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La prosa medievale Produzione e circolazione a cura di Massimiliano Gaggero con la collaborazione di Filippo Pilati FILOLOGIA CLASSICA E MEDIEVALE 4 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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La prosa medievaleProduzione e circolazione

a cura diMassimiliano Gaggero

con la collaborazione di Filippo Pilati

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AA.VV. - LA PROSA MEDIEVALEISBN 978-88-913-2026-1

L’adozione della prosa letteraria nelle letterature romanze a partire dall’inizio del XIII secolo è uno dei cambiamenti più importanti del sistema letterario volgare europeo, che porta, nelle diverse letterature, ad una ristrutturazione dei generi letterari, con conseguenze di lungo periodo. Il volume affronta questo tema coniugando due aspetti: da un lato la produzione dei testi, con una particolare attenzione a generi importanti per la cultura medievale, ma spesso trascurati, come la prosa giuridica, agiografica e storiografica; dall’altro la circolazione dei testi attraverso i manoscritti, che rappresentavano in concreto i modelli di prosa ai quali i lettori avevano accesso. Diventa così possibile integrare i piani, normalmente distinti, della storia letteraria e della storia della tradizione manoscritta.

Massimiliano Gaggero è professore associato in Filologia romanza all’Università degli Studi di Milano. Ha studiato la tradizione medievale di Ovidio, il Conte du Graal e le sue continuazioni, la storiografia medievale sulle crociate (Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier, Eracles). Ha pubblicato il volume Per una storia romanza del rythmus caudatus continens (Milano 2016). Partecipa all’edizione critica dell’Ovide moralisé.

Filippo Pilati è assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Milano. Si è occupato di canzonieri trobadorici e della ricezione medievale della storia antica, con particolare attenzione per i Fet des Romains e i loro volgarizzamenti italiani. Attualmente collabora al progetto Atlante prosopografico delle letterature romanze.

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Filologia classica e medievale 4

Direzione

Paolo Canettieri Sapienza Università di RomaAnatole Pierre Fuksas Università degli Studi di Cassino

Carlo Pulsoni Università degli Studi di Perugia

Comitato Editoriale

Andrea Cucchiarelli Sapienza Università di RomaFranco De Vivo Università degli Studi di Cassino

Massimiliano Gaggero Università degli Studi di MilanoYan Greub CNRS/Université Nancy2

Francis Gingras Université de Montréal Pilar Lorenzo Gradín Universidade de Santiago de Compostela

Sif Rikhardsdottir University of Iceland Antoni Rossell Universitat Autònoma de Barcelona

Justin Steinberg University of Chicago Meritxell Simó Torres Universitat de Barcelona

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La prosa medievale Produzione e circolazione

a cura di Massimiliano Gaggero

con la collaborazione di Filippo Pilati

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDERRoma – Bristol

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Massimiliano Gaggeroa cura di

La prosa medievale Produzione e circolazione

© 2020 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore

Sistemi di garanzia della qualitàUNI EN ISO 9001:2015

Sistemi di gestione ambientale ISO 14001:2015

In copertina:

London, British Library, Add. 42130 (Salterio Luttrell), c. 84r.

La prosa medievale. Produzione e circolazione / Massimiliano Gaggero, (a cura di) – «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2020 – X + 244 p. ; 24 cm. (Filologia classica e medievale ; 4)

ISSN 2612-470XISBN 978-88-913-2026-1 (carta) ISBN 978-88-913-2032-2 (pdf ) CDD 8001. Prosa latina medievale

Via Marianna Dionigi, 5700193 Roma – Italia

www.lerma.it

70 Enterprise Drive, Suite 2Bristol, CT 06010 – [email protected]

Questo volume è stato stampato con il contributo del Dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici dell’Università di Milano grazie al finanziamento del Programma Giovani Ricercatori “Rita Levi Montalcini” del MIUR (La tradi-zione manoscritta dell’Eracles e la diffusione della storiografia in prosa francese nel bacino del Mediterraneo).

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Prefazione (M. Gaggero) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1. P. Chiesa, Una letteratura diffusa. Sulla circolazione dell’Epistola latina del Prete Gianni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

2. F. Duval, Naissance de la prose juridique savante en français: le droit romain . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3. J. Métois, L’écriture et la transmission de l’histoire du début du xive s. au milieu du XVe s. Étude de deux recueils . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

4. I. Reginato, Marino Sanudo Torsello e la Conqueste de Constantinople di Geoffroy de Villehardouin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5. A. Punzi, Fare e disfare il ciclo: riflessioni intorno al ciclo del Lancelot-Graal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6. C. Lagomarsini, Il mestiere del compilatore: la prosa arturiana di Rustichello da Pisa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7. B. Ferrari, Qualche osservazione sulla prima circolazione manoscritta delle più antiche mises en prose agiografiche francesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

8. S. Cerullo-R. Tagliani, Tradizione e ricezione della prosa agiografica, con un caso di studio: il volgarizzamento fiorentino della Legenda Aurea . . .

