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LA PENA DI MORTE L’ULTIMA PUNIZIONE SEZIONE ITALIANA

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LA PENADI MORTEL’ULTIMA PUNIZIONE

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LA PENA DI MORTEL’ULTIMA PUNIZIONE

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LA PENA DI MORTEL’ULTIMA PUNIZIONE

Ogni giorno, prigionieri - uomini, donne e perfino bambini - vengono messi a morte.Qualunque sia il crimine, che siano colpevoli o innocenti, le loro vite sono reclamateda un sistema giudiziario che ritiene la retribuzione più importante della riabilitazione.

Cinque uomini impiccati in pubblico a Mashhad, Iran, nell’agosto 2007.©

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La pena di morte è la punizione piùcrudele, inumana e degradante. Viola ildiritto alla vita.Qualunque forma abbia - elettrocu-zione, impiccagione, asfissia, decapita-zione, lapidazione, fucilazione o inie-zione letale - è una punizione violentache non ha posto nell’odierno sistemadi giustizia penale.

Eppure, persiste.

In molti paesi, i governi giustificanol’uso della pena di morte sostenendosia un deterrente. Ma non vi è alcunaprova che sia più efficace di altre penesevere nel ridurre la criminalità.

La pena di morte è discriminatoria.È spesso usata in modo sproporzionatocontro poveri e membri di minoranzerazziali, etniche e religiose.È imposta e applicata arbitrariamente.

In alcuni paesi è utilizzata come stru-mento di repressione, un modo rapidoe brutale per mettere a tacere l’oppo-sizione politica.

La pena di morte è irreversibile;insieme a pregiudizi e a un sistemagiudiziario incline agli errori umani, ilrischio di mettere a morte un inno-cente è sempre presente. Errori comequesti non possono essere riparati.

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“Amnesty International si oppone allapena di morte in qualunque circostan-za e lavora per la sua abolizione intutti i paesi.

UNA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANILa Dichiarazione universale dei dirittiumani - adottata dall’Assemblea gene-rale delle Nazioni Unite nel dicembre1948 - riconosce a ogni individuo ildiritto alla vita (articolo 3) e affermacategoricamente che “Nessuno potràessere sottoposto a tortura o a tratta-mento o punizioni crudeli, inumane odegradanti” (articolo 5).

Le Nazioni Unite hanno ribadito e raf-forzato la loro posizione contro la penadi morte nel dicembre 2007 quandol’Assemblea generale ha approvatouna risoluzione che chiede agli Statimembri di stabilire una moratoriasulle esecuzioni “in vista dell’abolizio-ne della pena di morte”.

UN SINTOMO, NON UNA SOLUZIONEPer porre fine alla pena di morte biso-gna riconoscere che è una praticadistruttiva e che genera divisionisociali, in disaccordo con valori larga-mente condivisi. La pena capitale pro-muove risposte semplicistiche a pro-blemi complessi e distoglie dall’ado-zione di misure efficaci contro la cri-minalità.

Offre una risposta superficiale alla sof-ferenza dei congiunti della vittima del-

l’omicidio ed estende la sofferenza aifamiliari del condannato a morte.

Disperde risorse che potrebbero essereusate più efficacemente contro il cri-mine violento e a favore di coloro chene subiscono gli effetti. È un sintomodi una cultura di violenza, non unasoluzione ad essa.È un affronto alla dignità umana.Dovrebbe essere abolita.

Il mondo sta voltando le spalle agliomicidi di Stato. Dal 1979, più di 70paesi hanno abolito la pena di morteper tutti i reati o solo per quelli ordina-ri. Più di 130 nazioni non prevedonopiù la pena di morte per legge o nellapratica e solo una manciata di governiesegue condanne a morte ogni anno.

Amnesty International chiede:

Una moratoria sulle esecuzioni intutto il mondo.

L’abolizione della pena di morte pertutti i reati.

La ratifica dei trattati che prevedonol’abolizione, incluso il Secondo proto-collo opzionale al Patto internazionalesui diritti civili e politici, che mira adabolire la pena di morte.

A tutti i paesi che mantengono lapena di morte di adempiere ai pro-pri obblighi internazionali nonapplicandola nei confronti di impu-tati minorenni.

LA PENA DI MORTEÈ UN SINTOMODI UNA CULTURADI VIOLENZA,NON UNA SOLUZIONEAD ESSA.

PER SAPERNE DI PIÙ

Per saperne di più sullacampagna contro la pena di mortedi Amnesty International, inclusifatti e cifre aggiornate einformazioni su cosa puoi fare,vaisu www.amnesty.it nella sezioneCosa facciamo, Campagne, Penadi morte.

Per notizie generali sulla penadi morte nel mondo, vai su:www.worldcoalition.org

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LA PENA DI MORTE SCORAGGIALA CRIMINALITÀ? LA SITUAZIONE

IL MITOLa pena di morte è un deterrente per ilcrimine violento e rende la società piùsicura.

IL FATTO Prove raccolte in tutto il mondo hannodimostrato che la pena di morte nonha alcun effetto deterrente sulla crimi-nalità. Molte persone sostengono chel’abolizione della pena di morte provo-chi un tasso maggiore di criminalità,ma studi compiuti negli Stati Uniti ein Canada, per esempio, non appog-giano questa teoria.Nel 2004, negli Stati Uniti, il tassomedio di omicidi negli Stati che utiliz-zavano la pena di morte è stato di5,71 ogni 100.000 abitanti contro untasso di 4,02 ogni 100.000 abitantiin Stati che non la utilizzavano. Nel2003, in Canada, 27 anni dopo che ilpaese ha abolito la pena di morte, iltasso di omicidi era sceso del 44% dal1975, quando la pena capitale eraancora applicata.Lungi dal rendere la società più sicu-ra, la pena di morte ha dimostrato diavere un effetto brutalizzante sullasocietà. Un omicidio sancito dalloStato serve solo ad approvare l’usodella forza e a persistere nel ciclo diviolenza.

