LA PORTA ORIENTALE

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Aldo Cherini LA PORTA ORIENTALE GLI SLAVI NEL TERRITORIO DI CAPODISTRIA Autoedizione 1995

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Aldo Cherini

LA PORTA ORIENTALEGLI SLAVI NEL TERRITORIO DI CAPODISTRIA

Autoedizione 1995

✍ Aldo Cherini - febbraio 1995ristampa 11/2020 - www.cherini.eu

I primi slavi arrivavano nella Venezia Giulia tra glianni 599 e 611 d.C. per la via di Tarsatica e del MonteMaggiore al seguito delle incursioni degli Àvari, da essitenuti nella condizione di schiavitù, di proprietà tribale,donde il nome dialettale veneto e istriano “s’ciavi” deri-vante dal latino medievale “sclavus”, essere di condizioneservile privo di ogni diritto, soggetto all’altrui potestà,pubblica o privata.

Si facevano notare subito per la loro ferocia e perl’efferata crudeltà. Il papa Gregorio Magno si preoccupavadella porta che stava aprendosi ad Oriente e scriveva alvescovo di Salona presso Spalato: “Degli slavi che a voisovrastano grandemente mi addoloro e conturbo. Miaddoloro per ciò che voi patite, mi conturbo perché, perla via dell’Istria, gli slavi cominciano ormai ad entrarenell’Italia (quia per Istriæ aditum iam Italiam intrarecoeperunt)”.

Piccoli gruppi riuscivano in qualche maniera a sot-trarsi alla condizione servile, forse grazie al pagamentodi tributi o riscatti, stabilendosi nelle terre alte e boscosedelle Giulie, in zone fuori mano, dalle quali si davano alleincursioni e a soprusi magari con l’appoggio di signorotti

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locali, laici ed ecclesiastici, che di essi si servivano pertenere soggiogati i sudditi recalcitranti. Nell’anno 804d.C. aveva luogo la clamorosa protesta degli Istrianipresso l’imperatore Carlo Magno, entrata nella storia deldiritto italiano col nome di Placito del Risano, tenuto inquell’anno davanti ai messi imperiali inviati dal sovranoad indagare e rendere giustizia. I rappresentanti di 12principali città, borghi e terre venuti col seguito di 172testimoni muovevano al feudatario imperiale, duca Gio-vanni, l’accusa di cattivo governo e di varii arbitrii tolle-rando o coprendo egli i suprusi degli slavi ai danni deicittadini liberi, dei loro diritti, delle loro proprietà. …«In-super sclavos super terras nostras posuit: ipsi arantnostras terras et nostras runcoras, segant nostras pradas,pascunt nostra pascua, et de ipsas nostras terras redduntpensionem Ioani» («Inoltre ha insediato sui nostri campie sui nostri prati slavi pagani, che arano, sarchiano,tagliano foraggio, pascolano e pagano a Giovanni unaparte del reddito delle nostre terre»)… Il feudatario nonpoteva negare gli addebiti e, per quanto riguardava glislavi, dichiarava:… «De sclavis autem, unde dicitis, acce-damus super ipsas terras, ubi resedunt, et videamus: ubisine vestra damnietate valeant residere, resideant; ubivero vobis aliquam damnietatem faciunt sive de agris, sivede silvis, vel roncora, aut ubicumque, nos eos eiaciamusforas» («Andiamo a vedere su quali terre stanno gli slaviin questione: se stanno senza far danni, restino; sedanneggiano i campi, i boschi, i prati, dovunque sia, noili buttiamo fuori»)…

Le cose, invece, non andavano così, erano sempretollerati, si facevano sempre più avanti tenacementeabbarbicandosi alle terre sulle quali potevano allungarele mani quando rimanevano senza i legittimi proprietaria seguito delle ricorrenti epidemie. Nessuno li ha “buttati

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Il territorio di Capodistria secondo la «Corografia»di Paolo Naldini (anno 1700)

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fuori” (saranno essi, invece, a buttar fuori gli Italiani dopoil 1947). Molti, per la verità, si fondevano con l’ambienteveneto e italico ripulendosi, cambiando mentalità e vitaconquistati dai sistemi civili di vita e dalla cultura latina,ma molti ancora rimanevano legati al loro mondo nonraccogliendo molte simpatie.

Quale contributo recavano essi alla storia delle no-stre terre? Il Codice Diplomatico Istriano, opera di PietroKandler, consiste nella raccolta di oltre un migliaio didocumenti a partire dall’anno 64 d.C. e fino al 1849, percomplessive 2600 pagine. Documenti vergati per la mag-gior parte in latino, 101 in italiano (il più antico dei qualicompare nel 1275) e 46 in tedesco (il primo dei quali èdel 1351). Nessuno di essi appare scritto in qualchelingua o dialetto slavo.