9. B. Barbiellini Amidei, Note per il Buovo toscano . . . . . . . . . . . . . . . .10. G. Lalomia, Storia e geografia della tradizione manoscritta castigliana. Il

caso delle raccolte di racconti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

INDICE

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11. S. Sari, L’eccezione all’origine della prosa catalana: l’espressione letteraria lulliana e le sue strategie di diffusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

12. A. Scala, La prosa armena medievale come testimone del francese del Levante: osservazioni sulla fonetica dei prestiti francesi in armeno di Cilicia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Indice dei manoscritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Indice degli autori delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Prefazione

L’introduzione della prosa nelle letterature volgari medievali è un punto di snodo la cui importanza è stata spesso sottolineata. Per le letterature romanze, quest’innovazione si può datare all’inizio del XIII sec. e collocare nel dominio d’oïl. L’adozione di questa forma espressiva per alcuni generi ai quali erano normalmente riservate forme specifiche della versificazione (come il couplet d’octosyllabes à rimes plates, o la quartina monorima di alessandrini) non avvie-ne, soprattutto all’inizio, in maniera sistematica, ma comporta spesso, da parte degli autori che scrivono in prosa, una contrapposizione ideologica alla lette-ratura in versi e produce, sul medio periodo, una riconfigurazione del campo dei generi letterari.

Nel momento in cui la prosa appare nelle letterature volgari, queste fanno parte di un sistema integrato insieme alla letteratura latina, nell’ambito della quale la prosa ha una tradizione plurisecolare. Tale sistema letterario, spesso studiato su scala europea, era in realtà esteso al Mediterraneo: a chi intenda occuparsene si presenta quindi anche la questione dei contatti con la letteratura bizantina e con le letterature del vicino Oriente, che si mostrano talora ricettive rispetto ad alcuni tipi di testualità prosastica romanza. Questa integrazione in un sistema più ampio ha recentemente indotto Lars Bo�e Mortensen a spostare l’attenzione dal proble-o�e Mortensen a spostare l’attenzione dal proble-�e Mortensen a spostare l’attenzione dal proble-Mortensen a spostare l’attenzione dal proble-ma dell’“invenzione” della prosa nelle letterature romanze all’individuazione delle ragioni del successo di tale forma in relazione alla mutazione che interessa tali let-terature in concomitanza con l’emergere di una produzione sempre più numerosa di manoscritti contenenti testi romanzi.

L’interazione tra prosa e versi è stata oggetto di numerosi studi, e un’ampia casistica è riunita nei volumi curati da Catherine Croizy-Naquet e da Michelle Szkilnik, che sono caratterizzati da un’attenzione di lungo periodo al fenomeno e dalla comparazione di ambiti linguistici differenti, anche al di fuori delle lingue romanze. Negli ultimi anni, le ricerche sulla prosa medievale hanno poi incrociato altri temi di ricerca proficui (si pensi alle ricerche sulla storiografia medievale, sul romanzo arturiano in prosa e sui volgarizzamenti, oppure a quelle sulla circolazio-ne della letteratura francese fuori di Francia).

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Questo volume intende offrire un contributo alla storia della prosa medieva-le, concentrandosi principalmente sulle letterature romanze, ma con aperture, da un lato, sulla produzione latina e, dall’altra, sui contatti linguistici e culturali nel contesto degli Stati crociati veicolati prorpio dal medium della prosa. Una parte dei saggi raccolti si concentra su generi e testi il cui contributo all’affer-mazione della prosa è stato a lungo ignorato, come nel caso dei testi giuridici, o sottovalutato in favore di generi caratterizzati da una dimensione letteraria più evidente, come nel caso della storiografia contemporanea, dell’agiografia o della traduzione/rielaborazione dei testi epici. Anche generi più frequentati – come la narrativa breve o la prosa arturiana – o un’esperienza segnata da una forte per-sonalità autoriale come quella di Ramón Llull vengono inquadrati diversamente nell’ambito della prospettiva adottata in questo volume.

Come precisa il sottotitolo, l’intenzione è stata quella di studiare i singoli pro-blemi in una prospettiva storico-letteraria che integrasse il punto di vista della produzione del testo e dell’analisi dei differenti modelli di prosa e il punto di vista della storia della tradizione manoscritta, considerata insieme come il veicolo che ha permesso la trasmissione di tali modelli ma anche, in diversi casi, come il luogo della loro elaborazione.

L’importanza del manoscritto come luogo di assemblaggio ed elaborazione te-stuale per la letteratura medievale è ormai riconosciuta (si pensi agli studi di Al-berto Varvaro) ed ha portato negli ultimi decenni ad un’analisi sempre più attenta della relazione tra il testo tràdito e le caratteristiche del suo supporto materiale. L’assemblaggio di materiali di origine diversa in un manoscritto antologico è talo-ra, com’è noto, solo un primo grado di quella riorganizzazione testuale che talora conduce ad operazioni di più ampia portata; in alcuni dei casi studiati in questo volume l’assemblaggio o la presentazione dei testi attraverso l’apparato iconogra-fico riceve un’impronta forte all’interno di un progetto culturale complessivo che si può ricondurre ad una personalità o ad un ambito preciso. Il fenomeno della mise en recueil è inoltre fondamentale per la trasmissione di testi che sono di nor-ma troppo brevi per essere copiati come testi a sé stanti. Le raccolte manoscritte possono allora essere inserite, come si è fatto per i canzonieri lirici, in un disegno storico-letterario. La stessa analisi dei cicli arturiani in prosa trae beneficio da un’analisi che interroghi anzitutto le diverse forme in cui i blocchi costitutivi sono presentati nei testimoni più antichi, offrendo un’immagine più articolata e proble-matica della formazione dell’insieme.

La consapevolezza dell’incidenza della materialità della tradizione manoscrit-ta nella circolazione e nell’aggregazione dei testi in prosa conduce a rileggere, nei saggi che seguono, alcune operazioni sul testo: accanto alla vera e propria traduzione, assumono rilievo attività di ricodifica all’interno della stessa lingua, come il rimaneggiamento e la prosificazione. L’analisi della riscrittura alla luce dei possibili modelli nella tradizione manoscritta permette di circoscrivere con

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maggiore sicurezza le zone di innovazione, e di descrivere meglio le operazioni di adattamento, che coincidono spesso con l’adeguamento del testo ad un nuovo ambito di ricezione.

