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TECNICA AMMINISTRATIVA L’attività economica La piramide dei bisogni e il bisogno di benessere La distinzione tra bisogni primari e bisogni secondari è intuitiva e ognuno di noi ne ha sperimentato l’esistenza. A nessuno viene in mente di affermare che ascoltare musica è più importante del mangiare. Si può apprezzare la musica, infatti, solo con la pancia piena o, comunque, che non brontoli per i morsi della fame. Solo dopo aver placato la fame, in altre parole, si avvertono altri bisogni come, appunto, quello di ascoltare musica. Possiamo immaginare perciò di costruire una specie di piramide in cui in basso mettiamo i bisogni più impellenti e via via più in alto quelli che consideriamo meno importanti. È ovvio che una piramide di questo tipo dipende dalle preferenze di ognuno di noi: tu, ad esempio, metteresti il bisogno di musica prima o dopo il bisogno di leggere un romanzo? Mentre alcuni posti di questa piramide, perciò, sono uguali per tutti (ognuno di noi mette alla base il bisogno di cibo e di acqua), a mano a mano che si va verso l’alto l’ordine può subire molte variazioni. Gli studiosi della mente umana, cioè gli psicologi, cercano di capire se, nonostante questa varietà, esistano delle regole che tutti gli esseri umani seguono nella loro vita quando si trovano a dover scegliere un bene. La questione è assai interessante poiché i bisogni sono come delle molle che fanno scattare il nostro interesse per qualcosa. Se non avvertissimo i bisogni, non avremmo alcuno stimolo ad agire, a compiere delle scelte. E in effetti gli psicologi sono riusciti a individuare qualche regolarità nella piramide dei bisogni e ciò riveste molta importanza per chi deve decidere cosa vendere ai consumatori. Sapere che, in genere, un certo bisogno è avvertito prima di un altro, infatti, può essere molto utile per chi deve scegliere quali beni produrre. Gli studiosi di economia, al contrario, non considerano molto importante la piramide dei bisogni perché a loro interessa capire il modo in cui una scelta viene fatta, indipendentemente dal tipo di bisogno che il soggetto soddisfa. Ciò che conta per un economista, in altre parole, non è qual è lo specifico bisogno che viene soddisfatto quanto, piuttosto, la soddisfazione che il soggetto ottiene utilizzando un bene. Tutti i bisogni, pertanto, vengono considerati come un tutto unico; consumare un bene significa ridurre questo stato complessivo di insoddisfazione. Considerando che per gli economisti la soddisfazione è uno stato di benessere dell’individuo a cui viene dato il nome di utilità, i beni sono allora mezzi attraverso i quali si raggiunge un unico obiettivo, cioè l’accrescimento dell’utilità.

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TECNICA AMMINISTRATIVA

L’attività economica La piramide dei bisogni e il bisogno di benessere La distinzione tra bisogni primari e bisogni secondari è intuitiva e ognuno di noi ne ha sperimentato l’esistenza. A nessuno viene in mente di affermare che ascoltare musica è più importante del mangiare. Si può apprezzare la musica, infatti, solo con la pancia piena o, comunque, che non brontoli per i morsi della fame. Solo dopo aver placato la fame, in altre parole, si avvertono altri bisogni come, appunto, quello di ascoltare musica. Possiamo immaginare perciò di costruire una specie di piramide in cui in basso mettiamo i bisogni più impellenti e via via più in alto quelli che consideriamo meno importanti. È ovvio che una piramide di questo tipo dipende dalle preferenze di ognuno di noi: tu, ad esempio, metteresti il bisogno di musica prima o dopo il bisogno di leggere un romanzo? Mentre alcuni posti di questa piramide, perciò, sono uguali per tutti (ognuno di noi mette alla base il bisogno di cibo e di acqua), a mano a mano che si va verso l’alto l’ordine può subire molte variazioni. Gli studiosi della mente umana, cioè gli psicologi, cercano di capire se, nonostante questa varietà, esistano delle regole che tutti gli esseri umani seguono nella loro vita quando si trovano a dover scegliere un bene. La questione è assai interessante poiché i bisogni sono come delle molle che fanno scattare il nostro interesse per qualcosa. Se non avvertissimo i bisogni, non avremmo alcuno stimolo ad agire, a compiere delle scelte. E in effetti gli psicologi sono riusciti a individuare qualche regolarità nella piramide dei bisogni e ciò riveste molta importanza per chi deve decidere cosa vendere ai consumatori. Sapere che, in genere, un certo bisogno è avvertito prima di un altro, infatti, può essere molto utile per chi deve scegliere quali beni produrre. Gli studiosi di economia, al contrario, non considerano molto importante la piramide dei bisogni perché a loro interessa capire il modo in cui una scelta viene fatta, indipendentemente dal tipo di bisogno che il soggetto soddisfa. Ciò che conta per un economista, in altre parole, non è qual è lo specifico bisogno che viene soddisfatto quanto, piuttosto, la soddisfazione che il soggetto ottiene utilizzando un bene. Tutti i bisogni, pertanto, vengono considerati come un tutto unico; consumare un bene significa ridurre questo stato complessivo di insoddisfazione. Considerando che per gli economisti la soddisfazione è uno stato di benessere dell’individuo a cui viene dato il nome di utilità, i beni sono allora mezzi attraverso i quali si raggiunge un unico obiettivo, cioè l’accrescimento dell’utilità.

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I sistemi economici Il sistema economico pianificato: il caso dell’Unione sovietica Il sistema economico pianificato ha avuto una notevole espansione nel mondo dopo la rivoluzione russa del 1917. Dall’Urss, questo tipo di sistema economico si è diffuso in tutti i paesi dell’Europa orientale, in Cina e in diversi paesi asiatici. La Russia, agli inizi del Novecento, era un paese agricolo ancora molto povero economicamente mentre i suoi vicini europei avevano già conosciuto un forte accrescimento della ricchezza nazionale grazie all’avvio della produzione industriale. La rivoluzione del 1917 diede una svolta decisiva a questo stato di cose. Il leader del partito che prese le redini del cambiamento, il bolscevico Lenin, una volta abbattute le strutture statali zariste, avviò negli anni Venti un processo tendente a realizzare un sistema economico in cui lo Stato fosse proprietario delle fabbriche più importanti (statalizzazione). Una volta acquisita la proprietà di tutti i mezzi di produzione, lo Stato sovietico, totalmente assoggettato al potere autoritario di Stalin (successore di Lenin), costrinse i lavoratori dei campi e delle fabbriche a ritmi di lavoro molto duri in cambio di retribuzioni molto basse. L’obiettivo di questa scelta era chiaro. Si voleva accrescere la quantità di beni prodotti dal sistema economico (ritmi di lavoro molto duri) e comprimere i consumi (retribuzioni molto basse). Diventava possibile così accantonare quantità crescenti di beni per gli investimenti. Il capitale disponibile aumentava e il sistema economico poteva crescere a tassi tanto elevati da accorciare le distanze tra lo Stato sovietico e i paesi capitalistici di più antica industrializzazione. Questa scelta operata da Stalin venne chiamata industrializzazione a tappe forzate. Il suo esito fu tale che l’Urss, dopo la seconda guerra mondiale, divenne il secondo paese nella graduatoria mondiale delle potenze industriali. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso questo tipo di sistema economico ha cominciato a mostrare segni di evidente difficoltà. Il suo funzionamento necessita di una limitazione delle libertà degli individui che, fino ad allora, era stata giustificata con i risultati economici che il sistema si diceva avrebbe ottenuto. La spiegazione era, in fondo, molto semplice. Si diceva che se lo Stato dirige il comportamento degli individui, toglie loro libertà ma assicura un perfetto coordinamento tra di essi, tanto che il sistema economico produce senza sprechi il massimo possibile. La povertà, in questo modo, avrebbe dovuto sparire e si sarebbe dovuta aprire la strada dell’abbondanza senza nessuna forma di sfruttamento tra gli uomini. Negli anni Ottanta, appunto, tale aspettativa è apparsa alle popolazioni di quei sistemi economici come del tutto infondata. Ha iniziato ad apparire con evidenza che la pianificazione non è una soluzione efficiente ai problemi economici e si è fatta strada l’esigenza di una radicale trasformazione del sistema economico. In Urss, paese guida dei sistemi economici pianificati, in particolare, ha preso l’avvio

