Occupazione, collaborazione, resistenza - Libri e Testi scolastici … · sabotaggio e di...

14
Razzismo e policrazia Dal 1940 al 1944 il Terzo Reich dominò un territorio vastissimo, che si estendeva dal- l’Ucrania all’Atlantico e dalla Norvegia al Mediterraneo. Tuttavia, i tedeschi non si com- portarono nell’identica maniera in tutti i territori che sottoposero al loro controllo. Ogni Paese, per così dire, ebbe la sua occupazione, che si svolse secondo modalità diverse e che, a volte, si modificò nel corso del tempo. Nel determinare il regime di occupazione dei vari Paesi, infatti, si manifestò nel modo più chiaro e più evidente il carattere policra- tico del sistema nazista, all’interno del quale molteplici strutture e diversi individui lottavano in accesa rivalità reciproca, per ottenere il controllo di un settore, di un’atti- vità o di un territorio. Solo nei casi in cui Hitler si pronunciava esplicitamente a favo- re di un individuo o di un gruppo, oppure prendeva una decisione vincolante per tutti il conflitto momentaneamente si placava su una questione, per riaprirsi poco dopo su un’altra faccenda. La variante decisiva, che determinava il tipo e le modalità di occupazione, era tuttavia le- gata al posto occupato da una data popolazione nella gerarchia razziale nazista, come emerge da un rapido confronto tra ciò che accadde in Norvegia, Danimarca Olanda e Bel- gio, da un lato, e in Polonia, URSS o Iugoslavia dall’altro. Mentre lo Stato polacco fu can- cellato e le popolazioni slave furono massacrate, danesi, norvegesi e abitanti dei Pae- Occupazione, collaborazione, resistenza 1 UNITÀ 7 Occupazione, collaborazione, resistenza APPROFONDIMENTO D F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Un ufficiale tedesco parla con un pari grado danese dopo l’occupazione della Danimarca a opera delle truppe del Reich. POTERI E CONFLITTI Riferimento storiografico pag. 10 1 Riferimento storiografico pag. 11 2

Transcript of Occupazione, collaborazione, resistenza - Libri e Testi scolastici … · sabotaggio e di...

Razzismo e policraziaDal 1940 al 1944 il Terzo Reich dominò un territorio vastissimo, che si estendeva dal-l’Ucrania all’Atlantico e dalla Norvegia al Mediterraneo. Tuttavia, i tedeschi non si com-portarono nell’identica maniera in tutti i territori che sottoposero al loro controllo. OgniPaese, per così dire, ebbe la sua occupazione, che si svolse secondo modalità diverse e che,a volte, si modificò nel corso del tempo. Nel determinare il regime di occupazione deivari Paesi, infatti, si manifestò nel modo più chiaro e più evidente il carattere policra-tico del sistema nazista, all’interno del quale molteplici strutture e diversi individuilottavano in accesa rivalità reciproca, per ottenere il controllo di un settore, di un’atti-vità o di un territorio. Solo nei casi in cui Hitler si pronunciava esplicitamente a favo-re di un individuo o di un gruppo, oppure prendeva una decisione vincolante per tuttiil conflitto momentaneamente si placava su una questione, per riaprirsi poco dopo suun’altra faccenda. La variante decisiva, che determinava il tipo e le modalità di occupazione, era tuttavia le-gata al posto occupato da una data popolazione nella gerarchia razziale nazista, comeemerge da un rapido confronto tra ciò che accadde in Norvegia, Danimarca Olanda e Bel-gio, da un lato, e in Polonia, URSS o Iugoslavia dall’altro. Mentre lo Stato polacco fu can-cellato e le popolazioni slave furono massacrate, danesi, norvegesi e abitanti dei Pae-

Occupazione,collaborazione,resistenza

1

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Un ufficiale tedesco parlacon un pari grado danesedopo l’occupazione dellaDanimarca a opera delletruppe del Reich.

POTERIE CONFLITTI

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

pag. 101

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

pag. 112

si Bassi furono considerati degli ariani a pieno titolo: e poiché nel nuovo ordine euro-peo sognato e progettato dai nazisti, il loro posto sarebbe stato a fianco dei tedeschi, fin-ché fu possibile l’occupazione fu blanda e poco più che nominale. Inoltre, i Paesi occi-dentali conservarono tutti l’autorità statale che li governava prima dell’occupazione, sic-ché il dominio nazista cercò di essere indiretto, filtrato da istituzioni nazionali. Quando le armate tedesche varcarono il confine danese il 9 aprile 1940, le autorità mi-litari ordinarono esplicitamente ai soldati di tenere un comportamento corretto, che innessun modo potesse offendere o irritare la popolazione locale. La motivazione di que-sto comando era di natura razziale: come disse un generale della Luftwaffe, «il danese nonè un polacco, ma piuttosto un teutone». Il re Cristiano X, il governo e il Parlamento de-cisero di non emigrare. Pertanto i nazisti, che preferivano di gran lunga trattare con au-torità conservatrici capaci di aggregare consensi, piuttosto che affidare il potere ai fasci-sti locali, fanatici, ma di solito privi di seguito popolare, cercarono di costruire un posi-tivo rapporto di collaborazione. Nel 1941, circa il 75% della produzione agricola da-nese era esportata in Germania, al punto che la Danimarca forniva tra il 10 e il 15%delle derrate alimentari che entravano nel Reich. Inoltre, nella Germania settentrionalelavoravano ogni anno circa 30 000 danesi. Desiderosi di rompere questo equilibrio, gli inglesi organizzarono una serie di azioni disabotaggio e di attentati, che spinsero i nazisti ad assumere un atteggiamento sempre piùrigido e più brutale. Tra le forze di occupazione, il plenipotenziario Cecil von Renthe-Fink,che dipendeva dal ministero degli Esteri tedesco, cercò fino all’ultimo di impedire le rap-presaglie, sostenute come necessarie dalle SS e dalla polizia. Nel novembre 1942, Renthe-Fink fu sostituito da Werner Best, che era un alto ufficiale delle SS; a Copenhagen tutta-via, anche Best si rese conto della fragilità dell’equilibrio danese e cercò di limitare la vio-lenza dei suoi colleghi. In Danimarca, insomma, la policrazia e lo scontro fra soggetti na-zisti differenti, che sostenevano linee e progetti contrastanti, giunse a trasformarsi in con-trasto interno alle stesse SS. Infine, il 29 agosto 1943, con le dimissioni del governo, la Danimarca uscì definitivamentedall’ambigua politica di neutralità filotedesca, tenuta fino ad allora e fece una precisa scel-ta di campo in direzione degli Alleati.

