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www.storiainrete.com Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L 353/03(conv in L. 27/02/2004 n°46) Art.1 Comma 1 Salerno Aut /SA/11/2018/C, GUERRA ALLA SVEDESE Durante la Guerra dei Trent'anni il re di Svezia, Gustavo Adolfo, si conferma tra i maggiori strateghi del Seicento STORIE IN GIALLO Perché è morto Winckelmann? Chi era Jack Lo Squartatore? Perché sparì Agatha Christie? Voci e storie di uomini e donne di Salò MEDIOEVO GIAPPONESE Diviso in 250 stati spesso in lotta tra loro, il Giappone del '400 aveva un'economia e una società vivaci n. 157 | Novembre 2018 | € 6,90 LA REPUBBLICA DEI VINTI

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GUERRA ALLA SVEDESEDurante la Guerra dei Trent'anni il re

di Svezia, Gustavo Adolfo, si confermatra i maggiori strateghi del Seicento

STORIE IN GIALLOPerché è morto Winckelmann? Chi era Jack Lo Squartatore?Perché sparì Agatha Christie?

Voci e storie di uomini e donne di SalòMEDIOEVO GIAPPONESE

Diviso in 250 stati spesso in lotta tra loro, il Giappone del '400 aveva

un'economia e una società vivaci

n. 157 | Novembre 2018 | € 6,90

LA REPUBBLICADEI VINTI

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Pensiamo di sapere tutto e invece di quella strana,effimera e maledetta repubblica ci sfuggono ancoramolte cose. Una distrazione che dura da oltre settant’annie che ha poco di innocente e molto di ideologico. Lalunga coda della Guerra Civile continua a fare della Re-pubblica Sociale soprattutto un monolite di violenzacieca, totalmente asservito al Nazionalsocialismo. Lecose invece sono state molto più complicate e, quindi,anche molto diverse. Come dimostra la continuità am-ministrativa e legislativa che ha legato Regno d’Italia,RSI e Repubblica Italiana. Una continuità garantita damigliaia e migliaia di funzionari e dirigenti. Fedeli so-prattutto alla propria Patria

di Aldo G. Ricci

La storia cheancora manca

RSICOPERTINA Nodi irrisolti

Benito Mussolini saluta la folla durante una delle rare apparizioni in pubblico durante il periodo della Repubblica Sociale, nell’ottobre 1944. Nell’altra immagine, un manifesto repubblicano che incita a cancellare le conseguenze dell’armistizio di Cassibile, se necessario col proprio sangue

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Chi erano quelli che scelsero di andare a Salò, di seguire Mussolini nell’ultima,impossibile impresa della Repubblica Sociale Italiana? Una scelta che non fu dipochi ma di centinaia di migliaia di persone. Un libro appena uscito ci restituiscele loro voci, testimonianze di uomini e donne normali, spesso giovani, costretti adecisioni vitali da tempi straordinari. È la «normalità» di quegli italiani di oltre set-tant’anni fa che colpisce ancora oggi. Una normalità negata dall’ideologiadominante forse più nell’Italia d’oggi che in quella del dopoguerra. Come spiegaPietrangelo Buttafuoco nella sua brillante prefazione al volume «La Repubblicadei Vinti» di Sergio Tau

di Pietrangelo Buttafuoco

di un tempo che fuUOMINI E SCELTE

COPERTINA Quelli della RSI / 1

«N on abbiamo una buona stel-la», sembrano ripetersi amezza voce le crocerossine,i bersaglieri, i paracadutistie i veterani di tutte le batta-glie. Sono loro che – a viva

voce, in questo libro di Sergio Tau – offrono all’ascolto illoro privatissimo e corale romanzo. Sono qui, sono le ultimevoci dei vinti. Ed è il passato rimosso. La vita degli italianinei giorni di Benito Mussolini – socialista e rivoluzionario,1883 Predappio, Giulino 1945 – diventa storia. L’essere inquel destino, nella divenutezza della guerra, trascina l’esistenzadi tutti. La lastra di dura pietra, tra le sabbie di El Alamein,squilla nel sole un’abbagliante promessa: «Noi torneremo».Così dice la lapide ma a determinare l’oggi è la revoca ditutto ciò che è passato. La condanna delle cicalanti bambinaiedella correttezza ideologica risolve la narrazione d’Italianell’esorcismo. L’antifascismo, in assenza di fascismo, conclamala guerra civile permanente. L’Italia, oggi – ancor più chenell’immediato dopoguerra – si nega alla pacificazione.Un’orecchiata retorica permea le istituzioni ai massimi livellicome neppure nel linguaggio della Volante Rossa ai tempi

