La pena di morte è inammissibile · La pena di morte è inammissibile. L ... forse lasciato cadere...

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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 9 agosto 2018 anno LXXI, numero 32-33 (3.956) La pena di morte è inammissibile

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 9 agosto 2018anno LXXI, numero 32-33 (3.956)

La pena di morteè inammissibile

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L’Osservatore Romanogiovedì 9 agosto 2018il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

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Quella domenica nulla lasciava presagire quantola sera sarebbe accaduto a Castel Gandolfo.Solo un comunicato aveva avvertito che PaoloVI, per il riacutizzarsi dell’artrosi di cui da an-ni soffriva, non avrebbe potuto prendere parteall’incontro con i fedeli per l’Angelus. In real-tà il Papa non era nemmeno riuscito a scriverele parole introduttive della preghiera mariana,come aveva fatto per quindici anni personal-mente ogni martedì per l’udienza generale delgiorno dopo e alla vigilia dell’incontro dome-nicale.

All’inizio del pontificato, si era chiesto semantenere la consuetudine iniziata da Pacelli.«C’è stato l’Angelus alla finestra. Non mi sonosentito di affacciarmi a quella del terzo piano,dove apparivano i Papi Pio e Giovanni; avreiforse lasciato cadere questo singolare dialogocon la Piazza San Pietro; ma essa era piena digente, di fedeli anzi, che attendevano: immen-so e commovente spettacolo» aveva annotatoMontini. Per quel giorno, festa della Trasfigu-razione, il Pontefice aveva comunque dato in-dicazioni per preparare un breve discorso, chevenne infatti diffuso.

Paolo VI sentiva avvicinarsi la fine della suavita terrena, e sulla morte aveva a lungo medi-tato, sin dagli anni giovanili. Ma la consape-volezza della sua inesorabilità «non giova sequesta persuasione non è presente e sentitanello spirito» aveva scritto ancora non quaran-

tenne dopo una lunga malattia, perché «è unmonito di vigilanza e di attesa che disponel’animo a tutta la bontà e la pietà di cui è ca-pace». I cenni alla sua fine che avvertiva nonlontana si erano poi moltiplicati soprattuttonell’ultimo anno, quando «il corso naturaledella nostra vita volge al tramonto» aveva det-to quaranta giorni prima, nella festa dei santiPietro e Paolo, delineando nel quindicesimoanniversario un bilancio del pontificato.

Sfinito dalla febbre, il Pontefice era comun-que riuscito a lavorare per tutta la settimana.Martedì aveva celebrato alle Frattocchienell’ultima uscita da Castel Gandolfo, il gior-no dopo aveva tenuto l’udienza generale, gio-vedì aveva ricevuto il presidente italiano San-dro Pertini, da poco eletto al Quirinale, e ave-va lavorato sino a tardi, come era solito fare,sino a venerdì sera. Ma domenica mattina nonriuscì a celebrare e il segretario gli disse cheavrebbe celebrato per lui nel pomeriggio.

Durante la messa «ebbi la percezione chequella Comunione era il suo Viatico» ha scrit-to Pasquale Macchi nell’asciutto e impressio-nante racconto delle ultime ore di Paolo VI.«Subito, subito» rispose il Papa alla propostadi ricevere l’unzione dei malati. «Al terminefece un gesto con la mano, senza parlare,esprimendo così il saluto, la gratitudine, ilcommiato». Tre ore dopo Montini si spe-gneva.

Nella calura soffocante di quell’estate siconcludeva così, repentinamente, un pontifica-to decisivo per il cattolicesimo contempora-neo. Grazie alla testimonianza personale di unuomo che, vescovo di Milano, predicando ilprimo giorno dell’anno aveva detto: «Diven-tiamo davvero cristiani e imbeviamo il tempoche passa di un valore eterno; ritroveremo tut-to questo il giorno finale alla sera della nostravita».

g. m .v.

Mortedi Paolo VI

#editoriale

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Non riferirò quanto avvenne quel tardo pome-riggio d’estate del 1° agosto 1978 alle Frattoc-chie. La cronaca c’è, dettagliata e corredata didue foto, nelle prime due pagine dell’O sserva-tore Romano di giovedì 3 agosto. Attento piùche alla cronaca, al significato dell’avvenimen-to è il ricordo di monsignor Pasquale Macchi,che di Montini fu segretario privato dal no-vembre 1954 sino alla morte del Papa. Il rac-conto, riportato nella Positio per la causa dibeatificazione e canonizzazione (III/1, p. 286),è il seguente: «La visita alla tomba del Card.Pizzardo avvenne il 1° agosto nel pomeriggio.Quando il Papa accolto dalla popolazione co-minciò a parlare, tutti poterono notare che lasua voce era tremolante. Anche per me e per ilmedico, che era presente, fu una vera sorpresa.Al termine della visita pregai il medico, ilProf. Fontana, di venire subito nel Palazzoapostolico di Castel Gandolfo per verificarel’origine di questo malore. Il professore vennee constatò che il Papa aveva la febbre».

Nel libro Paolo VI nella sua parola ( B re s c i a ,Morcelliana, 2001, seconda edizione 2014), lostesso Macchi, intanto divenuto dal 1988 arci-vescovo prelato di Loreto, aggiungerà questocommento: «Mi pare opportuno sottolinearequesto gesto di Paolo VI, anche perché il Car-dinale Pizzardo lo aveva ostacolato in alcunimomenti della sua vita; il Papa voleva far pre-valere nel suo animo solo pensieri di gratitudi-ne, di affetto e di venerazione» (p. 351). Ag-giungerò solo un particolare, narratomi di per-sona dal commendator Franco Ghezzi, che fuaiutante di camera di Paolo VI per tutto ilpontificato: servirà a comprendere meglio ilsenso di apprensione di quanti erano vicini alPapa durante il discorso e anche il perché dialcune disarmonie e imprecisioni nell’elo quio.

