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1 LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA IN AMBITO ENDODONTICO SOCIETA’ ITALIANA DI ENDODONZIA Responsabile del progetto: Prof. Massimo Amato INDICE 1. Introduzione 2. Il contenzioso in Odontoiatria 3. Il consenso informato 4. Consenso al trattamento dei dati sensibili 5. La responsabilità contrattuale 6. Responsabilità professionale in endodonzia 7. Conclusione 8. Bibliografia 1. INTRODUZIONE Il registrato costante incremento del contenzioso giudiziario da responsabilità professionale medica (pari ad oltre il 180% negli ultimi 10 anni, con circa 150 mila casi l’anno ed un costo di 10 miliardi di euro, pari a circa l’1% del PIL della Nazione) impone riflessioni sulle motivazioni che sottendono tale fenomeno al fine di tracciare l’auspicabile condotta etico-deontologica e tecnico-professione da adottare così da prevenire o quantomeno da contrarre in maniera consistente il rischio di arrecare un danno al paziente/cliente e, quindi, di ridurre il numero dei giudizi promossi nei confronti dell’odontoiatra. La maggiore consapevolezza e compartecipazione alle scelte terapeutiche del paziente rende accresciuta l’aspettativa di successo e l’aumento della sfiducia nella

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LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA IN

AMBITO ENDODONTICO

SOCIETA’ ITALIANA DI ENDODONZIA

Responsabile del progetto: Prof. Massimo Amato

INDICE

1. Introduzione

2. Il contenzioso in Odontoiatria

3. Il consenso informato

4. Consenso al trattamento dei dati sensibili

5. La responsabilità contrattuale

6. Responsabilità professionale in endodonzia

7. Conclusione

8. Bibliografia

1. INTRODUZIONE

Il registrato costante incremento del contenzioso giudiziario da responsabilità

professionale medica (pari ad oltre il 180% negli ultimi 10 anni, con circa 150 mila

casi l’anno ed un costo di 10 miliardi di euro, pari a circa l’1% del PIL della Nazione)

impone riflessioni sulle motivazioni che sottendono tale fenomeno al fine di tracciare

l’auspicabile condotta etico-deontologica e tecnico-professione da adottare così da

prevenire o quantomeno da contrarre in maniera consistente il rischio di arrecare un

danno al paziente/cliente e, quindi, di ridurre il numero dei giudizi promossi nei

confronti dell’odontoiatra.

La maggiore consapevolezza e compartecipazione alle scelte terapeutiche del

paziente rende accresciuta l’aspettativa di successo e l’aumento della sfiducia nella

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classe medica e nelle strutture sanitarie pubbliche e private. Tutto ciò comporta un

maggior rifiuto da parte del paziente dell’insuccesso clinico terapeutico e delle

eventuali sue complicanze.

2. IL CONTENZIOSO IN ODONTOIATRIA

Su queste basi il contenzioso in odontoiatria è in netto aumento, con coinvolgimento

annuo per danno alla persona di circa l’1,5-3% degli odontoiatri e riconoscimento

della sussistenza di profili di responsabilità professionale nel 95% dei procedimenti

giudiziari promossi nei confronti del medesimo professionista sanitario.

I dati diffusi dal PIT Salute nell’ultimo rapporto evidenziano come l’odontoiatria si

colloca al terzo posto tra le discipline mediche specialistiche verso cui sono rivolte

segnalazioni di presunti errori terapeutici, con una percentuale media di lamentele del

9,4% nell’arco temporale compreso tra il 1996 ed il 2009.

TAB. 1: Distribuzione percentualistica dei presunti errori terapeutici dal 1996 al 2009

differenziati per area sanitaria (PIT salute, 2010 – n = 66.712)

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In particolare, le segnalazioni inerenti errori terapeutici in odontoiatria riguardano

vari ambiti della disciplina, quali l’endodonzia (errati interventi di cure canalari nelle

varie fasi di esecuzione), la chirurgia orale (errate estrazioni dentarie, danni di tronchi

nervosi da errata estrazione dentale), il settore protesico (realizzazione di un

manufatto protesico con materiale scadente, rottura di ponti e protesi a breve distanza

dal loro confezionamento, fratture di radici imputabili a perni moncone in metallo) ed

implantoprotesico (danni neurologici o a strutture anatomico funzionali da errato

inserimento di impianti ossei) o, molto più genericamente, consistono nella lamentata

produzione di danni su denti sani durante manovre di cura e dubbi sulla corretta

sterilizzazione dello strumentario adoperato per comparsa di patologie generali post

terapia odontoiatrica (epatite B e/o C,HIV etc.).

Minore rilevanza assumono invece gli addebiti di responsabilità professionale

dell’odontoiatra per errori di natura diagnostica, occupano, il decimo posto tra le aree

specialistiche verso cui è rivolta l’attenzione “accusatoria” del cittadino.

Sebbene l’insuccesso da errata progettazione e/o realizzazione di un trattamento

protesico ed implantoprotesico rappresenta la causa principale delle controversie in

ambito odontoiatrico (attività protesica: 31,10%; implantologia: 17,69%), il settore

della terapia conservativo-endodontica non è esente da tale rischio, rappresentando il

17,43% dei casi, venendo più frequentemente coinvolta in associazione con

problematiche di natura protesica .Perchè frequentemente il lavoro protesico viene

svolto su elementi trattati endodonticamente, per tale motivo spesso si include anche

la correttezza di tale trattamento per aumentare la richiesta risarcitoria, quando però

questa terapia non presenti i segni dell’insuccesso clinico.

Numerose sono le motivazioni che sottendono l’incremento del contenzioso in

ambito odontoiatrico, tra cui assumono particolare valenza il rapporto

prevalentemente di tipo privatistico in cui si inscrivono le cure odontoiatriche con

esborsi economici rilevanti, l’acquisizione da parte del paziente di una maggiore

consapevolezza dei propri diritti, le elevate aspettative di risultato, l’accresciuta

richiesta di professionalità, l’incremento delle prestazioni, gli atteggiamenti

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speculativi del paziente, i comportamenti disinvolti di taluni odontoiatri e il calo di

tensione deontologica tra colleghi.

