La Russia di fronte alla crisi Russia di fronte alla crisi... · re l’atteggiamento conflittuale...

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La Russia di fronte alla crisi Prospettive e ruolo dell’Italia Aldo Ferrari, ISPI e Università Ca’ Foscari di Venezia Carlo Frappi, ISPI e Italian Center for Turkish Studies Serena Giusti, ISPI e Università Cattolica di Milano Anna Marra, Banca d’Italia Tomislava Penkova, ISPI Adriano Roccucci, Università Roma Tre Il presente Rapporto è stato realizzato nell’ambito del progetto Osservato- rio di politica internazionale, promosso dalle Amministrazioni del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e del Ministero degli Affari e- steri e realizzato in collaborazione con autorevoli Istituti di ricerca

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La Russia di fronte alla crisi Prospettive e ruolo dell’Italia

Aldo Ferrari, ISPI e Università Ca’ Foscari di Venezia Carlo Frappi, ISPI e Italian Center for Turkish Studies Serena Giusti, ISPI e Università Cattolica di Milano Anna Marra, Banca d’Italia Tomislava Penkova, ISPI Adriano Roccucci, Università Roma Tre

Il presente Rapporto è stato realizzato nell’ambito del progetto Osservato-rio di politica internazionale, promosso dalle Amministrazioni del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e del Ministero degli Affari e-steri e realizzato in collaborazione con autorevoli Istituti di ricerca

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Indice

Executive Summary............................................................................................... p. 4

PARTE PRIMA Le dinamiche interne

Quadro di sintesi...................................................................................................... 10 1. La crisi economica mondiale e l’impatto sulla Russia ................................. 10 1.1 Dal default del 1998 alla relativa solidità economico-finanziaria:

dieci anni di crescita........................................................................................... 10 1.2 L’impatto della crisi sul sistema finanziario: concorso di fattori interni ed esterni ................................................................... 11 1.3 L’impatto della caduta del prezzo del petrolio sull’economia reale:

recessione dopo dieci anni di crescita ............................................................... 12 1.4 La Russia a rischio di default?

Un’ipotesi teoricamente possibile ma improbabile ............................................. 12 2. Le sfide per l’Esecutivo e i possibili riflessi sulla politica interna .............. 13 2.1 Le responsabilità della classe politica:

riforme mancate ed eredità economica della presidenza Putin ........................ 13 2.2 L’impatto della crisi sugli equilibri politici:

il consenso al Governo deriva anche dalla mancanza di valide alternative ....... 14 2.3 L’eredità politica del Governo Putin:

mentalità sovietica e democrazia “Russian style” .............................................. 15 2.4 La crisi come opportunità per un riequilibrio di forze e i fattori di rischio ........... 16

PARTE SECONDA La proiezione esterna

Quadro di sintesi...................................................................................................... 20 1. Le linee strategiche della politica internazionale........................................... 21 1.1 Il ritrovato status di grande potenza:

dal potere militare alla leva energetica............................................................... 21 1.2 Il concetto di mondo multipolare quale elemento chiave

della politica estera ........................................................................................... 22 1.3 La “cooperazione multivettoriale”, la network diplomacy e

la preferenza per i rapporti bilaterali .................................................................. 23 1.4 La posizione geografica tra Europa e Asia: un fattore determinante................. 23 2. La proposta russa di una nuova architettura europea di sicurezza............ 23

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2.1 I cardini della proposta russa................................................................................. p. 24 2.2 Aspetti positivi della proposta: politica di distensione, approccio “soft” alle tematiche della sicurezza, sforzo comune per i conflitti “disgelati”............................................................... 25 2.3 Criticità della proposta: il ruolo futuro della NATO,

il “declassamento” dell’Europa e l’acuirsi delle tensioni tra stati membri .......... 26 3. Lo stato del negoziato UE-Russia e i margini di azione dell’Italia ............... 27 3.1 La questione energetica: mancata coesione dell’UE, e debolezza di fronte alla preferenza russa per il bilateralismo e la logica del divide et impera.............................................................................. 28 3.2 Ulteriori aree di criticità nei rapporto UE-Russia: diritti umani, riconoscimento del Kosovo, conflitto russo-georgiano e ulteriore ampliamento della NATO.......................... 28 3.3 La posizione privilegiata dell’Italia e le possibilità di azione e mediazione ........ 29 4. La Russia nelle organizzazioni internazionali ............................................... 30 4.1 La volontà di adesione all’OMC e all’OCSE ...................................................... 30 4.2 I rapporti con la NATO....................................................................................... 31 4.3 La partecipazione della Russia a network regionali

nell’area eurasiatica e asiatica........................................................................... 32 4.4 La Shanghai Cooperation Organization (SCO) ................................................. 32 4.5 La posizione dell’Ue sulle organizzazioni regionali............................................ 33 Note ......................................................................................................................... 35

Approfondimenti

1. La transizione verso la democrazia................................................................ 41 1.1 Quale approccio per l’Occidente?...................................................................... 43 1.2 Quali implicazioni di policy?............................................................................... 45 2. La Russia e l’approvvigionamento energetico italiano ed europeo............ 46 2.1 L’approvvigionamento energetico in Italia ......................................................... 46 2.2 La dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia: la prospettiva europea ........ 49 2.3 Dalla soft alla hard security................................................................................ 53 2.4 I vantaggi dell’“apertura controllata” dell’Italia alla Russia................................. 54 3. Russia, Caucaso meridionale, Ue: prospettive strategiche e culturali....... 56 3.1 La posizione dell’Ue e della comunità internazionale ........................................ 56 3.2 Possibili nuove forme di aggregazione sub-regionale ....................................... 59 3.3 La via della collaborazione culturale.................................................................. 60 Note ......................................................................................................................... 62 Sigle e abbreviazioni ............................................................................................. 63

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Executive Summary -

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Executive Summary

Il ritorno della Russia sulla scena mondiale

A partire dal 2000 la Russia è tornata progressivamente a imporsi come attore di prima grandezza della scena politica internazionale. Un ritorno dovuto in parte alla guida efficace di Vladimir Putin, ma soprattutto a una sostenuta crescita e-conomica basata sugli alti prezzi dei prodotti energetici, dei quali la Russia è tra i maggiori esportatori a livello mondiale.

Tale evoluzione si è accompagnata a rilevanti aspetti critici, dalla brutale re-pressione in Cecenia al progressivo restringimento della libertà politica e di espressio-ne, dalla crescente assertività in aree ritenute di fondamentale interesse strategico – in particolare nel Caucaso, come è avvenuto nel caso della guerra russo-georgiana dello scorso agosto – all’uso della leva energetica per esercitare pressioni politiche sui paesi ex-URSS, con ricadute rilevanti anche sull’Europa (come si è visto in occasione del ri-petersi della crisi russo-ucraina).

Sulla scia di questi fenomeni si è iniziato a parlare della possibilità di una nuova “guerra fredda” tra Occidente e Russia: una guerra non soltanto strategica e politica ma anche economica. Di fronte a tale prospettiva, l’Unione Europea dovrebbe indivi-duare nei confronti di Mosca un atteggiamento che eviti sia una pregiudiziale ostilità sia la tentazione del “business as usual”. E’ necessario, invece, definire una strategia coe-rente, la quale - senza venir meno ai principi politici europei - riesca a stabilire con la Russia un rapporto di collaborazione concreto e consapevole delle dinamiche reali di questo paese, secondo una logica di tipo “win-win”, ossia di mutuo benefi-cio per le parti.

Un atteggiamento di “apertura” nei confronti della Russia e di collaborazione tra Russia e Occidente è reso ancora più necessario dalla crisi globale che stiamo attraversando e dalla forte interdipendenza tra le economie. Gli effetti della recessione rischiano di essere per la Russia di particolarmente gravità, a causa della forte flessio-ne del prezzo del petrolio e dei modesti risultati sinora ottenuti nella modernizzazione e diversificazione di un sistema produttivo tuttora fortemente dipendente dalle risorse energetiche. Una prolungata crisi economica potrebbe, infatti, pregiudicare non solo la posizione internazionale della Russia ma anche la sua stabilità interna.

Una politica europea coesa e razionale nei confronti della Russia appare quindi cru-ciale in questo momento. L’Unione Europea e l’Occidente dovrebbero abbandona-re l’atteggiamento conflittuale e antagonistico nei confronti della Russia, che si rivela controproducente sotto tutti i profili in quanto accresce la sensazione russa di minaccia e accerchiamento e contribuisce ad influenzarne negativamente le politiche interne ed esterne.

Alla luce di questa situazione, il presente lavoro si focalizza sulla sostenibilità

del modello economico e della politica di potenza russa nel lungo periodo, for-nendo elementi utili a mettere a fuoco i caratteri distintivi della nuova realtà rus-sa e della sua proiezione esterna.

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La crisi economica

La crisi globale ha bruscamente interrotto il più lungo periodo di espansione economica della storia russa. Passato pressoché indenne attraverso le turbolenze finanziarie dell’estate 2007, il paese non è stato, invece, risparmiato dalla caduta dei prezzi del petrolio e delle materie prime. Il concorso di fattori “importati” – minore do-manda di idrocarburi quale effetto della recessione – con altri di natura interna ha inne-scato una crisi di particolare gravità. Le possibilità che la Russia possa essere a ri-schio di default – come avvenuto nell’agosto del 1998 – sembrano comunque re-mote. Il paese è oggi molto più solido sotto il profilo finanziario (e politico) grazie alla prolungata fase espansiva, ma soprattutto a politiche fiscali e di bilancio prudenti. E-mergono, tuttavia, le responsabilità della classe dirigente da anni al potere, la quale non ha saputo modernizzare il paese affrancandolo dal circuito “esporta-zione materie prime - importazione prodotti finiti”. L’economia è tuttora eccessiva-mente dipendente dalle risorse naturali, come riconosciuto dallo stesso Putin all’ultimo “World Economic Forum” di Davos. Modernizzazione e diversificazione appaiono però oggi obiettivi ancora più difficili da ottenere, in considerazione della crisi e delle più limi-tate risorse finanziarie. Il Ministero delle Finanze ha adottato un “pacchetto” di mi-sure a sostegno del sistema industriale e finanziario per oltre 220 miliardi di dol-lari (pari al 15% del prodotto interno lordo), che stanno sortendo i primi positivi effetti e hanno comunque scongiurato un deterioramento del quadro complessivo. Altre misure sono allo studio. Il paese, tuttavia, deve sinceramente augurarsi che le misure adottate dai maggiori importatori di petrolio, in primis Stati Uniti e Giappone, siano efficaci. Una ripresa della domanda di idrocarburi, infatti, contribuirebbe a riportare in sostanziale equilibrio i principali indicatori economici e finanziari.

Le dinamiche interne

La durata e la gravità della crisi saranno un “banco di prova” per il tandem Pu-tin-Medvedev: recessione economica, forte aumento della disoccupazione e inflazione sopra le due cifre – unitamente al venire meno di benefici di retaggio sovietico – stanno incidendo pesantemente sugli strati più deboli della popolazione, tradizionale bacino elettorale per lo schieramento del premier “Russia Unita”. E’ da escludere, tuttavia, un cambiamento degli attuali assetti di potere, a motivo dell’assenza di alternative valide e quale effetto, altresì, della costante azione di contrasto ai movimenti di opposi-zione da parte del Governo. Anche nell’attuale difficile congiuntura, la popolarità della coppia Putin-Medvedev permane superiore al 70%. E’ invece ipotizzabile un riequi-librio di poteri all’interno dell’Esecutivo, che veda accrescere il peso della compo-nente più liberale (i cosiddetti “uomini di S. Pietroburgo”) rispetto alla componente più autoritaria (i cosiddetti “uomini della forza o siloviki”). La componente più liberale – e il Ministro delle Finanze in primis – appare infatti l’unica in grado di guidare il paese nell’attuale difficile fase congiunturale ed è dal successo o meno delle misure adottate per uscire dalla crisi che dipende, in ultima analisi, il sostegno della popolazione alla coppia Putin-Medvedev.

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La proiezione esterna

Le attuali difficoltà economiche pregiudicano anche le necessarie riforme militari, senza le quali la politica di potenza della Russia risulta poco sostenibile. In questo sen-so è molto significativo il taglio del 15% al bilancio della Difesa 2009 deciso nel feb-braio scorso. Nonostante le successive rassicurazioni del presidente Medvedev sul fat-to che la riforma militare possa essere comunque portata a termine secondo le modali-tà previste, non vi è dubbio che le aspirazioni di Mosca a recitare nuovamente un ruolo di primo piano nella scena strategica internazionale appaiono ampiamente pregiudicate dalla crisi economica.

Indipendentemente dall’evoluzione dell’economia russa nell’immediato futuro, non sembra però opportuno delineare un quadro eccessivamente negativo della situazione interna, né tanto meno basare su di esso l’approccio strategico da parte dell’Unione Europea e, in particolare, dell’Italia. Forse è proprio questo nuovo contesto a sug-gerire una nuova e più efficace strategia nei confronti della Russia: abbandonare l’atteggiamento antagonistico nei confronti di Mosca (eredità per alcuni paesi europei di antiche memorie storiche e per gli altri essenzialmente degli anni della guerra fredda) e mettere in discussione politiche che Mosca percepisce come minacciose nei propri confronti (in particolare l’ulteriore espansione della NATO verso Georgia e Ucraina e l’installazione di sistemi missilistici in paesi dell’Europa orientale).

La Russia come partner cruciale per l’Occidente, l’Europa e l’Italia

Nella situazione internazionale odierna la Russia deve essere considerata un par-tner cruciale, verso il quale occorre costruire una strategia chiara e condivisa. Un at-teggiamento di questo tipo sembra necessario per affrontare con equilibrio le sfide e le opportunità poste dalla Russia, a partire dalla sua proposta di una nuova architettu-ra di sicurezza. Un’opportunità alla quale l’Occidente - e in particolare l’Europa - non dovrebbero sottrarsi, in quanto l’attuale situazione è ancora in larga misura condiziona-ta dalle istituzioni (e per alcuni aspetti anche dalla mentalità) della guerra fredda, men-tre appare indispensabile elaborare una strategia che riesca a coinvolgere Mosca nella costruzione di un nuovo sistema internazionale.

Tale ricerca di una cooperazione stabile non dovrebbe peraltro limitarsi alla sfera strategica, ma coinvolgere anche quella politica e culturale. L’applicazione all’universo russo di parametri elaborati e calibrati sulle misure delle società occidenta-li - con il loro patrimonio di vicende storiche e sistemi culturali - non può, infatti, che ge-nerare illusioni e deformazioni prospettiche, che conducono a cortocircuiti culturali e politici al tempo stesso. Su tali fondamenti è difficile riuscire a mettere a punto politiche in grado di dare risultati. In questo ambito la via da percorrere deve essere essenzial-mente quella del confronto dialogico, che può anche presentare aspetti conflittuali e momenti di dissenso, ma nel quadro di un rapporto tra soggetti che si riconoscono re-ciprocamente uno status di parità, senza interferenze velleitarie e controproducenti nel-le dinamiche interne della Russia né pretese di omologazione dell’interlocutore al si-stema culturale e politico di cui si è portatori.

Parallelamente, le strategie che Bruxelles può attivare nei confronti della Russia come membro di organizzazioni regionali nello spazio post-sovietico non possono pre-

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scindere dal ruolo che tale area gioca nella visione russa. Alla luce del fatto che le poli-tiche di integrazione della Russia sono sviluppate soltanto in due direzioni, quella eco-nomica e quella di sicurezza, l’Unione Europea e l’Italia in particolare potrebbero proporsi come artefici di una cooperazione incentrata sulla sfera delle politiche sociali e culturali. Sono invece da evitare interventi diretti a promuovere cambiamenti di regime per mezzo di rivoluzioni o politiche di isolamento, nonché i tentativi di intro-durre nella regione politiche di divisione tra i diversi stati e di “spaccare” le organizza-zioni regionali tramite politiche di alleanze. Ovviamente, tale atteggiamento cooperativo anziché antagonistico nei confronti della Russia potrà pienamente realizzarsi solo tro-vando una maggiore coesione tra i paesi dell’Unione Europea, a partire dalle questioni energetiche.

La sicurezza energetica

A prescindere dall’evoluzione economica e politica della Russia, e pur consolidando con essa un rapporto di stretto partenariato strategico, per rafforzare la sicurezza e-nergetica l’Italia e l’Unione Europea devono diversificare i canali di approvvigio-namento energetico. Da questo punto di vista, il percorso europeo è già tracciato: lo sviluppo di un asse Asia centrale/Vicino Oriente/Unione Europea che abbia nella Tur-chia e nel Caucaso meridionale i suoi principali snodi.

Nell’ambito di tale diversificazione, la stabilità del Caucaso meridionale è di fondamentale importanza per la sicurezza energetica dell’Europa. La crisi georgiana dello scorso agosto impone pertanto all’Unione Europea di individuare nei confronti del Caucaso – che la Russia considera un’area di vitale importanza strategica – una posi-zione realista e condivisa, che non venga meno agli interessi economici e di sicurezza, nonché ai suoi valori politici e culturali di riferimento, ma eviti al tempo stesso approcci imprudenti, retorici e sovente controproducenti.

Il ruolo dell’Italia

Il contributo dell’Italia all’elaborazione di una politica europea coesa e raziona-le nei confronti della Russia può essere di grande rilevanza. Il nostro paese, infatti, non ha alcun contenzioso storico con Mosca. Questo fattore ha indubbiamente contri-buito – insieme alla dipendenza energetica del nostro paese – a far sì che si instau-rassero con la Russia non solo forti legami economici, ma anche positivi rapporti politi-ci. L’Italia sembra dunque particolarmente predisposta a svolgere un importante ruolo di mediazione tra le diverse sensibilità esistenti nei confronti di Mosca tra i membri della Nato e dell’Unione Europea, contribuendo attivamente all’instaurazione di un rapporto di stretta cooperazione con la Russia, tanto nella sfera politica e di sicurezza quanto in quella economica.

E’ pertanto opportuno che nei confronti della Russia l’Italia continui a farsi in-terprete di una linea politica equilibrata, consapevole delle legittime aspirazioni dei paesi dell’Europa Orientale e del Caucaso, ma anche del fatto che, per l’Europa, Mosca costituisce un partner strategico fondamentale, le cui azioni pos-sono essere a volte criticate, ma con il quale è indispensabile trovare un rapporto di

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lunga durata stabile e produttivo. Il nuovo clima internazionale che inizia a manifestarsi con la presidenza Obama può notevolmente agevolare tale percorso.

In questa ottica, soprattutto alla luce della presidenza italiana del G8, potrebbe es-sere utile per il nostro governo farsi concretamente promotore di fori di contatto permanente, aperti alla partecipazione di tutti i paesi interessati e animati da spi-rito di collaborazione, nei quali affrontare con la Russia le principali questioni di con-fronto nelle sfere politiche, militari, economiche e culturali. L’obiettivo ultimo di questa politica deve essere l’individuazione di un rapporto tra Unione Europea e Russia non antagonistico né tendenzialmente assimilativo, ma di complementarità e cooperazione globale.

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Le dinamiche interne -

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Quadro di sintesi

La crisi globale ha bruscamente interrotto il più lungo periodo di espansione economica della storia russa. Passato pressoché indenne attraverso le turbolenze finanziarie dell’estate 2007, il paese non è stato, invece, risparmiato dalla caduta dei prezzi del petrolio e delle materie prime, di cui è tra i maggiori esportatori al mondo. Il concorso di fattori “importati” (minore domanda di idrocarburi quale effetto della re-cessione) con altri, invece, interni, ha innescato una crisi di particolare gravità. Emergono le responsabilità della classe dirigente, la quale non ha saputo in questi anni modernizzare il paese e affrancare l’economia dal circuito “esportazione materie prime – importazione prodotti finiti”. L’economia è tuttora eccessivamente dipendente dalle risorse naturali, come riconosciuto dallo stesso Putin all’ultimo “World Economic Fo-rum” di Davos. Modernizzazione e diversificazione appaiono oggi obiettivi tanto più difficili da ottenere nell’attuale fase di crisi e con più limitate risorse finanziarie. Il paese, pertanto, deve sinceramente augurarsi che le misure adottate dai maggiori importatori di petrolio, in primis Stati Uniti e Giappone, siano efficaci. Una ripresa della domanda di idrocarburi, infatti, contribuirebbe a riportare in sostanziale equilibrio i principali parametri dell’economia. La durata e la gravità della crisi saranno un “banco di prova” per il tandem Putin-Medvedev. Data l’assenza di alternative valide e la costante azione di contrasto ai mo-vimenti di opposizione da parte del Governo, si possono escludere cambiamenti negli attuali assetti di potere. È invece ipotizzabile un riequilibrio di poteri a favore della componente più liberale, l’unica che sembra in grado di guidare il paese nell’attuale e difficile fase congiunturale. E dal successo o meno delle misure adottate per uscire dal-la crisi dipende, in ultima analisi, il consenso popolare alla coppia Putin-Medvedev.

1. La crisi economica mondiale e l’impatto sulla Russia

1.1 Dal default del 1998 alla relativa solidità economico-finanziaria: dieci anni di crescita

La crisi globale ha bruscamente interrotto il più lungo periodo di espansione economica della storia russa. Dopo anni di crescita, la popolazione aveva motivo di ritenere che i costi sociali del passaggio all’economia di mercato e l’instabilità e incer-tezze seguite alla perestroika fossero un ricordo del passato. Al default dell’agosto del 1998 era, infatti, seguita un’immediata quanto inaspettata ripresa: tra il 1999 e la metà del 2008 il prodotto interno lordo era cresciuto a tassi medi annui di oltre il 6%; i prezzi del petrolio erano saliti da un minimo di 10 dollari nel 1998 fino al valore record di quasi 150 dollari al barile; la disoccupazione era scesa intorno al 6% e in ulteriore flessione. La sostanziale solidità della posizione finanziaria era confermata dalla mar-ginale quota di debito estero statale (3% circa in rapporto al PIL); le riserve valutarie si erano ampiamente ricostituite ponendo il paese al terzo posto a livello mondiale (600 miliardi di dollari) dopo Cina e Giappone; il rating sovrano era risalito dalla fascia spe-culativa fino all’investment grade; il saldo della bilancia commerciale era in surplus co-me pure il bilancio federale; dopo anni di fuga di capitali, la Russia registrava ingenti

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afflussi di risorse (oltre 83 miliardi di dollari nel 2007); le imprese straniere, sia quelle del settore industriale che finanziario, tornavano a insediarsi.

Per la popolazione, duramente e lungamente provata dalla cosiddetta “shock the-rapy”, la terapia d’urto adottata per accelerare la transizione al mercato, i benefici della ritrovata stabilità politica, da un lato, e della prolungata fase espansiva, dall’altro, erano finalmente tangibili: forte crescita dei salari reali e dell’occupazione; graduale “de-dollarizzazione” dell’economia favorita dalla ritrovata fiducia nella valuta nazionale e dall’apprezzamento del rublo.

Unica nota negativa era la dinamica inflazionistica. L’indice dei prezzi al consu-mo, dopo essere sceso al di sotto delle due cifre, dal 2007 aveva ripreso a salire sopra il 13% colpendo le fasce più povere della popolazione. Milioni di russi sono stati so-spinti verso la soglia di povertà dal rincaro dei generi alimentari a livello mondiale unito al venire meno di benefici, retaggio dell’epoca sovietica (quali, ad esempio, servizi tra-dizionalmente gratuiti oppure offerti a prezzo simbolico: luce, riscaldamento, acqua, te-lefono, sanità, trasporti, istruzione).

1.2 L’impatto della crisi sul sistema finanziario: concorso di fattori interni ed esterni

L’instabilità finanziaria ha avuto origine nell’estate del 2007 nel principale e, ideal-mente, il più solido tra i paesi avanzati, gli Stati Uniti, per poi degenerare – dalla se-conda metà del 2008 – in una crisi di durata tuttora imprevedibile. L’interdipendenza delle economie e la forte integrazione dei mercati hanno messo in luce l’altra faccia della globalizzazione: l’effetto di contagio. La crisi si è propagata a livello mondiale, seppure con tempi, modalità e ampiezza differenti, dalla seconda metà di settembre 2008 con il mancato salvataggio della Lehman Brothers Holdings da parte del Governo statunitense.

In Russia la crisi dei mutui subprime statunitensi scoppiata nell’estate 2007 ha avuto effetti limitati grazie all’arretratezza del sistema finanziario. La brusca di-smissione di attività finanziarie con conseguente uscita di capitali dal paese, le pres-sioni al ribasso del rublo e le tensioni di liquidità sul mercato interbancario sono stati fenomeni di breve durata prontamente ed efficacemente gestiti dalla Banca Centrale.

Le turbolenze che hanno colpito i mercati mondiali dall’agosto 2008 hanno, invece, aggravato l’instabilità di un sistema finanziario da mesi investito da una generale “flight to quality” da parte degli investitori. Tre sono stati i fattori scate-nanti: 1) i ripetuti attacchi alla società petrolifera TNK-BP, joint-venture anglo-russa; 2) le accuse mosse dal Cremlino a una grande azienda privata russa, la Mechel, che a-veva riportato alla memoria la “vicenda Yukos” (smembramento e ri-nazionalizzazione de facto del maggiore produttore privato di petrolio); 3) il conflitto russo-georgiano, il quale – al di là delle reciproche provocazioni e responsabilità dei vertici dei due Stati – è stato utilizzato all’estero per dare inizio a un’azione di propaganda anti-russa.