Il “Saggio di bibliografia istriana”, pubblicato da Car-lo Combi nel 1863, è una vasta rassegna non solo di librima anche di codici e di carte geografiche: vi sono elencate3060 opere delle quali 2455 scritte in latino ed in italiano,529 in tedesco, 59 in francese, 13 in inglese e 2 sole inslavo.

La “Bibliografia storico-religiosa su Trieste e l’Istria”pubblicata nel 1978 da Pietro Zovatto e Pier AngeloPassolunghi elenca per il periodo 1864-1974 altre 2201opere a stampa tra le quali si rintracciano solo 19 scrittein slavo. Queste indicazioni non vanno certamente intesein senso puramente numerico (alcuni autori slavi hannoscritto in latino, in tedesco e financo in italiano), maforniscono comunque un’ indicazione interessante.

Per quanto riguarda direttamente Capodistria, Ge-deone Pusterla pubblica nel 1888 un opuscolo su “Lanecropoli di S.Canziano nel suburbio di Capodistria”, sulcimitero comunale, cioè, aperto nel 1811: l’autore trascri-ve i testi di 266 epigrafi tombali, che sono per lo più in

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italiano, meno 12 di esse scritte in tedesco e, menoancora, 5 scritte in slavo, riguardanti impiegati governa-tivi o militari.

E non è che degli slavi non si parli. Ecco un docu-mento del 13 marzo 1490: …«questi croati e morlacchi sivedono nel territorio di Capodistria, Pinguente e Castel-nuovo prima di questi tempi; si vedono anche Cicci, nomeche prossimamente indica ladro. Non coltivano la terra,erano mandriani soltanto, ladri di buoi e di cavalli,grassatori di strada, assalitori di case e di villaggi, deva-statori delle selve e dei boschi, per legna da fuoco, cherecavano al mercato, e per li incendi, che vi causano…l’acquazione delle mandrie era il loro pretesto, o motivodi passare i monti; nell’andare e venire le vigne, i campierano la loro pastura»… Se ciò può sembrare esagerato,ecco quanto scrive il viaggiatore veneziano Michele Priulivenuto nel 1646 a Capodistria, dove aveva occasione diassistere alla rivista delle milizie cernidi del territorio:…«Fù con esse genti da moschetti fatto qualche piccioloessercitio, mà senza sbarro e nel passar la linea osseruaiesser la gente cosj rozza, e poco atta, che sono certo inoccasione di ualersene, non presterebbe alcun seruitio,ben giudicando non esser buona ad altro, che al lauoro,ne al publico interesse potria seruira ad altro, che all’e-sercitio di guastatori»…

Gian Rinaldo Carli scrive nel 1743: …«Tocchiamo oraun poco il territorio di Capodistria, o che barbarie! E villee case coloniche sono da Schiavoni popolate , ed ampia-mente tenute. Gente sono eglino barbara e vile di primoseggio, prive d’arte e di cultura, avvezza a dormire nellamiseria. Chi non dirà mai, che questi sieno oriundi dicoloro, ch’erano odiati già novecento anni fa?»… Il Carliaveva, inoltre, motivo di lagnarsi dei continui litigi con icontadini locali cui andavano soggetti i suoi operai del

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lanificio di Carlisburgo, da lui piantato presso Cerè nel1760. E l’amico conte Verri, venuto in visita: …«Questopaese è ameno, anche in questa stagione vi sono gli ulivi,l’aria è dolce; varie collinette circondano il mare, ma tuttospira povertà e rozzezza. I villani sono schiavoni, nonsanno l’italiano che si parla nella città, sono figure sozzeda selvaggi appena vestiti»…

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Una situazione di netta cesura esistente non solo tracittà e campagna, quale era comune nell’antichità, spe-cialmente nel Medioevo, ma reso ancor più accentuatodalla diversità della condizione civica, culturale e antro-pologica che correva tra il cittadino affrancato ed ilpastore, mandriano o contadino del più basso livelloancora impastoiato dalla mentalità retriva, dalla miseriae dell’ignoranza più primitiva con le conseguenze intui-bili, senza che il trascorrere del tempo rendesse possibilisuperamenti o appianamenti sensibili di questo stato.

Situazione che poneva problemi tali da rendere ne-cessari provvedimenti e incanalamenti giuridici, norma-tivi e organizzativi particolari. Il 30 dicembre 1669, “asuon di Campana, et voce Preconea” veniva convocatonella sala ordinaria del Palazzo Pretorio l’organo gover-nativo cittadino, il Maggior Consiglio, presente il podestàe capitano Baldassarre Zeno, che, esaminata, dibattutae messa ai voti la proposta, procedeva alla costituzionedell’Officio di Capitanio de’ Schiaui, cioè procuratoredella Contadinanza di questo Territorio, o Capitanatodegli Schiavi, con compiti sopra tutto di giurisdizionenelle cause minute costituenti il grosso dell’attività. Ca-rica di durata annua e lucrativa, fornente cioè un certoreddito sotto forma di una regalia annua a carico di 16

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ville del territorio e consistente in 8 “secchi” e mezzo diprodotti dei campi (agresta), 27 galline, 288 uova, 9“puine piccole”, 1 capretto, un carro di legna da ardere,la somma di 26 lire. Il capitano doveva, a sua volta, fornireun quantitativo d’olio alla chiesa della Madonna dellaSalute di Venezia e un pranzo ai conestabili, agli zupanie ai cruciferi del territorio in occasione della festa diS.Nazario (obbligo tramutato poi in soldo in ragione di156 lire).