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un processo di cambiamento detto “perestrojka”, che ha allentato la presa dello Stato sugli individui. In maniera in parte inaspettata, questo allentamento non ha fatto guadagnare consensi popolari nei confronti dello Stato pianificatore ma, al contrario, ha lasciato emergere una feroce critica nei suoi confronti. A partire dal 1989 gli eventi sono precipitati, la rivolta popolare contro lo Stato in questi sistemi economici ha raggiunto livelli imprevedibili. Nell’agosto del 1991, addirittura, dopo un fallito colpo di Stato a opera di coloro che volevano restaurare lo Stato pianificatore, la rivolta popolare ha costretto lo Stato sovietico a dichiarare del tutto superata l’esperienza pianificatrice. Allo stato attuale, dunque, il sistema economico pianificato è poco più che una alternativa puramente teorica. I soggetti economici Stato e nazione in economia politica Nel linguaggio corrente accade spesso di usare la parola Stato con due significati molto diversi tra loro. A volte, con la parola Stato si fa riferimento alla nazione, altre volte si fa riferimento allo Stato inteso come organizzazione che detiene il potere politico all’interno di un territorio in cui vive un determinato popolo. Sia dal punto di vista del diritto sia dal punto di vista dell’economia politica occorre evitare che questa ambiguità generi malintesi. Per questo motivo, la scienza giuridica distingue i due concetti aggiungendo le parole “comunità” e “apparato”. Lo Stato-comunità è allora l’insieme dei cittadini governati da un determinato potere politico. È invece Stato- apparato l’organizzazione dotata di sovranità che esercita il potere politico. La scienza economica, invece, ha distinto i due significati attribuendo alla parola “nazione” il senso di Stato come insieme di cittadini e alla parola “Stato” il senso di Stato come organizzazione che esercita il potere politico. In economia politica, perciò, si dice reddito nazionale per indicare il reddito prodotto da tutti i soggetti economici (famiglie + imprese + Stato + resto del mondo). Si parla invece di bilancio dello Stato per indicare il documento che sintetizza l’attività dello Stato inteso come organizzazione dotata di potere. La parola Stato, in economia politica, non può quindi dare adito a malintesi: si riferisce a quello che, giuridicamente, è lo Stato-apparato. Per indicare il documento che sintetizza l’attività di tutti i soggetti del sistema economico (famiglie + imprese + Stato + resto del mondo) non si utilizza allora l’espressione bilancio dello Stato, bensì conto economico nazionale.

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Il concetto di azienda Il concetto di azienda non è, in realtà, semplice da definire, anzi, la sua spiegazione risulta essere piuttosto articolata. Il termine azienda infatti assume dei significati diversi in base alla disciplina che lo analizza, quindi non esiste una sola definizione, ma una pluralità, le cui differenze/sfumature, dipendono da chi la propone e dalle finalità che si pone. Pertanto, non è possibile affermare che una sia più giusta di un’altra, ma è, tuttavia, possibile affermare che una meglio si adatta rispetto ad un’altra agli scopi ed alle finalità che si intende raggiungere. In primo luogo, possiamo definire l’azienda come “un sistema di forze che sviluppa in maniera coordinata ed autonoma un’attività economica e, cioè, un processo di produzione volto al soddisfacimento di bisogni umani”. Il concetto espresso in questa definizione è piuttosto ampio. È , infatti, una definizione generica, che può essere applicata a diverse realtà apparentemente distanti tra loro. Si pensi ad esempio alla FIAT, che è un’azienda privata o ad enti pubblici, quali un comune o una provincia, oppure ancora ad organizzazioni non profit (come Telethon). Tutte queste realtà, sebbene molto diverse tra loro, coordinano secondo una logica sistemica fattori, quali capitale e lavoro, per soddisfare dei bisogni umani, siano essi legati ad interessi privati, interessi pubblici o collettivi. Per poter definire il concetto di azienda, non possiamo prescindere dalla nozione giuridica, che è contenuta nell’articolo 2555 del Codice Civile, nel quale viene espresso che “l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. In tale definizione, tuttavia, non vengono considerate né le persone che operano nell’azienda né l’attività che vi viene svolta per raggiungere un fine economico. È un concetto ben diverso da quello proprio dell’Economia Aziendale in quanto, nella prospettiva giuridica, l’azienda si identifica con l’apparato strumentale (locali, macchinari, merci, attrezzature, materie prime, ecc.) di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento dell’attività di impresa (visione statica). Poiché la definizione giuridica implica la conoscenza di un altro elemento (che abbiamo accennato nel precedente paragrafo, ossia l’impresa) sarà opportuno esplicitarlo, anche se la definizione giuridica, può essere indirettamente ricavata dalla nozione di imprenditore “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” enunciata nell’art. 2082 del Codice Civile. Nella prospettiva giuridica, l’impresa è l’attività economica organizzata professionalmente dall’imprenditore, utilizzando la struttura aziendale, al fine di produrre e scambiare beni e/o servizi con il fine di conseguire un risultato economico positivo. L’impresa si contraddistingue per:

– organizzazione: viene svolta utilizzando la struttura aziendale;

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– professionalità: richiesta per perdurare nell’esercizio continuativo e non occasionale dell’attività;

– risultato economico positivo: necessario alla sua sopravvivenza.