3. IL CONSENSO INFORMATO

Non va sottaciuto in proposito la rilevanza data dal paziente alla tematica

dell’informazione e del relativo consenso all’atto medico-chirurgico -rappresentando

non infrequentemente uno dei motivi di insoddisfazione dello stesso- cui, invece,

spesso il Sanitario attribuisce il significato di mera incombenza burocratica formale

se non addirittura di uno strumento di medicina difensiva.

Come sottolineato da più parti, l’informazione rappresenta un dovere etico-

deontologico, ancor prima che giuridico del medico verso il proprio paziente.

Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un radicale trasformazione del rapporto

medico-paziente, che da un modello di tipo paternalistico, caratterizzato dalla

indiscussa potestà decisionale del medico, è virato verso quello dell’autonomia

decisionale in cui il paziente rivendica il diritto alla piena autodeterminazione previa

corretta ed esaustiva informazione.

È invocato, quindi, a gran voce l’emancipazione del paziente, che da soggetto passivo

della prestazione sanitaria diventa soggetto partecipe delle decisioni cliniche che lo

riguardano attraverso l’informazione che riceve dal medico.

In tale ottica, l’informazione, antecedente necessario ma allo stesso tempo

indipendente rispetto all’espressione della volontà del paziente, assume un primario

ruolo di rilievo, in quanto solo la sua corretta ed esaustiva divulgazione pone l’utente

nelle condizioni idonee per poter decidere se aderire al trattamento e a quale tipologia

di trattamento sottoporsi.

Pertanto, l’informazione deve essere considerata come parte integrante dell’atto

medico-chirurgico, a prescindere dal consenso, ed ha il prioritario obiettivo di

soddisfare il bisogno di conoscenza e di salute del paziente.

Essa, quindi, è un dovere del sanitario e un diritto soggettivo inalienabile del

paziente, rilevante in senso sia clinico che giuridico.

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Dottrina e giurisprudenza sostengono, oramai in modo unanime, come dovere e non

come facoltà l’acquisizione del consenso da parte del medico/odontoiatra che ha,

altresì, l’obbligo di informare esaustivamente il proprio paziente, la cui volontà è da

intendersi circoscritta a quella data prestazione e non ad altre, ravvisando la

sussistenza di responsabilità del medico/odontoiatra anche in assenza di veri e propri

errori di trattamento qualora sia stata praticata una terapia o un trattamento senza

consenso o con consenso non preceduto da adeguata ed esaustiva attività informativa.

Il rischio di problematiche relative all’informazione risulta sicuramente più alto nelle

prestazioni singole o occasionali nelle quali si consiglia di seguire obbligatoriamente

le procedure, onde evitare la fatalità del caso ma principalmente l’incapacità a gestire

nel tempo una corretta informazione in special modo sulle possibili complicanze.

Difatti, è ben noto in tal senso il cammino giurisprudenziale in sede civile che

persiste nel riconoscere profili di responsabilità professionale medica nei confronti

degli operatori sanitari che operano senza fornire la preventiva informazione.

Esemplificativa è la recente sentenza della Cassazione che giunge ad ammettere la

sussistenza di responsabilità professionale medica “per la semplice ragione che il

paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di

assentire al trattamento sanitario”, ciò indipendentemente dalla sussistenza di un

eventuale errore nella condotta tecnica1.

Con specifico riferimento all’ambito odontoiatrico, sono ben note le sentenze della

giurisprudenza di merito che ammoniscono il dentista sull’obbligo di dover fornire

una adeguata, veritiera, puntuale, esaustiva informazione, utilizzando una

terminologia consona al livello culturale del paziente, non potendo rifuggire da tale

1 Corte di Cassazione, III Sez. Civ., n. 5444, 1 dicembre 2005 – 14 marzo 2006: “La responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto. Ai fini della configurazione di siffatta responsabilità è del tutto indifferente se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. La condotta omissiva dannosa e l’ingiustizia del fatto sussistono per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che, quindi, tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di un valido consenso ed appare eseguito in violazione tanto dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione (a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), quanto dell'art. 13 della Costituzione (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica), e dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (che esclude la possibilità d'accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità; ex art. 54 cod. pen.), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del trattamento, si presentino peggiorate”.

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obbligo per la sola ragione che trattasi di prestazioni routinarie sufficientemente note

alla generalità delle persone2.

La formazione del consenso presuppone, quindi, una specifica informazione su

quanto ne forma oggetto, giacché non si può ritenere che possa avere rilievo giuridico

e/o etico un consenso espresso senza sapere specificatamente per quale motivo e con

quali finalità viene prestato.

La definizione anglosassone di “informed consent” appare in tal senso meglio

indicativa del corretto procedimento da seguire: informare prima, mediante adeguato

colloquio per acquisire, poi, un consenso realmente consapevole.

Più che di informazione si dovrebbe parlare di “comunicazione”, sottolineando la

necessità che il sanitario ponga ogni argomentazione in modo soggettivamente

intelligibile per il paziente, così da non svilire l’auspicata “autonomia” decisionale

del paziente in una ipocrita illusione.

Peraltro, il dovere di informativa viene ricalcato anche nel Codice di Deontologia

Medica che sottolinea la necessità da parte del medico/odontoiatra di “fornire al

paziente la più idonea informazione”, non potendo egli “intraprendere attività

diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del

paziente”.

Pertanto, il paziente non può essere più considerato il soggetto passivo di una

prestazione sanitaria, svolta dal curante con i pieni poteri decisionali, ma è titolare di

precisi diritti quale quello di scegliere, consentire, rifiutare, revocare un trattamento

propostogli.

2 Tribunale di Lanciano, gennaio 2005: “L’obbligo di informazione che grava sui sanitari si applica anche ai medici odontoiatri non potendosi validamente sostenere che la cogenza di tale obbligo in ambito odontoiatrico debba essere stemperata e ridotta in relazione a quelle prestazioni di routine che sono sufficientemente note alla generalità delle persone. Il contenuto dell’obbligo di informazione deve infatti essere adeguato alle caratteristiche specifiche del paziente con il quale il dentista si relaziona onde assolvere al proprio obbligo di informare secondo correttezza e buona fede”. Tribunale di Bologna, 13 marzo 2006: “in rapporto alla professione di medico odontoiatra, la diligenza dovuta comporta una adeguata preparazione professionale ed una scrupolosa attenzione nell’applicazione delle regole tecniche del caso; cosicché nella diligenza viene ricompresa anche la perizia, da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione. Con riguardo in particolare al tema della determinazione del “quantum” dell’informazione necessaria, questa non può essere in alcun modo generica ed omnicomprensiva, ma deve riguardare le singole fasi dell’intervento; in particolare per ognuna di esse il dovere di informazione concerne le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi prevedibili - con esclusione solamente degli esiti anomali per evitare che il paziente sia indotto al rifiuto delle cure per il timore di eventi infausti di remota verificazione -, in modo da porre il paziente nelle condizioni di decidere sull’opportunità di procedervi o meno, attraverso la personale valutazione del bilanciamento di vantaggi e rischi, a maggior ragione qualora si tratti di interventi non strettamente necessari per la sua salute”.