Resistenza e repressione in CecoslovacchiaUna situazione molto simile a quella danese si era da tempo creata in Cecoslovacchia,che dal 1939 era stata divisa in una Slovacchia formalmente indipendente e in un Pro-tettorato del Reich comprendente la Boemia e la Moravia (cioè le regioni più occidentalidel Paese). In questa regione, sottomessa direttamente alla Germania e amministrata dafunzionari tedeschi, i nazisti evitarono di commettere violenze e cercarono di non alie-narsi i favori della popolazione, che era sì slava, ma giudicata “razzialmente recuperabi-le” in virtù della positiva influenza che il secolare dominio austriaco aveva esercitato sudi essa. La situazione non mutò di molto neppure quando, nel settembre del 1941, ven-ne nominato da Hitler governatore della Boemia Reinhard Heydrich, il potente coman-dante dell’intero sistema poliziesco del Reich. Nel 1942, premuto dagli inglesi, il governo cecoslovacco in esilio a Londra si decise a com-piere un’azione clamorosa, che dimostrasse al mondo una precisa scelta di campo e dissi-passe ogni accusa di collaborazionismo dei cechi con la Germania. In concreto, fu deci-so di uccidere Heydrich (che, all’epoca, poteva essere considerato il terzo uomo più po-tente del Reich dopo Hitler e Himmler). A tal fine vennero paracadutati da un aereo in-glese due soldati dell’esercito cecoslovacco libero, costituitosi in Inghilterra. La mattinadel 29 maggio 1942, essi attaccarono la Mercedes di Heydrich e riuscirono a ferirlo gra-vemente con una bomba a mano, poi fuggirono a Praga e trovarono asilo presso i religiosidella chiesa di San Carlo Borromeo dove, scoperti e circondati, si suicidarono. Heydrich morì il 4 giugno all’ospedale di Praga. Per vendicarlo, nei giorni immediatamentesuccessivi i tedeschi uccisero 1331 cechi, fra cui 201 donne. A titolo dimostrativo la vio-

2

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Il caso danese

lenza nazista si scaricò soprattutto sul piccolo villaggio di Lidice, presso la città minera-ria di Kladno, non lontano da Praga. La mattina del 9 giugno 1942, la polizia tedesca disicurezza al comando del capitano Max Rostock circondò il paese e rinchiuse nei granai,nelle stalle e nella cantina del sindaco del luogo tutta la popolazione maschile del villag-gio. Il giorno seguente, 172 fra uomini e ragazzi oltre i sedici anni furono fucilati sul po-sto, mentre circa 200 donne furono trasportate nel campo di concentramento di Raven-sbrück, in Germania. Quanto ai bambini (circa 90), la maggioranza fu assegnata a fami-glie tedesche: fatto ciò, l’intero paese venne distrutto dalle fondamenta e perfino cancel-lato dalle carte geografiche.Solo in un senso molto lato si può parlare di rappresaglia, nel caso del massacro di Lidi-ce. Gli abitanti del villaggio, infatti, non avevano nulla a che fare con l’attentato e il pae-se fu scelto praticamente a caso: qualsiasi altro avrebbe potuto subire la sua sorte. L’obiettivodei nazisti era di tipo dimostrativo: far comprendere ai cechi che ogni tentativo di ri-bellione sarebbe stato schiacciato nel sangue e ricordare loro che, malgrado i secolari rap-porti della Boemia con la cultura germanica, essi erano pur sempre degli slavi, incapacidi competere, sotto il profilo razziale, con i dominatori tedeschi.

Il governo Pétain in FranciaTravolta dalla guerra lampo tedesca, la Francia si arrese il 25 giugno 1940. Il Paese era fra-stornato e confuso dalla clamorosa disfatta, del tutto incapace di comprendere le ragio-ni per cui il nuovo conflitto con la Germania l’aveva vista crollare d’improvviso, al pri-mo urto del nemico. Fu dunque una Francia disperata quella in cui l’11 luglio il mare-sciallo Pétain (l’eroe di Verdun, nel 1916) assunse la guida della Repubblica, dopo che569 deputati e senatori gli ebbero conferito poteri straordinari, che lo autorizzavano a sten-dere una nuova Costituzione. I decreti costituzionali 1, 2 e 3 gli concessero l’autorità di prendere tutte le decisioni con-cernenti la sfera esecutiva e legislativa, eccetto le dichiarazioni di guerra, senza dover ri-ferire all’Assemblea. In tal modo, la componente più conservatrice del mondo politico fran-cese approfittò della presenza di un esercito straniero per affossare lo Stato liberale, lademocrazia e l’eredità stessa della Rivoluzione del 1789.

3

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Alunni della scuola di Lidice posano per una foto ricordo. La piccola cittadinadella Cecoslovacchia fu rasa al suolo dainazisti nel 1942: solo i bambini furonorisparmiati dalla strage.

R i fe r i me n t os t o r i o g r af i c o

pag. 133

Tra i grandi principi rivoluzionari, un posto importantissimo occupava quello dell’uguaglianzadi tutti i cittadini davanti alla legge e allo Stato. Ma reazionari e conservatori, non ave-vano mai accettato l’idea dell’emancipazione civile degli ebrei. La nuova Francia parzialmenteoccupata dai nazisti, una volta stabilita a Vichy la propria capitale, si affrettò a cancellarladi propria iniziativa, senz’alcuna pressione da parte delle autorità del Terzo Reich. Sullabase di quanto previsto da una legge emanata il 22 luglio 1940, un comitato speciale ini-ziò una sistematica revisione di tutte le naturalizzazioni concesse a partire dal 1927. Altermine dell’indagine, 17 000 persone, tra cui 6000 ebrei, vennero private della nazio-nalità francese. È importante ricordare questo particolare in quanto il regime di Vichy,al momento delle deportazioni, cercò almeno in parte di evitare la cattura degli ebrei fran-cesi: di tutti gli ebrei deportati dalla Francia, 24 500 (il 32%) furono francesi, 56 500 (68%)stranieri.L’11 ottobre 1940, il maresciallo Pétain tenne un discorso radiofonico nel quale si rivol-geva simultaneamente alla popolazione francese e alle supreme autorità tedesche. Alla pri-ma, Pétain chiedeva lealtà verso gli occupanti e rinuncia a ogni forma di resistenza; ai te-deschi, offriva invece totale collaborazione. Il 22 e il 28 ottobre 1940, Pétain e il primo ministro Laval incontrarono Hitler a Mon-toire e gli ribadirono la totale disponibilità francese a legarsi al Terzo Reich, a pattoche la Francia fosse trattata da partner dotato di piena dignità, e non più da nemico umi-liato e sconfitto.