La figura giuridica dell’imprenditore è il punto di partenza per il diritto commerciale (parte del diritto privato che regola le attività e gli atti di impresa), individuata per distinguere l’impresa da altre forme (lavoro autonomo) ai fini applicazione delle norme in materia di: fallimento ed altre procedure concorsuali; contabilità; registrazione delle Imprese; rappresentanza commerciale, ecc. rilevanza economica dei beni organizzati dall’imprenditore ai fini di regolare la cessione di azienda, i marchi, ecc. Secondo la prospettiva giuridica, quindi, azienda ed impresa sono due concetti distinti, il primo strumentale al secondo, il primo statico ed il secondo dinamico. Si analizzeranno, di seguito, le definizioni di azienda dal punto di vista manageriale. In particolare, è necessario sottolineare che il punto di vista giuridico e quello manageriale differisco in quanto non vi è, nel campo manageriale, la necessità di distinguere i concetti in maniera puntuale in quanto non esiste il problema di applicare norme diverse a fattispecie diverse, ma ha maggior necessità di individuare concetti generali e definizioni che aiutino a mettere in evidenza le diverse modalità con le quali l’attività economica può essere organizzata e gestita. Per Gino Zappa, il padre dell’economia aziendale, l’azienda è “un istituto economico destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la produzione o il procacciamento e il consumo della ricchezza”, e ancora, “un istituto economico destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in continua coordinazione la produzione o il procacciamento e il consumo della ricchezza”1. Per Aldo Amaduzzi, allievo di Zappa, l’azienda “è un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi cooperano”. Per Fabio Besta, invece, “l’azienda è la somma dei fenomeni o negozi o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitale”2, mentre per Pietro Onida: “l’azienda è un complesso economico che «ha vita continuamente rinnovantesi e mutevole di operazioni [...] per la soddisfazione di bisogni umani, in quanto questa richieda la produzione o acquisizione e consumo di beni economici”3. Da queste definizioni è possibile estrapolare le principali caratteristiche del concetto di azienda. L’azienda è un’organizzazione stabile e duratura, volta a combinare e coordinare le risorse impiegate nel processo produttivo compiendo operazioni non occasionali e per tempi medio lunghi. Infatti, la vita dell’azienda può andare oltre la vita delle persone che momentaneamente la gestiscono o ne sono proprietarie. L’azienda, perciò, non è uno strumento per il perseguimento di un fine individuale, ma un luogo in cui convergono e vengono posti in equilibrio una serie di interessi diversi. All’interno dell’azienda vi sono le persone, che prestano, nell’ambito dell’organizzazione, energie di lavoro e svolgono funzioni e compiti tra loro

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coordinati a diversi livelli di responsabilità. Un altro elemento sono i beni economici (materiali, immateriali e finanziari) destinati ad essere scambiati od utilizzati per svolgere l’attività produttiva e soddisfare i bisogni diretti e/o indiretti. All’interno dell’azienda vengono realizzate le operazioni sui beni, che sono svolte da persone per il raggiungimento del fine per cui l’azienda è costituita ed amministrata; in particolare, all’interno dell’azienda si realizza il fenomeno della produzione (trasformazione fisica) e/o della distribuzione (trasferimento nel tempo e nello spazio), che deve consentire di realizzare un prodotto che abbia una maggiore utilità (e quindi valore) rispetto alla somma dei fattori che sono stati impiegati per realizzarlo. Emerge, poi, che il fine o scopo dell’azienda lo scopo dell’azienda non è quello di fare profitti, ma quello di generare, attraverso i propri processi produttivi, beni e servizi che abbiano una utilità economica e, cioè, siano in grado di soddisfare i bisogni di numerose categorie di soggetti (lavoratori, clienti, investitori, finanziatori, ecc.). Consiste, quindi, nel soddisfacimento indiretto dei bisogni umani. Infine, di particolare importanza è quello che può essere definito come il “carattere sistemico” dell’azienda, in quanto i fatti che costituiscono la vita aziendale non sono tra loro scollegati, ma sono legati da un rapporto causa-effetto. Secondo quanto definito da Cavalieri, la teoria economico-aziendale ha esplicitato tre caratteri essenziali dell’azienda, possono essere sintetizzate nella visione sistemica dell’azienda, nell’autonomia e nell’economicità.4 Un sistema può essere definito come un complesso di elementi uniti tra loro o interdipendenti. Ne consegue che le operazioni poste in essere per realizzare gli obiettivi dell’organizzazione debbano essere necessariamente integrate tra di loro. In altri termini, i fatti aziendali che costituiscono la vita aziendale non sono tra loro scollegati ma sono strettamente avvinti in un rapporto di causa-effetto. L’autonomia, nell’azienda, implica libertà di decisione a livello strategico e operativo e si manifesta come sintesi di condizioni oggettive (durabilità) e soggettive (indipendenza). Le condizioni oggettive si concretizzano nella “durabilità” dell’azienda ed in particolare nel principio dell’operatività economica: l’azienda deve ambire al mantenimento di un equilibrio fra fabbisogno di fattori da impiegare e modalità di copertura di quel fabbisogno. Per quel che concerne le condizioni soggettive di autonomia, l’attenzione è rivolta al soggetto economico che si deve trovare in condizioni di “indipendenza” nell’esercizio delle sue funzioni decisionali. In ogni caso negli studi economico-aziendali l’autonomia non viene letta in chiave assoluta ma relativa. L’autonomia non implica isolamento ma è condizione che permette al complesso di operare discrezionalmente entro mutevoli scenari ambientali. L’economicità dell’azienda implica che l’intera attività posta in essere dall’organizzazione produttiva sia spirata alla logica: ð dell’efficacia strategica (intesa come capacità di programmare e realizzare obiettivi coerenti con le attese complessive degli interlocutori aziendali) ð dell’efficienza operativa (capacità di realizzare le produzioni, ai dovuti livelli qualitativi, con il minor impiego delle risorse disponibili). La costante tensione all’efficienza e all’efficacia porta alla creazione di valore e pone le condizioni necessarie per garantire nel tempo la sopravvivenza

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dell’organizzazione. L’azienda, inoltre, è un insieme di “forze economiche.” Con tale ’espressione “forze economiche” ci si riferisce ai fattori produttivi, ossia: - Capitale, con cui si indicano quei beni prodotti dall’uomo che non vengono utilizzati direttamente nei processi produttivi, ma che vengono impiegati per finalità produttive. - Lavoro, che rappresenta l’attività che l’uomo svolge per aumentare la dotazione di beni economici - Altre risorse, con cui si identificano i beni fisici (immobili, macchinari); beni ambientali; beni intangibili (brevetti e marchi, diritti d’autore, fiducia e reputazione aziendale). La classificazione delle aziende I criteri di classificazione delle aziende Le aziende possono essere classificare in base a diversi criteri; le diverse classificazioni, quindi, dipendono dalle finalità e dagli scopi che si intende perseguire. Verranno di seguito proposte alcune classificazioni che si ritengono funzionali agli scopi di questo Corso, che sono: ð Criterio dello scopo ð Criterio della forma giuridica, ð Criterio del mercato ð Criterio dell’intensità di conoscenza ð Criterio della dimensione ð Criterio della localizzazione dei mercati di vendita. Il criterio di classificazione in base allo scopo Un altro criterio di classificazione è in base allo scopo. Secondo tale criterio si può distinguere in: ð imprese (private o for profit), che sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e probabilistici che producono beni e/o servizi destinati allo scambio; esse possono soddisfare i bisogni umani in modo diretto e/o indiretto. Dallo scambio derivano le entrate (ricavi) che vanno a remunerare i fattori produttivi (capitale, terra, lavoro). Sono cioè le cosiddette profit oriented. L’equilibrio economico nel medio-lungo termine è condizione necessaria per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa e pertanto il fine dell’impresa è massimizzare il valore del reddito d’esercizio (pari alla differenza tra ricavi e costi). In sintesi, si tratta di organizzazioni che producono beni e servizi destinati allo scambio, il cui fine è l’ottenimento del profitto. ð aziende pubbliche (o amministrazioni pubbliche) sono quelle aziende (Stato,

