La scoperta delle particelle atomiche - liceoxxvaprile.it · Gli ioni si rappresentano indicando in...

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08/11/2018 1 La teoria atomica di Dalton si rivelò inadeguata quando, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, furono individuate alcune proprietà della materia che non si riusciva a spiegare: i fenomeni elettrici la radioattività Gli esperimenti sull’elettricità, condotti prima da Volta e poi da Faraday, indicavano la presenza nella materia di particelle dotate di carica elettrica. La radioattività, scoperta da Becquerel, faceva supporre la presenza di particelle altamente energetiche e diverse dagli atomi, in grado di diffondere nell’ambiente. L’elettricità è nota fin dai tempi dei greci: essi avevano notato che l’ambra (elektron, in greco) strofinata attraeva pezzetti di altra materia e addirittura un ripetuto strofinio poteva dare origine a scintille. Nell’800 Alessandro Volta dimostrò che le reazioni possono generare una corrente elettrica e Michael Faraday scoprì che era possibile il processo inverso: una corrente elettrica può provocare una reazione. Ciò implica che negli atomi devono esistere cariche elettriche

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La teoria atomica di Dalton si rivelò inadeguata quando, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, furono individuate alcune proprietà della materia che non si riusciva a spiegare:

i fenomeni elettrici

la radioattività

Gli esperimenti sull’elettricità, condotti prima da Volta e poi da Faraday, indicavano la presenza nella materia di particelle dotate di carica elettrica.

La radioattività, scoperta da Becquerel, faceva supporre la presenza di particelle altamente energetiche e diverse dagli atomi, in grado di diffondere nell’ambiente.

L’elettricità è nota fin dai tempi dei greci: essi avevano notato che l’ambra (elektron, in greco) strofinata attraeva pezzetti di altra materia e addirittura un ripetuto strofinio poteva dare origine a scintille.

Nell’800 Alessandro Volta dimostrò che le reazioni possono generare una corrente elettrica e Michael Faraday scoprì che era possibile il processo inverso: una corrente elettrica può provocare una reazione.

Ciò implica che negli atomi devono esistere cariche elettriche

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La scoperta della radioattività viene attribuita ad Henri Becquerel nel 1896.

Egli per caso scoprì che alcuni minerali erano in grado di emettere energia.

Più tardi i coniugi Pierre e MarieCurie arrivarono a distingueretre diverse modalità di emissioneche chiamarono radioattività,dal nome del minerale (il radio)sui cui stavano lavorando.

Esistono quindi:

1. radiazioni , poco penetranti, identificabili come particelle con carica positiva

2. radiazioni , più penetranti delle precedenti, identificabili anch’esse come particelle ma con carica negativa

3. radiazioni , con altissimo potere penetrante, non di natura corpuscolare e prive di carica elettrica

Dato che queste radiazioni venivano emesse da diversi elementi, se ne doveva concludere che l’atomo, sinora considerato indivisibile, fosse in realtà composto da particelle dotate di carica e di un’elevata quantità di energia.

Il problema successivo fu quello di identificare queste particelle e determinarne le loro caratteristiche essenziali.

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Le principali particelle atomiche sono state scoperte attraverso le esperienze condotte su scariche elettriche nei gas.

Se un gas viene portato a bassissime pressioni e sottoposto a scariche elettriche di elevato potenziale emana una luminosità il cui colore dipende dal gas: è il fenomeno su cui si basanoi “tubi al neon”.

Nella seconda metà dell’800 William Crookes ideò un’apparecchiatura con cui esaminare il comportamento dei gas in queste condizioni.

Consiste in un tubo di vetro collegato ad una pompa e provvisto alle estremità di due piastre metalliche, dette elettrodi, collegate ai poli di una batteria da 10.000 volt.

Il tubo viene riempito di gas e quindi collegato ad una pompa aspirante in grado di far diminuire progressivamente la pressione.

Intorno a 0,4 atmosfere si nota la comparsa di una scintilla che percorre tuttoil gas, se la pressionediminuisce ancora lascintilla scompare ed il gasemette una luce colorata.

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A pressioni di circa 10−3 atmosfere intorno al catodo si forma una zona scura che pian piano si estende per tutto il tubo mentre il vetro di fronte all’anodo emette una debole luminescenza verde, uguale per tutti i gas.

Si pensò che questo fosse dovuto a particolari radiazioni che, originatesi dal catodo, si dirigevano verso l’anodo.

Ciò fu confermato dall’osservazione che un oggetto interposto tra il catodo e l’anodo provocava un’ombra che lo riproduceva.

A questi raggi fu dato il nome di raggi catodici.

Uno dei primi ad interessarsi dei raggicatodici fu, nel 1897, Joseph Thomson.

Innanzitutto egli dimostrò che taliraggi erano di natura corpuscolare,costituiti cioè da particelle: potevanofar ruotare un piccolo mulinello interposto sul loro cammino.