IL MITOLa pena di morte riduce i reati legati alladroga.

IL FATTOA marzo 2008, il Direttore esecutivodell’ufficio delle Nazioni Unite controla droga e il crimine ha chiesto diporre fine all’uso della pena di morteper reati connessi al traffico di droga:“Anche se la droga uccide, non credoabbiamo bisogno di uccidere a causadella droga.”

L’uso della pena di morte per reaticonnessi al traffico di droga è una vio-lazione del diritto internazionale.L’articolo 6 (2) del Patto internaziona-le sui diritti civili e politici affermache: “Nei paesi in cui la pena di mortenon è stata abolita, una sentenza capi-tale può essere pronunciata solo per ireati più gravi”. Ad aprile 2007, ilRelatore speciale delle Nazioni Unitesulle esecuzioni extragiudiziali, som-marie o arbitrarie, intervenuto in quali-tà di esperto in un dibattimento sullaCostituzione indonesiana, ha dichiara-to alla Corte costituzionale che “lamorte non è una risposta adeguata alreato di traffico di stupefacenti”. Oltreall’Indonesia, tra i paesi che mettonoa morte persone per reati connessi altraffico di droga vi sono ArabiaSaudita, Cina, Iran, Malesia eSingapore. Comunque, non vi sonoprove evidenti che l’uso della pena dimorte per tali reati agisca come undeterrente più efficace rispetto a unlungo periodo di detenzione.

IL MITO Gli individui sono meno indotti a com-mettere reati violenti, tra cui l’omici-dio, se sanno di essere puniti con lapena di morte.

IL FATTO Questo argomento presuppone che icriminali studino e anticipino le con-seguenze dell’arresto, e decidano cheun lungo periodo di reclusione siaaccettabile, al contrario di un’esecu-zione. Molti reati sono commessi inbase a decisioni impulsive, lasciandopoche possibilità alle pene potenzialidi influenzare i criminali poiché, nelmomento in cui agiscono, non pensa-no al loro arresto e al fatto che dovran-no rendere conto delle loro azioni.

La pena di morte può addirittura pro-vocare ulteriore violenza. L’esecuzioneè l’estrema sanzione che uno Statopuò infliggere a una persona. Unavolta che i criminali sono consapevolidi aver commesso un reato capitale,non hanno più alcun interesse a ridur-re la loro potenziale pena non com-mettendo ulteriori omicidi o altri reati.Se, per esempio, la rapina a manoarmata prevede la pena di morte, ilrapinatore non ha nulla da perderenell’uccidere eventuali testimonidurante il tentativo di fuga.

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IL MITO La minaccia dell’esecuzione è una strategiaefficace nella prevenzione del terrorismo.

IL FATTO Le persone disposte a impegnarsi suvasta scala in atti di violenza volti ainfliggere terrore alla società, lo fannosapendo che potrebbero andare incon-tro a gravi danni fisici, mostrandopoco o nessun riguardo per la propriasicurezza. Le esecuzioni di questiindividui spesso forniscono una benve-nuta pubblicità ai gruppi di apparte-nenza e creano martiri, intorno ai qualipuò essere mobilitato ulteriore soste-gno alla loro causa.

Eppure, molti paesi hanno tentato dicontrollare il terrorismo utilizzando lapena di morte. Nel novembre del2005, l’Iraq ha emanato la Legge ira-chena anti-terrorismo. Nel testo dellalegge la definizione di terrorismo èvaga, mentre sono presenti una seriedi atti terroristici, compresi quelli incui non vi è stata alcuna perdita di viteumane, che prevedono la pena dimorte. Numerose condanne a mortesono state eseguite in Iraq in basea questa e altre leggi.

IL MITO La pena di morte va bene finché la maggiorparte dell’opinione pubblica la sostiene.

IL FATTO Amnesty International riconosce il dirit-to delle nazioni a creare le proprieleggi. Tuttavia, tali leggi devono essereformulate entro i confini del rispetto deidiritti umani. La storia è disseminata diviolazioni dei diritti umani che sonostate sostenute dalla maggioranza del-l’opinione pubblica ma che oggi, intempi moderni, sono guardate con orro-re. Schiavitù, segregazione razziale, lin-ciaggio hanno avuto ampio sostegnonelle società in cui avvenivano, macostituivano gravi violazioni dei dirittiumani delle vittime.

È comprensibile che le popolazionichiedano ai loro leader di intraprendereazioni decisive contro la violenza edesprimano rabbia contro i colpevoli dicrimini brutali.Amnesty International ritiene che i poli-tici debbano affermare la propria leader-ship ponendo in primo piano i dirittiumani, opponendosi alla pena di mortee spiegando ai propri elettori il motivoper il quale queste azioni non possonoessere intraprese da uno Stato. Dopopiù di 30 anni di ricerca su questatematica, Amnesty International ritie-ne che il sostegno dell’opinione pub-blica alla pena di morte è fondatoprincipalmente sul desiderio di essereliberi dalla criminalità. Sondaggi con-dotti negli Stati Uniti e in altri paesidimostrano un notevole calo del soste-gno alla pena di morte quando l’erga-stolo è offerto come alternativa. NegliStati Uniti, un sondaggio della Gallupdel maggio 2006 ha riscontrato comeil sostegno alla pena di morte siasceso dal 65% al 48% quando l’erga-stolo è stato proposto come altraopzione.

IL MITO Le esecuzioni forniscono il miglior rapporto costo-soluzione efficace alla criminalità violenta.

IL FATTO La società non può accettare violenzae sacrificio dei diritti umani comemisura di riduzione dei costi. La deci-sione di togliere una vita umana nondovrebbe basarsi su ragioni economi-che. Utilizzare la pena di morte perridurre la popolazione carceraria è unargomento vano. Gli Stati Uniti, per esempio, hannouna popolazione carceraria di circa2,2 milioni di persone, di queste,circa 3.000 sono state condannate amorte. Se tutti i condannati presentinel braccio della morte venissero ucci-si, non ci sarebbe alcuna differenzaper la popolazione carceraria.