Se i primi due hanno fortemente deteriorato fiducia e aspettative degli investitori stranieri e, più in generale, il business climate, il terzo ha aggiunto un ulteriore rischio, di natura strettamente geo-politica. La conseguenza è stata il disimpegno (quando non la “fuga”) dal mercato russo: vendita massiccia di asset denominati in rubli, caduta dei

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corsi azionari, tensioni di liquidità e pressioni sul cambio, deflusso di capitali dal paese (130 miliardi di dollari alla fine del 2008).

1.3 L’impatto della caduta del prezzo del petrolio sull’economia reale: recessione dopo dieci anni di crescita

Il quadro macroeconomico ha iniziato a deteriorarsi in ritardo rispetto ad altri paesi – se si pensa che il PIL nel primo semestre cresceva dell’8% – ma con maggio-re intensità, quale effetto della minore domanda mondiale di idrocarburi e della caduta del prezzo del petrolio a 40 dollari al barile, meno di 1/3 del valore rispetto all’estate 2008. Le prospettive per i prossimi anni oscillano tra i 40 e i 55 dollari. Per un paese che trae dall’esportazione di materie prime il 70% dei propri proventi, e il cui bu-dget 2009-2011 è basato su un prezzo medio del petrolio a 95 dollari, ciò ha significato un peggioramento di tutti i principali indicatori macroeconomici e finanziari e la revisio-ne al ribasso delle stime di crescita nel medio periodo.

L’attuale situazione è, pertanto, il risultato di fattori esterni, di “importazione” e debolezze interne. Tra i BRIC, la Russia è la più colpita. Il prodotto interno lordo per il 2008, pur ampiamente positivo, è sceso al 5,6% ma per il 2009 è prevista una contrazione non inferiore al 2,2% (che potrebbe salire al 3). Il bilancio federale ha chiu-so il 2008 con un avanzo del 4,1% del PIL ma nel 2009 il deficit sarà del 7,4%, tenendo conto dei diversi piani di sostegno adottati dal Ministero delle Finanze.

La produzione industriale è in forte flessione, nel comparto tanto estrattivo che ma-nifatturiero; a fine 2008 la disoccupazione è salita di oltre 1,5 punti percentuali al 7,7%; a gennaio di quest’anno ha superato l’8% e non accenna ad arrestarsi attesi i massicci licenziamenti annunciati dalle principali aziende russe. Alcune imprese hanno difficoltà a pagare regolarmente gli stipendi La situazione viene aggravata dalla mancata regi-strazione di un gran numero di lavoratori, i quali, pertanto, sono esclusi da sussidi di disoccupazione e ammortizzatori sociali, comunque insufficienti. Ad aggiungere fattori di preoccupazione ulteriore, infine, l’inflazione, che – a differenza di tutte le principali economie – non accenna a diminuire, ed è stimata per il 2009 oltre il 14%. Il rublo, invece, dopo avere perso oltre il 30% del proprio valore – alimentando nuovamente il fenomeno della “dollarizzazione” – a seguito dei numerosi interventi della Banca Cen-trale sembrerebbe essersi stabilizzato.

1.4 La Russia a rischio di default? Un’ipotesi teoricamente possibile ma impro-babile

Alcuni osservatori internazionali si chiedono se la Russia, a distanza di oltre dieci anni, possa essere a rischio default. Tutto dipende dalla durata della crisi economi-ca globale. Va, tuttavia, sottolineato che, rispetto al 17 agosto del 1998, giorno in cui l’allora Presidente Eltsin annunciò che lo Stato non era in grado di onorare il proprio debito interno, la situazione è radicalmente differente: anche allora tra i fattori scate-nanti figurava un prezzo del petrolio sceso su valori minimi, ma questo si inseriva in una situazione di prolungata difficoltà dell’intero apparato produttivo, forte indebitamen-to statale, finanze pubbliche in disordine, debolezza delle istituzioni e del potere centra-le.

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La Russia di oggi è molto più solida sotto il profilo finanziario. Dieci anni di sostenuta crescita economica, politiche fiscali e di bilancio prudenti, politiche monetarie e del cambio equilibrate, hanno creato difese patrimoniali che pongono il paese in una condizione di relativa maggiore tranquillità. Di fronte all’avanzare delle turbolenze pri-ma, della crisi poi, la Banca Centrale è intervenuta prontamente per assicurare liquidità al sistema bancario, “controllare” l’inevitabile deprezzamento del rublo, contenere le pressioni inflazionistiche. Il Ministero delle Finanze ha adottato un “pacchetto” di misu-re a sostegno del sistema industriale e finanziario per oltre 220 miliardi di dollari (pari al 15% del prodotto interno lordo) che stanno sortendo i primi effetti e comunque hanno scongiurato un deterioramento del quadro complessivo. Altri interventi a supporto dell’economia reale sono allo studio.

L’interrogativo è quanto queste misure potranno essere sufficienti qualora la recessione mondiale dovesse continuare nel medio periodo. La ripresa della Rus-sia dopo il default del 1998 è stata favorita, infatti, dal rapido rialzo dei prezzi del petro-lio e dal fatto che la crisi, circoscritta ad alcune aree geografiche, non aveva colpito le maggiori economie avanzate e la loro domanda di idrocarburi. Il contesto attuale è, in-vece, molto più preoccupante: la recessione è globale, le prospettive di ripresa incerte, le uniche certezze le revisioni al ribasso delle stime di crescita.

2. Le sfide per l’Esecutivo e i possibili riflessi sulla politica interna

2.1 Le responsabilità della classe politica: riforme mancate ed eredità economica della presidenza Putin

La difficile situazione in cui versa la Russia fa emergere le responsabilità di un Ese-cutivo e di una classe dirigente, che non hanno saputo sfruttare una lunga fase espan-siva per modernizzare e affrancare l’economia dal circuito “esportazione risorse natura-li-importazione prodotti finiti” gettando le basi per uno sviluppo equilibrato e sostenibile nel medio-lungo periodo. La crescita, infatti, è stata ed è tuttora strettamente collegata a fenomeni transitori, quali l’ascesa dei prezzi del petrolio, unita al maggior consumo mondiale di idrocarburi e materie prime. È giusto, comunque, sottolineare come la di-versificazione dell’economia russa sia un’impresa particolarmente ardua: dimen-sioni del territorio, assenza di adeguate infrastrutture e, fatto da non sottovalutare, cre-scente concorrenza dei prodotti manifatturieri provenienti da Cina, Corea e Giappone – soprattutto nelle regioni siberiane e dell’Estremo Oriente russo – costituiscono fattori oggettivi di difficoltà. Troppo poco, tuttavia, è stato fatto per promuovere un’imprenditorialità diffusa, accrescere le professionalità nella pubblica amministrazio-ne combattendone al contempo la corruzione, ridurre gli oneri burocratici e le legacy sovietiche; in altre parole, per modernizzare nel profondo il paese e instaurare un rap-porto tra cittadini e istituzioni diverso rispetto a quello tra “sudditi e re (o zar)”, molto più radicato nella società odierna di quanto si possa, a prima vista, immaginare.

Vengono in campo le responsabilità, economiche e politiche, della classe diri-gente al potere e dell’uomo che in questi dieci anni ha dominato la scena politi-ca, Vladimir Putin. Molti dei programmi più volte annunciati tradiscono una men-talità da “pianificazione centrale” non sostenuta da un’adeguata capacità realizzati-va; e che, comunque, confermano l’assenza di strutture a tutti i livelli – politico, ammi-

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nistrativo, federale, regionale – in grado di tradurre in realtà quelli che finiscono per di-ventare dei proclami o mere dichiarazioni di intenti. C’è da chiedersi in che misura lo stesso Putin abbia sottovalutato la resistenza al cambiamento della pubblica ammini-strazione (che lui per primo ha contribuito ad accrescere numericamente). Riforma del-la pubblica amministrazione, lotta alla corruzione, piani di sviluppo e assistenza alle piccole e medie imprese; nessuno di questi programmi ha dispiegato effetti tali da far compiere al paese quel salto di qualità. E la diversificazione del tessuto pro-duttivo appare oggi tanto più ardua in un periodo di crisi e con più limitate risor-se finanziarie.

L’eredità di otto anni di presidenza Putin è, conseguentemente, un quadro a luci e ombre. Allo scoppiare della crisi la Russia si è scoperta nuovamente vulnerabile e for-temente dipendente dalle materie prime. Il paese, pertanto, deve sinceramente au-gurarsi che le misure adottate dai maggiori importatori di petrolio, in primis Stati Uniti e Giappone, siano efficaci. Una ripresa della domanda, infatti, contribuireb-be a riportare in sostanziale equilibrio i principali parametri dell’economia.

2.2 L’impatto della crisi sugli equilibri politici: il consenso al Governo deriva an-che dalla mancanza di valide alternative

La domanda che gli osservatori occidentali si pongono è quali effetti la crisi possa avere sugli equilibri politici e sul livello di consenso alla coppia Putin-Medvedev. In ul-tima analisi, se il perdurare di elementi di vulnerabilità possa essere giudicato dagli e-lettori come il fallimento della politica economica del Governo. È ipotizzabile che l’elettorato del partito “Russia Unita”, tradizionalmente dipendenti pubblici, militari, pen-sionati e molti cittadini che vedono in Putin l’uomo forte, il quale ha riportato ordine, stabilità e certezze ricreando, in qualche misura, quel mondo “pietrificato” e privo di re-sponsabilità dirette dell’epoca sovietica volti le spalle al suo leader?

Il tandem Putin-Medvedev anche in questo momento di crisi gode di una per-centuale di consenso tra il 70 e l’80%. Sussistono comunque elementi di social un-rest legati agli effetti della crisi sulle fasce più deboli e, in particolare: l’erosione del po-tere di acquisto legato all’inflazione; il rincaro di beni e servizi “essenziali”; il deprezza-mento del rublo; la forte crescita della disoccupazione, ammortizzatori sociali inade-guati. La situazione è tanto più grave nelle città sorte, in epoca sovietica, intorno a un unico complesso produttivo, attualmente in crisi, che spiega le recenti manifestazioni antigovernative nelle regioni siberiane. È invece meno problematica nelle due capitali “storiche”, Mosca e S.Pietroburgo, in cui il tessuto produttivo è relativamente diversifi-cato.

Il Governo è consapevole della gravità dell’attuale fase congiunturale e sta adottando i provvedimenti ritenuti più idonei. Tra questi non mancano le misure di “immagine”. Si avverte comunque un maggiore bisogno di comunicare con la popola-zione: una sorta di “captatio benevolentiae” da parte della classe al potere, non comu-ne nella storia russa, che conferma la delicatezza della situazione. Un mutamento al vertice appare, tuttavia, remoto, a motivo anche della mancanza di un’alternativa politica valida, credibile o comunque in grado di offrire risposte più efficaci rispetto alla classe dirigente al potere. Le forze di opposizione rappresentate in Parlamento – i co-munisti di Zyuganov o i nazional-bolscevichi di Limonov – “persi” tra populismo, dema-

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gogia e rimpianti del passato, finiscono per fare il gioco del Governo. Le vere forze di opposizione sono, invece, extra-parlamentari quale conseguenza anche di una costan-te azione di discredito e contrasto da parte del gruppo al potere.

È questa l’eredità politica di dieci anni al potere di Vladimir Putin, l’uomo che ha ri-stabilito l’ordine, l’autorità dello Stato, il rispetto per la Russia da parte dei paesi confi-nanti e dei partner occidentali. Ha restituito l’orgoglio di essere russi dopo un decennio di umiliazioni e questo è tra i motivi che, più di tanti altri, spiegano la genuina e ampia popolarità dell’attuale premier. Poco è stato fatto per far crescere una società civile in senso moderno nell’immenso territorio russo; per “de-sovietizzare” la mentalità dei cit-tadini dopo oltre settanta anni di comunismo. Associando – intenzionalmente o meno è questione controversa – il concetto di democrazia e i valori occidentali con il ca-os politico interno, la debolezza all’esterno, la crisi economica e lo spettro della povertà, larga parte della popolazione ritiene preferibile restare il più possibile ancorata al passato o comunque elaborare un modello di sviluppo più vicino alle “peculiarità” della Russia.

2.3 L’eredità politica del Governo Putin: mentalità sovietica e democrazia “Rus-sian style”

Tutto ciò non è casuale bensì il risultato del progressivo snaturamento delle isti-tuzioni politiche federali e locali portato avanti dalla classe dirigente con l’obiettivo di ristabilire l’ordine all’interno della Russia, ma il fine ultimo di assicurarsi la permanenza al potere. I movimenti di opposizione di stampo più liberale sono stati co-stantemente osteggiati. Le organizzazioni non governative sono state frequentemente accusate – a volte anche a ragione – di essere finanziate dai governi occidentali in fun-zione anti-Putin e fonte di instabilità politica. Le ultime elezioni presidenziali e le “ano-male” modalità di passaggio del potere da Putin al suo delfino Medvedev dimostra-no, oltre ogni ragionevole dubbio, quanto i principi universali di democrazia siano stati snaturati nella sostanza. Il rispetto dei termini del mandato presidenziale e la mancata modifica della Costituzione possono essere letti come una performance di alternanza democratica a uso esclusivo degli osservatori occidentali. Per larga parte dell’elettorato russo, l’anomalia vera è stata la cessione stessa del potere da Pu-tin a Medvedev in maniera “volontaria” e non invece le modalità, le quali, al con-trario, hanno garantito stabilità e continuità.

E utile a questo punto chiedersi quanto di “sovietico” permanga nella mentalità di larga parte della popolazione. Per un osservatore straniero attento, vissuto nel paese, è evidente che la società russa mantiene un modus agendi et operandi ereditato dal recente passato. L’economia pianificata ha avuto l’effetto di far vivere le persone in una sorta di “immobilità”, la quale garantiva ai cittadini alcuni vantaggi e soprattutto certezze, come l’invariabilità dei prezzi nel tempo e nello spazio, l’offerta di taluni servi-zi a titolo gratuito o a costo simbolico: istruzione, sanità, servizi cosiddetti comunali (acqua, luce, riscaldamento, elettricità, telefono), trasporti. Il risultato congiunto era la stabilità, intesa anche come immutabilità e prevedibilità delle aspettative nel medio pe-riodo.

L’avvio della cosiddetta perestroika – ovvero il passaggio all’economia di merca-to, con l’apertura a modelli politici occidentali quale unica soluzione al dissesto finan-

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ziario ed economico dell’URSS alla fine degli anni ’80 – ha significato per la maggior parte della popolazione il crollo di queste certezze. La drammaticità della situazio-ne di partenza, al di là degli errori sicuramente compiuti, anche per inesperienza, dai riformisti, non avrebbe comunque consentito una transizione “indolore”. Ciò aiuta a comprendere i giudizi fortemente negativi sulle democrazie di stampo occidentale; giu-dizi i quali hanno offerto facile sponda al Cremlino – e a colui che viene indicato quale ideologo, Vladislav Surkov – per elaborare un proprio modello di governo. Un modello che, facendo leva sul comune sentire della maggioranza, esalta opportunisticamente e strumentalmente le specificità della storia e della cultura russa ed assomiglia a una “u-pdated release”, una versione aggiornata di vecchi schemi ideologici. Schemi questi ultimi duri a morire perché non c’è, in ultima analisi, alcuna volontà a che si affermi un modo di pensare nuovo, che comporterebbe profondi mutamenti nei rapporti tra cittadi-ni e istituzioni rispetto a quelli, più comodi, che ancora riflettono lo status di “suddito”, profondamente radicato nella maggior parte della popolazione. Dietro il desiderio, le-gittimo, di salvaguardare la Russia da forzate ingerenze estere-esterne, si cela altresì la volontà, questa invece non legittima, di ostacolare la crescita di possi-bili alternative politiche. La formula della “democrazia sovrana”, coniata dallo stes-so Surkov, o della “verticale del potere”, viene vista dalla parte più liberale della Russia – la quale non giudica come illecite ingerenze le influenze esterne – per quello che for-se realmente è: un’autocrazia “mascherata” da democrazia.

Sarebbe ingeneroso affermare che non esista una società civile o un’opposi-zione. Esistono ma non sono, o non sono unicamente, quelle che vengono considerate tali. Le organizzazioni non governative autorizzate sono ritenute dagli stessi russi alla stregua di “specchietti per le allodole” per compiacere gli occidentali: scatole vuote, or-ganizzazioni “made in Kremlin” per mostrare che il paese è sinceramente tollerante e pluralista. Alcune mosse che in Occidente vengono valutate positivamente, come parte di un lento ma inarrestabile processo di democratizzazione, vengono viste in Russia nel-la loro sostanza di mere operazioni di facciata. In una parola: i vertici all’occasione sanno fare e dire ciò che gli osservatori occidentali vogliono sentirsi dire, come ha fatto il premier Putin al “World Economic Forum” di Davos; salvo poi, nella pratica, comportarsi in maniera differente. In Russia vi è, di fatto, una sorta di vuoto politico dato dall’assenza di alternative credibili. Questo senso del “there is no alternative” all’attuale sistema al Governo, tuttavia, è giusto sottolineare, viene maggiormente avver-tito nelle due capitali storiche e tra i cittadini più aperti alle influenze esterne. Non viene invece percepita come preoccupante, anomala, o comunque negativa nelle regioni e nel-le fasce di popolazione più distanti dai centri del potere o da influenze esterne, in cui sta-bilità e unicità del comando sono visti, al contrario, con favore.

2.4 La crisi come opportunità per un riequilibrio di forze e i fattori di rischio

Difficile immaginare un cambiamento nelle due massime cariche del paese prima delle prossime scadenze elettorali, il rinnovo della Duma nel dicembre 2011 e le elezioni presidenziali nella primavera 2012. In caso di cambiamento repentino degli attuali equilibri di potere, il rimedio potrebbe rivelarsi peggiore del male. Non è, invece, più realisticamente, da escludere un riequilibrio di forze all’interno dell’attuale gruppo al potere, che veda accrescere il peso dell’ala più liberale (gli esponenti

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“pietroburghesi”) rispetto ai cosiddetti “uomini della forza” (i siloviki) provenienti dalle file dell’ex KGB. L’attuale crisi viene, infatti, a cadere nel momento in cui, grazie proprio ai valori record toccati dal petrolio fino all’estate scorsa, l’incidenza e le mire della componente più autoritaria – che già occupa ruoli chiave e controlla le leve ener-getiche del paese – si stavano ulteriormente espandendo. Ci sono, infatti, scelte impor-tanti da compiere dalle quali dipende il futuro, politico e non solo economico della Rus-sia.

L’interdipendenza tra le economie è il dato di maggior rilievo di questa crisi. La Rus-sia è, e rimarrà, come abbiamo illustrato, dipendente dall’export di prodotti energetici stanti le oggettive difficoltà di portare a termine, in tempi di recessione, quanto non è stato realizzato durante la fase espansiva. I paesi più avanzati possono facilitare la ri-presa della produzione industriale (nel comparto sia estrattivo che manifatturiero) e dell’occupazione tramite l’afflusso di capitali. Spetta, tuttavia, ai vertici russi inviare se-gnali chiari di apertura, nell’interesse stesso del paese, invertendo un trend che ha vi-sto negli ultimi mesi un’uscita in massa degli investitori stranieri. Il Governo dovrebbe contribuire con modifiche alla normativa vigente per incoraggiare gli investimenti esteri nei diversi comparti produttivi, in primis quello energetico, e la revisione dei criteri di tassazione.

L’attuale crisi ha, altresì, dimostrato come, tra le istituzioni, i soli professio-nalmente in grado di elaborare misure per fronteggiare la difficile situazione sia-no gli esponenti del Governo di orientamento più liberale, tra i quali il Ministro delle Finanze (e Primo Vice Ministro), e il Governatore della Banca Centrale. Entrambi sono stati in passato criticati, anche con toni aspri, dai componenti dell’Esecutivo per le scelte effettuate; le stesse che consentono alla Russia di oggi una maggiore resilience di fronte a shock esterni. Tra queste è giusto ricordare: il contenimento dell’indebitamento statale; l’estinzione anticipata del debito in valuta nei confronti del Fondo Monetario Internazionale e del Paris Club; il richiamo a criteri di programmazio-ne e contenimento della spesa pubblica e l’introduzione del budget triennale al fine, al-tresì, di contenere le pressioni inflazionistiche; l’accantonamento in luogo dell’utilizzo delle entrate petrolifere (e dal 2008 anche del gas) in un fondo di riserva con l’obiettivo di fornire al paese un solido cuscinetto patrimoniale in caso di brusche oscillazioni nel prezzo del greggio. E sono proprio il fondo di riserva e le cospicue riserve valutarie a rappresentare, nell’attuale situazione, i maggiori presidi cui attingere per sostenere l’economia.

È auspicabile un rimpasto nell’Esecutivo e nei vertici delle maggiori aziende a con-trollo statale a favore di persone professionalmente più capaci e tradizionalmente di o-rientamento più liberale. Non sarebbe un’ipotesi così peregrina: il tandem Putin-Medvedev è consapevole che il consenso dell’elettorato e la pace sociale nel medio periodo dipendono dall’efficacia delle misure di sostegno all’economia. L’assenza delle competenze necessarie da parte degli esponenti dei siloviki, potrebbe indurli ad accrescere il peso della componente liberale nelle posizioni chiave a scapito dei primi. Imprevedibile ma potenzialmente destabilizzante potrebbe, peraltro, essere la reazione degli “uomini della forza” di fronte a un loro esautoramento.

Un cenno, infine, sulla figura e il ruolo che potrà giocare il nuovo Presidente russo. Scelto da Putin come successore rispetto all’esponente dei siloviki – il Ministro della difesa Ivanov – dal suo insediamento al Cremlino Dimitry Medvedev, esponente del gruppo di S.Pietroburgo, ha confermato il suo orientamento più liberale. È emersa, inol-

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tre, una volontà di graduale affrancamento dal suo predecessore anche attraverso un piano di riforme: ricambio dei quadri della pubblica amministrazione per accrescere l’efficienza della classe dirigente; maggiore attenzione al mondo del “no-profit”; rivitaliz-zazione del Consiglio presidenziale per la società civile e i diritti umani; progetto di ri-forma della normativa sulle organizzazioni partitiche. Il suo potere, tuttavia, è ancora limitato e dipendente dal supporto che gli assicurerà il premier. In prospettiva, non è da escludere che Putin continuerà a svolgere il ruolo di arbitro, se non proprio di regista, tra le diverse forze in campo. Pur con le sue caratteristiche e il suo evidente background – o forse proprio per quest’ultimo – potrebbe essere lui, a cui il paese do-vrà rimettersi per evitare sempre possibili derive autoritarie.

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PARTE SECONDA La proiezione esterna

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Quadro di sintesi

I rapporti della Russia con altri paesi si sviluppano secondo una logica di “cooperazio-ne multivettoriale” e sono ispirati a una diplomazia realista e pragmatica, costruita su alleanze a geometria variabile che seguono interessi contingenti e obiettivi specifici (la cosiddetta network diplomacy). Prevalgono i rapporti bilaterali rispetto ai negoziati mul-tilaterali, ma sempre secondo una logica flessibile, ossia funzionale alla realizzazione degli interessi nazionali. In questi anni l’obiettivo prioritario della Russia in politica estera è stato riportare il paese fra le grandi potenze; obiettivo raggiunto grazie alla prolungata fase espansiva dell’economia e, in primis, alle significative rendite energetiche. La leva energetica ha soppiantato quella militare quale fattore chiave di influenza in politica estera a causa an-che dei costi e i tempi di realizzazione di una riforma strutturale dell’intero apparato mili-tare. La crisi economica globale che ha investito il paese rischia adesso di ridimensiona-re in misura significativa, almeno nel medio periodo, la volontà di potenza del paese. Il principio chiave su cui si fonda l’attuale politica estera è la multipolarità, intesa come diritto a formare un centro autonomo nel mondo, difendere e legittimare un proprio per-corso, ma soprattutto a prevenire il predominio di un solo paese (come avvenuto con l’unipolarismo americano). Il polo che vede al centro la Russia è costituito dallo spazio post-sovietico, attualmente oggetto di una crescente, quanto inaccettabile per Mosca, azione di penetrazione dell’Occidente tramite la NATO e l’Unione Europea e i conse-guenti timori di accerchiamento e isolamento. La NATO, in particolare, è vista come uno strumento per la realizzazione degli interessi statunitensi, volto a indebolire la po-sizione della Russia nella sua tradizionale area di influenza. I rapporti con l’Unione Eu-ropea, parimenti, attraversano una fase non felice per i numerosi elementi di contrasto – in primis rinnovo dell’Accordo di Partenariato e Cooperazione, sicurezza energetica, diritti umani – e l’atteggiamento di chiusura a partnership collaborative da parte dei “nuovi membri” dell’UE (gli ex satelliti sovietici); atteggiamento al quale la Russia ri-sponde tramite il bilateralismo e la pratica del divide et impera, soprattutto nel settore energetico, la quale rischia di indebolire ulteriormente la coesione interna dell’UE. In un’ottica, invece, di apertura verso la Russia da parte dell’Occidente e dell’UE, l’Italia potrebbe svolgere un cruciale ruolo di mediazione, seguendo un approccio meno politi-cizzato, e che promuova l’“europeizzazione” della Russia attraverso la “socializzazione”: un avvicinamento progressivo agli standard europei quale conseguenza del contributo che l’UE è in grado di offrire alla “modernizzazione” del paese. Destinata a far discutere è la proposta avanzata dal Presidente Medvedev di revisione dell’attuale sistema internazionale; basata su di un’intesa strategica tra Russia, Europa e Stati Uniti ha l’obiettivo di creare uno spazio euro-atlantico associato a un trattato che sancisca l’indivisibilità della sicurezza europea. Rivolta principalmente agli Stati Uniti, la proposta tende a un ridimensionamento della componente hard – per i costi che essa impone ai bilanci statali, di particolare rilevanza nell’attuale situazione di crisi economi-ca globale – e ha il pregio di rilanciare la riflessione sull’assetto post-guerra fredda. Un’opportunità cui l’Occidente non dovrebbe sottrarsi ma che comporta dei rischi per il futuro assetto e ruolo della NATO, ma soprattutto per la coesione interna dell’UE, a motivo del diverso grado di apertura verso la Russia dei singoli paesi e l’aperta ostilità degli ex satelliti sovietici.