Macchinosa la procedura elettorale della carica, dap-prima di nomina governativa veneziana, poi concessa alMaggior Consiglio di Capodistria. Non sappiamo quantoimpegno essa abbia richiesto al nostro Capitano nè se lamagistratura sia stata di qualche vantaggio: fatto sta cheessa veniva abolita il 28 febbraio 1800 col passaggio dellacompetenza al pretore civile.

Esistevano nel territorio anche tre signorie di giuri-sdizione privata di “puro e misto imperio” (Gravisi, Verzie Borisi) ed una trentina e più di benefici di originefeudale consistenti per lo più in diritti di decima, chepassavano non di rado dall’una all’altra famiglia investita(Del Bello, Vergerio, Verzi, Gavardo, Sereni, Tarsia, delTacco, Petronio, de Giovanni, Grisoni, Carli, Bratti, Man-zini, Barbabianca, Scampicchio) dando luogo a contest-azioni e sollevando problemi con i villici.

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Alla caduta della Repubblica Veneta nel 1797, sivivevano ore d’ansia non solo per l’incertezza della situa-zione politica e militare ma anche perchè il territorio erapercorso dai soldati schiavoni, di cui era ben nota lacattiva indole, che avevano abbandonato le caserme ve-neziane e tornavano alle loro case portando con sè le

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armi. Il culto delle armi era ed è una caratteristica deglislavi, le portavano con sè perfino in chiesa ancora nel1700, nonostante le proibizioni che restavano letteramorta; presso il Castel Leone, fuori la Porta della Muda,esisteva una baracca di legno dove i villici che intende-vano entrare in città dovevano depositare coltelli, coltel-lacci, roncole, falci, randelli e ogni oggetto d’offesa.

Gli Austriaci occupavano l’Istria anticipando i termi-ni del trattato di Campoformio con i Francesi con ilproposito sia pur alquanto pretestuoso di ristabilire l’or-dine in provincia. Ordine non facile a mantenere fuori deicentri urbani a causa degli slavi. Frequenti erano lelamentele per i danni subiti nelle campagne. ZuanneLonzar, nell’aprile del 1800, si trovava in un suo campodi Cerè quando veniva aggredito dai contadini del luogoe bastonato per aver protestato per i danni provocatiglidai loro animali. Le campagne dei fratelli Baseggio veni-vano danneggiate due volte da malandrini notturni, vanerestando le proteste presso lo zupano di Monte, nella cuiarea erano avvenuti i fatti. Tra il maggio e il giugnoavevano sporto denuncia per danni subiti altri 12 dan-neggiati (Prodan, Valler, Bordon, Gasperutti, Vouch, Co-radin, Divo, Riccobon, Corte, Zago, Damiani).

I villici specialmente di Monte, Gason, Sergassi eManzan si davano a ruberie e devastazioni fin sotto ilsuburbio di Capodistria a discapito dei legittimi proprie-tari delle campagne, tanto da indurre gli stessi, nel lugliodel 1800 a presentare alle autorità governative un memo-riale sottoscritto da 174 ricorrenti (Della Valle, Alberigo,Bacci, Zorzi, de Rin, Posacai, Scampich, Eva, Fedola,Gavinel, Garella, Nobel, Pellegrini, Carniel, Carbonaio,Schipizza, Maniago, Bruti, Sereni, Musella, Bracciodoro,Marsich, Crisman, Fortuna, Corte, Combi, Tremul, Min-ca, Mrach, Cociansich, Steffè, Zucca, de Stradi, Luis,

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Martissa, Gasperuti, Cocever, Orbaniza, Borlin, Divo, deCarli, Padovan, Alessio, de Ponte, Maier, Orbanaz, Pega,Cercego, del Conte, Penzo, Genzo, Giursi, Fontanot, Pa-chieto, Verzier, Roda, Bussa, Signoreto, Zago, Ricobon,Casto, Lonzar, Riosa, Marinaz, Trevisan, Fedola). Untempo bastavano pochi guardiani, ridotti ora di numeroe minacciati anche della vita sicchè il delitto diventavaconsuetudine a trionfo dei villici prepotenti e animatidall’esempio che l’uno dava all’altro. Gli agricoltori e ipossidenti imploravano un riparo a tanto danno e chie-devano il permesso della costituzione di un corpo di 24individui di condizione popolare guidati da un possidentecol compito di pattugliare le campagne, nottetempo e aturno, con concessione della salvaguardia governativa.

