La RSI e la Resistenza nei libri di testo 3 · RESISTENZA E RSI NEI LIBRI DI TESTO DELLE SUPERIORI...

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RESISTENZA E RSI NEI LIBRI DI TESTO DELLE SUPERIORI Centro Studi e Documentazione sul periodo storico della Repubblica Sociale Italiana Via Fantoni 49 25087 Brescia www.centrorsi.it [email protected] 1

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RESISTENZA E RSI NEI LIBRI DI TESTO DELLE SUPERIORI

Centro Studi e Documentazione sul periodo storico della Repubblica Sociale Italiana

Via Fantoni 49 25087 Brescia

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Indice

Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino La conoscenza storica. Manuale. 3. Il novecento Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2000 3 Claudio De Boni, Enrico Nistri L’Europa e gli altri. Corso di storia Casa editrice G. D’Anna, 1998 6 Giovanni De Luna, Marco Meriggi, Antonella Tarpino Codice storia. Percorsi e laboratori. Volume terzo Paravia, 2000 10 Gabriele De Rosa La storia. Il Novecento Minerva Italica, 2002 12 Marco Manzoni, Francesca Occhipinti, Fabio Cereda, Rita Innocenti Leggere la storia. Profilo documenti storiografia. Dai nazionalismi alla seconda guerra mondiale Einaudi scuola, 2007 20 Peppino Ortoleva, Marco Revelli L’età contemporanea. Il novecento e il mondo attuale Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2000 26 Mario Palazzo, Margherita Bergese Clio Magazine. Corso di storia per il triennio delle scuole superiori. 3. Il novecento e l’inizio del XXI secolo B. Dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri Editrice la scuola, 2003 29 G. Sabbatucci, V.Vidotto Storia contemporanea. II Novecento Laterza, 2007 34 Massimo L. Salvadori, Francesco Tuccari L’Europa e il mondo nella storia. C. XIX-XXI secolo Loescher, 2004 37 Francesco Traniello, Alberto Guasco Storia di mille anni. Dall’imperialismo alla globalizzazione SEI, 2004 41 Rosario Villari Sommario di Storia. 1900-2000 Editori Laterza, 2002 45

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Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino La conoscenza storica. Manuale. 3. Il novecento Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2000 pp. 254-257 La repubblica di Salò e l'opposizione popolare al nazifascismo Pochi giorni dopo l'annuncio dell'armistizio, Mussolini venne liberato da paracadutisti nazisti (12 settembre) dalla sua prigione sul Gran Sasso, dove era stato condotto dopo l'arresto. I tedeschi lo misero poi a capo di un governo fascista fantoccio, la Repubblica sociale italiana, con sede a Salò, sul lago di Garda, che estese la sua zona d'influenza all'Italia centro-settentrionale. Nel sud, occupato dagli alleati, rimaneva invece in carica il governo Badoglio. Il paese era quindi spaccato in due: dal sud risalivano le armate alleate, mentre nell'Italia centro-settentrionale la Wehrmacht si attestava come un vero e proprio esercito occupante. In questa situazione presero slancio le attività di resistenza, cioè le azioni di guerriglia per bande contro i nazisti occupanti e i fascisti di Salò (detti spregiativamente "i repubblichini"): forze volontarie - i partigiani - si organizzarono sui monti, in pianura, nelle città, per contrastare il nemico con sabotaggi, agguati, azioni punitive. In questa strenua lotta seppero coesistere, in nome della comune avversione al nazifascismo, uomini e gruppi di orientamenti ideologici e politici anche molto diversi fra loro. Nel settembre del 1943, una grande prova delle capacità di lotta del popolo italiano si ebbe nelle eroiche Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre), durante le quali i civili insorsero contro i tedeschi, battendosi strada per strada e costringendo gli occupanti a evacuare la città, che, una volta liberata, accolse le truppe americane in marcia verso il nord. Già nel marzo 1943, gli scioperi operai indetti nelle città industriali del nord per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro avevano costretto il regime a scendere a patti. Questo parziale successo, unito all'intenso lavoro propagandistico sostenuto soprattutto dal Partito comunista, aveva assunto un marcato significato politico e aveva indicato un'altra possibile via da percorrere per opporsi al fascismo e alle truppe d'occupazione naziste. La Resistenza in Europa Una vasta reazione d'opposizione all'occupazione nazista si diffuse in tutta Europa. In Francia un vasto movimento si strinse attorno a "Francia libera", l'organizzazione guidata da De Gaulle, che riuscì a mobilitare un vero e proprio esercito di quasi mezzo milione di uomini, impegnato su vari fronti. A1 programma di De Gaulle si ispirarono le Ffi (forze francesi dell'interno), cui si affiancarono gli Ftp (franchi tiratori e partigiani), d'ispirazione comunista. Anche in Polonia, in Unione Sovietica e in Jugoslavia fu attivo il movimento di resistenza contro l'invasione tedesca. In Urss l'attività di guerriglia delle bande partigiane alle spalle delle truppe nazifasciste fu strettamente intrecciata alla ripresa dell'offensiva dell'Armata rossa. In Jugoslavia la lotta dei partigiani comunisti, organizzati dal maresciallo Josip Broz, detto Tito, in un vero e proprio esercito popolare, fu particolarmente lunga e sanguinosa e costò la vita a oltre un milione e mezzo di persone tra partigiani e civili. Tra il 1944 e il 1945 l'esercito titoista, forte di oltre mezzo milione di uomini, riuscì ad avere ragione dell'esercito tedesco e a riprendere il controllo dell'intero territorio. In questo contesto circa 4/5000 italiani dell'Istria e della Venezia-Giulia, durante la guerra e subito dopo furono vittime di esecuzioni sommarie o vennero gettati nelle foibe, profonde cavità carsiche. Vennero colpiti non solo militari della repubblica di Salò o personaggi coinvolti con il nazifascismo, ma anche cittadini comuni, persino aderenti al Cln. Segno che questa violenza, se in parte manifestava una reazione alla brutale dominazione nazifascista, rispondeva anche all'intento, da parte delle autorità jugoslave, di eliminare i potenziali oppositori di un'annessione della Venezia-

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Giulia alla Jugoslavia comunista. La resistenza polacca ebbe come obiettivo primario quello di difendere l'identità nazionale e la sopravvivenza stessa della Polonia, spartita tra la Germania e 1'Urss. I costi umani di questa lotta furono terribili: ai tre milioni di ebrei polacchi deportati nei campi di sterminio, si aggiunsero i massacri della popolazione civile e dei militanti impegnati nelle organizzazioni resistenziali. La drammaticità della situazione polacca affonda le sue radici anche nel ruolo svolto dall'Urss, poco propensa a favorire un movimento resistenziale di impronta nazio-nalistica. Così, in occasione dell'insurrezione di Varsavia, il 1° agosto 1944, l'esercito sovietico, che già sostava alle porte della capitale polacca, attese senza intervenire che i nazisti reprimessero nel sangue la lotta partigiana e radessero al suolo la città. Anche in Grecia un vasto movimento resistenziale contro l'occupazione nazifascista si coagulò intorno all'Unione nazionale greca democratica (Edes), di matrice moderata e monarchica, e all'Esercito nazionale popolare di li-berazione (Elas), di ispirazione comunista. In tutta Europa la lotta della Resistenza mirò anche a definire un programma politico che consentisse di affrontare gli enormi problemi che sarebbero sorti a guerra conclusa. Dovunque, infatti, la lotta armata contro fascisti e nazisti si legò strettamente a indirizzi politici tesi a rinnovare radicalmente quelle società che avevano partorito movimenti e governi autoritari di estrema destra o analoghi regimi fantoccio nei paesi occupati a partire dal 1939. I Comitati di liberazione nazionale e i nuovi partiti politici in Italia In Italia, per coordinare le operazioni contro i nazifascisti e per disporsi ad affrontare le questioni politiche del dopoguerra, si costituirono all'indomani del 25 luglio 1943 i Comitati di liberazione nazionale (Cln), composti dai rappresentanti delle forze politiche antifasciste. Dopo il crollo del fascismo, infatti, i partiti politici poterono riorganizzarsi. Nell'agosto 1943 nacque il Psiup (Partito socialista di unità proletaria), nel quale confluirono sia l'ala riformista sia quella massimalista del movimento socialista. Il nuovo partito aveva un programma nettamente classista ed era favorevole all'unità d'azione con il Partito comunista italiano (Pci). Quest'ultimo, che non aveva cessato di operare clandestinamente durante il fascismo e nei primi anni di guerra, riprese la propria attività legale nel 1944 sotto la guida di Palmiro Togliatti, rientrato in primavera in Italia dopo un lungo esilio in Urss. Togliatti corresse alcune posizioni intransigenti presenti nel partito e lanciò, da Salerno, dove era sbarcato, un programma di collaborazione con le altre forze antifasciste per costruire uno "stato democratico" come premessa necessaria a un'ulteriore evoluzione in senso socialista del sistema politico italiano. La "svolta di Salerno" ebbe una funzione decisiva nel rafforzare l'unità delle forze antifasciste e nel far crollare il consenso degli italiani al fascismo. An-che per questo motivo, in aprile, Vittorio Emanuele III, che fino ad allora si era rifiutato di riconoscere i partiti antifascisti, rese possibile la formazione di un governo di unità nazionale, presieduto da Badoglio e con la vicepresidenza dello stesso Togliatti, che esercitava la sua sovranità sui territori dell'Italia meridionale liberati dagli anglo-americani. Anche il vecchio Partito popolare (Ppi) venne ricostituito, con il nuovo nome di Democrazia cristiana (Dc), sotto la guida di Alcide De Gasperi. Vi confluirono, insieme ai vecchi quadri del movimento cattolico prefascista, le nuove leve cresciute negli organismi di massa cattolici (come la solida e ben radicata Azione cattolica, oppure la Fuci, 1'associazione degli studenti universitari cattolici), che il regime non era riuscito a sciogliere in virtù del Concordato. Sul piano program-matico la Dc era su posizioni moderate, ma con quell'apertura ai problemi sociali che proveniva dal vecchio sindacalismo "bianco" e dalla tradizione del pensiero sociale cattolico. Le forze antifasciste della borghesia industriale e finanziaria sostennero la ricostruzione del Partito liberale sotto la guida di Luigi Einaudi e di Benedetto Croce, che ne definirono il programma e la collocazione nello schieramento antifascista. L'unica formazione politica del tutto nuova rispetto agli anni venti fu il Partito d'azione, nel quale confluirono le componenti laiche e progressiste, in-sieme alle forze di tradizione liberalsocialista, che si riconoscevano nella cosiddetta rivoluzione

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democratica: in un programma, cioè, di radicali riforme istituzionali, prima fra tutte l'instaurazione della repubblica, che avrebbero costituito il contesto nel quale sviluppare ampie riforme sociali. Per impulso di queste forze politiche si formò nel luglio 1944 il Corpo dei volontari della libertà (Cvl), che agì da comando strategico e da stato maggiore della resistenza armata, con a capo il generale Raffaele Cadorna, l'azionista Ferruccio Parri e il comunista Luigi Longo. La lotta partigiana in Italia Nell'Italia settentrionale fu il Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai) a guidare le azioni di guerriglia contro i fascisti e i tedeschi: le bande partigiane avevano ingrossato le loro file, passando dalle 20-30 000 unità agli inizi del 1944 alle almeno 70 000 del mese di giugno. I nazisti, in ritirata di fronte alle truppe alleate e in difficoltà per lo stillicidio di azioni partigiane alle loro spalle, spesso risposero alla Resistenza con spietate rappresaglie contro la popolazione civile. Tragicamente noti sono il massacro di 335 ostaggi alle Fosse ardeatine, a Roma, in risposta a un attentato partigiano contro una colonna tedesca in via Rasella, e l'eccidio di 1836 persone - di cui 200 bambini - perpetrato a Marzabotto (presso Bologna) da un reparto di SS comandato dal maggiore Karl Reder. Ma non si tratta che di due esempi di una lunghissima scia di sangue che le truppe tedesche in ritirata si lasciarono alle spalle risalendo l'Italia e che tra i carnefici vide spesso anche degli italiani, fascisti delle brigate nere di Salò, spie, collaborazionisti. Intanto, nell'agosto 1944, le forze anglo-americane si attestavano di fronte alla "linea gotica", la linea difensiva tedesca che correva da Massa Carrara a Pesaro, lungo gli Appennini. Contro di essa avrebbero sferrato un violento attacco sul versante adriatico, inaugurando un'aspra battaglia che portò alla liberazione di Ravenna (5 dicembre) e che in inverno, anche a causa delle difficili condizioni climatiche, dovette arrestarsi alle porte di Bologna. Circa un mese prima, il 10 novembre 1944, il proclama lanciato dal comandante inglese Harold Alexander, che invitava i partigiani a sospendere la lotta, creò gravi difficoltà al movimento di resistenza, già duramente provato dalle reazioni di rappresaglia dei nazifascisti, che, ora, con la stasi dei combattimenti sulla linea gotica, erano liberi di impiegare un numero maggiore di uomini nella repressione delle "bande di ribelli". Tuttavia, nonostante l'isolamento in cui furono lasciati dal comando alleato, nell'inverno 1944-45 i partigiani riuscirono a ricostituire in pianura nuove basi operative, predisponendosi allo scontro finale, che avrebbe avuto luogo nella primavera successiva.

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Claudio De Boni, Enrico Nistri L’Europa e gli altri. Corso di storia Casa editrice G. D’Anna, 1998 pp. 319-321 Il regno del sud e la rinascita dei partiti politici in Italia In questo quadro il fronte italiano assume un'importanza molto relativa. Se in un primo tempo è servito a tenere impegnate diciassette divisioni tedesche che altrimenti avrebbero potuto presidiare meglio le coste della Francia, dopo il giugno '44 non presenta piú neppure questa utilità. Mentre la situazione militare ristagna, si consolidano i due regimi politici in cui le vicende dell'armistizio e della guerra hanno diviso la penisola. Nel Mezzogiorno e nelle altre zone controllate dagli alleati l'autorità statale è esercitata dal regno d'Italia, comunemente chiamato regno del sud per la sua limitata estensione territoriale. Il 13 settembre del '43 esso ha dichiarato guerra alla Germania, ma gli anglo-americani non gli hanno riconosciuto la qualifica di alleato, bensí di semplice «cobelligerante»: il che non impedirà al suo esercito, faticosamente ricostruito dopo lo sfascio dell'8 settembre, nonostante gli altissimi tassi di renitenza alla leva o di diserzione, di prendere parte alla lotta contro i tedeschi distinguendosi in numerosi episodi di valore, soprattutto nello scontro di Montelungo. Alla guida del governo, frattanto, rimane il maresciallo Badoglio; ma nel paese si sviluppa sempre di piú l'attività - ormai alla luce del sole - dei partiti antifascisti. La caduta del regime ha infatti provocato anche la liberazione di quelle varie ed eterogenee tendenze intellettuali e politiche tenute insieme durante il ventennio dai meccanismi di organizzazione del consenso, dall'attrattiva che sempre esercita il potere e dal carisma personale di Mussolini. Cattolici, liberali, democratici e socialisti che avevano con le piú varie motivazioni convissuto con il regime o aderito a esso ritornano ai partiti d'origine, risorti sotto la guida dei «fuorusciti». Molti giovani esponenti della «sinistra» fascista, che nel corso degli anni trenta - spesso incoraggiati da Mussolini - hanno so-stenuto la necessità di una svolta in senso sociale del regime, aderiscono al partito comunista, che svolge da tempo un'opera di recupero delle nuove generazioni intellettuali, in particolare degli ex sindacalisti di regime. Proprio dal Pci giunge comunque, nella vita politica del regno del sud, un segnale di moderazione. Ai rappresentanti dei partiti antifascisti che in un convegno a Bari reclamano l'abdicazione del sovrano, il segretario comunista Palmiro Togliatti, autorizzato a questo passo da Stalin, risponde proponendo la formazione di un governo di unità nazionale e rinviando alla fine del conflitto la soluzione della questione istituzionale. Nell'aprile del 1944, cosí, entrano nel ministero Badoglio (cui succederà a giugno Ivanoe Bonomi) i rappresentanti di tutti i partiti, mentre il sovrano trasferisce i poteri al figlio Umberto, nominato luogotenente del regno. Prosegue nel frattempo il lento itinerario lungo la penisola delle forze anglo-americane. Dopo lo sbarco a Salerno, gli angloamericani entrano il 1° ottobre 1943 a Napoli; ma la strada per Roma si rivela tutt'altro che agevole. Uno sbarco ad Anzio, nel gennaio del 1944, non dà i risultati sperati e per mesi gli anglo-americani non riescono ad avere la meglio sulla tenace resistenza tedesca presso Cassino, nonostante i massicci bombardamenti che demoliscono lo storico monastero di San Benedetto. L'ingresso nella capitale avviene solo nel giugno 1944; due mesi dopo le forze delle Nazioni Unite entrano a Firenze. A questo punto i tedeschi, dopo aver inutilmente tentato di far dichiarare il capoluogo toscano «città aperta», cioè esclusa dai combattimenti, e aver fatto saltare tutti i ponti (con l'eccezione del Ponte Vecchio) per rallentare l'avanzata nemica, abbandonano Firenze e si attestano sugli Appennini lungo la cosiddetta linea gotica, che corre dalla Versilia a Rimini: continueranno a difenderla sino alla conclusione del conflitto. Al regno del sud, che incomincia faticosamente a restaurare la vita democratica dopo un ventennio di dittatura, si contrappone nel resto del paese la Repubblica sociale italiana (Rsi). L'ha fondata, nei

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territori sotto il controllo germanico, Mussolini, che i tedeschi hanno fortunosamente liberato dalla prigionia per fargli recitare l'ultimo atto della sua avventura di dittatore. Realtà e velleità della repubblica sociale Come la denominazione lascia immaginare, la fondazione della Rsi costituisce per Mussolini un ritorno alle origini rivoluzionarie del suo movimento. Abbandonato dal sovrano, dalla maggior parte dei gerarchi e da molti di coloro che si sono identificati con il «fascismo regime», il «duce» - che è ormai tale soltanto per una ristretta cerchia di fedeli - riecheggia l'antico programma di Sansepolcro, fondando una repubblica che si presenta alle masse con un piano di riforme radicali, comprendenti fra l'altro la «socializzazione» delle aziende, cioè la loro cogestione da parte dei lavoratori. Contra-sta però con il velleitarismo demagogico di queste e altre posizioni la realtà del nuovo stato, condizionato ancor piú del regno del sud dalle esigenze degli occupanti - in questo caso i tedeschi - e incapace, dopo aver perso l'appoggio dei benpensanti, di guadagnarsi il consenso dei ceti popolari e operai cui si vorrebbe rivolgere. L'aspirazione a rompere con il passato, punendo i moderati e i «traditori», si traduce fra l'altro nella decisione di processare a Verona e punire con la morte i firmatari dell'ordine del giorno Grandi il 25 luglio 1943. Vittima di questo gesto di vendetta privo di fondamenti giuridici è lo stesso Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini, che come ministro degli esteri era stato l'artefice dell'alleanza italo-tedesca. Alla Rsi aderiscono soprattutto fascisti delle ali estremiste, funzionari di carriera preoccupati di assicurarsi lo stipendio, ma anche di garantire il funzionamento di quel che resta della macchina statale, profittatori di tutte le risme, molti giovani e giovanissimi allevati nel clima nazionalista del ventennio, portati a considerare il ripudio del fascismo e della guerra fascista un tradimento della patria; e anche alcuni spiriti insofferenti che, disgustati dai compromessi del «fascismo regime» e dalla rapida conversione alla democrazia di molti opportunisti, sperano di ritrovare nella «repubblica» il clima rivoluzionario del «fascismo movimento». Non mancano tuttavia neppure esponenti moderati del regime, come il filosofo Giovanni Gentile, che presiede l'Accademia d'Italia e sarà ucciso dai partigiani a Firenze, e persino l'ex deputato comunista Nicola Bombacci, conquistato dall'idea della socializzazione. Alla prova dei fatti la Rsi - comunemente chiamata repubblica di Salò dal nome della cittadina in cui ha sede la sua agenzia di stampa - riesce ad assicurare la continuità della pubblica amministrazione nei territori sotto la sua giurisdizione, ma non a tutelare la popolazione civile dalle angherie e dalle rappresaglie delle truppe di occupazione tedesche. Lo stesso Mussolini - sempre piú isolato nella sua villa sul lago di Garda, dove i tedeschi lo proteggono, ma al tempo stesso lo sorvegliano - è sempre meno in grado di arginare le rappresaglie naziste e l'invadenza della Germania, che ha posto sotto la sua diretta giurisdizione ampi settori del territorio italiano, in Alto Adige e nella Venezia Giulia, nonostante le proteste delle autorità di Salò. A fare le spese di tale situazione sono in primo luogo gli ebrei. Questi, fino al crollo del regime, avevano dovuto subire le pesanti discriminazioni dei provvedimenti «per la difesa della razza»; ma, sia in Italia, sia nelle zone occupate dalle nostre truppe, erano stati al sicuro dalle ben piú pericolose e crudeli persecuzioni nazionalsocialiste. Dopo 1'8 settembre, invece, anche gli israeliti della penisola vengono rastrellati e deportati dalla Gestapo e dalle SS. Anche il tentativo di costituire un esercito autonomo, che riprenda a fianco della Wehrmacht il conflitto contro gli anglo-americani, si risolve in un semifallimento. Mussolini, infatti, cerca di reclutare le truppe della Rsi fra i militari deportati in Germania dopo 1'8 settembre, i volontari e alcune classi di leva. Ma buona parte dei prigionieri preferisce rimanere nei campi di concentramento piuttosto che venir meno al giuramento di fedeltà al sovrano; e, se numerosi sono i volontari fra i giovanissimi, molte reclute soggette alla coscrizione preferiscono sottrarsi alla leva o disertare, rischiando la fucilazione, piuttosto che militare nell'esercito di Salò. In tale contesto il contributo che le forze armate repubblicane - o «repubblichine», come le chiamano gli avversari - recano alla lotta dei tedeschi contro gli anglo-americani è per forza di cose

