La sala da tè dell'orso malese (ed. 2012) David Rubín

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Torna in una nuova ristampa il graphic novel che ha illuminato l'ascesa del talentuoso David Rubìn all'Olimpo dei fumettisti più apprezzati d'Europa. Una sala da tè è il punto di partenza, che dà adito ad ogni tipo di storia e permette a Rubín di esplorare tantissime situazioni, personaggi e, perfino, generi. Quella di Sigfrido, l'orso saggio che offre da bere ai più diversi ospiti protagonisti dei vari racconti, è più di tutto una sala di sostegno terapeutico. Ogni singolo cliente porta con sé il proprio inferno personale, in cerca di una consolazione. Storie tristi e storie felici, sempre poetiche, drammi di ogni giorno, sogni d'amore e gloria.

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Prospero’s Books«Noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni...»

(Prospero, da La Tempesta di William Shakespeare)

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David Rubín

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La sala da té dell’orso malese (ed. or. La tetería del oso malayo)Collana «Prospero’s Books» n. 22I edizione: ottobre 2009

Copyright © 2006-2009 text and illustrations by David Rubín/Astiberri Ediciones© Enrique Ventura, per il prologo© José V. Galadí, per il testo Il perché di tanta sofferenzaFirst published by agreement with Astiberri Ediciones.All rights reserved.

Soggetto, sceneggiatura e disegni: David RubínTraduzione: Alessandra PapaLettering e grafica di copertina: TunuéCopertina e illustrazioni interne: David Rubín

Per l’edizione italiana Copyright © 2009 Tunué S.r.l.

Direzione editoriale: Massimiliano Clemente

Tunué S.r.l.Via Bramante 32 – 04100 Latina – Italytel. 0773 661760 | fax 0773 [email protected] | www.tunue.com

ISBN-13, GS1 978-88-89613-68-9

Finito di stampare nel mese di ottobre 2009 presso:Arti Grafiche Civerchia S.r.l.Via Pantanaccio 82/B04100 Latina – Italy

Carta:Hello Silk + 300 g/m2 (copertina)GardaMatt Art 150 g/m2 (interni)La sala da té dell’orso malese è stampato su carta «amica delle foreste» certificata FSC

Di David Rubín presso Tunué:Dove nessuno può arrivare (Collana «Prospero’s Books» n. 7)Album David Rubín (Collana «Album» n.11)

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David Rubín nasce a Ourense nel 1977, stu-dia disegno grafico e si lancia nel mondo del fu-metto, dell’animazione e dell’illustrazione, tutti settori molto difficili e imprevedibili.

La sua prima opera lunga è El Circo del de-saliento, che gli vale la nomination come autore rivelazione al Salone internazionale del fumetto di Barcellona nel 2006, ottiene il Premio Caste-lao ed è pubblicata in galiziano, spagnolo, italia-no (Dove nessuno può arrivare, Tunué, 2007) e francese.

Il suo successivo graphic novel, La tetería del oso malayo, anch’esso pubblicato in Francia, Italia (La sala da tè dell’orso malese, Tunué, 2009) e Repubblica Ceca, ottiene quattro nomi-nation al Salone internazionale del fumetto di Barcellona del 2007, vince il Premio per l’au-tore rivelazione e lo accredita come finalista del Primo premio nazionale del fumetto. Nel pal-marès internazionale di questo fumetto figurano premi come quello di Migliore opera straniera del 2009 al Komikfest di Praga o del Migliore autore straniero al Festival di Sarzana, Italia.

Successivamente, con Cuaderno de tormen-tas, è di nuovo nominato per il Miglior disegno al Festival di Barcellona. Partecipa alla direzio-ne di Espíritu del bosque, un lungometraggio di animazione 3D, e riadatta il fumetto Romeo y Julieta (Romeo e Giulietta, Tunué, 2010), di William Shakespeare, e El monte de las ánimas, di Gustavo Adolfo Béquer.