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A influire, infine, sulla politica estera della Russia è la posizione geografica tra Europa e Asia: l’intensificarsi delle relazioni politiche ed economiche con Cina e India e la co-stituzione di strutture nello spazio post-sovietico, nell’area eurasiatica e asiatica – pri-ma fra tutte la Shanghai Cooperation Organization (SCO) – mirano ad assicurare al paese il ruolo di leader regionale e affermarne lo status di ponte tra l’Occidente e l’Asia. Al deterioramento dei rapporti con l’Occidente potrebbe corrispondere un raffor-zamento delle relazioni con i vicini orientali. L’avvio di un dialogo con la Russia offri-rebbe all’UE e all’Occidente la possibilità di espandere le partnership e di allargare il proprio orizzonte strategico.

1. Le linee strategiche della politica internazionale

1.1 Il ritrovato status di grande potenza: dal potere militare alla leva energetica

Gli orientamenti e i princìpi-cardine della politica estera sono stati illustrati dal presi-dente Medvedev nel luglio 2008. L’obiettivo prioritario della Russia in politica este-ra dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la difficile situazione degli anni ’90 è stato ri-portare il paese fra le grandi potenze; un obiettivo reso possibile dalla prolunga-ta crescita economica e sostenuto dalle significative rendite energetiche. Diver-samente da quanto tradizionalmente accadeva con la politica estera dell’URSS, il ritor-no tra le grandi potenze non è stato, invece, sostenuto da una nuova ideologia o im-prontato al rafforzamento della dimensione militare del potere.

In questi anni, pertanto – complici una domanda globale in ascesa e gli elevati prez-zi degli idrocarburi, da un lato, l’obsolescenza complessiva dell’apparato militare dall’altro – l’attuale élite politica ha individuato nella leva energetica piuttosto che in quella militare lo strumento più idoneo per riportare gradualmente la Russia allo status di grande potenza. L’affermazione del paese nel ruolo di potenza mondiale è, per-tanto, strettamente correlato alla crescita dell’economia – intesa anche come di-versificazione e modernizzazione – e all’integrazione nei mercati internazionali. Le relazioni esterne sono anch’esse caratterizzate da un approccio più mercantilista e pragmatico.

Il potere militare ricopre ancora un’importanza strategica per l’immagine esterna del paese e per la gestione delle relazioni con i vicini (si veda il caso dello scudo anti-missile progettato dagli USA e la minaccia di Mosca di dislocare dei missili Iskander a Kaliningrad; la guerra dell’agosto 2008 con la Georgia). Le forze armate e l’equipaggiamento militare necessitano, tuttavia, di riforme strutturali e di un complessivo ammodernamento e, di conseguenza, esigono lo stanziamento di significative risorse. Dopo la guerra in Georgia, Putin annunciava, infatti, che le spe-se per la difesa sarebbero aumentate del 27% nel 2009. Tali riforme, alla luce dell’attuale crisi finanziaria, risultano di difficile attuazione. Ancora nel gennaio 2009 Mosca continuava ad assicurare che la crisi non avrebbe intaccato il settore mili-tare, ma la svolta è arrivata a metà febbraio quando la Duma ha approvato un taglio del 15% al bilancio della Difesa 2009. Il Presidente Medvedev ha, tuttavia, rassicurato gli ambienti militari dichiarando a metà marzo che nonostante le difficoltà finanziarie, la riforma militare sarebbe stata portata a termine secondo le modalità previste, in quanto il terrorismo internazionale e l’allargamento della NATO ad est richiedono che la Rus-

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sia, già dal 2011, modernizzi e riarmi le proprie forze militari, soprattutto le armi strate-giche e nucleari.(1)

L’uso della forza, tuttavia, sembra essere considerato da Mosca alla sorta di extrema ratio, ossia uno strumento residuale da utilizzare quando gli altri si siano rive-lati inefficaci o inadeguati a fronteggiare crisi come quella con la Georgia. Il declassa-mento della forza militare nella politica estera russa ha portato gli attori esterni a porre l’attenzione sul potere di influenza – politica oltre che economica – che la Russia è invece in grado di esercitare grazie al possesso di ingenti risorse ener-getiche e il controllo su oleodotti e gasdotti.

1.2 Il concetto di mondo multipolare quale elemento chiave della politica estera

Un elemento fondamentale della politica estera russa è la sua aspirazione a costituire un centro indipendente di potere in un mondo multipolare. La multipola-rità nella visione russa significa riconoscere che un dato stato possa formare un centro autonomo nel mondo anche non disponendo di un’influenza in tutti i settori ma soltanto in alcuni di essi, quali, ad esempio, l’economia o le riserve energetiche. Se-condo la Russia, ciascun polo risponde a interessi e obiettivi peculiari senza tuttavia essere necessariamente in conflitto con gli altri. Si tratta quindi di una multipolarità strumentale alla difesa e alla legittimazione di un proprio percorso e sviluppo au-toctono (si veda il concetto di “democrazia sovrana” e l’approfondimento su “La transi-zione verso la democrazia”). I poli possono cooperare, ma non interferire fra loro. La multipolarità è anche un assetto del sistema volto a prevenire il predominio di un solo paese come avvenuto con l’unipolarismo americano che relegherebbe la Russia in una posizione secondaria.

Il polo che vede al centro la Russia è costituito dai paesi dello spazio post-sovietico. La Russia non accetta la crescente penetrazione dell’Occidente (Politi-ca Europea di Vicinato-PEV, allargamento della NATO, sostegno alla società civile nel-la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia e in quella cosiddetta “Arancione” in Ucraina) nella sua tradizionale sfera di influenza e il livello di tolleranza verso la pratica della cooptazione del sistema istituzionale occidentale (UE e NATO) ha raggiunto il limite. La Russia non intende riassorbire tali repubbliche ma chiede all’Occidente di non ignorare il suo ruolo tradizionale di potenza regionale e di riconoscerle (almeno) una funzione di potenza mediatrice.

La Russia è aperta a partnership strategiche sia nella sfera orientale che in quella occidentale: persegue, in particolare, un miglioramento dei rapporti con l’UE e gli stati sulla base di obiettivi comuni percepiti dalle parti come prioritari. Si tratta di una modalità di cooperazione in base alla quale si può essere in disaccordo su alcuni punti, ma continuare a dialogare su altri. Al contrario, un approccio ispirato alla guerra fredda rischierebbe di isolare la Russia e provocare reazioni radicali e as-sertive con effetti negativi sulla sicurezza globale dello spazio euro-atlantico; un irrigi-dimento risulterebbe dannoso soprattutto per i paesi particolarmente dipendenti dalle sue forniture energetiche (di cui molti degli attuali stati membri dell’Unione Europea).

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1.3 La “cooperazione multivettoriale”, la network diplomacy e la preferenza per i rapporti bilaterali

Sebbene la Russia non abbia messo a punto una “grand strategy” sulla quale basa-re i propri rapporti con l’esterno, essa tuttavia è, rispetto all’Occidente, più flessibile e aperta a partnership strategiche con diverse tipologie di paesi compresi quelli conside-rati inaffidabili o pericolosi come l’Iran. Come ha affermato lo stesso Ministro degli E-steri, Sergey Lavrov, nel relazionarsi con le altre potenze la Russia utilizza una forma di “cooperazione multivettoriale” e si ispira alla network diplomacy, ossia a una diplomazia realista e pragmatica costruita su alleanze a geometria variabile secondo interessi contingenti e obiettivi specifici. Dal punto di vista della Russia, la preferenza per il bilateralismo non si giustifica solo con l’intento di trarre maggiori vantaggi rispetto a negoziati multilaterali, ma anche perché sul piano bilaterale è meno rischioso essere criticati per il rispetto della democrazia e dei diritti umani. Tuttavia, l’opzione bilaterale non è rigida, ma praticata nella misura in cui sia funzionale alla rea-lizzazione degli interessi nazionali russi.

1.4 La posizione geografica tra Europa e Asia: un fattore determinante

La politica estera della Russia, infine, è determinata in gran parte dalla sua posizione geografica tra Europa e Asia. Pur confermando il carattere europeo del suo paese, l’ex Presidente e attuale Premier Putin non ha negato che la Russia possa essere interessata a esplorare più a fondo la dimensione asiatica, a motivo anche del crescente ruolo nell’economia mondiale. Cina e India sono paesi con cui la Russia ha intensificato le relazioni sia politiche che economiche. Al deterioramento di rapporti con l’Occidente potrebbe corrispondere, pertanto, un rafforzamento del-le relazioni con i vicini orientali (favorito, peraltro, dalla contiguità geografica e dalla relativizzazione del concetto di democrazia). Infatti, se nel breve periodo la sicurezza russa potrebbe essere minacciata dagli Stati Uniti (vedi il caso dello scudo anti-missile e l’allargamento della NATO, la perdita dopo il 2017 della base navale della Flotta rus-sa del Mar Nero in Crimea), nel lungo periodo le sfide più importanti per la Russia po-trebbero provenire proprio dall’Asia. Assicurarsi una partnership strategica con questi paesi, pertanto, equivarrebbe a garantirsi in maniera preventiva uno sta-tus di ponte tra l’Occidente e l’Asia. E la Russia sta già muovendosi in questa dire-zione: Russia, Cina e India sono, ad esempio, fra i membri della Shanghai Cooperation Organization-SCO e costituiscono, insieme al Brasile, i cosiddetti BRIC; il colosso a controllo statale Gazprom progetta di espandersi verso i mercati energetici dell’est; l’India, infine, rappresenta uno dei mercati più importanti per l’export di armi russe),

In un simile scenario, l’avvio di un dialogo con la Russia offrirebbe all’Occidente la possibilità di espandere le partnership e di allargare il proprio orizzonte strategico.

2. La proposta russa di una nuova architettura europea di sicurezza

Le linee guida della politica estera russa sono state espresse con chiarezza anche nella proposta di creare uno spazio euro-atlantico da Vancouver a Vladivostok as-

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sociato a un trattato sulla sicurezza europea, avanzata dal Presidente Medvedev durante la prima visita ufficiale in Occidente nel giugno 2008.(2)

Medvedev propone una revisione dell’attuale sistema internazionale basata su di un’intesa strategica a tre: Russia, Europa e Stati Uniti. Egli sostiene la necessità di mettere a punto e sottoscrivere un trattato giuridicamente vincolante che si ispiri ai principi dell’ONU e sancisca l’indivisibilità della sicurezza europea. Un nuovo trattato sulla sicurezza europea dovrebbe, nella versione russa, condurre alla creazione di un si-stema solido e comprensivo di sicurezza ugualmente fruibile dagli stati partecipanti. La regione euro-atlantica dovrebbe trasformarsi in uno spazio omogeneo di sicurezza senza differenziazioni prodotte da rapporti discriminanti fra stati e organizzazioni e senza quindi centri e periferie. La stabilità sarebbe garantita dall’impegno al rispetto di norme uniformi. La proposta russa ha il pregio di rilanciare la riflessione sull’assetto post-guerra fredda. Un’opportunità cui l’Occidente non dovrebbe sottrarsi. L’attuale situazione, infatti, è il prodotto di un mero processo di cooptazione ed estensione delle istituzioni preesisten-ti, come la NATO e la stessa UE, senza che sia stata elaborata una strategia globale capace di affrontare efficacemente le sfide del nuovo sistema politico internazionale.

2.1 I cardini della proposta russa

I punti in cui è articolata la proposta sono cinque:

1. Impegno a rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale: rispetto per la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica dei paesi; rispetto per tutti i principi inclusi nella carta dell’ONU.

2. Inammissibilità dell’uso della forza e della minaccia del suo impiego nelle re-lazioni internazionali: garanzia dell’interpretazione uniforme e dell’applicazione di tali principi; approccio unificato per la prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti nello spazio euro-atlantico. L’enfasi è posta su soluzioni negoziate che prendano in considerazione le posizioni delle diverse parti e rispettino i meccanismi di peaceke-eping.

3. Garanzia di un’equal security basata su tre interdizioni: a) non difendere la si-curezza di uno stato mettendo a repentaglio quella degli altri; b) non consentire atti da parte di alleanze militari o coalizioni che mettano a repentaglio l’unità dello spa-zio comune di sicurezza; c) non sviluppare alleanze militari che possano minacciare la sicurezza degli altri membri del Trattato. Si afferma la necessità di concentrarsi sugli aspetti di hard security, i cui meccanismi di controllo hanno recentemente de-notato un pericoloso deficit.

4. Nessuno stato, inclusa la Russia, e nessuna organizzazione internazionale può a-vere diritti esclusivi nel mantenere la pace e la stabilità in Europa.

5. Definizione di parametri di base per il controllo delle armi e limiti ragionevoli all’aumento dell’apparato militare. Messa a punto di nuove procedure e mecca-nismi di cooperazione nell’ambito della proliferazione delle Weapon of Mass De-struction (WMD), del terrorismo e del traffico di droga.

Per arrivare alla conclusione di un tale trattato Medvedev auspica un summit gene-rale con tutti i paesi europei, indipendentemente dalla loro membership nelle organiz-zazioni internazionali (NATO, UE).(3)

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La proposta russa è principalmente rivolta agli Stati Uniti nel tentativo di rom-pere l’impasse tra Mosca e Washington creatasi durante la presidenza di George W. Bush. Non essendo definita nei dettagli, essa ha il valore di un messaggio tanto cruciale quanto strumentale (sebbene non del tutto irrealistico), che manifesta la vo-lontà e la capacità della Russia di avanzare nuovi assetti strategici e di essere quindi re-integrata nel club delle potenze mondiali. La ripresa della Russia dopo la caduta dell’URSS è stata, infatti, accompagnata da un potenziamento dell’immagine del paese nei discorsi dei suoi leader, il cui culmine si è avuto proprio con l’iniziativa di un patto pan-europeo sulla sicurezza. La proposta è inoltre anche rivelatrice dei va-lori che dovrebbero ispirare la nuova partnership con gli Stati Uniti, al cui centro vi sarà indubbiamente il tema della sicurezza e, in particolare:

- volontà di dialogo e rispetto reciproco; - possibilità per soluzioni di compromesso ed eventuali concessioni, ma soltanto a

condizione di reciprocità e chiarezza nelle azioni di ciascuna. Le mosse russe sa-ranno quindi una risposta simmetrica quantitativamente (per quanto ciò sia possibi-le) e qualitativamente;

- consapevolezza che il rapporto Russia-USA è stato seriamente compromesso su più fronti dalle politiche “intrusive” (secondo la visione del Cremlino) del Presidente Bush. Ciò rende urgente una politica comune di ricostruzione dei rapporti bilaterali.

Escludendo l’ipotesi di un cambiamento radicale della politica estera americana in un momento così incerto dal punto di vista finanziario, qualsiasi risposta di Obama alla proposta russa dovrà passare attraverso un maggior coordinamento preventivo e la va-lutazione degli equilibri tra gli alleati NATO con riferimento, in particolare, alla contrap-posizione tra i membri della “vecchia Europa” e quelli di nuova adesione: Paesi Baltici, Polonia e Repubblica Ceca soprattutto vedono nella loro partecipazione alla NATO uno strumento di difesa da paure e pretese le quali non avrebbero avuto lo stesso peso se presentate al di fuori della posizione di membri NATO. Se l’UE sta già attraversando un periodo di crisi provocata dall’assenza di una posizione unanime verso la Russia, una politica statunitense intransigente potrebbe ulteriormente ampliare questa spaccatura interna con il rischio di indebolire la posizione occidentale nei confronti di Mosca.

2.2 Aspetti positivi della proposta: politica di distensione, approccio “soft” alle tematiche della sicurezza, sforzo comune per i conflitti “disgelati”

- Anche alla luce dell’attuale crisi economica, alcuni aspetti della proposta appaiono positivi: la rinuncia a una nuova costosa competizione per gli armamenti, in particolare, risulta conveniente sia per gli europei che per gli americani. La ri-duzione delle spese militari potrebbe essere favorita appunto da una nuova fase di formalizzazione dei rapporti di sicurezza nella pan-Europa.(4) La messa in sicurez-za dell’area euro-atlantica consentirebbe di concentrarsi congiuntamente su regioni critiche come Iran e Afghanistan o su conflitti irrisolti come quello arabo-israeliano.

- La proposta russa nel breve periodo smusserebbe, all’interno della NATO, le divi-sioni che si sono create rispetto a nuovi allargamenti e, nei paesi candidati, quelle fra le élite politiche a favore dell’adesione e l’opinione pubblica più scettica, come nel caso dell’Ucraina. L’Alleanza atlantica sarebbe così sollevata dall’imbarazzo di

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pronunciarsi su paesi che ancora non sono ascrivibili fra le democrazie consolidate e a cui sarebbe imprudente applicare l’art. 5 sulla difesa collettiva (vedi il caso della Georgia).

Il progetto russo suggerisce un modello di sicurezza olistico (anzi la tendenza è a presentare come cruciali gli aspetti soft della sicurezza: immigrazione illegale, cam-biamento climatico, povertà ed energia) in cui è necessario ridimensionare la com-ponente hard per i costi che essa impone ai bilanci statali. Tali questioni richiedo-no una risposta globale ed essendo a bassa politicizzazione rispetto alle questioni tra-dizionali di sicurezza (hard) dovrebbero agevolare la cooperazione tra le parti.

Il framework di un patto per la sicurezza implica anche lo sforzo per la comu-ne risoluzione di conflitti “disgelati” nell’area fra l’UE allargata e la Russia. Gli obiettivi e la concezione di sicurezza presentata da Medvedev è in sintonia con il nuo-vo documento “Garantire Sicurezza in un mondo in piena evoluzione” approvato dal Consiglio Europeo di Bruxelles dell’11-12 dicembre 2008.

È più probabile che la proposta della Commissione Europea sulla nuova strategia, che intende rafforzare la dimensione orientale della Politica Europea di Vicinato, avanzi in parallelo con la partnership strategica con la Russia..

La partecipazione al possibile nuovo regime di sicurezza presenterebbe ulteriori vantaggi. La Russia in particolare:

1. metterebbe fine al suo isolamento (terreno fertile per derive nazionaliste) e facilite-rebbe la sua normalizzazione;

2. sarebbe più esposta verso l’esterno sia in termini di controllo che di socializzazione; 3. sarebbe vincolata, dalla parte della proposta che invita alla difesa dei diritti umani e

della democrazia, al rispetto di tali principi implicando un maggior controllo degli al-tri partner sull’area della domestic politics.

2.3 Criticità della proposta: il ruolo futuro della NATO, il “declassamento” dell’Europa e l’acuirsi delle tensioni tra stati membri

La proposta è ancora troppo vaga in termini di conseguenze e prospettive, ossia se a prevalere saranno gli interessi degli stati nel costruire il nuovo sistema di sicurezza oppure si darà maggior enfasi all’idea dello spazio. Nel primo caso, il sistema potrebbe essere percepito come aperto, mentre nel secondo lo spazio geografico limiterebbe l’eleggibilità dei partecipanti.

Nel lungo periodo la proposta implicherebbe il dissolversi o la radicale tra-sformazione della NATO. I tre “no” enunciati da Medvedev sembrano, difatti, equiva-lere a un veto russo contro la natura e la vocazione della NATO: 1) nessuno deve poter garantire la propria sicurezza a discapito degli altri; 2) nessuna alleanza o coalizione deve condurre operazioni che possano minare l’unità dello spazio comune di sicurez-za; 3) nessuna alleanza militare deve svilupparsi in modo da minacciare la sicurezza degli altri partner del trattato. La NATO dovrebbe trasformarsi in una sorta di CSCE – Commission on Security and Cooperation in Europe – post-guerra fredda: sono pronti Europa e Stati Uniti a questa svolta strategica?

- Nonostante la proposta sia rivolta tanto all’Unione Europea quanto agli Stati Uniti, è Washington l’interlocutore privilegiato. L’Europa potrebbe essere marginalizzata

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dalle decisioni sulla sicurezza. L’elaborazione di una sicurezza pan-europea, che riconosca alla Russia un ruolo di co-protagonista, rischia di esacerbare le fratture nell’UE fra paesi come Italia, Germania e Francia, inclini a una po-sizione morbida e amichevole nei confronti di Mosca, e quelli dell’Europa centro-orientale. Questi ultimi, in particolare, potrebbero chiedere un rafforzamen-to dell’asse con Washington e incrinare l’Unione Europea.

- Aspetto ancora più delicato della proposta, Medvedev invita i paesi europei a parte-cipare alla conferenza sulla sicurezza individualmente, non come membri di alle-anze, blocchi o gruppi. Se però gli europei non sono in qualche modo coagulati o almeno rappresentati dall’UE il rischio è che la loro posizione individuale sia troppo debole e cadano vittima degli interessi prevalenti di Mosca e Washington.

3. Lo stato del negoziato UE-Russia e i margini di azione dell’Italia

La fine della guerra fredda ha portato a un complessivo miglioramento delle rela-zioni fra l’Unione Europea e l’Unione Sovietica prima e la Russia e i paesi ex-URSS poi, anche attraverso rapporti diretti tra le parti, ossia senza la mediazione de-gli Stati Uniti. L’adesione dei paesi dell’Europa centrale all’UE obbliga Bruxelles a ponderare con maggiore attenzione le proprie relazioni con Mosca. La stessa UE, d’altra parte, è sottoposta alle pressioni dei nuovi membri – gli ex satelliti sovie-tici – che auspicano un approccio sanzionatorio e poco indulgente nei confronti della Russia.(5)

Le circostanze in cui Russia e UE hanno concluso l’Accordo di Partenariato e Cooperazione (APC) per il rinnovo del quale sono attualmente in corso i negoziati so-no radicalmente mutate, come pure i rapporti di forza: da una parte, l’UE ha ac-quisito, anche in forza dell’allargamento del 2004, un ruolo regionale di primo piano e ha spostato sempre più a est i propri interessi; dall’altra la Russia, grazie a una crescita economica sostenuta e all’uso strategico delle risorse energetiche, è tornata a essere una grande potenza. Diverse sono, pertanto, le reciproche perce-zioni, aspettative e strategie d’azione. L’UE deve necessariamente mantenere buone relazioni con la Russia per la sua forte dipendenza energetica. Quest’ultima teme inve-ce, oltre alla perdita di influenza sulle ex-repubbliche sovietiche, una sorta di accer-chiamento e isolamento dovuto al progressivo e parallelo seppur non sincrono avan-zare sia dell’UE che della NATO.

È difficile, pertanto, pensare che le aree di criticità nelle relazioni UE-Russia possa-no trovare soluzioni nel breve periodo nonostante la decisione di riprendere i negoziati per il rinnovo dell’APC, interrottisi a seguito del conflitto russo-georgiano e il riconosci-mento russo dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del sud.

In un’ottica di apertura dell’UE nei confronti di Mosca al fine anche di una progressi-va “europeizzazione” della Russia, l’Italia potrebbe svolgere un ruolo di rilievo a motivo della posizione privilegiata che il nostro paese vanta all’interno dell’UE. La via della “socializzazione” e della convergenza verso modelli legislativi in settori chiave e strategici dell’economia appare quella adeguata in questo momento di tensio-ni regionali e internazionali e di grave crisi finanziaria, in considerazione poi della sen-sibilità verso queste tematiche dello stesso Presidente Medvedev.(6)

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3.1 La questione energetica: mancata coesione dell’UE, e debolezza di fronte alla preferenza russa per il bilateralismo e la logica del divide et impera

La Russia è critica rispetto a un approccio europeo plasmato sullo schema degli accordi di cooperazione (con strumenti giuridici vincolanti) che consente all’UE di esercitare forme di condizionalità e preferirebbe un modello cooperativo più pariteti-co come già avviene in ambito NATO (con l’istituzione del Nato-Russia Permanent Joint Council) e nelle relazioni Russia-USA, basate su un riconoscimento reciproco senza, tuttavia, che siano previsti strumenti giuridici vincolanti. La Russia teme inoltre che la Politica Europea di Vicinato (PEV) – destinata da Bruxelles ai paesi che per ora sono esclusi dalla prospettiva della membership – possa facilitare una progressiva ‘eu-ropeizzazione’ dello spazio post-sovietico aprendo così paesi come la Georgia, l’Ucraina, la Moldova all’influenza di un attore esterno. In politica estera – e quindi anche nei rapporti con l’UE – la Russia, come già evidenziato, predilige il bilate-ralismo. Nonostante l’inclinazione di molti degli stati membri verso un approccio più flessibile, la Commissione europea sembra restia a seguire questo orientamento met-tendo in difficoltà gli stessi negoziati per il rinnovo dell’APC.