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limitato. Se quattro divisioni regolari, ricostituite sotto la guida del generale Rodolfo Graziani, si battono sul fronte contro gli anglo-americani, il grosso delle forze si organizza in formazioni a carattere poliziesco, che in vari casi assumono l'aspetto di vere e proprie bande private al servizio di questo o quel gerarca del partito, quando non sono addirittura in lotta fra loro. Compito principale di queste formazioni è la caccia agli avversari politici e in particolare i rastrellamenti dei gruppi par-tigiani che si vanno nel frattempo costituendo sempre piú numerosi. L’epopea della Resistenza italiana Come negli altri paesi europei occupati dalle truppe tedesche, anche in Italia si sviluppa infatti il fenomeno della guerra partigiana. Dopo gli eroici ma isolati tentativi di resistenza contro le forze germaniche seguiti all'8 settembre, incominciano a formarsi sulle montagne e nelle aree meno facilmente raggiungibili dal nemico gruppi di soldati del regio esercito sbandati, renitenti alla leva o disertori della repubblica sociale, ebrei e a volte prigionieri anglo-americani in fuga. In questa fase iniziale prevale l'esigenza della difesa e dell'autoconservazione; ma ben presto queste prime formazioni sparse cominciano ad acquistare consistenza e a ricevere un inquadramento di tipo militare e politico. Nelle montagne si organizzano «brigate» combattenti, spesso di varia estrazione ideologica: cattoliche, comuniste, monarchiche o legate al movimento di «Giustizia e libertà». Nelle città gruppi clandestini organizzano scioperi, sabotaggi e attentati, nei quali si rivelano particolarmente attivi i «Gruppi di azione patriottica», di ispirazione comunista. In un primo tempo le azioni dei partigiani hanno un valore, piú che militare, dimostrativo e politico, rompendo il clima di acquiescenza nei confronti dell'occupante tedesco e del risorto stato fascista che caratterizza in molti casi le popolazioni civili. Al nord si registra, sin dal '43, una serie di attentati a esponenti fascisti di primo e di secondo piano, cui segue una serie di rappresaglie destinate a segnare l'inizio della guerra civile. A Roma, dichiarata dai comandi militari tedeschi e alleati «città aperta», un «Gruppo di azione patriottica» provoca in via Rasella, con un ordigno esplosivo, la morte di trentatré soldati altoatesini, incorporati dopo 1'8 settembre nella Wehrmacht, e di sette passanti. La reazione tedesca è spietata, superiore nella sua furia alle già crudeli leggi della rappresaglia. All'alba del 24 marzo 1944 nelle Fosse Ardeatine vengono fucilati 335 ostaggi, scelti in molti casi alla rinfusa fra partigiani di «Giustizia e libertà», militari antifascisti, delinquenti comuni e israeliti. È la prima di una lunga serie di stragi destinate a insanguinare tante località dell'Italia centro-settentrionale, da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto, in concomitanza con la trasformazione della Resistenza in un fenomeno di vasta portata. Sino alla fine del conflitto l'occupazione tedesca comporterà la morte di circa 10.000 italiani e la deportazione in Germania di oltre 9.000. A questo tragico bilancio occorre aggiungere le 64.000 vittime civili dell'avanzata alleata, uccise in prevalenza dai bombardamenti. Fra il '44 e il '45, intanto, le formazioni partigiane aumentano di numero sino a formare piccoli eserciti che giungono in certi casi a controllare vaste fasce di territorio montuoso o comunque di limitata importanza strategica per i tedeschi: celebre il caso della «repubblica dell'Ossola», nell'omonima valle. L'atteggiamento degli anglo-americani nei confronti di questi «militari senza uniforme» è ambivalente: gli alti comandi gradirebbero che si occupassero soprattutto di sabotaggi e attentati ai mezzi di trasporto e nel novembre del 1944 il maresciallo britannico Alexander, in previsione dell'ormai vicina conclusione del conflitto, invita le formazioni partigiane a smobilitare. Oltre alla preoccupazione di evitare il proseguimento di una guerriglia che miete indirettamente vittime presso la popolazione civile, giocano su questa decisione anche preoccupazioni politiche. Gli anglo-americani temono che l'Italia, forte del contributo militare fornito alla sconfitta dei tedeschi, possa reclamare condizioni di pace meno severe; ma temono anche il peso crescente delle formazioni partigiane comuniste, che si trovano in contrasto e talora in urto cruento con quelle di ispirazione monarchica o cattolica. Tale urto è particolarmente aspro nella Venezia Giulia e nel Friuli, dove le formazioni comuniste della Resistenza agiscono spesso in collaborazione con i partigiani di Tito, che intendono annettere Trieste, l'Istria e la Dalmazia alla Iugoslavia. Maturano in

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questo quadro i primi massacri di italiani nella Venezia Giulia, che diventeranno però un fenomeno generalizzato a spese dell'intera popolazione italiana solo dopo la fine del conflitto. A ogni modo l'invito di Alexander rimane inascoltato: oltretutto è difficile smobilitare in territorio nemico delle formazioni combattenti senza mettere a repentaglio l'incolumità personale dei loro membri. Negli ultimi mesi del conflitto, anzi, le brigate partigiane registrano numerosissime adesioni e, nel dicembre del'44, il governo del regno del sud delega al Comitato di liberazione per l'alta Italia, cui fanno capo le varie formazioni, i suoi poteri sulla parte della penisola ancora sotto il controllo tedesco. Ormai la repubblica sociale è in grado di far valere la sua autorità soltanto nei centri urbani, mentre nelle aree periferiche è sempre piú forte l'influenza dei partigiani, che in certi casi riescono a vietare alla popolazione locale persino il pagamento delle imposte. Il crollo del nazismo e la fine di Mussolini. La tragedia di Hiroshima Non è soltanto quanto resta del movimento fascista a essere prossimo alla fine. Anche la Germania nazionalsocialista, stretta in una morsa d'acciaio a est e a ovest, soggetta agli ormai incontrastati bombardamenti anglo-americani, abbandonata dai suoi alleati rumeni, finlandesi, bulgari e ungheresi, ha i giorni contati. Mentre si stava facendo sempre piú massiccia la pressione sovietica ai confini orientali, un nucleo di alti ufficiali e aristocratici ha tentato l'ultima carta possibile: eliminare Hitler e stipulare una pace separata con gli inglesi e gli americani, diffidenti, almeno i primi, dell'espansionismo russo nell'Europa dell'est. Ma l'attentato al Fuhrer (20 luglio 1944) fallisce: miracolosamente scampato, Hitler fa impiccare con ganci da macellaio i responsabili e i so-spetti della congiura, impone il saluto nazista alla Wehrmacht e la mobilitazione totale all'intero paese, uomini e donne, dai quindici ai sessant'anni di età. Ma per cambiare le sorti del conflitto ci vorrebbe un miracolo, e neppure le temibili V2 - i razzi esplosivi a lunga gittata usciti dai cantieri tedeschi - sono sufficienti a salvare la Germania hitleriana dal suo destino. Dopo la perdita di Varsavia - insorta senza ottenere l'aiuto dell'armata rossa - e dell'intera Polonia, i tedeschi abbandonano la linea di difesa sulla Vistola lasciando il campo all'avanzata dei sovietici, che il 20 febbraio 1945 giungono ad appena cinquanta chilometri da Berlino. Enormi masse di profughi dalle regioni cadute sotto il controllo russo si precipitano in quel che resta del Reich, mentre nella conferenza di Yalta, in Crimea, Roosevelt, Churchill e Stalin si incontrano per accordarsi sul futuro assetto del continente europeo, e le prime avanguardie americane varcano il Reno avanzando, divise in due colonne, verso Amburgo e Monaco. Quando ormai, nell'aprile del '45, i russi si sono aperti un varco nella capitale germanica e ogni speranza di pace separata si è rivelata illusoria, le truppe tedesche in Italia abbandonano la linea gotica e le forze anglo-statunitensi dilagano nella pianura padana. Le formazioni partigiane liberano le principali città, mentre i tedeschi ripiegano disordinatamente verso le Alpi e quel che resta dell'esercito e delle milizie di Salò, abbandonato l'ultimo disegno di un'estrema difesa in Valtellina, cerca scampo nella resa o nella fuga. Cerca scampo nella fuga anche Mussolini, che però viene sorpreso da partigiani presso il confine svizzero, confuso in un gruppo di soldati tedeschi. Il dittatore fascista viene fucilato il 28 aprile, insieme alla sua amante Claretta Petacci e a un gruppo di gerarchi; i loro cadaveri sono trasferiti a Milano, a piazzale Loreto, per essere esposti al ludibrio della folla. […]

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Giovanni De Luna, Marco Meriggi, Antonella Tarpino Codice storia. Percorsi e laboratori. Volume terzo Paravia, 2000 pp. 226-228 La Resistenza in Italia

• Il “regno del Sud” In tutto il periodo in cui la guerra ristagnò nel suo territorio, l'Italia restò geograficamente e politicamente divisa in due. Il "Regno del Sud", strettamente controllato dagli Alleati, estendeva la sua autorità amministrativa nelle regioni liberate dagli Anglo-Americani. Capo del governo - dopo la fuga da Roma a Brindisi nella notte dell'8 settembre - era restato il maresciallo Badoglio. Proprio Badoglio il 13 ottobre 1943, dichiarò guerra alla Germania, ottenendo dagli AngloAmericani la qualifica di "cobelligerante". Contingenti di un esercito italiano rinnovato frettolosamente in uomini e mezzi parteciparono, così, agli scontri sulla "linea Gustav", segnalandosi nel sanguinoso assalto alle difese tedesche di Montecassino (battaglia di Montelungo e Mignano, 16 dicembre 1943). I movimenti antifascisti che si stavano ricostruendo al Sud, liberali, comunisti, socialisti, i cattolici della DC (Democrazia Cristiana), gli esponenti del Partito d'Azione, decisero di collaborare con Badoglio entrando a far parte del suo governo (21 aprile 1944): ottennero in cambio, da Vittorio Emanuele III, l'impegno a trasmettere i propri poteri al figlio Umberto e, a guerra finita, di sottoporre a un referendum popolare la scelta tra monarchia e repubblica. Dopo la liberazione di Roma, Umberto di Savoia assunse la carica di Luogotenente del Regno e Badoglio fu sostituito come capo del governo da Ivanoe Bonomi, antifascista fin dai primi anni del regime.

• La Repubblica Sociale A1 Nord, nel biennio 1943-1945, una Repubblica invece c'era già ed era quella costituita da Mussolini e dai Tedeschi dopo 1'8 settembre 1943. A1 suo interno era emerso il tentativo del fascismo di ritrovare i suoi caratteri originari, repubblicani e "socialisteggianti". Il Partito Nazionale Fascista fu considerato disciolto e sostituito dal Partito Fascista Repubblicano. Per tenere fede alla sua sigla, RSI (Repubblica Sociale Italiana). Mussolini avviò anche una complessa procedura per "socializzare" le principali imprese private, associando alla loro gestione gli operai e i lavoratori dipendenti. I suoi provvedimenti non ebbero però nessuna conseguenza pratica. La RSI non riuscì ad avere una propria autonomia e fu sempre rigidamente subordinata ai Tedeschi. I suoi ministeri erano sparsi sulle rive del lago di Garda, intorno a Salò, la cittadina che fu la capitale del nuovo Stato mussoliniano. Incapace di funzionare come amministrazione, la RSI non fu nemmeno in grado di dotarsi di un proprio esercito regolare: i suoi reparti militari (la GNR, Guardia Nazionale Repubblicana, le Brigate Nere, la X Mas) furono impegnati prevalentemente in compiti di ordine pubblico, di polizia, per la repressione antipartigiana.

• La lotta partigiana In tutta l'Italia occupata dai Tedeschi, infatti, si era sviluppata, a partire dai giorni immediatamente successivi all'8 settembre, un forte movimento di Resistenza. Al Sud c'erano stati soltanto brevi episodi insurrezionali, come quello di Napoli (la città si liberò da sola dai Tedeschi, dopo quattro giornate di lotta, 27-30 settembre 1943); al Nord, invece, la lotta armata assunse caratteri permanenti e di grande rilievo politico. In montagna, nelle vallate, nelle campagne, sorsero nuclei partigiani ben organizzati, formazioni militarmente inquadrate (brigate, divisioni, "bande") .

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Specialmente in quelle formazioni legate ai partiti di sinistra, le "Garibaldi" (comuniste), le "Giustizia e Libertà" (del Partito d'Azione), le "Matteotti" (socialiste), c'era una forte esigenza di fare emergere dalla lotta contro i Tedeschi e contro i fascisti un'Italia profondamente rinnovata in senso democratico. Più moderati erano gli obiettivi di altre bande partigiane: le "autonome" (costituite in prevalenza da ex militari fedeli al re), quelle organizzate dalla DC, i gruppi liberali. Per tutti costoro l'impegno prevalente era quello di scacciare i Tedeschi.

• L'insurrezione Durante la Resistenza, però, ci fu una sostanziale unità: tutte le formazioni partigiane facevano riferimento al CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), composto dai rappresentanti dei partiti antifascisti. Il CLNAI fu riconosciuto (7 dicembre 1944) dagli Alleati come rappresentante al Nord del legittimo governo italiano insediato in Roma liberata. Nell'aprile del 1945 i partigiani erano circa 200000, inquadrati nel CVL (Corpo Volontari della Libertà), organismo unitario - agli ordini diretti del CLNAI - in cui erano confluite tutte le formazioni. Il 25 aprile 1945 1e principali città italiane del Nord insorsero e si liberarono dai Tedeschi. L'arrivo contemporaneo degli Alleati in tutta la pianura padana segnò la fine dell'occupazione nazista e della Repubblica di Salò. Il 28 aprile Mussolini fu catturato dai partigiani e fucilato.

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Gabriele De Rosa La storia. Il Novecento Minerva Italica, 2002 pp. 212-214 e 227-233 1943-45: LA VITTORIA DEGLI ALLEATI […] L’armistizio con gli alleati e la Repubblica di Salò

• L’8 settembre e la reazione tedesca Il governo Badoglio prese contatti con gli alleati, con i quali fu firmato l'armistizio a Cassibile, in provincia di Siracusa, il 3 settembre 1943. Esso venne reso noto improvvisamente 1'8 settembre, senza predisporre alcun piano per fronteggiare le forze tedesche, che erano calate dal Brennero sin dal momento in cui la situazione militare in Italia era apparsa traballante. L'esercito tedesco, all'annuncio dell'armistizio, reagì prontamente e attaccò i reparti militari italiani. Là dove le nostre truppe non si sbandarono e si trovarono ufficiali capaci, riuscirono a fronteggiare l'esercito tedesco, come in Corsica, dove i nostri si unirono agli alleati. Eroica la resistenza italiana nell'isola greca di Cefalonia: dopo giorni di accaniti combattimenti, le truppe italiane furono costrette ad arrendersi; tutta la nostra guarnigione fu passata per le armi dai Tedeschi.

• L’insurrezione di Napoli, la difesa di Roma A Napoli la popolazione insorse contro i Tedeschi e dopo quattro giorni di combattimenti cacciò gli occupanti dalla città. In Jugoslavia, in Albania, in Grecia, molti nostri reparti si unirono ai partigiani. La flotta e l'aviazione, in ottemperanza alle clausole dell'armistizio, si consegnarono agli alleati. A Roma i granatieri, unitamente a migliaia di cittadini volontari, cercarono di bloccare la via ai Tedeschi a Porta San Paolo. Roma forse avrebbe potuto essere salvata se ci fosse stato un minimo di coordinamento tra le nostre forze e gli alleati, che avevano promesso il lancio di una divisione di paracadutisti a Nord della città. Il re, la sua famiglia e il governo abbandonarono intanto la capitale e fuggirono a Pescara: da qui si imbarcarono per Brindisi, dove Badoglio costituì il primo governo nazionale della liberazione.

• Mussolini fonda la Repubblica sociale italiana II 12 settembre 1943 Mussolini veniva liberato, per desiderio di Hitler, da un gruppo di paracadutisti tedeschi discesi sul Gran Sasso d'Italia, dove l'ex duce, prigioniero, era stato trasferito dopo una breve detenzione nell'isola di Ponza. Dopo un incontro con Hitler, Mussolini tornò in Italia e fondò la Repubblica sociale italiana, detta anche Repubblica di Salò, dal nome del paese sul lago di Garda dove egli insediò il governo. Hitler aveva consentito che Mussolini tentasse la restaurazione di uno Stato fascista nel Nord d'Italia, contro il parere dell'esercito tedesco, che avrebbe voluto occupare direttamente il territorio italiano. Il Mussolini di Salò fu un Mussolini patetico, tragico. Nel suo tentativo di restaurare il fascismo Mussolini si fondò su tre convincimenti: che il nuovo Stato non avrebbe potuto più essere monarchico, perché la monarchia aveva tradito; che l'errore del fascismo era stato di avere abdicato ai suoi originari princìpi repubblicani e sociali del 1919 per trasformarsi in una dittatura dall'alto a carattere conservatore. Lo sforzo sarebbe stato ora diretto a

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ripristinare la fede delle origini, la fede nel fascismo "sociale" tra le masse. Terzo convincimento: il nuovo Stato repubblicano doveva impegnarsi nella ricostruzione di un esercito, che tornasse a combattere a fianco dei Tedeschi.

• Salò, un fantoccio dei nazisti Molti giovani credettero al ritorno di un Mussolini repubblicano e populista, di un Mussolini rivoluzionario e dagli antichi amori socialisti. Sentirono come un'onta il "tradimento" della monarchia e la rottura dell'alleanza con la Germania. Questo atteggiamento di lealtà era anacronistico, non teneva conto di alcune realtà obiettive: anzi-tutto che il tentativo di Mussolini nasceva sotto la protezione dei carri armati dell'esercito tedesco, il quale non avrebbe mai consentito nuove sperimentazioni politiche che minimamente contrastassero con le sue esigenze militari. Erano ormai noti i criteri della politica di occupazione tedesca: pre-levamenti di mano d'opera, saccheggio di tutte le apparecchiature industriali che interessassero l'economia bellica tedesca, rastrellamenti degli indiziati politici e degli Ebrei. Tutto ciò era ben lontano dall'intendimento di ricostituire uno Stato repubblicano fascista indipendente.

• Le contraddizioni di Salò Un'altra difficoltà era costituita dallo spirito di vendetta che prevalse nelle correnti intransigenti del fascismo di Salò. Hitler richiese che fossero puniti in maniera esemplare coloro che avevano votato in seno al Gran consiglio del fascismo contro Mussolini nella seduta del 25 luglio. Fu imbastito un processo a Verona, che faceva parte della Repubblica di Salò. Fra i processati vi era anche il genero di Mussolini, il conte Galeazzo Ciano, già ministro degli Esteri. A nulla valsero gli interventi della moglie Edda presso il padre. Ciano fu condannato a morte. Infine, era ormai ben chiaro che dopo il 25 luglio nessun miracolo avrebbe potuto restituire la vita al cadavere del fascismo, colpevole di aver trascinato il paese accanto al nazismo in un'avventura cata-strofica e disumana. Una rivoluzione sociale non avrebbe potuto nascere dal compromesso tra il fascismo delle origini e la legge brutale dell'occupante. Una rivoluzione sociale non avrebbe potuto essere elargita da una gerarchia, da una classe politica squalificata, che aveva fatto male i suoi calcoli gettando improvvisamente il paese in una guerra catastrofica. Un'autentica rivoluzione democratica esigeva, fra l'altro, la libertà per i sindacati e per tutti i partiti democratici, compreso quello comunista. Tutto ciò era assurdo e inconcepibile per il fascismo di Salò e per lo stesso Mussolini, che si muovevano all'ombra della croce uncinata. […] LA RESISTENZA IN ITALIA. IL BILANCIO DELLA GUERRA Il carattere patriottico e politico-sociale della Resistenza

• I giovani e la Resistenza Senza la guerra è difficile immaginare come e quando l'Italia avrebbe potuto liberarsi del fascismo. Né va dimenticato che la maggior parte di coloro che entrarono nelle file della Resistenza non si pose la questione dell'appartenenza a questo o quel partito. Molti giovani che, come semplici combattenti o come combattenti di reparti partigiani, si batterono nella guerra di liberazione, provenivano dalle organizzazioni studentesche del fascismo. Si trattava

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perlopiù di giovani che si erano trovati a vivere e a operare in un'Italia fascista e che avevano cercato, all'interno delle strutture fasciste, nei cenacoli e nelle scuole letterarie, di preparare strade nuove, più ricche culturalmente o collegandosi a esperienze della letteratura americana degli anni Trenta oppure cercando di dare un'interpretazione più sociale, più di programma popolare, al fascismo. Un comunista di fine ingegno, Celeste Negarville, aveva già avvertito nel 1936 come sotto il fascismo si venisse formando una gioventù nuova, non certo quale si sarebbe potuta attendere dalla predicazione ideologica del fascismo. «Non sono dei timidi questi giovani - scriveva Negarville - non sono dei conservatori, non sono dei reazionari!... Sono giovani del nostro popolo, della nostra gente, sono giovani italiani pensosi dell'avvenire del nostro paese, dell'avvenire della loro generazione e che, coi loro sforzi, dimostrano che il fascismo non ha distrutto nella gioventù italiana l'anelito verso una visione di giustizia e di progresso sociale». Anche l'antifascista Carlo Rosselli, allievo con il fratello Nello di Gaetano Salvemini, previde che la liquidazione del fascismo non sarebbe stata tanto opera della generazione aventiniana, quanto della generazione cresciuta in clima di dittatura. La demagogia fascista, scrisse Rosselli, ha abituato questa generazione «a guardare alla realtà delle cose e dei rapporti di classe, e se una crisi risolutiva dovesse aprirsi, saprà puntare sugli obiettivi decisivi: le armi, le masse, il potere».