Il suo spirito creativamente inquieto lo porta a illustrare la collezione di racconti su Solomon Kane, di Robert E. Howard, e interpretare il cor-tometraggio di Marcos Nine Radiografía de un autor de tebeos.

Nel suo ultimo libro, L’Eroe (Tunué, 2011), rielabora secondo un gusto spiccatamente pop il mito di Eracle e delle sue dodici fatiche, arric-chendolo di contaminazioni fra mondo antico e fantascienza.

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David Rubín

La sala da tè

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Sia chiaro che non ho mai scritto un prologo e che, a meno che non abbia puntata una pistola, mai più ne scriverò altri. Ma David Rubín è un’eccezione.

Che dire di David Rubín che non abbiano già detto insigni poeti come Miguelanxo Prado e Carlos Portela sul suo precedente lavoro El circo del desaliento (dal quale è stato estratto Dove nessuno può arrivare, pubblicato in Italia dalla Tunué). Che dire. Per tutti quelli che non hanno avuto nelle mani quella piccola opera d’arte, il mio consiglio è di non perderla o non avrò altro rimedio che raccontarvi in questo prologo dello spartano dedito ai sogni e al liquore al caffè. So però che i consigli se ne vanno al vento, così come le buone intenzioni o gli spari a salve dei poliziotti, e quindi non mi rimane altro rimedio (e ho più espedienti del cavallo del Generale Espartero!) che raccontar-vi il passato di colui con cui ce la giochiamo.

Questo orensano è, almeno per me, la grande speranza del fumetto. Va bene, non è l’unico, ma è tra i due migliori e l’altro è quello che mi regala il prosciutto a Natale, quindi lasciamolo da parte per il momento. Rubín mi ha ridato la fede nella storia grafica sequenzia-le che io associavo sempre a diversi interessi commerciali. Ho perso le speranze quando durante i grandi eventi di fumetti venivano sponsorizzati i mitici supereroi (che Dio con-fonda) con la scusa della loro commerciabilità. Quando si dava sfoggio del fumetto pensando fosse un valido mezzo di espressione perché il cinema aveva messo in scena personaggi del calibro di Hulk, Superman o la Pattuglia X, ecc.

Il brutto è che non solo io persi la fede ma anche tutta quella gente a cui dava un po’ noia farsi vedere in pubblico con un fumetto in mano.

Per sciocchezze del genere i non iniziati stavano perdendo David Rubín.

Occorse il coraggio di certe case editrici che rischiarono e il talento di un pugno di autori af-finché la cosa non finisse in disastro. Rubín è, non c’è dubbio, il capofila in questo contesto (e che sia chiaro: non voglio il prosciutto poiché il medico mi ha messo a dieta).

È molto difficile, e in pochi ci sono riusciti, tirarti dai capelli e immergerti in una storia, che tu sappia o meno nuotare. Quella simbiosi

autore-lettore. Non è necessario saper respi-rare in questa atmosfera asfissiante voluta intenzionalmente da David Rubín per non farti dormire la notte. È di più, in uno sfoggio bergmaniano, ti da indicazioni per immergerti nelle pagine secondo un tuo criterio. Ti puoi identificare, sentirti critico, consolatore o in guerra con quel mondo e quei personaggi, ma mai estraneo. Il risultato sarà che avrai un nodo in gola che ti farà venire voglia di gridare basta! a quella luna che un giorno qualsiasi potrebbe trasformarci in vampiri.

Queste lenti che riescono a vedere come va il mondo potevano soltanto provenire da una cultura ancestrale, spirituale e per niente eclet-tica come può essere la nordica, in questo caso la Galizia terra di streghe, eroi, giganti e nani, di demoni e angeli (perlomeno una Angelines la conosco). Ma attenzione! Bisogna essere solo Rubín per capire di cosa si stia realmente parlando in mezzo a tante storie, bisogna «pela-re» fino in fondo le patate del bravo Donatello Semillas per conoscere gli esseri come potreb-bero essere sotto la maschera, cioè umani. Che razza di esseri e che razza di umani. Che peccato non poter restare con loro e conoscerli meglio, perché il contatto dura solo il soffio di poche pagine.