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UN GIOCO DI PRESTIGIO POLITICOLA PENA DI MORTE NON COSTITUISCE UNA RISPOSTAALLA CRIMINALITÀ

Troppo spesso i politici evitano di discutere i problemi reali esistenti dietro la criminalità.Sostengono, invece, l’uso della pena di morte come una soluzione definitiva per renderepiù sicura la vita pubblica.

Cause e soluzioni per i crimini violentiche danneggiano così tante societàsono molto complesse. Il numero deireati potrebbe essere diminuito attra-verso un miglior addestramento edequipaggiamento del corpo di polizia,oppure eliminando la povertà e miglio-rando l’istruzione.

Ma i politici spesso si rifiutano diaffrontare i veri problemi che si celanodietro la criminalità, preferendo utiliz-zare la “soluzione” di forte impattomediatico del sostegno alle esecuzioni.Le esecuzioni danno un’apparente sicu-rezza, rappresentando un’azione forteche dà l’illusione di poter mettere finea una situazione caotica. In realtà,togliere la vita a una persona, già dete-nuta e quindi non più in grado diminacciare la società, è un gesto inuti-le e grottesco nella lotta contro la crimi-nalità.In Giamaica, dove l’ultima impic-cagione è avvenuta nel 1988, entrambii principali partiti politici hanno pro-messo di riprendere le esecuzioni comerisposta al grande numero di omicidinell’isola. La Giamaica ha uno dei tassidi omicidio pro capite più alti delmondo: 1.574 omicidi commessi nel2007 su una popolazione di circa 2,6milioni di abitanti. Tuttavia, i leader poli-tici hanno affrontato distrattamente laquestione semplicemente discutendo suchi sarebbe stato impiccato. Come uncommentatore ha scritto nel 2006 sulJamaican Observer: “Invece di usaretempo e energia per trovare modi nuovie innovativi per affrontare i problemidella violenza contro i bambini, i nostriparlamentari preferiscono dormire sugliallori e condurre le solite stanchediscussioni sulla pena capitale.” Altifunzionari di polizia hanno sottolineato

Un detenuto nel braccio della morte guarda fuori dalla sua cella nel NorthCondemned Unit al Pontiac Correctional Institution in Illinois, USA. Nel gennaio2003, il governatore George Ryan ha commutato in ergastolo tutte condannea morte in Illinois, definendo il sistema della pena di morte “arbitrario e capriccioso”.

l’inutilità del tentativo di affrontare ilproblema della criminalità giamaicanoattraverso la ripresa delle esecuzioni.

Il Vice commissario di polizia MarkShields ha dichiarato: “Per la mia espe-rienza di lavoro in Giamaica, sarebbeuna completa e totale perdita di tempodire a questi giovani violenti che, se

uccidono, il rischio è che essi sianouccisi dallo Stato, perché non si aspet-tano di vivere così a lungo. Si aspetta-no di morire per mano di un ufficialedi polizia o di un altro criminale armato”. Questa opinione è sostenuta da diver-si funzionari di polizia di alto grado.Uno studio svolto negli Stati Uniti nel1995 ha rilevato che solo l’1% dei

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“capi della polizia considera come prio-rità un maggiore uso della pena dimorte per ridurre il crimine violento,rispetto a un 51% che vede una solu-zione nella riduzione del consumo didroga e della disoccupazione.

Nel 2006 in Sudafrica, un portavocedel partito del Fronte della libertà hadichiarato che: “Ci sono 18.000 omi-cidi l’anno in Sudafrica.Ciò significa che 18.000 assassinipasseggiano in libertà con troppepoche forze di polizia alla loro ricer-ca... L’unica soluzione è quella di rein-trodurre la pena di morte.Tutte le altre soluzioni hanno fallito”.Questa argomentazione è confusa eignora altre soluzioni possibili.Per esempio, aumentare il numero dipoliziotti potrebbe essere un approcciopiù efficace per ridurre la criminalità.In Sudafrica, precedenti richieste direintroduzione della pena di mortesono state respinte dai leader politici.Nel 1996, rispondendo alle pressionidell’opinione pubblica che chiedeva di

reintrodurre la pena capitale per con-trastare l’aumento della criminalità,l’allora Presidente Nelson Mandeladisse: “Non è perché la pena di morteè stata eliminata che la criminalità haraggiunto questi livelli inaccettabili.Se anche tornassimo alla pena dimorte, la criminalità stessa rimarràcosì com’è.Ciò di cui c’è bisogno è che le forze disicurezza facciano il proprio lavoromentre noi ci impegniamo a garantireloro la capacità di fornire servizi esicurezza alla comunità. Questo è ilproblema, non la pena di morte”.I politici hanno la responsabilità diagire entro i confini dei diritti umani.Sulla questione della pena di morte ela deterrenza della criminalità, c’è biso-gno che i leader presentino soluzioniefficaci per affrontare la situazionesenza legittimare ulteriori violenze,non continuandone il ciclo o creando,attraverso esse, più miseria. Quandol’opinione pubblica richiede soluzioniai crimini violenti, la risposta non devemai consistere in ulteriori omicidi.

PER SAPERNE DI PIÙ

Per gli ultimi studi sulla pena di morte nel mondo, vai su:www.amnesty.org/en/death-penalty

“[LA PENA DI MORTE]È UN’ALTERNATIVAPOLITICA MOLTOCONVENIENTE RISPETTOA UNA PROTEZIONEVERAMENTE EFFICACEDELLA POPOLAZIONEE A PROGRAMMIDI PREVENZIONEDELLA CRIMINALITÀ.PER I POLITICIRAPPRESENTAUN MEZZO A BUONMERCATO PER CONVINCEREIL PROPRIO ELETTORATOIMPAURITO CHE QUALCOSASI STA FACENDOPER COMBATTERELA CRIMINALITÀ.”