VISTO

DAVIC

INO

Alla legge del 22 luglio fece seguito quella del27 agosto 1940, che abolì il decreto Marchan-deau del 21 aprile 1939, con cui si bandivano lepubblicazioni antisemite e si punivano gli attacchialla religione ebraica sulla stampa. La conseguenzadi questa abrogazione fu la totale legalizzazionedelle più violente manifestazioni di antisemitismo edi odio razziale. Infine, il decreto del 3 ottobre 1940escluse definitivamente gli ebrei dagli incarichi nellastampa, nel cinema e dai ranghi superiori dell’am-ministrazione pubblica. Gli ebrei furono allontanatianche dagli impieghi e dagli incarichi pubblici, dallapolizia, dalle forze armate, dalla scuola e dalle in-dustrie finanziate dallo Stato. Il 6giugno 1942 furono respinti dai tea-tri, dai cinema e daiconcerti vocali o stru-mentali. Il 21 giugno1941 fu stabilita unaquota del 3% sull’am-missione all’università.Poi, con una serie didecreti sempre in evo-luzione, fu imposto il

numero chiuso, quasi sempre del 2%, in tutte leprofessioni. Le più importanti erano quella di av-vocato e di pubblico ufficiale (16 luglio 1941); dimedico e di architetto (24 settembre 1941); di far-macista e levatrice (26 dicembre 1941); di dentista(5 giugno 1942) e di attore (6 giugno 1942). Difatto, tra il giugno 1941 e il giugno 1942, gli ebreifurono esclusi in maniera più o meno radicale daquasi tutte le professioni.

I provvedimenti antisemiti nella Franciadi Pétain

Un gruppo di ragazziparigini si accalca davanti

al cancello di un parcogiochi dove è vietatol’ingresso agli ebrei.

Offerta di collaborazione

4

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Collaborazione e resistenza in FranciaIl 4 luglio 1940, temendo che cadesse in mano tedesca, gli inglesi bombardarono la squa-dra navale francese a Mers el-Kebir. Questo gesto, insieme alla convinzione che la guer-ra fosse finita, che la resistenza britannica sarebbe stata spezzata in tempi brevi e che oc-corresse al più presto adeguarsi al nuovo ordine europeo che il Terzo Reich stava imponendoall’Europa, spinse la componente più conservatrice della società francese a spingersi avan-ti, offrendo servizi di vario genere ai tedeschi. A partire dalla fine di febbraio del 1941,il governo fu assunto dall’ammiraglio François Darlan, che nell’inverno 1939-1940 ave-va sostenuto l’idea di un intervento a nord contro l’Unione Sovietica, nella guerra russo-finnica. A suo giudizio, oltre al comunismo, il vero nemico e concorrente della Fran-cia non era la Germania, con le sue ambizioni di espansione continentale a est, ma l’In-ghilterra, potenza dotata di una grande marina e di un impero coloniale. Secondo Dar-lan, Francia e Terzo Reich potevano essere complementari, mentre Parigi e Londra era-no destinate a un antagonismo insanabile: se avessero vinto gli inglesi, disse alla radio il2 maggio 1941, la Francia, spogliata della marina e dell’impero, sarebbe diventata «un do-minion di seconda categoria, un’Irlanda continentale». Nella primavera del 1941, si verificarono vari incidenti marittimi tra navi da guerra bri-tanniche e mercantili francesi; gli inglesi sostenevano che quelle imbarcazioni, provenientidalle colonie dell’impero francese o da Paesi neutrali, portavano in Europa merci e ma-

5

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

DOCUMENT IPétain offre alla Germania la collaborazione francese

L’11 ottobre 1940, in un discorso radiofonico, il maresciallo Pétain annun-ciò la posizione che avrebbe tenuto il governo francese dopo l’occupazionenazista.

[Il nuovo regime francese, istituito a Vichy,] rimetterà in onoreil vero nazionalismo, quello che, rinunciando a concentrarsi suse stesso, si supera per raggiungere la collaborazione interna-zionale. Questa collaborazione, la Francia è pronta a cercarlain tutti i campi, con tutti i suoi vicini. D’altronde essa sa che,qualunque sia la carta politica dell’Europa e del mondo, il pro-blema dei rapporti franco-tedeschi, trattato in modo così cri-minale nel passato, continuerà a determinare il suo avvenire.

Senza dubbio, all’indomani della sua vittoria sulle nostrearmi, la Germania può scegliere tra una pace tradizionaled’oppressione e una nuova pace di collaborazione... La sceltaspetta in primo luogo al vincitore ma dipende anche dalvinto... In presenza di un vincitore che avrà saputo dominarela sua vittoria, noi sapremo dominare la nostra sconfitta.

Y. DURAND, Il nuovo ordine europeo. La collaborazione nell’Europatedesca (1938-1945),

il Mulino, Bologna 2002, pp. 39-40, trad. it. A. ROMANELLO

In base anche a quanto si dice nel testo del paragrafo,precedente spiega la frase «In presenza di un vincitore che avràsaputo dominare la sua vittoria, noi sapremo dominare la nostrasconfitta».

Adolf Hitler posa davanti alla torre Eiffel a Parigi nel giugno 1940, subito dopo l’occupazione tedesca della capitale francese.

Contrasti traFrancia e Inghilterra

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

terie prime utilizzabili anche dalla Germania, per il suo sforzo bellico. Quindi, le navi datrasporto che venivano intercettate erano fermate e bloccate dalla Royal Navy. Darlan ac-cusò l’Inghilterra di pirateria, sostenne che (fino al maggio 1941) erano state attaccate 167navi francesi, per un totale di 790 000 tonnellate e chiese al Reich di poter impiegare navida guerra per scortare i convogli. Mai come in quel momento, durante tutta la guerra mon-diale, le relazioni tra Francia e Gran Bretagna divennero così tese, correndo fortementeil rischio di spingerle al conflitto armato.In questo contesto, il 28 maggio 1941 furono così firmati i Protocolli di Parigi, un ac-cordo che offriva ai tedeschi tre importanti concessioni militari: la Francia permetteva allaGermania di usare i propri aeroporti e le scorte militari francesi in Siria; l’uso del portotunisino di Biserta come punto di rifornimento delle truppe tedesche impegnate in Afri-ca del Nord; una base sottomarina tedesca a Dakar. In cambio, i tedeschi concessero unapiccola riduzione dei costi d’occupazione, il rilascio dei veterani francesi della prima guer-ra mondiale (70-80 000) ancora presenti nei campi di prigionia in Germania e infine al-cune modifiche alle restrizioni militari imposte al governo francese. Gli inglesi, però, siaffrettarono a occupare gli aeroporti in Siria, mentre Hitler, dal giugno 1941, perse in-teresse per la situazione francese, in quanto le sue attenzioni, da quel momento, si con-centrarono quasi esclusivamente sul fronte orientale. In Siria e in alcune zone dell’Africa, gli inglesi trovarono sostegno in ufficiali e reparti mi-litari francesi che avevano aderito all’appello radiofonico lanciato dal generale Charles DeGaulle, rifugiatosi in Inghilterra dopo la disfatta. «Qualunque cosa accada – disse De Gaul-le il 18 giugno 1941 a Radio Londra – la fiamma della Resistenza francese non deve es-sere estinta e non lo sarà». Un organico movimento di lotta contro l’occupazione, tut-tavia, impiegò in Francia molto tempo per organizzarsi. A lungo, fino a quando l’eserci-to tedesco sembrò del tutto invincibile, anche i più irriducibili sostenitori dell’indipen-denza francese erano demoralizzati e depressi: la loro opposizione si esprimeva in qual-che gesto simbolico oppure (in forma passiva, ma comunque pericolosa) nel darsi alla mac-chia quando si era convocati per un lavoro volontario da svolgere in Germania. Le cosecambiarono a partire dall’estate 1941, allorché l’aggressione tedesca all’URSS fece scen-dere in campo i comunisti, e a maggior ragione nel periodo seguente, man mano che siprospettava la possibilità di un’invasione anglo-americana.I tedeschi reagirono con estrema brutalità alle azioni di sabotaggio e di resisten-za armata. La rappresaglia più spietata si ebbe il 10 giugno 1944, quando una divisio-