Il punto cruciale di conflitto fra Mosca e Bruxelles riguarda i temi dell’energia e le difficoltà per quest’ultima di esprimere una posizione comune. Da una parte, la Russia non intende rinunciare all’utilizzo delle proprie risorse né in forma di straordi-naria rendita economica né come efficace strumento per esercitare la propria influenza. Dall’altra l’UE vorrebbe limitare la propria dipendenza dalla Russia attraverso un negoziato strutturato e comprensivo, una posizione indebolita però dall’azione di molti degli stati membri che rifiutano di seguire questa “disciplina europea” e continuano a stipulare con Mosca accordi bilaterali perseguendo in tal modo i loro esclusivi interessi nazionali (cfr. Approfondimento “La Russia e l’approvvigionamento energetico italiano ed europeo”).(7)

3.2 Ulteriori aree di criticità nei rapporto UE-Russia: diritti umani, riconoscimen-to del Kosovo, conflitto russo-georgiano e ulteriore ampliamento della NATO

Delicata anche la questione dei diritti umani e le critiche mosse al processo di democratizzazione, culminate con la rinuncia dell’OSCE a inviare in Russia propri os-servatori per monitorare le elezioni presidenziali del 2008. Mosca difende il concetto di “democrazia sovrana”, basato sul rispetto delle specificità politiche nazionali e sul rifiuto dell’ingerenza esterna. Sebbene l’UE e la Russia abbiano convenuto di creare un’istituzione bilaterale per i diritti fondamentali in linea con gli standard europei, la Russia rimarrà incline a preservare le proprie specificità nazionali. L’enfasi sul termi-ne sovranità si riferisce proprio al principio di non interferenza nella vita dello stato da parte di terzi ma soprattutto da parte dell’Occidente come, secondo i russi, è avvenuto in Ucraina o Georgia.

Un ulteriore motivo di contrasto fra UE e Russia è stato nel 2008 il riconoscimento da parte di alcuni stati membri (Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia in primis) dell’indipendenza del Kosovo.(8) La Russia si è sempre opposta a questa soluzione temendo che potesse costituire un precedente internazionale con implicazioni anche per gli “stati-non stati” del Caucaso meridionale, tra cui l’Abkhazia e l’Ossezia meridio-

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nale (cfr. Allegato “Russia, Caucaso meridionale, UE: prospettive strategiche e culturali”).

La disputa sul Kosovo ha fornito, peraltro, alla Russia l’occasione per rinsaldare i le-gami con Belgrado e recuperare un certo grado di influenza in quell’area: la Serbia, in-fatti, potrebbe svolgere un ruolo significativo nelle strategie di politica energetica della Russia, che coltiva l’idea di farne uno snodo per la distribuzione del gas in Europa e aumentare così la dipendenza dei paesi europei dalle sue forniture di gas e petrolio.

In tutte queste situazioni di frizione, l’UE appare particolarmente debole per la fram-mentazione e divisione interna, mentre la Russia esprime una certa assertività proprio in forza del fatto che l’UE non si presenta come attore unico e compatto. Anche in am-bito NATO, per esempio, i membri dell’UE hanno recentemente avuto un atteggiamen-to contrastante rispetto all’inclusione di Ucraina e Georgia nel Membership Action Plan (MAP): al pieno sostegno di Polonia si è contrapposto il veto di Francia e Germania che non intendevano creare una pericolosa frattura con la Russia e destabilizzare gli equilibri di sicurezza in Europa. Sono soprattutto gli ex satelliti sovietici a frapporre i maggiori ostacoli a una partnership cooperativa fra Bruxelles e Mosca, a motivo sia della loro memoria storica che di una percezione della sicurezza legata alla difesa del territorio e della sovranità Il risultato è che tali paesi sono indotti a ricercare accordi di sicurezza con Washington (significativa, al riguardo, la decisione di Polonia e Repub-blica Ceca di accogliere lo scudo anti-missilistico americano).

3.3 La posizione privilegiata dell’Italia e le possibilità di azione e mediazione

L’unità italiana (bipartisan e inter-istituzionale) su di una condotta ‘comprensiva’ nei confronti della Russia ha contribuito a posizionare l’Italia fra i paesi dell’Unione Euro-pea (insieme a Belgio, Cipro, Francia, Lussemburgo, Germania, Grecia) che la stampa russa ha definito con realismo “i lobbisti di Mosca”.(9) Durante il conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008, l’Italia ha sostenuto l’azione diplomatica svolta dalla presi-denza di turno dell’UE – detenuta dal Presidente francese Sarkozy – che ha mediato fra Georgia e Russia al fine di pervenire all’accordo in sei punti del 12 agosto per il cessate il fuoco.(10)

L’Italia si trova dunque in una posizione privilegiata per svolgere un’azione di mediazione a favore di un’apertura dell’UE verso la Russia, smussando la posizio-ne dei paesi meno inclini. Se sul piano della high politics le posizioni dei partner euro-pei rimangono distanti, l’Italia dovrebbe incoraggiare all’interno dell’UE un approc-cio che muova dalle questioni meno politicizzate secondo il tradizionale metodo funzionalista all’integrazione. In particolare, i quaranta gruppi di dialogo bilaterale su temi specifici già avviati fra Commissione europea e governo russo dovreb-bero essere rivitalizzati. Questa cooperazione settoriale, infatti, contribuisce a una graduale “europeizzazione”, intesa anche come progressiva familiarizzazio-ne con istituzioni, persone e pratiche. La reciproca conoscenza può aiutare anche a dissipare sospetti e paure aprendo nuove possibilità di dialogo su altri fronti. Se la Russia è insofferente rispetto a schemi negoziali e contrattuali rigidi, e non aspira a un approfondimento “formalizzato” e “regolarizzato” delle relazioni con l’UE, sembra allora auspicabile percorrere proprio la via della flessibilità delle tematiche.

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Il programma delle cosiddette road maps per la creazione di quattro spazi comuni (economia, giustizia, ricerca e cultura, sicurezza esterna), su cui nel 2005 era stato raggiunto un accordo fra le parti, potrebbe offrire l’opportunità per approfondire la col-laborazione.(11) Rispetto alle road maps, la Russia non ha posto resistenza, a pat-to che si attuino appunto attraverso la convergenza, il dialogo, l’armonizzazione e la best practice.

Al contrario, la Russia è parsa incline a questa “europeizzazione” nella misura in cui contribuisca a modernizzare il paese, una priorità anche sotto la presidenza di Medvedev. La “socializzazione” è uno strumento soft e flessibile, che si presta a successive “trasformazioni”, ma nei tempi e nei modi più consoni a ciascun pa-ese, senza cioè forzature o imposizioni.(12) È opportuno, peraltro, che la “socializza-zione” sia in armonia con l’azione svolta da altre organizzazioni internazionali – come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e l’Organizzazione per la Coopera-zione e lo Sviluppo Economico (OCSE) – di cui la Russia potrebbe a breve diventare parte e che richiedono un consistente adeguamento legislativo.

L’Italia potrebbe quindi inserirsi come promotrice di una graduale convergen-za legislativa anche al di fuori di schemi UE attraverso: scambi di esperti, best prac-tice e familiarità con esperienze nazionali/europee. Ciò che si dovrebbe realizzare è un sistema di governance per il tramite di norme in cui ‘europeizzazione’ non equivalga necessariamente a “EU-izzazione”. Il nostro paese dovrebbe, infine, promuovere la va-lorizzazione delle altre organizzazioni di cui la Russia è parte, tra cui l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organization – SCO), che consentirebbe a Bruxelles non solo di acquisire influenza su nuove aree geo-strategiche ma anche di ampliare le aree di cooperazione con Mosca.

4. La Russia nelle organizzazioni internazionali

- La Russia ha una duplice attitudine verso le organizzazioni, a seconda che esse rivestano carattere internazionale o regionale. Nel caso delle organizza-zioni internazionali, qualora ne sia già parte (ad esempio l’ONU), il paese aspira a giocare un ruolo assertivo sfruttando le eventuali posizioni privilegiatedi cui gode (membro permanente del Consiglio di Sicurezza).(13) In generale, dopo il periodo di isolamento e marginalizzazione degli anni ‘80, obiettivo della Russia è reintegrarsi nel sistema internazionale attraverso la membership nelle organizzazioni in cui sia accolta come equal member (non come junior partner) e possa, pertanto, esercitare una certa influenza sugli affari internazionali.

4.1 La volontà di adesione all’OMC e all’OCSE

- Sulla base della dimensione mercantilistica della propria politica estera, la Russia si è posta come priorità l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC-WTO) e all’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (O-CSE) allo scopo, altresì, di essere integrata nei mercati mondiali e vedere accre-scere gli investimenti diretti dall’estero.(14)

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- L’attuale fase congiunturale può essere, pertanto, adatta per coordinare le politiche economiche e commerciali con la Russia su base paritetica, mitigando il concetto di “condizionalità” al quale Mosca si oppone, ma ottenendone l’avvicinamento a prati-che e regole delle economie di mercato. La via preferenziale in questo momento è la creazione di un regime normativo accettato e rispettato dalla Russia. È dunque estremamente importante che la Russia sia ammessa a questi fori, che contribuiscono a promuovere la modernizzazione del paese. Si tratta di una mo-dalità di cooperazione che comporta vantaggi reciproci: l’integrazione incre-menterà la fiducia nel paese e, di conseguenza, accrescerà il flusso di investimenti esteri di cui la Russia ha una urgente necessità. Un effetto positivo si avrà anche in senso opposto, ossia sugli investimenti russi verso altri paesi che contribuiranno a creare sinergie economiche importanti dalle quali procedere verso una convergen-za più strettamente politica.(15)

4.2 I rapporti con la NATO

Rimanendo nell’ambito della partecipazione della Russia in organizzazioni interna-zionali, ma spostando l’attenzione verso questioni di sicurezza, un’analisi va dedicata al Consiglio NATO-Russia (Nato-Russia Council -NRC) avviato nel 2002. In questo settore gli scenari di una collaborazione russo-occidentale sono diminuiti pro-gressivamente, al contrario di quelli economici. L’ex Presidente Putin ha sempre visto la NATO come uno strumento per la realizzazione degli interessi statuni-tensi diretti a limitare progressivamente l’influenza russa nell’area post-sovietica.(16) Di conseguenza, gli allargamenti della NATO erano concepiti come un modo per screditare il potere del Cremlino, la stabilità e la sicurezza nazionale.(17) I rapporti NATO-Russia, pertanto, sono sempre stati condizionati dalla politica in-terna russa e dalle relazioni Russia-USA.

Oggi le relazioni Russia-NATO sono una delle ragioni dei rapporti mutevoli tra i cen-tri tradizionali del potere mondiale (USA e UE) e i poli emergenti (Russia, Cina e India). Dalla capacità dei primi di adeguarsi alle dinamiche geopolitiche internazionali dipenderà la loro sopravvivenza. La ripresa economica ha consentito alla Russia di stringere rapporti solidi e duraturi con alcuni paesi UE e NATO valgano gli accordi e-nergetici con l’Italia, la Francia, la Germania, l’Olanda e attraverso queste collabora-zioni economiche, di guadagnarsi degli “alleati” europei sui quali fare affidamento per promuovere in un momento successivo le proprie visioni sulla sicurezza.(18) Questo forum di collaborazione, caratterizzato sinora soltanto da tensioni e assenza di fiducia reciproca, dovrebbe quindi in futuro essere upgraded per realizzare pie-namente la sua raison d’être.

Un primo contributo potrebbe essere offerto dai (nuovi) rapporti Russia-USA con la presidenza di Obama e dalla risposta che l’UE e gli stessi USA daranno alla proposta di Medvedev di un patto di sicurezza pan-europeo. Un accoglimento della proposta russa potrebbe reimpostare su un piano diverso i rapporti russo-euro-atlantici e diventare l’iniziale piattaforma dalla quale i due nemici della guerra fredda possano di-segnare la propria sicurezza non più in maniera antagonista bensì collaborativa. Non si tratta di un’integrazione della Russia nelle strutture NATO – contraria all’identità russa e alla sua percezione di essere rinata come una grande potenza dopo l’umiliazione de-

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gli anni ‘90 – e nemmeno di concedere una sorta di membership, quanto piuttosto di riconoscere a Mosca un potere vero di decision-making nel processo di consul-tazione effettiva e costruttiva. È difficile immaginare uno scenario nel quale la Russia e la NATO convengano su un’agenda comune; allo stesso tempo né la Russia né l’Occidente possono disimpegnarsi nel lungo periodo dai loro rapporti bilaterali, in quanto vi sono molte questioni e sfide comuni che esigono la loro cooperazione. UE, USA e Russia hanno bisogno l’uno dell’altro per assicurare la loro stabilità eco-nomica e la loro sicurezza. All’inizio di marzo il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, appoggiata dal Segretario Generale dell’Alleanza Jaap de Hoop Scheffer, è riuscita ad assicurare il ripristino del lavoro del Nato-Russia Council (da effettuarsi do-po il summit NATO di aprile 2009), sospeso a seguito del conflitto russo-georgiano. Da parte sua, anche la Russia aveva sospeso la collaborazione nel quadro delle operazio-ni di peace-keeping e dei joint military exercises. Questo atteggiamento (richiamando la dichiarazione del Vice-presidente americano Joe Biden «t’s time to hit the reset but-ton») va letto indubbiamente in chiave positiva, ma non offre ancora una chiara lettura sul suo contenuto.(19)

4.3 La partecipazione della Russia a network regionali nell’area eurasiatica e a-siatica

Dopo la caduta dell’URSS, la Russia ha dato vita a un network di organizzazioni operanti nell’area eurasiatica e asiatica allo scopo di affermarsi come leader re-gionale. L’istituzionalizzazione dello spazio post-sovietico è stata concepita co-me un mezzo per sfidare l’unipolarismo globale a guida americana.(20)

Nel ri-organizzare e consolidare a proprio vantaggio lo spazio post-sovietico (ovvero l’area considerata “privilegiata” dalla dottrina di politica estera russa), Mosca ha cercato di mantenere vivi i legami economici e politici con le ex repubbliche sovietiche per as-sicurarsi una stabilità interna ed esterna. In termini economici, gli stati confinanti rap-presentano un’opportunità e un test per le strategie di penetrazione economica delle società russe nei mercati occidentali.

Si inserisce in questa logica la stessa CSI (Comunità di Stati Indipendenti), fondata sull’idea di costituire un unico mercato economico mirante a preservare il sistema di relazioni economiche integrate – comprese le agevolazioni legate al trasporto di merci e persone – che erano alla base dei rapporti economici dell’URSS.(21) Tuttavia, la CSI non vanta oggi una coesione interna tale da poter rendere sicuro e reale il ruolo di guida da parte di Mosca.(22) La singolarità della CSI sta nel fatto di essere un fondamentale punto di partenza per ogni progetto di integrazione nella regio-ne.(23)

4.4 La Shanghai Cooperation Organization (SCO)

L’altra organizzazione regionale, vista in Occidente non senza qualche sospetto, è la Shanghai Cooperation Organization (SCO). Essa rappresenta un foro a lungo carat-terizzato da tensioni interne che però sono state gradualmente superate (con evidente beneficio per le politiche e la ripresa regionale della Russia). I disaccordi tra Cina e Russia hanno sinora precluso, tuttavia, che l’organizzazione definisse agli interlocutori

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internazionali i propri obiettivi e il proprio futuro. Tre sono i principali settori di coo-perazione all’interno della SCO: politico, economico e militare. In particolare:

1. il settore politico è diretto principalmente a garantire il mantenimento dello status quo nell’Asia centrale il quale, da una parte, offre stabilità ai regimi lo-cali, mentre dall’altra assicura alla Russia l’estensione della sua influenza re-gionale; (24)

2. il tema dominante nel settore economico è la sicurezza energetica, che vede la Russia impegnata in primo luogo a trovare nuovi mercati per le proprie risor-se e assicurarsi il controllo su nuove rotte;(25)

3. il settore militare, infine, che a oggi ha attirato maggiormente l’attenzione dell’Occidente (alcuni hanno addirittura parlato della SCO come la controparte del-la NATO in Asia), sembra un ambito poco esplorato. La preoccupazione di pro-vocare un conflitto, laddove gli interessi militari non coincidono del tutto, e l’eventuale risposta degli USA alla costituzione di una cooperazione più formale e istituzionalizzata hanno fatto sì che i membri della SCO escludessero, al momento, di percepire l’organizzazione come uno strumento esplicitamente diretto a uno scontro con l’Occidente.(26) Da questi tre esempi appare confermata la tesi che le attività della SCO siano ba-

sate su un minimo comune denominatore che corrisponde pienamente all’interesse di politica interna, regionale e di sicurezza della Russia.(27)

L’UE considera la SCO come un fattore che contribuisce al rafforzamento del-la cooperazione e della sicurezza regionale nell’Asia centrale. Infatti, di fronte al rischio di instabilità in Asia centrale con conseguenti ripercussioni sulla sicurezza dell’UE, l’azione congiunta di Cina e Russia in seno alla SCO può rivelarsi uno stru-mento indispensabile per ristabilire la normalità, cosa che da sola l’UE non sarebbe in grado di realizzare. Si comprende che – in materia di influenza in Asia centrale – Bru-xelles non può competere con la Russia, la Cina o con gli USA. Questo spiega l’approccio di “basso profilo geopolitico” adottato nella regione, con la conseguenza che l’area rimane marginale per la politica dell’UE. Un’intesa russo-cinese provoche-rebbe un ulteriore ridimensionamento delle politiche europee. La proposta del Presidente Medvedev per un patto pan-europeo di sicurezza, sebbene strumentale per molti versi, ha il pregio di stimolare una riflessione sulla possibilità di un coordinamento nel settore della difesa tra SCO e NATO con poteri e campi di azione ben distinti e pre-stabiliti dalla quale può nascere una maggiore fiducia e rispetto reciproco anche tra Russia e NATO.

4.5 La posizione dell’Ue sulle organizzazioni regionali

Le strategie che Bruxelles può attivare nei confronti della Russia come membro di organizzazioni regionali nello spazio post-sovietico passano attraverso una riflessione del ruolo che tale area gioca nella visione russa e per la stessa UE. È innegabile che la Russia detenga un ruolo di mediazione nei rapporti tra le varie ex repub-bliche sovietiche. Un suo ritiro significherebbe scontri su più fronti tra gli stati in que-stione, una situazione che metterebbe a repentaglio la capacità dell’UE, ma anche de-gli stessi Stati Uniti, a stabilizzare l’area. Alcuni di questi stati fanno parte della Politica

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Europea di Vicinato, la cui indeterminatezza e inefficacia hanno portato a una “quasi subordinazione” dell’UE alla posizione di Mosca. La guerra nell’agosto del 2008 in Ge-orgia, la crisi energetica del gennaio 2009 tra Mosca e Kiev, nonché la crisi globale hanno indotto Bruxelles a ripensare il suo approccio nei confronti dei vicini o-rientali.

Quali allora possono essere i punti di partenza? In primo luogo, va osservato che la definizione dei confini interni dell’area, iniziata

con il crollo dell’URSS, è un processo ancora in corso. Questo offre all’UE l’occasione di offrire il suo soft power per la composizione dei conflitti tra i nuovi stati indipendenti, dalla cui risoluzione Bruxelles potrebbe successivamente trar-re benefici in termini di partnership economiche ed energetiche.

In secondo luogo, la Russia continua a essere priva di una strategia chiara e strut-turata verso la regione in esame (probabilmente perché non ancora in grado di investi-re in un modello duraturo, attrattivo e competitivo di integrazione); ma altrettanto fa l’UE, la quale oscilla tra l’appoggio alla politica degli Stati Uniti e un approccio più mo-derato. In quest’area l’UE dovrebbe abbandonare un atteggiamento verso i governi dei paesi della PEV basato sulla promozione della democrazia perché questo comporta un’ideologizzazione dei rapporti internazionali. È incerto, infatti, fino a che punto l’introduzione degli standard democratici possa integrare e unificare l’area, oltre che stabilizzarla. Questi stati possono essere, invece, uniti da un disegno che: a) porti dei vantaggi reciproci in termini economici; b) garantisca il rispetto per gli interessi di cia-scuno; c) sia guidato da un leader (o da un gruppo di leader) ben definito. Gli stati dello spazio post-sovietico dovrebbero essere integrati in una struttura che regoli il loro rap-porto con Mosca basandolo sul rispetto reciproco.

In terzo luogo, l’UE deve tener conto nelle proprie decisioni verso la Russia del fatto che quest’ultima ha bisogno di costruire un certo sostegno pubblico alla propria imma-gine nell’UE.

Essendo, infine, le politiche di integrazione della Russia sviluppate soltanto in due direzioni, quella economica e quella di sicurezza, Bruxelles potrebbe proporsi come ar-tefice di una cooperazione tra Mosca, gli altri paesi ex-sovietici e l’UE comprendente la sfera delle politiche sociali e la cooperazione culturale.

Quello invece che l’UE dovrebbe astenersi dal fare nelle sue politiche è:

- promuovere cambiamenti di regime per mezzo di rivoluzioni o politiche di iso-lamento. Le sue azioni devono piuttosto essere rivolte a far superare a questi stati il “complesso sovietico”. Anche la Russia, peraltro, dovrebbe impegnarsi a ottenere un risultato simile;

- introdurre politiche di divisione (che cioè conducano alla formazione di coalizioni e polarizzazioni) tra i diversi stati attraverso rapporti bilaterali, essendo i paesi dell’area storicamente troppo interdipendenti. Una simile politica comportereb-be seri rischi per tutte le parti interessate. Bruxelles invece potrebbe promuovere la sua presenza, ad esempio come osservatore, nei network creati dalla Russia aventi a oggetto la cooperazione economica. Questo però deve avvenire con il consen-so di Mosca e, possibilmente, in parallelo ai negoziati per il rinnovo dell’Accordo di partenariato e cooperazione (APC) con la Russia;

- “spaccare” le organizzazioni regionali tramite le politiche di alleanze (vedi l’allargamento della NATO come alternativa alle organizzazioni “guidate” dalla Rus-sia e in ogni caso isolando quest’ultima). Da parte sua, Mosca dovrebbe astenersi

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dal promuovere strutture in funzione anti-NATO perché simili alleanze sarebbero le prime a sgretolarsi se formate con l’unico scopo di uno scontro ideologico;

- rinunciare all’uso della forza. La guerra russo-georgiana ha chiaramente dimo-strato come questo metodo sia controproducente e ostacoli la formazione di un cli-ma di fiducia e lo sviluppo di forme più strette di cooperazione.

Note 1 Il Ministro della Difesa Anatoly Serdyukov ha precisato che, attualmente, soltanto il 10% degli arma-

menti russi potrebbe essere definito moderno, mentre il numero di nuovi armi con cui le forze armate vengono dotate non riesce a compensare il numero di armi obsolete in uso. Serdyukov ha promesso che, entro il 2015, il 30% degli armamenti sarà modernizzato arrivando al 70% entro il 2020. Il ministro ha anche confermato l’impegno per un miglioramento delle condizioni salariali dell’esercito. Alcuni am-bienti militari avevano criticato il Ministro Serdyukov per aver modellato la riforma militare secondo uno stile occidentale, e in particolare americano.