L’attenzione alla formazione delle raccolte e alla costituzione di cicli e compila-zioni non può prescindere dall’indagine sui centri di copia e sulla storia e geografia della tradizione manoscritta, nella dialettica – di interazione o di progressivo al-lontanamento – che si instaura rispetto ai centri di produzione dei testi stessi. La proiezione delle differenze redazionali sulla diffusione regionale di un testo non si rivela sempre pertinente, specie per i testi con una circolazione intensa e una tradizione particolarmente numerosa. Per i testi romanzi (e forse per i testi volgari in genere) essa permette tuttavia spesso l’individuazione di centri o ambiti specifici finora trascurati, la cui attività nella promozione di determinati modelli di prosa è importante integrare nel panorama più ampio dell’affermazione di questo mezzo espressivo già elaborato dagli studi precedenti.

Nella valutazione del rapporto tra produzione e circolazione viene inoltre tenu-to conto della variazione dei contesti ricezionali a seconda della cronologia delle copie e degli ambiti di circolazione dei diversi testi. Accanto ai casi già menzionati di risemantizzazione attraverso il processo di mise en recueil o attraverso interventi redazionali sul testo, due fenomeni sono particolarmente interessanti: da un lato quello in cui la copia di un testo o di un gruppo di testi avviene in un contesto e in un periodo molto prossimi a quello della loro composizione, e dall’altro quello di testi che ci giungono attraverso copie relativamente tarde ma riconducibili ad un milieu solidale a quello della circolazione originaria. In entrambi i casi, questa prossimità, cronologica o sociologica, tra composizione e circolazione permette di vedere in queste esperienze fenomeni circoscritti a una fase o a un centro di cultura o ad una classe sociale. Tali fenomeni si possono misurare per contrasto su fenomeni di più lungo periodo o di più ampia diffusione.

Una storia della produzione e della circolazione della prosa medievale resta ancora da scrivere; i saggi di questo volume mostrano tuttavia il carattere policen-trico del suo sviluppo e la stretta implicazione tra i due aspetti presi in considera-zione, che non possono essere separati, se non a prezzo di un’eccessiva semplifica-zione delle dinamiche storico-letterarie. In questo senso, la filologia contribuisce, in maniera decisiva, alla ricostruzione di un capitolo fondamentale della storia della letteratura.

Massimiliano Gaggero

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1Una letteratura diffusa

Sulla circolazione dell’Epistola latina del Prete Gianni

Com’è noto, l’Epistola presbyteri Iohannis è una lettera fittizia che si dichiara inviata da un immaginario rex et sacerdos dell’India, il presbyter Iohannes appun-to, all’imperatore di Costantinopoli Manuele I Comneno (1143-1180); al suo interno sono descritte le meraviglie immaginarie del paese del presbyter, in un fantasmagorico elenco che riassume e condensa le notizie leggendarie sull’Oriente che il medioevo occidentale aveva ereditato dalla tradizione tardoantica, classi-ca e cristiana, e a cui aveva aggiunto in proprio ulteriori particolari. L’Epistola è scritta in un linguaggio elementare, nonostante il suo anonimo autore ostenti, in qualche punto, una certa formazione retorica1; sulle ragioni e le circostanze della sua stesura sono state avanzate diverse ipotesi, alcune più convincenti di altre, ma nessuna conclusiva; la sua prima circolazione si riconduce agli ambienti vicini alla corte dell’imperatore Federico I Barbarossa, negli anni intorno al 1165, e a quegli ambienti puntano i più accreditati studi sulla sua origine2. Fin dall’inizio il testo ebbe una fortuna enorme e fu oggetto di volgarizzamenti in numerosissime lin-gue; il più recente censimento dichiara l’esistenza di versioni in 17 lingue diverse, dall’irlandese al catalano al russo, e di almeno 469 manoscritti fra latini e volgari3.

Sulla tradizione dell’Epistola latina4 possediamo un’eccellente monografia,

1 Così nell’inserimento nel testo in prosa di una coppia di versi che richiamano un passo del-lo pseudo-ovidiano De philomela (Dulcis amica veni); o nella menzione, all’interno della lista di animali fantastici che costituisce il brano più celebre e spettacolare dell’intera Epistola (Zarncke 1879, pp. 910-911, par. 14), di alcuni soggetti tratti dalla tradizione scolastica degli adynata (le merulae albae e le cicades mutae).

2 La bibliografia sull’Epistola è vastissima, ma è incentrata soprattutto sul ‘mistero’ della sua ori-gine e sulla vitalità storica della figura leggendaria del presbyter. Per uno status quaestionis attuale su questi aspetti rimandiamo a Wagner 2000, pp. 244-253, Brewer 2015, Giardini 2016; fra gli studi complessivi precedenti andranno almeno citati, se non altro per la grande risonanza che hanno avuto, Silverberg 1972, Pirenne 1990, Bejczy 2001. In Italia, l’edizione più diffusa del testo è Zaganelli 1990.