6

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Militari tedeschi e poliziotti francesi

collaborazionistiimpegnati in un

rastrellamento di ebrei,fotografia del 1942.

Accordi franco-tedeschi

Un Paesedemoralizzato

ne di SS uccise un migliaio di civili nel villaggio di Oradour-sur-Glane, nella Franciasud-occidentale. I partigiani catturati erano in genere torturati, prima di essere invia-ti nei campi di concentramento del Terzo Reich: su 112 000 deportati per ragioni po-litiche, ne tornarono 35 000. Per la deportazione degli ebrei, invece, i nazisti operanti in Francia si accorsero in frettache avevano a loro disposizione una forza di polizia troppo scarsa: in tutta la Francia oc-cupata, ad esempio, la polizia d’ordine disponeva di tre battaglioni, cioè di circa 3000 uo-mini. Il problema fu risolto grazie a un accordo con il governo francese di Vichy (nellapersona di Pierre Laval, primo ministro dall’aprile 1942), cui i nazisti offrirono un com-promesso: in cambio della collaborazione della polizia francese, per il momento sarebberostati arrestati solo gli ebrei apolidi, cioè privi di cittadinanza. Quanto ai bambini di que-sti ultimi, Laval rispose esplicitamente che tale questione non lo interessava; la polizia fran-cese, pertanto, avrebbe arrestato e consegnato ai nazisti anche loro.Le retate avvennero il 16 e 17 luglio 1942: 9000 agenti della polizia francese arresta-rono 12 884 ebrei apolidi a Parigi. Circa 6000 persone (gli adulti non sposati, oppurele coppie senza prole o con figli grandi) furono inviati a Drancy, un sobborgo di Parigiadibito a prigione e campo di transito. Gli altri furono provvisoriamente internati al Vé-lodrome d’Hiver (o Vél d’Hiv), una struttura ciclistica nella zona ovest della capitale, epoi portati anch’essi a Drancy da autobus parigini, scortati dalla polizia francese. A grup-pi di mille alla volta, furono in seguito condotti ad Auschwitz.Nel complesso, tra il 20 agosto 1941 e il 17 agosto 1944, furono internati a Drancy (perpoi essere deportati) circa 67 000 ebrei. In totale, furono trasferiti dalla Francia verso estquasi 76 000 ebrei, in 67 convogli. Il primo, come abbiamo detto, partì il 27 marzo 1942,l’ultimo il 22 agosto 1944. A guerra finita, fecero ritorno in Francia 2 654 persone (menodel 3% dei deportati).

7

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Un’azione di sabotaggioorganizzata dagli uominidella resistenza francese: il deragliamento di un treno di cui ormairestano solo i rottami.

Retate a Parigi

Le ragioni della disfatta franceseNel 1941, lo scrittore antifascista ungherese Arthur Koestler – che nei primi mesi di guerra si tro-

vava in Francia – tentò di spiegare le ragioni dell’improvviso crollo morale francese, che rese il secon-do conflitto mondiale molto diverso dalla Grande guerra. Secondo Pétain, le ragioni della disfatta an-davano cercate nella democrazia, nell’individualismo, nella crisi dei valori tradizionali (la patria, la re-ligione, la famiglia). Al contrario, secondo Koestler, la ragione ultima andava trovata nella paura dellaborghesia e dei conservatori francesi, che preferirono la resa alla Germania a qualsiasi intervento so-ciale e politico, capace di aprire nuovi spazi alle masse popolari.

La Francia avrebbe potuto essere salvata? Accettando le spiegazioni della disfatta datedai patrioti di Vichy, la risposta era «no». Secondo loro le ragioni stavano nella pigrizia e nellacupidigia della classe operaia e delle classi basse in generale – in altre parole del popolo fran-cese; nel suo odio per l’autorità e nella sua preferenza per un regime democratico – in al-tre parole, nell’essenza stessa della sua tradizione storica. Nell’opinione del maresciallo Pé-tain, la battaglia della Francia era stata perduta nel 1789 con la presa della Bastiglia; e questodeplorevole avvenimento era una prova del carattere nazionale francese. Altre ragioni eranol’alcolismo, le denatalità e la disintegrazione della famiglia. Tutto questo naturalmente venivaad essere una conferma della tesi tedesca della degenerazione della razza francese. Pigri-zia, orgoglio, alcolismo, denatalità sono ritenuti i sintomi clinici della decadenza. [...]

La Francia poteva essere salvata? Sì, naturalmente. Soccombette non alla decadenzarazziale ma a un fenomeno che potrebbe essere appropriato chiamare la «Psicosi della Mu-raglia Cinese». La linea Maginot, come la Muraglia Cinese, era destinata a proteggere e apreservare una civiltà molto avanzata e stagnante contro l’intrusione dei barbari più vigorosi.Stagnante, perché nella seconda metà del secolo scorso [dell’Ottocento; l’autore scrive nel1941, n.d.r.], nella corsa all’industrializzazione, era rimasta molto indietro rispetto a entrambii suoi vicini, Germania e Inghilterra. Ed era rimasta indietro principalmente a causa delle ric-chezze del suo suolo, che le consentivano di continuare ad essere un paese del Pane e delVino, in un ambiente di Vapore e di Acciaio.