• L’antifascismo: i comunisti, giustizia e libertà, i socialisti Durante il ventennio mussoliniano, partiti e movimenti antifascisti svolsero un importante lavoro di cospirazione, specialmente nel periodo 1935-42. La cospirazione antifascista aveva i suoi centri a Parigi e a Londra, che erano le città dove si raccoglievano e lavoravano quanti avevano dovuto abbandonare l'Italia: da Pietro Nenni a Luigi Sturzo a Giuseppe Donati ai già ricordati fratelli Rosselli a Gaetano Salvemini e a tanti altri che sarebbe lungo nominare. Il Partito comunista, specialmente dopo la svolta dell'Internazionale comunista favorevole alla formazione dei grandi Fronti popolari, condusse azione di proselitismo anche all'interno delle organizzazioni fasciste, dai sindacati ai gruppi universitari. Il movimento di Giustizia e libertà, di orientamento socialista e radicale, da cui scaturì il Partito d'azione, reclutava i suoi aderenti soprattutto fra intellettuali e scrittori. Questo movimento considerava il rovesciamento della monarchia premessa necessaria della nuova democrazia e condannava la vecchia classe dirigente prefascista, che con le sue insufficienze aveva favorito il successo del fascismo. Il Partito socialista condusse la sua attività clandestina dal 1935, a fianco del Partito comunista, con cui aveva stretto un patto di unità d'azione.

• L’antifascismo cattolico La tradizione e il pensiero politico del popolarismo fu mantenuto vivo soprattutto dagli esuli cattolici, quali Luigi Sturzo, Francesco Luigi Ferrari e Giuseppe Donati, che, sulla stampa inglese, francese, belga e spagnola, denunciarono il carattere liberticida del fascismo e di tutti gli autoritarismi emergenti nell'Europa degli anni Trenta. Essi misero in guardia i cattolici italiani ed europei, invitandoli a evitare compromissioni con quei regimi che apparivano in antitesi con la tradizione civile e democratica del cattolicesimo politico. Sturzo e Ferrari (che morì a Bruxelles nel 1933) sono anche autori delle prime e più lucide analisi storiche e giuridiche sulle origini e sulla natura del regime fascista. Va anche ricordato il movimento neoguelfo di Malvestiti e Malavasi, che svolse attività clandestina specialmente in Lombardia, sino a che il fascismo ne scoprì l'organizzazione e lo distrusse. Un fenomeno assai importante si verificò nel ventennio fascista all'interno delle organizzazioni cattoliche: messi praticamente i "popolari" nell'impossibilità di organizzarsi, ogni tipo di riserva o di critica al regime si enucleò in molti circoli di Azione cattolica, in certe parrocchie, che avevano

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conosciuto o erano state vicine alle esperienze delle Leghe bianche. Né va ignorata l'attività dei giovani universitari cattolici (FUCI) e del Movimento laureati cattolici, da cui uscirono molti uomini della Resistenza. «La partecipazione cattolica alla Resistenza - ha scritto Claudio Pavone - non coinvolse solo pochi intellettuali, ma strati molto più ampi di popolazione soprattutto nelle campagne, e quindi si legò alla presenza di quei contadini che, come diceva appunto Salvemini, segnarono la sconfitta della tradizione sanfedista ed antirisorgimentale delle campagne italiane».

• La partecipazione dei contadini alla Resistenza In altre parole, con la Resistenza accadde un fatto nuovo e veramente rivoluzionario nella storia sociale italiana. Nel passato i contadini avevano spesso costituito la premessa materiale di ogni tentativo controrivoluzionario. Il loro malcontento si era manifestato in forme reazionarie o in vagheggiamenti populistici, e su scala perlopiù locale. Non aveva mai assunto un senso nazionale e non si era mai collegato a obiettivi di così ampia portata politica nazionale ed europea. L'aiuto ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento, le forniture alle forze partigiane che erano nascoste in montagna, la difesa dei raccolti o dei prodotti agricoli dalle requisizioni, che facevano particolarmente infuriare i contadini, furono tutte manifestazioni importanti della Resistenza contadina. Attraverso la Resistenza e la lotta al Tedesco invasore, i contadini si trovarono per la prima volta nella storia d'Italia ad agire come artefici e protagonisti di un grande movimento democratico e popolare. La campagna nel clima della Resistenza si politicizzò, si collegò con le esperienze della lotta antifa-scista, conobbe tentativi di governo autonomo e democratico, distinti da quelli delle formazioni di sinistra. Questo fenomeno nuovo stabilisce una differenza fondamentale fra il Risorgimento, cui mancò la partecipazione contadina e dei cattolici militanti, e la Resistenza. Tutta questa realtà molteplice, pulsante, non solo urbana, ma rurale, della montagna, smentisce la tesi che vede nella Resistenza prevalere una "zona grigia", di attendisti. L’8 settembre e l’avvio della Resistenza

• L’armistizio lascia il paese allo sbando Per capire meglio, però, gli anni della guerra che vanno dal 1943, anno del crollo del regime fascista, al 1945, anno della liberazione dell'Italia del Nord dall'occupazione tedesca, occorre rendersi ben conto della dimensione della catastrofe. Dall'8 settembre 1943, allorché si seppe dell'atto di resa dell'Italia agli alleati, seguita dalla fuga del re a Pescara, il paese si trovò all'improvviso senza uno Stato, senza un comando, né militare, né politico, né istituzionale. Anche l'esercito italiano nei territori occupati (Jugoslavia e Grecia) e nella penisola fu allo sbando. La caduta di Mussolini e il suo arresto, accolti con manifestazioni di entusiasmo dalla popolazione, avevano fatto sperare che presto si sarebbe arrivati alla smobilitazione e alla pace. Il sogno di un possibile ritorno alla "normalità" fu subito infranto dalla reazione tedesca, che prese alla sprovvista l'esercito italiano, riuscendo a occupare in poco tempo le nostre città. Un nuovo sentimento nacque allora negli Italiani e proprio a Roma, come abbiamo già ricordato, si ebbe il primo segnale di una resistenza, a porta San Paolo, dove granatieri, cavalleggeri e carristi, ai quali si unirono i cittadini della capitale, combatterono fino allo stremo.

• La Divisione Acqui e i fatti di Cefalonia Dovunque ci fu resistenza, i Tedeschi intervennero con grandi forze, ignorando ogni codice militare. Così non esitarono a massacrare a Cefalonia 6500 soldati della Divisione Acqui, i quali,

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mediante una procedura insolita nell'esercito, il ricorso al referendum, decisero di respingere l'intimazione dei Tedeschi ad arrendersi. I nostri, comandati dal generale Gandin, furono sopraffatti dalla preponderanza delle forze tedesche, che ebbero anche il sostegno aereo e dei cannoni delle navi da guerra. I superstiti della Divisione furono inviati nei campi di concentramento in Germania. Cefalonia con Corfù, l'altra isola greca dove fu massacrata la guarnigione italiana, fu il primo grande segnale di resistenza militare e di attaccamento alla patria. L'episodio non fu mai ignorato, ma rimase in ombra per lungo tempo nella storiografia politica sulla Resistenza, che tendeva a privilegiare il ruolo svolto dalle formazioni partigiane. Come anche rimasero in ombra le molte migliaia di soldati facenti parte delle guarnigioni italiane in Italia o in Grecia, inviati dai Tedeschi nei lager. Si calcola che siano stati attorno a seicentomila i soldati fatti prigionieri e spediti nei campi di concentramento.

• La rifondazione civile e morale del paese Comunque sia, furono episodi come quelli di Cefalonia e di altri luoghi, come porta San Paolo a Roma, che costituirono, insieme con la guerra partigiana e con tante altre forme clandestine di resistenza, la base fondativa della Costituzione repubblicana, anche se sembrò allora che la nazione italiana fosse veramente scomparsa entro un'immensa catastrofe: in realtà era scomparsa la nazione così come era stata plasmata dal fascismo in anni non solo di retorica, ma di imprese imperialistiche, ed erano state capovolte le alleanze, che pure avevano consentito all'Italia di uscire vittoriosa dalla Prima guerra mondiale. Riemergeva ora un sentimento antico, spontaneo, immediato di difesa del proprio suolo, che conduceva a sperare nell'aiuto alleato. Certamente, la resistenza armata non ebbe carattere di massa, non fu "rivoluzionaria", non operò in maniera continua e sistematica. Ci fu anche una resistenza non armata, non combattente, molto variegata, che a poco a poco creò il vuoto attorno alla Repubblica di Salò. Non si combatteva solo contro l'esercito occupante, ma anche fra Italiani, fra quanti, in qualche modo, per un insieme di fattori emotivi, di scelta ideale, di desiderio di cambiamento, si riconoscevano nella Resistenza e coloro, soprattutto giovani, che avevano visto nella resa, negoziata in gran segreto con gli alleati, il tradimento della monarchia, la violazione dell'onore nazionale. Logica conseguenza di questo stato d'animo fu il richiamo da parte di Mussolini al programma del primo fascismo, repubblicano e socialcorporativo, un programma del tutto opposto a quello dei partiti antifascisti che gestivano il futuro politico e istituzionale dello Stato e che erano visti dagli uomini di Salò come espressione di quell'antinazione, che era stata la motivazione principale della "marcia su Roma" nel 1922.

• Gli aspetti molteplici della Resistenza Nell'Italia del Nord si rasentò la guerra civile e se non vi si arrivò fu proprio per il carattere diffuso, molteplice, che ebbe la Resistenza nel suo largo e incontenibile manifestarsi, moto profondo anche di umana e religiosa solidarietà per chi cercava salvezza e libertà. Nella valutazione storica di questi anni va compresa l'opera di mediazione svolta dai vescovi e da tanta parte del clero fra le opposte parti combattenti per assicurare una tregua d'armi. Va compresa l'azione clandestina di contadini, pastori, parroci, giovani cattolici a favore dei renitenti alla leva, dei prigionieri di guerra alleati, degli sbandati, di quanti sfuggivano ai rastrellamenti nazisti. Vanno infine comprese le processioni indette dal clero per invocare la pace, che agli informatori di Salò apparivano come manifestazioni ostili alle direttive di Mussolini per la guerra. A questi episodi di solidarietà cristiana, più o meno organizzata, vanno aggiunte le testimonianze di quanti sperimentarono le violenze e la disumanità dei campi di concentramento nazisti: Ebrei, prigionieri di guerra, militari, civili, uomini e donne.

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Gli eventi militari e politici della guerra in Italia

• Il Cln e la lotta partigiana nel Nord Italia La guerra partigiana, sorta come movimento spontaneo di massa all'indomani dell'occupazione tedesca, trovò il suo centro coordinatore nel Comitato di liberazione nazionale (CLN). In esso confluirono tutti i partiti antifascisti: quello comunista, il movimento cattolico-comunista, che dopo la liberazione di Roma divenne il Partito della sinistra cristiana, i partiti liberale, repubblicano, democratico cristiano, azionista, democratico del lavoro, socialista. I capi della Resistenza furono Ferruccio Parri del Partito d'azione, nobile e coraggiosa figura di antifascista, il comunista Luigi Longo e il generale dell'esercito Raffaele Cadorna. La lotta partigiana si sviluppò soprattutto nell'Italia settentrionale, per effetto dell'andamento delle operazioni belliche. Difatti, dopo la liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno 1944, la guerra ristagnò ancora per un anno circa attorno a quella che si chiamò la linea gotica, che attraversava l'Appennino tosco-emiliano. E in quel 1944 la guerra sul suolo italiano fu particolarmente aspra, rasentò il rischio di trasformarsi, come si è già detto, in una guerra civile vera e propria, con scontri spietati fra le brigate nere di Salò e le formazioni partigiane, con le rappresaglie operate dalle truppe tedesche, con violenze d'ogni genere anche contro popolazioni inermi.

• Le principali formazioni partigiane Nel quadro della lotta partigiana, il ruolo più attivo va riconosciuto alle Brigate Garibaldi, di ispirazione perlopiù marxista e di estrazione urbana. Si capisce in tal modo una certa diffidenza che si determinò fra i partigiani, che avevano bisogno di rifornimenti alimentari, e i contadini, che temevano saccheggi e requisizioni, da qualunque parte venissero. D'altro lato, erano i villaggi di montagna che più rischiavano quando le truppe tedesche, dopo incursioni e attentati delle forze partigiane, decidevano la rappresaglia. Il che non toglie che ci fossero formazioni come le Fiamme Verdi, in cui la partecipazione contadina era più forte. Altre formazioni partigiane di sinistra furono le Giustizia e libertà, di orientamento azionista, le Matteotti socialiste, altre autonome, guidate da ufficiali fedeli alla monarchia, altre cattoliche, nel Veneto, nel Bresciano e nell'Italia centrale. Si calcola che nell'aprile del 1945, la forza dei combattenti si aggirasse attorno a 200 mila persone, con 75 mila caduti; una élite, potremmo dire, se rapportata alla popolazione, il che ha fatto parlare di una prevalenza della "zona grigia", ovvero degli attendisti, più che di una partecipazione attiva della popolazione italiana alla guerra di liberazione. In realtà, come abbiamo già rilevato, la Resistenza fu evento molto più complesso e di più vasto respiro: conobbe una gamma molto larga di adesioni in ogni settore della vita civile.

• I contrasti nel CLN sulla questione della monarchia. I rapporti fra i partiti del CLN non furono tranquilli. Mentre essi si trovavano uniti nello scopo della lotta contro le forze tedesche - importante in questa direzione l'apporto dei nuovi reparti dell'esercito regolare italiano, che combatterono a fianco degli alleati e che per la prima volta si segnalarono nella battaglia di Montelungo - si scoprivano divisi di fronte al problema della monarchia: come era possibile formare governi democratici che ricevessero l'investitura da una monarchia screditata e colpevole? Questa era la domanda che si ponevano i partiti della sinistra, i quali avrebbero voluto che si arrivasse subito all'abdicazione del re e si formasse un governo antifascista con pieni poteri. Ma la loro richiesta urtava contro la resistenza degli alleati, in particolare degli inglesi, che non

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mostravano grande stima per l'antifascismo italiano e ritenevano più prudente appoggiarsi ancora alla monarchia e al generale Badoglio. Affermò in questa circostanza il primo ministro inglese Churchill in un suo discorso, che passò con il nome di "discorso della caffettiera": «Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico, o comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio».

• Togliatti e la svolta di Salerno Si era, insomma, in un vicolo cieco. Le sinistre volevano l'abdicazione del re, gli alleati erano di parere contrario. Un importante passo in avanti si fece con il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti, leader del Partito comunista. Togliatti propose di accantonare la questione sulla sorte della monarchia, per realizzare un'unità di tutte le forze politiche antifasciste, anche con le forze monarchiche: unità indispensabile al proseguimento della guerra contro il nemico che ancora occupava la maggior parte dell'Italia. Si formò così il primo governo con i partiti del CLN (Partito democratico cristiano, Partito comunista, Partito socialista, Partito d'azione, Partito repubblicano, Partito democratico del lavoro), con Benedetto Croce e Carlo Sforza ministri senza portafoglio. Il nuovo governo fissò la sua sede a Salerno e per questo motivo la scelta operata da Togliatti per sbloccare la situazione è passata alla storia con il nome di svolta di Salerno. Intanto il re Vittorio Emanuele III annunziava il suo proposito di ritirarsi dalla vita pubblica, nominando il figlio Umberto, principe ereditario, luogotenente del regno. Ciò avvenne in concomitanza con la liberazione di Roma.

• Gli eccidi delle SS Dopo la liberazione di Roma venne alla luce uno dei massacri più impressionanti della guerra in Italia. Si scoprì che il 23 marzo 1944 erano stati fucilati dalle ss alle Fosse Ardeatine 335 ostaggi (in maggior parte Ebrei, antifascisti e ufficiali badogliani) per rappresaglia in seguito a un'azione di guerriglia partigiana in via Rasella, che aveva provocato la morte di 32 militari tedeschi. Soltanto nel 1995 il governo italiano ha ottenuto l'estradizione dall'Argentina del comandante tedesco che prese parte alla fucilazione, Erich Priebke, sottoposto a processo. Nel giugno 1944 il governo Badoglio si dimise, lasciando il posto a un altro governo, presieduto dal vecchio antifascista riformista Ivanoe Bonomi, e al quale parteciparono i rappresentanti dei partiti del CLN. Mentre il governo presieduto da Bonomi incominciava a Roma l'opera di ricostruzione, l'alta Italia conosceva un altro anno particolarmente aspro di guerra. L'esercito tedesco, incalzato dagli alleati, insidiato dalla guerriglia sulle montagne e in campagna, si abbandonava a crudeli rappresaglie. Ricordiamo quella di Marzabotto, i cui abitanti furono tutti massacrati, senza alcuna distinzione (30 settembre 1944); l'eccidio dei sette fratelli Cervi, tutti contadini, nel reggiano; la fucilazione di Aldo Mei, parroco di Monsagnati (Lucca), accusato di avere aiutato i partigiani; i massacri di civili perpetrati dalle ss a Sant’Anna di Stazzema (Lucchesia, 12 agosto 1944).

• Le foibe istriane Altri eccidi, in un contesto politico-militare diverso, sempre nel quadro del conflitto mondiale, furono commessi nella Venezia Giulia, a opera della polizia partigiana di Tito (Ozna). Civili, ma anche sacerdoti e carabinieri, furono precipitati nelle foibe, profonde spaccature della roccia carsica che difficilmente consentivano il recupero delle salme. Il ricorso alle sevizie, alle torture, al massacro era stato frequente nel corso della guerra, anche fra i seguaci del generale filomonarchico Mihailovic e quelli del comunista Tito. Nel caso delle foibe istriane si trattò perlopiù di una feroce

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operazione di polizia partigiana di stile stalinista, per annientare gli Italiani genericamente definiti "reazionari" e "fascisti". Nel territorio di Trieste, sottoposto alla fine della guerra al governo militare alleato, ci furono processi contro gli infoibatori, ma il numero degli imputati fu basso rispetto all'entità degli eccidi, che furono rappresentati dalla parte croata come rivalsa al dominio fascista dell'Istria e all'invasione militare italiana del territorio della Jugoslavia. Una rivalsa che però andò ben oltre il limite di una reazione politico-militare, configurandosi come genocidio, come massacro perseguito con l'intento di sopprimere soprattutto 1'intellighentia degli Italiani dell'Istria e di quanti venivano catalogati come fascisti. Il fatto che sulle foibe non si sia mai fatta un'inchiesta ad alto livello per un accertamento dei fatti e delle responsabilità, dipese dalle circostanze della guerra. Tito era fra i vincitori della guerra contro la Germania di Hitler e godeva della solidarietà delle potenze che avevano sottoscritto gli accordi di Jalta. Anche dopo la rottura di Tito con Mosca le cose non mutarono, dal momento che anche negli anni della guerra fredda Belgrado godette delle simpatie alleate. Ci fu una specie di intesa più o meno tacita, anche da parte della sinistra, ad adeguarsi alla Realpolitik delle diplomazie occidentali.