J. Van Rooyen, “Il giudice penalee la condanna a morte: alcune osservazioni sulleopinioni del giudice Curlewis”(Sudafrica, 1991)

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ESECUZIONI SEGRETE

Mantenendo il segreto sulle esecuzioni, molti governi fanno in modo che l’opinione pubblicanon abbia alcuna possibilità di discutere sui problemi reali della pena di morte.

Molti governi promuovono attivamentela pena di morte come una punizionedi vitale importanza per il controllodella criminalità. Sostengono che lapaura dell’esecuzione funga da deter-rente per i criminali nel commetterereati violenti.

Per prevenire tali crimini è necessarioche i potenziali trasgressori siano aconoscenza in anticipo del rischio diessere messi a morte. Ma questi stessigoverni, se da un lato sostengono lapena capitale, dall’altro ne nascon-dono l’uso. In Giappone, le esecuzioniavvengono in segreto, con i detenutiavvertiti poche ore prima di essereuccisi e senza nessun preavviso aifamiliari. In Cina e in Vietnam, le infor-mazioni sulla pena di morte, come ilnumero delle esecuzioni avvenutenell’anno, sono classificate segreto diStato. Richiami delle Nazioni Unite adivulgare le informazioni sulla penacapitale sono stati respinti con uncostante rifiuto. In questi paesi, l’at-teggiamento delle autorità lascia l’opi-nione pubblica senza informazioni esoffoca sul nascere la discussione suun’importante questione nell’ambitodei diritti umani.La logica, inoltre, dovrebbe dettareche tale segreto riduce qualsiasipresunto effetto deterrente che leesecuzioni dovrebbero avere. Anche aSingapore la situazione è simile. Ilpaese approva la pena di morte, matace su quanto sia utilizzata. La libertàdi espressione è limitata da controlliimposti dal governo su stampa e orga-nizzazioni della società civile,rendendo così impossibile il monito-raggio indipendente dei diritti umani,inclusa la pena di morte.

Di conseguenza, non vi è nessun dibat-tito pubblico sulla pena di morte aSingapore, il governo ha sempre soste-nuto che la pena capitale non sia unaquestione relativa ai diritti umani. Leautorità di Singapore sembrano inviaremessaggi contraddittori. Se la pena dimorte svolge un ruolo essenziale nellalotta contro la criminalità grazie al suoeffetto deterrente, dovrebbe conse-guirne il desiderio di pubblicizzare ilpiù possibile l’argomento al fine diampliarne il risultato. In realtà, si stafacendo esattamente il contrario.

Tratto da un video, questo fotogramma ritrarrebbe la preparazione dei prigionieridurante un’esecuzione pubblica avvenuta nella provincia di Fukien, Cina, nel 1992.

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Un ufficiale di polizia all’esterno delcarcere di Tokyo, Giappone.Le esecuzioni avvengono in segreto,e i prigionieri non sono avvertitidell’esecuzione fino al giorno della loro morte.

Gli Stati sopra citati non sono soli nelpraticare esecuzioni segrete. Sonoseguiti, infatti, dalla Corea del Nord edalla Mongolia.

Nel 2006, il Relatore speciale delleNazioni Unite sulle esecuzioni extra-giudiziali, sommarie o arbitrarie hachiesto la fine del segreto ufficialesull’uso della pena di morte, affer-mando che un dibattito pubblicosignificativo potrebbe aver luogo solose i governi rendono noti tutti i dettaglisul:

“(a) numero di persone condannatea morte;

(b) numero di esecuzioni avvenute… Nonostante il ruolo fondamentale ditali informazioni in qualsiasi processodecisionale, molti Stati membri scel-gono il segreto al posto della traspa-renza, ma ancora sostengono che lapena capitale

sia mantenuta in parte perché attrae ilsostegno pubblico”.

Togliere una vita è una delle azioni piùgravi che un governo può commettere.Come molti paesi hanno dimostrato, ilcammino verso l’abolizione della penadi morteè alimentato dal dibattito pubblico.Quando le autorità di uno Stato cheuccide lasciano l’opinione pubblicapriva di queste informazioni, neganoalla popolazione il diritto a un dibat-tito informato. Ma la gravità delleesecuzioni esige che siano oggetto diattenzione da parte dell’opinionepubblica e che non siano soffocate dauna cospirazione del silenzio. ““UNA MANCANZA

DI TRASPARENZA MINAIL DIBATTITO PUBBLICOSULLA PENA DI MORTEE A VOLTE, QUESTOPOTREBBE ESSEREIL SUO SCOPO.”

Relatore specialedelle Nazioni Unitesulle esecuzioniextragiudiziali, sommarieo arbitrarie, 2006

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UNA VITA PER UNA VITA UNA PROPOSTA INACCETTABILE

Le esecuzioni garantiscono davvero giustizia alle vittime di crimini violenti e alle loro famiglie?

Molti di coloro che sostengono la penadi morte lo fanno nel nome dei “dirittidelle vittime” sostenendo che le vitti-me di crimini violenti e i loro carihanno il diritto di vedere lo Statotogliere la vita all’autore del reato.Tuttavia, la rabbia comprensibile chele vittime di reati violenti e le lorofamiglie provano nei confronti degliautori di tali atti non può essere utiliz-zata per giustificare la violazione deidiritti umani nei confronti delle perso-ne condannate a morte. La finalità ela crudeltà della pena la rendonoincompatibile con le norme di un com-portamento moderno e civile. Si trattadi una risposta inopportuna e inaccet-tabile al crimine violento.