Ghezzi, dunque, mi ha riferito — e moltevolte mi ha raccontato, insieme con altre per-sonali memorie, ciò che avvenne nel tardo po-meriggio di quel giorno — che il professor Ma-rio Fontana, approfittando di essere già sulla

strada per Roma, al termine del rito si dispo-neva a rientrare a casa. Si accostò, allora, percongedarsi dal Papa, ma nel bacio della manosi rese subito conto che la pelle scottava e co-municò subito a monsignor Macchi la sua im-pressione. «Ma il Papa ha la febbre alta!»esclamò. Ritornò, quindi, anch’egli a CastelGandolfo per le cure del caso.

Il discorso che tiene Paolo VI quel pomerig-gio non è da leggere, è da ascoltare! Il Papa

aveva la febbre. Ed ecco che, nel discorrere, avolte s’interrompe perché la memoria si fa in-certa, si confonde e sbaglia perfino i nomi diPio XI e Pio XII dopo aver evocato BenedettoX V. Nonostante la febbre che saliva, Montini sidilunga nei ricordi, che si assommano nellamemoria e lo aprono alla gratitudine. Nel sa-lutare, poi, le autorità presenti non dimenticadi sottolineare le benedizioni del Signore «do-vute a quelli che usano misericordia davanti aLui».

Come avrebbe rilevato il medico, il Papascottava, ma non gli veniva meno la luciditànell’andare con il pensiero alla morte, «cheper noi non può essere lontana». Per la festadell’Assunta l’anno precedente aveva inaugura-to con una messa la cappella dedicata alla Ver-gine che personalmente aveva voluto sullasponda del lago di Albano, e alla finedell’omelia era tornato a dire: «Chissà se avròio ancora, vecchio ormai come sono, il bene dicelebrare con voi questa festa. Vedo approssi-marsi le soglie dell’aldilà e perciò prendo oc-casione da questo incontro felicissimo per sa-lutarvi tutti».

Quel pomeriggio alle Frattocchie la voce diPaolo VI era faticosa e incerta, ma non sempre.Chi ascolta il discorso nota anzi che in alcunimomenti è sicura e vibrante. Canta perfinocon voce ferma le parole della benedizioneapostolica. E almeno due volte si ravviva nelsorriso.

La prima volta, quando ricorda la sua brevemissione in Polonia, dal 6 giugno al 10 ottobredel 1923: ci «spedì» dice, con quell’umorismoche non gli era estraneo e che, rileva France-sco nella Gaudete et exsultate (cfr. n. 122-128),ordinariamente accompagna la gioia cristiana.Paolo VI è il Papa della Gaudete in Domino e,anche con la febbre alta, non abbandona ilsorriso. Chi gli è stato vicino, e per lungo tem-po, mi ha raccontato della ilarità di cui era ca-pace Montini, specialmente nei momenti d’in-timità familiare e nel calore dell’amicizia, comecon il padre Giulio Bevilacqua.

E il secondo momento in cui il Papa non sol-tanto sorride, ma si apre a una gioia profonda è

Ma il Papaha la febbre alta!

#culture

di MARCELLOSEMERARO

Gli ultimi giornidi Montini

Ernst Günter Hansing«Paolo VI in preghiera» (1969)

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P

quando dona alla parrocchia «un cero, che èsimbolo della luce e della speranza cristiana».Nel suo Pensiero alla morte Paolo VI aveva scrit-to: «Ecco: mi piacerebbe, terminando, d’e s s e renella luce». E una celebre foto del 1964 lo co-glie, durante la veglia pasquale, con il volto in-tento e sorridente mentre accende il cero.

La canonizzazione, che nel concistoro del 19maggio scorso il Papa ha decretato per il pros-

simo 14 ottobre, ci conforta che Montini è nel-la luce. A questa aveva accennato nella medi-tazione per l’Angelus del 6 agosto 1978, chenon poté pronunciare. Con la certezza che«quel corpo, che si trasfigura davanti agli oc-chi attoniti degli apostoli, è il corpo di Cristonostro fratello, ma è anche il nostro corpochiamato alla gloria; quella luce che lo inondaè e sarà anche la nostra parte di eredità e dis p l e n d o re » .

erché, oggi, questa nostra visita a questa chiesa, aquesto santuario? Noi abbiamo da ricordare l’anni-versario, che oggi cade, della morte del cardinalePizzardo. Egli è morto a 93 anni di età come vesco-vo del titolo della diocesi suburbicaria di Albano e,per sua volontà, egli qui fu sepolto.

Noi abbiamo titoli particolari per essere devoti al-la memoria del cardinale Pizzardo. Diremo: nel no-vembre del 1922, più di cinquant’anni fa, egli chia-mò noi, che stavamo allora ospiti del Seminariolombardo, all’Accademia ecclesiastica. E poi, nel1923 alcuni mesi, sì, per alcuni mesi [sorride] ci “sp e-dì” — così, forse, era la lettera, difatti! — in Polonia.In Polonia, allora che non c’era ancora la pace, c’eraun mandato [inviato] del Santo Padre, il veneratopadre Genocchi; e poi già c’era esistente la nunzia-tura, e noi fummo mandati come segretari dellanunziatura e alcuni mesi dopo, in ottobre, ritornam-mo e fummo assunti, come altri allievi, alla Segrete-ria di Stato.

Egli era allora — il cardinale Pizzardo — il sostitu-to, fino alla sua promozione, dopo... giorni... dopoBorgongini Duca, che fu nominato con la riconcilia-zione del governo italiano [e] diventò nunzio in Ita-lia. E il cardinale Pizzardo dall’Ufficio Secondo del-la Segreteria di Stato fu trasferito al Primo Ufficio,dove noi ancora lo trovammo. Ed era ancora diretta,la Segreteria di Stato, dal cardinale Gasparri, alquale successe proprio in quell’anno, il ’30-’31[1930], il cardinale Pacelli.