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È quindi dovere assoluto del medico/odontoiatra fornire una corretta, completa e

assimilabile informazione al fine di porre il paziente nelle condizioni di esercitare

consapevolmente i propri diritti.

La comunicazione, sia essa orale che scritta, presenta una serie di difficoltà

intrinseche che vanno da quella di trasmettere in modo comprensibile ad un profano

notizie ad elevato contenuto tecnico, ai rilevanti ostacoli connessi ai diversi gradi

culturali, alla reattività psichica di ciascun paziente.

La dottrina ha da tempo avanzato la tesi secondo cui il difetto di informazione integra

un “errore motivo” che vizia il consenso, rendendo conseguentemente invalido il

contratto stipulato tra il sanitario e l’assistito.

In pratica secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di

informazione rientra appieno nell’ambito della complessa prestazione medica,

derivandone, così, elementi di responsabilità contrattuale, per il suo inadempimento o

inesatto adempimento.

In conclusione, l’informazione al paziente deve essere intravista come parte

integrante e preliminare del processo curativo, non finalizzata esclusivamente

all’acquisizione del consenso all’atto curativo: in altre parole non è un momento

neutro ma un intervento terapeutico a tutti gli effetti.

In tal senso val la pena ricordare quanto espresso da Jung (1981): “non si tratta di

istruire il paziente intorno ad una necessità, ma di far sì che il paziente stesso

pervenga a quella verità; non si tratta di rivolgersi alla sua mente, ma di conquistare

il cuore: ciò incide più profondamente e agisce con maggiore efficacia”.

4. CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI SENSIBILI

Peraltro, al pari di qualsiasi tipologia di trattamento sanitario, anche quello

odontoiatrico necessita dell’acquisizione del consenso al trattamento dei dati

personali (e con essi anche di quelli sensibili) del paziente (allo stato disciplinato dal

Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, noto anche come Codice in materia

dei dati personali), che presuppone la necessità di dover fornire specifica

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informazione circa finalità e modalità del trattamento cui sono destinati i dati, natura

obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati, conseguenze ad un eventuale

rifiuto nel rispondere, soggetti ai quali i dati possono essere comunicati ed ambito di

diffusione dei dati medesimi, diritti, dati di identificazione e individuazione del

titolare del trattamento, nonché il diritto di accesso ai dati personali.

Anche il Codice di Deontologia Medica affronta tale problematica, dedicando ben un

due specifici articoli alla disciplina del trattamento dei dati sensibili (artt. 11 e 12),

indicando la necessità di dover registrare nella cartella clinica oltreché i modi e i

tempi delle informazioni e i termini del consenso all’atto diagnostico-terapeutico,

anche il consenso del paziente al trattamento dei dati sensibili (art. 26), nonché di

raccogliere preliminarmente i nominativi di eventuali persone cui poter trasmettere le

informazioni riguardanti lo stato di salute del paziente ricoverato (art. 34).

Peraltro il dovere di agire nel rispetto delle norme di tutela della riservatezza

dell’ammalato è sottolineato anche nel rapporto con il medico curante dello stesso e

con i colleghi più in generale (art. 59).

5. LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE

Passando agli aspetti tecnici della responsabilità professionale dell’odontoiatra, essa

si viene a realizzare allorché si realizza un danno al paziente causalmente riferibile ad

una errata condotta diagnostico-terapeutica del professionista sanitario.

In particolare, le fasi cliniche in cui può realizzarsi la responsabilità professionale

odontoiatrica di natura tecnica sono quella della diagnosi, del trattamento e del

follow-up, dovendo sottolineare che il risultato del trattamento di cura è condizionato

da numerosi fattori tra cui assumono particolare rilievo non solo la qualità della

prestazione fornita, ma anche la bontà del materiale utilizzato, il comportamento della

persona assistita, lo stato anteriore dello stesso e la risposta biologica al trattamento

realizzato.

Emblematica in tema di responsabilità professionale medica è la recente sentenza

della Corte di Cassazione, III Sezione Civile (sentenza n. 8826 del 13 aprile 2007)

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che nel consolidare il principio del “favor creditoris”, individua il contenuto

dell’obbligazione allorchè si realizza si statuisce un contratto di cura, nonché

l'intensità della diligenza richiesta al professionista sanitario.

In particolare, la suddetta pronuncia ribadisce che la responsabilità del

medico/odontoiatra è sempre di natura contrattuale, anche laddove l’odontoiatra

presti la propria opera nell’ambito di uno studio professionale ad altri intestato e da

altri coordinato e diretto, in virtù del “contatto sociale” che si instaura tra le parti,

dovendo il professionista sanitario eseguire la propria prestazione in conformità al

profilo professionale che gli appartiene.

Dalla natura contrattuale della responsabilità del medico/odontoiatra ne discende che

egli deve osservare nell'esecuzione della prestazione non già la diligenza del buon

padre di famiglia, bensì quella, di più intenso grado, del buon professionista ex art.

1176, comma 2 codice civile.

Peraltro, laddove il professionista sanitario vanta una specializzazione il grado di

diligenza richiesto è ancora più intenso in considerazione che a diversi gradi di

specializzazione corrispondono diversi gradi di perizia, venendo il giudizio calibrato

sul grado di diligenza richiesta in funzione delle caratteristiche del professionista e

della struttura entro la quale egli opera.