Difendere la pena di morte sostenendodi agire in nome delle vittime implicache tutte le persone colpite da criminiviolenti sostengono universalmente lapena di morte. Questo è ben lontanodall’essere vero.Molti parenti delle vittime di omicidiosi oppongono alle esecuzioni in nomedei propri cari. Negli Stati Uniti, l’as-sociazione Famiglie delle vittime diomicidio per i diritti umani è diventa-ta una voce forte contro le esecuzioni:

“Crediamo che i sopravvissuti alle vit-time di omicidio abbiano un ruoloimportante nel dibattito su come lasocietà debba rispondere a un assassi-nio e dispongano dell’autorità moraleper richiamare a un etica coerente neiconfronti dei diritti umani come partedi questa risposta. Famiglie delle vitti-me di omicidio per i diritti umani è larisposta a questa richiesta”.

Marie Deans, la cui suocera è stataassassinata nel 1972, afferma:

“Dopo un omicidio, le famiglie dellavittima devono affrontare due cose:una morte e un crimine. In quelmomento, le famiglie hanno bisognodi aiuto per far fronte al loro doloree di sostegno per guarire i loro cuori ericostruire le loro vite.Per esperienza, sappiamo che la ven-detta non è la risposta.La risposta sta nel ridurre la violenza,non nel provocare ulteriore morte.La risposta sta nel sostenere coloroche sono afflitti per la perdita di per-sone care, non nel creare nuovi lutti inaltri nuclei familiari [mettendo amorte i loro parenti].È ora di rompere il ciclo di violenza”.

Le stesse persone che giustificano lapena di morte citando i diritti delle vit-time raramente affrontano la sofferen-za che le esecuzioni causano agli altri.Il trauma subito dai funzionari e dalleguardie carcerarie coinvolte nelle ese-cuzioni, il dolore delle famiglie dellevittime e dei detenuti messi a morte, ilrimorso degli avvocati della difesa chepossono ritenersi colpevoli in qualchemodo della fine dei propri clienti e ilcoinvolgimento di numerose altre per-sone brutalizzate da questo processo.Tutti questi sono semplicemente ignora-ti dai leader politici che preferiscono i“vantaggi” delle esecuzioni agli elettori.

“La gente non capisce che la pena dimorte ha un impatto di vasta portatasulle famiglie”, spiega Jonnie Waner.

Suo fratello, Larry Griffin, è statomesso a morte dallo Stato delMissouri, USA, nel 1995.“Mia madre non ha mai superato[l’esecuzione di suo figlio].È cambiata moltissimo da quando èaccaduto. I bambini hanno avuto unperiodo difficile per comprenderlo.La pena di morte crea perciò molte piùvittime”.

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“A QUELLI CHE DICONOCHE LA SOCIETÀ DOVREBBETOGLIERE UNA VITA PERUNA VITA TOLTA, NOIDICIAMO ‘NON NEL NOSTRONOME’.”

Marie Deans, parentedi una vittima di omicidio, USA

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VITE PRESE IN RISCATTOAlcuni paesi, in particolare ArabiaSaudita, Iran, Pakistan e Yemen, uti-lizzano un sistema che permette aiparenti della vittima dell’omicidio dirinunciare alla pena di morte gratuita-mente, oppure in cambio di un risarci-mento economico (altrimenti notocome diya o “prezzo del sangue”) oimponendo qualsiasi condizione riten-gano opportuna.Il “prezzo del sangue” è pagato a tito-lo di indennizzo per l’omicidio e quin-di prima dell’esecuzione.

Tali sistemi rendono l’amministrazionedella pena di morte estremamentearbitraria e discriminatoria.È arbitraria, perché persone accusatedi crimini simili possono essere tratta-te in modo diverso.

La persona che ha ucciso un parentedi una famiglia disposta al perdononon è messa a morte, mentre colui lacui famiglia della vittima è meno cle-mente viene ucciso, nonostante tuttigli altri elementi del reato possanoessere simili.

È discriminatoria perché le personericche hanno più probabilità di esserein grado di tentare i familiari delle vit-time ad accettare un pagamento con-sistente. I parenti di coloro che sono stati ucci-si hanno tutto il diritto di vedere giudi-cati i colpevoli dei reati attraverso unprocesso equo, ma consentire loro diinfluenzare l’iter giudiziario rischia dieliminare uno dei caratteri principalidella moderna giurisprudenza in base alquale tutti sono uguali dinanzi allalegge.

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Una manifestante contro la pena di morte protesta contro l’esecuzione in California,USA, di Clarence Ray Allen, 76 anni, non vedente costretto alla sedia a rotelle.Clarence Ray Allen è stato messo a morte con un’iniezione letale il 17 gennaio2006, dopo aver trascorso 23 anni nel braccio della morte.

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ESISTE UN METODO UMANOPER UCCIDERE?

Di tutti i diversi tipi di esecuzione - elettrocuzione, impiccagione, fucilazione, gas,lapidazione – l’iniezione letale ha prevalso come nuovo metodo scelto da alcuni a causadelle sue presunte qualità umane. Tuttavia, casi recenti hanno spinto a un ripensamentosull’uso dell’iniezione letale e a una riflessione sulla possibilità che, per uno Stato,esista davvero un metodo umano per uccidere.

La pena di morte richiede allo Stato dimettere in atto un’azione fortementecondannata dal diritto internazionale.In quasi tutti i sistemi giuridici, le san-zioni più severe sono previste per l’omi-cidio premeditato o a sangue freddo, manessun omicidio è più premeditato o asangue freddo di un’esecuzione.

Un atto di questa portata, come qualsia-si forma fisica di tortura, comporta unadeliberata aggressione nei confronti diun prigioniero. Non esiste un metodoumano per uccidere, è impossibile trova-re un modo per mettere a morte una per-sona che non sia crudele, inumano odegradante.

Nel corso degli ultimi due secoli, l’ap-proccio all’esecuzione è cambiato pas-sando da metodi volti a massimizzare lasofferenza dei prigionieri a metodimoderni e funzionali adottati dalla mag-gioranza dei governi che ancora usano lapena capitale.