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Il 1848 segnava in tutta l’Europa centro-occidentalela sollevazione della piccola borghesia emergente e delpopolo contro l’assolutismo e l’immobilismo conseguentialla restaurazione post- napoleonica. Un evento che se-gnava anche l’affacciarsi degli slavi sulla scena politicainnestando un processo nazionalistico sempre più spintoai danni degli Italiani. Già da allora veniva avanzatal’istanza per la creazione di un regno slavo meridionaleinglobante anche l’Istria, vanificata dalla creazione delmargraviato quando una delegazione italiana, di cuifaceva parte Andrea Bratti, ribadiva che la penisola istria-na era diversa dalla Carniola “per cielo, suolo, memorie,costumi e lingua”.

In questo quadro assumeva una posizione di rilievola chiesa cattolica, la quale, con il rincalzo dei maestri discuola allogeni e di certi avvocati (imbeccati e foraggiatida Oltralpe), diveniva uno dei nidi dell’attivismo slavo,

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quando, riformata dal Vaticano la diocesi di Capodistriamediante l’unificazione con quella di Trieste dove venivacollocata la sede ordinariale, salivano sul seggio episco-pale soltanto vescovi slavi (tranne un solo caso conl’austriaco Nagl) e ciò in base a due concordati tra Romae la sede imperiale di Vienna.

Emergevano ben presto le conseguenze sia in sedesociale che in seno alla chiesa stessa con l’emarginazionedei preti “troppo italiani”. L’invadenza slava anche nellavita liturgica provocava una protesta firmata da 87 sa-cerdoti della diocesi tergestina- giustinopolitana, presen-tata al vescovo Sterk nel 1898. Tra le firme troviamoquelle del canonico don Giacomo Apollonio, don DiegoArich, vicario corale, canonico Giacomo Bonifacio, cano-nico onorario Giovanni Bennati, don Fracesco Franzacanonico Zarotti, don Francesco Fonda, don Angelo Ginicooperatore parrocchiale, don Carlo Mecchia decano ca-pitolare, don Sebastiano Merlato, canonico Giovanni Pe-chiar, prof. don Nicolò Spadaro, canonico onorario Lo-renzo Schiavi, don Luigi Vascon ( non compare qui lafirma del patriota don Giovanni Favento canonico Apol-lonio, in quanto morto da qualche anno). Il vescovo Sterkera particolarmente inviso per il suo scoperto filoslavismoe per il suo comportamento di sprezzo verso le istituzionilocali, contro di lui prendeva posizione anche il consigliocomunale. Non da meno era il vescovo Glavina. Venivafondata la società o comitato dei Santi Giusto e Nazarioper aiutare i seminaristi italiani e favorire il sacerdozionazionale numericamente in declino; a questo fine sidistingueva la nobildonna spagnola Lucia de Flores,residente da molti anni a Capodistria, che elargiva l’ele-vata somma di 10.000 corone.

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Si faceva attiva anche la nuova classe dei maestrielementari slavi, che cominciavano ad uscire dalla scuolamagistrale fondata, proprio a Capodistria, nel 1872 comeunico istituto di formazione professionale dei maestri pertutto il Litorale e pertanto trilingue, essendo previstol’insegnamento oltre che in italiano anche in tedesco e in“illirico”. Il corpo insegnante era formato in prevalenza daprofessori slavi (tre soli gli italiani su dodici), tra i qualiquel prof. Giovanni Merkelj, qui insegnante e direttoreper vent’anni, il solo a raccogliere la stima dei capodi-striani per la sua rettitudine; non aveva esitato ad espel-lere dalla scuola due studenti slavi implicati con la pistolain pugno in una rissa d’osteria. Altri invece si facevanonotare nelle adunanze (tabor), che si tenevano a VillaDecani, facendo professione di slavismo incitando i villicicontro gli Italiani.

La pluralità etnica era causa di attriti d’ogni generee di litigi con il ricorso anche alle vie di fatto rimbalzantisulla cronaca cittadina dei giornali.