Inoltre, in ragione della natura contrattuale dell'obbligazione, l’odontoiatra deve

garantire il “risultato dovuto, quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità”

(venendo, di fatto, a cadere la tradizionale distinzione dell'obbligazione “di mezzi” e

obbligazioni “di risultato”), da valutarsi in relazione alle condizioni del paziente,

all'abilità tecnica del professionista sanitario e alla capacità tecnico-organizzativa

della struttura in cui lo stesso opera.

Ne deriva che “il risultato normalmente conseguibile per i migliori specialisti del

settore operanti nell'ambito di una determinata struttura sanitaria ad alta

specializzazione tecnico-professionale non può considerarsi tale per chi sia viceversa

dotato di minore grado di abilità tecnicoscientifica, ovvero presti la propria attività

presso una struttura con inferiore organizzazione o dotazione di mezzi, ovvero in una

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struttura sanitaria polivalente o "generica", o, ancora, in un mero presidio di "primo

intervento".

Ed ancora, sul piano probatorio si applicheranno le regole della responsabilità

contrattuale e, quindi, sull’odontoiatra ricade l’onere di provare che l’inadempimento

della prestazione dipende da causa a lui non imputabile, ciò indifferentemente se

trattasi di interventi di “facile” o “difficile” esecuzione.

Peraltro, l’insuccesso della prestazione medica (inadempimento) viene a realizzarsi

non solo in caso di aggravamento dello stato morboso o per insorgenza di nuova

patologia, ma anche per mancato miglioramento dello stato di salute che rende inutile

l'intervento effettuato.

È, poi, ribadito che il professionista sanitario è tenuto a dimostrare la sua correttezza

comportamentale in ragione “della maggiore possibilità per il debitore onerato

(odontoiatra) di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in

misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista

nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore (paziente), essendo

estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come

nel caso specializzato nell'esecuzione di una professione protetta” (principio della

vicinanza alla prova o di riferibilità).

In altri termini, quindi, “il danneggiato è tenuto a provare il contratto e ad allegare la

difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da

una condotta improntata alla dovuta diligenza. Mentre al debitore, presunta la colpa,

incombe l'onere di provare che l'inesattezza della prestazione dipende da causa a lui

non imputabile, e cioè la prova del fatto impeditivi”. (Fig.1-3)

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Fig. 1, 2, 3. La paziente A.F. di anni 43,inizia una azione risarcitoria verso il collega che ha effettuato sia l’endodonzia che la protesi 5 anni prima. Sono presenti lesioni osteolitiche su quasi tutti gli elementi dentari. L’azione legale si è conclusa in fase di transazione con il pagamento da parte dell’Assicurazione di circa 60.000 euro, per imperizia dell’operatore che peraltro si era assunto le proprie responsabilità per l’andamento del caso, facilitandone la rapida conclusione.

6. RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE IN ENDODONZIA

Non esistono per l’endodonzia accordi univoci tra le diverse Scuole relative alle

modalità di trattamento, alle procedure terapeutiche, alla tecnica di strumentazione,

detersione, chiusura al limite radiografico dello spazio endodontico etc. Negli anni si

sono osservati notevoli variabili tecniche, grande sviluppo tecnologico e di materiali,

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tentativi di standardizzazione di metodiche per una o più fasi del trattamento. Ma

successi e fallimenti per ogni tecnica proposta, non hanno mai consentito di stilare

una classifica di metodologie adottate dando una priorità ad una rispetto all’altra, se

non relativamente a percentuali di maggiore o minore numero di operatori adoperanti

tale tecnica.

Peraltro, il tentativo di standardizzare una metodica di trattamento e di adottarla

indipendentemente dall’elemento dentario da curare e dal tipo di patologia, può

rappresentare il presupposto per un trattamento incongruo in presenza di una variabile

anatomica del dente, che, invece, potrebbe richiede un tipo di tecnica differente da

quella standardizzabile.

Il primo livello di diligenza richiesta ad un dentista “generico” deve essere perciò

prima della tecnica adoperata, quello dell’attenzione che ci si aspetta da un

professionista ragionevolmente competente, con una preparazione media e non

certamente quella altamente specialistica. Dall’altra parte, la specificità di branca,

l’alta qualificazione endodontica, può essere dichiarata, qualora esista, con implicito

incremento delle aspettative del paziente e maggiore obbligo di un migliore risultato

clinico dal professionista operante.

Pertanto il dentista “generico”, correttamente e mediamente preparato

nell’endodonzia, indipendentemente dalla varietà di tecniche in suo possesso, dovrà,

dopo una diagnosi corretta, informare il paziente delle possibilità terapeutiche a sua

conoscenza, dei rischi, delle percentuali di guarigione clinica, dei costi, delle

alternative terapeutiche anche che non fanno parte del suo bagaglio professionale

affinchè informato, possa liberamente scegliere la migliore terapia compresa.

Su questa base deve essere sempre documentato l’iter diagnostico-terapeutico

adottato, ispirandosi ad una prestabilito schema comportamentale per una più corretta

razionalizzazione della condotta professionale.

Una linea guida può avere rilevanza giuridica nel giudizio di responsabilità

professionale solo nella misura in cui costituisca un parametro di riferimento che

esprima una condotta professionale media, definendo i mezzi e le relative regole di

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condotta tecnica che la maggior parte degli odontoiatri mediamente diligenti avrebbe

osservato nella propria pratica professionale all'epoca dei fatti in una situazione

analoga.

Pertanto relativamente all’endodonzia spesso si dovranno valutare esclusivamente gli

errori tecnici dimostrabili con il supporto radiografico del prima e del dopo terapia

consistenti principalmente in quelle alterazioni anatomiche che modificando

sostanzialmente l’apice o il canale radicolare non ne consentano un corretto sigillo

(stripping nei canali curvi, trasporto del canale, formazione di gradini, false strade e

perforazioni, forami a goccia, rottura degli strumenti e loro permanenza nel canale).

L’individuazione di una o più di queste realtà avverse, è indicatore di errore tecnico

professionale nell’esecuzione di una qualsiasi delle metodiche terapeutiche

attualmente in uso (Fig. 4, 5, 6).

Fig. 4 Il paziente di circa 24 anni si presenta con una intensa tumefazione nella regione superiore sinistra, all’esame radiografico si evidenzia uno slargamento apicale o una perforazione con mancanza di controllo dei materiali da otturazione apicale e loro fuoriuscita nei tessuti sovrastanti. Qualora l’operatore avesse informato il paziente dell’accaduto, con un reintervento ortogrado/ retrogrado ,il caso avrebbe avuto una soluzione clinica e non medico legale. Infatti il paziente spesso comprende il possibile errore tecnico ma non la cattiva fede.