• 25 aprile 1945: la liberazione Nell'aprile del 1945 anche per il Nord venne la liberazione. Infranta la linea gotica, le forze alleate dilagarono nella valle padana, mentre le città insorgevano contro le forze tedesche. Il 25 aprile 1945 Milano e Genova erano liberate. Il 27 aprile Mussolini veniva catturato a Dongo sul lago di Como, mentre cercava di rifugiarsi in Svizzera. Su ordine del Comitato di liberazione venne fucilato: il suo corpo straziato fu esposto a piazzale Loreto, a Milano, dove i fascisti il 4 agosto 1944 avevano fucilato 15 patrioti. Nello strazio delle vendette, che per un anno si scatenarono nelle regioni del Nord, la principale vittima fu la pietà.

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Marco Manzoni, Francesca Occhipinti, Fabio Cereda, Rita Innocenti Leggere la storia. Profilo documenti storiografia. Dai nazionalismi alla seconda guerra mondiale Einaudi scuola, 2007 pp. 408-414 La firma dell’armistizio. Ma già alla fine dello stesso mese di luglio il governo italiano ebbe i primi contatti segreti con gli angloamericani. Non vi furono margini di trattativa: secondo il principio della resa incondizionata, l'Italia dovette accettare un armistizio senza garanzie. Firmato il 3 settembre e, sotto le forti pressioni del comando alleato, reso noto l'8, mentre truppe angloamericane sbarcavano a Salerno, l'armistizio gettò l'Italia nel disordine assoluto. Senza aver predisposto alcun piano di azione mili-tare in difesa delle città e della popolazione civile, il re e il governo abbandonarono Roma, diretti verso Pescara; da li raggiunsero Brindisi e si posero sotto la protezione degli alleati. La capitale, dove l'unica autorità rimasta era il papa, fu circondata dai tedeschi e occupata dopo aspri combattimenti contro reparti dell'esercito italiano cui si erano uniti i primi gruppi di resistenza armata. L'esercito, abbandonato a se stesso, senza informazioni e ordini precisi in Italia come sui fronti esteri, si sbandò, senza potersi opporre in modo valido e coordinato agli attacchi degli ex alleati tedeschi ora nemici. Questi sottoposero al proprio controllo gran parte della penisola, salvo i territori occupati dagli angloamericani. Seicentomila militari italiani vennero fatti prigionieri e deportati in Germania; i tentativi di resistenza furono stroncati in modo feroce. Le guarnigioni italiane di Cefalonia, Corfú e di varie isole dell'Egeo resistettero fino all'ultimo e vennero infine massacrate dai tedeschi. Nuclei di soldati italiani in Grecia, in Albania, in Jugoslavia si unirono ai partigiani locali, in Corsi-ca ai francesi di De Gaulle. I NUOVI OBIETTIVI DEI MILITARI ITALIANI. Anche in Italia parecchi militari passarono all'attività di resistenza clandestina; altri cercarono di mimetizzarsi fra la popolazione civile e tornare a casa. Delle forze armate, solo la flotta si salvò, rifugiandosi a Malta e collaborando poi con gli alleati. La disfatta dell'esercito italiano consentí ai tedeschi di attestarsi su una linea difensiva (la cosiddetta "linea Gustav") che attraversava l'Italia, da Gaeta alla foce del Sangro, e aveva il suo caposaldo a Cassino. Sulla linea Gustav l'avanzata degli angloamericani si bloccò fino alla primavera del 1944, sia per l'agguerrita resistenza opposta dai tedeschi sia per la scarsa importanza che a questo punto il fronte italiano rivestiva per le operazioni militari degli alleati. Da Brindisi il governo monarchico si spostò a Salerno, dove il 13 ottobre 1943 dichiarò guerra alla Germania, ottenendo dagli angloamericani la qualifica di cobelligerante e un corpo italiano di liberazione, formato da truppe regolari, combatté nell'Italia centrale accanto agli alleati. La Repubblica di Salò e l’Italia divisa in due Il 12 settembre 1943 un commando tedesco liberò Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso. Pochi giorni dopo, nell'Italia occupata dai tedeschi, si formò un nuovo Stato fascista: la Repubblica sociale Italiana (Rsi) che ebbe la propria capitale a Salò, sul lago di Garda. Nonostante l'autonomia formale, la Repubblica di Salò, come venne comunemente chiamata, era fortemente subalterna ai tedeschi, che assunsero un atteggiamento di sprezzante superiorità e di sostanziale sfiducia nelle capacità operative di un governo guidato da Mussolini. Ne è prova l'annessione di fatto al Reich di regioni strategicamente importanti come la Venezia-Giulia e il Trentino, sottratte al diretto controllo della Repubblica sociale.

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Il Partito fascista si ricostituí in versione repubblicana e, nel tentativo di accreditarsi con una nuova immagine, riprese le parole d'ordine del fascismo "sociale" delle origini. Venne riorganizzato un esercito, sotto la guida del generale Rodolfo Graziani, per continuare a combattere a fianco della Germania. I suoi componenti furono per lo piú fascisti di radicate convinzioni, ma vi aderirono anche giovani che ritenevano in tal modo di salvare l'onore italiano accanto ai "tradizionali" alleati tedeschi, dopo il "tradimento" operato dalla monarchia. L'Italia si trovò cosí divisa in due e lacerata da una guerra civile tra fascisti e antifascisti che si rivelerà particolarmente drammatica. Nell'Italia meridionale continuò a esistere il vecchio Stato monarchico, sotto la tutela dell'amministrazione angloamericana. Nel Nord operò la Repubblica sociale, in stretto contatto con le forze di occupazione tedesche, che sfruttarono ai propri fini le risorse umane ed economiche dei territori italiani. La spaccatura fra le due Italie non fu solo territoriale, ma soprattutto politica e ideologica: da una parte, gli italiani schierati contro l'esercito tedesco e i fascisti loro alleati; dall'altra, gli italiani schierati a sostegno degli occupanti tedeschi e del ricostituito regime fascista, i cosiddetti "repubbli-chini", cosí chiamati in quanto sostenitori della Repubblica di Salò. La resistenza nell’Italia occupata Dopo l'annuncio dell'armistizio, l'8 settembre 1943, e l'occupazione tedesca delle regioni centro-settentrionali, anche in Italia si sviluppò un movimento di resistenza armata. Innanzi tutto nell'Italia meridionale si verificarono episodi di resistenza e di lotta spontanea contro le violenze dei tedeschi in ritirata, mentre gli angloamericani cominciavano a risalire lentamente la penisola. Incendi, distruzioni, rastrellamenti, esecuzioni di massa, rappresaglie furono la risposta immediata delle truppe del Reich in ritirata, che si lasciarono alle spalle una dolorosa scia di sangue. Nell'Italia centrosettentrionale si formarono in questi mesi le prime bande armate. Erano formazioni composite, di cui facevano parte antifascisti che avevano mantenuto vivi i contatti in clandestinità durante il Ventennio, militari sbandati, persone che non avevano mai fatto politica attiva e che ora ritenevano di non poter assistere indifferenti a quanto stava accadendo, giovani cresciuti sotto il fascismo ma delusi dall'esperienza del regime, soldati stranieri che, catturati dai tedeschi, erano riusciti a evadere. Dalle prime forme spontanee di lotta all’organizzazione Il primo episodio di rilievo fu una sorta di battaglia combattuta, pochi giorni dopo l'armistizio, in Piemonte, nella zona di Cuneo, dove si erano raccolti consistenti gruppi di soldati e ufficiali, insieme con alcuni civili. Il 19 settembre il nucleo venne attaccato dai tedeschi, che furono però respinti. Scattò allora la rappresaglia contro il vicino paese di Boves, che venne incendiato, mentre numerosi abitanti furono uccisi. Il sistema del terrore, già messo in atto nel Sud d'Italia contro i tentativi di reazione popolare, divenne pratica comune nel Centro-Nord, dove con il crescere del movimento partigiano l'esercito tedesco, per quanto inizialmente restio a effettuare una vera e propria occupazione militare del territorio, finí per mettere in atto una vera e propria guerra contro la popolazione civile. L'Italia occupata dall'ex alleato si trovò cosí, soprattutto dopo il 1944, in una situazione simile a quella dei Paesi europei sottoposti al dominio tedesco. Dopo un primo, breve periodo di aggregazione e di attività improvvisate, i gruppi partigiani co-minciarono a organizzarsi e a coordinarsi fra loro. Si formarono delle unità relativamente omo-genee, sulla base degli orientamenti politici prevalenti all'interno di ciascuna. Le piú numerose, compatte e militarmente organizzate erano le Brigate Garibaldi, di ispirazione comunista; vi erano poi le Brigate Matteotti, di indirizzo socialista; i gruppi di Giustizia e Libertà

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(GI) che si richiamavano agli ideali liberalsocialisti di Piero Gobetti e di Carlo Rosselli. Meno numerose erano le formazioni di cattolici e liberali e le formazioni autonome, composte in prevalenza di militari fedeli alla monarchia (per lo piú indicati come "badogliani"). I partigiani agivano soprattutto fuori delle città, dove piú forte era il controllo dell'esercito tedesco e delle milizie della Repubblica sociale. Nelle campagne e nelle zone di montagna attaccavano di sorpresa reparti tedeschi, linee di comunicazione, depositi di armi e materiale bellico; compivano azioni di sabotaggio; svolgevano opera di propaganda contro il fascismo. Nelle città si formarono piccoli nuclei di tre-quattro componenti, i Gruppi di azione patriottica (Gap), che agivano in condizioni di estremo pericolo sotto gli occhi dei tedeschi e dei fascisti; le loro imprese tendevano soprattutto a colpire obiettivi militari oppure personalità di spicco del Reich e della Repubblica di Salò. Sempre nelle città furono attive le Squadre di azione patriottica (Sap), che svolgevano attività di informazione politica e di propaganda nei luoghi di lavoro. La rinascita dei partiti politici Nell'estate 1943, nel vuoto di potere lasciato dalla caduta del fascismo, erano ritornati ad agire, apertamente nell'Italia liberata e clandestinamente nel resto del Paese, i partiti politici. Il Partito comunista, che aveva sempre mantenuto vivi collegamenti e organismi clandestini - i quali avevano molto contribuito a organizzare gli scioperi del marzo 1943 -, poteva contare ora, dopo la caduta del fascismo, sull'attività di molti dirigenti e militanti, liberati dal carcere o dal confino. Si ricostituirono il Partito socialista, che prese il nome di Partito socialista italiano di unità pro-letaria (Psiup), e quello repubblicano (Pri); le correnti liberali a loro volta costituirono un vero e proprio partito (Pli). I cattolici diedero vita a una nuova formazione che prendeva il posto del disciolto Partito popolare, la Democrazia cristiana (Dc), fondata alla fine del 1942 da alcuni ex dirigenti del Partito popolare, fra cui Alcide de Gasperi. Sorsero anche due nuovi raggruppamenti partitici, il Partito d'azione (Pd'a) di orientamento liberal-socialista, cui aderivano i militanti di Giustizia e Libertà, e il Partito democratico del lavoro (Pdl), fondato da Ivanoe Bonomi (ex socialista riformista e presidente del Consiglio nel 1921-1922). L'ANTIFASCISMO DEI PARTITI E LE DIFFERENZE IDEOLOGICHE. I partiti politici italiani, accomunati dalla lotta contro il fascismo e l'occupazione nazista, erano però divisi sulle prospettive future del Paese. Cosí, se per i liberali il fascismo, come dirà il filosofo Benedetto Croce (1866-1 952), rappresentava solo una parentesi, una malattia temporanea sul corpo sano dell'Italia liberale, comunisti, socialisti e azionisti pensavano invece che occorresse rinnovare dalle fondamenta proprio lo Stato liberale e portare a compimento, attraverso un'ampia partecipazione popolare, quella "rivoluzione mancata" che era stato il Risorgimento. Inoltre, mentre gli azionisti accettavano 1'orizzonte storico del capitalismo, pur intendendo correggerne gli squilibri nella direzione di una democrazia sempre piú sostanziale, socialisti e comunisti, rifacendosi all'ideologia marxista, pensa-vano, pur se in forme diverse, a un superamento del capitalismo. La Democrazia cristiana invece si rifaceva al cristianesimo sociale che, contrario alla lotta di classe, proponeva un modello di società basato sulla collaborazione e la solidarietà. Il ruolo del CLN e le divergenze con il governo badoglio Nonostante le profonde differenze politiche e ideologiche, dopo 1'8 settembre i rappresentanti di questi partiti diedero vita a un organismo unitario, il Comitato di liberazione nazionale (Cln), che si proponeva come punto di riferimento politico per il Paese, in contrapposizione non solo al fascismo ma anche al sovrano. Questi era infatti ritenuto responsabile di aver permesso l'ascesa al potere di Mussolini e di aver sostenuto per tutto il Ventennio il regime, condividendone le scelte ideologiche e belliche fino alla disfatta finale. Anche la "defenestrazione" di Mussolini il 25 luglio 1943 veniva interpretata da

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molti esponenti politici del Cln soltanto come un estremo tentativo di prendere le distanze dal re-gime ormai in rovina e salvare cosí la corona. Per meglio coordinare le iniziative di lotta nelle diverse aree, si formarono Cln regionali e pro-vinciali. All'inizio del 1944 il Cln centrale decise di conferire al Cln di Milano i poteri di governo straordinario del Nord: nasceva cosí il Cln Alta Italia (Clnai), cui era affidato il compito di dirigere la lotta nell'Italia occupata. Con la nascita del Cln si venne a creare una situazione critica nei rapporti fra il comitato stesso, politicamente autorevole ma privo di una precisa funzione istituzionale, e il governo presieduto da Badoglio, che godeva del riconoscimento degli alleati angloamericani in quanto garante dell'armistizio. Lo scontro era tutto politico, in quanto il Cln, ostile al re per la sua passata acquiescenza nei con-fronti del fascismo, ne chiedeva l'abdicazione e gli alleati invece guardavano con sospetto un or-ganismo come il Cln in cui molto forte era la presenza comunista e socialista. La “svolta di Salerno” La situazione di stallo politico si risolse nel marzo 1944 con la cosiddetta "svolta di Salerno", di cui fu fautore Palmiro Togliatti (1893-1964). Appartenente al nucleo dei fondatori del Partito comunista ed esponente di primo piano del gruppo dirigente, Togliatti tornò in Italia nel 1944 dopo un lungo esilio in Unione Sovietica. Appena sbarcato a Napoli, egli propose di abbandonare la pregiudiziale antimonarchica, che avrebbe potuto minare l'unità del fronte antifascista, per unire tutte le forze e concentrare le energie del Paese nella lotta contro il fascismo e l'esercito tedesco occupante. L'obiettivo primo doveva essere la liberazione dell'Italia; una volta raggiunto tale obiettivo e ricostituita l'unità della nazione, si sarebbe potuto affrontare il problema della forma istituzionale dello Stato, monarchia oppure repubblica, e della guida politica del Paese. La svolta togliattiana fu contrastata da azionisti e socialisti, poco inclini ad accettare compromessi con la monarchia, e anche all'interno del Partito comunista vi furono opposizioni. Tuttavia alla fine essa si impose per il realismo su cui poggiava: in aprile si formò un governo di "unità nazionale", presieduto ancora da Badoglio e formato da esponenti dei diversi partiti del Cln. Quanto al problema del futuro dell'Italia, Vittorio Emanuele III si impegnò a delegare, dopo la liberazione di Roma, i propri poteri al figlio Umberto, non compromesso con il passato regime fascista, e ad accettare che al termine della guerra i cittadini italiani fossero chiamati direttamente a decidere sul mantenimento o meno dell'istituto monarchico. L'unità delle maggiori forze politiche stimolò - dopo la repressione e il silenzio degli anni del re-gime - la libera riorganizzazione degli organismi sindacali. Il 4 giugno 1944 i rappresentanti delle formazioni politiche di massa, Giuseppe Di Vittorio per il Pci, Achille Grandi per la Dc, Emilio Canevari per il Psi, sottoscrissero l'impegno a dar vita a una associazione sindacale unitaria, che prese il nome di Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil). Dalla liberazione di Roma ai progressi dell’antifascismo L'avanzata degli alleati dal Sud della penisola verso il Nord e lo sviluppo della lotta partigiana si in-trecciarono dal settembre 1943 all'aprile 1945. Dopo gli sbarchi del 1943 in Sicilia e a Salerno, ebbe luogo, alla fine del gennaio 1944, lo sbarco alleato ad Anzio, cui peraltro non seguí, come era nelle attese, uno sfondamento delle linee tedesche. Solo in maggio, dopo furiosi bombardamenti aerei condotti dagli angloamericani, la caduta del fronte di Cassino, accanitamente difeso dalle truppe del Reich, aprí la strada alla liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno 1944. Il giorno seguente Umberto di Savoia (1904-1983) divenne luogotenente generale del Regno; Badoglio si dimise e fu costituito un nuovo governo di unità nazionale sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi. Ne conseguí un piú stretto coordinamento fra il governo dell'Italia liberata e il Cln. In

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giugno si formò un Comando unitario militare e le formazioni partigiane combattenti vennero coordinate nel Corpo dei volontari della libertà (Cvl). Nel corso dell'estate, gli angloamericani, coadiuvati dalle azioni del movimento partigiano, a-vanzarono nelle regioni centrali; in agosto la città di Firenze venne liberata dalle brigate partigiane prima dell'arrivo dell'esercito alleato. La nuova linea del fronte in Italia (la linea gotica) si stabilizzò sull'Appennino tosco-emiliano, dove le forze della Resistenza impegnarono a fondo le truppe tedesche. Nell'Italia settentrionale, soprattutto in Piemonte, la Resistenza riuscí a liberare alcune zone che diventarono piccole "repubbliche partigiane", dove si sperimentarono forme di autogoverno popolare: per le comunità coinvolte fu la riscoperta della democrazia e della partecipazione politica dopo gli anni della dittatura. La consistenza delle bande si rafforzò con l'arrivo di nuove reclute. Un notevole peso ebbe l'a-desione di giovani che sfuggivano alla chiamata di leva decretata dalla Repubblica di Salò. Anche dal punto di vista della mobilitazione politica il movimento antifascista fece progressi. L'e-pisodio piú clamoroso fu lo sciopero che nel marzo 1944 paralizzò la produzione nelle fabbriche del Nord, l'unico grande sciopero industriale nell'Europa occupata dai tedeschi, pagato duramente con la deportazione in Germania di molti lavoratori. Ai successi partigiani fecero da contrappunto le rappresaglie tedesche contro le popolazioni civili. L'obiettivo era duplice: scoraggiare coloro che offrivano in vario modo sostegno alla Resistenza (fornendo viveri, basi logistiche, informazioni) e frenare le iniziative partigiane alimentando il timore di rappresaglie contro i civili. Accanto ai tedeschi furono impegnate nelle operazioni di rastrellamento e di rappresaglia le milizie fasciste di Salò. Il governo di Mussolini, del tutto sottomesso a quello del Reich, ridusse di fatto il proprio ruolo alla repressione del movimento partigiano. Il difficile rapporto con gli Alleati Nell'inverno 1944 l'offensiva angloamericana nella penisola ebbe una battuta d'arresto e il fronte alleato si bloccò sulla linea gotica, poco sotto il corso del Po. Da parte degli alleati affiorava, in forme via via sempre piú aperte, un atteggiamento di diffidenza nei confronti del movimento par-tigiano; soprattutto da parte inglese si temeva che, data la prevalenza delle forze di sinistra e di sen-timenti antimonarchici, si verificasse una radicalizzazione politica che nel dopoguerra avrebbe po-tuto condurre a esiti incontrollabili e indesiderati. Non a caso nel novembre 1944 il maresciallo Harold Alexander (1891-1969), comandante delle forze alleate in Italia, invitò i gruppi della Resi-stenza a smobilitare in attesa che riprendesse l'offensiva angloamericana nella penisola. L'intento e-ra di sottoporre i partigiani al controllo politico-militare degli alleati. Tale linea politica venne sancita dall'accordo sottoscritto il 7 dicembre 1944 da una delegazione del Clnai e dal Comando supremo alleato dell'area del Mediterraneo. L'accordo impegnava i partigiani del Cvl (Corpo dei volontari della libertà) a eseguire le istruzioni impartite dal comando angloamericano, subordinando le azioni della Resistenza alla strategia bellica e alle direttive degli alleati. I CONTRASTI FRA I GRUPPI RESISTENZIALI. I mesi dell'inverno fra il 1944 e il 1945 furono un periodo difficile per il movimento resistenziale, sottoposto ai sistematici rastrellamenti tedeschi e repubblichini. Queste operazioni repressive culminarono in terribili stragi della popolazione civile, come avvenne nei paesi appenninici di Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema, e posero fine alla breve esperienza delle repubbliche partigiane. Particolari difficoltà si verificarono poi nelle zone di confine, specificamente nell'area veneto-giuliana, dove le formazioni partigiane di orientamento comunista appoggiarono l'Esercito popolare di liberazione jugoslavo, intenzionato ad annettere l'intera regione alla nazione slava, mentre quelle di orientamento cattolico o moderato intendevano opporsi al progetto.

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Il contrasto conobbe episodi particolarmente violenti come l'eccidio di Malga Porzus (febbraio I945), perpetrato da un gruppo garibaldino contro i partigiani cattolici e apartitici della Brigata Osoppo. Nonostante i contrasti interni, le difficoltà di rapporto con gli alleati e il durissimo inverno del 1944, i Corpi dei volontari della libertà riuscirono a sopravvivere e nella primavera del 1945, quando l'offensiva alleata ricominciò, ripresero con forza le azioni della Resistenza, mentre le armate del Reich cedevano su tutti i fronti.