L’individualismo francese era una conseguenza di saturazione; il conservatorismo franceseaveva le radici nella campagna, più particolarmente nell’agricoltore medio, la spina dorsale dellanazione. Per questo era un conservatorismo essenzialmente provinciale, assai lontano da ogniaggressivo sentimento imperialistico. La Francia aveva delle colonie, ma non un impero. Pen-sava in termini di «Patrie», un concetto che esprimeva l’amore tenace del contadino per la terra,

e mancava completamente della mercantile coscienza impe-rialistica inglese. Il suo interesse principale era di preservare lostatus quo; un giornalista tedesco aveva una volta descritto laFrancia come un paese che procedeva felicemente su un car-retto tirato da un mulo in mezzo alla febbrile corrente delle lo-comotive e delle automobili sulla strada maestra del destino eu-ropeo. Era questa lentezza idillica che rendeva la vita franceseesternamente così attraente e internamente così stagnante.L’ultimo sforzo grandioso per preservare l’idillio dell’Ottocentoin mezzo a un ventesimo secolo che non aveva nulla di idillico,fu la costruzione della Muraglia Cinese.

Con la stessa spesa e lo stesso sforzo la Francia avrebbepotuto preparare un esercito moderno, meccanizzato e tridi-mensionale [dotato di un’aviazione poderosa ed efficiente,n.d.r.]. Perché non furono ascoltati gli avvertimenti di DeGaulle e di Reynaud, i quali dall’inizio degli anni trenta in poiavevano denunciato che il sistema di fortificazione di linea erasorpassato e avevano proposto il sistema di unità altamentemotorizzate, mobili, relativamente sufficienti a se stesse, e in-dipendenti, con una forza aerea superiore? La risposta su-perficiale è: perché l’arteriosclerotico Stato Maggiore francesenon voleva essere seccato con nessuna idea nuova. Ma po-terono farlo solo perché la Muraglia Cinese era veramente laproiezione del desiderio, profondamente sentito, della nazionedi essere lasciata tranquilla. La concezione di De Gaulle di unesercito offensivo avrebbe potuto salvare la pace dando alla

8

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Il maresciallo francesePhilippe Pétain.

DOCUMENT I

alleanza polacca e cèca un significato reale. Ma a quel punto la Francia non voleva più sal-vare la pace con nessuno sforzo costruttivo; voleva essere lasciata in pace; e questa sfu-matura psicologica costituiva tutta la differenza, e in effetti sigillò il suo fato. [...]

Quando il Fronte Popolare andò al potere nel 1936, fu Blum che prese l’iniziativa del pattodi non intervento, e firmò così la sentenza di morte dei suoi compagni in Spagna, perchégli si fece credere che aiutare il governo spagnolo avrebbe significato spingere la Germa-nia alla guerra. La sinistra francese era più francese che sinistra – e sacrificò la solidarietàdella classe operaia al suo desiderio di restare «dietro la muraglia».

Eppure l’episodio del Fronte Popolare, per quanto abortito, aveva dato una scossa mor-tale ai governanti di Francia, e provocato un cambiamento fondamentale nelle loro vedute.C’era una nuova minaccia per la loro sécurité, più pericolosa dei barbari esterni perché con-tro di essa non si poteva costruire una linea Maginot. Ma nello stesso tempo i barbari [i te-deschi, n.d.r.] avevano cominciato a sviluppare idee veramente civilizzate: l’abolizione deisindacati, lo scioglimento dei partiti di sinistra. L’unico difetto di Hitler era di essere tedesco.Altrimenti per gli interessi costituiti sarebbe stato una «garanzia di sicurezza» migliore di unturbolento popolo francese in armi. [...] Solo pochi arrivarono a proclamare apertamente,come fecero [...] le truppe per così dire d’assalto dell’alta finanza: «Meglio Hitler del FrontePopolare». Erano gli enfants terribles della destra, ma godevano della sua più o meno pa-lese approvazione e protezione. Una minoranza di politici corrotti e una minoranza di uffi-ciali accecati dall’odio di classe diventarono la Quinta Colonna di Hitler durante la guerra.La maggioranza del melieu bien pensant, delle classi più alte, ne fu l’inconsapevole stru-mento. I partiti della destra non avevano ragione di odiare Hitler e quando furono costrettialla guerra non combatterono contro il fascismo, ma per il mantenimento dello status quo.Sapevano quello per cui combattevano, ma non quello contro cui stavano combattendo.

A. KOESTLER, Schiuma della terra, il Mulino, Bologna 2005, pp. 222-226, trad. it. N. CONENNA

9

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Che cos’era la«psicosi dellaMuraglia Cinese»?

Spiega l’espressione«Nell’opinione delmaresciallo Pétain,la battaglia dellaFrancia era stataperduta nel 1789».

Spiega l’espressione«L’unico difetto di Hitler era diessere tedesco».

La fanfara tedescasfila vittoriosa suiChamps-Elysées a Parigi, alla testadelle truppe chehanno in pochesettimane piegatol’esercito francese.

R i fe r i me n t i s t o r i o g r af i c iOccupazione e policrazia

Il concetto di policrazia è ormai accettato da tutti gli storici, anche se alcuni, più di altri, mettonol’accento anche sul ruolo carismatico di Hitler. In ogni Paese europeo, il Terzo Reich fu rappresentatoda diversi soggetti: ciascuno di essi, spesso, perseguiva obiettivi e progetti propri, non sempre coordi-nati con quelli di altri esponenti del regime, che operavano nella stessa area, e quindi erano percepiticome rivali e come concorrenti.

Uno dei grandi specialisti dello studio delle occupazioni tedesche, Hans Umbreit, scrive:«I regimi d’occupazione tedeschi erano lungi dall’essere così monolitici e così ben organiz-zati come il mondo esterno credeva. Pochi regimi erano identici. Il più delle volte, erano ilrisultato di compromessi precari ed erano sottoposti a cambiamenti permanenti che di-pendevano, come la politica d’occupazione in generale, dalle sorti della guerra. Non si riu-scì mai a coordinare bene le attività dei vari servizi, la qual cosa era già divenuta una dellecaratteristiche della dittatura nazista nella stessa Germania».

La disparità degli statuti e delle situazioni interne al nuovo ordine europeo era infatti moltogrande se non addirittura sorprendente per chi abbia in mente l’immagine di un regime to-talitario nazista perfettamente coerente e dominato da un Hitler onnipotente. Come sispiega questa disparità? A quali obiettivi corrisponde? Umbreit ci invita a cercare la rispo-sta nelle strutture e nelle rivalità interne allo stesso potere nazista. [...]

I francesi fanno molta fatica a liberarsi di una visione dell’organizzazione del potere al-l’interno del Reich hitleriano ricalcata sulla concezione napoleonica dello stato. Una visionepiramidale, che pone al vertice dell’apparato statale un uomo solo e onnipotente (in questocaso Adolf Hitler) a capo di una gerarchia ben ordinata di poteri, tutti strettamente dipendenti

dal vertice, e che esercitano in suo nome laloro autorità in una sfera ben delimitata.