3 Brewer 2015, pp. 310-313.4 Più studiate, sotto il profilo filologico, sono state le versioni in volgare. Per quelle di area

francese e occitanica fondamentale è soprattutto lo studio di Gosman 1982; per quelle italiane la

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scritta da Bettina Wagner e pubblicata nel 2000. Prima di lei l’argomento era stato studiato praticamente solo dal grande germanista Friedrich Zarncke, che nel 1879 produsse un’edizione critica sinottica – forse oggi la definiremmo ‘evolutiva’ – di quelle da lui considerate come le sei forme principali del testo. Oggetto principale delle ricerche di Zarncke erano le versioni in volgare del testo; ma per poterle in-quadrare correttamente era prima necessario fare ordine all’interno della tradizio-ne latina, un percorso che lo studioso affrontò in modo sistematico. I risultati che ottenne sono di valore eccezionale, tanto che la sua edizione è a tutt’oggi quella canonica per le forme principali del testo latino5; su di essi si innesta lo studio di Wagner, che li aggiorna e li completa, secondo le linee metodologiche più attuali. I manoscritti censiti passano dai 96 che erano segnalati (spesso in modo piutto-sto approssimativo) da Zarncke6 a ben 215, tutti precisamente descritti attraverso una scheda dettagliata7; viene fornita una più approfondita sinossi del contenuto delle forme redazionali latine e tedesche; si propone una nuova ricostruzione dei rapporti fra le forme latine, più credibile di quella piuttosto schematica tracciata da Zarncke; si determina che alcune redazioni latine sono in realtà retroversioni da forme volgari; si procede a un’analisi della tradizione, utilizzando da un lato le emergenze testuali, dall’altro i dati su circolazione e fruizione; sono pubblicate le redazioni del testo in latino e in tedesco che Zarncke non conosceva o aveva tra-scurato. La monografia di Wagner è oggi il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi ricerca filologica sull’Epistola latina, ed è insieme un modello per ricerche analoghe; ed è perciò anche la base di quanto diremo nel presente contributo.

L’indagine sulla tradizione mostra una forte mobilità: del testo latino sono sta-te individuate 18 redazioni diverse, più frequentemente create per aggiunta di particolari e notizie, più raramente per sintesi o eliminazione8. Una tale varianza non è del tutto refrattaria all’impiego di tecniche genealogiche per ricostruire il suo sviluppo diacronico; Wagner fornisce vari schemi dei rapporti fra le redazio-ni, e per alcune di esse anche dei rapporti interni fra i manoscritti che ne sono

situazione è descritta da Bartolucci 2007; per quelle tedesche cfr. Wagner 2000. 5 Zarncke 1879.6 Ibidem, pp. 907-908.7 Wagner 2000. Una lista aggiuntiva (che appare però piuttosto incompleta e non molto affi-

dabile) è stata proposta da Brewer 2015, pp. 308-309; per parte nostra, ci limitiamo a segnalare che il codice Roma, Vallicelliana, F.49, lì segnalato senza indicazioni ulteriori, riporta un testo della redazione U; che il codice Milano, Ambrosiana, H 188 Inf, segnalato in appendice da Wagner 2000 (pp. 730-311) perché reperito solo in extremis, riporta un testo della redazione E. Quanto al codice Wien, ÖNB, 1490, segnalato da Brewer 2015, p. 309, cfr. sotto, nota 10.

8 È merito di Wagner 2000 aver superato il modello unicamente ‘espansivo’ della tradizione che era stato proposto da Zarncke 1879 e avere individuato nella storia del testo anche momenti di compressione, in un andamento storico meno lineare, ma certamente più conforme alla realtà. In particolare, quella che Zarncke chiamava ‘redazione D’ appare oggi come una forma ridotta della redazione E.

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testimoni, applicando condivisibili criteri stemmatici e giungendo a risultati in genere convincenti. La varianza redazionale si registra già all’inizio della tradizio-ne, cioè ancora all’interno del xii secolo: a una forma che Zarncke considerava originaria (U, una sigla che nel suo linguaggio indicava il presunto Urtext, ma che Wagner preferisce interpretare come Uninterpolierter Text), si affianca una forma più estesa (B), riportata da testimoni coevi, se non addirittura più antichi9, e una forma più breve, chiamata da Wagner Kurzfassung-U, conservata da quattro ma-noscritti, a loro volta piuttosto diversificati10. Nello stemma recensionum tracciato da Wagner11, le tre forme U, B e Kurzfassung-U sono indicate come indipendenti; una rappresentazione del fatto che i rapporti fra esse non possono essere meglio determinati applicando il metodo genealogico, e che di conseguenza ognuna di esse contribuisce alla ricostruzione del testo originario. Ancora all’interno del xii secolo, o al più tardi ai primi anni del xiii, dovrebbe collocarsi anche una succes-siva espansione del testo, elaborata sulla base della redazione B e individuata da Zarncke come redazione C 12.

L’Epistola è un testo breve. Nell’edizione canonica di Zarncke l’Urtext com-prende circa 2150 parole, e la redazione B circa 2600; questi numeri vanno a crescere, in modo considerevole, nelle redazioni successive, fino a raggiungere le circa 7500 parole della redazione cui Zarncke attribuiva la sigla E; ma anche nella sua forma più estesa l’opera rimane di modesta entità fisica. Per le sue dimensioni, perciò, l’Epistola ben difficilmente poteva costituire un’unità libraria autonoma, e neppure rappresentare il testo principale di un codice miscellaneo. Fra i mano-scritti più antichi, l’unico a mia conoscenza dove questo avviene è München, BSB, Clm 3000413, un libro di piccolo formato dove l’Epistola (redazione B) costituisce

9 Bisogna avvertire però che la datazione entro la metà del xii sec. (o addirittura «vielleicht 1120-30») attribuita al codice Oxford, Oriel College, 2 (Wagner 2000, pp. 88, 167 nt. 38 e 277-278; riproduzione fotografica a p. 309), che passa per essere il più antico testimone in assoluto dell’opera, è certamente troppo alta. In ogni caso, il terminus ante quem non dell’opera è il 1143, anno dell’ascesa al trono di Manuele Comneno.