E, beh, del tratto posso solo dire che si fonde perfettamente con l’inchiostro di china. Voglio dire che queste storie non potrebbero essere capite con un altro disegno. Chissà potrebbero sembrarci espressionismo tedesco o magari le ricerche picassiane della Guerni-ca, o qualsiasi altro tratto perfetto, energico e spietato che sta lì solo e precisamente perché deve essere così.

Lettore, so che già sapevi abbastanza di chi e di come è questo giovane uccellaccio che ci offre parte della sua vita intima impressa nell’inchiostro di china, perché sennò non sta-resti leggendo questo, però mi esce dall’anima dirlo, senza aggiungere altro ed entreremmo a prenderci un bicchierino di grappa ne La sala da tè dell’orso malese.

Scommetti che dopo aver conosciuto Sigfrido e quella sviscerata e cenciosa clientela tornerai lì ogni volta che potrai?

Prologo di Enrique Ventura

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“Voglio che tu sia felice,sai già che ti amoed è per questo che preferisco che te ne vada.Lasciami con la mia solitudine”

Il mio viaggio - Camela

Tra l’autunno del 2002 e l’estate del 2005 ho avuto la grande soddisfazione di pubblicare gli undici numeri delle prima e delle seconde fasi di Dos Veces Breve, rivista di storie brevi autoconclusive che ha fruito di buone critiche piuttosto che vendite. Al momento di preparare la presente introduzione, mi rendo conto che David Rubín è stato, in assoluto, l’autore con più pagine pubblicate in quel fumetto. In pratica cinque delle otto storie brevi raggruppate nel volume presente.

Beh, questo non è completamente giusto: la prima storia breve, Dietro il bancone, nonostante venne pubblicata inizialmente in 2VB in due colori è stata ridisegnata per questa raccolta per una maggiore coerenza grafica con i racconti, dato che il tratto della versione iniziale era ancora troppo vicino all’animazione (settore che, a proposito, sostenta Rubín). E la seconda storia breve, La lucciola, che ho pubblicato inizialmente a colori, è stata rifatta completamente per, oltre ai motivi detti prima, adattarsi al formato di 24x17 cm di questo volume, dato che il formato iniziale da 30x21,5 cm non rendeva bene per niente.

Personalmente, non sono d’accordo a ridisegnare queste storie brevi. Mi piace che in queste antologie si percepisca l’evoluzione grafica dell’autore come succede in volumi tipo La morte umida di Max o Dall’assassinio all’Olimpo di Daniel Torres. Ma Rubín aveva ben chiara l’idea che in una raccolta di una serie completa, più che in una antologia, sarebbe stato meglio parlare di un romanzo grafico e ha preferito che regnasse tra le differenti storie brevi un minimo di conformità stilistica.

Il volume si completa con Patate, storia breve inizialmente a colori che Rubín disegnò per un concorso (e che a proposito ha vinto).

E con Antón in fiamme e Le cose che finiscono per rompersi, realizzate espressamente per questa edizione. Attenti alle vignette di Antón… che segnano, secondo me, il miglior momento grafico di David fino a oggi. Anche se mi domandassero qual è la mia storia breve preferita, risponderei senza dubbio che è Ordini (il genere antiguerra è sempre stato il mio favorito). Non sono male neanche Gira la chiave, che ha ricevuto gli onori delle prime pagine nel 2VB 5 e Giubbotto antiproiettili per una bambina che ha permesso a Rubín di rendere omaggio ad alcuni autori di manga che lo hanno influenzato come Akira Toriyama, Kazuo Koike e Goseki Kojima: l’occhiolino a Dragon Ball e a Lone Wolf and Cub in questa storia breve sarebbero evidenti anche a un cieco.