Diversi gli episodi, ma basti citare quanto accadutola sera del 19 novembre 1884. Un gruppo di studentistava facendo gazzarra nella trattoria “Al Vaporetto”,erano in 20 ed il baccano da essi prodotto disturbava iclienti usuali tra i quali il dott. Pierantonio Gambini(podestà dal 1879 al 1884), un Baseggio, un Derin. Quelgran vociare in slavo accompaganto da cori sguaiati davafastidio per cui tra i due gruppi si stabiliva ben prestouna corrente di antipatia che finiva per provocare, fuoridel locale, l’intervendo del Gambini che mandava a lettogli avvinazzati dando un ceffone ad uno di essi che loaveva bollato con parole di scherno. Il fatto, gonfiato daun giornale slavofilo, provocava una denuncia presso il

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tribunale dove, il 22 gennaio 1885, aveva luogo il proces-so tenuto a porte chiuse perchè interessante due diffe-renti nazionalità. Il Gambini, Baseggio e Derin nochèaltre 15 persone ne uscivano con una condanna mentre15 studenti venivano assolti con loro grande giubilolanciando in Piazza abbondanti “zivio” capitanati da certoNekerman. La faccenda veniva stigmatizzata dall’opinio-ne pubblica e il giornale “Nuova Libera Stampa” diVienna denunciava, riportando i rispettivi nomi, il com-portamento degli studenti slavi e accusava quei profes-sori che ne fomentavano il fanatismo e le conseguentiviolenze (certi Spitrè, Radoicovich e Bellusich) . Un’ecodel fatto giungeva anche in seno al consiglio comunale diTrieste col seguito di un battibecco tra il vicepresidentedott. Luzzatto e un certo Switz.

Nella notte tra sabato 7 e domenica 8 febbraio unaltro gruppo di studenti croati si dava alla pazza gioiaabbandonando in Calegaria uno di loro talmente sbronzoda non potersi muovere. La gente si domandava cosaintendeva fare l’autorità scolastica.

L’opinione pubblica chiedeva la separazione dellenazionalità con l’allontanamento degli slavi: se ne occu-pavano la Giunta Provinciale dell’Istria e la Dieta, l’avv.Felice Bennati inoltrava un’interpellanza al Ministerodell’Istruzione e un primo successo si registrava nel 1906quando il primo corso croato veniva trasferito a Castua,seguito via via dai corsi successivi. Bisognava però giun-gere alle agitazioni del 1907 e del 1908 con l’appoggiodella cittadinanza e del consiglio comunale per indurre ilMinistero a trasferire altrove (a Gorizia) anche la sezioneslovena. Un successo fatto pagare, nel 1916, con lasospensione della lezioni per motivi politici.

Altri nidi si trovavano negli uffici pubblici, nellastazione dei gendarmi e nello stabilimento carcerario,

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dove il parroco serbo- ortodosso dei detenuti slavi, donSofronio Ranicic, dava scandalo con la sua condottatanto che, condannato per truffa, calunnia e stupro,finiva per essere trasferito altrove.

Gli i.r.impiegati sollevavano spesso lagnanze per ilbaccano ch’erano usi fare di notte con le loro “tamburize”passeggiando e spadroneggiando con l’esibizione di no-dosi bastoni per impressionare la gente, con la quale rarierano quelli che stringevano relazioni di correttezza eamicizia.

Nel marzo del 1905 compariva su di un giornale unarticolo stilato in termini virulenti con il quale venivanoattaccati indiscriminatamente i cittadini: “A Capodistria,città immonda, trascurata, senza un palpito di vita so-ciale, il comportamento di tutta la cittadinanza si com-pendia in due fenomeni: nel far mostra d’uno spiccatocarattere irredentista e nello spogliare il contadino slove-no. Null’altro offre questa città dimenticata da Dio”....Una manifestazione di livore tanto forzata, tanto lontanadalla realtà da essere segnalata dal periodico “Egida” perpuro fatto di cronaca senza bisogno di commenti o replic-che, indice del completo stacco degli allogeni dal tessutocittadino del quale non conoscevano nulla, proprio nelmomento in cui la città stava rinnovandosi e rimodernan-dosi sul piano dei lavori pubblici e delle attività civiche,economiche, sociali e culturali.

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L’avv. Giorgio Baseggio, fuoriuscito del 1866 e resi-dente a Milano dove veniva eletto consigliere comunale(1885), sembra essere uno dei pochi ad avvertire il peri-colo tanto da preoccuparsene seriamente, profeta ina-scoltato di quanto sarebbe successo una cinquantina

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d’anni dopo. Scriveva, infatti, nel dicembre del 1891:…«La insurrezione slava e la guerra accanita, che in Istriasi fa all’elemento Italiano, impongono di considerare ilnostro problema sotto un punto di vista nuovo. Aiuti daparte dell’Italia, gl’Italiani dell’Istria non possono sperar-ne; dura crudele verità ma verità. Soli essi non sono ingrado di resistere alla marea slava; anche questo dispiace(e a me dispiace nell’animo) ma è altrettanto vero. Pergiunta il governo austriaco si mette apertamente dallaparte degli slavi, e così la bilancia piega a tutto loro favore.Se le cose continuano di questo passo, io prevedo fra diecio quindici anni l’elemento italiano completamente scac-ciato in Istria. Ridotto alle città della costa, i nostrivedranno la rappresentanza politica al Parlamento e-quel ch’è peggio- la maggioranza della Dieta in mano aglislavi; e allora si potrà dire “finis Histriae”»… L’avv. Baseg-gio propugnava la necessità di cambiare politica, di ab-bandonare l’irredentismo momentaneamente e per fin-zione volgendosi al governo austriaco con l’aiuto del qualecombattere lo slavo, rintuzzare l’audacia degli invasori,rifare le scuole anche nell’interno della Penisola, cacciareal diavolo i preti slavi e così via.