10 Su questa redazione cfr. Wagner 2000, pp. 158-163, che pubblica il testo alle pp. 346-350 sulla base dei tre manoscritti a lei noti (München, BSB, Clm 19411; Reims, BM, 142; Rouen, BM, 1343). A questi si aggiunge ora il codice Wien, ÖNB, 1490, f. 152r, che Brewer 2015 (p. 307) segnalava senza però indicare la redazione di appartenenza; per le notizie su di esso ringrazio Mariachiara Rafaiani. Si potrebbe forse meglio parlare di Kurzfassungen, perché le forme riportate dai codici sono piuttosto diver-se. I manoscritti di Vienna e di Monaco comprendono solo il prologo epistolare dell’opera (parr. 1-11 dell’edizione Zarncke), in forma più breve rispetto al solito; mentre nel Viennese il testo è un’aggiunta di altra mano al termine del codice, nel Monacense esso è inserito in una raccolta di modelli di lettera. I codici di Rouen e Reims hanno invece una sintesi dell’intero testo, collegato a una particolare variante della redazione U, testimoniata dai codici Milano, Ambrosiana, P 25 sup e Darmstadt, UB, 1405.

11 Wagner 2000, p. 166.12 Wagner 2000, p. 174.13 Descritto da Wagner 2000, p. 80. Qualche altro caso, ma di epoca quattrocentesca, si può

segnalare fra i manoscritti che riportano le redazioni più ampie.

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un’unità codicologica a sé stante, con elementi di fattura che dimostrano la sua na-tura di testo principale. Ma altrove l’opera si trova sempre all’interno di raccolte, con un forte grado di secondarietà rispetto ad altri testi più lunghi e consistenti.

Caratteristico è il fatto che talvolta l’Epistola è copiata – da sola, o con altri bre-vi testi – alla fine di un codice, come aggiunta di mano successiva a un libro già completo, che sfrutta le ultime pagine rimaste bianche. Questo avviene nella larga maggioranza dei codici antichi conservati, che ci forniscono una chiara immagine di quanto deve essere successo anche in altri casi. Così in tutti gli otto testimoni della redazione U datati da Wagner all’interno del XII secolo (Arras, BM, 528; Bruxelles, BR, 5541-42; London, BL, Harley 3099, Paris, BnF, lat. 3563 e lat. 16730; Bern, BB, 458; Vaticano Ottob. lat. 1555, Vaticano Reg. lat. 1658); in tre dei testimoni delle Kurzfassungen-U (Reims, BM, 142; Rouen, BM, 1343; Wien, ÖNB, 1490)14; e in diversi manoscritti del XII secolo della redazione B (ad esempio Aberystwyth, NLW, Peniarth 382 D; München, BSB, Clm 5251; Paris, BnF, lat. 2342 e lat. 3858-A; Valenciennes, BM, 207). Altre volte l’Epistola non ha più lo status di aggiunta successiva, essendo copiata dallo stesso scriba del corpo del codice; ma spesso si legge in posizione finale rispetto all’insieme, e questo è spia di una probabile derivazione da un manoscritto precedente dove essa era un’aggiunta avventizia.

Un esame codicologico della tradizione più antica conferma perciò l’estem-poraneità fisica del testo, che costituiva in genere un elemento complementare e posticcio rispetto ad altre opere. La varietà delle associazioni è enorme, financo sconcertante: per limitarci ai manoscritti che abbiamo poc’anzi citato e alle opere principali in essi conservate, l’Epistola finisce per trovarsi in coda a una raccolta di sermoni di Bernardo di Clairvaux nel codice Arras, BM, 528, ai Moralia di Grego-rio Magno nel codice Bruxelles, BR, 5541-42, alle Etymologiae di Isidoro nel codi-ce London, BL, Harley 3099, a delle lectiones esegetiche sull’Ettateuco nel codice Paris, BnF, lat. 3563, alle Antiquitates Iudaicae di Giuseppe Flavio nel codice Paris, BnF, lat. 16730, ai Gesta Dei per Francos di Guiberto di Nogent nel codice Bern, BB, 458, al Chronicon di Ugo di Fleury nel Vaticano Ottob. lat. 1555, ai Collec-tanea di Solino nel Vaticano Reg. lat. 1658, a una serie di commenti al Cantico dei cantici nel codice Reims, BM, 142, all’Historia ecclesiastica di Beda nel codice Rouen, BM, 1343, al commento alle epistole paoline di Pier Lombardo nel codice Wien, ÖNB, 1490, al Vangelo dello pseudo-Matteo nel codice Aberystwyth, NLW, Peniarth 382 D, al De civitate Dei di Agostino nel codice München, BSB, Clm 5251, a una serie di testi relativi all’abbazia di Bec nel codice Paris, BnF, lat. 2342, a una collezione canonica nel codice Paris, BnF, lat. 3858-A, al De sacramentis di Ugo di San Vittore nel codice Valenciennes, BM, 207. Sedici manoscritti e sedici

14 Sull'importanza di questa Kurzfassung, già indicata da Wagner come molto vicina alla fase di elaborazione del testo, rimando a un prossimo contributo specifico.

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associazioni diverse; qualche parallelismo tematico si riesce a intravvedere, ma più spesso l’unione sembrerebbe casuale, determinata più dalla disponibilità di spazio che da un’affinità di contenuto.