delle stragi perpetrate dai partigiani in Emilia fino agli anniCinquanta quando anche un seminarista – «agente dellareazione in agguato», questa la definizione – è passato per learmi in nome della lotta di classe. L’immediato dopoguerra– con le macerie di Berlino fumiganti, con i cancelli deicampi di concentramento appena spalancati dall’ArmataRossa – non conosce il carico d’odio per cui i vinti debbano,con la sconfitta, patire un anatema metafisico, anzi, assoluto.Non succede neppure in Germania che, alla seconda –patendo la catastrofe – somma anche il peso della sconfittanel primo conflitto mondiale. In Italia – luogo di tavernaancor più che di Valhalla – nella quotidianità della ricostruzioneè normale trovare nello stesso giornale, precisamente al«Giorno» di Italo Pietra, partigiani e combattenti della Re-pubblica Sociale a fianco. Col direttore che ogni mattina, amodo di tormentone, apre la riunione sorridendo beffardoma pacificato agli sconfitti di appena un giorno prima.Ecco il ricordo di Giampaolo Pansa: «Erano caposervizio,grafici, redattori esperti, tutti professionisti di valore. Loronon nascondevano di essere stati militari della RSI. Pietra,ex comandante partigiano, qualche volta gli chiedeva, peruno scherzo bonario: “Chi di voi ha bruciato la mia casa

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Un manifesto per l’arruolamento nel servizio ausiliario femminile della Repubblica Sociale Italiana

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Quella della RSI è stata anche una storia di donne ovviamente.Alcune migliaia vestirono la divisa delle ausiliarie ma molte di piùtrovarono altri motivi per schierarsi: per amore, per fede, per ribellione,per abitudine, per caso... Le scelte di tante italiane del ’43 rivivono nellaprotagonista dell’ultimo libro di Pansa, «La Repubblichina». Comesempre tra romanzo e storia, tra pubblico e privato, Pansa racconta unaltro pezzo della guerra civile. Che è durata ben oltre l’aprile 1945...

di Giovanni Vasso

Più che la storia di una ragazzina «picco-loborghese» che diventa, suo malgrado,adulta e smaliziata, «La Repubblichina»di Giampaolo Pansa (Rizzoli, pp. 240, €20,00) è una storia di fantasmi. Anzi, perlo più di lupi mannari e di mostri, di

quelli nati dal sogno ideologico della ragione dell’ortodossia.Lei, la protagonista, non è santa né guerrigliera, nonspara un colpo anche se tiene la rivoltella in borsetta. NéMata Hari né Giovanna d’Arco. Non è una maliardaeppure si accomoda, istruita dalla maliarda della ziaEdvige e dalle necessità della vita ora di ambiziosa e oradi derelitta, nei letti di chi le va; talora per calcolo o per fa-scinazione, una volta sola per amore.

Se non fosse per i fantasmi della guerra, TeresaBianchi, detta Tere, classe 1924, professione maestraelementare sarebbe personaggio ingenuo e affascinanteche non sfigurerebbe in un romanzo di formazioneerotico. Sia detto chiaro: questo va a merito di Pansache, proprio grazie alla chiave del sesso, restituisce unquadro di umanità a tutti gli attori che porta in scenanel suo romanzo. Un romanzo che percorre una lineatematica che non è nuova per narrare le vicende cheruotarono attorno alla caduta della Repubblica SocialeItaliana e, in Germania, del Nazionalsocialismo. Mala suggestione che emerge dalle pagine de «La Repub-blichina» non è quella della «Salò» di Pierpaolo Pasolinibensì le atmosfere ricordano quelle intime e familiari,della trasgressione intima e discreta che si respiravanei film di Berto e Salerno. Meglio ancora del sesso

proibito alla casereccia con quelle eco (a loro modo)felliniano, cantato e filmato da Tinto Brass.

Il sesso, appunto, è la chiave per seguirela «Tere» durante la sua evoluzione, daeducanda a esule in patria. A lei, infondo, è andata ancora bene: l’incipitdel romanzo è una scena di unacrudezza fisica disarmante. In realtà,oltre all’essersi dichiarata fascista, oltreall’essersi messa a disposizione di qualchepovero disgraziato con la divisa delcolore sbagliato e di aver sognatocon lui di costruire una famigliaa Milano, lì dove speravano en-trambi di essere invisibili, Terenon ha fatto proprio nulla. Manon era, quello, tempo di di-stinguo e di umanità. E nem-meno di processi seri, comespiegherà molte pagine più inlà. Nel 1945 «pietà l’è morta»,come ha fatto giustamente no-tare Pierluigi Battista nella suarecensione al libro di Pansa.La ragazza, dopo qualche set-timana in carcere, viene con-dotta in piazza per la «tosa-tura». È questa la punizioneche le spetta per essersi di-chiarata repubblichina. I nervi

La «Repubblica deCOPERTINA Quelli della RSI - 2

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delle donne»

Ausiliarie della Repubblica Sociale. Per la prima volta nella storia d’Italia

la RSI ammise le donne nelle forze armate,anche se non in ruoli di combattimento.