In realtà la maggior parte degli storicivede oggi il Reich nazista come un organi-smo policentrico o polinucleato, dove, at-torno a un nucleo centrale, si dispieganomolteplici nuclei di potere ugualmente onni-potenti, in linea di principio, nella loro sfera.Ne conseguono sovrapposizioni costanti e divario tipo tra queste sfere decisionali multiple,così che, dal vertice alla base, le interferenzetra poteri ugualmente onnipotenti tendono agenerare ciò che il filosofo Karl Barth, all’in-domani del crollo del Reich, definiva «anar-chia temperata dalla tirannia e tirannia tem-perata dall’anarchia». Così si combinano idiversi ingranaggi di un regime in cui il Füh-rerprinzip [principio del Führer, in base a cuile decisioni vengono tutte prese da un capo,procedono sempre e solo dall’alto verso ilbasso e non possono mai essere messe indiscussione, n.d.r.] non vale solo per il Füh-rer del Reich, ma per ogni potere, nello stato,nella società, nelle imprese, nel partito. Dap-pertutto un capo comanda e comanda dasolo in modo assoluto, ma questo poterene incontra immediatamente altri, dovunquela sua sfera di attività debba obbligatoria-mente connettersi a un’altra sfera.

Un esempio illustra perfettamente lastruttura polinucleata del Reich hitleriano.Quando Hitler affida a Speer pieni poterisull’insieme della produzione nel Reich enell’Europa occupata, allo stesso tempo af-

1

10

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Adolf Hitler fotografatodurante una parata.

fida a Sauckel lo stesso potere in materia di manodopera. Ora non può darsi produzionesenza manodopera; per poco che vi sia divergenza sui luoghi e i metodi di utilizzazionedi quest’ultima, si ha in nuce uno dei principali conflitti interni alle istanze egemoniche te-desche nei paesi occupati. Per considerare ora il solo caso di Speer, occorre ricordare che,nonostante egli sia stato investito di autorità sui servizi economici della Wehrmacht, i po-teri del generale Thomas, capo di tali servizi, non vengono per questo aboliti, non più diquanto non venga abolita l’autorità degli imprenditori sulle loro imprese, divenuti anch’essidopo il 1933 Führer riconosciuti come tali dallo stato, anche se obbligati a piegarsi allecostrizioni di un’economia pianificata. [...]

Si potrebbero allo stesso modo ricordare [...] molte altre contrapposizioni e sovrappo-sizioni di potere. Ciò che ne possiamo desumere per il momento è che la responsabilità delpotere, tanto nella decisione quanto nell’applicazione, non è affatto concentrata in modo as-soluto nelle sole mani di Hitler, ma è la risultante di molteplici nuclei di potere, dal momentoche gli stessi poteri subalterni contribuirono con il loro tocco personale al modo in cui fu con-dotta la politica nazista, compresa quella di sterminio.

L’altra conclusione da trarre è che le autorità e i popoli stranieri dipendenti dalla mac-china da oppressione nazista ebbero in realtà di fronte a loro aspetti di volta in volta di-versi di questa macchina. Si vedrà come l’ignoranza di questa struttura polinucleataavrebbe portato alcuni a prestare fiducia ai discorsi tenuti dall’uno o dall’altro dei deten-tori tedeschi del potere ritenendoli l’espressione dell’unico padrone del Reich, come sa-rebbe accaduto per esempio a Laval e Pétain con Abetz [Otto Abetz, rappresentante aParigi del ministro degli esteri tedesco J. von Ribbentrop, n.d.r.]. Altri invece crederannodi poter sfruttare a loro vantaggio le divergenze interne al potere policentrico nazista, peresempio Bichelonne [Jean Bichelonne, figura di spicco del mondo economico francesedegli anni trenta e quaranta, n.d.r.] nei suoi rapporti con Speer e Sauckel. Gli effetti di-vergenti delle politiche condotte dai diversi organi di potere tedeschi suscitano anche ri-valità e conflitti nei paesi dominati tra forze e poteri locali, dal momento che ogni repartotedesco cerca di patrocinare l’una o l’altra di queste forze, collaboratrice o collaborazio-nista che sia.

Y. DURAND, Il nuovo ordine europeo. La collaborazione nell’Europa tedesca (1938-1945), il Mulino, Bologna 2002, pp. 71-72, 89-91, trad. it. A. ROMANELLO 11

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Perché la«concezionenapoleonica dellostato» impedisce di comprendere afondo la realtà delregime nazista, siaall’interno che nellearee occupate?

Spiega il concetto di policrazia, in relazione allaproduzione bellica.

Quali problemiportava la policrazianei diversi paesioccupati?

Le diverse modalità della collaborazioneI gruppi dirigenti (politici ed economici) dei Paesi occupati dai tedeschi furono in genere molto ri-

luttanti ad assumere posizioni critiche o di resistenza. Convinti a lungo che la Germania avrebbe vintola guerra, tentarono di inserirsi nel nuovo sistema creato dai nazisti. In particolare, gli imprenditori cer-carono di ottenere tutti i vantaggi economici che l’occupazione permetteva di realizzare, mettendo laloro produzione industriale al servizio dei tedeschi.

Vi furono quattro generi principali di collaborazionismo: il compromesso, il collaborazio-nismo amministrativo, la cooperazione economica e il collaborazionismo ideologico.

Il compromesso era l’atteggiamento psicologico – adottato soprattutto dall’élite del-l’Europa occidentale nel primo periodo seguito alla sconfitta dei vari eserciti nazionali – cheportava ad accettare l’egemonia politica e militare tedesca e a cercare spontaneamente unmodus operandi con i vincitori. Questo atteggiamento era fondato sull’idea che la domina-zione tedesca fosse inarrestabile e irreversibile. Psicologicamente nasceva dal trauma dellasconfitta, ma i suoi teorici si sforzavano di basarlo su possibili sviluppi a lungo termine. Inun libro pubblicato nel 1942, Dirk Jan de Geer – l’ex primo ministro olandese che aveva cer-cato di fare da intermediario per la pace tra Gran Bretagna e la Germania dopo la cadutadella Francia – presentava il compromesso come la continuazione naturale dell’appeasementprecedente alla guerra: «lo spirito di Monaco». I precursori del compromesso consideravanola propria presa di posizione come una convergenza tra l’ordinamento politico tradizionaledell’Occidente e il nuovo sistema totalitario, e tendevano ad abbandonare le istituzioni de-mocratiche. I sostenitori occidentali del compromesso espressero le loro tendenze fondandoorganizzazioni di massa dove confluivano forme di anticomunismo radicale, conservatori-smo sociale e nazionalismo tradizionale. [...]

Quello amministrativo fu la forma più diffusa e naturale di collaborazionismo, poiché eraconsiderato dalla popolazione come l’ultima possibilità di autogoverno. I confini tra questidue aspetti del collaborazionismo amministrativi erano vaghi e dipendevano dalle strategiepolitiche tedesche locali. Nel 1941, Werner Best – principale consulente legale delle SS – de-

2

finì così le relazioni tra la Germania e gli stati europei conquistati: «Lo stato egemone (cioèla Germania) si limita a istituire un’amministrazione di supervisione per soprintendere all’in-tera amministrazione dello stato». [...]