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Regione, Provincia, Comune, ecc.) che perseguono l’interesse pubblico. ð aziende non profit, che sono complessi sistemi socio-tecnici, duraturi e indirizzati a soddisfare direttamente i bisogni sociali. Non è sufficiente che l’azienda non profit soddisfi i bisogni delle persone nel cui interesse è costituita e gestita ma è necessario che operi in condizioni di equilibrio economico (bilanciando proventi e oneri) e di efficienza. Le aziende non profit, in particolare, hanno le seguenti peculiarità: - sono aziende o imprese con le caratteristiche di visione sistemica, autonomia ed economicità; - sono private; - sono non orientate al perseguimento del profitto; - offrono servizi sociali; - il valore di mercato di un’offerta di azioni filantropiche, umanitarie o di ricerca non può fare riferimento alla sola misurazione economica; - l’organizzazione è formata per lo più da volontari (e pochi dipendenti) che devono essere sempre motivati sulla validità della missione perseguita e sul senso di appartenenza; - la raccolta delle risorse finanziarie e la gestione economica dell’offerta di prodotti/servizi sono spesso non integrate e distinte. La classificazione in base al criterio della forma giuridica Un altro criterio di classificazione è in base alla forma giuridica. Secondo tale criterio esistono due categorie che fanno da spartiacque: § il soggetto giuridico di diritto privato; § il soggetto giuridico di diritto pubblico. In particolare, possiamo definire un soggetto giuridico come la persona (fisica o giuridica) o l’insieme di persone cui fanno capo i diritti (ad esempio nel riscuotere i crediti) e gli obblighi (per esempio pagare i debiti) derivanti dalle operazioni effettuate nello svolgimento dell’attività aziendale. In particolare è possibile distinguere tra: • enti pubblici, ossia quelle aziende disciplinate dall’art. 11 del Codice civile. Il soggetto giuridico è di diritto pubblico. • enti privati, cioè quelle aziende disciplinate dal libro V del Codice Civile (aziende private o imprese), dal libro I del Codice Civile e da legislazioni speciali (aziende non profit). Il soggetto giuridico è di diritto privato. Esempi di aziende non profit di diritto privato sono le: Associazioni (artt. 14 e ss. del c.c.), dette anche corporazioni, sono regolate da norme di legge generali e sono costituite da un’organizzazione stabile, composta da un sistema di persone, le quali, utilizzando un patrimonio, pongono in essere delle operazioni volte al conseguimento di fini di natura privata e non lucrativi. Sono

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esempi di associazioni un circolo culturale, un ente ricreativo; Fondazioni o Istituzioni (artt. 14 e ss. del c.c.) sono organizzazioni stabili create per la gestione di un patrimonio fruttifero destinato ad uno scopo privato e non lucrativo delineato dal fondatore che per donazione o per testamento ne delinea i vincoli e i beneficiari esterni all’ente. Sono esempi di Fondazioni gli enti che finanziano la ricerca scientifica, le istituzioni di beneficenza e di assistenza, ecc. La classificazione in base al criterio del mercato In base a tale criterio, che contraddistingue le aziende in relazione al mercato, sia per l’acquisizione dei fattori produttivi sia per il collocamento dei prodotti si può distinguere in: • imprese sono quelle aziende che realizzano la loro funzione produttiva operando su mercati concorrenziali sia dal lato della domanda (acquisizione dei fattori produttivi) che dell’offerta (collocamento dei prodotti); • altre imprese: sono quelle sono aziende che realizzano la loro funzione produttiva operando, in tutto o in parte, in ambienti caratterizzati da forme di competizione attenuata o assente dal lato della domanda e/o dell’offerta. • aziende cooperative: si tratta di aziende che operano dal lato della domanda e/o dell’offerta in un ambiente di competizione attenuata in quanto i fornitori di alcuni fattori o i clienti coincidono con i proprietari dell’azienda; • amministrazioni pubbliche: che operano dal lato dell’offerta in mercati non competitivi in quanto cedono i propri servizi alla collettività dietro un corrispettivo che differisce dal prezzo di mercato. Esse inoltre acquisiscono buona parte dei mezzi finanziari secondo logiche di imposizione tributaria; • aziende non profit: che operano dal lato della domanda e dell’offerta in un ambiente non di mercato. In molti casi acquisiscono alcuni fattori produttivi gratuitamente o a valori non di mercato (es. donazioni, volontariato, ecc.) e cedono beni e servizi sempre gratuitamente o a valori non di mercato (servizi sociali, sanitari, ecc.). La classificazione in base al criterio dell’intensità di conoscenza In base a questo criterio le aziende vengono classificate, a seconda dell’intensità della conoscenza in esse racchiusa, in tre categorie collegate ad altrettanti settori produttivi: aziende di produzione di beni, che possono essere: § tipiche del settore primario: attività che comportano lo sfruttamento delle risorse naturali (es. agricoltura) § tipiche del settore secondario: attività di trasformazione delle materie prime (es. industria) aziende di produzione di servizi tipiche del settore terziario: si tratta di una molteplicità di attività eterogenee (es. distribuzione, attività bancarie, ecc.) aziende di know how del settore quaternario o terziario avanzato: sono le aziende che offrono servizi (es. ricerca e sviluppo, consulenza, ecc.)

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La classificazione in base al criterio della dimensione Tale criterio, sebbene possa sembrare il più oggettivo, risulta essere alquanto variabile in base al parametro di riferimento. In particolare, possiamo citare, come parametri di riferimento il numero degli addetti, il fatturato, il capitale sociale, gli investimenti fissi, ecc.) ma anche il contesto legislativo (nazionale - civile e fiscale - o europeo). Secondo Cavalieri, “la dimensione è un carattere globale e complesso della gestione e, come tale, legata sia all’insieme delle condizioni interne della gestione, sia ai mercati con i quali l’impresa entra in contatto attraverso gli scambi, nei momenti terminali del processo operativo”. Il quadro si complica ulteriormente in un mercato globalizzato come quello odierno; infatti, “nell’ipotesi di aggregati di aziende o complessi di partecipazioni societarie detenute da un solo soggetto economico” può accadere che “gli accordi di collaborazione fra imprese, le alleanze strategiche, l’esternalizzazione di determinate funzioni, spostano [...] i confini organizzativi dell’azienda e si riflettono, quindi sul suo peso nel mercato. Di conseguenza la dimensione dell’organizzazione finisce per non essere più rappresentativa della dimensione di impresa”. In più, i parametri usualmente utilizzati fanno riferimento agli elementi tangibili dell’azienda (addetti, impianti, capitale) oppure ad indici di risultato (quali produzione, fatturato e valore aggiunto) che però non considerano la dotazione di risorse intangibili spesso determinanti allo sviluppo dimensionale. “Il compito diviene ancora più difficile se [...] si vuole pervenire ad una distinzione fra “piccola”, “media” e “grande” impresa” poiché “non potrebbe essere operata in termini generali [...] ma dovrebbe essere definita a seconda dell’ampiezza e delle struttura del mercato”. Come afferma Sergio Sciarelli, benché non sia agevole individuare un parametro indicativo della forza di mercato di un’impresa, in dottrina si ritiene che “una grande impresa è quella in grado di esercitare un elevato grado di controllo del mercato, che cioè con le sue politiche riesce ad influenzare il comportamento delle altre imprese e ad indirizzare la domanda dei consumatori o utilizzatori dei suoi prodotti”. Le piccole imprese, invece, “sono quelle che non riescono ad influenzare le variabili di mercato e che sono esposte, quindi, al mutamento sia della domanda che dell’offerta. Meno definibile appare, infine il concetto di impresa di media dimensione, che peraltro sotto il profilo dei rapporti col mercato risulta meglio assimilabile alla piccola impresa”. Poiché, in realtà, nella pratica questi concetti non sono facilmente riproducibili, si tende ad utilizzare il parametro relativo al numero degli addetti e, con cautela, dal momento che potrebbero essere falsati dall’inflazione, fatturato e capitale. Nella prassi, quindi, si fa riferimento ai criteri ISTAT, alle norme comunitarie o ai parametri fiscali italiani. Le norme comunitarie vengono in aiuto nella definizione della piccola e media impresa, in particolare: piccola impresa: è caratterizzata per il fatto di non avere più di 50 dipendenti e un