Nel riquadro, la copertina del romanzo «La Repubblichina»

di Giampaolo Pansa (Rizzoli, pp.240, € 20,00)

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Soldato e cattolico convinto, Gianfranco Chiti,dopo l’8 settembre 1943 sceglie di seguire Mussolinia Salò. E lo fa senza tentennamenti, comportandosida cristiano. Sono decine i partigiani che gli devonola vita. Ma questo, a guerra finita, non lo salva dallaprigionia e dall’epurazione anche perché lui non rin-nega nulla e nulla fa per rivendicare le buone azionifatte. Rientrato nell’esercito diventerà generale e poi,una volta in pensione, si farà frate cappuccino. Orauna accurata biografia racconta di questo strano«granatiere repubblichino». Che potrebbe esserepresto proclamato beato

di Antonello Carvigiani

Quando, nel novembredel 1979, compie laprofessione dei votitemporanei, giornali,radio e televisioni fannoa gara per intervistarlo

e farsi raccontare la sua storia. È un umilefrate cappuccino, padre Gianfranco MariaChiti, ma la sua vicenda personale, in-trecciata più che in altri con gli avvenimentiitaliani del Novecento, è una avventuraumana che non può rimanere nascostanella quiete del convento. Il frate cap-puccino che ha appena concluso il novi-ziato è, infatti, un ufficiale dell’esercito,in pensione con il grado di generale dibrigata, comandante della scuola allievisottufficiali di Viterbo, e, prima ancora,combattente sui fronti jugoslavo e russo,

ferito, medaglia d’Argento al valor militare,oltretutto pure ex aderente alla RepubblicaSociale Italiana, imprigionato, epurato epoi riammesso nell’esercito italiano. Unavita senza un attimo di respiro conclusacon il saio di san Francesco addosso.Non una conversione tardiva ma la ma-turazione di un amore a Cristo custoditonel cuore per tutta la vita. Questo itinerarioverso Dio lo racconta, adesso, VincenzoRuggero Manca nel documentato volume«Il generale arruolato da Dio. GianfrancoMaria Chiti (1921-2004)», pubblicatodalle Edizioni Ares (pp. 352, euro 16,90).

La vita di Chiti, militare per scelta epassione, è il racconto di come la fedeltàal Vangelo debba necessariamente in-carnarsi in scelte concrete, non scontate

ARRUOLATO DA DIOIL GRANATIERE

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A sinistra, granatieri della divisioneLittorio, impiegata dalla RSI nella

difesa dell’arco alpino occidentale. Sotto, Gianfranco Maria Chiti

diventato frate cappuccino, padreGianfranco Maria da Gignese

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Si chiamava Ather Cappelli, faceva il giornalista e, in pienaGuerra Civile, sognava l’unione dei moderati (partigiani e repubblicani)per salvare l’Italia. È finito ammazzato dai GAP comunisti. Un libroracconta la vita breve e veloce di questo «repubblichino» neanchetanto anomalo visto che gli è toccato di essere, in vita, un mite e divenir invece dipinto, dopo la morte, come quello che non era maistato e cioè uno spietato istigatore di rappresaglie

di Marco Valle

Nonostante gli imbarazzantivigilantes del pensiero unicoin questo strambo 2018 qual-cuno finalmente è tornatoad indagare, scrivere e di-scutere della defunta RSI di

Mussolini. Con serietà e serenità. Ci riferiamo allibro di Sergio Tau «La repubblica dei vinti», im-preziosito da un’emozionante prefazione di But-tafuoco, e all’ultima fatica di Pansa «La repubbli-china». Due lavori diversi ma importanti cheoffrono una diversa angolazione sulla tragediadella guerra civile 1943-45.

L’8 settembre – la fuga del Re, la viltà di generalie ammiragli, il liquefarsi dello Stato – rappresentòper una generazione cresciuta nel mito della«terza Roma», dei «destini imperiali» una feritaimpossibile da rimarginare, da cicatrizzare; perquei ragazzi (ma anche per non pochi veterani)la «morte della Patria», il termine ultimativofissato da Galli della Loggia, fu un corto circuito,uno choc terribile, una vergogna senza pari. L’8settembre l’intera narrazione unitaria – un ca-leidoscopio sabaudo, mazziniano, liberale, mas-sonico, nazionalista, fascista – si frantumò ecrollo. Senza onore. Un disastro che l’Italia, 70e più anni dopo, non ha ancora superato e nonriesce a superare. Discorsi lunghi e tutt’orainevasi, su cui torneremo. Ma torniamo a ieri.Alle temperie del 1943. Con buona pace dei

retori resistenziali, non ci furono «uomini eno» (ricordate il peggior Vittorini, l’ultrafascistapentito?) ma un intero popolo che venne cen-trifugato e travolto dalla storia. I più si anni-chilirono nella «zona grigia» di defeliciana me-moria attendendo o (vedi «La pelle» di Mala-parte) vendendosi, umiliandosi ai vincitori. Altempo stesso vi furono che minoranze checompirono scelte opposte ma sempre radicali,in un crescendo di idealismo e ferocia. Chi sischierò con gli anglo-americani e i sovieticicercò le proprie ragioni nell’Occidente vincitoreo nel miraggio marxista, variazioni alla finecoincidenti e rassicuranti. Nel 1945 si illuserod’aver trionfato e ancor oggi festeggiano ogni25 aprile la vittoria d’altri. Poi vi furono coloroche scelsero «la parte sbagliata» e attraversarono600 lunghissimi giorni in cui tutto fu ben piùcomplicato e straziante. Alla fine, toccò a loro,solo a loro, pagare il conto totale. Salatissimo.