Il grido di allarme non veniva compreso, non venivaraccolto, l’elemento italiano continuava per la sua stradadelle divisioni e delle diatribe, ieri come oggi.

Il medico Michele Depangher, poeta, polemista, gior-nalista, scriveva intorno al 1910: …«O lasciarsi sopraffaredagli slavi o cambiare politica, di qui non si scappa. Alnazionalismo slavo opporre il nazionalismo italiano intutta la sua estensione…Oggi l’Istria rappresenta la sce-na di una lotta tra il nazionalismo slavo compatto eunanime contro il liberalismo italiano più o meno com-battuto e dal socialismo e dal clericalismo e dai mazzi-

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niani, dagli anarchici, dai malcontenti, dagli schifati ecc.ecc»…

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Le elezioni amministrative locali davano spesso oc-casione a manifestazioni di intolleranza ed a contrastitalvolta assai accesi. Nel giugno del 1884 i due rappre-sentanti dei comuni foresi eletti in seno alla Dieta pro-vinciale partecipavano ad una riunione, che aveva luogonell’antica sala già del Maggior Consiglio di Palazzo Pre-toreo. Non perdevano occasione per farsi notare e nontrovavano altro che lanciare il grido “Viva noi e morte agliItaliani!” Un chiaro monito del quale i nostri continuava-no a non dare molto ascolto perché incredibile alla lucedella storia millenaria.

Nel settembre del 1891 avevano luogo le elezionilocali a Paugnano con un candidato slavo, che venivasconfitto. Un mestatore politico aizzava allora la gente delposto contro gli Italiani, tra i quali si trovava l’avv.Pierantonio Gambini, che trovavano rifugio in una casarestando ivi asserragliati finchè non arrivava a liberarliun reparto di soldati.

Le sedute della Dieta provinciale finivano spesso inburrascosi scontri provocati dalle intemperanze e dalleoffese dell’opposizione slava, con sospensioni tempora-nee. Nell’ottobre del 1910 la Dieta veniva riconvocata aCapodistria. Nella seduta del 18 ottobre di quell’annoveniva esaminata, tra l’altro, la proposta dell’on.Salata diaccordare una sovvenzione alla 1a Esposizione Provin-ciale Istriana (concordemente considerata una grandemanifestazione d’italianità). Gli slavi si opponevano im-mediatamente e l’avv.Zuccon, parlando ininterrottamen-te in slavo, assumeva un comportamente provocatorio

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con intenti ostruzionistici, frequenti pause e argomenta-zioni prolisse e insignificanti stancando il presidenteRizzi che, dopo 5 ammonimenti, gli toglieva la parola.Allora un altro slavo, l’avv.Trinajstic, rovesciava il tavolodella presidenza con quanto c’era sopra e un terzo indi-viduo, tale Kurelich, rincarava la dose rovesciando i tavolidegli stenografi. In seguito a ciò scoppiavano nell’aulagravi disordini e dopo una violenta colluttazione i distur-batori venivano estromessi. Per ordine sovrano la tornataveniva dichiarata chiusa e la Dieta, da quella volta, nonfu più convocata nè a Capodistria nè altrove.

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Nel 1914 scoppiava una guerra immane destinata acambiare la carta geografica dell’Europa travolgendo lostato imperiale absburgico sovranazionale ma da tempoindebolito proprio dal risveglio e dai conflitti delle nazio-nalità. Nel 1915 entrava nel conflitto anche l’Italia chenel 1918 concludeva le guerre risorgimentali portanto ilconfine statale, tracciato dalla storia, alle Alpi Giulie.Sembrava risolta favorevolmente e salvata per sempre lasorte degli Italiani d’Istria, ma così non doveva essere senon per poco tempo.

Un impianto statale assai differente da quello cessa-to, un sistema burocratico e ancor più un apparato fiscaleinusuali e parecchio faraginosi sembravano prestarsi adalimentare un’ opposizione manovrata più o meno sco-pertamente sul terreno politico dai nazionalisti slavi, dailoro spalleggiatori più o meno consci e da quanti eranoscontenti per lesi interessi personali. Inadeguata la rispo-sta governativa incapace, sia per ignoranza della situa-zione locale sia per certa insensibilità, a porre i rimedi

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più convenienti a salvaguardia dei legittimi interessiitaliani.