Nel mille... nel marzo del 1939, il cardinale Pacellidivenne, come si sa, papa Pio XII, che promosse,poi, cardinale prefetto nella... il cardinale Pizzardo aprefetto della Sacra Congregazione dei seminari, do-ve egli rimase fino alla morte, per molti anni, succe-dendo al cardinale Granito nella sede suburbicariadi Albano.

Fu uomo — inutile che noi l’attestiamo, legati allamemoria di lui, che voi certamente tutti conoscete —fu uomo attivissimo. A lui si deve, per le opere di

maggiore importanza e di iniziativa personale, l’Isti-tuto missionario pareggiato Maria Santissima As-sunta; difese e promosse in tutti quegli anni l’Azio-ne cattolica e diede sostegno e sviluppo alla SacraCongregazione dei Seminari.

Gli dobbiamo l’umile domanda del nostro perdo-no, a questo che ci fu superiore e direttore, e tantevolte nostro consigliere e istitutore; dobbiamo a luil’istituzione, che lui difese e amò, l’Azione cattolica;gli dobbiamo il ringraziamento per la benevolenzache egli sempre ci usò; dobbiamo ricordare la dedi-zione del suo sacerdozio ai papi, alla Chiesa. Co-minciò il suo servizio con papa Benedetto [XV], poiBenedetto [Pio] XI e poi Benedetto [Pio] XII fino alPapa Giovanni.

Dobbiamo pregare per la pace eterna dell’animasua e per l’assistenza dal cielo a questa sua diocesi,che per... che fu sua, e alle opere della Chiesa cheegli servì, promosse e amò, nella speranza di poterloincontrare dopo la morte — che per noi non può es-sere lontana — nella gloria del Signore Gesù Cristo.

Ne lasciamo al parroco — dov’è il parroco? — ec-co, il calice per la chiesa; poi lasciamo un mazzo difiori, che sia posto sulla tomba. E finalmente un ce-ro, che è simbolo della luce [sorride] e della speran-za cristiana.

Diamo a tutti la benedizione. Ringraziamo le au-torità, che hanno voluto essere presenti. Siamo mol-to sensibili a questa loro partecipazione, a questo at-to di pietà e di onore ad una grande figura di uomodi Chiesa. Ringraziamo di questa loro adesione esiamo fidenti che il Signore terrà conto anche per iloro uffici, le loro persone delle benedizioni dovutea quelli che usano misericordia davanti a lui. E dia-mo a tutti la benedizione: a voi, alle vostre case, allevostre famiglie, a tutto questo quartiere, che noi ab-biamo sentito nominare tante volte senza mai avereavuto l’occasione — diciamo la fortuna, anche — divisitarlo. A tutti la nostra benedizione apostolica.

#culture

La visita nella parrocchiadelle Frattocchie

Quel prelato che ci spedì in PoloniaIl discorso inedito del 1° agosto

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di LUCIANOVIOLANTE

Pochi sanno chi è stato Stelio Spadaro, mortoottantaquattrenne a Trieste il 6 agosto. Era unmaestro sconosciuto, uno di quelle migliaia dimaestri che hanno trasmesso a molte migliaiadi giovani valori civili, rigore morale, attenzio-ne alle ragioni dell’altro. Insegnante di storia efilosofia, ha avuto tra i suoi allievi ragazzi chepoi sono diventati dirigenti politici nazionali,di destra e di sinistra. Gli uni e gli altri parla-no di lui con profondo rispetto, e con pari ri-spetto Stelio parlava di loro.

Esule istriano, era stato dirigente del Partitocomunista italiano e poi del Partito democrati-co della sinistra. Contro il sentire diffuso inquel partito, si impegnò per la verità sul confi-ne orientale. Quel confine è stato tradizional-mente estraneo alla storia d’Italia, al di là del-le retoriche su Caporetto e delle tragedie dellefoibe. La prima guerra mondiale non travolsetutta l’Italia, come la seconda, ma la parteorientale; le vicende di quelle popolazioni, co-strette a subire invasioni, violenze, sacrifici, ri-masero e rimangono tuttora confinate in unasorta di terra straniera della memoria.

Quando a Torino, Roma, Napoli si festeg-giava la Liberazione, a Trieste non si potevaperché la città era occupata dall’esercito jugo-slavo. Quando nel resto d’Italia si posavanofaticosamente le prime pietre della democrazia,Trieste viveva i duri quarantatré giorni dell’o c-cupazione jugoslava. Mentre in tutto il paeseinneggiare all’Italia libera era normale, a Trie-ste non si poteva perché Franc Štoka, commis-sario politico nominato da Tito, l’aveva pro-

clamata città autonoma nell’ambito della futu-ra Repubblica federale di Jugoslavia. Chi lofaceva rischiava di finire nelle foibe. E moltimorirono così. La festa della Liberazione aTrieste poté celebrarsi solo il 26 ottobre 1954.Seguì l’esodo, con oltre trecentomila italianidelle zone rimaste alla Jugoslavia che fuggiro-no in Italia accompagnati da incomprensioni,sospetti, emarginazione.

Questa sequenza di avvenimenti sono statioggetto di silenzi complici, negazionismi intol-lerabili, volgari utilizzazioni. A Trieste le lace-razioni politiche furono più profonde che al-trove. Stelio Spadaro, esule istriano, in quellacittà, nelle aule del suo liceo, insegnava a ri-spettare gli avversari e a capire che l’altro po-trebbe avere ragione. Insegnava ad abbando-nare i paraocchi e a guardare la realtà. Manon si limitava all’insegnamento. S’imp egnòperché il suo partito riconoscesse gli eccididelle foibe. Ed ebbe ragione. Promosse, so-stenne e difese la necessità di una giornata delricordo per i lutti del confine orientale. La leg-ge fu approvata.