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Fig. 5. Il paziente, F.G. di anni 55, si rivolge per una CT , dopo la costante caduta della struttura protesica sul gruppo inferiore e per un ascesso ricorrente in regione molare inferiore destra, dove appare notevole il riassorbimento apicale e la lesione osteolitica.

Fig.6. Paziente S.C. di anni 45, viene richiesta consulenza per valutare la congruità dei trattamenti endodontici per via ortograda e retrograda. Gli elementi dentari trattati sono il 14, 13, 12, 11, 21, 23, 24, 25 e 27.Su di essi è stata costruita, circa 3 anni prima, una protesi fissa in metallo ceramica. All’OPT evidenti le aree osteolitiche su quasi tutti gli elementi dentari. Da un punto di vista medico legale sono da considerarsi inadeguati i trattamenti su 14, 13, 12, 11, 27 in quanto la presenza di aree osteolitiche evidenziano il fallimento terapeutico nel breve termine. Anche il 24 trattato chirurgicamente mostra una lisi ossea, pertanto deve ritenersi un fallimento. In assenza poi di tatuaggi d’amalgama , come in questo caso, nulla risulta imputabile rispetto all’eccesso di materiale da otturazione retrograda ed alla sua disseminazione intraossea.

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In proposito possono essere distinte complicanze (ovvero “ogni evento negativo, non

pianificato, che tende ad aggravare uno stato di malattia oltre il livello previsto, in

condizioni di normalità”) di tipo locale o generale.

Le complicanze a carattere locale possono essere così classificate in:

- dei tessuti moli: edema, trisma, disfagia

- a carico dei vasi: emorragie, ecchimosi, ematomi

- infettive: alveoliti secche e umide, osteiti

L'edema gli ematomi e le ecchimosi sono dovuti all'accumulo di liquidi, sia di tipo

essudativo che ematico, nei tessuti adiacenti alla zona e coinvolgono spesso le guance

ed i tessuti perimandibolari.

Il trisma è la contrazione spastica dei masseteri, può essere dovuto all'edema ed

all'accumulo dei prodotti dell'infiammazione, a fatti infettivi diretti delle fibre

muscolari (miosite), alla lacerazione delle stesse dovuta al contatto con gli strumenti

rotanti, oppure all'eccessivo prolungarsi dell'intervento, che costringe il paziente a

rimanere a lungo con la bocca aperta. In queste ultime due situazioni il meccanismo

patogenetico è di tipo indiretto in quanto il muscolo si contrae in risposta ad uno

stimolo algico di tipo riflesso.

Le infezioni possono riguardare sia i tessuti molli che quelli duri. Le infezioni a

carico dei tessuti molli sono per lo più dovute o a manovre errate dell'operatore, che

determinano lacerazioni della mucosa o al non rispetto da parte del paziente delle

istruzioni post-operatorie.

I processi infettivi dei tessuti duri sono classificati in: Alveoliti ed Osteiti.

Le alveoliti sono dovute a vari fattori sia di tipo locale che sistemico; tra i fattori

locali riconosciamo la precoce lisi del coagulo dovuta alla produzione di enzimi

batterici, o fatti traumatici, soprattutto in prima giornata, quali sciacquare

continuamente la bocca, assumere cibi duri, pulire energicamente con strumenti

incongrui. Tra quelli sistemici vanno considerate; le malattie di tipo metabolico, quali

il diabete che influisce non solo sulla guarigione rendendola più difficile ma anche

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sulle capacità di difesa dell'organismo esponendolo ad un maggior rischio di

infezioni.

Le osteiti sono dei processi infettivi che si propagano dal sito chirurgico alle strutture

ossee adiacenti e pur essendo abbastanza rare rivestono una notevole importanza dal

punto di vista medico, poiché determinano un decadimento delle condizioni generali

del paziente.

Le alveoliti e le osteiti si manifestano clinicamente da 2 a 10 giorni dopo l'intervento

con una sintomatologia variabile che comprende febbre, tumefazione dolente delle

zone coinvolte, violenti dolori di tipo trafittivo e linfoadenopatia satellite.

Le emorragie possono essere immediate e tardive. Le prime compaiono nei casi di

traumi a strutture vascolari importanti o a discrasie a carico dei meccanismi che sono

alla base della formazione del coagulo; le seconde invece compaiono tra le 12 e le 24

ore dopo l'intervento e sono dovute a traumi, infezioni, alterazione dei meccanismi di

stabilizzazione del coagulo, al cedimento delle suture o al non rispetto da parte del

paziente delle istruzioni post-operatorie date dal medico.

Le complicanze di carattere sistemico invece, sono quelle che modificano le

condizioni di salute generale del paziente, mettendone a volte a repentaglio la vita e

possono essere dovute o a patologie preesistenti (es. endocarditi) non adeguatamente

trattate o situazioni del tutto improvvise (shock anafilattico, infarto del miocardio).

Non vanno poi dimenticate le lesioni neurologiche ed in particolare del nervo

alveolare inferiore, che può presentarsi in seguito a sovra strumentazione del canale

radicolare ed alla fuoriuscita di materiale da otturazione dall’apice endodontico per

l’eccessivo riempimento. La sintomatologia varia in relazione all’entità della lesione

subita dal nervo e può manifestarsi con una diminuzione (ipoestesia), un aumento

(iperestesia) o una perdita totale della sensibilità (anestesia). Talora possono

comparire sintomi quali sensazioni abnormi rispetto allo stimolo sensitivo (disestesia)

o addirittura alterazioni della sensibilità in assenza totale di stimoli (parestesia).

In particolare le lesioni a carico delle strutture nervose possono essere classificate a

seconda della gravità in (tab. 2):

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- neuroprassia: interruzione funzionale, reversibile, della conduzione

dell'impulso da parte delle fibre nervose ed è spesso dovuta a traumi di tipo

compressivo o da riscaldamento. Il recupero funzionale normalmente avviene

entro poche settimane ed è totale;

- assonotmesi: interruzione parziale del nervo, con il mantenimento dell'integrità

della guaina di Schwann la quale guida la rigenerazione dell'assone,

permettendo nel giro di qualche mese il recupero, totale o parziale, della

sensibilità;

- neurotmesi: sezione completa del tronco nervoso che impedisce il recupero

spontaneo della sensibilità.