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Passò quindi a determinarne le proprietà e scoprì che avevano una carica negativa poiché venivano deviate verso il polo positivo.

Queste particelle, alle quali fu dato il nome di elettroni e simbolo e–, possedevano una massa estremamente piccola: 9,109∙10−31 kg.

Nel 1909, con un geniale esperimento,Robert Millikan riuscì a determinareil valore della carica dell’elettrone:-1,602·10−19 Coulomb, e poiché questarisultò essere anche la più piccolaquantità di carica elettrica maideterminata, le fu convenzionalmenteassegnato il valore unitario -1.

Tutte le cariche elettriche negative esistenti in natura sono multipli interi della carica di un elettrone.

Poiché la materia è elettricamenteneutra, la scoperta dell’elettroneportò immediatamente a supporrel’esistenza di una particella positiva.

Verso la fine del XIX secoloEugene Goldstein effettuò altri esperimenti con i tubi di Crookes, che aveva però modificato: il catodo era costituito da una piastrametallica forata.

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In questo modo notò che non diventava fluorescente solo il vetro davanti l’anodo, ma anche quello dietro il catodo.

C’erano dunque altri raggi che viaggiavano dall’anodo verso il catodo e che Goldstein chiamò raggi anodici.

Questi raggi non erano visibili in precedenza perché venivano fermati dalla piastra metallica del catodo.

Si appurò che tali raggi erano particelle dotate di una carica positiva di valore identico a quella degli elettroni: +1,602∙10−19 C.

A queste particelle fu dato il nome di protoni con simbolo p+ e ad esse, analogamente agli elettroni, fu convenzionalmente assegnato il valore unitario di carica +1.

A differenza degli elettroni, i protoni hanno però una massa 1836 volte più grande: 1,673∙10−27 kg.

Anche tutte le cariche elettriche positive esistenti in natura sono multipli interi della carica di un protone.

Inoltre, poiché i protoni erano dotati di una massa considerevolmente maggiore di quella dell’elettrone, ad essi fu assegnato anche il valore unitario di massa atomica corrispondente ad 1 u.m.a. (unità di massa atomica).

Apparve allora chiaro che la massa di un atomo dipendeva essenzialmente dal numero di protoni presenti, poiché gli elettroni vi contribuivano solo in misura trascurabile.

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Molte proprietà della materia eranoperfettamente spiegabili ricorrendosolo ai protoni e agli elettroni.Sembrava quindi perfettamente logicoaspettarsi che nell’atomo vi fosserosolo queste due particelle.

Nel 1932, però, James Chadwick, utilizzando un particolare strumento, lo spettrometro di massa, eseguì alcuni interessanti esperimenti.

Lo spettrometro di massa consente di suddividere gli atomi di un certo elemento, dopo averlo vaporizzato, in base alla loro massa.

Analizzando con questo strumento alcuni elementi, Chadwick scoprì che la massa atomica di un elemento non coincideva con il numero di protoni.

Ad esempio l’atomo di neon risultava avere massa 20 uma, pur possedendo solo 10 protoni.

Egli fu quindi costretto ad ammettere la presenza (e successivamente ne dimostrò l’esistenza) di un terzo tipo di particella, priva di carica ma con una massa pari a quella del protone.

A tale particella fu dato il nome di neutrone con simbolo n, essa risultò avere massa 1,675∙10−27 kg.

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Poiché le particelle atomiche sono le stesse in tutti gli atomi, ciò che rende diverso un atomo dall’altro è solo il loro numero.

E allora:

quante di queste particelleci sono in un certo atomo?

Il numero di protoni in un atomo è detto numero atomico, è indicato con il simbolo Z e caratterizza il tipo di atomo.

Per esempio tutti gli atomi con 6 protoni sono atomi di carbonio, tutti quelli che ne hanno 15 sono atomi di fosforo e così via.

Il numero atomicosi ricava dalla tavolaperiodica.

numero atomico

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Se cambiassimo il numero di protoni di un atomo cambierebbe, di conseguenza, anche il tipo di atomo.

Così se potessimo aggiungere un protone all’atomo di magnesio, il cui numero atomico è 12, si otterrebbe un atomo con numero atomico 13, cioè un atomo di alluminio.

ferro: numero atomico 26oro: numero atomico 79

Il valore di Z per ciascun atomo è dunque una caratteristica importante perché:

▪ è diverso da un elemento all’altro, costituendo una sorta di “identificatore” dell’elemento stesso che ne permette il riconoscimento (in effetti, oltre al simbolo, si potrebbe, identificare ciascun atomo attraverso il proprio numero atomico)

▪ da esso dipendono la maggior parte delle proprietà caratteristiche dei diversi atomi

Qualora, oltre al simbolo di un elemento, risulti opportuno indicare anche il suo numero atomico, questo va scritto in basso a sinistra del simbolo.

Per esempio:

1H 8O 92U

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In un atomo neutro il numero degli elettroni corrisponde esattamente a quello dei protoni, così che la carica complessiva sia esattamente 0.