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fatturato superiore a 7 milioni di euro o un attivo dello stato patrimoniale superiore a 5 milioni di euro; non deve essere controllata per più di un quarto da un’altra impresa che non rientri in questi parametri); media impresa: è caratterizzata per il fatto di non avere più di 250 dipendenti e un fatturato annuo superiore a 40 milioni di euro o un attivo dello stato patrimoniale superiore a 27 milioni di euro; non deve essere controllata per più di un quarto da un’altra impresa che non rientri in questi parametri di media impresa). Ai fini fiscali il parametro più utilizzato è quello del volume di affari. Per esempio ai fini Iva si ha: – regime ordinario (normale); – regime semplificato: se le imprese con prestazioni di servizi, per gli artisti e i professionisti non realizzano un volume di affari superiore a € 309.874,14; se le imprese aventi per oggetto altre attività non superano € 516.456,90; se coloro che svolgono prestazioni di servizi e altre attività non superano € 309.874,14; – regime super semplificato: per i minorenni contribuenti se non realizzano un volume di affari superiore a € 15.493,71; – regime forfetario: se i contribuenti non realizzano un volume di affari superiore

a € 10.329,14; – seguono altri regimi speciali.

La classificazione in base al criterio della localizzazione dei mercati di vendita L’ultima classificazione proposta, si basa sull’identificazione del mercato di vendita. In base a tale criterio si può distinguere in: • aziende locali, si tratta di aziende che collocano i propri prodotti (beni e servizi) in un ambito locale (comune, provincia, regione). Si pensi, a tal proposito, ad una piccola impresa commerciale che vende i propri prodotti nell’ambito del comune in cui è ubicata; • aziende nazionali: si tratta di aziende che collocano la maggior parte dei propri prodotti in tutto (od in una porzione rilevante) del territorio nazionale; • aziende multinazionali: si tratta di aziende che collocano la maggior parte dei propri prodotti in diverse nazioni. Le aziende multidimensionali, possono essere considerate come: • aziende multinazionali “orizzontali” che gestiscono impianti produttivi, collocati in diversi nazioni, al fine di realizzare produzioni simili (esempio: McDonalds); • le aziende multinazionali “verticali” che producono in alcuni paesi merci che servono come materie prime per stabilimenti in altri paesi (esempio: Adidas); • aziende multinazionali “diversificate” che producono, in diversi paesi, vari prodotti non direttamente collegati tra loro (esempio: Microsoft).

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Aspetto Finanziario della Gestione Aziendale L'aspetto finanziario della gestione di un'azienda prende in considerazione quelle che sono le entrate monetarie relative alle attività aziendali e le uscite monetarie che sono necessarie per permettere all'azienda di vivere ed operare e raggiungere i propri scopi.

Restando nell'ambito dell'aspetto finanziario della gestione, i fatti di gestione vengono classificati in:

• fatti effettivi: ovvero le entrate e uscite di denaro e cioè tutti quei fatti che originano entrate e/o uscite di denaro annoverabili nel normale svolgimento dell'attività aziendale e che portano a variazioni del patrimonio netto (esempio: il pagamento e la riscossione di affitti e rendite, spese per il personale, spese per le utenze, interessi ecc.) Sono altresì fatti effettivi anche le entrate e uscite di denaro straordinarie destinate all'acquisto di beni di uso durevole (esempio: immobilizzazioni materiali). • fatti per movimento di capitali: ovvero l'accensione, l'estinzione, il rimborso o la riscossione parziale di mutui attivi e passivi. O anche l'acquisto o la vendita di beni di reddito.

• fatti per partite di giro ovvero le entrate e le uscite di denaro relative ad operazioni fatte per conto di terzi che non causano alcuna variazione nella situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'azienda. (esempio: i contributi previdenziali e imposte sul reddito sottratte dalle retribuzioni poi versate agli istituti previdenziali e all'Erario).

La somma algebrica delle entrate e uscite di denaro all'interno certo esercizio commerciale dà come risultato l'avanzo o disavanzo finanziario. Questo risultato però, non rispecchia necessariamente le reali variazioni del fondo cassa dell'azienda in quanto sicuramente nel precedente esercizio saranno state presenti entrate e uscite di denaro con competenza relativa all'anno precedente, realmente però, pagate e/o incassate nell'anno in corso, che fanno variare la cassa senza alcun riscontro nella situazione finanziaria dell'anno in corso. E ancora ci potrebbero essere dei movimenti di denaro senza aver ancora ricevuto il documento o fattura che verrà poi ricevuta probabilmente nell'anno successivo. Quindi alla fine di ogni esercizio viene calcolato non solo il risultato finanziario di competenza dato dalle entrate e uscite monetarie di competenza, ma anche il risultato finanziario della cassa relativo alle variazioni realmente subite dalla cassa per effetto di riscossioni e pagamenti anche di competenza di anni precedenti.

Il risultato finanziario di cassa può pertanto essere trovato sommando:

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• entrate e uscite di denaro di competenza dell'esercizio precedente con manifestazione finanziaria nell'esercizio in corso

• entrate e uscite monetarie di competenza dell'anno che hanno avuto manifestazione finanziaria nell'anno

Investimenti , acquisizione dei fattori produttivi

L'acquisizione dei fattori produttivi si configura mediante l'investimento delle risorse monetarie rese disponibili dai finanziamenti, dagli utili prodotti in azienda, o dai crediti di forniture con pagamento differito. Ogni acquisizione da luogo ad una variazione numeraria passiva, come ad esempio:

-diminuzione di cassa

-aumento dei debiti verso fornitori

-aumento di debiti in moneta

-diminuzione di crediti (nel caso di pagamento tramite cessioni di tratte) L'acquisizione di fattori produttivi da luogo a variazioni numerarie passive a seconda della tipologia di pagamento che si potrà effettuare, ad esempio nel caso di pagamento della fornitura per cassa, la variazione numeraria passiva sarà la diminuzione di cassa per il costo dell'acquisizione del fattore produttivo stesso (Minor Attività).