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Peppino Ortoleva, Marco Revelli L’età contemporanea. Il novecento e il mondo attuale Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2000 pp. 371-374 L’8 settembre del 1943 è una delle date più vergognose per la monarchia sabauda, per le gerarchie militari italiane e per le classi dirigenti di allora. Ma fu anche la data d’inizio del riscatto del popolo italiano. Nel dissolvimento di ogni autorità legittima, nello sfacelo del vecchio Stato, ognuno fu chiamato a scegliere in prima persona. E furono migliaia i giovani che allora scelsero la via della lotta di liberazione. Nacque allora la Resistenza Le prime “bande” In molte località del Nord e del Centro Italia, nelle zone occupate dai tedeschi, gruppi di antifascisti salirono nelle zone di montagna, formando piccoli nuclei di guerriglia. Erano vecchi quadri dei partiti antifascisti, taluni già combattenti nelle Brigate internazionali in Spagna, altri liberati di recente dal confino: rappresentavano quello che si potrebbe definire 1` ”antifascismo politico", maturato a lungo nella clandestinità, sopravvissuto agli anni del "consenso" al regime. A essi si aggiunsero via via soldati sbandati, provenienti dai reparti del dissolto esercito: queste aggregazioni diedero vita a numerose "bande", che costituirono la base originaria di un movimento destinato a estendersi. Rappresentavano un nuovo tipo di lotta al fascismo 1` “antifascismo esistenziale", come è stato definito dallo storico Guido Quazza, fondato su una spontanea pulsione all'azione e su un'istintiva volontà di reagire all'occupazione tedesca, tentando una rivincita contro il fascismo e contro la disgregazione delle vecchie classi dirigenti. Punto di riferimento divenne ben presto il Cln (Comitato di liberazione nazionale), fondato il 9 settembre 1943 per iniziativa dei principali partiti antifascisti. Ne facevano parte Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola per il Partito comunista italiano, Pietro Nenni e Giuseppe Romita per il Partito socialista di unità proletaria, Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea per il Partito d'azione, Alcide De Gasperi per la Democrazia cristiana, Alessandro Casati per il Partito liberale. La formazione della Repubblica sociale italiana Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini, confinato sul massiccio del Gran Sasso e lo trasferì in Germania dietro ordine di Hitler. Rientrato in Italia il 23 settembre 1943, Mussolini proclamò la repubblica (Repubblica sociale italiana) e nominò un nuovo governo, con sede a Salò, sul lago di Garda, dichiarando di voler continuare la guerra a fianco dei tedeschi. A questo fine venne costituito un esercito, la Guardia nazionale repubblicana (Gnr), reclutato attraverso l'emissione di “bandi” nei quali veniva minacciata la pena di morte ai giovani di leva che non si fossero arruolati. Le ostilità contro l'invasore tedesco, che già avevano rivelato un carattere di "guerra di liberazione nazionale", venivano assumendo anche la forma di una "guerra civile", cioè di scontro tra due schieramenti appartenenti alla stessa nazionalità, ma contrapposti da concezioni del mondo e da modelli politici antitetici. Il movimento partigiano Nell'autunno-inverno del 1943, i "partigiani", coloro che andavano consolidando le prime bande combattenti, non superavano ancora il numero di 9-10 000, ma crebbero a 20-30 000 nella primavera dell'anno successivo, per divenire 70-80 000 nell'estate e giungere, nonostante la tre-menda durezza dell'inverno 1944, a 120-130 000 nei primi mesi del 1945. Si trattava di un vero e

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proprio esercito, strutturato e organizzato in brigate, divisioni, formazioni gerarchicamente inquadrate, disciplinate e, almeno in parte, politicizzate. Si calcola che il 40-50 per cento dei partigiani combattenti appartenesse a formazioni di orientamento comunista (Brigate Garibaldi), un altro 30 per cento facesse riferimento al Partito d'azione (Brigate di Giustizia e Libertà), mentre un peso minore ebbero i socialisti e i cattolici. A queste vanno aggiunte le formazioni monarchiche, che si consideravano apolitiche e che facevano riferimento al generale Badoglio. Questo equilibrio tra le diverse forze politiche fu mantenuto anche nella composizione del comando del Corpo volontari della libertà, costituito il 1° luglio 1944: esso era composto da un comandante in capo (il generale dell'esercito regolare Raffaele Cadorna) e da due vicecomandanti (il comunista Luigi Longo e l'azionista Ferruccio Parri). Si trattò di una guerra durissima, in cui numerosi furono gli eccidi e le rappresaglie compiuti dai tedeschi e dai fascisti. I partigiani caduti furono 30 000, le vittime civili delle atrocità nazifasciste furono circa 10 000. I deportati nei campi di sterminio tedeschi furono 40 000, a cui vanno aggiunti circa 700 000 militari italiani internati dai tedeschi dopo 1'8 settembre, i quali si rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale e pagarono questa scelta con condizioni di prigionia spietate (33 000 morirono di fame e di stenti). Dal congresso di Bari alla “svolta di Salerno” Mentre la resistenza militare si intensificava al Nord, la vicenda politica nel Regno del sud era dominata dalla dialettica tra i partiti antifascisti, il governo Badoglio e gli alleati. I partiti antifascisti, infatti, pur costituendo il principale punto di riferimento della lotta di liberazione nelle regioni settentrionali, non facevano parte del governo di Brindisi. Va osservato che gli alleati avevano più volte sollecitato il re e il generale Badoglio affinché allargassero le basi di consenso del governo almeno ad alcuni partiti antifascisti, soprattutto in previsione della fine del conflitto. Il principale punto di divisione e ostacolo a una partecipazione governativa dei partiti antifascisti era il destino del sovrano e della casa Savoia. A Vittorio Emanuele III, i partiti antifascisti unanimemente non perdonavano le connivenze con il regime fascista e l'appoggio alla guerra voluta da Mussolini, ma si differenziavano sulle prospettive della monarchia italiana. A1 congresso dei Comitati di liberazione nazionale, tenutosi a Bari il 28 gennaio 1944, democristiani e liberali prospettarono 1'ipotesi (assai ben vista dagli alleati) di un'abdieazione del re a favore dell'erede Umberto come condizione per 1'allargamento del governo a tutti i partiti del Cln, mentre comunisti, socialisti e azionisti si mantennero su una linea di maggiore intransigenza, insistendo sulla "pregiudiziale repubblicana" e richiedendo 1'abolizione della monarchia. La situazione rimase così sospesa, anche perché Vittorio Emanuele III aveva rinviato ogni decisione circa il proprio destino al momento della liberazione di Roma. Pochi mesi più tardi, però, una decisione del segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti (definita in seguito come "la svolta di Salerno") modificò completamente le posizioni. Rientrato in Italia alla fine del marzo 1944 da Mosca, dove era stato costretto a riparare durante il fascismo, Togliatti lasciò da parte la "pregiudiziale istituzionale" dichiarando la disponibilità del proprio partito ad appoggiare il governo Badoglio (che nel frattempo si era trasferito a Salerno) qualora avessero partecipato a esso tutti i partiti del Cln, non rivendicando ulteriormente 1'abdicazione del sovrano e rinviando la questione istituzionale a un'assemblea nazionale costituente da eleggere a suffragio universale dopo 1a fine della guerra. Mentre il re si impegnava a ritirarsi a vita privata e a nominare, subito dopo la conquista di Roma, il figlio Umberto "luogotenente del regno", fu possibile così giungere alla formazione di un governo di "unità nazionale", presieduto da Badoglio e composto da tutti i partiti antifascisti. Esso entrò in carica i124 aprile 1944. Palmiro Togliatti fu nominato vicepresidente. A1 democristiano Salvatore Aldisio andò il Ministero degli interni (gli esteri furono mantenuti dallo stesso Badoglio); agli azionisti Omodeo e Tarchiani 1'educazione nazionale e i lavori pubblici; al liberale Vincenzo Arangio Ruiz la giustizia; al socialista Attilio Di Napoli 1'industrìa e lavoro. Benedetto Croce (liberale), Carlo Sforza (indipendente), Giulio Rodinò (cattolieo), Píetro Mancini

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(socialista) ebbero ministeri senza portafoglio. Badoglio mantenne la carica fino al giugno 1944, quando fu sostituito da un nuovo "governo di unità antifascista", presieduto da Ivanoe Bonomi, che comprendeva i principali leader dei partiti antifascisti. La liberazione dell’Italia centrosettentrionale L'avanzata delle truppe alleate lungo la penisola incontrava intanto notevoli difficoltà sia per la capacità difensiva delle truppe tedesche sia per 1'interesse precipuo che rivestiva ormai per i comandi alleati 1'offensiva in Francia e nell'Europa settentrionale. Dopo aver raggiunto 1'Appennino tosco-emiliano, 1'esercito anglo-americano fu costretto ad arrestarsi fino all'aprile del 1945. Solo allora 1'offensiva alleata riprese con intensità, favorita dall'insurrezione generale proclamata il 25 aprile dal Cnl, il quale dichiarò di assumere nel contempo i pieni poteri, civili e militari, in tutte le zone liberate prima dell'arrivo degli alleati. Il 27 aprile nei pressi di Dongo, sul lago di Como, Mussolini fu catturato da una formazione partigiana mentre, travestito da tedesco, tentava di fuggire in Svizzera. Giudicato da un tribunale di guerra, venne giustiziato il 28 aprile.

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Mario Palazzo, Margherita Bergese Clio Magazine. Corso di storia per il triennio delle scuole superiori. 3. Il novecento e l’inizio del XXI secolo- B. Dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri Editrice la scuola, 2003 pp. 69-73 La guerra e la Resistenza in Italia

• La situazione dopo l'armistizio L’8 settembre 1943 fu dato l'annuncio dell'armistizio che l'Italia aveva concluso con gli Anglo-Americani, ma nessuno si preoccupò di chiarire come i soldati dovessero comportarsi nei confronti dei vecchi alleati tedeschi. I soldati furono lasciati senza ordini ed erano disorientati: molti fuggirono, molti altri si nascosero sulle montagne. I Tedeschi catturarono migliaia di militari «allo sbando», inviandoli nei campi di prigionia in Germania. In alcuni casi, come avvenne a Corfù o a Cefalonia, le truppe italiane furono sterminate perché rifiutarono di arrendersi. Alla fine di settembre 1943, dal punto di vista politico il paese era diviso in due: - il Centro-Nord era governato dalla Repubblica di Salò, fondata da Mussolini e sostenuta dai Tedeschi, e defnita per disprezzo repubblichina dagli antifascisti; - il Sud e parte del Centro continuavano ad essere sotto il Regno d'Italia, appoggiato dagli Alleati. A quel punto la situazione degli Italiani divenne drammatica: a quale Stato dovevano ubbidire? Alla repubblica di Mussolini, che voleva riorganizzare l'esercito per continuare la guerra a fianco dei Tedeschi? O al Regno d'Italia, che il 13 ottobre dichiarò guerra alla Germania, schierandosi dalla parte degli Alleati? Gli Italiani dovettero compiere una scelta: da essa nacque la Resistenza.

• Una Resistenza, tre guerre Alcuni Italiani, specie tra i giovani, giudicarono un «tradimento» il voltafaccia della monarchia e la rottura dell'alleanza con i Tedeschi e si schierarono dalla parte di Mussolini. Non tennero conto che ciò significava mettersi dalla parte della dittatura e di un regime impegnato a collaborare con i nazisti. Altri scelsero di schierarsi contro i fascisti e contro i Tedeschi, divenendo «partigiani». Così anche in Italia iniziò la Resistenza, cioè la lotta contro il nazifascismo che già si era sviluppata in altri paesi europei. La Resistenza italiana fu un fenomeno molto complesso all'interno del quale, secondo lo storico Claudio Pavone, si intrecciarono tre diversi conflitti: - una guerra patriottica, condotta per liberare i1 paese dai tedeschi; - una guerra civile tra i partigiani e i fascisti della Repubblica di Salò (i cosiddetti «repubblichini»); - una guerra di classe, condotta soprattutto dai comunisti contro quei ceti (capitalisti, agrari) che avevano sostenuto il fascismo.

• La formazione delle bande partigiane Fra il settembre e il dicembre 1943 diverse bande partigiane entrarono in azione al Centro e al Nord, soprattutto sulle montagne e in campagna, e ingaggiarono scontri con i Tedeschi e i reparti della Repubblica di Salò. Le bande si infoltirono con l'arrivo di molti giovani che non avevano risposto alla chiamata alle armi della repubblica, i cosiddetti «renitenti alla leva». Si è calcolato che in quei mesi i partigiani fossero circa diecimila.

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I partigiani agivano con sabotaggi, azioni di disturbo, attentati a cui i Tedeschi spesso risposero con feroci rappresaglie, come accadde a Boves, presso Cuneo, dove i119 settembre 1943 i Tedeschi distrussero il paese e uccisero 32 persone. Dal punto di vista sociale, le bande partigiane erano alquanto eterogenee: ne facevano parte soprattutto operai e contadini, ma anche studenti, rappresentanti del ceto medio, nonché ufficiali e soldati del vecchio esercito italiano. Inizialmente i gruppi partigiani si formarono in modo spontaneo e casuale, poi si aggregarono in base all'orientamento politico dei loro membri: le Brigate Garibaldi, le più numerose e organizzate, erano costituite per lo più da comunisti; le Brigate Matteotli da socialisti; le Brigate del Popolo da democristiani; le formazioni di Giustizia e Libertà facevano riferimento al Partito d'azione. Oltre alle bande partigiane che si riconoscevano in una forza politica, agirono formazioni dette autonome, che rifiutavano cioè i1 comando o l'assimilazione a partiti. Si trattava per lo più di gruppi composti da militari.

• La costituzione del CLN Già dopo la caduta di Mussolini i partiti antifascisti avevano ripreso la loro attività. Dopo l'armistizio, nel settembre 1943, si costituì a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che cercò soprattutto di coordinare l'azione dei partigiani. A1 Nord si costituirono diversi CLN locali, il principale dei quali fu quello di Milano, denominato CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia). Aderirono al CLN il Partito comunista e quello socialista, il Partito liberale, il Partito d'Azione, la Democrazia cristiana e la Democrazia del lavoro, un partito appena fondato da Ivanoe Bonomi (1873-1951). Queste forze politiche erano accomunate dall'ideale antifascista ma erano molto eterogenee per altri aspetti. Secondo i comunisti, infatti, la fine del fascismo doveva essere il primo passo di un processo che si sarebbe dovuto concludere con una rivoluzione sociale e politica, sul modello sovietico. Tra i socialisti, vi era chi auspicava una politica di riforme per la ricostruzione del paese e chi poneva l'accento sulla lotta di classe, pur non volendo arrivare a una rivoluzione simile a quella russa. Sia gli esponenti del Partito d'azione che i democratici cristiani, invece, rifuggivano ogni velleità di tipo rivoluzionario: i primi intendevano sostituire al vecchio Stato una struttura nuova fondata sui CLN; i secondi auspicavano l'organizzazione di uno Stato democratico e una maggior partecipazione dei cattolici alla vita politica.

• La svolta dì Salerno Gli esponenti del CLN erano divisi anche sulla questione istituzionale, cioè sulla sorte della monarchia italiana. I comunisti e i socialisti ritenevano che la monarchia si fosse macchiata di gravi colpe, favorendo la presa del potere di Mussolini e appoggiando l'entrata in guerra. A loro avviso, perciò, in Italia si doveva costituire una repubblica. I cattolici e i liberali invece erano favorevoli al mantenimento della monarchia; questa era anche la soluzione preferita dagli Alleati. La situazione si sbloccò nel marzo 1944, allorché il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti (1893-1964) dichiarò in un celebre discorso tenuto a Salerno (città che in quel momento era la capitale provvisoria del Regno) che per il momento era necessario unire tutte le forze per liberare l'Italia dai nazisti. A guerra finita, il popolo avrebbe deciso attraverso un referendum se mantenere la monarchia o dar vita a una repubblica. La proposta di Togliatti, nota come svolta di Salerno, permise di raggiungere un compromesso fra le varie tendenze presenti in Italia. Il re Vittorio Emanuele III, da parte sua, accettò di affidare provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto che assunse il ruolo di Luogotenente Generale del Regno.

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• II governo Bonomi Nel giugno 1944 Roma venne liberata dagli Alleati. Badoglio si dimise e venne affidato a Ivanoe Bonomi l'incarico di formare un governo con i rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale. Gli obiettivi del governo Bonomi furono: la defascistizzazione dello Stato; l'aiuto ai resistenti del Nord; l'acquisizione della massima autonomia possibile dalla amministrazione degli Alleati. In realtà questo programma non venne pienamente attuato, poiché al governo mancò unità d'azione sia per le pressioni esterne degli Alleati, sia per le divisioni al proprio interno fra le diverse forze politiche. Intanto la Repubblica di Salò rivelava tutta la sua inconsistenza, in quanto non poteva contare né sul consenso popolare né sull'appoggio degli industriali, che stavano prendendo contatti con gli Alleati o che preferivano trattare direttamente con i Tedeschi. La Repubblica perciò sopravvisse solo grazie all'appoggio nazista: ufficiali tedeschi erano presenti presso tutti gli uffici e il piccolo esercito italiano era alle loro dipendenze. La leva militare raccolse pochi consensi e molti giovani andarono a ingrossare le file delle formazioni partigiane. La Repubblica di Salò inasprì la persecuzione nei confronti degli Ebrei. Il 30 novembre 1943 venne ordinato che tutti gli Ebrei fossero internati in campi di concentramento nazionali, da cui sarebbero stati inviati nei lager in Germania.

• I successi partigiani del 1944-45 Nel 1944 il numero dei partigiani aumentò sino ad arrivare a circa 100.000 e la loro azione divenne particolarmente incisiva. Essi acquisirono il controllo di diverse zone del paese, in particolare nelle vallate alpine. Sull'Appennino modenese, nel maggio 1944, nacque la prima «repubblica partigiana», quella di Montefiorino, che resistette 45 giorni alla controffensiva tedesca. Anche nella Val d'Ossola e in Carnia, liberate dai Tedeschi, vennero realizzate forme di autogoverno. Nell'Ossola, in particolare, si ricostituirono dei sindacati e le scuole vennero riaperte con nuovi programmi. Alcune città, come Firenze (10 agosto 1944) vennero liberate senza l'intervento anglo-americano. Intanto continuavano le feroci rappresaglie dei Tedeschi. Fra i1 23 e il 24 marzo a Roma si verificò un episodio drammatico. I partigiani compirono un attentato in cui uccisero 32 soldati tedeschi; per rappresaglia il giorno dopo i Tedeschi fucilarono 355 ostaggi presso la via Ardeatina (Fosse Ardeatine). Ancora più spietata la strage attuata il 30 settembre a Marzabotto, nel Bolognese, dove più di 1800 civili vennero uccisi dai Tedeschi. Dopo la liberazione di Roma, ad opera degli Alleati (4 giugno 1944), il movimento resistenziale venne militarmente unificato sotto la guida di Ferruccio Parri, del Partito d'azione, Luigi Longo, comunista, e del generale Raffaele Cadorna, per il governo di Roma. Sorse così il Corpo Volontari della Libertà (CVL), riconosciuto sia dal governo di Roma sia dagli Alleati.

• II difficile inverno La Resistenza visse il suo momento più difficile fra i1 1944 e il 1945. La marcia delle truppe alleate verso nord si arrestò sulla linea gotica per tutto l'inverno e parte della primavera. Il 13 novembre il generale inglese Alexander, comandante delle truppe alleate in Italia, comunicò che l'offensiva contro l'Appennino tosco-emiliano controllato dai Tedeschi veniva sospesa (in quel momento infatti il fronte italiano diventava secondario nella strategia alleata) e invitò i partigiani a sospendere le operazioni. Il proclama Alexander suscitò polemiche e contrasti fra i capi della Resistenza, gli Alleati e il governo di Roma. Nei fatti, comunque, le forze partigiane non obbedirono e la lotta per la liberazione continuò. La situazione si fece però estremamente difficile, sia perché gli aiuti inviati

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dagli Alleati non sempre erano sufficienti sia perché i Tedeschi attuarono una violenta controffensiva che, tra l'altro, travolse la repubblica partigiana dell'Ossola.