Sostenne la necessità di rompere i muri del-le accuse reciproche e dei sospetti proponendonel 1998 un dialogo pubblico a Trieste traGianfranco Fini, capo del partito di estremadestra, e me, presidente della Camera. Nontutti apprezzarono, da una parte e dall’altra.Poco dopo la conclusione di quel dialogo cifu un duro comunicato di condanna sottoscrit-to da un gruppo di autorevoli storici riuniti aRoma per un convegno. Chiesi a uno di lorose conoscessero il contenuto del dialogo: midisse che non era necessario perché la posizio-ne era politica.

Qualche mese dopo a Trieste ne parlai conStelio, seduti al Caffè degli Specchi. Mi chiesecosa avevano studiato i miei figli. «Economiauno e giurisprudenza l’altra» risposi. «Sei sta-to fortunato» commentò sorridendo, «pensa seavessero studiato storia con uno di quelli». Unmaestro sconosciuto, Stelio Spadaro, e dobbia-mo sperare che siano sempre di più coloroche, superando incomprensioni, vogliano comelui contribuire silenziosamente alla crescita diuna generazione capace di riconoscere il valoredell’a l t ro .

Un maestrosconosciuto

#ilpunto

R i c o rd odi Stelio Spadaroinsegnantee politico istriano

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di DARIOFERTILIO

Un senso di spaesamento coglie spesso il lettoreal cospetto della cultura nigeriana. E benchéle cronache lo stiano abituando ai drammi deisuoi migranti, ne prova un’attrazione vaga-mente timorosa. Già il nome Nigeria evocatratte di schiavi, avventure missionarie, repor-tage spaventosi sulla guerra del 1967 e sullaconseguente fame nel Biafra, drammi del pre-mio Nobel per la letteratura Wole Soyinka epoi prostituzione, carneficine e rapimenti aopera del movimento islamista Boko Haram.Convivere con tutto questo non è facile per isuoi stessi abitanti, divisi in una ottantina dietnie e tribù, incapaci di intendersi in una lin-gua comune che non sia l’inglese corrotto delpidgin.

Eppure, o forse proprio per questo, la lette-ratura nigeriana è una delle più vive dell’Afri-ca, e tre libri recenti consentono di coglierne iltimbro originale. Chimamanda Ngozi Adichie,forse l’autrice più nota, descrive la disastrosaguerra secessionista del Biafra, adottandonenel titolo di un romanzo, edito in Italia da Ei-naudi, il simbolo della bandiera: Metà di unsole giallo. Noo Saro-Wiwa, figlia emigrata diun politico nigeriano ucciso per essersi oppo-sto alle multinazionali del petrolio, con In cer-ca di Transwonderland (pubblicato dalla casaeditirice romana 66thand2nd), racconta le im-pressioni del suo ritorno in patria in un diariodi viaggio ironico e senza veli. Igoni Barrett inL’amore è potere, o almeno gli somiglia molto (an-ch’esso 66thand2nd) adotta la tecnica del rac-conto a flash, immortalando esponenti di varieclassi sociali in lotta per la sopravvivenza.

Tutti appartenenti alla generazione dei qua-rantenni, questi autori hanno in comune unosguardo critico, maturato a contatto con l’o cci-dente, ma anche la capacità di descriveredall’interno la complessa rete sociale della Ni-geria, e le pulsioni profonde che la muovono.Si è travolti e quasi storditi dalle descrizionidelle bellezze naturali, dalle foreste di mangro-vie sul delta del Niger o dalle distese semide-sertiche nel nord attraversate soltanto dai pa-stori hausa; ci si aggira con timore nelle peri-ferie di Lagos, una delle città più pericolosedel mondo, dove rallentare a un incrocio signi-fica rischiare la vita; si passeggia lungo la co-sta, imbattendosi in croci nella sabbia che se-gnalano la sepoltura sommaria di bambini mairegistrati all’anagrafe; ci si rende conto di co-me la corruzione sia il motore perenne dellaclasse politica, e il rifiuto di immergere le ma-ni nel traffico sporco del petrolio venga spessopercepito come debolezza. Soprattutto ci si

imbatte in una violenza sempre in agguato,tribale e incontrollata, pronta a infierire sugliindifesi.

Ma, come diamanti grezzi, saltano all’o c-chio anche la generosità delle classi medie eumili, il desiderio di superare le divisioni etni-che e religiose, la costante ricerca di armoniacol divino e una disperata esigenza di fratel-lanza, amore, passione. Quest’ultima, la pas-sione, è forse il segnale più forte che la cultura

nigeriana invia all’occidente rinchiuso nellesue certezze ideologiche, nella sua moltiplica-zione dei diritti senza doveri, nell’accettazioneindifferente. È come se la fede nella vita, an-che nei suoi aspetti più brutali, cantasse alleorecchie stanche di benessere una canzone ir-resistibile e primigenia, fatta di messe scatena-te al suono di sassofoni e batterie, predicazionispontanee per le strade, digiuni propiziatori,certezze incrollabili in un comune aldilà.

Come diamantig re z z i

La letteraturanigeriana

è una delle piùvive dell’Africa

La copertina di «In cercadi Transwonderland»

#scaffale

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di RINO FISICHELLA

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La pena di morteè inammissibile

e parole chiare e decise con le quali PapaFrancesco ha ripetutamente condannato la pe-na di morte, dovevano trovare riscontro anchenel Catechismo della Chiesa cattolica. Nel di-scorso pronunciato lo scorso ottobre per ilventicinquesimo della sua pubblicazione ilPontefice aveva esplicitamente affrontato laquestione affermando che il tema avrebbe do-vuto trovare nel Catechismo «uno spazio piùadeguato e coerente». In continuità con il ma-gistero precedente, in particolare con le affer-mazioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,il Papa ha voluto porre l’accento sulla dignitàdella persona, che in nessun modo può essereumiliata né ostracizzata: «Si deve affermarecon forza che la condanna alla pena di morteè una misura disumana che umilia, in qualsiasimodo venga perseguita, la dignità personale.È in se stessa contraria al Vangelo».