Eppure, in quel livido autunno del ’43 in tantiascoltarono con sollievo il flebile richiamo diMussolini da Radio Monaco. Nonostante lesconfitte in Africa e Russia, la flotta perduta, lecittà bombardate, la fame e la paura ad unparte consistente d’italiani quella voce lontanadiede speranza. Coraggio. Nel nome del vecchioDuce – un uomo sconfitto, tradito dai suoi ge-rarchi e isolato sul malinconico Garda – fiam-meggiò l’effimera e contradditoria stagione della

«UCCIDETELO.COPERTINA Quelli della RSI - 4

Torino, aprile 1944: i funerali di Ather Capelli(nel riquadro). Direttoredella «Gazzetta delPopolo», il 31 marzo1944 era stato freddatocon cinque colpi in testasparati dal gappistaGiovanni Pesce, poidecorato di medagliad’Oro al valor militare,

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È un moderato…»

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A fine Ottocento nasce la Federazione internazionale «Corda Frates». Gliingredienti? Un po’ di pacifismo (e in quell’Europa ce n’era bisogno…), un po’di europeismo ante litteram, un po’ di massoneria e di «libero pensiero», unpo’ di ingenuità giovanile senza dimenticare la speranza nel progresso maanche il patriottismo. A guidare questo processo c’era anche un giovanetorinese: Efisio Giglio-Tos

di Aldo A. Mola

Nel 1898 l’Europaera una polveriera.Alle ostilità «sto-riche» (tra Franciada un canto Ger-mania e impero

asburgico dall’altro, Russia e imperoturco, Italia e impero austro-ungaricoper le «terre irredente») si aggiunseroquelle per la spartizione degli spaziafro-asiatici da molti europei ancoraconsiderati res nullius. Fu l’anno del-l’insurrezione (eterodiretta dagli StatiUniti d’America) contro l’antico dominiodella Spagna su Cuba e nelle Filippinee dello scontro fra Parigi e Londra peril controllo di un’area nevralgica inAfrica: l’alto Nilo. Sembrò imminenteuna guerra generale. Cresceva la tensionetra Russia e Gran Bretagna per il con-trollo del passo di Khyber e dunquesull’Afghanistan. Dal Congresso di Vien-na (1815) l’Europa aveva conosciuto inrealtà solo conflitti marginali, intrecciaticon moti liberali (in Spagna, Italia e

Polonia) e nazionali (l’indipendenzadella Grecia dal dominio turco, il distaccodel Belgio dall’Olanda, il Risorgimentoitaliano). La nascita del regno d’Italia(1860-1861) attenuò il possibile conflittotra Parigi e Vienna, sempre alle presecon slavi e turchi. Ne profittò la Prussiaper ingrandirsi e infliggere una seccasconfitta agli Asburgo a Sadowa (1866).Nel 1870-1871 però la storia sembròscappare di mano. L’improvvido Na-poleone III compì l’errore fatale di di-chiarare guerra alla Prussia, che da annici sperava e aveva pianificato la guerra-lampo. A Parigi la Rivoluzione – scop-piata alla caduta del secondo imperonapoleonico – mostrò il volto della Me-dusa anarco-comunista, che paralizzò ivaghi tentativi di mediazione da partedella borghesia più avanzata, inclusa lamassoneria. Dal 1871 quindi la tragediadella conflagrazione generale rimaseincombente. Non si sapeva quando sa-rebbe esplosa, ma i più erano convintiche fosse inevitabile. Ad attenuare la

tensione latente concorse la diplomaziache sembrò capace di sciogliere, magariall’ultimo momento, ogni crisi, anchecon l’arbitrato internazionale, inclusal’istituzione della Corte dell’Aja, che amolti parve il toccasana perpetuo. Lapace armata, scalfita da «guerre di teatro»fu scandita da Congressi, alleanze e con-troalleanze, guerre doganali e da unadilatazione degli spazi propizia a relazioniumane impensabili prima della guerrafranco-tedesca. Il risultato fu uno statodi grazia continentale che per quasimezzo secolo (cioè fino allo scoppiodella Grande Guerra nel 1914) chi neaveva la possibilità poté circolare perl’intera Europa e oltre senza intralci so-verchi. Nacque in nuce una comunitàinternazionale, che in breve volgere dianni si concretò nella organizzazionedelle Olimpiadi moderne, nella molti-plicazione delle lingue universali (l’espe-ranto è solo la più nota e tuttora praticata,il nome della società era in latino), neiPremi Nobel e in una miriade di asso-