• La liberazione Nella primavera del 1945 gli Alleati ripresero l'offensiva e aumentarono in qualità e quantità i rifornimenti ai partigiani. Vennero paracadutate anche armi da combattimento e non solo materiale per sabotaggio. I partigiani (circa 200.000 nel 1945) poterono così riprendere le loro azioni con maggiore intensità, mentre gli occupanti tedeschi iniziavano la ritirata. Ci si preparava ormai per l'attacco finale e per la liberazione delle grandi città. A metà aprile gli Anglo-Americani sfondarono la linea gotica e i1 21 aprile entrarono a Bologna, già insorta. Genova e Milano insorsero e si liberarono il 25 aprile (data poi scelta per commemorare la liberazione). Tra il 26 e il 29 fu liberata Torino. A Mussolini non rimaneva che la fuga. Travestito da soldato tedesco, cercò di fuggire in Svizzera, ma i1 28 aprile venne riconosciuto e fucilato da una formazione partigiana nei pressi del Lago di Como, insieme alla sua compagna Claretta Petacci. I loro cadaveri, impiccati per i piedi, furono esposti a piazzale Loreto, a Milano. Il 30 aprile moriva suicida anche Hitler. Scomparivano così dalla scena i due dittatori che avevano trascinato l'Europa in questo sanguinoso conflitto. In alcune zone del Nord Italia si combatté fino al 7 maggio. Si calcola che i caduti della Resistenza siano stati circa 70.000. Questo momento fondamentale della nostra storia continua a suscitare tra gli studiosi un intenso dibattito. L’eccidio di Porzus Nella Resistenza ci sono anche capitoli oscuri. Particolarmente drammatico il fatto che si verificò a Porzus, in Friuli, dove alcuni partigiani uccisero altri partigiani appartenenti a un diverso schieramento. II 7 febbraio 1945 un commando dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), formazioni garibaldine legate al Partito comunista, fece prigionieri alcuni partigiani della Brigata Osoppo, che era legata al Partito d'Azione. Dopo un processo sommario, i partigiani della Osoppo furono uccisi con l'accusa di aver ostacolato l'alleanza con i partigiani iugoslavi di Tito e di aver trattato coi Tedeschi per scongiurare I'annessìone dei territori italiani alla Iugoslavia. Su questa vicenda è stato girato nel 1997 un film dal titolo Porzus. Purtroppo anche nell'immediato dopoguerra si consumarono, all'ombra dell'ideologia della Resistenza, vendette private o crimini contro coloro che i fautori della rivoluzione comunista identificavano come nemici di classe. Tali fenomeni furono particolarmente numerosi in alcune zone dell'Emilia. Il massacro di Cefalonia L'armistizio dell'8 settembre 1943 mise in una situazione drammatica i 12000 soldati italiani che presidiavano l'isola di Cefalonia, una delle isole greche nello Ionio. I Tedeschi ordinarono agli Italiani di arrendersi. Il generale italiano Antonio Gandin fece svolgere tra i suoi soldati un vero e proprio referendum. Le alternative erano tre: arrendersi, resistere oppure allearsi coi Tedeschi. I soldati, nonostante l'evidente superiorità dei nazisti, decisero all'unanimità di resistere. Si svolse allora un duro combattimento. Dopo dieci giorni, gli Italiani, che avevano perso 1300 uomini, si arresero. La vendetta dei Tedeschi fu spietata. II comando tedesco affermò che gli Italiani dovevano essere considerati dei traditori e giustiziati, secondo gli ordini di Hitler. Gandin venne fucilato alla schiena e con lui vennero massacrati circa 5000 militari. 3000 sopravvissuti vennero imbarcati per essere condotti nei lager in Germania, ma le navi affondarono a causa delle mine. Complessivamente, quindi, a Cefalonia morirono circa 10 000 Italiani.

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Una guerra civile? Sulla definizione di Resistenza come «guerra cívile» si è molto discusso. Per lungo tempo infatti la Resistenza è stata considerata essenzialmente come una lotta degli Italiani contro gli invasori tedeschi. Anche tra le forze politiche, di diverso orientamento, c'era sin dal dopoguerra un tacito accordo a negare, per opposte ragioni, che la lotta partigiana fosse stata una guerra fra Italiani: la destra antifascista - scrive Claudio Pavone - «doveva fare propria l'immagine di una Resistenza rassicurante, levigata ed esclusivamente patriottica e militare, che aveva saputo circoscrivere e alla fine espellere le infiltrazioni rosse; la sinistra, per accreditarsi come la più schietta rappresentante dell'unità nazionale in nome dei suo intransigente antifascìsmo, doveva rigettare sulla destra la responsabilità della frattura dell'unione di tutti i veri Italiani. Destra e sinistra convergeranno dunque nella programmatica negazione ai fascisti della RSI della qualità di Italiani, indispensabile presupposto dei carattere "civile" della guerra». Parlare di guerra civile, però, non significa secondo Pavone «mettere tutti sullo stesso piano», in nome di un generico «i morti sono tutti uguali». Nel 1945 alcuni Italiani presero le armi per costruire un paese libero, mentre altri si schierarono a favore di quel regime che aveva condotto l'Italia alla rovina. Il dibattito sulla «guerra civile» vuole essere piuttosto «un invito a riaprire il discorso, proprio per rifondare su basi più solide un'identità nazionale democratica. Un paese come l'Italia, privo nella sua storia di nette e incontrovertibili fratture, ha tutto da guadagnare a rivendica-re, come tavola di fondazione di una propria rinnovata identità, il momento di verità rappresentato dalla guerra civile fra i fascisti e gli antifascisti».

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G. Sabbatucci, V.Vidotto Storia contemporanea. II Novecento Laterza, 2007 pp. 194-198 Resistenza e lotta politica in Italia A partire dall'autunno 1943, l'Italia fu non solo divisa di fatto da un fronte, ma anche spezzata in due entità statali distinte, in guerra l'una contro l'altra. Mentre nel Sud il vecchio Stato monarchico sopravviveva col suo governo e la sua burocrazia, esercitando la sua sovranità sotto il controllo alleato, nell'Italia settentrionale il fascismo risorgeva dalle sue ceneri sotto la protezione degli occupanti nazisti. Il 12 settembe 1943, un commando di aviatori e paracadutisti tedeschi liberò Mussolini dalla prigionia di Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Pochi giorni dopo, il duce annunciò la sua intenzione di dar vita, nell'Italia occupata dai tedeschi, a un nuovo Stato fascista, la Repubblica so-ciale italiana (Rsi), a un nuovo Partito fascista repubblicano e a un nuovo esercito che continuasse a combattere a fianco degli antichi alleati. La Rsi, che stabilì la sua capitale a Salò, sul lago di Garda, si proponeva di combattere contro gli artefici del «tradimento» de1 25 luglio: monarchici, «badogliani» e fascisti moderati (cinque dei gerarchi che avevano votato l'ordine del giorno Grandi - fra cui il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano - furono fucilati a Verona nel gennaio '44 dopo un sommario processo). Il regime repubblicano (o repubblichino com'era spregiativamente chiamato dagli antifascisti) cercò di guadagnare consensi riesumando le parole d'ordine pseudorivoluzionarie del primo fascismo e lanciando un programma di socializzazione delle imprese industriali, che in realtà non riuscì mai a decollare. In generale la Repubblica di Mussolini non acquistò mai una vera credibilità per la sua totale dipendenza dai tedeschi, che si comportavano a tutti gli effetti come un esercito di occupazione, praticando un intenso sfruttamento delle risorse economiche e umane dei territori controllati – requisizioni di ogni sorta di materiale, deportazione di lavoratori in Germania – e applicandovi le politiche razziali già sperimentate negli altri paesi occupati: l’episodio più tragico si verificò il 16 ottobre ’43, quando oltre 1000 ebrei di Roma (la più antica comunità israelitica d’Europa) furono prelevati nelle loro case e inviati nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale pochissimi fecero ritorno. La principale funzione effettivamente svolta dal governo di Salò fu quella di reprimere e combattere il movimento partigiano che stava nascendo nell'Italia occupata per opporsi ai tedeschi. Le regioni del Centro-Nord diventavano così teatro di una guerra civile tra italiani, che si sovrapponeva a quella combattuta dagli eserciti stranieri. Le prime formazioni armate si raccolsero sulle montagne dell'Italia centro-settentrionale subito dopo 1'8 settembre e nacquero dall'incontro fra i piccoli nuclei di militanti antifascisti già attivi nel paese e i gruppi di militari sbandati che non avevano voluto consegnarsi ai tedeschi. I partigiani agivano soprattutto lontano dai centri abitati, con attacchi improvvisi ai reparti tedeschi e con azioni di sabotaggio e disturbo; ma erano presenti anche nelle città con i Gruppi di azione patriottica, piccole formazioni di tre o quattro uomini che compivano attentati contro militari o contro singole personalità tedesche e «repubblichine». In qualche caso i tedeschi risposero con spietate rappresaglie: particolarmente feroce quella messa in atto a Roma, nel marzo'44, quando, in risposta a un attentato in cui avevano trovato la morte 33 militari tedeschi, furono fucilati alle Fosse Ardea-tine 335 detenuti, ebrei, antifascisti e militari «badogliani» (in una proporzione di 10 a 1, con 5 in più aggiunti per errore). Dopo una prima fase di aggregazione spontanea e spesso casuale, le bande partigiane si andarono organizzando in base all'orientamento politico prevalente fra i loro membri: le Brigate Garibaldi, le più numerose e attive, erano formate in maggioranza da comunisti; le formazioni di Giustizia e Libertà, anch'esse abbastanza consistenti, si ricollegavano all'omonimo movimento antifascista degli anni '30 e al nuovo Partito d'azione che ne aveva raccolto l'eredità; le Brigate Matteotti erano

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legate ai socialisti; vi erano anche formazioni cattoliche e liberali e bande autonome composte per lo più da militari di orientamento monarchico. Fin dall'inizio, dunque, le vicende della Resistenza si intrecciarono strettamente con quelle dei partiti antifascisti, riemersi alla luce durante i «quarantacinque giorni» che separarono la caduta del fascismo dall'annuncio dell'armistizio. Già prima della caduta del fascismo era sorto, dalla confluenza di diversi gruppi che si collocavano in area intermedia fra il liberalismo progressista e il socialismo, il Partito d'azione (Pda). Nello stesso periodo numerosi esponenti cattolici, per lo più ex popolari, avevano elaborato, col cauto appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, il programma di una nuova formazione destinata a raccogliere l'eredità del Partito popolare: la Democrazia cristiana (Dc). Subito dopo il 25 1uglio, fu costituito il Partito liberale (Pli) e rinacquero il Partito repubbli-cano (Pri) e quello socialista, col nome di Partito socialista di unità proletaria (Psiup). Quanto ai comunisti, da sempre presenti nel paese coi loro nuclei clandestini e già attivi negli scioperi di marzo, riuscirono a ricostituire buona parte del loro gruppo dirigente, soprattutto dopo la libe-razione, avvenuta in agosto, di molti leader dal carcere o dal confino. Nei giorni immediatamente successivi all'8 settembre, i rappresentanti di sei partiti (Pci, Psiup, Dc, Pli, Pda, oltre alla Democrazia del lavoro, appena fondata da Ivanoe Bonomi) si riunirono a Roma e si costituirono in Comitato di liberazione nazionale (Cln), incitando la popolazione «alla lotta e alla resistenza [...] per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni». I partiti antifascisti si proponevano così come guida e rappresentanza dell'Italia democratica, in contrapposizione non solo agli occupanti tedeschi e ai loro collaboratori fascisti, ma allo stesso sovrano, corresponsabile della dittatura e della guerra, e al governo Badoglio, di cui il Cln chiese la sostituzione. Nati per lo più dall'iniziativa isolata di piccoli gruppi, privi di una base di massa nell'Italia liberata e forti solo del prestigio che veniva loro dal fatto di rappresentare politicamente il nascente movimento partigiano, divisi fra un'ala di sinistra (Pci, Psiup, Pda) e una di centro-destra (Dc, Pli, Democrazia del lavoro), i partiti del Cln non avevano però la forza per imporre il loro punto di vista. Infatti il governo Badoglio godeva della fiducia degli alleati, in quanto garante degli impegni assunti con l'armistizio. Nell'ottobre '43 il governo dichiarò guerra alla Germania e ottenne per l'Italia la qualifica di «cobelligerante»; un Corpo italiano di liberazione combatté in effetti a fianco degli anglo-americani, in rappresentanza del ricostituito esercito italiano. Il contrasto tra Cln e governo fu sbloccato solo nel marzo 1944 dall'inattesa e spregiudicata iniziativa del leader comunista Palmiro Togliatti, giunto in Italia dall'Urss dopo un esilio durato quasi vent'anni. Appena sbarcato a Napoli, Togliatti, scavalcando la posizione ufficiale del Cln, propose di accantonare ogni pregiudiziale contro il re o contro Badoglio e di formare un governo di unità nazionale capace di concentrare le sue energie sul problema prioritario della guerra e della lotta al fascismo. La svolta di Salerno (così chiamata perché Salerno era allora la capitale prov-visoria del «Regno del Sud»), era in armonia con le scelte dell'Urss (che aveva già riconosciuto il governo Badoglio), ma serviva anche a legittimare il Pci agli occhi degli alleati e dell'opinione pubblica moderata. La scelta togliattiana, criticata da socialisti e azionisti, consentì comunque di formare, i1 24 aprile, il primo governo di unità nazionale, presieduto sempre da Badoglio e comprendente i rappresentanti dei partiti del Cln. Da parte sua Vittorio Emanuele III si impegnò, una volta liberata Roma, a trasmettere provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto, in attesa che, a guerra finita, fosse il popolo a decidere la sorte dell'istituzione monarchica. Nel giugno 1944, dopo che Roma era stata liberata dagli alleati, Umberto assunse la luogotenenza generale del Regno. Badoglio si dimise e lasciò il posto a un nuovo governo di unità nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi, emanazione diretta del Cln. L'avvento del governo Bonomi significò un più stretto collegamento fra i poteri legali dell'Italia liberata e il movimento di resistenza, che conobbe nell'estate '44, in coincidenza con l'avanzata alleata nelle regioni centrali, il suo momento di maggior vitalità. Le formazioni partigiane, che già dal gennaio avevano la loro guida politica nel Cln Alta Italia (Clnai), si diedero anche una direzione

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militare con la costituzione, nel giugno '44, di un comando unificato. La base di reclutamento delle bande si allargò, soprattutto fra gli strati operai e contadini, anche per l'afflusso di molti giovani renitenti alla leva decretata dal governo di Salò. Le azioni militari dei partigiani (oltre 100.000 nell'estate '44) divennero più ampie e frequenti, nonostante le feroci rappresaglie effettuate dai te-deschi (la più terribile fu quella messa in atto a Marzabotto, nell'Appennino bolognese, dove, nel settembre'44, furono uccisi 770 civili, in pratica l'intera popolazione del paese). Molte città, fra cui Firenze, furono liberate prima dell'arrivo degli alleati. In alcune zone dell'Italia settentrionale (la Val d'Ossola, le Langhe, l'Oltrepo pavese) la Resistenza riuscì addirittura a creare delle «repubbliche partigiane», amministrate secondo modelli di autogoverno popolare. Questa attività - che testimoniava l'esistenza di un'Italia decisa a tagliare i ponti con l'esperienza fascista e disposta a dare un contributo attivo alla causa alleata - aveva un valore politico e simbolico molto superiore alla sua reale forza militare. Questa era limitata sia dai contrasti che attraversavano il movimento partigiano (e che talvolta sfociarono in aperto conflitto), sia, soprattutto, dall'obiettiva difficoltà di coinvolgere e di mobilitare il grosso della popolazione: una popolazione traumatizzata dagli eventi bellici, preoccupata soprattutto della propria sopravvivenza e quindi incline a non prendere esplicitamente partito in uno scontro il cui rapido esito restava affidato essenzialmente all'azione delle armate anglo-americane. I limiti e le contraddizioni del movimento resistenziale vennero alla luce nell'autunno del '44, quando l'offensiva alleata sul fronte italiano diventato secondario nel quadro della strategia alleata - si bloccò lungo la linea gotica, fra Rimini e La Spezia. La Resistenza visse allora il suo momento più difficile. Il proclama del generale inglese Alexander che, nel novembre '44, invitava i partigiani a sospendere le operazioni su vasta scala, provocò malintesi e polemiche fra i capi della Resistenza da una parte, gli alleati e il governo di Roma dall'altra. I contrasti furono comunque superati e in dicembre il ministero Bonomi riconobbe il Clnai come suo rappresentante nell'Italia occupata. Nonostante i sistematici rastrellamenti dei tedeschi e dei repubblichini (che rioccuparono una dopo l'altra le «zone liberate»), il movimento partigiano riuscì a mantenersi attivo e a sopravvivere al difficile inverno ’44-’45. Nella primavera del '45, con la ripresa dell'offensiva alleata e il definitivo cedimento delle difese tedesche, la Resistenza, forte ora di 200.000 uomini armati, sarebbe stata pronta a promuovere l'insurrezione generale contro gli occupanti in ritirata.

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Massimo L. Salvadori, Francesco Tuccari L’Europa e il mondo nella storia. C. XIX-XXI secolo Loescher, 2004 pp. 351-360 Le risposte al dominio nazista collaborare, resistere, attendere. In tutti i paesi soggetti alla dominazione tedesca, le forze politiche e sociali erano state poste di fronte a una drastica alternativa: collaborare con i nazisti oppure resistere. In mezzo stavano coloro che praticavano f«attendismo», vale a dire i fautori di un atteggiamento passivo in attesa degli eventi. Il collaborazionismo. Il tipo classico del collaborazionista fu il norvegese Vidkun Quisling, già capo dei nazisti del suo paese, quindi divenuto esponente del governo asservito. Collaborazionisti furono soprattutto i governi della Francia occupata, dell’Italia della repubblica di Salò - cioè del regime neofascista costituitosi dopo il crollo del fascismo nel luglio 1943 nell’Italia centrale e settentrionale sotto la protezione delle baionette tedesche - e dei regimi satelliti della Germania nell'Europa orientale. La base sociale del collaborazionismo fu costituita da conservatori, variamente articolati, che vedevano nel nazismo un baluardo contro il «bolscevismo» e il «disordine democratico». In Francia il regime instaurato da Pétain rappresentava un blocco politico-sociale conservatore appoggiato da quelle forze (proprietari fondiari, alta burocrazia, parte del clero, parte degli ufficiali di carriera, industriali) tradizionalmente avverse della «democrazia». Dopo lo sbarco degli alleati in Nordafrica nel novembre 1942 e l’occupazione da parte delle truppe tedesche anche della zona della Francia sottoposta all’amministrazione della repubblica di Vichy, quest'ultima perse ogni veste di indipendenza sia pure relativa e si mise al servizio diretto del suo padrone nazista. La resistenza. La risposta degli oppositori del nazifascismo fu la resistenza. Questa si presentò come un fenomeno complesso. A lottare contro il dominio nazista vennero spinti uomini di tutte le estrazioni sociali in tutti i paesi occupati. I più organizzati e attivi tra i resistenti furono, in quanto singola forza, i comunisti. I tedeschi e i collaborazionisti risposero ovunque all'azione di lotta dei resistenti con illimitata ferocia. Tra le innumerevoli stragi compiute in tutta Europa, è d'obbligo ricordare quella culminata nel massacro di Lidice, in Cecoslovacchia (giugno 1942). Le basi sociali e politiche della resistenza. La sede della resistenza in Europa furono le città come le campagne e le montagne, con organizzazioni e basi funzionali alle esigenze dei luoghi. La lotta delle formazioni partigiane si sviluppò su larga scala soprattutto in Iugoslavia, in Grecia, nell'Italia settentrionale, in Polonia, nella Russia occupata, in Francia. Le masse dei combattenti della re-sistenza furono in genere operai e contadini, con una notevole partecipazione anche di strati piccolo-borghesi. Per lo più gli operai erano guidati dai comunisti e, in second'ordine, dai socialisti; e loro comune aspirazione era un futuro di profondo mutamento politico e sociale. Se i resistenti borghesi guardavano con favore agli anglo-americani, gli operai guardavano invece all'Unione Sovietica e auspicavano confusamente una rivoluzione socialista. Nei paesi dell'Europa orientale i contadini poveri avevano come meta suprema una radicale riforma agraria. Le potenze del blocco antinazista a loro volta attuarono una politica di appoggio (lancio di armi, aiuti finanziari ecc.) ai raggruppamenti che maggiormente erano vicini alle proprie posizioni, a scapito degli altri. La resistenza in Francia. In Francia la resistenza già nel 1941 aveva una notevole consistenza, dietro impulso, da un lato, dei comunisti e, dall'altro, dei seguaci di De Gaulle. La resistenza in Polonia. Un forte sviluppo ebbe la resistenza in Polonia. Tra gli episodi della resistenza polacca rimane leggendaria la rivolta dei giovani ebrei del ghetto di Varsavia dell'aprile