2 Dimitry Medvedev, Discorso tenuto alla World Policy Conference, Evian, 8 ottobre, 2008, http://natomission.ru/en/society/article/society/artbews/21/. Fu Charles de Gaulle che nel 1959, per la prima volta, ricorse all’espressione un’Europa dall’“Atlantico fino agli Urali”. Per il Presidente francese l’esistenza stessa di questa grande Europa costituiva il limite della creazione del Mercato Comune, proiezione di un’Europa geograficamente artificiale. L’Europa sedimentata, storica e morale, occupava infatti uno spazio ben più vasto con un confine orientale spostato fino agli Urali a comprendere la Rus-sia. L’Europa comprendente la Russia si poneva in contrasto con l’atlantismo e la crescente influenza americana in un’Europa in cui già era calata la cortina di ferro. Negli anni ‘80 fu il presidente dell’allora Unione Sovietica, Mikhail Gorbachev (Cecoslovacchia, aprile 1987) a proporre un’architettura pan-europea che – attraverso il superamento delle divisioni, lo smantellamento degli arsenali militari, la co-operazione per la comune risoluzione delle questioni più conflittuali – avrebbe dovuto costituire le fon-damenta per una “casa comune europea”. Secondo Gorbachev l’obiettivo era quello di “ristrutturare” l’ordine internazionale esistente in Europa, sostituendo il tradizionale equilibrio di potenza con un equi-librio di interessi. Questa visione, seppure volta a superare il clima di confronto che aveva caratterizza-to gli anni della guerra fredda, risultò troppo conservatrice in quanto non contemplava lo smantella-mento del sistema sovietico. I due poli sarebbero continuati a esistere cooperando. La proposizione di un tale modello di coesistenza collaborativa altro non era che un tentativo di prevenire il processo di autonomia ormai in atto nei paesi dell’Europa centrale e orientale. Il 1989 relegò definitivamente la “ca-sa comune europea” allo status di metafora senza possibilità di trovare concreta attuazione come pro-getto politico. All’indomani del 1989, le élites politiche dei paesi centro-europei – tra cui figuravano mol-ti attivisti della dissidenza che avevano fatto parte di movimenti pacifisti e per la promozione dei diritti umani trans-europei – auspicavano di poter rivitalizzare la CSCE come sistema pan-europeo di sicu-rezza. Durante gli anni Ottanta, infatti, si era diffusa fra i dissidenti la convinzione che solo il ritiro degli Stati Uniti dall’Europa e quello delle truppe sovietiche dall’Europa centrale, con la dissoluzione sincro-na del Patto di Varsavia e della NATO, avrebbe posto fine alla guerra fredda. In quest’ottica, la neutra-lità appariva un’alternativa plausibile alla logica dei blocchi. Successivamente, nei primi anni ‘90, le nuove democrazie sostennero il rafforzamento della CSCE come garanzia di sicurezza, temendo una dura reazione dell’Unione Sovietica alla loro progressiva emancipazione. Tuttavia, il fallito colpo di sta-to a Mosca del 1991 e la riemergere di forze neo-imperialiste indussero i paesi dell’Europa centrale a un maggior realismo. La NATO allora fu considerata come l’unico baluardo a garanzia dell’appena ri-conquistata sovranità. Del resto gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali non intendevano trasformare la CSCE in un’organizzazione di sicurezza collettiva. Per la stessa ragione, i paesi dell’Europa centrale e la Polonia in particolare, dopo il 1990 si opposero a ogni approfondimento dell’organizzazione temendo che questo potesse ostacolare la loro adesione alla NATO.

3 Nel giorno in cui si delineava la vittoria di Barack Obama alla Casa Bianca, il Presidente russo Medve-dev, nell’annuale intervento del capo dello Stato davanti al Parlamento Federale, ha minacciato il di-slocamento di missili tattici Iskander nella regione di Kaliningrad prospettando un “contro-scudo” in

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un’area strategica tra Germania, Polonia e Lituania, accompagnato da dispositivi elettronici in grado di inserirsi sulle frequenze delle comunicazioni USA e disturbare il funzionamento dell’apparato difensivo. Tale dichiarazione appare bellicosa, ma potrebbe anche essere interpretata come una mossa da parte di Mosca per incrementare il proprio potere negoziale e gettare le basi per un negoziato alla pari con Washington. L’iniziativa sembra aver sortito gli effetti sperati dal momento che il Presidente degli Stati Uniti avrebbe offerto alla Russia di fermare l’installazione nell’Europa dell’Est del nuovo sistema anti-missile in cambio della collaborazione di Mosca a fermare il programma di armamento nucleare irania-no. Il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha ribadito la disponibilità a ridurre tutti i tipi di vettori nucleari nell’ambito di un nuovo trattato sulla limitazione delle armi atomiche che dovrebbe sostituire lo “Start I”, che scadrà il 5 dicembre 2009. Lavrov ha precisato che le limitazioni riguarderebbero non solo le testa-te schierate operativamente ma anche i missili, i bombardieri e i sottomarini che le trasportano. Duran-te la conferenza ONU sul disarmo (marzo 2009) Lavrov ha letto un messaggio del presidente Medve-dev, centrato proprio sul rilancio del processo globale di disarmo, in cui il presidente russo dice di es-sere "aperto al dialogo e pronto a negoziare con la nuova amministrazione USA". Medvedev ha auspi-cato che il futuro accordo “Start I” oltre a essere giuridicamente vincolante preveda anche la limitazione non soltanto degli ordigni ma anche dei sistemi di fornitura escludendo la possibilità di dislocare arma-menti offensivi strategici al di fuori dei territori nazionali (evidente riferimento allo scudo antimissile in Repubblica Ceca e Polonia).

4 I trattati stipulati durante la guerra fredda hanno progressivamente perso significato e dopo l’uscita de-gli USA dal Trattato sui missili anti-balistici (e che ha permesso a Washington di situare elementi del proprio programma di difesa anche al di fuori del territorio nazionale), nel dicembre 2007 la Russia ha sospeso la sua membership nel Trattato sulle forze convenzionali in Europa. Il futuro di un altro accor-do internazionale, quale quello sulla riduzione delle armi strategiche (Start I) sembra anch’esso incerto.

5 Le prime relazioni ufficiali fra Russia e UE risalgono ai primi anni ‘90 e si sono sviluppate secondo lo schema tipico degli accordi che normalmente l’UE stabilisce con i paesi terzi. Nel 1993 quando iniziarono i negoziati per l’Accordo di Partenariato e Cooperazione (APC) – accordo poi firmato dal Presidente Eltsin nel 1994 e seguito da un processo di ratifica che si protrasse per ben tre anni – la Russia versava in una profonda crisi economica accompagnata da un complesso processo di transizi-one e stabilizzazione politica. L’UE offrì sostegno economico, anche come strumento di incentivazione alla democratizzazione e all’adeguamento al cosiddetto “acquis communautaire”. L’UE ha di fatto repli-cato con la Russia l’approccio utilizzato negli accordi di associazione appena conclusi con i paesi dell’Europa centrale e orientale (1993). L’APC prevede, infatti, un progressivo adeguamento alla legis-lazione europea nella prospettiva di giungere alla creazione di un’area di libero scambio. L’Accordo contempla anche un dialogo politico regolare attraverso forme di co-operazione e consultazione bilat-erali. Nel 2004 la Russia ha accettato di estendere l’Accordo ai dieci nuovi membri dell’UE e fu stabilito che l’APC avesse durata decennale (fino al dicembre 2007) con la clausola che potesse essere rinno-vato di anno in anno automaticamente a meno che le parti non decidessero di recedere.

6 Durante la sua campagna elettorale, il neo-presidente ha infatti più volte denunciato il “nihilismo gi-uridico” che domina nel suo paese. La modernizzazione della Russia secondo Medvedev passa anche attraverso una maggiore cultura giuridica, legalità e rispetto delle leggi. La democrazia non richiede ul-teriori connotazioni: si deve basare sui principi dell’economia di mercato, della supremazia del diritto mentre il governo deve rispondere ai propri cittadini. Un approccio che si basi sul rispetto dello stato di diritto potrebbe avere un riscontro positivo anche presso l’opinione pubblica russa sempre meno toller-ante verso la corruzione e l’esercizio arbitrario del potere da parte dello stato, soprattutto in un periodo di grave crisi finanziaria.

7 Nel gennaio 2007 la Commissione ha proposto un pacchetto di misure per riformare il mercato energe-tico europeo che richiede la separazione societaria per la generazione e la distribuzione (“unbundling”). Una clausola vieta il controllo di reti di distribuzione e trasmissione europee a società estere che non seguano le stesse regole e il cui paese non abbia raggiunto un accordo con la Commissione. La clau-sola è stata rinominata “clausola Gazprom” perché è subito apparso evidente che prendeva di mira il desiderio di Gazprom di entrare nel mercato della distribuzione in Europa. Mosca si è opposta a queste misure che – di fatto – porrebbero fine al monopolio di Gazprom, la quale sfrutta la propria posizione per acquistare gas a basso costo da altri paesi e rivenderlo a prezzi molto più alti in Europa. La strate-gia di Gazprom è, al contrario, quella di acquisire ulteriori pipelines all’estero per controllare, oltre alla produzione, anche la distribuzione del gas come è avvenuto con Beltransgaz in Bielorussia (che ha

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dovuto cedere a Gazprom il 50% del controllo della rete di distribuzione del paese attraverso cui ven-gono rifornite anche Germania, Polonia, e Lituania) o in Serbia, con l’acquisizione del controllo della NIS (il monopolio di stato del gas e del petrolio) dove Gazprom ha ottenuto anche l’assenso a far pas-sare sul territorio serbo una parte del gasdotto South Stream. Di recente si è avuta da parte di Bruxel-les un’apertura riguardo alla cosiddetta “clausola Gazprom”: in seguito alla decisione del 10 ottobre 2008 il mercato energetico UE sarà infatti aperto per le società estere, Gazprom compresa, che vo-gliono acquisire quote dei mercati nazionali UE senza dover effettuare una separazione societaria tra la generazione e la distribuzione del gas. La maggior parte delle compagnie gassifere nazionali si rifor-nisce da Gazprom. Le compagnie nazionali accettano di vendere parte delle proprie infrastrutture per avere in cambio la partecipazione in alcuni progetti di estrazione di gas o di scoperta di nuovi giaci-menti gassiferi in Russia in collaborazione con Gazprom.

8 Prima della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, Mosca aveva esplicitamente affermato che un simile precedente avrebbe potuto indurla a riconoscere Abkhazia e Ossezia meridionale, come poi è effettivamente avvenuto nell’agosto 2008. Queste due entità, del resto, avevano già più volte avanzato tale richiesta a Mosca, mostrandosi anche favorevoli a entrare a far parte della Federazione. La Russia è costituta da una pluralità di soggetti, molti di carattere etno-territoriale; alcuni di questi nutrono in va-ria misura ambizioni secessioniste (ad esempio la Cecenia); da questo punto di vista, si capisce l’opposizione di Mosca verso precedenti suscettibili di riaprire la questione delle frontiere internazio-nalmente riconosciute.

9 L’Izvestia ha pubblicato nel settembre scorso una carta geografica in cui gli stati membri dell’UE sono classificati secondo quattro categorie sulla base della dicotomia ostilità/amicizia nei confronti di Mosca. Le altre categorie sono: i “centristi” (Austria, Finlandia, Irlanda, Spagna, Paesi bassi, Slovenia, Bulga-ria, Slovacchia); i “critici moderati” (Repubblica Ceca, Ungheria, Romania); i “critici virulenti” (Stati Bal-tici, Gran Bretagna, Polonia, Svezia). Anche nella classificazione proposta da Leonard e Popescu, che individua cinque categorie, l’Italia rientra fra i “Partner strategici” (insieme a Francia, Germania e Spa-gna). Le altre categorie sono: i “Cavalli di Troia’’ (Cipro e Grecia); i “Pragmatici amichevoli” (Austria, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Ungheria, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovacchia e Slovenia); i “Pragmatici freddi” (Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Irlanda, Lettonia, Olanda, Romania, Svezia, Regno Unito); 5) i “Nuovi combattenti” (Lituania e Polonia). Si veda M. Leonard, N. Popescu, “A Power Audit of EU-Russia Relations”, European Council on Foreign Relations, novembre 2007, www. ecfr.eu.

10 Italia e Francia sono anche state in sintonia nel rifiutare la convocazione di una riunione di emergenza dei capi di stato o di governo, o almeno dei ministri degli esteri dell’UE, come invocato da Lettonia, Po-lonia, Repubblica Ceca e Svezia e nel respingere l’applicazione di sanzioni nei confronti di Mosca. L’Italia si è alla fine allineata alla decisione del Consiglio europeo straordinario (1° settembre 2008) che ha definito la reazione russa in Georgia sproporzionata e ha fermamente condannato il riconoscimento unilaterale dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud da parte della Russia. L’Italia ha caldeg-giato la proposta lanciata dal Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, in occasione del Consiglio in-formale di Avignone del settembre scorso, di avviare un’inchiesta internazionale (contrari, invece, Po-lonia, Paesi Baltici e Svezia) per far luce su tutte le fasi del conflitto. L'Italia inoltre sostiene e contribui-sce (con un contingente di quaranta osservatori, trentasei militari e quattro civili) alla missione civile di osservazione in Georgia stabilita dall’UE – European Union Monitoring Mission (EUMM) – il cui fine è monitorare il rispetto del piano di pace Medvedev-Sarkozy.

11 Anche se pochi sono i progetti concreti previsti, sono state incluse misure per facilitare il commercio, gli investimenti e aiutare la Russia a convergere su norme regolamentari e standard dell’UE. La conver-genza potrebbe applicarsi, ad esempio, al settore delle telecomunicazioni, a quello automobilistico, dei prodotti farmaceutici e agli appalti pubblici; sempre muovendo dalla esperienza europea, potrebbe es-sere avviato un dialogo sui diritti della proprietà intellettuale; sull’armonizzazione della legislazione sul-la concorrenza, ecc.

12 In proposito, si potrebbero citare alcuni esempi positivi come l’adozione della politica della protezione dei consumatori frutto di un progetto finanziato dall’UE che ha permesso a esperti provenienti dai paesi dell’Europa occidentale e orientale di incontrarsi e discutere in un ambiente non politicizzato. Per l’adozione della legge federale per la protezione della concorrenza è stato, invece, spontaneamente seguito il modello predominante nell’UE. Ancora, all’interno del Consiglio Permanente del partenariato le parti si sono impegnate a migliorare l’efficienza energetica e a promuovere il risparmio energetico anche attraverso il confronto della legislazione e dei regolamenti sul tema.

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13 Negli anni ‘90 la debolezza economica e politica della Russia l’hanno spinta a considerare la sua

membership in organizzazioni internazionali (e soprattutto quella nell’ONU) come l’unica “arma” a di-sposizione per difendere gli interessi nazionali e lo status di potenza. Da qui deriva il persistente so-stegno nella politica estera della Russia all’ONU come il forum più importante per il sistema internazio-nale.

14 Il lavoro preparatorio all’adesione a questi fori ha obbligato la Russia a ricostruire rapporti prima com-petitivi su una base più cooperativa e a doversi gradualmente adeguare all’acquis legislativo delle or-ganizzazioni in questione. Infatti, molti analisti mettono in evidenza come i negoziati dell’ultimo periodo siano stati incentrati più su questioni politiche, alludendo al processo di convergenza della Russia ver-so gli standard occidentali che non su argomenti di carattere prettamente economico. Si è osservata una spaccatura tra le società russe private che spingono verso una maggiore integrazione del loro pa-ese nei mercati internazionali e i relativi timori del Cremlino che alcune industrie nazionali, quali quella agricola e manifatturiera, possano perdere la loro competitività qualora le misure protezionistiche e le barriere tariffarie per i prodotti esteri, tuttora presenti in Russia, dovessero essere abolite a seguito di tale integrazione. L’attuale situazione di crisi economica non facilitano l’abbandono di politiche protetti-ve, almeno finché non si vi siano segnali di ripresa.

15 Un esempio eloquente della volontà della Russia di migliorare il clima di collaborazione economica in-ternazionale è l’istituzione, nel febbraio 2008, del Consiglio internazionale per la cooperazione e gli in-vestimenti allo scopo di sovrintendere le attività di società russe e straniere operanti sul mercato do-mestico e potenziare le opportunità di condurre affari in Russia (si noti che nel Consiglio direttivo vi siedono il presidente della Camera di Commercio americana in Russia, rappresentanti di gruppi com-merciale leader nell’UE, nonché rappresentanti di società dell’Asia e del Pacifico).

16 Si badi che prima di Putin, Eltsin aveva auspicato che un giorno la Russia potesse entrare a far parte della NATO perché considerava una politica di integrazione e cooperazione come un vantaggio per il suo paese. Considerando i mutamenti fondamentali sulla scena geopolitica degli ultimi anni, oggi Putin e Medvedev sembrano poco inclini a fare concessioni relative alla sicurezza della Russia simili a quelle fatte da Gorbachev e Eltsin.

17 Ad esempio, alcuni stati dell’Europa centro-orientale facenti parte dell’ex blocco sovietico sono entrati nell’Alleanza al fine anche di sfidare Mosca su precise (e a volte futili) questioni, consapevoli della pre-senza alle loro spalle di un organismo che impone agli altri membri obblighi di assistenza in caso di aggressione.

18 L’ultimo summit della NATO (Bucarest 2008) ha rivelato proprio questa strategia con il risultato di mi-nare per la prima volta la credibilità dell’Alleanza. Consapevole di possedere la carta vincente del XXI secolo – cioè immense risorse di idrocarburi – e allo stesso tempo consapevole della debolezza milita-re (stato obsoleto delle armi russe e urgenza di modernizzare, riformare e investire nelle strutture mili-tari) rispetto agli USA, la Russia è riuscita ad ottenere dei crediti dai suoi partner europei necessari per la sua sicurezza nazionale limitando così le future azioni della NATO.

19 Il futuro del Consiglio nel breve termine rimane sempre nell’ambito di una collaborazione consultiva su temi di comune interesse quali la discussione della proposta del presidente russo sulla futura architet-tura di sicurezza europea o anche la sicurezza energetica a patto che nel caso di quest’ultima ciò non divenga un modo per l’Occidente di imporre un certo grado di controllo sull’asset più importante della crescita russa, gli idrocarburi. In altri termini che il CNR non si trasformi in un foro dove una maggiore interdipendenza comporterà una maggiore limitazione dell’influenza della Russia su questioni/regioni che Mosca considera vitali per la sua politica. In ogni caso è auspicabile che i membri UE prendano maggiori iniziative e agiscano da mediatori tra Russia e USA su temi che toccano in primo piano la loro sicurezza per rilanciare la reciproca fiducia.

20 In termini di sicurezza le ex repubbliche sovietiche erano e sono tuttora per la Russia una continuazione congenita delle sue infrastrutture e strutture militari; il suo status di potenza mondiale è strettamente collegato a quest’area circostante, la quale costituisce anche lo spazio della sua rivincita internaziona-le. Mosca ha quindi promosso la creazione di organizzazioni che comprendono paesi che sostengono politicamente la sua influenza, quali la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), la Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEc), e l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). A questa mossa tuttavia si sono opposti paesi che fondando l’organizzazione GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaigyan, Moldova) hanno cercato di contrastare l’influenza russa nell’area. A completare il quadro negli anni si sono aggiunte altre organizzazioni: la Cooperazione economica del Mar Nero (BSEC) che ha lo scopo

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di accrescere la stabilità e l’integrazione nella regione del mar Nero (fra i cui membri figurano gli stati GUAM) e il gruppo dei cinque paesi litoranei del Mar Caspio (Azerbaigyan, Turkmenistan, Kazakhstan, Russia e Iran) i quali, oltre a voler una regolamentazione sull’uso delle risorse del Mar Caspio, si pro-pongono di preservare la sicurezza regionale. Non si può omettere di menzionare anche l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO) di cui fanno parte Cina, Russia, Kazakhstan, Kir-ghizistan, Tajikistan e Uzbekistan, oltre ai paesi osservatori: India, Iran, Mongolia e Pakistan.

21 Tale organizzazione, quindi, avrebbe garantito la preservazione del precedente rapporto di cooperazio-ne tra gli stati, permettendo inoltre a Mosca di non perdere contatto con gli oltre 25 milioni di russi che, dopo la caduta dell’URSS, si sono trovati in stati stranieri. Dal punto di vista strategico, invece, la CSI garantiva alla Russia accesso alle vie marittime, ai porti e alle risorse naturali dei nuovi stati indipen-denti, disinnescando di fatto il pericolo che questi potessero cercare sostegno presso altre potenze. I-noltre, con la CSI la Russia faceva sì che le linee di difesa nazionale restassero fuori dai confini pro-priamente russi, garantendo una fascia di sicurezza entro il territorio dei vecchi stati sovietici.

22 Il foro è caratterizzato da una spaccatura, ormai cristallizzata e ripresentatasi dopo l’agosto 2008, che vede i membri GUAM dichiaratamente contrari alle politiche della Russia e propensi a uscire dall’organizzazione. In questo contesto gli sforzi di Mosca sono concentrati a difendere la sua alleanza con gli stati dell’Asia centrale, importanti per le sue politiche energetiche ma anche geopolitiche confi-gurandosi come una sorta di leva contro la presenza occidentale nell’area. Il ritiro della Georgia dalla CSI potrebbe migliorare le condizioni per rendere l’organizzazione più unita ed efficiente, ma rischie-rebbe di confondere gli altri membri sul come instaurare le future relazioni con la Russia, soprattutto considerando la reazione di Mosca nel conflitto armato nell’agosto 2008 e la sua posizione assertiva nell’area.

23 È stata proprio la CSI a dare origine alla CSTO e all’EurAsEC, il cui potenziale non è stato ancora inte-ramente esplorato a causa della contrapposizione ideologica all’Occidente, dell’ineguale livello di svi-luppo dei singoli sistemi politici degli stati membri, del fenomeno della corruzione e delle lotte intestine per il potere che non permettono un’evoluzione verso istituzioni sopranazionali come quelle dell’UE.

24 Si veda ad esempio l’ostilità degli stati-membri verso il concetto occidentale di democrazia e la relativa difesa della possibilità che esistano forme diverse di democrazia. In questo senso in prospettiva la SCO si configurerebbe come un foro per respingere le politiche occidentali e trovare una legittimazione e sostenibilità delle politiche interne dei membri. La SCO, inoltre, rappresenta una piattaforma dalla quale combattere la minaccia dell’estremismo religioso e del separatismo nazionale (secondo lo statu-to della SCO il diritto alla secessione non è riconosciuto), due fenomeni che minano seriamente il so-stegno ai governi nazionali e che sono spesso ricollegati a tentativi di ingerenza occidentale.

25 Tuttavia, la collaborazione economica all’interno della SCO è resa incerta dalla persistenza di problemi quali la presenza di barriere al commercio e altre misure protezionistiche nazionali, nonché dall’approccio intransigente della Cina nella difesa dei propri interessi commerciali ignorando quelli degli altri membri SCO. La cooperazione economica offrirebbe all’UE uno spazio, benché limitato, di inserirsi con investi-menti per sostenere la modernizzazione di infrastrutture di cui necessitano tutti i membri SCO.

26 Inoltre, cinque dei sette membri della CSTO (l’altra organizzazione nello spazio post-sovietico che si prefigge di creare un sistema di sicurezza collettiva e che condivide gli obiettivi della SCO della lotta al terrorismo, al traffico di stupefacenti e armi) sono membri della SCO. La coincidenza di scopi tra le due però non rende plausibile l’ipotesi di un’assimilazione della CSTO nella SCO. Bisogna notare che la cooperazione militare tra Cina e Russia si sviluppa su base esclusivamente bilaterale e non in seno al-la SCO. I due paesi hanno promosso, seppure senza significativi sviluppi, l’elaborazione di dottrine mi-litari comuni, che non hanno alcun legame con i paesi dell’Asia centrale. Questo si spiega con l’aspirazione di Cina e Russia di manifestare davanti agli altri membri SCO una capacità di affrontare le minacce alla sicurezza nazionale dei paesi della regione senza che questi ultimi debbano far ricorso a forze militari esterne.

27 Il suo ruolo dominante le assicura, da una parte, un potere forte nel decision-making e, dall’altra, non esige dei sacrifici – quali gli obblighi derivanti dal rispetto delle decisioni di un’autorità sopranazionale con la relativa rinuncia a una parte della propria sovranità, sul modello UE – ai quali essa non è pronta. Inoltre, diventa evidente che una maggiore pressione da parte dell’Occidente sul processo di democra-tizzazione dei paesi dell’Asia centrale aumenterebbe la coesione dei membri SCO sugli obiettivi politici del foro e su una futura cooperazione più forte (al contrario, un relativo disinteresse di USA e UE verso la regione potrebbe allentare questi legami e rendere i membri più favorevoli al dialogo).

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1. La transizione verso la democrazia

Il processo di transizione verso la democrazia che ha coinvolto la Russia a partire dagli anni della perestroyka, e poi con maggiore forza in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, non è stato senza ripercussioni sulla società russa. Alcune analisi tendono a interpretare tale processo solo come un’operazione di facciata, che non ha intaccato strutture, tradizioni, modalità d’azione, mentalità politiche e forme di potere formatesi durante il periodo sovietico. Non si deve certo andare alla ricerca di impropri confronti con i sistemi e le culture politiche del mondo occidentale, per comprendere quanto è avvenuto e sta avvenendo in Russia in questi ultimi due decenni. In realtà, non sono poche le dinamiche di trasformazione innescate dall’itinerario percorso. Hanno preso avvio processi di rinnovamento che intervengono su strutture profonde dei meccanismi sociali, delle elaborazioni culturali, delle forme e delle pratiche della politica, le cui con-seguenze si potranno manifestare con tutta la loro evidenza nel medio-lungo periodo.

La comparsa di uno spazio di dibattito pubblico, sebbene sottoposto a evidenti limitazioni, costituisce un elemento di novità non indifferente per una società che ha conosciuto, solo per brevi periodi e perlopiù in passaggi turbolenti della sua storia, un tale fenomeno. Non sono da sottovalutare nemmeno le modalità con cui è avvenuta la successione ai vertici del potere, sia nell’avvicendamento tra Eltsin e Putin che in quello tra Putin e Medvedev, pur con procedure di designazione insolite per gli standard occi-dentali. Infatti, la decisione dei presidenti russi di rispettare i termini del loro mandato e le procedure elettorali senza provocare eccessive turbolenze del sistema, ha consolidato un’attitudine al rispetto di un quadro di legalità costituzionale per l’avvicendamento al po-tere, oltre ad avere contribuito alla stabilità dell’intero ordinamento istituzionale. In questi anni si è assistito anche all’avvio di un processo di formazione della società civile, per molti versi ancora fragile, ma che ha favorito la configurazione di una sua articolazione interna non priva di espressioni significative, dai media alle realtà associative, dai gruppi di interesse alle organizzazioni religiose. Infine, un non irrilevante fattore di trasformazio-ne è l’introduzione, anche se perlopiù allo stato iniziale e con notevoli contraddizioni, di pratiche di “umanizzazione”, basate sul rispetto della persona, nella legislazione, nella pratica amministrativa, nell’esercizio del potere, nel Welfare, nella cultura so-ciale e nella mentalità collettiva.