UNITEVI!Studenti di tutta Europa

SOGNI EUROPEI Altro cheErasmus

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ciazioni «per la pace», antico sognodell’illuminato Immanuel Kant. Il pro-gresso scientifico conobbe un’accelera-zione senza precedenti anche grazieallo scambio tra ricercatori e le rispettiveistituzioni di riferimento: accademie,università, circoli e sodalizi che si col-locavano al di fuori (se non al di sopra)della politica dei governi. Ne benefi-ciarono gli studenti universitari, cheorganizzarono associazioni all’internodei singoli Stati, dalle cui relazionisorsero convegni e congressi sovran-nazionali. Dagli incontri al di sopradella mischia, nel fervore della lorocommunitas, proprio gli studenti uni-versitari colsero la distanza siderale trail «loro» mondo e l’Europa incartape-corita, ferma nella disputa di terre dimodesta redditività, spesso abitate dapopoli ancora lontani dalla civiltà euro-occidentale, approdata da quella gre-co-romana ai diritti dell’uomo e del cit-tadino e avviata alla parità di genere.Gli studenti universitari ebbero chiaroche, se non fossero stati capaci di fermarela guerra, si sarebbero trovati nel ruolodi ufficiali dei rispettivi eserciti nazionali,costretti ad annientarsi in guerre fra-tricide dopo essersi frequentati per moltianni all’insegna della libertà, della fra-tellanza universale e del progresso civile.

Il 12 novembre 1898 si raccolse a Torinoil I Congresso della Federazione uni-versale degli studenti «Corda Fratres»,«cuori fratelli». A promuoverla fu il ven-tottenne Efisio Giglio-Tos (1871-1940).Indetto per festeggiare il 50° dello Statutopromulgato il 4 marzo 1848 da CarloAlberto di Sardegna e rinviato a luglioper le drammatiche agitazioni in corsonel Paese, soprattutto in Lombardia eToscana, esso venne infine fissato a metànovembre, ad anno accademico iniziato.Ebbe il sostegno entusiastico del ministrodella Pubblica Istruzione Emilio Gian-turco. Anche grazie al sussidio gover-nativo, il suo promotore stampò e diramòinviti e programmi a 1.200 giornali eduemila istituzioni. Spedì 50 mila circolari

Il gonfalone della sezioneitaliana della federazione Corda

Fratres conservato a Siena

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GIALLI La fine di Winckelmann

Nel giugno 1768 uno dei più importanti e noti intellettuali europei vieneassassinato in un albergo triestino: è Johann Joachim Winckelmann, archeologo,appassionato di antichità, teorico del Neoclassicismo. Il suo assassino viene subitorintracciato e arrestato. Ancor prima che il processo si concluda si diffondonoteorie e sospetti sul movente: omosessualità? Diplomazia segreta? La verità, standoall’inchiesta, è però più semplice. Drammaticamente banale…

di Lara Sambucci

Morte a Trieste

Il mistero inizia nel più classico dei modi: un uomoferito a morte, molto sangue, molte ferite in unastanza d’albergo. La vittima, si scoprirà ben prestonon è uno qualunque: è il grande archeologo JohannJoachim Winckelmann (1717-1768). Non ha ancoracompiuto 51 anni quando la morte arriva: siamo

all’8 giugno 1768, a Trieste, nella stanza numero diecidell’Osteria Grande, in piazza San Pietro, verso le quattro delpomeriggio. Sette le ferite presenti sul suo corpo. I medici cheeseguono l’autopsia – Domenico Gobbi, Antonio Civrani e ilchirurgo Antonio Albrizi – concludono che di queste setteferite, due sono state quelle mortali e sono quelle inferte di-rettamente al cuore. Ma Winckelmann non è morto subito: èstato colpito dalla lama di un coltello ben affilato alle nove dimattina, poi sono seguite ore di sofferenze atroci durante lequali riesce a dettare il suo testamento e a ricevere l’estremaunzione da un frate cappuccino accorso al suo capezzale eche resta con lui fino all’ultimo respiro. Pochi istanti prima dispegnersi Winckelmann rivela, a fatica, un dettaglio importante:«M’ha assassinato quello che abitava vicino alla mia stanza».Il cavalier Gaetano Vannucci, presente alla dichiarazione delmoribondo, ordina al bargello di far inseguire e arrestare l’as-sassino di cui si conosce il nome: Francesco Arcangeli, 31anni, originario della Toscana, di professione cuoco.