Questo atteggiamento “moderno e fun-zionale” enfatizza la morte del prigionie-ro piuttosto che sottolineare le sofferen-ze causate dall’esecuzione ma, come èstato ampiamente dimostrato, tutti imetodi di esecuzione sono problematicie provocano sofferenze prolungate.

La fucilazione, l’impiccagione e la deca-pitazione hanno tutte fallito più di unavolta nel provocare una morte immedia-ta e, spesso, è stata necessaria ulterioreviolenza per uccidere il prigioniero.Di fronte a scene raccapriccianti, alcuni

governi si sono rivolti all’iniezione letalequale metodo di uccisione dei tempimoderni. Il 10 febbraio 1998, ilGuatemala ha utilizzato per la primavolta l’iniezione letale su un detenuto, ilsuo nome era Manuel MartínezCoronado. Gli incaricati alla proceduraerano così agitati (in parte per le urla e ipianti della moglie e dei figli di Coronadopresenti nella stanza accanto) cheimpiegarono molto tempo per inserire invena l’ago della flebo attraverso il qualedovevano passare i farmaci necessari perucciderlo.

Un blackout durante l’esecuzione inter-ruppe il flusso, Coronado impiegò 18minuti per morire. L’intera, terribilevicenda fu trasmessa in diretta dallatelevisione di Stato.

Negli Stati Uniti, un certo numero diesecuzioni tramite iniezione letale si èrivelato disastroso.Il 13 dicembre 2006, Angel Diaz, nativodi Porto Rico, condannato a morte perun omicidio commesso nel 1979, haimpiegato 34 minuti per morire con que-sto metodo.Per più di 20 minuti, Diaz si agitava ecercava di parlare. È stata necessariauna seconda dose prima che un medico,indossando un cappuccio sopra il suovolto per nascondere la propria identità,abbia potuto dichiararne la morte.

Gli Stati Uniti hanno introdotto l’inie-zione letale quasi 30 anni fa, applican-dola per la prima volta nel 1982 comemetodo più “umano” per mettere a

morte. Da allora, circa 900 detenutisono stati uccisi così, in sostituzione diquasi tutti gli altri metodi alternativi:elettrocuzione, impiccagione, gas e fuci-lazione. Quasi 20 anni dopo la sua intro-duzione nella legislazione americana,l’iniezione letale è stata adottata dallaCina, dal Guatemala, dalle Filippine(che hanno abolito la pena di morte nelgiugno 2006), da Taiwan e dallaThailandia.

L’iniezione letale si compone di tresostanze chimiche: il thiopental di sodioche rende incosciente il prigioniero, ilbromuro di pancuronio che provoca laparalisi muscolare e il cloruro di potassioche ferma il cuore.Se vengono somministrati livelli insuffi-cienti di thiopental di sodio, l’effettoanestetico può esaurirsi rapidamente e ildetenuto prova un dolore lancinante finoall’arresto cardiaco. La paralisi, inoltre,impedisce ai condannati di comunicarela propria agonia.

In alcune regioni degli Stati Uniti, è ille-gale utilizzare tali sostanze chimiche permettere a morte gli animali, in quantosono considerate “inumane”. L’uso delbromuro di pancuronio per l’eutanasiadegli animali da compagnia è stato vie-tato dalle linee guida dell’Associazioneveterinaria americana e il suo utilizzo èproibito in diversi Stati.

Dal 2003 in Texas è in vigore una leggeche vieta il suo utilizzo per l’eutanasiadi cani e gatti, eppure il Texas è loStato che usa l’iniezione letale più di

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Paramedici assistono all’esecuzionedi Manuel Martínez Coronado, il primodetenuto messo a morte con iniezioneletale in Guatemala nel 1998.

tutti gli altri, avendo messo a mortequasi 400 persone a partire dal 1982.

L’iniezione letale evita molti degli spia-cevoli effetti di altre forme di esecu-zione: le mutilazioni del corpo e ilsanguinamento dovuto alla decapita-zione, l’odore della carne che bruciacon l’elettrocuzione, visione e suoniinquietanti provocati dal gas e dall’im-piccagione, il problema della defeca-zione e della minzione involontaria. Perqueste ragioni, le iniezioni letalipossono essere meno sgradevoli percoloro che sono coinvolti nell’esecu-zione.

Tuttavia, l’iniezione letale aumenta ilrischio che il personale medico siacoinvolto nell’omicidio di Stato, in vio-lazione dei principi di etica medica. La

ricerca di un metodo “umano” peruccidere le persone dovrebbe essereconsiderata per quello che è, una ricer-ca per rendere più appetibili le esecu-zioni a coloro che le effettuano, aigoverni che desiderano apparire umanie al pubblico in nome del quale presu-mibilmente avviene l’omicidio.

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““È COME SE FOSSE STATOTORTURATO FINO ALLAMORTE.”

Jonathan Groner MD, OhioState Medical School,commentando la morte di Angel Diaz per iniezioneletale nel 2006

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VERSO L’ABOLIZIONE

Un dimostrante con un cartello in cui chiede l’abolizione della pena di mortemanifesta all’esterno di un ufficio cinese a Hong Kong, luglio 2005.

Sempre più persone in tutto il mondocondannano la pena di morte per ciòche è, una punizione brutale che nontrova spazio in una società moderna egiusta. Le loro richieste non sonoinascoltate. Oggi, all’inizio del 21°secolo, due terzi dei paesi al mondohanno abolito la pena di morte perlegge o nella pratica.

