi si accendeva la luce della speranza.
Forse era proprio per la sua testardaggine e la vita da ribelle che ai livornesi “il Cardosi” è
sempre stato simpatico come quegli esemplari in via di estinzione: unici e un po’ strambi. Così
nell'anno del 150° anniversario dell'unità d'Italia, i suoi concittadini hanno tappezzato la città
con il suo volto come quello dell'ultimo dei Mille.
Ma lui alla soglia dei settant’anni cominciava ad essere stanco, così nell’aprile scorso aveva
preso foglio e penna e aveva scritto un appello alle Autorità attraverso il nostro giornale. «Dalla
perdita della mia casa – ricordava – dormo seduto su una sedia dei locali del pronto soccorso
con ulteriori gravi problemi di circolazione, piedi doloranti e gonfi: con pericolose infermità,
non potendo stendermi a questa età su un letto. Per i motivi di cui sopra, rivolgo alla Ss. Vv.
rispettosa istanza di carcerazione».
Il grido d’aiuto di un uomo stanco, dolorante che solo la morte ha piegato.
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La Nazione
http://ricerca.quotidiano.net/cachedindex.php?ricerca_libera=Giampaolo+Cardosi
http://www.lanazione.it//livorno/cronaca/2010/03/17/306108-uomo.shtml
Un uomo da salvare
Secondo noi...
Livorno, 17 marzo 2010 - BISOGNERÀ che prima o poi — e quando si dice prima o poi
s’intende subito — qualcuno si occupi seriamente della vicenda-Cardosi. La storia è nota ed
è inutile ripercorrerne le tappe, fermo restando che l’ingiustizia è tanto palese quanto
clamorosa. Ma ora c’è un’altra emergenza e sono i comportamenti di quest’uomo che, anche
indipendentemente dalla sua volontà, dev’essere aiutato prima che faccia del male — del
male seriamente — a se stesso o agli altri. Quest’uomo è all’esasperazione, non da ora, se
ne tenga conto, e anche l’altra sera girava con martello e scalpello in tasca. Ha spaccato un
paio di lucchetti alla casa che gli è stata sequestrata e venduta, ma poteva spaccare anche
altro... Insomma, non è per fare i menagrami: ma è evidente che Giampaolo Cardosi è una
bomba innescata e, prima che succeda qualcosa di irreparabile a suo danno o a danno di
terzi, bisogna convincerlo a farsi aiutare: il che, bisogna convenirne, è un problema nel
problema. Non sappiamo chi, se il sindaco, l’Asl, i vigili, il mondo del volontariato o
chiunque si voglia, ma è certo che occorre intervenire in modo risolutivo. Per motivi
concreti e anche morali: non va salvato solo Cardosi, ma anche la sua dignità. O, almeno,
quel che ne resta.
di Fausto Cruschelli