Tabella 2 : Lesioni di strutture nervose.

LESIONE EZIOLOGIA TERAPIA

Neuroprassia Compressione o

riscaldamento.

Recupero funzionale spontaneo in

poche settimane.

Assonotmesi Sezione parziale dell'assone,

integra la guaina di Schwann

Recupero funzionale in circa 6 mesi;

somministrazione di sostanze

neurotrofiche.

Neurotmesi Sezione completa

dell'assone. Microchirurgia.

Le strutture nervose che più frequentemente subiscono tali danni sono il nervo

alveolare inferiore ed il nervo linguale. Una compressione durante le manovre di

lussazione o la trazione esercitata sul nervo in caso di tenaci aderenze tra le radici

dell'elemento ed il nervo stesso sono generalmente le cause principali.

Pertanto in endodonzia chirurgica l'uso incongruo di strumenti taglienti o di frese,

utilizzati durante le fasi di osteotomia, odontotomia e revisione della cavità residua

possono determinare lacerazioni delle fibre nervose o un loro surriscaldamento se non

si provvede ad una attenta ed abbondante irrigazione con soluzione fisiologica.

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Solo nel caso del nervo linguale il trauma può realizzarsi in seguito ad un errato

disegno del lembo, con l'incisione in cresta che risulta troppo spostata lingualmente, o

per una compressione dovuta all'affondamento dello strumento preposto alla

protezione dello stesso nervo durante l'uso degli strumenti rotanti.

In tesi generale comunque, un danno di un tronco nervoso può essere conseguenza di

un trauma diretto ad opera degli strumenti endodontici oltre apice, di un danno

chimico ad opera di materiali utilizzati durante la terapia endodontica, di

compressione da materiale endodontico o ematoma, da obliterazione del canale in

seguito a riparazione cicatriziale del nervo leso.

Da numerosi studi è emerso che eugenolo e paraformaldeide, N2 ed endometasone –

materiale utilizzato per le otturazioni, sono responsabili di reazioni neurotossiche.

Peraltro sono segnalati anche casi di lesioni nervose legate ad altri materiali, quali

cloroperca, AH26, Hydron, Diaket, pasta iodoformica, Calasept ed Endoseal e

soluzioni irriganti come ipoclorito di sodio.

Lesioni nervose di tipo meccanico possono invece essere provocate dal passaggio di

guttaperca nel canale mandibolare; ciò determina compressione sul nervo: in questo

caso l’alterazione della sensibilità insorge più precocemente rispetto alle lesioni di

tipo chimico.

Non vanno dimenticate le lesioni nervose da insulto termico, provocate ad esempio

dalla fuoriuscita di guttaperca termoplasticizzata di solito a 55˚C.

Dalla revisione della letteratura emerge che l’intervento di elezione in questi casi è la

tempestiva rimozione chirurgica del materiale.

Nel caso di lesioni a carico delle strutture nervose, la terapia è diversa a seconda che

si tratti di neuroprassia, in cui la sensibilità viene recuperata spontaneamente;

assonotmesi nella quale il tempo di recupero e intorno ai sei mesi ed è indicato l'uso

di sostanze neurotrofiche per facilitare la rigenerazione walleriana; neurotmesi in cui

l'unica soluzione è la micro-sutura dei due tronchi nervosi il più rapidamente

possibile.

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Nell'arcata inferiore, le lesioni a carico di strutture vascolari importanti sono

abbastanza rare ed i rischi possono essere ulteriormente allontanati con un attento

disegno del lembo e l'uso accorto di tutta la strumentazione chirurgica.

Le fratture delle strutture ossee possono aversi a carico del processo alveolare, del

tetto del canale mandibolare e della mandibola, sia parziali che totali. Questo tipo di

lesioni solitamente compaiono in seguito alla mancata valutazione pre-operatoria

della presenza di lesioni di tipo patologico quali cisti, tumori, fenomeni osteoporotici,

lesioni traumatiche, contiguità delle radici dell'elemento al canale mandibolare,

associata all'utilizzo di strumenti non idonei ed alla applicazione di forze di entità e

direzione non adeguate.

I danni agli elementi contigui possono derivare dal contatto dell'elemento incluso con

la corona o le radici di quest'ultimi o dall'uso non corretto di pinze, leve e strumenti

rotanti, i quali possono determinare non solo lesioni a carico della corona, ma anche

erosioni a livello delle radici, compromettendo, la vitalità e a volte la permanenza

dell'elemento stesso in arcata.

Strumentario di qualità scadente, utilizzato un numero eccessivo di volte e quindi

sottoposto a molti cicli di sterilizzazione, o in maniera errata, può facilmente andare

incontro a rottura con possibili conseguenze sia di tipo meccanico che infettivo che

tossico. Tutte queste possibili complicanze andrebbero sinteticamente scritte in un

modulo di consenso, principalmente nel rapporto occasionale con il paziente o

quando la valutazione corretta del caso clinico lasci pensare ad una di queste

evenienze. Resta in ogni caso in endodonzia, sempre da valutare il successo clinico,

così come sottolineato da A. Castellucci, attraverso la valutazione di assenza del

dolore spontaneo e/o provocato e di gonfiore, scomparsa di tragitti fistolosi

eventualmente preesistenti, ripristino della funzionalità dell’elemento dentario,

scomparsa della radiotrasparenza apicale di origine endodontica, assenza o non

comparsa di una radiotrasparenza all’apice di un elemento dentario con parodonto

periapicale precedentemente integro, presenza di una normale lamina dura. L’assenza

di una o più di queste condizioni è indice di insuccesso terapeutico /Fig. 7-11).