E dato che abbiamo toccato il tema degli autori che hanno influenzato Rubín, mi viene in mente, che quando l’ho conosciuto mi raccontò che già da piccolo leggeva Muñoz e Sampayo, Santiago Sequeiros, Javier Olivares, Teddy Kristiansen, Frank Miller, Jan, Akira Toriyama e Miguelanxo Prado. Autori ai quali aggiungo i suoi amici Victor Rivas e Miguel Robledo. Anche se si è ben guardato dal dire la sua maggiore influenza io l’ho scoperta ugualmente: una stucchevole serie animata chiamata Maple Town Monogatari.

A quel punto della conversazione, ero impressionato immaginando la catena inarrestabile che quelle letture e visioni avevano provocato nella sua mente e ho iniziato ad appassionarmi al suo lavoro fumettistico. Un lavoro che andava in due direzioni: professionale nel Golfiño e di fanzine in BD Banda e in Barsowia. Nella mia vanità di editore voglio credere che 2VB è stata una terza direzione semiprofessionale: con uno stipendio povero, ma con la libertà che l’unico vincolo fosse che la storia breve raccontasse qualcosa (e non sempre succede nei fumetti, oggi giorno…).

E dato che ho scritto sull’origine di queste storie brevi e sull’influenza e l’evoluzione che queste hanno avuto su Rubín, conviene adesso concentrarci sul titolo di questo testo: Il perché di tanta sofferenza. Mi spiego: noi amici di David ci prendiamo gioco dello

Il perché di tanta sofferenza di Jose V. Galadì

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sconforto dei personaggi principali dei suoi racconti. In particolare di quelli che hanno il cuore rotto dal disamore. E noi ridiamo perché i lettori di Rubín penseranno che lui, come persona, sia come quegli scrittori romantici, con una sensibilità a fior di pelle e una pena che se la porterà nella tomba dove cadranno le foglie morte e canteranno le nere rondini. Certo che no. Rubín è, al momento in cui timbra per uscire del lavoro, un accettabile edonista, espressione questa che nel prologo di un fumetto risulta meglio di teppistello incorreggibile.

Allora, cos’è che ha portato questo aitante ragazzotto ad andarsene a casa dopo aver passato più ore di quante ne ha un orologio nello studio di animazione, per chiudersi a fare pagine di fumetti come un forsennato? Noi che conosciamo il mondo dei fumetti sappiamo bene che non è per avere uno stipendio in più. O per ottenere fama e notorietà.

E allora, perché queste pagine sono piene di anime afflitte che si autoflagellano in ricordo di un amore perso? Che ne può sapere un’ubriacone di poco conto, come Rubín, del dolore, della nostalgia malaticcia, del pentimento, della disperazione? Perché il fatto curioso (e meraviglioso) di tutto questo, è che le storie brevi di David suggeriscono al lettore tutte le emozioni del personaggio: durante la lettura si percepiscono gli ultimi baci, i sorseggi di liquore al caffè, le frustate del vento nei contrafforti delle finestre. Leggi le sue pagine e qualcosa si aggrappa al cuore. Come ci riesce? Per caso Rubín rovescia nelle sue pagine qualcosa in più che influenze fumettistiche? È solo un puro lasciapassare o fa realmente penitenza per qualcosa? Rende frivoli sentimenti intensi e incurabili tipici di innamoramenti adolescenziali oppure davvero esorcizza i fantasmi della sua vita sentimentale?

Deliziosi dubbi. Vi lascio, fortunati lettori di questo volume, trovare le vostre risposte a partire da queste storie brevi. Se pretendete di trovarle passando una notte di baldoria con lui, l’unica cosa che riuscirete a fare sarà finire senza voce, con la gola bagnata da Estrella Galicia (bibita alcolica spagnola) che poi è come finisco sempre io.

La mia conclusione, se vi sta bene, è che con il fumetto aperto nelle mani i sentimenti di radicato abbattimento dei personaggi saranno vostri, così come le sensazioni di sollievo e di speranza con le quali terminano sempre questi racconti. La sua suggestione, al tuffarvi in questo album, vi darà una lettura di autenticità allo sconforto e alla tenerezza e legittimerà questa sofferenza. E comunque, alla fine, è finzione. E la finzione si giustifica solo quando ci trasmette qualcosa. Sotto questo aspetto, Rubín è la fottuta fibra ottica.