Nel caso di pagamento per assegni avremo invece una diminuzione del conto corrente bancario per il costo dell'acquisizione del fattore produttivo stesso. (Minor Attività). Nel caso invece di un pagamento differito avremo invece un aumento di debiti verso fornitori per il costo dell'acquisizione del fattore produttivo stesso. (Maggior Passività). La variazione numeraria passiva è un dato oggettivo che corrisponde al costo di acquisizione del fattore produttivo stesso. I due valori pertanto coincidono, ed è per questo motivo che la variazione numeraria passiva è l'aspetto originario della variazione mentre il costo, (o la causale) ne è l'aspetto derivato.

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Fattori produttivi durevoli e non durevoli

I fattori produttivi come già detto nelle pagine precedenti possono essere di due tipologie: - l'acquisto di fattori produttivo non durevoli da luogo ad un costo che è da considerarsi relativo all'esercizio in cui l'acquisto avviene, salvo rettifiche dovute alle rimanenze. - l'acquisto di fattori produttivi durevoli da luogo a costi che vengono definiti costi pluriennali, e cioè che gravano su più esercizi (quelli relativi al suo utilizzo) dando origine alle cosiddette quote di ammortamento.

La Contabilità

Dicesi contabilità il sistema aziendale per la rilevazione continua di qualsiasi evento che ha una rilevanza di tipo economico.

La contabilità viene utilizzata presso qualsiasi struttura operativa, pubblica e/o privata, anche se il concetto di contabilità andrebbe esteso anche nell'ambito personale della vita quotidiana (contabilità individuale).

Una seconda definizione utilizzata in ragioneria, sostiene che la contabilità rappresenti l'insieme degli spostamenti di capitale aziendale organizzati secondo un criterio che consenta un veloce accesso ed elaborazione dei dati. La contabilità individuata come annotazione delle operazioni commerciali è una pratica in uso fin dall'antichità. Prima del XV secolo i fatti aziendali erano registrati con il metodo della partita semplice con una serie di voci sotto le quali veniva annotato di volta in volta una nuova registrazione senza alcun collegamento tra le operazioni, il che non dava alcuna possibilità di controllo incrociato e quindi di riscontro. Verso la fine del 1400 vengono inseriti i criteri della partita doppia, che per ogni operazione vengano eseguite due registrazioni, in due conti distinti, in sezioni opposte (dare ed avere), per importi uguali, in modo che la totalità dei valori registrati nelle due sezioni, sia sempre la medesima. Utilizzando questo metodo vi è la possibilità di riscontro e di autocontrollo e soprattutto mediante con una determinata struttura del piano dei conti è possibile avere una visione continua della situazione economica e patrimoniale dell'impresa.

Classificazione delle contabilità

Nelle aziende, coesistono due funzioni fondamentali:

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• Mercantile o commerciale, che permette di relazionare l'azienda con il mondo esterno e riguarda l'acquisto di materiali (uscite) e la vendita di prodotti o servizi (entrate) • Industriale o tecnica che resta all'interno della struttura e riguarda i processi di lavorazione e trasformazione dei materiali acquistati in prodotti finiti. Da questa distinzione derivano:

• Contabilità ordinaria che registra la totalità dei i fatti amministrativi tra l'azienda e l'ambiente esterno. I dati rilevati sono solo quelli accertati e documentati secondo rigidissime regole formali.

• Contabilità industriale o analitica che registra solamente fatti di gestione interna. I dati possono essere ricavati utilizzando come riferimento costi e ricavi rilevati dalla contabilità generale oppure derivare da previsioni.

Altra distinzione che andremo a descrivere nel dettaglio all'interno delle pagine di questa sezione è rappresentata dalla distinzione tra contabilità semplificata e contabilità ordinaria:

• la Contabilità ordinaria tiene monitorati i movimenti sia economici che finanziari (quindi si registrano le banche, le carte di credito, i movimenti di denaro contante) • la Contabilità semplificata tiene conto solo dei movimenti economici (fatture acquisti e fatture vendite)

La contabilità ordinaria

Per effetto del T.U.I.R. molte società di persone e ditte individuali, avendo superato nell'esercizio precedente la soglia di ricavi di 400.000 euro se si tratta di imprese che svolgono l'attività di prestazione di servizi e 700.000 euro per la produzione di beni o per il commercio, sono obbligate all'adozione della contabilità ordinaria che dovrà essere effettuata necessariamente con il metodo della partita doppia. Ai fini fiscali il regime di contabilità ordinaria resta obbligatorio anche per le seguenti categorie di aziende:

• società per azioni;

• società a responsabilità limitata;

• società in accomandita per azioni;

• società cooperative;

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• società di mutua assicurazione; enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale;

• i consorzi, le associazioni non riconosciute e le organizzazioni non riconosciute;

• le società e gli enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica non residenti nel territorio dello stato italiano.

E' importante sottolineare che anche le imprese più piccole, possono optare per la contabilità ordinaria in sostituzione della contabilità semplificata, per esigenze gestionali o per pura scelta di gestione.

Libri obbligatori per la contabilità ordinaria

Le imprese in contabilità ordinaria sono tenute ad aggiornare i seguenti libri contabili:

• Libro Giornale, dove vengono registrate tutte le operazioni economico-patrimoniali in ordine cronologico;

• Libro inventari all'interno del quale vengono riportati la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore;

• Registri IVA integrati con il registro delle fatture emesse e/o dei corrispettivi, il registro degli acquisti, e altri obbligatori in base all'attività esercitata;

• Registro dei cespiti, non più obbligatorio ma utile dove vengono annotati gli acquisti dei beni ammortizzabili indicandone il costo originario, rivalutazioni e svalutazioni, fondo ammortamento, quota ammortamento, e coefficiente di ammortamento.

Saper tenere correttamente la contabilità è soprattutto un modo per gestire correttamente l'azienda, ma anche un modo per dimostrare la correttezza fiscale della propria gestione, in modo da contrastare efficacemente eventuali accertamenti induttivi. Ecco perchè molti imprenditori optano, anche se non obbligati alla più costosa e complessa contabilità ordinaria.

La contabilità semplificata

L'imprenditore che inizia l'attività d'impresa, arte o professione, deve valutare il peso fiscale e gli obblighi contabili che sono diversi in base al regime contabile che sceglie. Rimane fermo che, a fine anno, deve verificare se la chiusura dei conti

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comporta un cambiamento di regime fiscale e delle conseguenti regole di determinazione del reddito e dell'Iva.