Di contro, a cavallo del secolo scorso,solo tre paesi avevano abolito definiti-vamente la pena di morte.La tendenza è chiara: il mondo si èalzato in piedi e dice “no” alle esecu-zioni. E tale principio è stato ribadito alpiù alto livello internazionale. Neldicembre 2007, l’Assemblea generaledelle Nazioni Unite, il più importanteorgano politico delle Nazioni Unite, haapprovato con 104 voti favorevoli e 54contrari una risoluzione per una mora-toria sulle esecuzioni in vista dellatotale abolizione della pena di morte.Sebbene non sia giuridicamentevincolante, questa storica decisioneporta con sé un considerevole pesopolitico e morale. Una moratoria sulleesecuzioni è uno strumento importanteper convincere i paesi che ancorautilizzano la pena di morte a impe-gnarsi in una discussione a livellonazionale e a riesaminare le rispettiveleggi sulla pena capitale, sospendendonel frattempo tutte le esecuzioni.

La risoluzione è un’iniziativa interna-zionale promossa da varie regioni chesostengono la campagna per l’aboli-zione della pena capitale.

A eccezione della Bielorussia, l’Europaè ormai un’area libera dalla pena dimorte ed è leader nella campagna per

l’abolizione. Il continente africano è inlarga parte libero da esecuzioni. Nel2007 sono state eseguite condanne amorte in soli sette paesi su 53.

Gli Stati Uniti, paese citato da altrenazioni per giustificare il rispettivo usodella pena capitale, si stanno allonta-nando in modo costante dalla pena dimorte. Il numero di esecuzioni e dicondanne a morte è sceso drastica-mente negli ultimi anni. Nel NewJersey, la pena di morte è stata abolitanel dicembre 2007 e diversi altri Statihanno in esame proposte di legge perporre fine alle esecuzioni.

Le persone non sono più disposte a stare a guardare mentre i loro governi mettono a mortein nome della giustizia.

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Dal 1979, sono più di 70 i paesi chehanno abolito la pena di morte e, unavolta abolita, raramente è stata rein-trodotta. Attivisti per l’abolizione intutto il mondo stanno unendo le forze,creando un grande movimento globalecontro la pena capitale che vede la suamassima espressione in eventi chiavecome l’annuale Congresso mondialecontro la pena di morte, organizzatodalla Coalizione mondiale contro lapena di morte. Coalizioni nazionali einternazionali si sono costituite indiverse regioni, come la Rete asiaticacontro la pena di morte (ADPAN) inAsia. Ciò che li unisce è la crescenteconsapevolezza che esistono punizioniefficaci e alternative alla pena dimorte che non comportano unomicidio di Stato premeditato e asangue freddo in nome della giustizia.

Centinaia di manifestanti partecipanoa una veglia all’esterno della prigionecentrale di Alipore, Calcutta, India,dove Dhananjoy Chatterjee è statoimpiccato il 14 agosto 2004.

PER SAPERNE DI PIÙ

Per saperne di più sullacampagna contro la pena di mortedi Amnesty International, inclusifatti e cifre aggiornatee informazioni su cosa puoi fare,vai su www.amnesty.it nellasezione Cosa facciamo, Campagne,Pena di morte.

Attivati il 10 ottobre, Giornatamondiale contro la pena di morte!Scopri come su: www.amnesty.it““CI SONO PUNIZIONI

ALTERNATIVE ALLA PENA DIMORTE CHE NONCOMPORTANO UN OMICIDIODI STATO PREMEDITATO E ASANGUE FREDDO IN NOMEDELLA GIUSTIZIA.”

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Amnesty International ha in corso unacampagna permanente per l’aboli-zione della pena di morte in tutto ilmondo. Chiediamo a tutte le nazioni dilavorare per un mondo libero dalleesecuzioni e per rendere una realtà larisoluzione approvata a dicembre 2007dalle Nazioni Unite.

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UCCISI DALLO STATO

Persone condannate dopo processi iniqui, oppositori politici messi a morte, minorennicondannati a morte, di seguito solo una piccola selezione di casi la cui vita è stata“legalmente” tolta da uno Stato.

CINAIsmail Semed è stato messo a mortel’8 febbraio 2006 a Urumqi, nellaregione autonoma dello Xinjiang uigu-ro (XUAR). Accusato di “tentativo didividere la madrepatria” dopo esserestato espulso dal Pakistan nel 2003, èstato condannato a morte il 31 ottobre2005 dalla Corte intermedia del popolodi Urumqi.

Semed ha presentato ricorso contro lacondanna ma, secondo l’associazioneProgetto per i diritti umani del popolouiguro (UHRP) con sede negli StatiUniti, il suo appello potrebbe esserestato ascoltato in una sessione a portechiuse che, sebbene sia legale indeterminate circostanze, rende diffici-le determinare se il procedimento sisia svolto in modo equo.La UHRP sostiene, inoltre, che Semedabbia confessato durante gli interroga-tori, ma durante il processo abbiaritrattato, lasciando pensare che laconfessione iniziale sia stata estortasotto tortura.

Il giorno precedente l’esecuzione, allamoglie e ai due figli piccoli di Semedsono stati concessi soltanto 10 minutida trascorrere insieme al proprio fami-liare. È stato ucciso con un solo colpoal cuore.

INDONESIA Fabianus Tibo, 61 anni, Dominggus daSilva, 43 anni, e Marinus Riwu, 49anni, sono stati fucilati il 21 settem-bre 2006 all’1.45.Erano stati condannati a morte nel-l’aprile 2001 con le accuse di omici-dio premeditato e di istigazione allarivolta in seguito a scontri etnici e reli-giosi nel distretto di Poso, Sulawesicentrale, nel maggio 2000. Anche seil luogo dell’esecuzione non è statomai comunicato dalle autorità, unmembro delle forze di polizia hadichiarato che i tre sono stati messi amorte vicino l’aeroporto di Palu, nelSulawesi centrale.