Questa estemporaneità sarebbe forse da considerare anche nella discussione sull’origine e gli scopi del testo. Chiunque l’abbia scritto non gli ha conferito le condizioni adatte per essere autonomo, e neppure l’ha inserito in un contenitore più ampio che gli assicurasse diffusione e stabilità; questo indebolisce le ipotesi che ritengono l’Epistola legata a un progetto politico di qualche respiro e di qualche risonanza pubblicistica, come la promozione di una nuova crociata o la diffusio-ne di un’immagine di rex et sacerdos connessa all’ideologia imperiale di Federico Barbarossa. Lo stato della tradizione antica ci mostra piuttosto un testo che inco-minciò a circolare in modo occasionale e non pianificato in un numero piuttosto elevato di copie; che era veicolato da supporti di scrittura effimeri, come schede o fogli sparsi; che si è conservato in quanto è stato autonomamente copiato, in singoli ambienti che l’avevano trovato interessante, senza particolare progettualità. Un fatto che rende in un certo senso ancor più paradossale, e allo stesso tempo più affascinante, l’importanza storica e letteraria che l’Epistola ebbe in seguito: un testo che non sembra aver avuto all’inizio grandi pretese di sopravvivenza, ma che diede origine a una tradizione che fu ritenuta vera per secoli, e che a distanza di secoli produceva ancora conseguenze politiche15.

In questa situazione, appare chiaro che la pur cospicua mole di manoscritti rimasti costituisce solo la punta di un iceberg rispetto a quelli che saranno andati perduti: non solo nella prima fase di circolazione, quando il supporto era effimero, ma anche in epoca più recente. Una spia di questo è il fatto che solo in cinque casi, all’interno dei 215 codici latini, l’accuratissima indagine di Wagner ha permesso di individuare dei codices descripti 16; una percentuale bassa, che induce a ipotizzare sull’altro versante un alto numero di manoscritti perduti17. Una diffusione mol-

15 L’episodio più famoso – anche perché, essendo tardivo, dimostra la permanenza del mito – è quello delle spedizioni portoghesi in Africa della seconda metà del Quattrocento, volte a instaurare rapporti diplomatici con il presbyter; ma nel basso medioevo si possono citare numerosi casi di ricerca di contatti con lui da parte di sovrani occidentali.

16 Secondo le indicazioni di Wagner 2000, gli unici casi sono i seguenti: Würzburg, UB, M.ch.q.73, descriptus di London, BL, Add. 22349; Vaticano lat. 7317, descriptus di Paris, BnF, lat. 6244-A; Paris, BnF, lat. 12116 (prima copia), descriptus da Paris, Arsenal, 379; Stuttgart, WLB, Cod. hist. 2° 246, descriptus di Luzern, KB, 25 fol.; Praha, KMK, G.XXIX, descriptus di Praha, NK, VI.G.21.

17 Qualche significato può avere anche il fatto che scarsi sono i casi in cui due manoscritti sono ricondotti da Wagner a un modello prossimo comune (si tratta delle coppie Troyes, BM, 1876 e London, BL, Harley 2667; Graz, UB, 433 e München, BSB, Clm 30004; Milano, Ambrosiana, P 25 sup e Darmstadt, UB, 1405; München, BSB, Clm 9503 e Wien, ÖNB, 413, cui si può ag-giungere anche la coppia Vaticano Ottob. lat. 1555 e Orléans, BM, 262); ma il grado di parentela non è qui determinabile, e l’efficacia statistica risulta perciò compromessa. Come è noto, non vi sono metodi atti a misurare anche solo approssimativamente la dispersione dei manoscritti di una

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to ampia, perciò, e molto trasversale, dato che l’argomento dell’Epistola e le sue caratteristiche stilistiche le permettevano di essere apprezzata in contesti molto diversi; una sorta di best-seller del basso medioevo, che tutti conoscevano e spesso citavano.

Uno degli effetti di questa diffusione ampia è la difficoltà per noi di utilizzare i dati esterni per individuare raggruppamenti stemmatici. Anche in questo caso l’in-dagine di Wagner è fondamentale, perché fornisce una grande quantità di notizie e una loro interpretazione. Si consideri anzitutto l’areale geografico del testo, per quanto si può comprendere dagli elementi codicologici e di storia dei manoscritti, spesso parziali e non sempre sicuri. In una sezione della sua monografia, Wagner traccia un profilo geo-cronologico della storia del testo, corredato da quattro map-pe (una per secolo dal xii al xv) in cui sono inseriti i manoscritti localizzabili, indi-cati con simboli diversi a seconda della redazione di appartenenza18. La diffusione più antica si concentra in due aree, la regione francese settentrionale (dalla Nor-mandia alla Mosa) e la Germania sud orientale (Austria-Baviera); successivamente il testo si diffonde in Inghilterra e nella Germania centrale, e nell’ultima fase del medioevo viene intensamente copiato fra la Svizzera e la Boemia. Solo sporadiche sono le attestazioni nella Francia centro-meridionale e in Italia; l’opera è pressoché assente dalla penisola Iberica e dall’Irlanda.

L’andamento appare abbastanza regolare: un primo asse di circolazione, indivi-duato da due poli precisi; una progressiva espansione; infine una concentrazione di interesse in una regione definita, dove il testo sembra essere stato “di moda” per un lungo periodo. Quello che colpisce, però, è il fatto che manca una corrispon-denza fra area geografica e forma redazionale, come facilmente si constata grazie alle mappe presentate da Wagner. Le forme principali del testo latino individuate dalla studiosa (U, B, C, E e Kurzfassung U) sono compresenti in una medesima regione fin dall’origine, e al contrario solo occasionalmente si può associare una determinata regione a una specifica di esse. Nell’area tedesca meridionale, che è la meglio rappresentata, convivono, nella medesima epoca e spesso in centri molto vicini, manoscritti di redazioni diverse: se effettuiamo un taglio cronologico all’al-tezza del xiii secolo, ad esempio, e perciò sommando i dati che Wagner fornisce per i primi due secoli di vita dell’Epistola, troviamo che qui erano presenti un co-

determinata opera; alcune considerazioni, sulla base di un censimento preliminare di tradizioni a stampa, per le quali si riescono talvolta a rintracciare dati numerici, si leggono in Guidi-Trovato 2004, pp. 27-29.