Le imprese possono applicare il regime di contabilità semplificata previsto dall'articolo 18 del Dpr 600/73. Ai fini delle imposte sui redditi sono minori e in regime di contabilità semplificata, le imprese individuali e le società di persone qualora i ricavi conseguiti in un anno intero non abbiano superato l'ammontare di 400.000,00 euro per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, o di 700.00,00 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività. Le imprese con ricavi superiori ai predetti limiti sono in regime di contabilità ordinaria. I due limiti, valgono anche ai fini Iva mensile o trimestrale. Per i professionisti, il regime contabile è di norma quello semplificato. I contribuenti possono anche esercitare l'opzione per le liquidazioni e il versamento trimestrale Iva. In caso di opzione, va tenuto presente che: i versamenti trimestrali e il saldo annuale vanno maggiorati degli interessi dell'1 per cento; l'opzione deve essere comunicata nella prima dichiarazione annuale Iva da presentare dopo la scelta operata.

Chi può optare per la contabilità semplificata

Le disposizioni si applicano anche ai soggetti che, a norma del codice civile, non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili di cui allo stesso codice. Tuttavia le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società ad esse equiparate e le persone fisiche che esercitano imprese commerciali , qualora i ricavi, conseguiti in un anno intero non abbiano superato l'ammontare di € 400.00,00 per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, ovvero di € 700.000,00 per le imprese aventi per oggetto altre attività, sono esonerati per l'anno successivo dalla tenuta delle scritture contabili prescritte dai precedenti articoli, salvi gli obblighi di tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse del presente decreto. Per i contribuenti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività si fa riferimento all'ammontare dei ricavi relativi alla attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività diverse dalle prestazioni di servizi.

I soggetti che fruiscono dell'esonero, entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, devono indicare nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell'imposta sul valore aggiunto il valore delle rimanenze.

Le operazioni non soggette a registrazione agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto devono essere separatamente annotate nei registri tenuti ai fini di tale imposta con le modalità e nei termini stabiliti per le operazioni soggette a registrazione. Coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette a registrazione devono annotare in un apposito registro l'ammontare globale delle entrate e delle uscite relative a tutte le

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operazioni effettuate nella prima e nella seconda metà di ogni mese ed eseguire nel registro stesso l'annotazione di cui al precedente comma.

I soggetti esonerati dagli adempimenti relativi all'imposta sul valore aggiunto ai sensi non sono tenuti ad osservare le disposizioni dei due commi precedenti. Il regime di contabilità semplificata previsto nel presente articolo si estende di anno in anno qualora gli ammontari indicati nel primo comma non vengano superati. Il contribuente ha facoltà di optare per il regime ordinario. L'opzione ha effetto dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale è esercitata fino a quando non è revocata e in ogni caso per il periodo stesso e per i due successivi. I soggetti che intraprendono l'esercizio di impresa commerciale, qualora ritengano di conseguire ricavi per un ammontare ragguagliato ad un anno non superiore ai limiti indicati al primo comma, possono, per il primo anno, tenere la contabilità semplificata. Per i rivenditori in base a contratti estimatori di giornali, di libri e di periodici, anche su supporti audiovideo magnetici, e per i distributori di carburante, ai fini del calcolo dei limiti di ammissione ai regimi semplificati di contabilità, i ricavi si assumono al netto del prezzo corrisposto al fornitore dei predetti beni. Per le cessioni di generi di monopolio, valori bollati e postali, marche assicurative e valori similari, si considerano ricavi gli aggi spettanti ai rivenditori. Ai fini del presente articolo si assumono come ricavi conseguiti nel periodo di imposta i corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione nel periodo stesso agli effetti dell'I.V.A. e di quelle annotate o soggette ad annotazioni.

Scritture contabili contabilità semplificata

Le società, gli enti e gli imprenditori commerciali in contabilità semplificata devono in ogni caso tenere:

a) il libro giornale e il libro degli inventari;

b) i registri prescritti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto;

c) scritture ausiliarie nelle quali devono essere registrati gli elementi patrimoniali e reddituali, raggruppati in categorie omogenee, in modo da consentire di desumerne chiaramente e distintamente i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito;

d) scritture ausiliarie di magazzino, tenute in forma sistematica e secondo norme di ordinata contabilità, dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventari annuali. Nelle scritture devono essere registrate le quantità entrate ed uscite delle merci destinate alla vendita; dei semilavorati, se distintamente classificati in inventario, esclusi i prodotti in corso di lavorazione; dei prodotti finiti nonché delle materie prime e degli altri beni destinati ad essere in essi fisicamente incorporati;

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degli imballaggi utilizzati per il confezionamento dei singoli prodotti; delle materie prime tipicamente consumate nella fase produttiva dei servizi, nonché delle materie prime e degli altri beni incorporati durante la lavorazione dei beni del committente. Le rilevazioni dei beni, singoli o raggruppati per categorie di inventario, possono essere effettuate anche in forma riepilogativa con periodicità non superiore al mese. Nelle stesse scritture possono inoltre essere annotati, anche alla fine del periodo d'imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico. Per le cessioni di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione automatica, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante e per le prestazioni alberghiere e le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai pubblici esercizi, nelle mense aziendali o mediante apparecchi di distribuzione automatica, le registrazioni vanno effettuate solo per i movimenti di carico e scarico dei magazzini interni centralizzati che forniscono due o più negozi o altri punti di vendita. Per la produzione di beni, opere, forniture e servizi la cui valutazione è effettuata a costi specifici, le scritture ausiliarie sono costituite da schede di lavorazione dalle quali devono risultare i costi specificamente imputabili; le registrazioni sulle schede di lavorazione sostituiscono le rilevazioni di carico e di scarico dei singoli beni specificamente acquistati per le predette produzioni. Dalle scritture ausiliarie di magazzino possono essere esclusi tutti i movimenti relativi a singoli beni o a categorie inventariali il cui costo complessivo nel periodo di imposta precedente non eccede il venti per cento di quello sostenuto nello stesso periodo per tutti i beni sopraindicati. I beni o le categorie inventariali che possono essere esclusi devono essere scelti tra quelli di trascurabile rilevanza percentuale. I soggetti stessi devono inoltre tenere, in quanto ne ricorrano i presupposti, il registro dei beni ammortizzabili e il registro riepilogativo di magazzino. Le società e gli enti il cui bilancio o rendiconto è soggetto per legge o per statuto alla approvazione dell'assemblea o di altri organi possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti conseguenziali all'approvazione stessa fino al termine stabilito per la presentazione della dichiarazione.

Le società, gli enti e gli imprenditori di cui al primo comma che esercitano attività commerciali all'estero mediante stabili organizzazioni e quelli non residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni, devono rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell'esercizio relativi a ciascuna di esse.

Inventario e bilancio

Le società, gli enti e gli imprenditori commerciali in contabilità semplificata devono in ogni caso redigere l'inventario e il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite, entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette.

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L'inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario. Nell'inventario degli imprenditori individuali devono essere distintamente indicate e valutate le attività e le passività relative all'impresa.

Il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite, salve le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali, possono essere redatti con qualsiasi metodo e secondo qualsiasi schema, purché conformi ai princìpi della tecnica contabile.

Registro dei beni ammortizzabili

Le società, gli enti e gli imprenditori commerciali, in contabilità semplificata devono compilare il registro dei beni ammortizzabili entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione.