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1943, che portò allo sterminio dei combattenti. Il desiderio delle forze partigiane filoccidentali di liberare Varsavia prima dell'arrivo delle truppe sovietiche e di costituirvi un'amministrazione filoccidentale portò all'insurrezione generale, che durò dal 1° agosto a1 2 ottobre 1944. Essa venne stroncata perché le forze sovietiche, che si trovavano ormai a est della Vistola, non tentarono azioni offensive in quanto Stalin, che non intendeva favorire il successo di un'azione diretta politicamente contro i sovietici, non aiutò gli insorti. La resistenza in Iugoslavia. Il paese dove la resistenza sfociò in una lotta di proporzioni realmente vaste fu la Iugoslavia. Qui si crearono due centri politicamente opposti: da un lato le forze del colonnello serbo Mihajlovic, in prevalenza composte da cetnici, conservatori, accentratori e monarchici; dall'altro le forze del croato Tito, capo dei comunisti iugoslavi, le quali aspiravano a un rivolgimento sociale e a una struttura federale dello Stato. Tito costituì un vero e proprio esercito di liberazione nazionale, di chiara ispirazione comunista, che fu in grado di sostenere battaglie di ampie proporzioni contro il nemico, e di formare nelle zone da esso controllate un'amministrazione e un governo. A partire dal 1943, ma soprattutto subito dopo la fine del conflitto, tra il maggio e il giugno 1945, i partigiani titini commisero atroci eccidi ai danni della popolazione italiana, slovena e croata, facendo migliaia di vittime che furono gettate nelle foibe. La resistenza in Grecia. Profonde furono le divisioni anche in Grecia, dove le forze della resistenza vedevano contrapporsi i partigiani collegati al governo filobritannico in esilio e quelli comunisti. I limiti della resistenza in Germania. L'attentato a Hitler. In Germania un vero e proprio movimento di resistenza al nazismo non poté svilupparsi. Non mancarono però episodi ristretti, ma di alto valore, di resistenza. Operarono contro il nazismo piccoli gruppi di comunisti e socialdemocratici, di intellettuali (gruppo della Rosa Bianca a Monaco), di cristiani, e persino di militari e conservatori avversi al regime nazista. Tutti vennero inesorabilmente stroncati. Ma il gruppo di opposizione più importante fu quello la cui azione culminò nel tentato assassinio di Hitler il 20 luglio 1944. Per una fatalità Hitler scampò. Dapprima i congiurati lo credettero morto, sicché scattò il meccanismo del complotto. Reparti militari fedeli ai congiurati entrarono in azione, non solo a Berlino, ma anche a Parigi. Ma, quando si seppe che Hitler era vivo, il regime scatenò nel paese un'ondata di terrore. I congiurati furono eliminati con sistemi degradanti. La resistenza in Italia. La repubblica di Salò. La sorte dell'Italia centro-settentrionale dopo l’8 settembre 1943 e la fuga di Badoglio e del re da Roma fu decisa dalla fulminea occupazione tedesca. Sotto la protezione e per volontà dei nazisti il fascismo risorse dalle sue ceneri. Un nuovo governo fascista ricevette la sua consacrazione dopo che Mussolini, liberato dai tedeschi il 12 set-tembre a Campo Imperatore (Gran Sasso), dove era stato trasportato, riprese la guida del neofascismo. Messa sotto accusa la monarchia «traditrice» del regime e dell'alleato tedesco, il Partito fascista prese il nome di «repubblicano» e il regime si chiamò Repubblica sociale italiana. Il governo neofascista si formò ufficialmente il 23 settembre. La costituzione delle forze armate re-pubblicane avvenne sotto la direzione germanica, con compiti di repressione antipartigiana. La sede del governo fu stabilita a Salò (da cui la denominazione di repubblica di Salò), sulle rive del Garda, e in questa località Mussolini passò l'ultimo periodo della sua vita, sotto stretto controllo tedesco. II «regno del Sud» e il problema della monarchia. Di contro al governo neofascista stava il «regno del Sud», con il re e Badoglio stabilitisi prima a Brindisi e quindi a Salerno. Il governo monarchico il 13 ottobre 1943 dichiarò guerra alla Germania ottenendo dagli alleati la qualifica di «cobelligerante». Nel «regno del Sud» era urgente la formazione di un governo in grado di rappresentare i partiti antifascisti, che avevano ripreso la loro piena attività. Ma ci si trovò di fronte

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a una grave contraddizione: mentre gli alleati, e in particolare Churchill, esigevano il rispetto del re e di Badoglio, garanti dell'armistizio, i partiti antifascisti, che nel gennaio 1944 si erano riuniti al Congresso di Bari, nella loro maggioranza erano ostili al re, corresponsabile del fascismo, di cui chiedevano l'abdicazione immediata in attesa che una futura Assemblea costituente in un'Italia liberata decidesse della questione istituzionale. Togliatti e la «svolta di Salerno». II secondo governo Badoglio. A sbloccare la situazione intervennero l’Unione Sovietica e il capo del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti. Il 13 marzo 1944 l’Urss, precedendo tra la sorpresa generale anche Gran Bretagna e Stati Uniti, riconobbe il governo Badoglio; il che trascinò con sé il riconoscimento degli anglo-americani. Pochi giorni dopo Togliatti, tornato il 27 marzo dall’Urss, si espresse a Salerno a favore della formazione di un nuovo governo Badoglio, con la partecipazione dei partiti al fine di realizzare l'unità nazionale e di combattere il nazifascismo, rinviando a guerra finita la soluzione della questione «monarchia o repubblica». Fu questa la cosiddetta «svolta di Salerno». Di fronte alla decisione comunista, il Partito d'azione e il Partito socialista, dichiaratamente repubblicani, si trovarono disorientati e accettarono le conclusioni dei comunisti, accolte con entusiasmo dai liberali e dai democristiani. Si formò così, il 21 aprile 1944, un secondo governo Badoglio con gli uomini e l'appoggio dei partiti antifascisti, dopo che il re si era impegnato il 12 aprile a trasmettere i propri poteri al figlio Umberto all'atto della liberazione di Roma e a sottoporre a referendum la questione istituzionale. I governi Bonomi e la questione dei rapporti con la resistenza. Liberata Roma, i1 5 giugno 1944 il re trasferì i poteri e Badoglio si dimise. Per designazione dei partiti, Ivanoe Bonomi il 18 formò il governo, cui parteciparono come ministri senza portafoglio Croce (liberale), De Gasperi (democristiano), Saragat (socialista), Togliatti (comunista), Sforza (indipendente). Il 12 dicembre 1944 Bonomi formò un secondo ministero, da cui si astennero socialisti e azionisti, che rimase in carica fino alla liberazione totale del paese. La questione dei rapporti con la resistenza del Nord fu certo la principale che il secondo governo Bonomi si trovò ad affrontare. L'insurrezione di Napoli. Il movimento della resistenza ebbe il suo massimo sviluppo nell'Italia del Nord, e in secondo luogo nell'Italia centrale. Pressoché nullo fu nell'Italia meridionale. L’unica eccezione rilevante fu l'insurrezione di Napoli, dove il popolo, dopo una dura lotta tra i1 27 e il 30 settembre (le «quattro giornate»), liberò la città, che venne occupata il 1° ottobre dagli alleati. La resistenza nell’ltalia centrale. Le Fosse Ardeatine. Nell'Italia centrale la resistenza si era sviluppata subito dopo l’8 settembre, e a Roma si erano avuti i primi scontri tra tedeschi, soldati e popolo. Già il 9 settembre si era costituito un Comitato di liberazione nazionale (Cln) con le rappresentanze dei partiti antifascisti. Nel Lazio si ebbero azioni di guerriglia e sabotaggi. Proprio a Roma, i1 23 marzo 1944, ebbe luogo un attentato, deciso dai comunisti, che provocò la morte di 33 militari tedeschi; la vendetta, voluta da Hitler personalmente, fu spietata: 335 ostaggi furono trucidati in una cava di arenaria presso la via Ardeatina, le Fosse Ardeatine. Roma venne liberata i1 4 giugno 1944, senza che la città fosse insorta. La resistenza nell’Italia del Nord. Ma fu nell'Italia del Nord che la resistenza armata al nazifascismo ebbe il suo maggiore sviluppo. Il Nord era la parte dove operò sino alla fine della guerra la repubblica di Salò, e quindi la lotta partigiana si presentò, oltre che come lotta antitedesca, come guerra civile tra una minoranza di nazifascisti e una maggioranza di resistenti sostenuti dalla gran parte della popolazione. Questa lotta durò dal settembre 1943 all'aprile 1945. Dal punto di vista sociale, il movimento di resistenza, che ebbe oltre 70 000 caduti tra militari e civili, abbracciò tutte le classi sociali, ma la massa dei combattenti (che raggiunse nel 1945 oltre i 200 000) era composta dagli strati popolari (operai, contadini, piccolo-borghesi). In questi strati era diffusa la convinzione che la resistenza armata al nazifascismo dovesse costituire il preludio per una rottura

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con il vecchio Stato, con il suo centralismo burocratico, con il dominio del privilegio sociale. Interpreti di queste esigenze erano le formazioni partigiane di sinistra: le «Garibaldi» (comuniste), le più forti, le «Giustizia e Libertà» (del Partito d'azione); le «Matteotti» (socialiste). Non mancavano, nelle file dei partigiani comunisti e socialisti, le speranze che la fine della guerra avrebbe consentito di attuare una rivoluzione sociale. Accanto a queste formazioni stavano le organizzazioni di orientamento moderato: le «autonome», sostanzialmente apartitiche, formate da militari in gran parte monarchico-badogliani, quelle democristiane, i partigiani liberali. I moderati desideravano mantenere la resistenza in limiti militari e inclinavano a concepire la fine del fascismo come restaurazione dello Stato liberale (liberali e monarchici), oppure, nel caso dei democristiani, come instaurazione di un rinnovato ordine sociale e politico avverso alle sinistre. I Cln e il Clnai, i rapporti con gli alleati. La direzione politica della resistenza fu opera dei Comitati di liberazione nazionale (Cln), i quali rappresentavano i partiti antifascisti, poggiando sull'unità che veniva dalla comune lotta, ma anche riflettendo le inevitabili divergenze di strategia. Nel gennaio 1944 sorse il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (Clnai), come centro generale di coordinamento e direzione dei Cln locali. Un accordo del 7 dicembre 1944 tra i delegati del Clnai e gli alleati, mentre riconobbe solennemente il movimento partigiano e l'autorità del Comitato, al tempo stesso sottopose le forze partigiane, trasformate in Corpo dei volontari della libertà (Cvl), a un comando militare supremo con a capo il generale dell'esercito regolare italiano Raffaele Cadorna, affiancato dai vicecomandanti Luigi Longo, comunista, e Ferruccio Parri, azio-nista; sottopose inoltre questo comando alle direttive degli alleati e impegnò le forze partigiane all'atto della liberazione ad accettare le decisioni del governo militare alleato. Era evidente il desiderio degli alleati di sottoporre il movimento partigiano al loro controllo. Dal canto loro i governi del Sud, prima Badoglio quindi Bonomi, avevano ottenuto dagli alleati, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania (13 ottobre 1943), di costituire, con truppe regolari, un Corpo italiano di liberazione. Rappresaglie tedesche. Marzabotto. Nella durezza della guerra civile e contro i tedeschi, le popolazioni ebbero in innumerevoli casi a soffrire di atroci rappresaglie, la più grave delle quali, accanto a quella delle Fosse Ardeatine, ebbe luogo a Marzabotto (in provincia di Bologna), dove tra il 29 settembre e il 1 ottobre 1944 vennero trucidate circa 2000 persone. La liberazione nazionale. La morte di Mussolini. L’insurrezione nazionale, dopo che già nel marzo si furono intensificati gli scioperi, ebbe luogo il 25-26 aprile 1945. Mentre le truppe motorizzate alleate iniziavano l'invasione della valle del Po, il Clnai diede ordine ai partigiani di liberare le città, e assunse i poteri provvisori di governo. I tedeschi si arresero o si ritirarono, la repubblica di Salò si disgregò. Mussolini, dopo aver vagheggiato un'ultima resistenza in Valtellina, tentò di fuggire travestito da soldato tedesco, verso la Svizzera, con una colonna germanica. Riconosciuto dai partigiani, venne giustiziato il 28 aprile. Alcune migliaia di fascisti furono giustiziati nei giorni della liberazione nazionale.

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Francesco Traniello, Alberto Guasco Storia di mille anni. Dall’imperialismo alla globalizzazione SEI, 2004 pp. 346-352 L'armistizio dell'8 settembre e le sue conseguenze Dopo più di un mese si giunse, tra reciproci sospetti, alla firma dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati, a Cassibile in Sicilia (3 settembre 1943). L'annuncio della firma, fino allora tenuta segreta, doveva avvenire in concomitanza con lo sbarco anglo-americano in un punto della penisola che non venne però rivelato agli italiani. Dopo molte tergiversazioni, di fronte all'irrigidimento degli Alleati, Badoglio fu costretto a dare l'annuncio dell'armistizio 1'8 settembre. Il 9 settembre le truppe alleate sbarcarono a Salerno e in altre zone dell'Italia merídionale. Poco o nulla era stato fatto per preparare un così determinante evento. Badoglio lanciò un proclama alla radio in cui non era affatto chiarito come avrebbero dovuto comportarsi i reparti dell'esercito italiano nei confronti dei tedeschi. Questi fecero affluire dal Brennero un certo numero di divisioni, occuparono militarmente il paese (mentre l'esercito italiano, in mancanza di ordini, si sfaldava quasi ovunque), e contrastarono efficacemente lo sbarco alleato. Intorno a Roma si ebbe per qualche giorno una resistenza armata all'invasione tedesca con la partecipazione di civili, dopo che il re, con il suo seguito, e il governo si erano rifugiati pre-cipitosamente a Brindisi, lasciando senza ordini precisi i comandanti dei reparti schierati intorno alla capitale. Il costo pagato dagli italiani fu altissimo. Iniziò un periodo tragico, benché ricco di episodi di valore, in cui alla disgregazione dell'apparato statale e militare fece riscontro l'instaurazione di un durissimo regime di occupazione da parte dei tedeschi. II governo Badoglio, privo di ogni effettivo potere, aveva intanto dichiarato guerra alla Germania, il 13 ottobre, ottenendo dagli Alleati un parziale riconoscimento per l'Italia come cobelligerante (il che consentì più tardi di schierare alcuni reparti del regio esercito nella guerra contro i tedeschi). La Resistenza italiana Per i soldati italiani rimasti sorpresi dagli eventi all'estero (Croazia, Slovenia, Grecia, Montenegro, Albania, Francia) iniziò un vero calvario: gli uomini di interi reparti, abbandonati a se stessi ma decisi a battersi contro il nuovo nemico, furono considerati dai tedeschi come traditori e, se catturati vivi, passati per le armi (ciò avvenne per tutti i superstiti della divisione Acqui, rimasta isolata nell'isola di Cefalonia e nondimeno schieratasi in combattimento contro i tedeschi); molti furono catturati e deportati nei campi di concentramento in Germania; altri si unirono ai movimenti di resistenza locali. In Italia un certo numero di soldati e di ufficiali andò "in montagna" a costituire formazioni della Resistenza. Mentre l'avanzata degli Alleati restò bloccata per otto mesi dai tedeschi a nord di Napoli, si moltiplicarono, dalla fine del 1943, i gruppi di partigiani che sulle montagne o nelle stesse città, in Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, Toscana, Lazio, Marche misero in atto azioni di guerriglia, sabotaggi e attentati, a cui i tedeschi risposero con rappresaglie feroci e indiscriminate. La più nota prende nome dalle Fosse Ardeatine, nei pressi di Roma, dove il 24 marzo 1944 furono fucilati 335 ostaggi italiani in seguito alla morte di 33 soldati tedeschi provocata da un attentato compiuto da uomini della Resistenza romana in via Rasella. Ma un gran numero di località italiane subirono la furia distruttrice dell'esercito germanico, in base a precise direttive che consideravano tutti i civili, compresi i vecchi, le donne e i bambini, corresponsabili di atti ostili compiuti nei confronti delle truppe di occupazione. Interi villaggi furono per questo dati alle fiamme e i loro abitanti sterminati, come a Sant'Anna di Stazzena e Marzabotto.

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Con il passare dei mesi i nuclei partigiani si organizzarono in formazioni militari più compatte ed efficienti, come le brigate Garibaldi, a maggioranza comunista, le brigate di Giustizia e Libertà, collegate al Partito d'Azione, le brigate autonome, costituite in maggioranza da militari, le Fiamme Verdi, formate da gruppi cattolici, le brigate Matteotti di formazione socíalista e altre. Accanto alla Resistenza armata venne creata una rete clandestina di collegamento e di supporto, che agiva in soccorso di persone e gruppi perseguitati o minacciati (ebrei, carcerati, dispersi, aviatori di aerei al-leati abbattuti ecc.): fu una Resistenza non armata, in cui ebbero un posto di primo piano molte donne. Il coordinamento politico e militare della Resistenza fu assunto dai Comitati di liberazione nazionale (CLN) formati dai rappresentanti dei partiti antifascisti: questi, già all'indomani dell'armistizio, avevano costituito a Roma un primo organismo di tal genere (detto CLN centrale), che aveva successivamente riconosciuto poteri di governo straordinario nelle regioni del Nord al Comitato dell'Alta Italia (CLNAI). L'opera dei CLN non poté tuttavia impedire il manifestarsi tra le diverse formazioni partigiane di tensioni, che in alcuni casi sfociarono in scontri armati, dipendenti principalmente dai loro diversi orientamenti politici. La Repubblica sociale italiana Importa osservare che la Resistenza non combatté soltanto contro i tedeschi, poiché nei territori occupati dall'esercito del Terzo Reich - più precisamente nell'Italia settentrionale fino all'Appennino tosco-emiliano - si era costituito dal 23 settembre 1943 un nuovo stato fascista, a regime repubblicano, denominato Repubblica sociale italiana. La sua nascita era stata resa possibile da un colpo di mano compiuto da paracadutisti tedeschi che avevano liberato Mussolini dalla sua prigione sul Gran Sasso (12 settembre), portandolo in Germania. Egli, rientrato in Italia, aveva ricostituito il Partito fascista (repubblicano) e creato la Repubblica sociale, con il sostegno degli occupanti te-deschi e sotto il loro stretto controllo. Richiamandosi ai programmi originari del fascismo e in opposizione alla monarchia "traditrice", Mussolini aveva formato un proprio governo repubblicano con sede nella cittadina di Salò sul Lago di Garda; aveva promosso la cattura e la condanna a morte, come traditori, dei gerarchi fascisti che gli si erano opposti i1 25 luglio; aveva dato vita a un esercito di leva – affiancato da una molteplicità di reparti militari più o meno autonomi, tra cui la Guardia nazionale repubblicana delle Brigate nere - schierato a fianco dei tedeschi e impegnato principalmente nell'opera di repressione della Resistenza. Un certo numero di italiani, ancora mossi da un estremo senso di cieca fedeltà a Mussolini e all'alleato tedesco, aderirono consapevolmente al nuovo regime, contribuendo a irrobustire considerevolmente le sue formazioni militari e i suoi quadri amministrativi. Pochi invece, tra i soldati italiani deportati in Germania dopo l'armistizio, accettarono di arruolarsi nell'esercito della Repubblica sociale, pagando il loro rifiuto con la permanenza nei campi di concentramento, dove molti morirono. La costituzione della Repubblica sociale italiana ebbe varie rilevanti conseguenze. Anzitutto contribuì a trasformare l'iniziata guerra di liberazione in guerra civile, nel senso che i movimenti della Resistenza si trovavano di fronte - oltre ai tedeschi - formazioni militari, squadre di polizia e reparti irregolari di vario genere, composti da italiani: questo fatto acuì la crudeltà dello scontro, aprendo durevoli piaghe di ostilità e di lutti fino dopo la fine della guerra. In secondo luogo, divenne ancora più precaria e incerta la sorte dei civili, coinvolti, volontariamente o involontariamente, nella lotta. In terzo luogo consentì al fascismo di riproporsi al potere dopo il crollo del regime. Le due Italie Alla fine de11943 l'Italia era dunque spaccata in due parti, divise dal fronte di guerra che si era arrestato tra Napoli e Roma, all'altezza della città di Cassino. II Sud era occupato dagli Alleati, con un governo monarchico del generale Badoglio dotato di poterí solo formali, e privo della