Con la nuova formulazione del n. 2267 delCatechismo, dunque, la Chiesa compie un pas-so decisivo nella promozione della dignità diogni persona, qualsiasi reato possa aver com-piuto, e condanna esplicitamente la pena dimorte. La formulazione permette di coglierealcune istanze innovative che aprono la stradaper un impegno di ulteriore responsabilità perla vita dei credenti, soprattutto nei numerosipaesi dove ancora persiste la pena di morte.

Il testo non solo rimanda a una «più vivaconsapevolezza» che emerge in modo semprepiù convinto nella popolazione, e in particola-re tra le giovani generazioni chiamate a farsicarico di una nuova cultura a favore della vitaumana. Una lettura attenta permette di verifi-care come la Chiesa in questi ultimi decenniabbia compiuto un vero progresso nella com-prensione dell’insegnamento sulla dignità dellapersona e, di conseguenza, nella riformulazio-ne del suo pensiero sulla pena di morte.

Fermarsi alla accresciuta sensibilità del po-polo cristiano è certamente un fatto qualifican-te. Sottolineare che oggi gli stati hanno a di-sposizione molti sistemi di difesa per la salva-guardia della popolazione, e che sono statemesse a punto forme di detenzione che annul-lano il pericolo e il trauma della violenza sullepersone innocenti, è ugualmente un elementodeterminante.

E tuttavia questo non basta. Il nuovo testodel Catechismo afferma che «la Chiesa insegnaalla luce del Vangelo che la pena di morte èinammissibile perché attenta all’inviolabilità ealla dignità della persona». Questo passaggiomostra in tutta la sua evidenza che si è dinan-zi a un vero progresso dogmatico con il qualesi esplicita un contenuto della fede che pro-gressivamente è maturato fino a far compren-dere l’insostenibilità della pena di morte ai no-stri giorni.

La lettera ai vescovi della Congregazionedella dottrina della fede che accompagna ilnuovo testo del Catechismo manifesta la preoc-cupazione di evidenziare quanto il nuovo con-tenuto sia in continuità con il magistero prece-dente. Non si può non rilevare, comunque,che la forte presa di posizione di Papa France-sco permette di cogliere il progresso che si starealizzando. D’altronde, nel discorso delloscorso ottobre proprio il Pontefice, prendendoin prestito da Giovanni XXIII le parole di aper-tura del concilio Vaticano II, sviluppava il suopensiero con due verbi: custodire e progredire.

Custodire il deposito della fede non signifi-ca mummificarlo ma renderlo sempre più con-forme alla sua stessa natura e permettere che

È uno sguardo al futuro, dove la conversio-ne, il pentimento e il desiderio di iniziare dacapo una nuova vita non possono essere tolti anessuno, neppure a chi si è macchiato di reatigravissimi. Sopprimere volontariamente unavita umana è contrario alla rivelazione cristia-na. Puntare sul perdono e il riscatto è la sfidache la Chiesa è chiamata a fare sua come im-pegno di nuova evangelizzazione.

la verità di fede sia capace di rispondere alledomande di ogni generazione. La Tradizionenon è rappresentabile come un insetto impri-gionato nell’ambra, per dirla con una coloritaespressione inglese. Se così fosse, l’a v re m m odistrutta. L’insegnamento di fede della Chiesa,piuttosto, è un annuncio, una parola che per-mane viva per provocare sempre, dovunque etutti a una presa di posizione libera per l’im-pegno nella trasformazione del mondo.

Riportando il tema della pena di mortesull’orizzonte della dignità della persona, PapaFrancesco compie dunque un passo decisivonell’interpretazione della dottrina di sempre. Esi tratta di uno sviluppo e di un progresso nel-la comprensione del Vangelo che apre orizzon-ti rimasti in ombra. La storia del dogma nonvive di discontinuità, ma di continuità tesa alprogresso attraverso uno sviluppo armonicoche in maniera dinamica fa emergere la veritàdi sempre.

La Chiesa è ben consapevole che dinanzi areati così violenti e disumani che portano lalegittima autorità a una sentenza di pena dimorte si riscontrano sempre sentimenti diversi-ficati. Difendendo l’abolizione della pena dimorte, non si dimentica certo il dolore dellevittime coinvolte né l’ingiustizia che è stataperpetrata. Si chiede, piuttosto, che la giusti-zia compia il suo passo decisivo, non fatto dirancore e vendetta, ma di responsabilità oltreil momento presente.

Mo d i f i c a t oil Catechismo

#copertina

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il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 9 agosto 2018

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Rescriptumex audientia SS.mi

Il sommo Pontefice Francesco, nell’udienza concessa in data 11 maggio al pre-fetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha approvato la seguentenuova redazione del numero 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, dispo-nendo che venga tradotta nelle diverse lingue e inserita in tutte le edizioni delsuddetto Catechismo.

Pena di morte2267. Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legitti-ma autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguataalla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, perla tutela del bene comune.

Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della personanon viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inol-tre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penalida parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzio-ne più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allostesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redi-mersi.

Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di mor-te è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della perso-na»1, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto ilmondo.

Il presente Rescritto sarà promulgato tramite pubblicazione su L’Osser-vatore Romano, entrando in vigore lo stesso giorno, e quindi pubblicatosugli Acta Apostolicae Sedis.