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Fig. 7-11 La paziente riferisce dolore costante in zona sovraincisale, oltre alla discomia dei due centrali. L’esame rx denota esiti di 2 trattamenti endodontici ortogradi inadeguati con sovrastrumentazione e/o riassorbimento interno e inadeguato riempimento camerale, gli elementi dentari risultano poi sottoposti ad interventi di otturazione retrograda con utilizzo di generose dosi di amalgama. La presenza della fistola , documentata anche dalla radiografia con il cono e maggiormente un sondaggio parodontale con perdita ossea superiore ai 5/7 mm debbono porre l’operatore nel dubbio diagnostico di una possibile frattura della radice, possibilità alta in un caso come questo. Pertanto va proposto anche per iscritto , un consenso alla terapia , dove si richiede l’autorizzazione all’apertura di lembo diagnostico discriminante con due possibilità :l’estrazione in caso di frattura o il reintervento qualora vi siano le possibilità cliniche. All’apertura del lembo ,entrambi gli elementi dentari presentano fratture radicolari. Si è così evitato un errore diagnostico ed una possibile inadeguate terapia.

Questi dati, unitamente alle possibilità terapeutiche, alle conoscenze, alle precauzioni

cliniche da adottare (utilizzo della diga di gomma, anche nella prevenzione delle

ingestioni e/o inalazione di materiali o strumenti) pongono l’endodontista in

condizione di predire il successo clinico, di contenere l’errore tecnico professionale e

di operare anche in giusto tempo scelte terapeutiche apparentemente più demolitive

(endodonzia /implantologia) limitando il possibile contenzioso (Fig. 12).

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Fig. 12. Ingestione di fresa utilizzata per l’esecuzione della cavità d’accesso: l’applicazione della diga di gomma avrebbe prevenuto l’accaduto. (per gentile concessione dott. E. Tosco)

Ulteriore errore, cui fanno seguito terapie superflue ed inutili, è la mancata diagnosi,

spesso per mancata conoscenza, delle cosiddette “cicatrici apicali”, ossia di processi

riparativi non completamente ossificanti, in cui è residuato un tessuto non

osteogenico distante radiograficamente dall’apice radicolare con una area di

radiopacità, che resta immodificato per il resto della vita. Fondamentale in tali casi è

l’anamnesi, la conoscenza del caso da parte del paziente ed il controllo radiografico

nel tempo. Pertanto il consiglio è di consegnare anche una radiografia endo orale al

paziente alla fine della terapia, in modo che correttamente informato l’acquisisca

come sua documentazione sanitaria.

È opportuno sottolineare che l’endodontista deve documentare il suo operato in

quanto, in caso di contenzioso, ricade su di lui l’onere di dimostrare di aver bene

agito e che il danno lamentato dal paziente è non causalmente riferibile ad una sua

errata diagnosi o scelta/esecuzione terapeutica.

In ogni caso tenendo presente che non è possibile approntare un modello di consenso

informato valido per tutte le tipologie di trattamento endodontico praticabile in

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considerazione delle variabili soggettive poste dal singolo problema clinico, vale la

pena sottolineare che il modulo da compilare e da porre all’attenzione del paziente

deve essere personalizzato.

Volendo fare degli esempi su procedure frequenti il paziente deve sapere che se si

effettua un intervento di pulpotomia camerale post-traumatica, v’è comunque il

rischio che possa verificarsi la necrosi pulpare e che questa procedura terapeutica

nella fase diagnostica non può determinare gli esiti dell’insulto traumatico sul tessuto

pulpare e perciò la possibile necrosi corono radicolare è un evento istologico non

prevedibile ma possibile. Per tale motivo sarà corretto porre nell’atto di consenso la

possibilità che si debba poi dovere procedere ad un successivo trattamento

farmacologico di apicificazione il cui risultato è strettamente legato alla risposta

tessutale nel tempo (in media da 12 a 36 mesi) per tentare di indurre una formazione

apicale di contenzione dei materiali da otturazione apicale per la permanenza

dell’elemento dentario in arcata.

Risulta fondamentale che il paziente o nel caso di minori, i genitori sottoscrivano

l’impegno a controlli clinici trimestrali, il cui mancato rispetto potrebbe giustificare il

fallimento del piano terapeutico.

Nel caso invece di un ritrattamento endodontico il paziente dovrà essere informato

che l’elemento dentario era stato già precedentemente trattato, eventualmente da altro

professionista, e che non è possibile determinare radiograficamente, almeno nella

fase iniziale del ritrattamento, le modifiche anatomiche apportate sia a livello

camerale che a livello radicolare ed apicale dalla terapia effettuata; pertanto il

ritrattamento ortogrado, patologia di sempre più frequente riscontro clinico, è una

metodica terapeutica ad alto rischio per il professionista che la diagnostica e

l’affronta. Notevoli le variabili possibili nei casi che si presentano e quasi tutte

determinate da una strumentazione non congrua che può presentare indici di difficoltà

e di fallimento elevati. Per tali ragioni vale la pena soffermarsi sia sulla diagnosi,

documentando meticolosamente lo stato iniziale e sottolineando le possibili

modificazioni che non rendono agevole il successo clinico e che possono comportare

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un successivo intervento di endodonzia retrograda e/o nell’estrazione dello stesso

elemento dentario.

Spesso sono presenti anche perni endocanalari di vario tipo (in varie fibre cementati

con compositi, di metallo cementato e/o avvitato) su cui risulta applicata una struttura

protesica singola o unita ad altri elementi di protesi fissa. In tale circostanza deve

essere sottolineato al paziente che la diagnosi passa attraverso il sacrifico della

protesi già applicata e v’è un rischio concreto di perdita dell’elemento dentario per

fratture radicolari o perforazioni nel tentativo di rimuovere perni, rispettivamente

metallici e in fibra, tenacemente adesi ai tessuti dentali.

È bene anche informare il paziente di tutte le possibilità in tema di endodonzia

chirurgica, relative pure alle possibili complicanze relative all’anestesia, oltre che al

possibile insuccesso terapeutico, principalmente per quei casi già trattati anche

chirurgicamente mantenendo un corretto rapporto corono-radicolare da valutare sia

prima che dopo l’intervento.

Non va ancora dimenticato in ambito post-endodontico che il sigillo camerale ha una

importanza fondamentale nel successo di un trattamento endodontico, per tale motivo

un ritardato restauro può inficiare per la microinfiltrazione batterica anche un

trattamento radiograficamente perfetto. Anche questa elemento di informazione deve

essere reso noto al paziente.