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collaborazione dei partiti membri del CLN. Il Centro-Nord era invece occupato dall'esercito tedesco, che ricorreva a metodi di terrore per il controllo delle retrovie e del territorio; era sconvolto dai bombardamenti aerei, con un simulacro di stato fascista che collaborava attivamente con i tedeschi: sia nel contrastare e reprimere il movimento di Resistenza, in fase di estensione, ma anche, per esempio, agevolando l'arruolamento e la deportazione di mano d'opera italiana inviata a lavorare in Germania. Diversi tentativi messi in atto dagli Alleati, all'inizio del 1944, per riprendere l'avanzata in Italia, restarono a lungo senza esito. Uno sbarco alleato nei pressi di Roma, ad Anzio e Nettuno (22 gennaio 1944), fu bloccato dai tedeschi per cinque mesi. I rapporti tra il governo Badoglio e i partiti del CLN continuarono a restare tesi: nel congresso di Bari essi chiesero l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, giudicato troppo compromesso con il fascismo. Un accordo venne infine raggiunto con l'impegno del sovrano di cedere i poteri reali a1 figlio Umberto, col titolo di luogotenente, alla liberazione di Roma. Un'opera moderatrice fu svolta dal leader comunista Palmiro Togliatti, tornato in Italia dall'Unione Sovietica, che si dichiarò dispo-sto a garantire la collaborazione del proprio partito ai fini della liberazione nazionale dai tedeschi e dai fascisti, rinviando al dopoguerra ogni decisione sulla sorte delle istituzioni monarchiche. Di fronte alla presa di posizione di Togliatti (nota come svolta di Salerno) i partiti del CLN accettarono di far parte di un nuovo governo presieduto da Badoglio (aprile 1944). La liberazione di Roma e la svolta politica All'inizio del giugno 1944 il fronte tedesco cedette. Roma fu liberata, il sovrano nominò luogotente l'erede al trono Umberto, il governo di Badoglio fu sostituito con un nuovo ministero presieduto da Ivanoe Bonomi, l'anziano socialista riformista che nel 1915 si era schierato per l'intervento in guerra dell'Italia. L'asse portante del governo Bonomi furono i partiti del CLN, rappresentati dai loro leader più autorevoli: Alcíde De Gasperi per i democratici cristiani, Palmiro Togliatti per i comunisti, Pietro Nenni per i socialisti, Benedetto Croce per i liberali. Si trattò di un primo difficile esperimento di collaborazione, che aveva come comune obiettivo prioritario la liberazione dell'Italia e poi l'instaurazione della democrazia. Ma i modelli e i programmi di democrazia, a cui tendevano i diversi partiti coalizzati, erano diversi, perché diversi erano i loro principi ispiratori: comunisti e socialisti - uniti tra loro da un patto d'unità d'azione - collaboravano con liberali e democratici cristiani; repubblicani con monarchici; anticlericali con cattolici. Nondimeno quel primo esperimento politico superò la prova, grazie a due regole accettate da tutti: che i partiti membri del CLN operavano su una base di parità; e che il popolo italiano sarebbe stato chiamato, appena possibile, a compiere le sue scelte mediante libere elezioni. Nello stesso tempo la Resistenza al Nord raggiunse un grado più elevato di efficienza, sotto il comando unificato di Ferruccio Parri, leader del Partito d'Azione, poi affiancato dal generale Raf-faele Cadorna inviato dal governo di Roma; e grazie all'opera di coordinamento svolta dal CLN dell'Alta Italia, presieduto dal liberale Alfredo Pizzoni. Gli Alleati tennero in maggior conside-razione l'opera dei partigiani e li rifornirono con maggiore intensità, dimostrando le loro aperte preferenze per le formazioni non comuniste. Essi temevano che le formazioni partigiane comuniste, numericamente le più numerose, stessero preparando, per il dopoguerra, un movimento ri-voluzionarío. Germi di rinnovamento democratico della Resistenza affiorarono nelle brevi esperienze di autogoverno realizzate in alcune aree del Nord (come la Val d'Ossola, la Valle d'Aosta, la Carnia, il Monferrato, l'Appennino modenese, ecc.), temporaneamente controllate dai partigiani. Nell'agosto 1944 Firenze fu liberata in seguito all'azione congiunta delle forze armate alleate e della Resistenza locale che per la prima volta prese in mano il governo di una città italiana. Ma poco più a nord, sulla linea gotica, tracciata dai tedeschi lungo le creste dell'Appennino, tra la città di Massa e la Romagna, il fronte subì un nuovo arresto. Gli uomini della Resistenza, che avevano puntato su

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una rapida liberazione del Nord-Italia, furono costretti ad affrontare un altro durissimo inverno sulle montagne o nei loro nascondigli. […] La liberazione del Nord-Italia In coincidenza con l’attacco finale alla Germania avvenne la liberazione del Nord-Italia, quando, sul finire di aprile, le armate angloamericane superarono finalmente la linea gotica, dilagando nella pianura padana. Contemporaneamente gli organi dirigenti della Resistenza proclamarono l’insurrezione simultanea delle principali città dell’Italia settentrionale, che furono liberate prima dell’arrivo degli Alleati, tra il 24 e il 15 aprile, dalle formazioni partigiane, impegnate in scontri armati con reparti tedeschi in ritirata e, soprattutto, con gli ultimi fascisti rimasti in campo. Il CLN dell’Alta Italia, assunti tutti i poteri politici e militari (proclama di Milano), riuscì a salvare dalla distruzione con l’ausilio di gruppi di azione nelle fabbriche, gli impianti industriali e le centrali elettriche ancora in funzione, ad assicurare l’ordine pubblico (ma senza poter impedire che molti fascisti catturati fossero passati per le armi); a far fronte alle prime necessità di popolazioni terribilmente provate; a istituire i primi organi amministrativi e di governo delle città e delle aree liberate. Mentre i tedeschi si arrendevano senza condizioni, Mussolini tentò una disperata fuga verso la Svizzera aggregandosi ad un reparto tedesco che cercava di raggiungere la Valtellina; ma, catturato e riconosciuto, fu fucilato con la sua compagna, Claretta Petacci, che non aveva voluto abbandonarlo (28 aprile). Sui confini orientali, già sottratti dai tedeschi alla Repubblica sociale, i partigiani jugoslavi si erano spinti nel frattempo in profondità nel territorio italiano, fino ad occupare Trieste e Gorizia, che cedettero poi alle truppe anglo-americane; ma conservarono sotto il proprio controllo tutta l’area istriana e ampie zone della Venezia Giulia. Durante l’occupazione jugoslava di Trieste, che ebbe anche l’appoggio di locali formazioni comuniste italiane, emerse con violenza l’antagonismo etnico e politico tra slavi e italiani (acuito dalle discriminazione e dalla violenze che le minoranze slave avevano subito dal regime fascista), sino all’uccisione di un elevato numero di civili italiani nelle foibe del Carso.

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Rosario Villari Sommario di Storia. 1900-2000 Editori Laterza, 2002 pp. 217-222 La svolta del 1942-1943. La caduta del fascismo in Italia Fin dalla primavera del 1942 cominciarono a manifestarsi gli effetti della riorganizzazione militare-industriale compiuta dai paesi dell'alleanza antinazista con l'aiuto americano. Nella primavera del 1942, in due battaglie navali (nel Mar dei coralli, di fronte alle coste della Nuova Guinea, e nei pressi dell'arcipelago delle Midway, a ovest delle Hawaii) gli Americani riconquistarono il dominio del mare infliggendo gravi perdite alla flotta giapponese, e poco dopo iniziarono la controffensiva su grande scala impegnando una battaglia (che durò dall'agosto del 1942 al febbraio del 1943) per la riconquista dell'importante base di Guadalcanal. La ripresa dell'offensiva tedesca nel 1942 si orientò verso il Sud-Est del1'Urss, con l'obiettivo di sottrarre all'esercito sovietico le fonti di rifornimento del petrolio e di interrompere le comunicazioni dal Sud tra 1'Urss e i suoi alleati. Nel corso di questa offensiva i Tedeschi giunsero fino al Don e al Volga e penetrarono nel Caucaso. Ma nel novembre del 1942 i Sovietici lanciarono una poderosa controffensiva sul fronte meridionale: un'armata tedesca, comandata dal generale von Paulus, fu annientata nella battaglia di Stalingrado (novembre 1942-gennaio 1943), che fu la prima grande sconfitta subita dai Tedeschi e segnò una svolta decisiva nello svolgimento della guerra. In quel momento anche nell'Africa settentrionale, dopo che nei mesi precedenti il generale Rommel aveva ottenuto notevoli successi, l'esercito inglese del maresciallo Montgomery tornò all'attacco con la battaglia di El Alamein, in seguito alla quale le truppe dell'Asse, che erano giunte ad un centinaio di chilometri da Alessandria, dovettero ripiegare in Libia. Intanto gli Americani preparavano una grande operazione di sbarco in Marocco e in Algeria, che fu effettuata nel novembre del 1942. Con l'occupazione dell'Africa settentrionale, che seguì di alcuni mesi allo sbarco americano, gli Alleati conquistarono piena libertà di movimento nel Mediterraneo. Ai primi di luglio del 1943 poterono quindi sbarcare in Sicilia e occuparla in breve tempo. L'interno sfacelo del regime fascista raggiunse allora il culmine. Nei mesi precedenti la mancanza di materie prime e di approvvigionamenti aveva creato grosse difficoltà nell'industria, i rapporti con l'alleato tedesco si erano venuti deteriorando e il malcontento aveva raggiunto anche le alte gerarchie del regime: il ministro degli Esteri, Ciano, che aveva tentato di opporsi alla politica di completa subordinazione alla Germania, era stato destituito, il generale Cavallero, capo di stato maggiore, si era dimesso e altri dirigenti fascisti, come Dino Grandi, cercavano di scindere la loro responsabilità da quella di Mussolini. I1 25luglio 1943, dopo una violenta discussione in seno al Gran Consiglio dei fascismo, la maggioranza, in contatto con la corte, votò una mozione di sfiducia contro Mussolini; Vittorio Emanuele III colse l'occasione per destituirlo e per farlo arrestare. Il governo fu affidato al maresciallo Badoglio, ex comandante delle forze armate, che costituì un ministero di «tecnici». Mentre nel paese la protesta popolare antifascista - che aveva cominciato a manifestarsi in forme massicce già prima di questi avvenimenti - rivelava pienamente l'abisso che si era scavato tra la nazione e il regime e la totale mancanza di adesione alla guerra imposta dal fascismo, il governo cominciò a negoziare segretamente con gli Alleati per giungere a un armistizio, che fu firmato a Cassibile, in Sicilia, i1 3 settembre 1943 e reso noto 1'8 settembre. Le truppe alleate dalla Sicilia erano sbarcate sulla penisola, in Calabria, mentre i Tedeschi, che avevano fatto affluire rinforzi, si preparavano a prendere direttamente sotto il loro controllo la situazione nell'Italia centro-settentrionale. Nessuna misura era stata presa per prevenire la reazione tedesca all'annuncio dell'armistizio: il re e il governo abbandonarono Roma, la cui occupazione da parte dei Tedeschi fu per breve tempo contrastata da gruppi di militari e di civili che spontaneamente si erano posti a difesa della capitale. La decisione presa allora dal re è stata molto discussa e giudicata

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negativamente da alcuni studiosi, ma in realtà servì a mantenere la continuità dello Stato, a dare un riferimento alle tendenze e iniziative di quelle parti dell'esercito che erano rimaste attive specialmente nei Balcani e in Grecia e ad attenuare le conseguenze della sconfitta favorendo la partecipazione alla guerra, nell'ultima fase, a fianco degli Alleati. In diverse zone le truppe italiane rifiutarono di passare sotto il comando tedesco e combatterono disperatamente, senza rifornimenti e senza direttive, prima di soccombere. Uno dei più importanti episodi di resistenza avvenne a Cefalonia, nelle isole Ionie, dove migliaia di soldati e ufficiali italiani, che avevano rifiutato di arrendersi, furono massacrati dalle truppe tedesche. Pochi giorni dopo l'armistizio, Mussolini, liberato da paracadutisti tedeschi, ricostituì un governo fascista (Repubblica sociale italiana) con sede a Salò (sul lago di Garda), sotto la tutela tedesca, mentre nella parte meridionale dell'Italia, occupata dagli Alleati, operava il governo Badoglio. Intanto a Napoli - una città che aveva subìto nel modo più tragico le conseguenze della guerra, dei bombardamenti aerei, della penuria alimentare e dello sconvolgimento della vita civile - la popolazione, esasperata dalle violenze e dalle angherie delle truppe tedesche, insorse battendosi valorosamente e vittoriosamente nelle strade per quattro giorni (27-30 settembre 1943). Era uno dei primi episodi della Resistenza italiana, che coincideva con una diffusa presa di coscienza antifascista in tutto il paese e con la trasformazione dell'antifascismo da atteggiamento di gruppi relativamente ristretti in vasto movimento nazionale. Un segno importante di questa maturazione politica - determinata sia dalla permanente attività delle forze antifasciste, sia dalla reazione a una guerra fin dall'inizio impopolare - erano stati gli scioperi nelle industrie settentrionali nel marzo del 1943 e le grandi dimostrazioni di giubilo che si erano svolte nelle città il 26 luglio, alla notizia della caduta del regime; un'altra e più importante manifestazione fu lo sciopero del marzo 1944, che ebbe luogo nei grandi centri industriali del Nord, con la partecipazione di un milione e mezzo di operai, e fu il più grande movimento di massa avvenuto in Europa sotto l'occupazione tedesca. La resistenza Uno degli aspetti più significativi della seconda guerra mondiale fu il sorgere - nel momento stesso in cui le armate tedesche avevano esteso il loro dominio su tutta l'Europa - di movimenti di liberazione nazionale formati da gruppi di volontari che si organizzarono nelle montagne o nelle campagne e formarono corpi di combattenti che agirono nelle città occupate, riuscendo talvolta a conseguire notevoli risultati e a intralciare le operazioni belliche dell'Asse. La loro azione fu diretta dai partiti antifascisti i quali, pur mantenendo le loro differenze ideali e politiche, operarono in alcuni casi in modo unitario contro il nemico comune. In Polonia, nell'Urss e in Jugoslavia i mo-vimenti di resistenza sorsero subito dopo l'occupazione. Nell'Urss ebbe una funzione centrale, nella creazione di un vasto movimento partigiano in cui confluirono circa 800.000 uomini, la rinascita di un diffuso patriottismo e la volontà di reagire alle violenze e alle crudeltà perpetrate dalle truppe tedesche contro la popolazione civile delle città e dei villaggi occupati. Il malcontento contro il regime sovietico produsse episodi di collaborazionismo solo in Ucraina, mentre fu completamente accantonato nel resto del paese di fronte all'esigenza della difesa dall'invasione. Nel caso della Jugoslavia, i partigiani comunisti guidati da Josip Broz (noto con il nome di Tito) organizzarono un grande movimento contro i nazisti e riuscirono a liberare il loro paese in modo autonomo, prima dell'arrivo degli eserciti alleati. Un successo importante dell'azione di Tito, che nel lungo termine doveva purtroppo rivelarsi non definitivo, fu il superamento dei conflitti etnici, che le truppe di occupazione tedesche e italiane avevano precedentemente fomentato per poter meglio esercitare il loro dominio. Sotto 1'egida italiana il governo fascista di Ante Pavelic aveva costituito uno Stato indipendente in Croazia, dove la minoranza serba era stata oggetto di violenze e persecuzioni che avevano provocato centinaia di migliaia di vittime. A differenza della Jugoslavia, in Polonia la resistenza contro i Tedeschi rimase separata in tre organizzazioni: la più numerosa era formata dai militari e dai partiti non comunisti, le altre dagli ebrei sionisti e dai comunisti. La volontà di Mosca di imporre in Polonia dopo la

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liberazione un governo fedele alle sue direttive fu all'origine di due episodi che provocarono contrasti e risentimenti tra il governo sovietico e gli alleati: il massacro di Katyn - dove furono rinvenuti i corpi di oltre 4000 militari polacchi e che fu attribuito ai Sovietici - e il sanguinoso fallimento dell'insurrezione antinazista di Varsavia, che scoppiò nell'agosto del 1944 mentre le truppe dell'armata rossa stazionavano, senza intervenire, a breve distanza dalla città. In genere i successi della Resistenza furono dovuti non soltanto all'azione militare delle formazioni partigiane ma anche al consenso e al supporto che essa ricevette dalle popolazioni e all'avversione largamente diffusa contro il nazismo e il fascismo. I numerosissimi casi di rappresaglie naziste nei confronti di comunità civili costituiscono un capitolo particolare della storia della seconda guerra mondiale, insieme alle deportazioni e allo sterminio sistematico degli ebrei, che fu l'aspetto più significativo ed emblematico della violenza e della sopraffazione esercitate dai nazisti contro gli altri popoli. In Italia, il caso di Marzabotto (nell'Appennino bologhese), dove furono massacrati indiscriminatamente 1800 abitanti, è diventato emblematico di tutta la serie di episodi analoghi che si verificarono durante lo svolgimento delle operazioni belliche nella penisola. Un altro episodio ben noto, anche perché gli ufficiali tedeschi responsabili furono condannati con procedimenti giu-diziari svolti nel dopoguerra, fu il massacro delle Fosse Ardeatine: 335 civili, in gran parte precedentemente arrestati perché sospetti di antifascismo o detenuti come ostaggi, furono uccisi per rappresaglia dopo un attentato compiuto a Roma, in via Rasella, contro una colonna tedesca. La Resistenza non si limitò soltanto alla lotta contro l'occupazione straniera, ma si accompagnò anche a un'opera di preparazione politica in vista del riordinamento interno degli Stati dopo la fine della guerra. In Italia, anche se non mancarono contrasti ed episodi di lotta interna tra i vari gruppi, il movimento partigiano ebbe uno svolgimento sostanzialmente unitario, almeno nei momenti decisivi. Il problema del coordinamento tra le forze antifasciste e le varie formazioni di partigiani fu affrontato con la creazione di Comitati di liberazione nazionale, composti da sei partiti (democratico-cristiano, comunista, socialista, d'azione, liberale e democratico del lavoro), i quali, nell'Italia centro-settentrionale, promossero la guerra contro i Tedeschi e i fascisti. Il coordinamento tra le forze antifasciste e tra queste e il governo costituito dal re era reso assai difficile, oltre che dalle incertezze di Badoglio circa l'atteggiamento da assumere nei confronti dei Tedeschi, anche dalla diffidenza dei partiti antifascisti nei confronti della monarchia, ritenuta re-sponsabile dell'avvento del fascismo e sostenitrice del regime durante il ventennio. Imponendo la resa senza condizioni, gli Alleati non avevano escluso che i rapporti con l'Italia e il regime di occupazione potessero essere modificati in relazione a un eventuale contributo italiano alla guerra contro la Germania. Su questa base il governo Badoglio prese l'iniziativa di dichiarare guerra alla Germania (ottobre 1943). Questa presa di posizione ebbe una certa importanza sul piano dei rapporti con gli Alleati, permise la ricostituzione di un nucleo di esercito regolare, che partecipò alle operazioni di guerra nell'Italia centrale, e incoraggiò ufficiali e soldati dell'Italia controllata dai nazisti a formare gruppi di partigiani. Fino a quel momento le formazioni partigiane erano state costituite prevalentemente dai comunisti e dal partito d'azione, che continuarono a essere le forze più attive della guerra popolare antifascista anche nel periodo seguente. Questa constatazione non deve indurci a sottovalutare - come ha fatto una parte della storiografia - 1'importanza del contributo che alla lotta antifascista è venuto da forze e correnti di diverso orientamento politico e ideale e da esponenti di tutti gli strati della società, animati dal patriottismo, dalla volontà di difendere l'indipendenza e la libertà della nazione, o da motivi religiosi e umanitari. Indubbiamente le divergenze non mancarono e riguardarono - oltre i grandi temi della pace, della giustizia sociale, della libertà e della democrazia - anche le questioni immediate. Permanevano infatti forti contrasti tra i partiti antifascisti sulla questione della monarchia e del governo Badoglio, sul modo di condurre la guerra contro i Tedeschi e i fascisti e sui rapporti con gli Alleati. La richiesta dell'immediata abdicazione del re - fatta da comunisti, socialisti e partito d'azione nel congresso dei partiti antifascisti che si tenne a Bari nel gennaio 1944 - provocò l'irrigidimento del governo Badoglio e degli altri partiti e accentuò le preoccupazioni degli Alleati per le caratteristiche che stava assumendo il movimento di resistenza. Un contributo importante al superamento di questa

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situazione di stallo venne da Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista italiano, rientrato dall'Urss nell'Italia meridionale nel marzo del 1944. Sostenendo che la liberazione del paese dai nazisti e dal fascismo e la creazione dei fondamenti di un nuovo sistema democratico dovevano essere realizzate attraverso la collaborazione di tutte le forze politiche disposte a impegnarsi per il raggiungimento di questi obiettivi, egli si dichiarò favorevole a un compromesso sulla questione istituzionale. In base a questo accordo il re si impegnò a dare la luogotenenza al figlio Umberto e a cedergli i poteri al momento della liberazione di Roma, e tutti i partiti decisero di rinviare la definitiva soluzione della questione istituzionale a dopo la fine della guerra. Sul piano militare, le diverse formazioni partigiane costituirono il Corpo dei volontari della libertà, sotto il comando del generale Cadorna, di Ferruccio Parri (partito d'azione) e Luigi Longo (partito comunista). La direzione politica della guerra partigiana fu assunta dal Clnai (Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia). Il periodo più aspro della guerra partigiana fu quello compreso tra l'autunno e l'inverno del 1944, dopo l'arresto dell'avanzata degli Alleati sulla cosiddetta «linea gotica», in Toscana. Anche in Germania la resistenza al nazismo (formata da diversi gruppi, tra i quali uno dei più noti fu quello studentesco della «rosa bianca») si fece più attiva a mano a mano che diventava palese l'insuccesso dei piani hitleriani. L'episodio più clamoroso fu l'organizzazione di un attentato contro Hitler da parte di un gruppo di ufficiali (20 luglio 1944). Al fallimento dell'impresa seguì l'impressionante vendetta di Hitler, nel corso della quale furono uccisi migliaia di militari e di civili (tra i quali anche il generale Rommel, costretto a suicidarsi) sospettati di avere partecipato all'organizzazione antihitleriana o di averne condiviso i propositi.

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