Tuttavia, tale processo di transizione si è realizzato, nel corso degli anni ‘90, in un contesto di crisi profonda dello Stato: crisi di natura strutturale, funzionale, ideolo-gica. In questo quadro, peraltro caratterizzato dai costi sociali del passaggio all’economia di mercato, sono venute meno o si sono fortemente indebolite funzioni fondamentali del-lo Stato: la sanità, l’istruzione, la previdenza, i trasporti, solo per citarne alcune. Tali fe-nomeni hanno avuto conseguenze fortemente negative sul vissuto quotidiano di milioni di russi, con il risultato di condurre molti di loro sotto la soglia minima della povertà e di rendere le condizioni materiali di vita ancora più difficili. La debolezza e l’assenza dello Stato hanno spesso provocato una degenerazione dei fenomeni di trasformazione della società: si pensi solo allo spazio occupato nel corso degli anni ‘90 dalle varie forme di criminalità organizzata o ai non limpidi processi di privatizzazione dell’economia. È senza dubbio cresciuto in quegli anni il tasso di violenza nella società russa e questo, associato ai fenomeni accennati, ha contribuito a generare la percezione di caos che si è progres-sivamente affermata come prevalente nell’opinione pubblica.

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La società russa è dunque arrivata alla fine degli anni ‘90 disillusa nei con-fronti della democrazia. Democrazia e tracollo dello Stato, con tutte le conseguenze che ne sono derivate, sono diventati un sinonimo. Il “logoramento” a cui è stato sotto-posto il concetto di democrazia ha condotto a un suo discredito nell’opinione pubblica: «per la maggior parte della popolazione russa, come rivelano i sondaggi, la parola ‘de-mocrazia’ è sinonimo di rovina e furto organizzato, condotto sotto lo slogan delle priva-tizzazioni negli anni della presidenza di Boris Eltsin» – ha scritto un osservatore russo. È un dato acquisito la diffusione nell’opinione pubblica di una radicata delusione nei confronti del principio democratico, provocata dall’inefficienza degli istituti democratici formatisi in quegli anni.

A tali elementi di analisi occorre aggiungere che l’uso della democrazia come stru-mento geopolitica – a torto o a ragione individuato dai russi come uno degli elementi della politica occidentale – ha favorito tale processo. Le rivoluzioni “colorate” in Ucraina e in Georgia sono state accolte dalla società russa come manifestazioni di tale utilizzo della democrazia. L’esito non confortante dal punto di vista degli standard di democra-zia dei processi politici nei due paesi ha confermato tale percezione.

L’obiettivo dell’integrazione della Russia nell’Occidente è stato perseguito dagli Stati Uniti e dall’Europa con la convinzione che, da parte russa, si accet-tasse senza riserve il modello culturale e politico occidentale. L’Occidente doveva svolgere in Russia la sua missione “civilizzatrice” per eccellenza: educare un popolo e una società – che avevano difeso orgogliosamente per secoli la loro diversità e auto-nomia – a un nuovo modello culturale. Tuttavia, non si può ignorare il peso della tradi-zione russa di cultura politica, modellata sulle forme che storicamente ha assunto il po-tere e sulle modalità del suo rapporto con la società. Un processo di democratizzazio-ne non può fare i conti con tale eredità del passato in una prospettiva unicamente liqui-datoria. Un tale approccio si rivela il più delle volte destinato al fallimento. La storia e la tradizione di cultura politica della Russia non solo hanno formato una scuola di pensie-ro, ma anche, e forse soprattutto, hanno modellato nell’universo culturale dei russi una mentalità, una sensibilità culturale e politica, un modo di guardare al potere e di consi-derarne i rapporti con la società. Una delle cause del fallimento della politica liberale negli anni di Eltsin è forse da rintracciare anche nell’attitudine a considerare la società russa, dopo il disastro dell’esperimento comunista, come tabula rasa dal punto di vista della cultura politica. Alla Russia post-sovietica si sono applicati modelli politici di ma-trice occidentale, sfornati da laboratori di pensiero politologico o sociologico, senza un’adeguata considerazione dello spessore storico e culturale della realtà russa, che rifiuta nel profondo un destino di omologazione a modelli culturali e politici estranei.

Vi è una tradizione di cultura politica russa di segno conservatore che, a partire dalla fine degli anni ’90, ha soppiantato il liberalismo come registro dominante della riflessio-ne politica e delle forme di gestione del potere. Lo statalismo, il comunitarismo, il so-vranismo, il tradizionalismo religioso, il messianismo a tinte escatologiche, sono alcuni dei principali assi di riferimento del conservatorismo russo, che hanno informato la cul-tura politica di questo primo decennio del XXI secolo.

La formula della democrazia sovrana, coniata da Vladislav Surkov, ideologo del Cremlino negli anni di Putin (non è ancora chiaro se questo suo ruolo si confermi con la presidenza di Medvedev), è espressiva di un’ambizione a elaborare e realizzare un proprio modello di sistema politico. La Russia ha compiuto una scelta sovranista in tutti i campi. Tale opzione ha ripercussioni anche sulle concezioni politiche e sulle

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forme di strutturazione del sistema politico: i loro fondamenti devono essere russi. E-merge una visione in cui prevalgono le esigenze dell’esercizio del potere, identificato con un vertice personalizzato (la verticale del potere), e il ruolo delle élite, piuttosto che il rispetto delle procedure e il protagonismo dei cittadini.

La concezione dei diritti dell’uomo è considerata nel mondo russo quale pilastro dell’architettura ideologica dei progetti di egemonia culturale che attraversano i feno-meni della globalizzazione. È diffusa la percezione che il richiamo al rispetto dei diritti dell’uomo sia un’arma ideologica utilizzata con finalità di carattere geopolitico da parte dell’Occidente. Le componenti più avvertite della società comprendono l’esigenza di non indulgere in un atteggiamento – diffuso in settori consistenti dell’opinione pubblica – di rigetto del tema, ma di coniugare una ragionevole assimila-zione della cultura dei diritti dell’uomo con i simboli e i valori dell’universo culturale rus-so. Nel dibattito culturale l’elaborazione più autorevole e compiuta di una visione originale sul tema dei diritti umani è provenuta dalla Chiesa ortodossa, che in questi anni si è qualificata come uno dei protagonisti della società russa. Con un do-cumento ufficiale approvato da una delle sue massime istanze di governo, il concilio episcopale, la Chiesa ha voluto affermare che fosse necessaria una rielaborazione russa della concezione dei diritti umani, maturata in un contesto culturale esclusiva-mente occidentale. La tradizione culturale russa, di cui l’ortodossia si qualifica come una delle componenti fondamentali, rivendica la legittimità di un proprio contributo volto alla formazione di una nuova visione dei diritti umani, che sappia contemperare le esigenze di difesa dei diritti dell’uomo con quelle del rispetto dei valori delle tra-dizioni religiose. È stato l’allora metropolita di Smolensk e Kaliningrad Kirill, eletto nel mese di gennaio 2009 patriarca di Mosca e tutte le Russie, il principale artefice di tale elaborazione di pensiero. L’obiettivo non è stato quello di negare il valore dei diritti dell’uomo, grazie alla cui difesa la Chiesa ortodossa si è potuta liberare dall’oppressione del regime comunista. A essere messa in discussione è stata l’interpretazione corrente dei diritti dell’uomo da parte della cultura occidentale di stampo liberale, insieme alla pretesa di farne una concezione di indiscutibile valore universale. In altre parole, viene contestato il proposito di imporre un sistema di pensie-ro e di standard elaborato all’interno della cultura occidentale come norma a livello mondiale. L’esigenza di cui l’ortodossia russa vuole farsi interprete è di coniugare la concezione dei diritti e della libertà dell’uomo con un rinnovato senso della re-sponsabilità morale, radicato nel patrimonio di valori tradizionali formato dalle fedi reli-giose. La decisione di mettere in discussione – almeno nelle forme che essa ha assunto – la concezione che sembra essere il fondamento del sistema di valori della cultura occi-dentale, risponde all’obiettivo di affermare il diritto alla pari dignità di visioni del mondo altre da quella che si vuole imporre come dominante. Non si intende negare che i dirit-ti dell’uomo siano un valore, ma si vuole affermare che esistono anche altri valori, che non possono essere considerati secondari né tanto meno ignorati.

1.1 Quale approccio per l’Occidente?

Negli ultimi anni si sono confrontate due linee di pensiero in merito alla politica che l’Occidente deve applicare nei confronti della Russia. Da una parte vi sono coloro che continuano a porre il problema della democratizzazione come il metro di misura

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delle relazioni con Mosca e spingono per un atteggiamento maggiormente intransi-gente nei confronti del Cremlino, a fronte di un progressivo allontanarsi del regime rus-so dagli standard dei sistemi politici occidentali. Dall’altra, si è consolidata la posizione di chi ritiene impossibile riuscire a guidare dall’esterno lo sviluppo interno della Russia e indica la via della Realpolitik come quella più idonea a stabilire relazioni vantaggiose per l’Occidente. L’opzione russa è oggi per la sovranità. Da parte occi-dentale non conviene ignorare le richieste russe e considerarle secondo giudizi stereo-tipati. La Russia è un paese troppo importante, per la sua valenza strategica, geopoliti-ca, geoeconomica. La via più opportuna sembrerebbe quella di trattare con la Russia accettando il metodo che essa propone: ottenere un accettabile compro-messo, senza indulgere in posizioni di principio. Infatti, come ha osservato un analista russo, “le prediche pubbliche dirette alla Russia dimostrano solo la piena incapacità dei politici americani e dell’Unione Europea di influire sulla situazione nel paese e danno ai funzionari russi il pretesto di raffigurare queste proteste, perfino quelle fondate, come vuota retorica, concepita per il pubblico occidentale”. Forme di pedagogia pubblica, te-se a favorire la democratizzazione, operate da soggetti occidentali statali o non gover-nativi, sono tentativi velleitari di influire sulla realtà russa, mentre non fanno altro che suscitare una reazione opposta, stimolando orgoglio e diffidenza verso i valori demo-cratici. Analogamente, le critiche di non rispettare le norme dei sistemi democra-tici, che da Occidente vengono rivolte pubblicamente al potere politico russo – sebbe-ne a volte giustificate – non contribuiscono all’effettiva democratizzazione della società e del sistema politico.

Un approccio alla transizione democratica fondato sulla logica degli standard non sembra essere destinato a grande successo. L’applicazione del modello occidenta-le si scontra con un itinerario storico differente. Si pensi solo alla mancanza di due presupposti fondamentali nei processi di democratizzazione dei sistemi politici occiden-tali, almeno nella sua variante europea: la secolarizzazione e la formazione dello Stato nazione. La storia, la cultura e le forme giuridiche dei rapporti tra Stato e Chiesa si so-no sviluppate in Russia sulla base di un paradigma differente da quello occidentale. È il modello bizantino della sinfonia dei due poteri a costituire l’archetipo delle relazioni tra Chiesa e Stato, in un contesto di stretta unione tra le due istituzioni. Il quadro che ne deriva è sostanzialmente differente da quello della cultura europea occidentale dove il principio della libertas ecclesiae ha affermato il valore dell’indipendenza della Chiesa dallo Stato, quindi della distinzione tra le due istituzioni, presupposto necessario della laicità dello Stato e della secolarizzazione della vita pubblica. D’altro canto la Russia, almeno a partire dal XVI secolo, si è costituita come impero. Per usare un ossimoro, la sua identità geopolitica è quella di una nazione impero. Infatti la dimensione imperia-le costituisce un tratto costitutivo della realtà russa anche nel presente. Le sue caratteristiche qualificanti sono la capacità di misurarsi con il governo di un grande spazio e di una società plurietnica, plurireligiosa, pluriculturale e il senso di una propria missione di carattere universale. La Russia non è mai stata uno Stato nazione e non sembra destinata a esserlo. Anzi è più verosimile sostenere che la Russia o sarà un impero, oppure non sarà più ciò che nella storia abbiamo conosciuto come tale. Sarà dell’altro. Come ritenere possibile l’applicazione senza mediazioni di modelli culturali e politici che sono maturati attraverso itinerari storici così differenti?

Appare, invece, come maggiormente densa di prospettive un’attitudine volta a uno sforzo di creatività intellettuale che sappia pensare a forme e modi nuovi at-

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traverso i quali coniugare lo spirito e le pratiche della democrazia con le esigen-ze di un esercizio autorevole (autoritario?) e forte del potere. Quest’ultimo tratto, infatti, costituisce un attributo imprescindibile per un regime politico che voglia misurar-si con il governo effettivo ed efficace della Russia.

La vera sfida dei rapporti tra Occidente e Russia, anche per quanto riguarda la transizione alla democrazia, consiste nel riconoscimento e nell’accettazione dell’alterità della Russia. Le politiche occidentali nei confronti della Russia e le analisi che della sua realtà vengono compiute mostrano sovente un deficit di conoscenza, di spessore storico, di capacità di distinguere e discernere l’alterità. L’alterità russa all’Europa occidentale è un dato da cui non si può prescindere per una comprensione adeguata dei rapporti tra Russia e Occidente. È un dato della coscienza dei russi sul loro paese: la Russia non è una parte, ma un eguale dell’Europa, con elementi comuni a essa, ma anche con sue caratteristiche specifiche. L’aspirazione a che la Russia di-venti un “paese normale”, un “paese europeo”, cioè in ultima analisi che si occidenta-lizzi, si è presentata regolarmente nella storia europea e continua a influenzare analisi, approcci, politiche, provocando non di rado illusioni ottiche nella comprensione del mondo russo e nell’elaborazione delle politiche. Quella russa è l’alterità difficile da ac-cettare di un consanguineo, sovente ritenuta un’anomalia da correggere. L’applicazione all’universo russo di parametri culturali, categorie ermeneutiche e chiavi di lettura elaborati e calibrati sulle misure delle società occidentali con il loro patrimonio di vicende storiche e sistemi culturali non può, infatti, che generare illusioni e deforma-zioni prospettiche, che conducono a cortocircuiti culturali e politici. Su tali fondamenti è difficile riuscire a mettere a punto politiche in grado di dare risultati.

Infatti la sfida che l’Occidente si trova a dovere affrontare non è di attivare un processo di omologazione russa a standard, procedure e modelli propri dei sistemi occidentali. Tale approccio conduce a risultati effimeri, a una sorta di mascheramento della realtà russa. L’obiettivo da perseguire è quello di costruire un terreno cultu-rale condiviso, che passa attraverso una necessaria declinazione al plurale dei mo-delli culturali, e anche politici. Per riuscire in tale intento è necessario assumere l’abito di chi tratta la Russia come un interlocutore alla pari, con il quale elaborare strategie di cooperazione, di partenariato, di reciproca integrazione. Se il presupposto è quello del convincimento di una necessaria omologazione agli standard occidentali, di una sua “normalizzazione”, con la conseguente instaurazione di un rapporto da docen-te/verificatore a scolaro, l’obiettivo di favorire una transizione verso la democrazia sarà inevitabilmente destinato ad allontanarsi.

1.2 Quali implicazioni di policy?

Quali policies adottare sui temi connessi alla transizione verso la democrazia? L’esperienza ventennale di una politica sostanzialmente orientata all’occidenta-lizzazione della Russia induce a ritenere che tale approccio non sia quello giu-sto. Infatti, una politica “predicatoria”, accompagnata dall’introduzione di sanzioni o surrogati di esse per punire la violazione degli standard e, d’altra parte, basata sulla sostanziale esclusione della Russia dal mondo occidentale, non può essere praticata, pena un progressivo allontanamento dall’Europa e dai suoi modelli anche politici. Una politica fondata invece su uno stretta partnership tra Europa e Russia e su una mutua

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integrazione nel rispetto delle sovranità, può supportare policies che nella cooperazio-ne e nel dialogo fanno della contaminazione – necessariamente reciproca – lo stru-mento efficace per aiutare la Russia a declinare il proprio bagaglio culturale secondo le esigenze di una società complessa quale quella moderna e a maturare forme originali di democratizzazione della società e del sistema politico. Il coinvolgimento della Russia nel Consiglio d’Europa, con la sua piena adesione, ha condotto Mosca ad accettare, quanto meno sotto la forma di una commutazione delle pene e di una sospensione del-le condanne – anche se non ancora come abolizione dell’istituto giuridico – il rifiuto del-la pena di morte; una condizione accettata da Mosca nel quadro di un pieno coinvolgi-mento in un’istituzione sovranazionale con uno status alla pari di quello di tutti gli altri soggetti. Di tutt’altro effetto i “cicli di lezioni” impartite a Mosca nel quadro delle relazio-ni bilaterali tra Unione Europea e Federazione Russa. Cercare di “convertire la Rus-sia al pluralismo e al liberalismo” non fa che provocare reazioni infiammate a Mosca e aspettative irrealistiche nelle capitali d’Europa. I tentativi di Stati o istitu-zioni sovranazionali o organizzazioni non governative di dare lezioni a Mosca sugli standard di democrazia, sul rispetto dei diritti umani, sui principi del liberalismo, sono sostanzialmente controproducenti. La via da percorrere deve essere quella del con-fronto dialogico con l’altro, che può anche presentare aspetti conflittuali e momenti di dissenso, ma che – nel quadro di un confronto tra soggetti che si riconoscono recipro-camente con uno status di parità – non tende all’omologazione dell’interlocutore al si-stema culturale e politico di cui si è portatori.

Le incertezze del quadro generale economico e sociale sia a livello internazio-nale che nel contesto russo, originate dalla crisi in corso, inducono a ritenere che nell’immediato futuro possano presentarsi elementi di instabilità nelle dinamiche sociali della Federazione Russa. La crisi avrà costi sociali piuttosto alti, con un notevole in-cremento della disoccupazione. Il sistema politico dovrà con tutta probabilità sostenere “l’onda d’urto” di proteste di carattere sociale, le quali potrebbero avere conseguenze anche sul processo di transizione verso la democrazia. La “diarchia” di poteri che ca-ratterizza l’attuale struttura politica russa – con un primo ministro forte accanto al pre-sidente – se può costituire un elemento di potenziamento del sistema di fronte alle mi-nacce della crisi, può rappresentare anche un fattore di difficoltà nella gestione unitaria delle politiche anticrisi e nell’individuazione di vie d’uscita in passaggi di particolare dif-ficoltà. Occorre tuttavia rilevare che una crisi politica innescata dalle perturbazioni economico-sociali tale da condurre a un forte indebolimento, se non al fallimen-to, dell’esperienza politica legata alla leadership di Putin e Medvedev, che in alcu-ni ambienti occidentali sembra essere in una qualche misura auspicata, avrebbe un effetto negativo riguardo ai processi di transizione verso la democrazia. Infatti, le prospettive di soluzione della crisi politica, in presenza di un tale scenario, sarebbero con tutta probabilità di orientamento decisamente più autoritario.

2. La Russia e l’approvvigionamento energetico italiano ed europeo

2.1 L’approvvigionamento energetico in Italia

L’Italia è paese fortemente dipendente, nel settore energetico, dalle importazioni. Al netto delle esportazioni, l’85% del consumo energetico annuale è infatti importato, il

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Algeria32%

Russia31%

Libia13%

Olanda11%

Norvegia8%

Altri 5%

Arabia Saudita

9%

Azerbaigian8%

Iran11%

Iraq10%

Libia30%

Russia19%

Altri13%

che fa dell’Italia il quarto acquirente di energia su scala mondiale. La Russia rappre-senta un partner di primaria importanza per l’approvvigionamento energetico ita-liano: Mosca è, infatti, il secondo fornitore di petrolio e di gas (Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale Energia e Risorse Minerarie).

Valore percentuale delle importazioni di gas italiane per paese d’origine (2007)

Valore percentuale delle importazioni di petrolio italiane per paese d’origine (2007)

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In linea di principio, la dipendenza energetica non implica necessariamente una vulnerabilità della parte acquirente verso i fornitori. Assicurare la sicurezza ener-getica di un paese significa, infatti, garantire ad esso, e ai suoi cittadini, uno stabile e adeguato livello di risorse a prezzi ragionevoli. Il concetto di sicurezza energetica così delineato, può essere alternativamente declinato in un’ottica di breve o lungo periodo e, al contempo, posto in relazione alla domanda o all’offerta di energia. Se è vero che l’ottica di breve periodo e la regolamentazione della domanda hanno una natura preva-lentemente tecnico-regolamentare e interna alla parte acquirente, la prospettiva di lun-go periodo e la considerazione dell’offerta di energia introducono, invece, questioni le-gate alla “proiezione esterna” della sicurezza energetica: i rapporti del soggetto acqui-rente con i fornitori, in funzione dell’assicurazione di un adeguato accesso alle risorse. In questo senso, chiavi di volta per garantire la sicurezza energetica di un paese sono costituite dalla conclusione di accordi di sfruttamento di giacimenti energe-tici e di acquisto degli idrocarburi, sorretti da una stabile e sufficientemente di-versificata rete di trasporto.

Da entrambe queste angolature, l’Italia, sebbene altamente dipendente dalle impor-tazioni, risulta all’avanguardia nel panorama europeo nel garantire la propria si-curezza energetica, soprattutto nel delicato settore del gas naturale. L’oro azzurro va infatti guadagnando – in Italia come nel resto d’Europa e del mondo – una rilevanza crescente nei bilanci energetici nazionali a motivo della sua maggior efficienza energe-tica, prima ancora che del minore impatto ambientale e della maggiore duttilità rispetto ad altre fonti di energia. I vantaggi economici e ambientali dell’utilizzo di gas naturale vanno, tuttavia, bilanciati con la sua minore “commerciabilità” rispetto al petrolio.1

È principalmente in questa prospettiva che vanno dunque valutati i vantaggi derivan-ti da un’“apertura controllata” alla Federazione Russa dell’Italia – la cui tradizionale “scommessa” sul gas come principale fonte di energia a uso domestico, industriale e per la generazione di elettricità in centrali a ciclo combinato, va posta in relazione a un livello di dipendenza dalle importazioni che ha raggiunto, nel 2007, l’87% del consumo annuo. Stando ai dati riportati Ministero delle Attività Produttive, il gas – che copre oggi il 36% del fabbisogno energetico nazionale – al 2020 avrà superato il petro-lio come principale fonte energetica nazionale. Nel periodo in esame la domanda di gas dovrebbe, infatti, aumentare del 48%, arrivando a coprire il 40% del fabbisogno nazionale, portando la dipendenza dalle sue importazioni sino al 93%.

La sicurezza energetica dell’Italia non sembra comunque essere minacciata dall’eccessiva dipendenza da un singolo fornitore di gas.

La recente vertenza russo-ucraina ha, inoltre, dimostrato come l’Italia sia in condi-zione di far fronte a crisi di breve e medio periodo attraverso la “massimizzazione” delle importazioni alternative e il ricorso alle proprie scorte energetiche. Nel triennio succes-sivo alla prima crisi energetica “europea” del secolo – la vertenza russo-ucraina del 2006 – l’attività delle principali compagnie nazionali è andata inoltre nella direzione di assicurare, nel settore del gas, la sicurezza degli approvvigionamenti del paese nel lungo periodo. La conclusione di contratti d’acquisto di lungo periodo, il rafforzamento della capacità di stoccaggio e la predisposizione di una rete di approvvigionamento suf-ficientemente diversificata, hanno contribuito in maniera rilevante ad assicurare la sicu-rezza energetica del paese che – al contrario di quanto succede per i principali partner europei – beneficia del rafforzamento del proprio tradizionale legame con l’area del Maghreb. In tale contesto, i contratti siglati dalle compagnie nazionali in Libia, Egitto ed

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Algeria, risultano tanto più significativi se posti in relazione al potenziamento delle in-frastrutture di trasporto dal Maghreb,(2) all’inaugurazione del rigassificatore di Rovigo – destinato ad accogliere gas proveniente in primo luogo dal Qatar – e all’approvazione della costruzione dei rigassificatori di Porto Empedocle e Livorno. Un significato parti-colare assume poi, nell’ottica di diversificazione dei canali di approvvigionamento di gas, il progetto Edison per la costruzione di un Interconnettore Grecia-Italia (IGI), lungo il corridoio energetico turco-greco-italiano (ITGI), reso concreto dall’inaugurazione del tratto tra Turchia e Grecia nel novembre 2007. La prossimità del territorio anatolico alle principali regioni metanifere eurasiatiche – dal bacino del Caspio sino all’Iran e al Ma-shreq – offre l’opportunità di inaugurare il terzo canale di approvvigionamento energeti-co per l’Italia, accanto a quelli algerino e russo. La rilevanza del progetto è stata, non a caso, riconosciuta dalla stessa UE che, inserendolo in uno degli assi prioritari per lo sviluppo della Rete Trans-Europea dell’energia, ha stabilito di finanziarne il 50%.