Il ruolo che Arcangeli (1737-1768) ha avuto ne «l’affare, ilcaso, il fatto delle coltellate», come, durante il processo, defi-nirà lui stesso Arcangeli, l’assassinio di cui si era reso colpe-vole, è più chiaro se si approfondisce la sua psicologia, il suopassato e le traversie che lo avevano portato a Trieste. Le no-tizie sul suo conto giungono dalla sua viva voce: durante gli

interrogatori processuali Francesco Arcangeli parla di sé,della sua storia, accenna alle sue origini e alla sua infanzia,trascorsa a Campiglio di Cireglio, una frazione di Pistoia. Quisuo padre possedeva delle terre, si dedicava all’agricoltura permantenere moglie e cinque figli. All’età di sedici anni Fran-cesco lascia la famiglia, la casa e l’agricoltura per cercare for-tuna a Firenze. Per cinque anni fa lo sguattero a Palazzo Pitti,al servizio del conte Bardi, fu è cuoco presso il signor Baldi-notti, il quale gli dà in seguito l’incarico di accompagnare suofiglio Giovanni a Vienna; rimane con lui per cinque setti-mane, ma quando Giovanni Baldinotti entra nell’esercito au-striaco col grado di tenente, Arcangeli perde l’impiego. Suonuovo padrone diventa subito dopo il conte Cataldi per ilquale lavora come cuoco nelle cucine del suo palazzo perquasi due anni, fino a quando commette il suo primo cri-mine: dopo aver derubato il conte, lascia il servizio fuggendoverso l’attuale Bratislava, che all’epoca si chiamava Presburgo.Qui, con il denaro sottratto al suo padrone, Arcangeli si pro-cura un elegante vestito da gentiluomo e si mette sulla stradaper Vienna, cercando di celare la sua indole criminale dietrola raffinatezza del suo abito, la gentilezza dei modi, la mitezzadello sguardo. Ma a Lubiana viene riconosciuto, fermato e ar-restato, e infine condotto a Vienna per essere sottoposto aprocesso. Il tribunale lo condanna a quattro anni di reclu-sione nel carcere della città, e infine lo bandisce da tutti gliStati Imperiali. Ma ecco che un fatto fortunato gli fa guada-gnare la libertà con un anno di anticipo: in occasione del ma-trimonio di un principe Asburgo, infatti viene annullata partedella pena di molti condannati; Francesco Arcangeli uscìdalla Casa di Forza il 14 maggio 1767. Nei primi giorni dellasua ritrovata libertà frequentò una donna di malaffare con la

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Johann Joachim Winckelmann(1717-1768), considerato uno

dei fondatori del Neoclassicismo

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Il nove novembre 1888, giusto 130 anni fa, veniva assassinatala prostituta Mary Jane Kelly, quinta e ultima vittima (ufficiale)del mitico Jack lo Squartatore, il più famoso omicida seriale disempre. Una fama che poggia su solo cinque delitti, commessinell’arco di poco più di due mesi. Tutti a danno di prostitute etutti nello stesso quartiere di Londra. La caccia all’uomo, iniziataallora, non è mai finita e così ad oggi i possibili «Jack» sonoalmeno 15. Compreso un pittore su cui ha indagato anche unafamosissima giallista: Patricia Cornwell

di Massimo Centini

Giusto 130 anni fa la Londravittoriana fu scossa dallegesta di un criminale chepuò essere considerato l’ar-chetipo dell’omicida seriale:Jack lo Squartatore. Il mas-

sacratore del quartiere chiamato Whitechapel,abitato dalle classi più povere, quasi una terradi nessuno dominata dalla prostituzione e delcrimine, è diventato il protagonista di tante ri-costruzioni più o meno fantasiose concretizzatesiin romanzi, racconti, film. È evidente un fattofondamentale: Jack ha rappresentato una pietramiliare nella mitologia degli assassini seriali,radicandosi in profondità e dando forma amolti miti; ad alimentare la leggenda ha certa-mente contribuito un fatto importante: quelsadico assassino non è mai stato catturato, mal-grado le tante ipotesi e gli indizi raccolti siadagli investigatori che dalla gente comune. Altemuto Jack non è mai stato abbinato con pre-

cisione un volto, malgrado l’impegno profusonelle indagini a cui lavorarono 29 ispettori, 44sergenti e 546 agenti... Jack inviò alcune lettereper rivendicare i propri omicidi e annunciarnealtri; le sue vittime appartenevano a una categoriasociale abbastanza standardizzata e la componentesessuale era dominante ed esasperata al puntodi essere così distruttiva da spingere l’assassinoad infierire sui cadaveri in modi tali da farpensare a un chirurgo.

Senza dubbio, la cornice in cui furono ambientatii delitti di Jack lo Squartatore – i bassifondi diLondra – e le vittime – tutte prostitute – sonoelementi che hanno profondamente condizionatol’immagine di questo assassino seriale, la cuibrutalità, pur nelle imprecise fonti investigativedell’epoca, traspare con una nitidezza, oltre aporre in rilievo il suo modus operandi, tale dasconvolgere sia l’investigatore avvezzo ai delittipiù orrendi sia gli psichiatri. Gli omicidi attribuiti

killerMILLEper cinque omicidi

CRONACA NERA Cold Case

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Una illustrazione ottocentesca del ritrovamento di una delle donne

uccise nei bassifondi londinesi di Withechapel e attribuite all’azione

di Jack lo Squartatore

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72 | STORIA IN RETE

La regina del giallo ne ha vissuto uno anche in prima persona:nel dicembre 1926, dopo essere stata lasciata dal marito, AgathaChristie scompare per 11 giorni. La cercano migliaia di poliziotti edel caso si occupa la stampa di tutto il mondo. Poi, improvvisamente,la scrittrice riappare decisa a mantenere il segreto più assoluto suciò che era davvero accaduto. E così sarà fino alla sua morte...