18 Wagner 2000, pp. 235-268 («Überlieferungschronologie und -geografie»); le tavole sono alle pp. 239, 255, 259, 262. Le mappe, per forza di cosa schematiche, scontano qualche sempli-ficazione, che si recupera all’interno del testo scritto; ad esempio in quella della p. 239 vengono attribuiti al xii sec. due manoscritti della redazione C (Stuttgart, WLB, Cod. hist. 2° 411; Zwettl, SB, 299) che appartengono in effetti a quel periodo come corpo principale, ma nei quali l’Epistola è copiata da mano che si direbbe più tarda.

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dice della Kurzfassung U (a Tegernsee: München, BSB, Clm 19411)19, un codice della redazione U (a Kremsmünster: Kremsmünster, SB, 253), cinque codici della redazione B (a Windberg: Wien, ÖNB, 951; a Herrenchiemsee: München, BSB, Clm 5251; a Sankt Lambrecht: Graz, UB, 433; di nuovo a Tegernsee: Paris, BnF, n.a.l. 310; oltre a uno non precisamente localizzabile, ma di area bavarese: Mün-chen, BSB, Clm 30004), tre codici della redazione C (a Weingarten: Fulda, HLB, B.3; a Zwiefalten: Stuttgart, WLB, Cod. hist. 2° 411; a Zwettl: Zwettl, SB, 299) e un codice della redazione E (a Niederaltaich; Wien, ÖNB, 413). Poiché il censi-mento può considerare solo i codici per i quali esiste una localizzazione abbastanza affidabile,. la varietà reale potrebbe essere anche maggiore. Solo per le aree perife-riche si può individuare qualche corrispondenza univoca fra regione e redazione specifica: così è per l’Inghilterra, nella quale l’unica forma attestata sembra essere la redazione B. Una tale compresenza di più forme redazionali nel medesimo pe-riodo e in uno spazio contiguo è un potenziale elemento di contaminazione: men-tre per un testo di questo genere sembrano poco probabili collazioni sistematiche, quali si verificano in genere per opere di studio, oggetto di attenzioni filologiche, molto più probabili sono interventi che portino a integrare spezzoni narrativi che figurano in un codice ma non in un altro, quelle parti cioè la cui presenza/assenza è il tratto caratteristico delle diverse redazioni. Per usare un linguaggio più tecnico, si potrebbe dire che l’Epistola difficilmente poteva andare soggetta a una contami-nazione di varianti, ma era suscettibile di contaminazione di esemplari.

Lo studio di Wagner censisce poi gli ambiti nei quali il testo circolava, anche in questo caso sulla base dei dati sull’origine e la provenienza dei manoscritti, ed escludendo giocoforza quelli per i quali non si possiedono indicazioni precise20. Fra i testimoni registrati, la larga maggioranza – oltre un centinaio – è riconduci-bile a ordini religiosi (benedettini, anzitutto; quindi agostiniani, cisterciensi e in misura minore altri, compresi i mendicanti, presso i quali il testo sembra avere avuto scarso successo); una quindicina a istituzioni ecclesiastiche secolari; meno di una ventina ad ambienti di studio, in particolare alle università. A prima vista, il dato appare sorprendente, perché l’Epistola non è un testo devozionale e non ci si attenderebbe un così largo uso nel contesto monastico; ma il dato va assunto con le necessarie cautele. I codici monastici sono in genere meglio identificabili rispet-to a quelli provenienti da ambienti laici, e anche di quelli in uso presso le chiese secolari; anche perché i fondi dei monasteri – e in particolare di quelli dell’area tedesca meridionale, da cui proviene la più gran parte del materiale – hanno una storia molto meglio conosciuta e ricostruibile. Possiamo supporre perciò che una parte dei codici di provenienza non identificata abbia avuto una circolazione ester-na all’ambiente monastico; e questo porterebbe già a una riduzione del divario.

19 Sulla particolarità della forma testuale riportata in questo codice cfr. sopra, nota 10.20 Wagner 2000, pp. 268-286 («Träger der Rezeption»).

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In secondo luogo, i manoscritti medievali conservati in biblioteche monastiche hanno avuto un tasso di distruzione minore rispetto a quelli detenuti da altre istituzioni o da privati. Inoltre, le biblioteche monastiche possono avere acquisito (per donazioni, eredità ecc.) libri di provenienza laica, entrati nel loro patrimonio senza che sia possibile oggi distinguere questa diversa origine, mentre ben di rado sarà avvenuto il contrario. L’eccezionalità apparente della situazione potrebbe ridi-mensionarsi tenendo conto di questi correttivi; non si può negare comunque che l’Epistola abbia avuto un successo notevole, forse inaspettato, proprio nel mondo monastico. D’altro canto il testo latino, quello di cui ci stiamo qui occupando, era affiancato dalle versioni in volgare, il cui pubblico di elezione era invece quello dei laici; e notizie sul presbyter circolavano in una sempre più vasta mole di opere de-rivative, che recuperavano il racconto dell’Epistola all’interno di contenitori diver-si (raccolte enciclopediche, cronache universali, trattati geografici ecc.)21. Questi libri diventavano a loro volta veicolo del materiale narrativo originario, a diversi livelli di comunicazione e fruizione, in ambienti alternativi e meno conservativi rispetto al monastero.