Nel registro devono essere indicati, per ciascun immobile e per ciascuno dei beni iscritti in pubblici registri, l'anno di acquisizione, il costo originario, le rivalutazioni, le svalutazioni, il fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo d'imposta precedente, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel periodo d'imposta, la quota annuale di ammortamento e le eliminazioni dal processo produttivo.

Per i beni diversi da quelli indicati nel comma precedente le indicazioni ivi richieste possono essere effettuate con riferimento a categorie di beni omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento. Per i beni materiali strumentali per l'esercizio di alcune attività regolate le indicazioni ivi richieste possono essere effettuate con riferimento a categorie di beni omogenee per anno di acquisizione e vita utile. Per i beni gratuitamente devolvibili deve essere distintamente indicata la quota annua che affluisce al fondo di ammortamento finanziario. Se le quote annuali di ammortamento sono inferiori alla metà di quelle risultanti dall'applicazione dei coefficienti stabiliti ai sensi del secondo comma dell'articolo 68 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, il minor ammontare deve essere distintamente indicato nel registro dei beni ammortizzabili.

I costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che non siano immediatamente deducibili, non si sommano al valore dei beni cui si

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riferiscono ma sono iscritti in voci separate del registro dei beni ammortizzabili a seconda dell'anno di formazione.

La contabilità analitica e gestionale

La contabilità analitica e gestionale consente di implementare il profilo economico del controllo di gestione, attraverso la misurazione, rilevamento, targeting e l'analisi dei costi e dei ricavi. La contabilità gestionale, nota anche come come contabilità industriale proprio perchè utilizzata solo nelle imprese industriali, riguarda l'analisi della gestione interna dei dati.

Fa parte del "sistema informativo direzionale", che è l'insieme dei processi delle tecniche e degli strumenti per raccogliere, rappresentare e analizzare i dati, al fine di sviluppare e sostenere le decisioni dell'esecutivo. Per tali decisioni è importante dare ad ogni prodotto i suoi costi e, a tal fine ci sono due metodi: direct costing e full costing. In full costing costi comuni possono essere suddivisi con il metodo su base unica aziendale, su base multipla e tramite activity based costing.

Inoltre, ai fini della Contabilità analitico gestionale, in sintesi, sono le seguenti: 1. consentire programmazione e controllo della gestione;

2. studiare costo comportamento;

3. costituire le informazioni di supporto necessarie per il processo decisionale quando si presentano problemi di scelta.

Categorizzare, classificare standardizzare costituiscono la base della contabilità. I numeri e le loro relazioni sono il contorno di tutta l'area di utilizzo. Su questa base, catalogazione analitica, operando la classificazione, la standardizzazione e la lettura delle relazioni tra i numeri la persona in azienda che si occupa anche di questo tipo di lavoro applica principi statistici per generare analisi utile a rispondere alle domande che un'organizzazione ha esigenza e volontà di domandarsi:

1. Quanti clienti abbiamo?

2. Quanto è il margine prodotto per ogni cliente?

3. Quanti pezzi vengono prodotti al giorno e all'ora?

4. Quante ore vendiamo ai nostri clienti?

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E l'elenco può essere aumentato senza limiti, quante più domande vengono poste tanto più dettagliata, completa e utile sarà la contabilità analitica.

Questo tipo di analisi che comprende la contabilità di magazzino, la contabilità delle paghe e contributi, la contabilità per centro di costo, la contabilità per commessa è usata per descrivere la società come un sistema matematico complesso. In altri termini, significa descrivere come l'azienda nei dettagli e nelle sue interazioni numeriche: il modello matematico è la base per la descrizione dei fenomeni aziendali (aumentare, diminuire o la stabilità di una data variabile), per garantire che l'azienda analizzata corrisponda alla società reale. Tutti i documenti che vengono generati e sono contabilizzati da una società, come documenti di trasporto, fatture attive, le fatture passive, gli estratti conto bancari, sono registrati nella contabilità generale e se si aggiungono le informazioni statistiche, considerando anche il tempo come una variabile statistica, grazie a tali documenti si ottengono le informazioni analitiche che permettono di generare le scritture di contabilità analitica. Così, a titolo di esempio, le fatture di un fornitore di beni comuni ai vari reparti di un'azienda, con le informazioni di contabilità dei industriale si è in grado di assegnare il costo di tali beni esattamente all'attività, al reparto, o all'ufficio che ha ordinato la spesa. La contabilità generale non è in grado di fornire queste informazioni in modo economicamente compatibile. Le funzioni di controllo di gestione sono: supporto informativo scelte e decisioni di convenienza, strumenti di misura dell'efficienza aziendale, strumento di pianificazione e controllo di gestione, fonte di valori per fine anno le voci nella contabilità generale.

La contabilità industriale

La contabilità industriale è nata attorno al settanta, sotto la pressione della crescente necessità di avere informazioni dettagliate sui costi. In effetti, i mercati si ingrandivano, la concorrenza cresceva, le grandi industrie, spesso nate in un monopolio, e non potevano solamente produrre, ma hanno dovuto produrre al costo più basso, e (negli anni successivi), anche con una migliore qualità. Il primo passo è stato quello di contabilità dei costi o contabilità analitica.

La contabilità generale tiene conto delle operazioni che esistono tra la società e le società esterne non tenendo alcuna registrazione sulla fine che fanno per esempio le materie prime, i beni e servizi acquistati. La classica registrazione contabile di fatti di questo genere (fattura fornitore o fattura da pagare), prevede: un riga fornitore, una riga per l'imposta sul valore aggiunto, una riga di acquisto materiali o beni e servizi.

Non è sua responsabilità di sapere che fine hanno fatto tali materiali, o beni o servizi, e come sono stati utilizzati. Ecco che qui entra in gioco la contabilità dei costi la cui funzione principale è quella dettagliare quello che è stato registrato nella contabilità

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generale, indicandone la destinazione, in caso di acquisto o la provenienza, nel caso di vendite. Esaminare costi e ricavi su secondo destinazione e provenienza è la differenza fondamentale con la contabilità generale, che rileva invece solo per natura. Oggi, la tecnica di rivelazione analitica è ben definita e utilizzata strettamente legata alla contabilità generale, a livello di sistema informativo.

Ma in questo passo in avanti nella gestione aziendale manca ancora un tassello chiave, ovvero la tempestività. Conoscere in dettaglio i costi da attribuire ad una unità produttiva, o macchina, o centro di lavoro, è utile per il futuro, ad esempio per il prossimo preventivo, ma non è utile alla gestione quotidiana, se tale informazione non è sufficientemente fresca. Il problema di contabilità dei costi, è che non fornisce alcuna informazione fino a quando il fatto non è accertato o registrato dalla contabilità generale. In altre parole, per la gestione interna sono più utili i dati tempestive e approssimativi piuttosto che dati esatti arrivati in ritardo. Il ritardo può impedire di sistemare in tempo una situazione non è favorevole, causando gravi danni alla società nel suo complesso. Qui entra in gioco la contabilità industriale, che, pur acquisendo tutta la massa possibile di informazioni dalla contabilità analitica e generale, ne crea e gestisce di proprie, approssimate, ma tempestive, quindi effettivamente utili alla gestione interna