Su questo sfondo, dunque, un’“apertura controllata” alla Russia – patrocinata principalmente da ENI – non sembra mettere a rischio la sicurezza energetica na-zionale. Asse portante del rilancio della cooperazione energetica italo-russa è rappre-sentato dal progetto South Stream, frutto di un’intesa tra ENI e Gazprom, attualmente in fase di studio di fattibilità. Il gasdotto, che permetterà a Mosca di aggirare la rotta energetica verso i mercati europei attraverso l’Ucraina, si snoda lungo un percorso che dalla stazione di compressione russa di Beregovaya sul Mar Nero raggiunge, dopo un tratto sottomarino, le coste bulgare e da qui l’Europa centrale. Il potenziamento del ga-sdotto TAG (Slovacchia-Austria-Italia), cui è tradizionalmente demandato il trasporto del gas russo, assicura in questo quadro un aumento delle forniture all’Italia.

A partire dal 2006, la politica di investimenti nel settore metanifero delle principali compagnie nazionali sembra dunque aver notevolmente rafforzato la sicurezza energe-tica dell’Italia, scongiurando i rischi connessi all’eccessiva dipendenza da un unico for-nitore – la Russia – per una risorsa energetica vitale quale il gas. Se i progetti attual-mente in fase di studio e realizzazione vedranno la luce – e se saranno accompagnati da un sostanziale incremento della capacità di stoccaggio – per l’Italia potrebbe inoltre schiudersi la prospettiva di assumere un ruolo di hub energetico mediterraneo-occidentale per il resto d’Europa.

2.2 La dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia: la prospettiva europea

Se inquadrata nel contesto della politica di sicurezza energetica italiana, l’“apertura controllata” alla Russia nel settore del gas rappresenta per il Paese un’opportunità, piuttosto che un rischio. Il percorso europeo dell’Italia e il tenta-tivo dell’Unione Europea di sviluppare una politica comune in materia energetica impongono tuttavia, di guardare alla strategia – e alle strategie – nazionali anche dalla prospettiva di Bruxelles.

Il consumo energetico dell’UE mostra un tasso di crescita pari all’1% annuo. Stando alle stime della Commissione, il 50% del consumo energetico interno dipende da im-portazioni e la dipendenza è destinata a crescere sino al 65% entro il 2030. Nello stes-so lasso di tempo, la dipendenza europea dalle importazioni di petrolio e gas è destina-ta a salire rispettivamente dall’82 al 93% e dal 57 all’84%. Nel 2030, inoltre, sebbene il petrolio rimarrà la principale fonte energetica dell’UE, il gas avrà acquisito una posizio-

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ne di primaria rilevanza in tutti i principali settori produttivi e nell’uso domestico. In que-sto quadro, il progressivo esaurimento delle scorte metanifere norvegesi e la dif-ficoltà di riequilibrio nel medio periodo del mix energetico a favore di fonti di e-nergia alternative, prefigurano il rafforzamento della Russia come principale for-nitore di gas. Basterebbe tale considerazione a giustificare la necessità per Bruxelles, in ragione delle menzionate caratteristiche del mercato del gas, di attuare scelte stra-tegiche di lungo periodo a tutela della propria sicurezza energetica – scelte legate, nel-la loro proiezione esterna, alla primaria necessità di diversificazione dei fornitori.

A rendere tuttavia più urgente la necessità europea di attuare coerenti e unanimi strategie di diversificazione concorrono due ulteriori fattori che, strettamente connessi tra loro, determinano lo slittamento della questione energetica da un piano economico a uno più chiaramente politico-strategico. In primo luogo, i dati aggregati sulla dipen-denza europea dalle importazioni di gas celano le profonde disparità interne all’UE tra la “vecchia” e la “nuova” Europa. Come si evince dai dati riportati nella tabella sotto-stante, la quasi totalità della “nuova” Europa dipende fortemente dagli approvvi-gionamenti metaniferi russi. Situazione questa tanto più pericolosa in ragione, da un lato, dell’ovvia vulnerabilità che ne deriva rispetto a Mosca e, dall’altro, della diversità di percezioni nazionali che essa comporta rispetto all’urgenza di determinazione di una politica energetica comune europea.

Importazioni di gas dalla Russia per singoli membri UE (2006)

Paese % di importazioni dalla Russia sul totale

Bulgaria 100% Estonia 100% Finlandia 100% Lettonia 100% Lituania 100% Slovacchia 100% Romania 94% Grecia 81% Ungheria 79% Rep. Ceca 74% Polonia 69%

Fonte: elaborazione dati Eurostat.

La vulnerabilità dei paesi della “nuova” Europa è resa più preoccupante dal frequente ricorso di Mosca alla carta energetica in chiave politica3)

La svolta impressa alla politica energetica russa è proceduta di pari passo con il par-ziale rovesciamento della politica di liberalizzazione e privatizzazione attuata sotto la presidenza Eltsin, così come attraverso una netta verticalizzazione dell’apparato decisio-nale. Effetto combinato di tali tendenze è stato, principalmente, la riaffermazione del controllo del Cremlino sui pilastri dell’industria energetica nazionale, primo tra tutti Ga-zprom, che agisce oggi in un contesto di sostanziale monopolio di stato, tanto in riferi-mento alla produzione, quanto alla distribuzione di energia.(4) La chiusura del settore energetico nazionale alla concorrenza rende dunque altamente improbabile la possibilità

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che, nel prossimo futuro, la diversificazione dei canali di approvvigionamento di gas si possa attuare nel quadro della contrattazione con enti fornitori russi diversi da Gazprom.

Alla prova dei fatti, inoltre, la presidenza Putin – e oggi quella Medvedev – hanno dimostrato di attuare una tanto efficace quanto aggressiva politica energetica nei con-fronti dei propri “clienti” europeo-orientali che, come nel caso delle crisi ucraine del 2006 e 2009, non ha mancato di colpire direttamente anche il sistema di approvvigio-namento europeo-occidentale5.

Crescita della domanda di gas, calo della produzione interna, crescente raffor-zamento del ruolo di fornitore della Russia sono dunque i tre fattori centrali che determinano la necessità europea di diversificare le fonti di approvvigionamento. Una diversificazione resa più urgente dalla possibilità che la dipendenza da Mosca pos-sa tramutarsi in vulnerabilità, a partire dal crescente uso politico dell’arma energetica.

Da questa angolatura, la crescente partnership energetica italo-russa o russo-tedesca assumono dunque una diversa connotazione. Liberare le esportazioni russe verso l’Europa occidentale dalla “strozzatura” del transito attraverso la Polonia a nord e l’Ucraina a sud accordandosi con Gazprom per la costruzione di gasdotti sottomarini nel Baltico e nel Mar Nero – North Stream e South Stream – significa, infatti, sostenere la strategia di divide et impera attuata dal Cremlino rispetto all’Europa, lasciando un nume-ro crescente di paesi alla mercé della volontà politica dell’esecutivo russo.

Nel caso specifico del gasdotto South Stream, la contraddittorietà tra gli inte-ressi e le politiche nazionali di sicurezza energetica e quelle europee appare con maggiore evidenza che in casi analoghi. Il tracciato del gasdotto nasce, infatti, in aperta concorrenza con il progetto Nabucco, la principale infrastruttura metanifera so-stenuta da Bruxelles nella prospettiva di diversificazione dei canali di approvvigiona-mento europeo, nel più ampio quadro del difficile percorso che porta alla predisposi-zione di una politica energetica comune dell’UE.

Il tracciato dei gasdotti Nabucco e South Stream

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Il Nabucco – su una rotta che dalla Turchia raggiunge l’Austria attraverso il territorio bulgaro, rumeno e ungherese – rappresenta, infatti, il progetto portante dell’asse priori-tario europeo del gas “Paesi del Mar Caspio – Medio Oriente – Unione Europea”.(6) Il gasdotto avrebbe dunque origine in prossimità delle regioni eurasiatiche più ricche di riserve energetiche e, con una portata a pieno regime programmata a 31 mmc/a, po-trebbe seguire una politica di reperimento multiplo di gas dalle aree del Mashreq, del Golfo Persico e caspico-centro asiatica.

La ratio sottostante al sostegno della Commissione al Nabucco risiede nella consi-derazione che il gasdotto sarebbe in grado di alleggerire la “doppia dipendenza” euro-pea dalla Russia, non solo in quanto paese produttore, ma anche in quanto snodo im-prescindibile per l’accesso ai mercati europei del gas di produzione caspica e centro asiatica. Erede del sistema infrastrutturale russo-centrico dell’Unione sovietica, la stra-tegia energetica della Federazione Russa si è infatti tradizionalmente fondata sulla conservazione del monopolio sull’acquisto degli idrocarburi del Caspio e dell’Asia cen-trale. Un monopolio che, giunto a oggi sostanzialmente inalterato,(7) ha permesso a Mosca di circondarsi a sud e ad est di una cintura di “stati clienti” per l’acquisto o la vendita di energia. Clienti che il progetto Nabucco minaccia di sottrarre all’influenza economica – e dunque politica – di Mosca.

Dal punto di vista russo, il progetto South Stream nasce dunque come contro-strategia rispetto alla politica europea di diversificazione energetica, nei suoi due centrali e ricollegati aspetti di diversificazione dei fornitori e produttori di idrocarburi. Prima ancora che sovrapporsi al Nabucco nel tracciato europeo, il South Stream è in-fatti in concorrenza in relazione alle fonti di approvvigionamento. Perdurando l’opposizione statunitense rispetto a un attivo coinvolgimento dell’Iran nel mercato del gas europeo, entrambi i gasdotti guardano ai giacimenti caspici e centro asiatici – aze-ri, turkmeni, kazachi e uzbeki – come fondamentale fonte di reperimento del gas.(8) Tanto in relazione alla conclusione di accordi di transito con gli stati europei, quanto di acquisto di gas con quelli asiatici, la Federazione Russa ha fatto segnare importanti passi avanti sulla strada del passaggio del progetto South Stream dalla fase di studio a quella di costruzione, compromettendo parallelamente le analoghe pos-sibilità del Nabucco. Se Mosca rispetto ai paesi produttori ha beneficiato di una tradi-zionale posizione di vantaggio infrastrutturale, sul versante europeo il successo della strategia energetica russa è stato in gran parte determinato dalla capacità di Mosca di relazionarsi bilateralmente con gli stati europei interessati alla costruzione e al transi-to del gasdotto. Paesi – con particolare riferimento ad Austria, Bulgaria e Ungheria – il cui impegno alla realizzazione del Nabucco risulta determinante per la sua effettiva costruzione.

D’altro canto, la progressiva diminuzione di possibilità che il Nabucco superi la fase di studio, ricade negativamente anche sulla possibilità che il nostro Paese – attraverso il progetto ITGI – possa aprire, in linea con i desiderata europei, un ca-nale metanifero diretto dal Medio e Vicino Oriente. Gazprom ha infatti messo allo studio e aperto ai finanziatori internazionali una diramazione meridionale del progetto South Stream che, raggiungendo la Grecia attraverso il Mar Nero, sarebbe in grado di rifornire con gas russo l’interconnettore Grecia-Italia.

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2.3 Dalla soft alla hard security

Guardare alle politiche energetiche nazionali in una prospettiva europea per-mette di evidenziare la preponderante connotazione politico-internazionale della problematica, in luogo di quella meramente economico-interna.

Seguendo questa impostazione, a rendere più urgente la necessità di diversificazio-ne dei canali di approvvigionamento energetico europeo rispetto a quelli russi è la con-siderazione che la questione energetica, oltre ad avere un’evidente connotazione poli-tica, ha anche una connotazione strategica potenzialmente ancora più pericolosa. Guardando all’area di vicinato europea, il monopolio che la Russia detiene, rispettiva-mente, nell’approvvigionamento energetico regionale e nell’acquisto di idrocarburi, hanno dirette ricadute sulla capacità di Mosca di far accettare agli “stati clienti” mecca-nismi di cooperazione alla sicurezza alternativi a quelli di matrice euro-atlantica.

La tendenza della Federazione Russa a legare insieme cooperazione energeti-ca e sicurezza – emersa con chiarezza sin dai primi anni ‘90 – è evidente anzitutto nei rapporti bilaterali tra Mosca ed Ankara.(9)

Da un punto di vista energetico, tale relazione appare tanto più significativa nella misura in cui la Turchia rappresenta, in un’ottica europea, lo snodo geopolitico essen-ziale per lo sviluppo di una coerente politica di diversificazione dei canali di approvvi-gionamento. Su questo sfondo, l’incapacità dell’UE di dar seguito all’intenzione di as-segnare alla Turchia un ruolo di hub energetico nell’area del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente – tutelando al contempo la propria sicurezza energetica e quella turca – rafforza e dischiude nuovi ambiti di intesa alla cooperazione russo-turca. Coo-perazione che, come annunciato nelle scorse settimane, va significativamente esten-dendosi al nucleare – con tutte le ricadute passibili di verificarsi su un piano regionale. La circostanza che il Primo Ministro turco Erdogan abbia recentemente frenato sul sostegno della Turchia al Nabucco, ricollegando espressamente la sua fatti-bilità all’avanzamento del negoziato per l’ingresso del paese nell’UE, dimostra come la questione energetica non possa essere scissa da valutazioni politiche e dall’urgente predisposizione di una strategia europea di lungo periodo.

Nel corso degli ultimi anni, l’intesa russo-turca è andata inoltre assumendo una significativa connotazione strategica. Tale tendenza è apparsa con chiarezza soprattutto in relazione alle dinamiche di sicurezza della regione del Mar Nero che as-surge progressivamente a “zona grigia” di convergenza e contrapposizione tra le aree di intervento dei meccanismi di cooperazione euro-atlantici e quelle di tradizionale in-fluenza russa e turca. Nel Mar Nero, Ankara e Mosca collaborano oggi attraverso il meccanismo della Black Sea Naval Cooperation Task Force – Blackseafor (10) e attra-verso l’adesione russa alla Black Sea Harmony, sistema di pattugliamento turco della sponda meridionale del bacino. Una cooperazione alla sicurezza marittima tanto più ri-levante in ragione del rifiuto congiunto di Ankara e Mosca alla proposta statunitense di allargare al Mar Nero le operazioni antiterroristiche della Operation Active Endeavor, condotte dalla Nato nel Mediterraneo dopo il 2001.(11)

Il vuoto di sicurezza marittima nel Mar Nero, generato dalla mancanza di meccanismi di cooperazione euro-atlantici nel bacino, ha mostrato tutte le proprie potenziali ricadute negative nel corso del conflitto russo-georgiano in Ossezia dello scorso agosto.

Mentre, da un lato, l’accesso al Mar Nero attraverso gli Stretti da parte di imbarcazioni statunitensi è risultato limitato dalle disposizioni della Convenzione di Montreux e dal ne-

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cessario consenso di Ankara, dall’altro, la flotta russa di stanza a Sebastopoli, in Crimea, ha potuto condurre azioni militari contro la Georgia, infrangendo contemporaneamente il diritto internazionale marittimo e la neutralità ucraina nel conflitto.(12)

A seguito della crisi, inoltre, la Federazione russa va rafforzando la propria presenza militare nel Mar Nero, attraverso l’annessione de facto dell’Abkhazia e la militarizzazione dei porti, nominalmente soggetti alla sovranità georgiana, di Ochamchire e Sokhumi.(13)

D’altro canto, il conflitto in Ossezia, prima ancora che mettere in luce le dinamiche strategiche in corso nel Mar Nero, ha evidenziato chiaramente come nella regione del Caucaso meridionale, più che altrove, si registri la sovrapposizione – se non la confusione – dei piani della politica energetica e di sicurezza. La crisi russo-georgiana ha avuto, infatti, dirette e importanti ricadute sulla cooperazione energetica dell’area caucasica che, naturale ponte tra il bacino del Caspio e i mercati europei, ri-sulta fondamentale per il coerente sviluppo della politica di diversificazione energetica dell’UE, nella prospettiva di ridurre la “doppia dipendenza” dalla Russia.

In primo luogo, il conflitto ha ridimensionato la credibilità del ruolo di hub e-nergetico che la Georgia mirava ad assumere, non solo in relazione al Nabucco, ma anche rispetto ai piani di trasporto energetico attraverso il Mar Nero verso Ucraina e Paesi Baltici. Inoltre, il fatto che le infrastrutture energetiche georgiane siano divenute obiettivo militare russo e che, conseguentemente, si siano interrotte le forniture lungo la rotta Azerbaigian Georgia Turchia,(14) ha rappresentato un duro colpo per la credibi-lità del più ampio piano di predisposizione di un asse energetico caucasico alternativo a quello russo. Non è un caso, in questo senso, che l’Azerbaigian – attore chiave nella partita energetica caucasica nella duplice veste di paese produttore e di potenziale transito energetico dall’Asia centrale – abbia da allora intensificato il dialogo energetico con la Russia.

La crisi osseta e gli sviluppi a essa seguiti in termini di rapporti tra Mosca e le re-pubbliche caucasico-meridionali, sembrano inoltre mostrare un’ulteriore pericolosa de-riva del legame tra questione energetica e di sicurezza. Le cancellerie europee più legate alla Russia dalla cooperazione energetica hanno infatti mostrato la ten-denza ad accettare, tacitamente, l’esclusivo ruolo russo di garante della sicurez-za nel proprio “estero vicino”.

Tale atteggiamento sembra riprodurre, a più di un quindicennio di distanza, la politi-ca clintoniana del Russia First che, per non incrinare il rilancio delle relazioni con Mo-sca, ne riconosceva indirettamente la “speciale posizione” regionale, subordinando a essa la necessità di assicurare alle repubbliche ex-sovietiche un coerente percorso di state building.

In questo modo, tuttavia, non solo si contraddicono gli impegni assunti con tali re-pubbliche attraverso i meccanismi multilaterali di cooperazione euro-atlantici, ma si mi-na al contempo la stessa credibilità della proiezione esterna dell’UE. Una proiezione che, nell’area del Mar Nero allargato, ha un fondamentale banco di prova, tanto dal punto di vista energetico quanto, e soprattutto, dal punto di vista politico.

2.4 I vantaggi dell’“apertura controllata” dell’Italia alla Russia

I vantaggi derivanti da un’“apertura controllata” dell’Italia alla Russia nel set-tore energetico possono essere valutati alternativamente in chiave strettamente

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economica e interna oppure in una prospettiva politica e continentale. In questo senso, i vantaggi evidenti dalla prima angolatura, risultano ridimensionati dalle ricadute negative risultanti dalla seconda.

Da un’angolatura economico-interna, il rilancio della cooperazione con la Russia nel più ampio contesto della multivettoriale politica energetica italiana, sembra garanti-re nel lungo periodo maggiore sicurezza negli approvvigionamenti di gas. Tale politica, se efficacemente sostenuta da un aumento della capacità di stoccaggio e dal pieno sfruttamento delle ingenti risorse interne, potrebbe dischiudere all’Italia un ruolo di hub energetico nel Mediterraneo occidentale. Ruolo che il Paese può rivestire a partire da considerazioni tanto geografiche, quanto di natura politica e commerciale – per la tra-dizione di politica energetica nazionale e la presenza di compagnie in grado di compe-tere nel mercato internazionale. Come si è visto nel caso della recente crisi russo-ucraina, il livello di riserve nazionali garantisce l’approvvigionamento energetico di bre-ve e medio periodo. Tuttavia, l’aumento della capacità di stoccaggio di gas appare ne-cessaria nella misura in cui non si può fare affidamento sulla natura “congiunturale” delle crisi che bloccano a monte il trasporto di gas in Italia e che dimostrano di verifi-carsi con sempre maggior frequenza.

Da un punto di vista politico-continentale, la politica delle compagnie energetiche nazionali – ivi comprese, in posizione di avanguardia, quelle italiane – garantisce inve-ce ampi spazi di manovra alla strategia russa di divide et impera rispetto all’UE e al suo vicinato. Una strategia che minaccia di erodere le fondamenta della politica di solidarie-tà intra-europea, più volte richiamata dalle istituzioni comunitarie come elemento im-prescindibile non solo per la politica energetica dell’UE ma, più in generale, per il suo coerente sviluppo politico-istituzionale. Si evidenzia così la possibile deriva di una poli-tica energetica europea che risulta ancora esclusivamente dalla somma delle singole politiche nazionali.

La strategia russa di divide et impera scioglie parallelamente il nodo dell’interdipendenza tra venditori e acquirenti di energia che, nelle dichiarazioni di Barroso, dovrebbe rappresentare l’angolatura attraverso la quale inquadrare le relazioni energetiche tra UE e Federazione Russa. Dialogando con i singoli stati e compagnie nazionali su un piano bilaterale, Gazprom – forte del sostegno del Cremlino e agendo in regime di sostanziale monopolio interno – approfondisce la mera concor-renza tra acquirenti, assicurandosi al contempo investimenti imprescindibili per l’esplorazione, lo sfruttamento e il trasporto delle risorse energetiche. Far valere l’interdipendenza acquirente-venditore significa dunque, anzitutto, imporre alla Russia regole di mercato condivise e l’adesione, sin qui rifiutata, al Trattato della Carta Euro-pea dell’Energia.

D’altro canto, come riconosciuto dallo stesso Putin, la crisi finanziaria peserà note-volmente sull’industria del gas russo, la cui sostenibilità del ruolo di principale esporta-tore verso i mercati europei è tutt’altro che scontata.(15) Il progressivo esaurimento dei giacimenti della Siberia occidentale impone a Gazprom di rilanciare gli investimenti nel-le più remote aree dell’Artico o dell’Estremo Oriente, secondo un piano pluriennale che non è certo potrà sostenere. La congiuntura internazionale potrebbe dunque offrire oggi l’opportunità di far valere l’interdipendenza acquirente-venditore, nella con-sapevolezza che l’alternativa cinese per l’esportazione di gas russo – più volte utilizza-ta da Mosca come minaccia – non è facilmente percorribile nel breve periodo, essendo Pechino più un potenziale concorrente che un cliente per la Russia.

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La diversificazione energetica europea, prima ancora che puntare sull’apertura del mercato interno russo, non può tuttavia prescindere dalla diversificazione dei canali e/o dalle modalità di approvvigionamento energetico. Dal primo punto di vista, il percorso europeo è già tracciato: lo sviluppo di un asse Mar Caspio – Medio Oriente – Unione Europea che abbia nella Turchia il suo principale snodo. Un asse per dare so-stanza al quale potrebbe essere utile aprire nuovi margini di trattativa con Teheran, che controlla giacimenti metaniferi tra i più rilevanti dell’intero spazio eurasiatico. Rispetto alla modalità di approvvigionamento di gas, invece, la diversificazione potrebbe puntare sul contemporaneo investimento nel GNL e nell’aumento della capacità di stoccaggio euro-pea. Appare tuttavia necessario incentivare e sostenere un’efficace politica comune eu-ropea in materia di energia. Una politica comune che agisca, oltre che verso l’esterno, in relazione alle interconnessioni infrastrutturali interne, soprattutto nella prospettiva di ga-rantire efficaci strumenti di reciproco soccorso in caso di crisi. Solo così si potrà mante-nere viva quella solidarietà intra-europea che rappresenta il vero fondamento della co-struzione dell’Unione, riconducendo contemporaneamente alla coerenza le politiche na-zionali dei membri UE – prima tra tutti l’Italia – e quelle di Bruxelles.

3. Russia, Caucaso meridionale, Ue: prospettive strategiche e culturali

Dinanzi al riacutizzarsi della conflittualità nel Caucaso meridionale nel 2008, culminata nella guerra russo-georgiana dell’agosto scorso, appare quanto mai necessario che l’Unione Europea riesca a impostare una politica efficace nei confronti di questa regione.(16) Dopo oltre un decennio di scarso interesse verso il Caucaso meridionale, Bruxelles ha iniziato a mutare il suo atteggiamento, nell’ambito della più generale espansione verso est culminata con il grande allargamento del 2004. Dapprima il Consiglio d’Europa, poi la NATO e infine l’Unione Europea si sono note-volmente avvicinati al Caucaso meridionale. Sin dal giugno 2004 Georgia, Armenia e Azerbaigian sono state incluse nella Politica Europea di Vicinato (PEV). Infine, con l’ingresso di Romania e Bulgaria, l’UE è divenuta confinante con il Caucaso at-traverso il Mar Nero. Tale svolta dell’Unione Europea ha diverse motivazioni. La cre-scente preoccupazione per l’affidabilità delle forniture energetiche russe ha senza dub-bio reso particolarmente rilevante la regione caucasica come via alternativa di transito di gas e petrolio provenienti dall’Asia Centrale e dal Caspio. Di notevole rilievo appare anche la complessa questione della candidatura della Turchia, il cui eventuale ingresso nell’Unione Europea porterebbe le frontiere terrestri europee direttamente sul Caucaso. Da non sottovalutare è inoltre il significato della cosiddetta “rivoluzione delle rose” in Georgia, che nel 2003 ha profondamente modificato la situazione interna di questo pa-ese, facendone il principale motore dell’avvicinamento all’UE e alla NATO, ma anche – come dimostrano i recenti avvenimenti – la fonte di maggiori preoccupazioni e rischi.