LUIS F. Card. LADARIA, S.I.Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

Dal Vaticano, il 1° agosto 2018,Memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

1. FR A N C E S C O, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontifi-cio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (11 otto-bre 2017)

Congregazione per la dottrina della fede

Lettera ai vescovisulla pena di morte

Nelle illustrazioni:Venanzo Crocetti, «Caino

e Abele» (1957)Jessie Adelmann

«La chiave della libertà»

#copertina

Note

1 Cfr. Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalPontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione(11 ottobre 2017): L’Osservatore Romano (13 ottobre 2017), 4.2 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), n. 9:AAS 87 (1995), 411.3 Ibid., n. 27: AAS 87 (1995), 432.4 Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi per il Santo Natale (25dicembre 1998), n. 5: Insegnamenti XXI, 2 (1998), 1348.5 Id., Omelia nel Trans World Dome di Saint Louis (27 gennaio 1999):Insegnamenti XXII, 1 (1999), 269; cfr. Omelia nella Messa nella Basilicadi Nuestra Señora de Guadalupe a Città del Messico (23 gennaio1999): «Occorre porre fine al ricorso non necessario alla pena di mor-te»: Insegnamenti XXII, 1 (1999), 123.6 Benedetto XVI, Esort. Ap. postsinodale Africae munus (19 novembre2011), n. 83: AAS 104 (2012), 276.7 Id., Udienza generale (30 novembre 2011): Insegnamenti VII, 2 (2011),813.8 Francesco, Lettera al Presidente della Commissione internazionalecontro la pena di morte (20 marzo 2015): L’Osservatore Romano (20-21 marzo 2015), 7.9 Ibid.10 Ibid.11 Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontifi-cio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (11 ot-tobre 2017): L’Osservatore Romano (13 ottobre 2017), 5.12 Cfr. Vincenzo di Lérins, Commonitorium, cap. 23: PL 50, 667-669. Inriferimento alla pena di morte, trattando delle specificazioni dei pre-cetti del decalogo, la Pontificia Commissione Biblica ha parlato di “af-finamento” delle posizioni morali della Chiesa: «Con il corso della sto-ria e lo sviluppo delle civiltà, la Chiesa ha pure affinato le proprie po-sizioni morali riguardanti la pena di morte e la guerra in nome di unculto della vita umana che essa nutre senza cessa meditando la Scrittu-ra e che prende sempre più colore di un assoluto. Ciò che sottendequeste posizioni apparentemente radicali è sempre la stessa nozioneantropologica di base: la dignità fondamentale dell’uomo creato a im-magine di Dio» (Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano,2008, n. 98).13 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 4.

Cambia il n. 2267del Catechismo della Chiesa cattolica

stato raccolto poi nell’editio typica delCatechismo della Chiesa Cattolica. In es-so, la pena di morte non si presenta co-me una pena proporzionata alla gravitàdel delitto, ma si giustifica solo se fosse«l’unica via praticabile per difendereefficacemente dall’aggressore ingiusto lavita di esseri umani», anche se di fatto«i casi di assoluta necessità di soppres-sione del reo sono ormai molto rari, senon addirittura inesistenti» (n. 2267).

Giovanni Paolo II è intervenuto an-che in altre occasioni contro la pena dimorte, appellandosi sia al rispetto delladignità della persona sia ai mezzi chepossiede la società odierna per difen-dersi dal criminale. Così, nel Me s s a g g i onatalizio del 1998, egli auspicava «nelmondo il consenso nei confronti di mi-sure urgenti ed adeguate ... per bandirela pena di morte»4. Il mese successivo,negli Stati Uniti, egli ripeteva: «Un se-gno di speranza è costituito dal cre-scente riconoscimento che la dignitàdella vita umana non deve mai esserenegata, nemmeno a chi ha fatto delmale. La società moderna possiede glistrumenti per proteggersi senza negarein modo definitivo ai criminali la possi-bilità di ravvedersi. Rinnovo l’app ellolanciato a Natale, affinché si decida diabolire la pena di morte, che è crudelee inutile»5.

La spinta ad impegnarsi per l’ab oli-zione della pena di morte è continuatacon i Pontefici successivi. BenedettoXVI richiamava «l’attenzione dei re-sponsabili della società sulla necessitàdi fare tutto il possibile per giungereall’eliminazione della pena capitale»6.E successivamente auspicava ad ungruppo di fedeli che «le vostre delibe-razioni possano incoraggiare le iniziati-ve politiche e legislative, promosse inun numero crescente di Paesi, per eli-minare la pena di morte e continuare iprogressi sostanziali realizzati per ade-guare il diritto penale sia alle esigenzedella dignità umana dei prigionieri cheall’effettivo mantenimento dell’o rd i n epubblico»7.

In questa stessa prospettiva PapaFrancesco ha ribadito che «oggigiornola pena di morte è inammissibile, perquanto grave sia stato il delitto delcondannato»8. La pena di morte, qualiche siano le modalità dell’esecuzione,«implica un trattamento crudele, disu-mano e degradante»9. Va inoltre rifiuta-ta «a motivo della difettosa selettivitàdel sistema penale e di fronte alla pos-sibilità dell’errore giudiziario»10. È inquesta luce che Papa Francesco hachiesto una revisione della formulazio-ne del Catechismo della Chiesa Cattolicasulla pena di morte, in modo che si af-fermi che «per quanto grave possa es-sere stato il reato commesso, la pena dimorte è inammissibile perché attentaall’inviolabilità e dignità della per-sona»11.

La nuova redazione del n. 2267 delCatechismo della Chiesa Cattolica, appro-vata da Papa Francesco, si situa in con-tinuità con il Magistero precedente,portando avanti uno sviluppo coerentedella dottrina cattolica12. Il nuovo testo,seguendo le orme dell’insegnamento diGiovanni Paolo II in Evangelium vitae,

afferma che la soppressione della vitadi un criminale come punizione per undelitto è inammissibile perché attentaalla dignità della persona, dignità chenon viene perduta neanche dopo avercommesso dei crimini gravissimi. Aquesta conclusione si arriva anche te-nendo conto della nuova comprensionedelle sanzioni penali applicate dalloStato moderno, che devono orientarsiinnanzitutto alla riabilitazione e reinte-grazione sociale del criminale. Infine,visto che la società odierna possiede si-stemi di detenzione più efficaci, la penadi morte risulta non necessaria comeprotezione della vita di persone inno-centi. Certamente, resta in piedi il do-vere della pubblica autorità di difende-re la vita dei cittadini, come è statosempre insegnato dal Magistero e comeconferma il Catechismo della Chiesa Cat-tolica nei numeri 2265 e 2266.