di Elena e Michela Martignoni

Durante un’intervista con FabioFazio, lo scrittore siciliano An-drea Camilleri ha dichiaratodi non amare la scrittura dellegialliste. «Le donne – ha so-stenuto – sanno commettere i

crimini, ma non sono capaci di raccontarli». Questaaffermazione – che ha fatto infuriare le autrici dimistery – può essere rispettata come opinionepersonale, ma risulta agevolmente confutabilenella realtà. Se parliamo di «giallo», infatti, vieneautomatico pensare alla vera, grande, regina diquesto genere: Agatha Christie. Solo per farequalche numero: i suoi romanzi, più di 80, sonostati tradotti e pubblicati in 45 lingue; con più di 2miliardi di copie, Agatha Christie (1892-1976)è l’autrice più venduta di tutti i tempi, pari solo aShakespeare. Suo è anche il record del giallo piùvenduto al mondo: «Dieci piccoli indiani», che haraggiunto 110 milioni di copie.

Chissà se questi numeri sono sufficienti per con-vincere Camilleri che anche una donna «può

scrivere gialli»? Sebbene Winston Churchill la de-scrivesse come «la donna che, dopo LucreziaBorgia, è vissuta più a lungo a contatto col crimine»,la Christie di crimini non ne commise nessuno:era dotata di una fervida fantasia, aveva il dono disaper raccontare e anche una buona dose di senseof humor. Figlia di un americano e di un’inglese,apparteneva a una famiglia benestante e non fre-quentò le scuole. Fu istruita in famiglia, dallamadre Clarissa, dalla nonna (che le ispirerà il per-sonaggio di miss Marple) e dalle varie istitutriciche si alternarono nella sua infanzia dorata.Leggendo i primi capitoli della sua autobiografiaci si trova immersi nelle atmosfere di sceneggiaticome «Downton Abbey», tra le consuetudini avolte al limite del ridicolo dell’alta borghesia vitto-riana, maggiordomi, valletti, governanti, bambinaie,aiuole fiorite, cani e vaste dimore ingombre ditavolini da tè e argenterie.

Agatha Mary Clarissa Miller, questo il suo veronome, amava la musica ed era una discreta pianista.Pensò di intraprendere la carriera di cantante lirica

Dove ti eri nascosta

AGATHA?

MISTERI Donne in fuga

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Agatha Christie (1892-1976) durante gli anniVenti del XX secolo. Dietro di lei alcuni dei moltissimi articoli di giornali usciti sulla sua scomparsa misteriosa nel 1926

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80 | STORIA IN RETE Novembre 2018

Alla fine del XV secolo, il Giappone è nel caos: 250 feudi, spesso in guerra tra loro,si dividono territori e commerci. Il potere centrale dell’Imperatore è ormai solosimbolico ma non mancano segnali di modernizzazione, anche grazie ai primimissionari cristiani e ai traffici con l’Europa. Come sempre, quella che sembra una si-tuazione irreversibile non è che il preludio ad un radicale cambiamento: dall’anarchiafeudale emergeranno a fine Cinquecento i tre signori della guerra che avrebberoriunificato il Paese: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu. Ilcapitolo di un nuovo saggio sulle guerre medievali in Giappone ci spiega com’era lasituazione prima del loro avvento

di Francesco Dei

giapponeseFEUDALESIMO alla

ANTICIPAZIONI Medioevi lontani

Per comprendere la situazione sociale e politicadel Giappone nel XVI secolo è necessario ri-volgere uno sguardo ai momenti storici piùrilevanti che precedono questo periodo. Inun’epoca antichissima, tra i diversi clan giap-ponesi guadagnò prestigio quello che affermava

di discendere dalla dea solare Amaterasu-ō-mi-kami. Aimembri di tale famiglia fu riconosciuto l’esercizio del poterepolitico e religioso: da qui all’istituzione della figura dell’Im-peratore (Tenno), il passo fu breve. Nel tempo, l’influenza ditalune famiglie guerriere presso la corte dell’imperatore minòla stabilità di quest’ultimo. Una lunga guerra civile portò alpotere il primo shōgun (una sorta di dittatore in armi) nel1192. Lo shōgun era a capo di un governo militare chiamatobakufu (letteralmente «governo della tenda»). Anche questacarica sarebbe presto divenuta ereditaria. Da allora in poi,l’Imperatore si trasformò in una figura simbolica privad’autorità, sebbene lo shōgun governasse ufficialmente perdelega imperiale e sotto sua investitura. Il primo shōgun fuMinamoto Yoritomo, e la prima dinastia di shōgun fu appuntoquella dei Minamoto. Sotto il loro shogunato all’amministrazioneprovinciale già esistente furono affiancati governatori militari