In conclusione è opportuno informare il paziente che la riabilitazione funzionale

dell’elemento trattato endodonticamente segue oramai un preordinata procedura

comportamentale: valutare la diminuzione del contenuto acquoso della dentina

dell’elemento dentario trattato endodonticamente (+/- 9% secondo Helfer, 1972), le

modificazioni dell’architettura (per perdita del tetto della camera pulpare), le

alterazione del collagene dentinale (con modificazione dei legami crociati di

tropocollageno), il comportamento biomeccanico della struttura dentale sotto stress,

la perdita dei propriocettori e gli effetti corrosivi dei materiali che impongono una

riabilitazione di tipo protesico nella maggioranza dei casi.

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Inoltre se l’obiettivo di un restauro diretto deve tenere conto della ritenzione del

restauro, qualora si opti per tale possibilità si deve ben valutare il disegno della cavità

residua, la quantità di dentina sana residua, il settore di appartenenza dell’elemento

dentario (molari, premolari), l’occlusione e la funzione anche non corretta del

paziente. Ricordando che i materiali compositi, oramai generalmente in uso e quasi

panacea della restaurativa hanno una contrazione da polimerizzazione, un elevato

coefficiente di contrazione ed espansione termica, un assorbimento d’acqua, una

porosità, una bassa resistenza all’abrasione ed un basso modulo elastico, una usura

relativa sia all’attrito che all’abrasione e pertanto vanno utilizzati per precise

indicazioni.

Si ritiene utile riproporre la formula di Schilder indicativa della percentuale di

successo di un trattamento, secondo cui lo stesso è condizionato dalla manualità

dell’operatore e dalla conoscenza e corretto uso dei materiali.

Formula di Schilder: 100% - (manualità dell’operatore) – (conoscenza e corretto

utilizzo dei materiali)

Aspetti peculiari dell’esercizio dell’attività odontoiatrica sono rappresentati dalla non

infrequente collaborazione fra più figure specialistiche o, comunque, con altre figure

professionali (igienista, assistente alla poltrona, odontotecnico) con richiamo

immediato alla responsabilità di èquipe, nonché il ricorso ad attrezzature tecniche più

o meno sofisticate e l’uso uso di materiali merceologicamente diversi in continua

evoluzione con richieste sempre più pressanti di un obbligo di risultato oltreché di

mezzi.

In merito alla responsabilità di èquipe merita di essere sottolineato che mentre in

ambito penalistico vale il principio della responsabilità personale soggettiva, per cui

in ogni caso viene ricercata e distinta l’eventuale singola responsabilità di ciascun

sanitario intervenuto, in sede civilistica deve essere valutato la posizione gerarchica

assunta dal professionista sanitario nell’ambito della èquipe. Laddove l’odontoiatra si

interfaccia con figure professionali gerarchicamente subalterne (collaboratore;

igienista dentale; odontotecnico; assistente alla poltrona), egli risponderà oltrechè di

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suoi errori, anche dell’eventuale errata condotta dei sottoposti per colpa in eligendo

(da cattiva scelta del preposto) ed in vigilando (per mancata adeguata sorveglianza).

Nel caso in cui trattasi di professionisti sanitari aventi analoga posizione gerarchica,

ma diversa qualifica professionale ognuno di loro dovrà valutare l’attività svolta dai

membri dell’èquipe ed eventualmente porre rimedio ad eventuali errori macroscopici

e rilevabili con il supporto delle conoscenze comuni del professionista medio. Tale

dato ha notevole rilevanza per l’endodontista che genericamente presta la sua

competente opera professionale in più studi professionali e che spesso crea le basi

tecnico cliniche per altri colleghi che sull’endodonto sviluppano strategie

terapeutiche più onerose e delicate, modificando anche in parte il lavoro svolto

all’interno del canale.

7. CONCLUSIONE

Da uno studio conoscitivo condotto su 140 casi giudiziari di responsabilità

professionale venuti all’osservazione presso la Cattedra di medicina legale del

Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale ed il Dipartimento di

Scienze Odontostomatologiche e Maxillo-Facciale dell’Università degli Studi di

Napoli “Federico II” e relativi a soggetti di entrambi i sessi (54 maschi e 86

femmine), con età media di 45 anni (range 20-70) è emerso che un errato trattamento

conservativo-endodotico (37,5%) si associa il più delle volte ad un’errata

progettazione/applicazione di un dispositivo protesico (50% protesi fissa – 37,5%

implantologia).

L’analisi della documentazione clinica relativa allo stato anteriore disponibile ha

evidenziato la completa assenza della stessa nel 60% dei casi, con una documentata

acquisizione di un valido consenso all’atto terapeutico nel 5% dei casi.

Più frequentemente si è pervenuto ad un giudizio di responsabilità professionale

medica per aspetti di imperizia, con importi del danno emergente medi per i 2/3 del

campione oscillanti tra i 5.000 ed i 20.000 euro, pur in presenza di un danno

biologico permanente in circa l’80% dei casi pari od inferiore al 4%. Questi dati

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riassuntivi, se pur su campione limitato, esplicitano la situazione attuale, dove ci si

continua a preoccupare dell’inquadramento fiscale del paziente e non di quello etico

professionale, pertanto in conclusione, appare opportuno fornire possibili

suggerimenti per un corretto comportamento professionale in odontoiatria, quali

impiegare adeguata cura e diligenza nella diagnosi e nel trattamento, con appropriati

standard di professionalità (sotto il profilo tecnico e merceologico), registrare i dati di

pretrattamento, stendere i piani di trattamento, registrare i dati del trattamento e

conservarli adeguatamente oltre il trattamento (5 anni), registrare i dati sulla

cooperazione del paziente, chiedere consulti scritti solo a specialisti o a strutture

qualificate,con quesiti scritti, evitare invece garanzie scritte o implicite di sicuro

successo clinico, colloquiare con il paziente e con la famiglia, sempre in presenza

anche del personale di studio, registrare il consenso informato e conservarlo, così

come fare apporre la firma sotto la cartella clinica, agire nel rispetto delle norme

deontologiche e evitare di criticare l’operato degli altri colleghi. Riconoscere con

umiltà un proprio errore professionale, interpellare colleghi ultraspecialisti,

documentando interventi che esulano dalla propria sfera di competenza, interrompere,

per iscritto, le cure di pazienti negligenti e valutare l’eventualità di azioni legali per il

recupero crediti .

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