Tutto questo mostra che la nuovaformulazione del n. 2267 del Catechismoesprime un autentico sviluppo delladottrina, che non è in contraddizionecon gli insegnamenti anteriori del Ma-gistero. Questi, infatti, possono spie-garsi alla luce della responsabilità pri-maria dell’autorità pubblica di tutelareil bene comune, in un contesto socialein cui le sanzioni penali si comprende-vano diversamente e avvenivano in unambiente in cui era più difficile garanti-re che il criminale non potesse reiterareil suo crimine.

Nella nuova redazione si aggiungeche la consapevolezza sulla inammissi-bilità della pena di morte è cresciuta«alla luce del Vangelo»13. Il Vangelo,infatti, aiuta a comprendere meglio l’or-dine creaturale che il Figlio di Dio haassunto, purificato e portato a pienez-za. Ci invita anche alla misericordia ealla pazienza del Signore che dà a cia-scuno il tempo per convertirsi.

La nuova formulazione del n. 2267del Catechismo della Chiesa Cattolicavuole costituire una spinta a un decisoimpegno, anche attraverso un rispetto-so dialogo con le autorità politiche, af-finché sia favorita una mentalità che ri-conosca la dignità di ogni vita umana evengano create le condizioni che con-sentono di eliminare oggi l’istituto giu-ridico della pena di morte laddove èancora in vigore.

Il Sommo Pontefice Francesco, nel-l’Udienza concessa al sottoscritto Segreta-rio in data 28 giugno, ha approvato lapresente Lettera, decisa dalla Sessione Or-dinaria di questa Congregazione il 13 giu-gno, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma,dalla Sede della Congregazione

per la Dottrina della Fede,il 1° agosto 2018, Memoria

di Sant’Alfonso Mariade’ Liguori.

LUIS F. CA R D. LADARIA, S.I.P re f e t t o

GIACOMO MORANDIArcivescovo titolare di Cerveteri

S e g re t a r i o

l Santo Padre Francesco, nel Discorsoin occasione del venticinquesimo anni-versario della pubblicazione della Co-stituzione Apostolica Fidei depositum,con la quale Giovanni Paolo II p ro m u l -gava il Catechismo della Chiesa Cattolica,ha chiesto che fosse riformulato l’inse-gnamento sulla pena di morte, in mododa raccogliere meglio lo sviluppo delladottrina avvenuto su questo punto ne-gli ultimi tempi1. Questo sviluppo pog-gia principalmente sulla coscienza sem-pre più chiara nella Chiesa del rispettodovuto ad ogni vita umana. In questalinea affermava Giovanni Paolo II:«Neppure l’omicida perde la sua digni-tà personale e Dio stesso se ne fa ga-rante»2.

In tale luce va compreso l’atteggia-mento verso la pena di morte che si èaffermato sempre più largamentenell’insegnamento dei pastori e nellasensibilità del popolo di Dio. Se, infat-ti, la situazione politica e sociale di untempo rendeva la pena di morte unostrumento accettabile per la tutela delbene comune, oggi la sempre più viva

coscienza che la dignità di una personanon viene perduta neanche dopo avercommesso crimini gravissimi, l’a p p ro -fondita comprensione del senso dellesanzioni penali applicate dallo Stato, ela messa a punto di sistemi di detenzio-ne più efficaci che assicurano la dove-rosa difesa dei cittadini, hanno datoluogo ad una nuova consapevolezzache ne riconosce l’inammissibilità eperciò chiede la sua abolizione.

In questo sviluppo è di grande im-portanza l’insegnamento della Letteraenciclica Evangelium vitae di GiovanniPaolo II. Il Santo Padre annoverava trai segni di speranza di una nuova civiltàdella vita «la sempre più diffusa avver-sione dell’opinione pubblica alla penadi morte anche solo come strumento di“legittima difesa” sociale, in considera-zione delle possibilità di cui disponeuna moderna società di reprimere effi-cacemente il crimine in modi che, men-tre rendono inoffensivo colui che l’hacommesso, non gli tolgono definitiva-mente la possibilità di redimersi»3.L’insegnamento di Evangelium vitae è

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Continuiamo oggi a meditare il Decalogo, ap-profondendo il tema dell’idolatria, ne abbiamoparlato la settimana scorsa. Ora riprendiamo iltema perché è molto importante conoscerlo. Eprendiamo spunto dall’idolo per eccellenza, ilvitello d’oro, di cui parla il Libro dell’Eso do(32, 1-8) — ne abbiamo appena ascoltato unbrano. Questo episodio ha un preciso conte-sto: il deserto, dove il popolo attende Mosè,che è salito sul monte per ricevere le istruzionida Dio.

Che cos’è il deserto? È un luogo dove regna-no la precarietà e l’insicurezza — nel desertonon c’è nulla — dove mancano acqua, manca ilcibo e manca il riparo. Il deserto è un’immagi-ne della vita umana, la cui condizione è incer-ta e non possiede garanzie inviolabili. Questainsicurezza genera nell’uomo ansie primarie,che Gesù menziona nel Vangelo: «Che cosamangeremo? Che cosa berremo? Che cosa in-dosseremo?» (Mt 6, 31). Sono le ansie prima-rie. E il deserto provoca queste ansie.