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…comincia a girare…

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01: dietro il bancone

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dietro il bancone un fumetto di

david rubín

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clienti assidui

(qualcosa più di un dramatis personae)

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Un articolo di Ruben Diván; esperto in grappa e

giornalismo da osteria.

Dopo aver frequentato per quattro giorni questo locale, la sala da tè dell’orso malese, il compito di scrivere queste parole per chi si firma sotto diventa difficile.

Mi spiego; questo non è un ambulatorio di tè e liquori. Secondo le parole del suo reggente e unico cameriere, Sigfrido, si tratta di un «consultorio psico-animico camuffato da sala da tè».

È impossibile trovare una definizione migliore.

Da quando tiene in vita questo locale, Sigfrido è riuscito a fare un buco nei cuori di gran parte degli abitanti di questa piccola città. Come osserva Edgardo Mediohombre, uno dei clienti che frequenta più spesso il locale, «Sigfrido è un totem, una istituzione; da quando ricordo è parte indispensabile di questa città».

Parole giuste, ma mai così lontane dalla realtà, perché ciò che molti clienti dell’orso malese non sanno è che né Sigfrido né il suo locale sono sempre stati qui.

Clienti assidui

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Secondo il locandiere, «è stato venti o trent’anni fa, non ricordo molto bene, vivevo in un posto molto lontano. In quel momento, l’idea di dedicarmi all’ospitalità non mi balenava assolutamente per la testa».

Sigfrido, man mano che va avanti nel racconto, disegna un gesto amaro sul suo viso, di una tristezza mal riposta: «a un certo punto successe qualcosa… qualcosa che mi obbligò a ricostruire la mia vita da zero, a fuggire da ciò che ero,

lontano da tutto quello che conoscevo».

Attonito, assisto al racconto del sopravissuto di un naufragio atroce: «…persi le due persone che amavo di più in questo mondo. Questo fece sì che tutto quello che reggeva la mia vita,

all’improvviso, perdesse senso».

Senza sapere bene perché decise di iniziare ad andare in giro per il mondo, forse con la speranza che ogni passo lo allontanasse un po’ di più dalla terribile ombra del passato.

Un oscuro passato

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Reinventare sé stessoNel fuggire da sé stesso, Sigfrido ha scalato montagne, ha attraversato deserti, ha navigato di paese in paese e finalmente ha messo piede in questa piccola città dove ha

deciso di passare il resto dei suoi giorni. C’è una spiega-zione a questa decisione: «all’entrata della città richiamò la mia attenzione un cartello con scritto “BENVENUTO”,

e interpretai quel messaggio come un segno, come qualcosa che mi indicava che avevo raggiunto la mia meta».

Così l’intrepido locandiere, giovane all’epoca, decise di get-tare l’ancora, terminare la sua fuga e mettere radici «…e con i

risparmetti di tanti viaggi aprii la sala da tè».

Dopo aver ascoltato questo racconto ci si può spiegare il perché di tanto successo di questo locale nel passare degli anni: le sue pareti, le mattonelle del suolo, l’infinita offerta di infusioni e li-

quori sono tutte impregnate di vita, di mille battaglie combattute, di lezioni imparate.

È impossibile non appoggiarsi al bancone con il primo sorso di tè, iniziare a recitare la propria vita a Sigfrido, a menadito, come un libro aperto.

«Mi è sempre piaciuto ascoltare le storie degli altri», mi dice; «e aiu-tare per quello che posso la gente che viene qui; questa è la migliore terapia per me, oltre che essere un edificante divertimento che mi aiuta a tessere le fila dei miei giorni con un sorriso in viso».

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Clienti illustri Tra gli assidui frequentatori della sala da tè dell’orso malese scopro, con mia grande sorpresa, che Adam Kent il famoso supere-roe, è uno di loro. «È un buon amico Adam. Sono molti anni che viene qui, un uomo nor-malissimo» mi confessa Sigfrido. «Quando lo vedo seduto al bancone leggendo il giornale, mi risulta difficile pensare che lui, se volesse, sarebbe capace di cambiare l’asse di rotazione del pianeta con un semplice starnuto».