Amnesty International ritiene che ilprocesso non sia stato equo. In parti-colare, alcune testimonianze fornitecome elemento di prova dalla difesapotrebbero essere state ignorate dallaCorte nell’emettere il verdetto. È statosegnalato che manifestanti armati dipietre al di fuori del tribunale chiede-vano che i tre uomini fossero condan-nati a morte. Si teme che tali intimida-zioni abbiano influito sull’esito del pro-cesso. Gli avvocati difensori degliuomini sono stati oggetto di intimida-zioni e minacce di morte, una bombaè stata collocata nell’abitazione di unodei consulenti legali.

IRAN Il 15 agosto 2004, Atefeh RajabiSahaaleh, di 16 anni, è stato impicca-ta per ripetuti “crimini contro la casti-tà”. È stata messa a morte in pubbli-co, nel centro della città di Neka, pro-vincia di Mazandaran, Iran settentrio-nale. L’esecuzione è avvenuta nono-stante sia stato riportato che AtefehRajabi non fosse in grado di intenderee di volere e non abbia mai avutoaccesso a una difesa legale.

Durante il processo, Atefeh Rajabiavrebbe perso la calma, gridando algiudice di essere stata vittima di atticompiuti da un uomo anziano, toglien-dosi il velo in segno di protesta. Il giu-dice l’avrebbe perciò richiamata,dichiarando più tardi che si era “spo-gliata in pubblico”. È presumibile cheAtefeh Rajabi fosse affetta da disturbomentale sia al momento delle azionicommesse, che per le autorità hannocostituito “reato”, sia nel corso delprocesso. Sebbene Atefeh Rajabi aves-se 16 anni secondo i dati riportati sullacarta di identità, la magistratura diMazandaran avrebbe dichiarato che, almomento dell’esecuzione, la ragazzaaveva 22 anni.

Il diritto internazionale vieta l’esecu-zione di imputati minorenni, ovverocoloro che avevano meno di 18 anni almomento del reato. Le autorità giudi-ziarie non hanno indagato su unadenuncia presentata contro il giudice.Secondo il giornale iraniano Peyk-e-Iran, il giudice della Corte inferioreche ha emesso la prima sentenza hamesso il cappio intorno alla testa diAtefeh Rajabi non appena la ragazza èsalita sul patibolo.

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SINGAPORE Il cittadino nigeriano IwuchukwuAmara Tochi, 21 anni, e il sudafricanoOkele Nelson Malachy, 35 anni, sonostati impiccati nelle prime ore del 26gennaio 2007 nella prigione diChangi, a Singapore.

I due sono stati messi a morte nono-stante gli appelli del governo nigerianoe del Relatore speciale delle NazioniUnite sulle esecuzioni extragiudiziali,sommarie o arbitrarie, che invitavanoil governo di Singapore a non procede-re con l’esecuzione di IwuchukwuAmara Tochi.Il relatore speciale delle Nazioni Uniteha dichiarato che il processo non hagarantito il diritto umano fondamenta-le della presunzione di innocenza.

Iwuchukwu Amara Tochi è stato arre-stato all’aeroporto di Changi il 27novembre 2004, e accusato in baseall’Atto sull’abuso di droga per avertrasportato circa 730 grammi di eroinaa Singapore.

La condanna a morte è obbligatoriaper chiunque venga ritenuto colpevoledi aver introdotto più 15 grammi dieroina nel paese. Il giudice che l’hacondannato sembra aver accettato latesi secondo la quale l’uomo potevaanche ignorare che la sostanza chestava trasportando fosse eroina. Nelsuo verdetto, ha dichiarato che “Nonvi era alcuna prova diretta che eglisapesse che le capsule contenevanodiamorfina [eroina]. Non c’era nienteche suggerisse che [il sig.] Smith [chegli ha consegnato le pillole da traspor-tare] gli avesse detto che contenevanodiamorfina o che [egli] l’abbia scoper-to da solo.”

USAPhilip Workman, 53 anni, è statomesso a morte con un’iniezione letalein Tennessee il 9 maggio 2007, nono-stante l’esistenza di prove a suadiscolpa: un testimone chiave ha men-tito al processo e il tenente RonaldOliver, il funzionario di polizia per ilcui omicidio durante una rapina èstato condannato, potrebbe esserestato colpito accidentalmente da uncollega. Philip Workman è stato nelbraccio della morte per 25 anni.

Il 4 maggio 2007, la Corte d’appellodegli Stati Uniti ha respinto l’appellodi Workman che chiedeva una sospen-sione dell’esecuzione in modo dapoter dimostrare la propria innocenza.Due giudici hanno deliberato cheWorkman “non è stato capace di dimo-strare le probabilità di successo” delproprio appello e, continuando, hannodichiarato che: “quasi 25 anni dopo lacondanna a morte di Workman e dopocinque sospensioni dell’esecuzione,sia lo Stato che l’opinione pubblicahanno interesse nel vedere la conclu-sione di questo caso...”.Tuttavia, il terzo giudice, il giudiceCole, si è trovato in disaccordo, soste-nendo che Workman avesse “fatto l’indi-spensabile per dimostrare” di poter aversuccesso in appello, almeno con il tenta-tivo di ottenere un’udienza probatoriaper avanzare le proprie richieste, e checiò sarebbe stato sufficiente a giustifica-re una sospensione. Inoltre, il giudiceCole ha fatto presente che un altro grup-po di tre giudici della Corte d’appelloaveva da poco concesso una sospen-sione dell’esecuzione di un detenutoin circostanze analoghe. Il giudice Coleha dichiarato che: “Questa incoerenzanell’amministrazione della pena di mortenon è ammissibile...”. Dal 1973 negliStati Uniti, sono più di 120 le personerilasciate dal braccio della morte dopoessere state prosciolte.

PER MAGGIORI INFORMAZIONICONTATTA

Amnesty Internationalsezione italianaVia Giovanni Battista De Rossi, 1000161 - RomaTel: (+39) 06 [email protected]

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Copertina e retro:Majid Kavousifar e suo nipote Hossein Kavousifar,impiccati con dei cavi a una gru.Teheran, Iran, 2 agosto 2007. © Private