Nel 1921 avevano luogo le elezioni politiche per ilrinnovo del parlamento in un clima assai contrastato trai vari partiti in lizza. Un fatto di estrema gravità accadevanella mattinata del 15 maggio quando un piccolo gruppodi giovani, ingaggiati per la distribuzione delle schedeelettorali dal Blocco Nazionale (formato da partiti dicentro e di destra), veniva lasciato sulla piazza del villag-gio di Maresego da un autocarro che proseguiva poi il suogiro. Erano poco più che ragazzi che poco o nulla sape-vano di politica preoccupandosi per prima cosa di vederedove potevano andare per mangiare. Secondo il raccontofatto poi dal superstite Filiberto Tassini, arrivavano versole ore 10,30 cantando e dopo un breve giro s’erano fermatiall’osteria Grimaldo ordinando il pranzo. Fuori rimane-vano i giovani Furlani e Devescovi che venivano fattisegno ad ingiurie e minacce tanto che i loro compagniuscivano dall’osteria per dare loro man forte. Dapprimasi allontanavano e il Rizzato faceva scoppiare un petardoin aperta campagna a scopo intimidatorio. Quando tor-navano, trovavano la piazza deserta, ma improvvisamen-te venivano fatti segno a colpi di fucile da caccia e al lanciodi pietre che arrivavano da tutte le parti. Devescovirestava ferito alla tempia destra, Tassini riceveva unascarica di pallini al petto e un colpo di pistola alla schiena.Vista la mala parata, i malcapitati tentavano di trovarerifugio presso l’accantonamento di una squadra di 12soldati, staccati presso il villaggio in occasione delleoperazioni elettorali, ma costoro, prendendo alla letteral’ordine di non far entrare nessuno per timore che estra-nei s’impadronissero delle armi, non si prestavano alsoccorso. Ad un certo momento Tassini veniva a trovarsisolo con Giuseppe Basadona che cadeva colpito mortal-

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mente da armi da fuoco. Tassini veniva nuovamente feritoe aggredito da due individui, uno dei quali, GiuseppeKrmac detto Peverin, lo apostrofava: “Cosa siete venuti afare a Maresego? Non avete più coraggio?” colpendolo nelcontempo alla testa con un sasso e facendolo cadere aterra. Il Tassini si fingeva morto, ma i due assalitoricontinuavano ad infierire su di lui a calci finchè svenivaritrovandosi poi in un letto d’ospedale con l’esito di unainvalidità permanente (durante il processo i due energu-meni si accusavano a vicenda). Morivano massacratiGiuseppe Basadona, Giuliano Rizzato e Francesco Gia-chin.

La notizia arrivava a Capodistria nelle prime ore delpomeriggio provocando grande impressione. Per evitarespedizioni punitive partiva subito un autocarro militarecon 10 mitraglieri al comando del cap. Donzelli accom-pagnato dal tenente dei Reali Carabinieri. Poco dopopartiva un secondo gruppo di 20 soldati del cap. Tripodicon un autocarro sul quale salivano anche 15 borghesi,fascisti e repubblicani, tra i quali Remigio Budica, AnteoScampicchio, Piero e Paolo Almerigogna (in quell’epocarepubblicani), Mario Depangher, Giovanni Diviach, PieroLongo, Nino Petris (partito nazionale), Attilio Pagliaga,Rocco Marciano, Gualtiero e Ferruccio Tassini, congiuntidel ferito. Superavano lungo la strada barricate improv-visate e quando arrivavano sulla piazza del villaggiotrovavano solo donne essendo gli uomini scappati datutte le parti, ma non senza che prima si fosse verificatauna breve sparatoria con una vittima, il vecchio GiuseppeSabadini.

Nel successivo mese di dicembre aveva inizio a Triesteil processo con 26 accusati e 48 testimoni. Imputati qualiistigatori Francesco Koren e Giovanni Babich detto Ame-rican; indiziati come uccisori del Giachin Giovanni Ker-

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maz detto Peverin, Antonio Dilizza, Carlo Bersan e lostesso Giovanni Babich; indiziati come uccisori del Riz-zato Giuseppe Babich detto Baceto e Vittorio Sabadin,quest’ultimo confesso.

La sentenza del tribunale veniva pubblicata il 28febbraio 1923. Venivano riconosciuti colpevoli e condan-nati a pene detentive da 8 mesi a 8 anni, alcuni indagaticon il riconoscimento delle attenuanti generiche o dellaprovocazione (?!): Dilica Antonio detto Macio per la mortedi Giuseppe Giachin; Kermaz Giovanni detto Peverin (oBissa) e Babich Nazario detto Jegher per la morte diGiuseppe Basadona; Babich Giuseppe detto Baceto perla morte di Giuliano Rizzato e di Giuseppe Basadona;Krmaz Giuseppe detto Crancich per il grave ferimento diFiliberto Tassini; Bersan Giuseppe detto Checemer eUlmer Antonio detto Cogo per atti di violenza. Venivanoassolti Koren Francesco, Barsan Carlo, German Giovannidetto Peterin, Sabadin Carlo, Babich Giovanni detto San-tonel, Babich Carlo detto Ticòn, e Cerckvenich Andreadetto Volin.