Gli elettroni però, a differenza dei protoni, possono variare di numero nello stesso atomo.

Se in un atomo aumentiamo o diminuiamo il numero degli elettroni cambia la carica elettrica totale: il numero delle cariche positive (protoni) non è più uguale a quello delle cariche negative (elettroni).

Un atomo la cui carica totale è diversa da 0 viene detto ione.

In particolare, avremo uno ione positivo quando gli elettroni sono meno dei protoni ed uno ione negativoquando invece sono in maggior numero.

Un atomo, tuttavia, non può indifferentemente perdere od acquistare elettroni, la sua tendenza è unica: o li perde o li acquista.

Avremo così atomi che tendono costantemente a perdere elettroni trasformandosi in ioni positivi, ed atomi che invece tendono costantemente ad acquistarli trasformandosi in ioni negativi.

I primi vengono detti metalli, i secondi non-metalli.

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Gli ioni si rappresentano indicando in alto a destra del simbolo atomico il numero di cariche elettriche (positive o negative) eccedenti.

Per esempio:

Na+ Al+ + + Cl− S− −

I protoni in un atomo sono variabili: vi sono atomi che pur, avendo gli stessi protoni ed elettroni, possiedono un diverso numero di neutroni.

Per esempio si conoscono atomi che hanno:16 protoni, 16 elettroni e 14 neutroni16 protoni, 16 elettroni e 15 neutroni16 protoni, 16 elettroni e 16 neutroni16 protoni, 16 elettroni e 17 neutroni.

Ora, poiché tutti questi atomi hanno un identico numero di protoni che è il loro carattere distintivo, dobbiamo chiamarli tutti allo stesso modo: gli atomi con numero atomico 16 sono tutti atomi di zolfo.

Come distinguere, allora, questi atomi uno dall’altro?

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Poiché i neutroni sono privi di carica elettrica, la carica totale dell’atomo rimarrà sempre la stessa qualunque sia il numero di neutroni.

Ma al neutrone (e al protone) viene assegnato un valore unitario di massa atomica, ne deriva allora che la somma dei protoni e dei neutroni di un atomo fornisce il valore della massa totale.

Definiamo quindi numero di massa la somma di protoni e di neutroni presenti nell’atomo e tale numero viene indicato con il simbolo A.

Se il numero dei neutroni aumenta, aumenta anche la sua massa; se invece diminuisce, quest’ultima pure diminuisce.

Siccome il valore di Z rimane sempre lo stesso (i protoni infatti non variano), avremo di conseguenza atomi dello stesso tipo ma con diversa massa: atomi con queste caratteristiche vengono detti isotopi.

I diversi isotopi si identificano riportando il nome dell’elemento seguito dal valore di A.

Simbolicamente il valore di A viene riportato in alto a sinistra del simbolo atomico: 32S, 33S, 34S, 36S.

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È evidente che conoscendo sia Z che A di un certo isotopo se ne può facilmente determinare il numero dei protoni e dei neutroni: i protoni sono uguali a Z, mentre i neutroni sono uguali ad A meno Z.

Quando si riporta il nome dell’elemento senza specificare alcun numero di massa si intende un qualsiasi isotopo di quell’elemento.

È necessario a questo punto fare una precisazione che sinora abbiamo trascurato: la differenza tra la massa atomica di un singolo atomo e la massa atomica di un elemento.

Quando ci si riferisce ad un singolo atomo è ovvio che si vuol considerare quell’atomo particolare, o meglio quel particolare isotopo.

In questo caso la massa atomica è la somma dei protoni e dei neutroni posseduti da quell’atomo ed è sempre un numero intero.

Se invece ci si riferisce ad un elemento in generale non ci interessa un isotopo in particolare, ma un qualunque atomo che faccia parte di quell’elemento.

In questo caso la massa atomica dell’elemento non può essere la somma dei protoni e dei neutroni: se così fosse, su quale atomo dovremmo calcolarla?

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Si potrebbe pensare di fare una media dei vari isotopi, ma così facendo si commetterebbe un errore: non si terrebbe, infatti, conto del fatto che i diversi isotopi sono presenti in natura in percentuali diverse.

Per ovviare a questo inconveniente si ricorre allora alla cosiddetta “media ponderata”, ovvero alla media calcolata tenendo conto dell’abbondanza dei vari isotopi in natura.

L’esistenza degli isotopi giustifica il fatto che la massa atomica di un elemento quasi mai è un numero intero, nonostante si sia convenzionalmente attribuito il valore unitario alla massa di protoni e neutroni e che questi siano presenti per intero e non frazionati.

La scoperta degli isotopi ha inoltre reso necessario ridefinire l’unità di massa atomica: essa non è più data dalla massa del singolo protone o neutrone, ma è attualmente definita come la dodicesima parte della massa dell’isotopo 12 del carbonio.