Lo sfruttamento economico, essenziale per lo sforzo bellico tedesco e affinché i gerar-chi nazisti mantenessero il favore delle masse tedesche, venne sovente spacciato come coo-perazione economica. L’espressione cooperazione economica indica solo i rapporti eco-nomici basati su trattative conformi alle regole del mercato libero. La cooperazione eranecessaria anche per la sopravvivenza delle popolazioni assoggettate, ma i magnati del-l’industria dei paesi occupati non disdegnavano di trarne profitto. Sostenevano che senzala cooperazione per mantenere sana l’economia della Germania le nazioni occupate avreb-bero rischiato la fame, come successe agli olandesi durante lo sciopero generale del set-tembre 1944, e aggiungevano che la cooperazione economica serviva a impedire che l’in-dustria tedesca rilevasse e smantellasse le imprese locali. Ammesso che ciò fosse vero, laportata della cooperazione industriale andò ben oltre i limiti del necessario. Gli industriali fran-cesi firmarono un accordo con i tedeschi per la fornitura di materie prime che servirono perla produzione di aeroplani. L’industria francese finì per diventare, tra le nazioni occupate, l’as-sociata principale nello sforzo bellico tedesco: metà della produzione francese totale finiva

in Germania. Analogamente, nel 1944circa la metà della produzione industrialeolandese era ormai destinata a clientitedeschi. Quasi l’80 per cento del car-bone estratto in Belgio veniva inviato inGermania, così come la maggior partedei prodotti agricoli danesi – molto piùdelle quote stabilite negli accordi tede-schi con quei paesi. L’industria dell’Eu-ropa occidentale non solo ambiva a for-nire il mercato militare dei tedeschi, maanche a partecipare con loro allo sfrut-tamento dell’Est. Nel dicembre 1941vennero fondate alcune imprese olan-desi per promuovere «iniziative nell’Eu-ropa orientale e sud-orientale». L’entu-siasmo degli olandesi fu smorzato daitedeschi, i quali non vollero associarsicon nessuno nel piano di sfruttamentodell’Europa dell’Est. [...]

La parola collaborazionismo ha an-che implicazioni ideologiche e politiche.L’eclettismo dell’ideologia nazista con-sentì ad alcune organizzazioni politichedei paesi occupati di allacciare rapporticon il Partito nazista, pur restando ostilialla dottrina cui esso si ispirava. Tra que-sti collaborazionisti vi erano nazionalistiche accettavano l’attività dei tedeschi inun determinato campo, seppure oppo-

nendosi con ogni mezzo al loro dominio. [...] Diventarono docili strumenti della politica na-zista, senza alcuna autonomia decisionale. Questa fu la sorte di nazionalisti ucraini come Ste-pan Bandera e Andry Melnyk, comandanti dell’esercito russo antisovietico del generaleAndrei Vlasov, e di alcuni capi delle minoranze nazionali nei territori occupati dai sovietici.

Mentre questi leader furono vittime di una trappola politica che si erano essi stessi co-struita, i movimenti fascisti locali che collaborarono con i tedeschi erano pienamente con-sapevoli delle implicazioni della loro scelta. Tuttavia, malgrado la disponibilità dei movimentifascisti a collaborare, le forze tedesche di occupazione tendevano a ignorarli poiché prefe-rivano avere a che fare con i partiti della destra conservatrice che godevano di un seguitopopolare più vasto.

E. TZUR, Collaborazionismo, in W. LAQUER (a cura di), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, Torino 2004,pp. 167-171, ed. it. a cura di A. CAVAGLION

Spiega e chiarisci i quattro atteggiamenti descritti dall’autore: «compromesso»,«collaborazionismo amministrativo», «cooperazione economica» e «collaborazionismoideologico».

12

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

La collaborazioneindustriale con

il regime nazista fu unarealtà importante nellaFrancia occupata dalle

truppe del Reich. Negli ultimi anni dellaguerra, però, gli anglo-

americani punivano conraid aerei chi si

macchiava di tale colpa:l’immagine mostra

la distruzione di unostabilimento di una nota

casa automobilisticafrancese nei pressi

di Parigi.

Il maresciallo Pétain assume i pieni poteriPétain divenne presidente il 10 luglio 1940. Uomo della tradizione, rifiutava la democrazia e de-

siderava un rilancio dei valori del passato. Con Hitler e il Terzo Reich cercò di dialogare e di collabo-rare, convinto che ci fosse spazio per una Francia autonoma, nel contesto di un’Europa ad egemoniatedesca.

Benché l’armistizio del 25 giugno avesse rappresentato una rivoluzione diplomatica,niente obbligava la Francia a compierne anche una costituzionale. Una valida alternativa sa-rebbe stato un regime di armistizio che amministrasse il paese mantenendo in funzione i ser-vizi essenziali durante il periodo interinale, come avvenne in Belgio o in Olanda. Persino ilvoto del 9 luglio con cui si decretava la fine della Costituzione del 1875 lasciava aperta lanatura del futuro regime e soprattutto non stabiliva quando avrebbe dovuto essere redattoil nuovo testo costituzionale e da chi: prima o dopo la fine dell’occupazione e la firma dellapace con la Germania? Da un’assemblea eletta o da un regime che doveva agire di auto-rità in quel frangente? La legge presentata dal governo il 10 luglio dette a queste due do-mande una risposta del tutto antitetica alle tradizioni della Terza repubblica. Conferì al ma-resciallo Pétain pieni poteri, non già quellicon cui negli anni trenta diversi presidenti delConsiglio avevano legiferato per decreto, maquelli straordinari che lo autorizzavano astendere una nuova Costituzione, un docu-mento che sarebbe stato «ratificato dalla na-zione e applicato dalle Assemblee da essoemanate». [...]

Il presidente della Camera, Edouard Her-riot, il 9 luglio scongiurò i deputati di rimanerecalmi. «Intorno al maresciallo Pétain, con lavenerazione che in tutti noi il suo nome ispira,la nazione s’è raccolta nella propria afflizione.Stiamo dunque attenti a non turbare l’ac-cordo che s’è creato sotto la sua autorità.»In questo clima, Laval non dovette faticaremolto per ottenere che il parlamento delFronte popolare, eletto nel 1936, si schie-rasse ora a favore del piano del governo. De-putati e senatori approvarono con 569 votifavorevoli, 80 contrari (che in seguito si van-tarono di essere i padri della Resistenza) e 17astenuti, l’affidamento a Pétain dei poteri co-stituzionali. [...] Il giorno dopo, l’11 luglio,non si alzò nessuna voce quando il mare-sciallo Pétain assunse la nuova carica di«capo dello Stato francese». I decreti costi-tuzionali 1, 2 e 3 gli conferivano l’autorità diprendere tutte le decisioni concernenti lasfera esecutiva e legislativa, eccetto le dichiarazioni di guerra, senza dover riferire all’As-semblea. La gravità di tali misure largamente accettate non è stata abbastanza sottolineata.La collaborazione non sarebbe consistita più nell’espletare compiti di routine sotto l’occu-pazione nemica: ora significava approfittare della presenza di un esercito straniero per at-tuare cambiamenti importanti relativamente al modo in cui i francesi sarebbero stati gover-nati, istruiti e impiegati in attività lavorative.