chiamati shugo, che costituivano la base per un efficiente di-spositivo di tipo bellico. Gli shugo erano tenuti a risiedere aKyōto, a garanzia del loro strettissimo legame col poterecentrale. Col tempo, le famiglie degli shugo si divisero in piùrami e i loro patrimoni si frantumarono in proprietà semprepiù piccole che vennero affidate a vassalli. Nasceva così il feu-dalesimo giapponese che, come quello medievale europeo, sibasò quasi interamente sull’agricoltura, con i contadini relegatial rango di servi.

Dopo una brevissima restaurazione del ruolo dell’Imperatore(1333-1336), l’autorità dello shōgun passò nelle mani della fa-miglia Ashikaga, che si insediò a Kyōto e vi rimase fino al1573. Nel periodo dello shogunato di Ashikaga Yoshimasa(1443-1474), che si manifestò più un mecenate che prediligevale questioni artistiche a quelle politiche, si svilupparonocontinue contese tra i vassalli intenti ad espandere la loro in-fluenza sulla corte. All’inizio dell’era Ōnin [1467-1477 NdR],allorché nel 1464 Yoshimasa decise di ritirarsi dalla vitapolitica e si aprì la lotta per la successione, l’instabilità feudaleraggiunse il culmine. Le famiglie degli Hosokawa e degliYamana si trovarono a sostenere l’una il figlio infante e l’altra

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Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) suona un corno ricavato in una conchiglia per chiamarea raccolta i suoi samuraidurante la battaglia di Shizugatake (1583), in una stampa di Tsukiyoka Yoshitoshi. Hideyoshi, di umiliorigini, riuscì a divenire uno dei grandicondottieri del Giappone medievale, unificandoil paese dopo decenni di anarchia feudale

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86 | STORIA IN RETE

SIGNORI DELLA GUERRA Dalla Svezia con furore

Tra il 1630 e il 1632 il confuso scenario europeo,nel pieno della Guerra dei Trent’anni, vede irromperel’esercito svedese di Gustavo Adolfo II, nuovo cam-pione del mondo protestante. La sua avanzata loporta fino in Baviera dove nel novembre 1632, aLutzen, vince l’ultima battaglia e muore. Da allorail suo mito ha resistito ad ogni critica e revisioneanche se, come sempre, a muoverlo più che lafede è stata la solita volontà di allargare la propriasfera di influenza. Costruendo un’egemonia svedeseche sopravvisse alla sua morte per un secolo

di Giulio Talini

Gustavo Adolfo. Un to

Conflitto fra due blocchi di potenze, guerra di religione, lotta peril potere rappresentativo o assolutistico: la guerra dei Trent’anni,scoppiata nel 1618, esattamente 400 anni fa, è stata definita invario modo e studiata a fondo dalla storiografia. Eppure, nono-stante i magnifici lavori di storici e di storiche del calibro diSchiller, della Wedgwood o di Parker, la sua eredità continua ad

infiammare il dibattito intellettuale europeo e non solo. Tra le numerosepubblicazioni recenti che lo testimoniano spicca senza dubbio degna di lodequella di Peter H. Wilson («Lützen: Great Battles», 2018), dedicata alla battagliadel 1632 in cui il re svedese Gustavo Adolfo trovò la morte combattendo controgli imperiali. Il contributo di Wilson, ormai un’autorità in materia, rappresentaun’ottima occasione per ripercorrere cause, svolgimento e conseguenze dell’interventodella Svezia nella guerra dei Trent’anni (1630), momento chiave della catastrofeeuropea che provocò «miseria» e «sofferenze» per «milioni di individui» (Schmidt).

È però opportuno un succinto riepilogo delle prime fasi del conflitto. L’eventoscatenante è ben noto: il 23 maggio 1618, a Praga, alcuni aristocratici boemiguidati dal conte Enrico Mattia di Thurn penetrarono nel castello di Hradčany egettarono dalla finestra due legati imperiali insieme al segretario Fabricius. Ladefenestrazione, consapevolmente collegata a quella avvenuta nel 1419 durantela rivolta hussita, aprì un trentennio di terrificanti scontri in Europa. Per capirecome mai, va detto che la Germania dei primi decenni del XVII secolo era permolti versi una polveriera sul punto di esplodere. Vari i motivi: dalle tensioni

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«Gustavo II Adolfo impegnato in trattativea Wurtzburg dà ordini a Axel Lilje e Ramsay»

di Robert Wilhelm Ekman. L’apparizione della potenza svedese nella Guerra dei Trent’Anni impedì agli Asburgo

di concludere il conflitto con una vittoria deglieserciti cattolici. La Svezia intervenne anche

grazie ai finaziamenti francesi e olandesi

tornado sull’Europa

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