Ma Adam non è l’unico supereroe che porta a spasso la sua calzamaglia nella sala da tè: «… c’è anche Caetano Crayón, che prima della sua terribile e recente cecità era il super-protettore di questa città, è uno dei miei clienti più fedeli e incondizionati».

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Il segreto del successoLa fauna umana che popola la sala da tè di Sigfrido non ha fine, e il segreto del buon funzionamento di questo affare è, secondo il suo padrone, «saper ascoltare, aiutare il più possibile sempre con discrezione e servire infusi e liquori con il cuore, pensando alla persona che li berrà. C’è una grande varietà di liquori, infusi, uno per ogni stato d’animo, bisogna solo osservare il cliente che vai a servire per offrirgli il più adeguato, quello che riuscirà a farlo sentire bene, dato che la gente che viene a questo locale fugge dai suoi problemi, cercando risposte o sono semplicemente disorientati la maggior parte delle volte; il mio compito è ascoltarli e far sì che, almeno fino a quando si trovano sotto il tetto della mia sala da tè, si sentano il meglio possibile».

Prendete nota, colleghi del mestiere!

Così si fanno le cose!

Finiamo l’intervista brindando con un ottimo distillato e con la ferma promessa da parte di chi sottoscrive queste righe, di tornare ad appoggiare i gomiti il prima possibile sul bancone della sala da tè dell’orso malese.

Ruben Diván

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…si ferma

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Nota aggiuntiva:

La sala da tè dell’orso malese gli vale quattro nominations ai premi della XXV edizione del Salone internazionale del fumetto di Barcellona: Mi-glior opera nazionale, Miglior sceneggiatura, Miglior disegno e Autore rivelazione, vincendo poi il premio in quest’ultima categoria. Il graphic novel è stato vincitore anche dei Premi della critica 2007 nella cate-goria Miglior opera dell’anno e ha permesso all’autore di concorrere come finalista nella Prima edizione del Premio nazionale di fumetto.Membro fondatore e disegnatore attivo del collettivo di autori di fumetto Polaqia, attualmente Rubín concilia il suo lavoro come au-tore di fumetto e illustratore con quello di regista di cinema di animazione per la casa di produzione Dygra Films, per la quale ha codiretto, insieme a Juan C. Pena, il lungometraggio di ani-mazione 3D Spirito del Bosco e sta preparando il suo secondo lungometraggio: Holy Night!?.Ora risiede a La Coruña, ha un gatto, disegna nei bar e balla l’agarrao – danza tipica della Galizia – con sollecitudine e sen-za vergogna.Nonostante presuma che si tratti di un essere di bassa specie, devo ammettere che ha ricevuto diversi premi, tra i quali il Premio Injuve 2006 come fumetto comico promosso dal Ministero della Cultura, il Premio Castelao de Comic 2005 della Deputacion de A Coruña e il premio Na vangarda della Xunta de Galicia.

Che gli prenda un colpo!

Al chiudere questo articolo mi arriva la voce dell’esistenza di un biografo non autorizzato di Sigfrido. Il nome dello sfacciato scrittore è David Rubín, nato a Ourense, terra di ponti e liquore al caffè, un 19 ottobre del 1977.

Grazie alle mie ricerche scopro che questa biografia non è l’unica opera, dato che nel 2005 ha pubblicato con Astiberri, El Circo del desaliento, opera che gli vale il premio come autore rivelazione dell’anno nel weblog specializzato in fumetti www.lacarceldepapel.com e con una nomination, con la storia Dove nessuno può arrivare (Tunué, 2007), nella stessa sezione al Salone internazionale del fumetto di Barcelona nel 2006.Ha pubblicato in galiziano, la sua lingua madre, Corazon de tormentas per Polaquia e in Portogallo, le Ediciones Polvo hanno pubblicato un’antologia dei suoi lavori sui supereroi che fanno finta di esserlo: Os deuses caidos.

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