Era tutto un vecchio mondo che stava scomparendo, mentre alcuni tratti del nuovo giàandavano delineandosi. Mai tanti francesi si erano mostrati pronti ad accettare la disciplinae l’autorità. [...] Questo desiderio di una mano castigatrice conduceva direttamente alla fi-gura del padre. Se non ci fossero state le circostanze drammatiche del 1940, difficilmenteun popolo scettico come quello francese avrebbe provato tanta devozione nei confronti delmaresciallo Pétain. Nel 1940, qualsiasi comandante vittorioso della Grande Guerra avrebberappresentato un balsamo per l’orgoglio ferito e perciò Pétain capitava al momento giusto.Era un vero eroe nazionale senza alcun visibile legame con la triste politica degli annitrenta. [...] Sebbene fosse stato al comando della battaglia più sanguinosa della Grandeguerra (Verdun), la sua opposizione alla strategia dell’attacco lasciò su di lui la fama del sol-

3

13

UN

ITÀ

7O

ccup

azio

ne,c

olla

bora

zion

e,re

sist

enza

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012

Philippe Pétain, a capo del governocollaborazionistafrancese negli annidell’occupazionenazista.

dato che aveva voluto risparmiare il sangue francese. La liquidazione degli ammutinati del1917 sembrò dura ma giusta. Anche Léon Blum definiva Pétain «il soldato più nobile eumano di Francia», pur deplorando che fosse designato come ambasciatore nella Spagnafranchista. Il 18 maggio 1940, Reynault lo chiamò nel suo governo perché rappresentavauna sorta di bandiera. Solo l’irriverente destra dei giovani si era presa gioco di lui senza ver-gogna durante gli anni trenta. Nell’estate del 1940, comunque, Pétain corrispondeva per-fettamente a quello che il clima nazionale si aspettava: all’interno era un sostituto dei poli-tici e una barriera contro la rivoluzione; all’esterno, invece, un generale vittorioso che nonavrebbe più fatto la guerra. Era l’onore e la sicurezza.

Dietro l’icona, però, viveva un Philippe Pétain in carne e ossa. Che tipo di decisioni ci sipoteva aspettare dall’uomo cui milioni di francesi avevano affidato il loro destino? [...]Quando nel maggio del 1917 rimpiazzò lo screditato generale Robert Nivelle alla testa dellearmate francesi, metà delle divisioni di prima linea erano ammutinate. Pétain capì meglio dimolti altri ufficiali che all’origine degli ammutinamenti c’erano le folli sortite lanciate per gua-dagnare pochi metri di terreno e costate migliaia di vite umane. Al pari di molti altri ufficiali,però, attribuiva un potere quasi magico agli «agitatori dall’esterno» e all’influenza dei bol-scevichi. I motivi d’allarme del 1917 lasciarono il segno sul maresciallo che per tutta la vitasi preoccupò soprattutto per la morale patriottica. Quando negli anni trenta dichiarò che ilsuo principale interesse era l’istruzione, Pétain intendeva la morale, non la conoscenza. Nel1940 era convinto, come disse all’ambasciatore americano Bullit, che i colpevoli della di-sfatta francese fossero gli insegnanti non patriottici.

Tutto questo significa che nel 1940 Pétain scorgeva nella sua missione non tanto il com-pito di individuare una giusta politica, quanto piuttosto quello di instillare atteggiamenti cor-retti. Profuse molti sforzi e grande cura nel suo ruolo di tutore morale del popolo francese.[...] Essendo abituato da venticinque anni a essere ascoltato su ogni questione come il sal-vatore della patria, pensava di essere indispensabile. Nel messaggio radiofonico del 25 giu-gno 1940 disse di aver fatto alla Francia «dono della [sua] persona». Si tenne saldo al po-tere per scrupolo di coscienza, cosa ancor più pericolosa, forse, dell’ambizione, poiché unvero ambizioso avrebbe cambiato rotta e non avrebbe trascinato con sé tutti quelli che ave-vano creduto nella sua icona.

Ma dov’erano, ci si può chiedere, i resistenti della prima ora, quelli che nel 1944 si pre-sentarono così numerosi […]? Oggi finalmente si dispone di buone fonti di documentazionecontemporanee (rapporti della polizia francese e molto materiale tedesco) da cui si ricava che,almeno fino al 1941, non si verificarono seri problemi di dissenso. A impedire che si avviasseun efficace movimento di Resistenza nei primi tempi dell’occupazione fu un certo numero diostacoli. Verso la fine del 1940 era difficile credere che la guerra non fosse praticamente fi-nita. Solo la tenacia britannica e le sterminate estensioni della Russia avrebbero dimostratoche la campagna di Hitler in Francia non era stata così decisiva come era sembrato all’epoca.La Resistenza ha bisogno di una certa quantità di speranza, e questa, nel 1940, non c’era.[…] Nell’estate del 1940, l’edizione clandestina dell’Humanité, il giornale comunista, invocavauna pace che suggellasse la riconciliazione tra lavoratori francesi e tedeschi. Naturalmenteattaccava Pétain come lacchè [servo, n.d.r.] dei capitalisti francesi, e ciò consentì al PartitoComunista di rivendicare, dopo la guerra, di aver lanciato la Resistenza. Con la stessa faci-lità, però, attaccava gli Alleati in quanto fomentatori di una guerra imperialista, asserendo chela Francia sarebbe potuta rimanere libera solo se fosse riuscita a non diventare un dominionbritannico. «Né con Pétain, né con de Gaulle», recitava un manifesto comunista affisso a Pa-rigi nel gennaio 1941. «La Francia non vuole né la peste né il colera».

R.O. PAXTON, Vichy, Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 52-60, trad. it. G. BERNARDI, E. MANNUCCI

Con quale maggioranza Pétain ottenne poteri costituenti? Che ruolo psicologico svolse Pétain, agli occhi dei francesi umiliati e sconfitti?Quale posizione assunsero i comunisti, fino all’estate del 1941?

14

UN

ITÀ

7L

ASE

CO

ND

AG

UE

RR

AM

ON

DIA

LE

APP

RO

FON

DIM

EN

TO

D

F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012