Ma il dato forse più interessante che appare dalle analisi di Wagner è quello dei contesti di lettura, principalmente individuati analizzando l’associazione dell’Epis-tola con altre opere nei manoscritti22. Si è già detto che il testo, data la sua brevità, era per forza di cose destinato a circolare in libri più ampi; e si è visto che l’unione con altri testi può derivare in origine, oltre che da scelte consapevoli, anche dalla casualità degli spazi idonei reperibili23, il che induce a una certa cautela nel trarre troppo perentorie conclusioni dai relativi dati. Tuttavia la varietà addirittura anar-chica che si riscontra all’inizio tende poi a diminuire con il passare del tempo, e l’Epistola finisce per essere ospitata con maggior frequenza in libri dall’assetto più regolare e dal contenuto più uniforme; una lenta stabilizzazione piuttosto comune nei processi di trasmissione testuale. Una mappa dei contesti librari si può dunque tracciare, e Wagner ne fornisce una dettagliata classificazione. Troviamo l’Epistola associata con novelle singole o in raccolte (come i Gesta Romanorum, la Discipli-na clericalis di Pietro Alfonsi, l’Historia septem sapientium, la Vita Secundi philo-sophi); con opere di carattere storiografico (cronache a sfondo teologico, come l’Historia de duabus civitatibus di Ottone di Frisinga; resoconti di crociata, come

21 Un elenco di fonti sulla leggenda del presbyter, per altro largamente incompleto, è fornito da Brewer 2015, pp. 273-298.

22 Wagner 2000, pp. 300-321 («Mitüberlieferung»).23 Wagner 2000, p. 301, sottolinea l’importanza di distinguere «zwischen intentionaler Kon-

textualisierung und zufälliger Assoziierung», e rileva le difficoltà dell’indagine, che su larga scala deve basarsi su indicazioni catalografiche non sempre precise e complete. Wagner osserva giusta-mente che appare imprudente trarre conclusioni sulle ricorrenti associazioni fra l’Epistola e alcune opere molto diffuse, perché più alto è il tasso di diffusione, più alta è anche la probabilità che l’associazione sia casuale.

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l’Historia Hierosolymitana di Roberto di Reims; storie universali, come quella di Martino di Troppau); con narrativa alessandrina (come l’Historia de preliis o l’E-pistola Alexandri ad Aristotelem); con opere scientifiche ed enciclopediche (come le Etymologiae di Isidoro, il Phisiologus o il Liber lapidum di Marbodo di Rennes); con testi di argomento geografico ed etnografico (come l’Imago mundi di Onorio Augustodunense, i Mirabilia urbis Romae, o i già citati Collectanea di Solino); con letteratura di viaggio (come la Relatio di Odorico da Pordenone, l’Itinerarium di Guglielmo di Rubruk o il libro di Marco Polo nella versione latina di Pipino); con scritti di precettistica morale e religiosa (come l’Elucidarium di Onorio o il De re familiari attribuito a Bernardo); con opere a finalità sociologica e politica (come il Ludus schacorum di Iacopo da Cessole o il De prerogativa imperii di Alessandro di Roes); con apocrifi vetero- e neotestamentari (come la Vita Adae, gli Acta di Tommaso o l’Evangelium Nicodemi); con romanzi agiografici (come i Gesta trium regum di Giovanni di Hildesheim o la Navigatio Brendani); con letteratura profe-tica e escatologica (come le Revelationes Methodii, il Purgatorium Patritii o la Visio Tnugdali)24.

L’Epistola finisce perciò per essere collegata a una gamma molto vasta di generi letterari diversi. Sarebbe più breve, probabilmente, indicare con quali tipi di opere essa non è mai associata: la ritroviamo perfino in collegamento con testi di stretto uso scolastico, come sono i formulari epistolari, e con alcuni scrittori classici. Al di là dell’encomiabile impegno di categorizzazione compiuto da Wagner, che deve fare i conti con qualche inevitabile forzatura classificatoria25, quello che risulta con chiarezza è che l’Epistola era suscettibile di una grande varietà di possibili inter-pretazioni e fruizioni, anche dipendente dall’ambiguità e della stravaganza del suo contenuto.

All’analisi dei dati sui contesti di lettura Wagner premette un’importante nota metodologica, preziosa per qualsiasi altra ricerca dello stesso tipo26. Vi si osserva fra l’altro che, in molti casi, la ricorrenza multipla di un’associazione fra l’Epistola e un’altra opera non corrisponde a un legame genetico: l’esempio portato è quello dell’Itinerarium di Jean de Mandeville, che è associato all’Epistola in codici della redazione B (Cambridge, CCC, 275), della redazione C (Bruxelles, KBR, 1160-63), di quella che Zarncke classificava come ‘redazione D’ (il perduto Königsberg

24 I codici miscellanei sono oggetto di sempre maggior attenzione da parte degli studiosi, sia sul piano codicologico, sia su quello filologico; anche perché costituiscono di fatto la larga mag-gioranza dei manoscritti esistenti. Rimandiamo in proposito a due recentissimi volumi collettivi sul tema, uno sul versante della filologia romanza, l’altro su quello della codicologia: Pratt et al. 2017, Corbellini-Murano-Signore 2018.

25 Sull’analisi di Wagner dissentiamo solo nel tentativo finale (pp. 319-320) di ricondurre i contesti interpretativi alla teoria dei ‘quattro sensi’ che si applicava all’esegesi dei testi biblici, che ci sembra in verità un po’ arbitraria.

26 Wagner 2000, pp. 300-305.

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