3.1 La posizione dell’Ue e della comunità internazionale

Lo spostamento verso sud-est del centro di gravità dell’Unione Europea e la cre-scente importanza del Caucaso nella politica internazionale costringono Bruxelles a in-dividuare attentamente i suoi interessi nella regione e a sviluppare le strategie più adat-

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te a perseguirli con efficacia. L’Europa ha tre interessi fondamentali in questa re-gione: Il mercato del gas è, infatti, meno trasparente di quello del petrolio: non esi-stendo una quotazione internazionale o un cartello di paesi produttori, esso è caratte-rizzato da rapporti prevalentemente bilaterali e da accordi di medio e lungo periodo. Ciò deriva in primo luogo dalla caratteristica “rigidità” del gas naturale, il cui trasporto richiede, a differenza del petrolio, l’intubazione della risorsa e, per questa via, una maggiore programmazione e disponibilità agli investimenti di trasporto da parte dei consumatori. Scelte di lungo periodo sono necessarie anche in relazione alla trasfor-mazione del gas in Gas Naturale Liquefatto (GNL) che ne consente il trasporto senza intubazione. Il processo di trasformazione richiede infatti la costruzione di degassifica-tori per il congelamento della risorsa nei paesi produttori, così come la disponibilità di rigassificatori nei paesi consumatori o, in alternativa, in quelli in possesso di gasdotti funzionanti. l’energia, la sicurezza e la stabilità politica. In primo luogo l’Europa è interessata a incrementare l’importazione di energia attraverso il Caucaso meridionale (in particolare Azerbaigian e Georgia) per diversificare i suoi approvvigionamenti. Il se-condo e il terzo aspetto sono strettamente interconnessi. La sicurezza energetica dell’Europa appare, infatti, largamente collegata non solo allo sviluppo economico dei paesi caucasici, ma anche alla loro stabilizzazione politica, in quanto la permanente conflittualità regionale pregiudica l’accesso alle risorse energetiche del Mar Caspio e dell’Asia Centrale. È dunque interesse dell’Unione Europea che le repubbliche del Caucaso meridionale riescano finalmente a risolvere i complessi conflitti – sia in-terni che interstatali – e conoscano al tempo stesso uno sviluppo politico coerente con quello europeo, diventando a pieno titolo stati di diritto e rafforzando le loro istituzioni democratiche. Si tratta di obiettivi in larga misura concomitanti, che devono quindi es-sere perseguiti in maniera combinata.

Le difficoltà di questo processo, tuttavia, non possono essere minimizzate. Il Cau-caso è una regione ancora sostanzialmente instabile, in primo luogo a causa dei conflitti locali, che hanno sì una radice etno-territoriale, ma sono divenuti sin da-gli anni ‘90 dello scorso secolo funzionali alla rivalità strategica tra Russia e Stati Uniti nella regione. A lungo negletti dalla comunità internazionale, “congelati” ma non risolti, questi conflitti sono stati recentemente rinfocolati sia dalle ambizioni della Geor-gia (e dell’Azerbaigian) a riconquistare i territori perduti, sia dall’indipendenza unilatera-le del Kosovo, verificatasi in un contesto non identico ma comunque assai simile. Sen-za una soluzione soddisfacente di tali conflitti, la stabilizzazione del Caucaso meridio-nale e il suo sviluppo politico ed economico rimarranno delle chimere.

Il contributo della comunità internazione alla soluzione delle crisi regionali e alla distensione inter-etnica può essere rilevante soltanto a condizione che sia fondato sull’effettiva volontà di giungere a un compromesso tra i contrastanti in-teressi dei diversi attori coinvolti e su una chiara comprensione della complessa situazione del Caucaso meridionale. Una regione di grande rilevanza strategica, come si è detto, ma la cui instabilità – confermata dal conflitto russo-georgiano dello scorso agosto – rischia di avere pericolose ripercussioni non solo economiche, ma an-che politiche, in particolare nei rapporti tra la Russia e l’Occidente. La questione degli irrisolti conflitti etno-territoriali del Caucaso meridionale, a lungo trascurata dalla comunità internazionale, si sta adesso manifestando in tutta la sua gravità e oc-corre davvero che si raggiunga un punto di equilibrio positivo, sinora assente. In larga misura a causa di contrastanti ingerenze esterne. Di Mosca, in primo luogo, che

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da un quindicennio strumentalizza le rivendicazioni indipendentiste di abkhazi e osseti per mantenere una leva di pressione nel Caucaso meridionale. Da parte russa questa regione viene infatti percepita – e, di conseguenza, difesa – non solo come una sorta di bastione territoriale avanzato, ma anche alla stregua di un banco di prova della rin-novata capacità di riprendere almeno parzialmente posizioni e interessi ritenuti vitali.

Ingerenze esterne provengono ovviamente anche da Washington, che ha indi-viduato nella Georgia il principale snodo locale del suo ri-dispiegamento strategico e ne ha sostenuto imprudentemente le ambizioni. Occorre ricordare che, a scatenare il re-cente conflitto russo-georgiano, è stato l’avventato tentativo di Tbilisi di riprendere con la forza delle armi il controllo dell’Ossezia meridionale nella convinzione di avere l’appoggio dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti. Un tentativo le cui conseguen-ze hanno ampiamente valicato la dimensione regionale, dimostrando come la centrali-tà geopolitica del Caucaso post-sovietico consista in effetti proprio nel suo esse-re frontiera, “faglia geopolitica”. Di fronte a una Russia in rapido riassestamento po-litico ed economico, e ben decisa a mantenere o riprendere almeno parte delle posi-zioni dell’epoca sovietica e zarista, l’Occidente e in particolare l’Unione Europea devono valutare con attenzione la loro politica nei suoi confronti. In particolare per quel che riguarda l’ulteriore espansione verso est della NATO, soprattutto in Geor-gia (e Ucraina).

Questo vale soprattutto per l’UE, che non ha ambizioni egemoniche nel Cau-caso e può quindi muoversi come mediatore, almeno in teoria, equilibrato tra le contrapposte spinte russe e statunitensi. L’inserimento di Georgia, Armenia e Azer-baigian nella Politica Europea di Vicinato dal 2004 ha indubbiamente portato a dei pas-si avanti in questa direzione, ma non si può nascondere che, dal punto di vista russo, anche tale genere di penetrazione appare indesiderabile e viene sostanzialmente rifiu-tata. D’altra parte il sempre più esplicito desiderio di Mosca di considerare il Caucaso meridionale all’interno della propria sfera di influenza non può essere ammissibile nella situazione politica creatasi con l’indipendenza di questi paesi nel 1991. Peraltro, per quel che riguarda l’Unione Europea, il punto cruciale è decidere se davvero, co-me sostengono anche alcuni validi specialisti della regione, gli interessi europei nel Caucaso coincidano sostanzialmente con quelli di Stati Uniti e NATO, in sostan-ziale antagonismo con la politica russa. Oppure se l’UE possa intervenire in un’area tanto cruciale e prossima come quella caucasica seguendo un approccio auto-nomo, non solo più consapevole della complessa realtà geopolitica della regione, ma anche sulla base di propri interessi specifici. In primo luogo quello di non pregiudi-care la collaborazione politica ed economica con la Russia, che dell’Europa costituisce un fondamentale partner economico e strategico. In ogni caso occorre considerare che l’efficacia della politica europea nel Caucaso meridionale è gravemente pregiudicata dalla forte divaricazione di vedute esistente tra il blocco dei Paesi Baltici, Polonia, Sve-zia e Gran Bretagna da un lato, Francia, Germania, Italia e Spagna dall’altro. Un con-trasto che riprende peraltro quello più generale esistente nei confronti della Russia. In questo senso il Caucaso meridionale costituisce una sorta di cartina di tornasole della capacità dell’UE di individuare e perseguire una politica coerente e coesa nei confronti di Mosca.

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3.2 Possibili nuove forme di aggregazione sub-regionale

La fragilità politica ed economica delle tre repubbliche indipendenti del Cau-caso meridionale renderebbe altamente auspicabile la realizzazione di nuove forme di aggregazione sub-regionale. Peraltro, tale prospettiva è ampiamente pregiudicata dai forti contrasti esistenti tra i paesi della regione. Il principale è co-stituito dall’irrisolto problema dell’Alto Karabakh, una regione prevalentemente armena inserita in epoca sovietica all’interno dell’Azerbaigian e resasi indipendente de facto dopo un conflitto durato dal 1991 al 1994. Da allora non è stato possibile giungere a una soluzione di questo conflitto che coinvolge due stati e destabilizza l’intera regione. Esistono inoltre forti divergenze strategiche tra i paesi del Caucaso meridionale. Men-tre l’Azerbaigian e soprattutto la Georgia hanno da tempo manifestato l’intenzione di sottrarsi completamente all’orbita russa e di entrare nelle strutture politiche e di sicu-rezza occidentali (NATO e Unione Europea in primo luogo), l’Armenia è costretta ad appoggiarsi alla Russia dalla sua particolare situazione storica e geopolitica, in partico-lare dal conflitto con l’Azerbaigian per l’Alto Karabakh e dall’annoso contrasto con la Turchia, esacerbato dal mancato riconoscimento del genocidio del 1915 e dalla chiusu-ra della frontiera decisa da Ankara in appoggio a Baku. Considerando i buoni rapporti di Russia e Armenia con l’Iran, che peraltro persegue nella regione una politica molto prudente, è possibile individuare nel Caucaso l’esistenza di due assi geopolitici contrapposti, reali anche se non formalizzati: da un lato l’asse verticale, costituito da Russia, Armenia e Iran, dall’altro l’asse orizzontale, costituito da Azerbaigian, Georgia, Turchia, con gli Stati Uniti in posizione di forte sostegno dall’esterno. Tale contrapposi-zione continua a ostacolare notevolmente non solo le prospettive di aggregazione sub-regionale, ma la stessa soluzione dei conflitti etno-territoriali esplosi negli anni ‘90 dello scorso secolo.

Per questa ragione merita molta attenzione il tentativo, operato negli ultimi mesi dal-la Turchia, di costituire una Piattaforma per la Stabilità e Cooperazione nel Caucaso, derivante dalla considerazione che i meccanismi di cooperazione alla sicurezza regio-nale approntati dalla comunità internazionale nel corso dell’ultimo quindicennio si sono dimostrati incapaci di garantire la stabilità del Caucaso, non risolvendone le più profon-de problematiche. Tale iniziativa di cooperazione “dall’interno” della regione, che coinvolge i tre paesi del Caucaso meridionale, la Russia e la Turchia, potrebbe costituire un nuovo punto di partenza per colmare il vuoto di sicurezza sinora presente. Per essere efficace, tuttavia, questa iniziativa “dall’interno” – già di per sé ostacolata dai difficili rapporti esistenti tra gli attori locali – dovrebbe integrarsi e non scontrarsi con l’azione di fattori esterni ormai presenti nella regione, in particolare Stati Uniti, UE e NATO.

Occorre infatti tener presente tutta la complessità della situazione geopolitica del Caucaso e i suoi stretti legami con l’Asia centrale. Pur costituendo due regioni storico-geografiche ben distinte, il Caucaso e l’Asia Centrale appaiono per molti aspetti strettamente legati tra loro. Non solo per tutta una serie di dinamiche socio-politiche derivanti dal comune e duraturo influsso russo e sovietico, ma soprattutto per la stretta connessione oggi esistente nella sfera energetica. Il Caucaso meridionale deve, infatti, la sua odierna rilevanza internazionale essenzialmente al fatto di costituire un’importante via di transito per il gas e il petrolio prodotti in Asia Centrale e nel Mar Caspio, in alternativa a quelle tradizionali che attraversano la Russia. In questo senso,

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la regione è fondamentale per l’immissione delle fonti energetiche centro-asiatiche sui mercati occidentali, soprattutto alla luce dell’attuale improponibilità di altre rotte energe-tiche che attraversino l’Iran e l’Afghanistan.

Un altro aspetto da tener presente è la difficile situazione creatasi tra le due parti del Caucaso dopo il crollo dell’URSS. Il rapporto tra le repubbliche indipendenti del Caucaso meridionale e la parte settentrionale, che fa parte della Federazione Rus-sa, è infatti molto complesso. Dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991 è in larga misu-ra venuta meno l’unità non solo politica, ma anche economica e culturale tra le due parti della regione. I rapporti commerciali sono molto limitati soprattutto tra Russia e Georgia, in particolare dopo le forti limitazioni poste da Mosca all’importazione di pro-dotti georgiani. La sostanziale chiusura della frontiera russo-georgiana pregiudica no-tevolmente le prospettive di sviluppo delle regioni a cavallo dello spartiacque caucasi-co. La situazione è migliore tra l’Azerbaigian e la Russia, con la quale – invece – l’Armenia non ha una frontiera comune. Occorre però tenere presente che numerosis-simi cittadini georgiani, armeni e azeri vivono e lavorano in Russia, contribuendo non poco con le loro rimesse all’economia dei rispettivi paesi. Nel complesso, tuttavia, si è molto lontani dall’intravedere una vera ripresa di quella collaborazione economi-ca tra la Federazione Russa e le tre repubbliche del Caucaso meridionale che tan-to giovamento porterebbe soprattutto a queste ultime. Né ciò potrà avvenire sinché ri-marranno irrisolti i nodi politici, in particolare quelli esistenti tra Russia e Georgia. L’esito del conflitto dello scorso agosto ha in effetti aumentato il peso della proiezione russa nel Caucaso meridionale. Il riconoscimento da parte di Mosca dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia meridionale – che secondo l’ordinamento giuridico internaziona-le fanno parte della Georgia – nonché il rafforzamento della presenza militare russa in queste due regioni, ostacolano notevolmente il percorso verso una nuova cooperazio-ne politica ed economica, in particolare da parte dell’UE.

3.3 La via della collaborazione culturale

Un contributo interessante da parte europea – e italiana in particolare – po-trebbe essere fornito da forme di collaborazione culturale verso i paesi del Cau-caso meridionale. Questo vale soprattutto nei confronti di Georgia e Armenia, due paesi di forte vocazione culturale europea che hanno avuto con l’Europa – e soprattut-to con l’Italia – rapporti quanto mai significativi. Si tratta infatti di paesi di antica civiltà cristiana che, per quanto non cattolici (la Chiesa georgiana è ortodossa, quella armena pre-calcedonita), hanno a lungo guardato al Papato come al principale referente euro-peo sia in ambito religioso che politico. Georgiani e armeni, infatti, hanno per secoli in-viato missioni a Roma per chiedere aiuto contro le dominazioni musulmane della re-gione. Pur rimanendo senza esito politico, questa attenzione ha determinato l’instaurarsi di intensi rapporti religiosi e culturali con tali paesi.

Soprattutto i legami dell’Armenia con Roma e l’Italia sono di particolare interesse, come ha dimostrato la grande Mostra “l’Armenia e Roma” svoltasi tra il 1999 ed il 2000 in Vaticano. Numerose città italiane (soprattutto Venezia, ma anche Roma, Ravenna, Napoli, Genova, Livorno e così via) conservano importanti testimonianze della secolare presenza armena nel nostro paese.

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In senso opposto, l’Armenia e la Georgia hanno accolto numerose missioni della Chiesa di Roma, soprattutto domenicane e teatine, che sono all’origine delle minoran-ze cattoliche presenti in questi paesi e, nel caso armeno, anche nelle comunità diaspo-riche.

Sempre per gli armeni, inoltre, il rapporto con l’Italia è reso particolarmente intenso e proficuo dalla presenza nell’isola veneziana di San Lazzaro della comunità monastica mechitarista, che ha avuto una decisiva importanza per la modernizzazione della cultu-ra armena, costituendo al tempo steso dai primi decenni del XVIII secolo sino ai nostri giorni un fondamentale canale di comunicazione culturale.

L’esistenza di questi contatti di lunga data è uno dei fattori principali del diffuso sen-timento di interesse e rispetto nei confronti dell’Italia che caratterizza i paesi del Cau-caso meridionale.

Occorre poi tener presente l’enorme prestigio culturale dell’Italia, soprattutto nella sfera artistica, musicale, letteraria, ma ovviamente anche per quel che riguarda la mo-da e il turismo. Esiste nell’intera regione una vasta e notevole simpatia nei confronti dell’Italia, anche sulla base di una diffusa convinzione della forte somiglianza culturale, caratteriale e sociale tra il nostro paese e quelli caucasici.

Infine, la popolarità del nostro paese è accresciuta dal fatto che la sua posizione in-ternazionale appare esente da tendenze egemoniche e contrassegnata invece da un costante orientamento umanitario e di cooperazione allo sviluppo.

Occorre anche considerare che la presenza di turisti italiani nella regione, soprattut-to in Armenia, è in costante aumento. Questo insieme di ragioni spiega il crescente in-teresse nei confronti dell’Italia presente nei paesi del Caucaso meridionale. Soprattutto in Georgia e Armenia lo studio della lingua italiana si diffonde sempre più e le manife-stazioni culturali congiunte hanno un enorme successo. Così è stato, per esempio, in occasione delle “Giornate dell’Amicizia italo-armena” che hanno avuto luogo nell’autunno del 2005. Occorre tuttavia osservare che tali aspettative sono in larga mi-sura disattese dal nostro limitato impegno culturale rispetto, per esempio, alle attività di Francia e Germania nella regione. Vale anche la pena di ricordare che, nonostante il numero limitato di armeni e georgiani (questi ultimi peraltro in forte aumento) presenti in Italia, negli ultimi anni nel nostro paese si è avuto un notevolissimo incremento dell’attenzione culturale e politica nei confronti di Armenia e Georgia. Sono infatti state create numerose associazioni che si occupano di diffondere la conoscenza della storia e della cultura di questi paesi in Italia, nonché di sviluppare le relazioni bilaterali. Per quel che riguarda l’Armenia segnalo – tra le altre – le associazioni “Italia-Armenia” e “Padus-Araxes”, mentre per la Georgia “Lo scudo di San Giorgio” e l’appena costituita “Con la Georgia nel cuore”.

Un ulteriore miglioramento delle relazioni culturali sarebbe oltremodo utile per lo svi-luppo delle relazioni diplomatiche e politiche in generale tra l’Italia e questi paesi.

Alla luce di tale crescente interesse reciproco, c’è da chiedersi come possa pianificar-si una più accentuata presenza culturale dell’Italia nei paesi del Caucaso meridionale. Pur nell’odierna difficile situazione economica, sarebbe opportuno valutare in primo luo-go l’opportunità di aprire sedi di Istituti Italiani di Cultura, soprattutto in Armenia e Geor-gia, vale a dire nei paesi che mostrano maggiore interesse per il nostro patrimonio cultu-rale. In alternativa, si potrebbero rafforzare i centri di cultura italiana che già vi operano.

In conclusione, la crisi georgiana dello scorso agosto impone all’Unione Europea di individuare nei confronti del Caucaso, ma anche e soprattutto della Russia, una posi-

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zione realista e condivisa, che non venga meno ai suoi valori politici e culturali di riferi-mento, ma eviti approcci retorici e sovente ipocriti. Da questo punto di vista l’Italia sembra portatrice – insieme soprattutto a Germania e Francia – di una linea politica equilibrata, consapevole delle legittime aspirazioni dei paesi locali, ma anche del fatto che per l’Europa la Russia costituisce un partner strategico fondamentale, le cui azioni possono essere anche criticate e condannate, ma con il quale è indispensabile trovare un rapporto stabile e produttivo. È assolutamente necessario che tra questa posizione e quella intransigente di Polonia, Paesi Baltici e Gran Bretagna si trovi una sintesi effi-cace nell’ambito di una comune politica europea. Note 1 Il mercato del gas è, infatti, meno trasparente di quello del petrolio: non esistendo una quotazione in-

ternazionale o un cartello di paesi produttori, esso è caratterizzato da rapporti prevalentemente bilate-rali e da accordi di medio e lungo periodo. Ciò deriva in primo luogo dalla caratteristica “rigidità” del gas naturale, il cui trasporto richiede, a differenza del petrolio, l’intubazione della risorsa e, per questa via, una maggiore programmazione e disponibilità agli investimenti di trasporto da parte dei consumatori. Scelte di lungo periodo sono necessarie anche in relazione alla trasformazione del gas in Gas Naturale Liquefatto (GNL) che ne consente il trasporto senza intubazione. Il processo di trasformazione richiede infatti la costruzione di degassificatori per il congelamento della risorsa nei paesi produttori, così come la disponibilità di rigassificatori nei paesi consumatori o, in alternativa, in quelli in possesso di gasdotti funzionanti.

2 Si tratta del potenziamento del gasdotto Transmed tra Tunisia, Algeria e Mazara del Vallo, la firma dell’accordo per la realizzazione del gasdotto italo-algerino Galsi e la messa a regime del gasdotto ita-lo-libico Green Stream.

3 Benché le più alte autorità russe abbiano negato di voler utilizzare l’energia come strumento di politica estera, tale affermazione è smentita dalla Dottrina Energetica approvata nel 2003 dalla presidenza Pu-tin, nella quale si sottolineava come l’incremento delle esportazioni russe verso i mercati energetici mondiali rafforzasse la sua influenza geopolitica. Cfr. Ministry of Energy of the Russian Federation, Summary of the Energy Strategy of Russia for the Period of up to 2020, p.21.

4 La stessa Commissione europea ha rimarcato i rischi per la sicurezza energetica europea connessi alla politica e al quadro istituzionale russo: “Ultimamente, alcuni dei principali produttori e consumatori hanno usato l’energia come arma politica. Il mercato interno europeo dell’energia può inoltre risentire del fatto che gli attori esterni non seguano le stesse regole di mercato e non subiscano le stesse pres-sioni concorrenziali a livello interno”. Una Politica Esterna al Servizio degli Interessi Europei in Materia di Energia, Documento della Commissione e del Segretario Generale/Alto Rappresentante per il Con-siglio europeo, [S160/06], giugno 2006, p. 1.

5 Seguendo uno schema d’azione sostanzialmente analogo, Gazprom in diverse occasioni ha richiesto ai propri acquirenti un arbitrario incremento di prezzo delle forniture di gas che, producendo il progres-sivo indebitamento dello stato acquirente, finiva per essere saldato con la concessione al monopolio russo di partecipazioni nelle compagnie nazionali energetiche e/o con il controllo della rete infrastruttu-rale del paese. Tale schema è stato seguito tanto nei confronti delle repubbliche baltiche, quanto con Bielorussia, Moldova e Ucraina.

6 Decisione N. 1229/2003/CE Del Parlamento Europeo E Del Consiglio del 26 giugno 2003 che stabili-sce un insieme di orientamenti relativi alle reti transeuropee nel settore dell’energia e che abroga la decisione n. 1254/96/CE, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, L176/11, 15 settembre 2003.

7 A contrastare il monopolio russo nel trasporto degli idrocarburi del Caspio hanno contribuito, a oggi, due infrastrutture deputate al trasporto di petrolio e gas lungo una stessa rotta georgiano-turca verso il Mediterraneo. Il riferimento va all’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), inaugurato nel maggio 2005, e al parallelo gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum (BTE) del maggio 2006.

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8 La concorrenzialità di South Stream e Nabucco in relazione alle fonti di approvvigionamento energeti-

co, prima ancora che riguardo alle rotte, è stata evidenziata dallo stesso Putin: “You can build a pipeline or even two, three, or five. The question is what fuel you put through it and where do you get that fuel. […] There can be no competition when one project has the gas and the other does not”. Cit. in V. Socor, South Stream Gas Project Defeating Nabucco By Default, in “Eurasia Daily Monitor”, vol. 5, n. 42, March 5, 2008. 9La Turchia dipende fortemente dalle importazioni energetiche russe,(9) che ne hanno sostenuto la no-tevole crescita economica degli ultimi anni. Paesi storicamente rivali nella proiezione regionale, Russia e Turchia hanno modificato il corso delle relazioni bilaterali proprio a partire dal primo accordo energe-tico del 1998 – per la costruzione del gasdotto Blue Stream tra le rispettive coste del Mar Nero. Da al-lora la cooperazione russo-turca si è andata approfondendo su un piano economico e politico, al punto che quella stessa proiezione regionale che ne aveva tradizionalmente determinato la rivalità rappre-senta oggi centrale elemento di convergenza di interessi.

10 Creata a Istanbul nell’aprile 2001, Blackseafor ha l’obiettivo di approntare missioni di salvataggio, u-manitarie, sminamento e protezione ambientale. A partire dal 2004 il meccanismo di cooperazione ha inaugurato, su iniziativa turca, un forum di consultazione politica, su cooperazione antiterroristica e lot-ta al traffico di armi di distruzione di massa.

11 I. Torbakov, Turkey sides with Moscow against Washington on Black Sea Force, “Eurasia Daily Moni-tor”, vol.3 num.43.

12 V. Socor, A Rogue Fleet in the Black Sea, “Eurasia Daily Monitor”, vol.5, num.227. 13 Russia Plans Base In Georgian Breakaway Region, “RFE/RL”, 26 gennaio 2009. 14 BP pipeline off after Russian shelling, “Eurasianet”, 14 agosto 2008. 15 Sul punto, R. Larsson, Russia’s Energy Policy: Security Dimensions and Russia’s Reliability as an E-

nergy Supplier, Stockholm, Swedish Defense Research Agency, 2006. 16 Per un quadro più approfondito della situazione del Caucaso meridionale si rimanda alla ricerca “Do-

po la guerra russo-georgiana. Il Caucaso in una prospettiva europea”, ottobre 2008, a cura di A. Ferra-ri, realizzata dall’ISPI con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri: www.ispionline.it/it/documents/ Il Caucaso in una prospettiva europea (1).pdf.

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