Qualche anno dopo, nel 1924, veniva assassinato neipressi di Monte Giuseppe Derin, reo di appartenere allaM.V.S.N..

Nel 1922 entrava nel governo il partito fascista cheinstaurava presto un regime totalitario con decisi orien-tamenti in materia di politica sia interna che estera.Veniva fatta cessare ogni opposizione e il movimentoslavo subiva battute di arresto. Ne risentiva anche ilterritorio di Capodistria con una pacificazione forse piùapparente che reale ma comunque, tacitata o ridotta alminimo la propaganda antitaliana, con un ordine pub-blico turbato solamente dalla delinquenza comune, allaquale si dovevano alcuni omicidi (tutti parlavano dellegesta criminose del bandito Kolaric finito in carcere con

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condanna all’ergastolo). La carica di podestà di alcunivillaggi veniva ricoperta da amministratori capodistrianie intenso il movimento dei villici e delle villiche, cheandavano e venivano per i loro piccoli traffici, con carri easinelli, le donne con le marmitte del latte o con i fagottidella roba da lavare, presenti in buon numero in occasio-ne della sagra del Cristo in Ponte e della festa patronaledi San Nazario, che essi sapevano nato nel villaggio diBoste ma non sapevano che in quell’epoca gli slavi nonavevano ancora passato le Alpi.

Nel 1939 scoppiava la seconda guerra mondiale che,l’anno successivo, coinvolgeva anche l’Italia. Guerra che,dopo qualche effimero successo iniziale come l’occupa-zione della Dalmazia e l’artificiosa creazione della provin-cia di Lubiana, finiva nel 1945 con esito disastroso e conconseguenze tanto distruttive e debilitanti da durare, sulpiano politico, civico e morale, ancor oggi.

Gli slavi comunisti, datisi alla guerriglia partigianaloro congeniale e impostisi sanguinosamente anche sullealtre loro fazioni, coglievano al volo la straordinaria oc-casione, che a loro si offriva, e si impossessavano di granparte della Venezia Giulia fino alle porte di Muggia,Trieste e Gorizia con l’appoggio vendicativo e politicamen-te poco lungimirante dei vincitori anglo-americani (1945)e perfino con l’avallo di esponenti di taluni partiti politicie movimenti italiani, agenti in seno allo stesso governonazionale, debole e insipiente, entrato in uno stato con-fusionale che ancor oggi non cessa (1954, 1975).

Si scatenava la vendetta contro tutti e contro tuttocon il ricorso alle modalità più feroci di oppressione fisicae psicologica tale da fiaccare e cancellare, nel giro di pochianni, la popolazione e la sua fisionomia storica conl’assassinio nelle forme più crudeli (le foibe) e una ventinadi vittime (ballavano anche attorno ai morti), i processi

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orchestrati con tanto più clamore quanto meno fondati,le persecuzioni contro il clero e i fedeli cattolici (ferimentodel vescovo mons. Santin e del parroco mons. Bruni), lasparizione delle persone senza lasciare traccia, la prigio-ne per motivi pretestuosi, le bastonate di tipo squadristasulla pubblica via, gli arresti immotivati, le minacced’ogni genere, le mene della polizia politica (Ozna), lemenzogne e la diffamazione propalate anche a mezzo dialtoparlanti, le scritte oltraggiose sui muri delle case dipersone prese di mira, il taglio periodico delle vie tradi-zionali di comunicazione con Trieste, lo strangolamentoeconomico (la jugolira), la collettivizzazione delle aziendeanche piccole o artigianali, la confisca dei beni privati ecosì via. Il tutto, beninteso, nel nome altamente concla-mato della liberazione, della democrazia e della fratellan-za fra i popoli con manifestazioni pilotate fatte passareper spontanee, con gente fatta venire per lo più da fuori.

Si avverava così la previsione di Giorgio Baseggio main circostanze e con modalità tali che nè lui nè altrapersona sana di mente avrebbero potuto prevedere.

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FONTI

- Archivio di Stato di Trieste, I.R.Governo, Atti amministra-tivi dell’Istria, 1797-1805

- “La Provincia dell’Istria”, quindicinale, Capodistria 1867-1894

- “L’Unione-Cronache Capodistriane”, bimensile, Capodi-stria 1874- 1881

- “Patria”, bimensile, Capodistria 1884-1886- “La Sveglia”, settimanale, Capodistria 1903-1904- “Egida”, settimanale, Capodistria 1904-1905- “Vita Autonoma”, mensile, poi bimensile, Trieste, Parenzo

1904- 1912- “Il Piccolo della Sera”, quotidiano, Trieste 1890-1945

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