E in quel deserto accade qualcosa che inne-sca l’idolatria. «Mosè tardava a scendere dalmonte» (Es 32, 1). È rimasto lì 40 giorni e lagente si è spazientita. Manca il punto di riferi-mento che era Mosè: il leader, il capo, la gui-da rassicurante, e ciò diventa insostenibile. Al-lora il popolo chiede un dio visibile — questoè il tranello nel quale cade il popolo — per po-tersi identificare e orientare. E dicono adAronne: «Fa’ per noi un dio che cammini allanostra testa!», “Facci un capo, facci un lea-der”. La natura umana, per sfuggire alla preca-rietà — la precarietà è il deserto — cerca unareligione “fai-da-te”: se Dio non si fa vedere,ci facciamo un dio su misura. «Davantiall’idolo non si rischia la possibilità di unachiamata che faccia uscire dalle proprie sicu-rezze, perché gli idoli “hanno bocca e nonparlano” (Sal 115, 5). Capiamo allora che l’ido-lo è un pretesto per porre se stessi al centrodella realtà, nell’adorazione dell’opera delleproprie mani» (Enc. Lumen fidei, 13).

Aronne non sa opporsi alla richiesta dellagente e crea un vitello d’o ro . Il vitello aveva unsenso duplice nel vicino oriente antico: da unaparte rappresentava fecondità e abbondanza, edall’altra energia e forza. Ma anzitutto è d’o ro ,perciò è simbolo di ricchezza, successo, potere

e denaro. Questi sono i grandi idoli: successo,potere e denaro. Sono le tentazioni di sempre!Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo ditutti i desideri che danno l’illusione della li-bertà e invece schiavizzano, perché l’idolosempre schiavizza. C’è il fascino e tu vai. Quelfascino del serpente, che guarda l’uccellino el’uccellino rimane senza potersi muovere e ilserpente lo prende. Aronne non ha saputo op-p orsi.

Ma tutto nasce dall’incapacità di confidaresoprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostresicurezze, di lasciare che sia Lui a dare veraprofondità ai desideri del nostro cuore. Questopermette di sostenere anche la debolezza, l’in-certezza e la precarietà. Il riferimento a Dio cifa forti nella debolezza, nell’incertezza e anchenella precarietà. Senza primato di Dio si cadefacilmente nell’idolatria e ci si accontenta dimisere rassicurazioni. Ma questa è una tenta-zione che noi leggiamo sempre nella Bibbia. Epensate bene questo: liberare il popolo dal-l’Egitto a Dio non è costato tanto lavoro; loha fatto con segni di potenza, di amore. Ma ilgrande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto

dal cuore del popolo, cioè togliere l’idolatriadal cuore del popolo. E ancora Dio continua alavorare per toglierla dai nostri cuori. Questoè il grande lavoro di Dio: togliere “quel-l’Egitto” che noi portiamo dentro, che è il fa-scino dell’idolatria.

Quando si accoglie il Dio di Gesù Cristo,che da ricco si è fatto povero per noi (cfr. 2Cor 8, 9), si scopre allora che riconoscere la

L’ingannoluccicante

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa mettein guardia

dalle tentazionidel successo

del poteree del denaro

Dan Goorevitch«Il vitello d’oro» (2016)

#catechesi

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«Siamo qui dal Papa per fare “il pieno di fiducia”perché il popolo di Haiti ne ha un bisogno vitale»:a parlare è il vescovo Pierre-André Dumas, che haincontrato Francesco, durante l’udienza generale dimercoledì 8 agosto nell’aula Paolo VI, con irappresentanti della pastorale universitaria haitiana.«Siamo stati a Taizé — racconta — e ora eccoci dalPapa, proprio per andare alle radici della nostrafede, per essere davvero pronti, una volta rientrati acasa, a dare ragione della nostra speranza e dellanostra fiducia». Nella società di Haiti, spiega ilpresule, «si sente tantissimo, oggi più che mai, lamancanza di fiducia reciproca. Ma così nonriusciremo mai a crescere come popolo. La fiduciainfatti è l’anima di ogni rapporto sociale e noicristiani dobbiamo testimoniare che Dio dà semprefiducia agli uomini e dunque,a maggior ragione, questo deve essere anche ilnostro atteggiamento gli uni verso gli altri». PapaFrancesco ha poi benedetto la bandiera degliInvictus games, i giochi sportivi per i militaridisabili che si svolgeranno dal 20 al 27 ottobre aSydney. E ha incoraggiato la delegazione italianaguidata da Gianfranco Paglia, capitano del grupposportivo paralimpico del ministero della difesa,rimasto gravemente ferito in un’imboscata mentreera in missione di pace in Somalia nel 1993 ecostretto sulla sedia a rotelle. Significativo inoltre

Un pieno di fiducia per Haiti

propria debolezza non è la disgrazia della vitaumana, ma è la condizione per aprirsi a coluiche è veramente forte. Allora, per la porta del-la debolezza entra la salvezza di Dio (cfr. 2Cor 12, 10); è in forza della propria insufficien-za che l’uomo si apre alla paternità di Dio. Lalibertà dell’uomo nasce dal lasciare che il veroDio sia l’unico Signore. E questo permette diaccettare la propria fragilità e rifiutare gli idolidel nostro cuore.

Noi cristiani volgiamo lo sguardo a Cristoc ro c i f i s s o (cfr. Gv 19, 37), che è debole, disprez-zato e spogliato di ogni possesso. Ma in Lui sirivela il volto del Dio vero, la gloria dell’amo-

re e non quella dell’inganno luccicante. Isaiadice: «Per le sue piaghe noi siamo stati guari-ti» (53, 5). Siamo stati guariti proprio dalla de-bolezza di un uomo che era Dio, dalle suepiaghe. E dalle nostre debolezze possiamoaprirci alla salvezza di Dio. La nostra guari-gione viene da Colui che si è fatto povero, cheha accolto il fallimento, che ha preso fino infondo la nostra precarietà per riempirla diamore e di forza. Lui viene a rivelarci la pater-nità di Dio; in Cristo la nostra fragilità non èpiù una maledizione, ma luogo di incontrocon il Padre e sorgente di una nuova forzadall’alto.

l’abbraccio del Pontefice a due gruppi venutidall’Ucraina. Anzitutto i sessanta bambini chehanno partecipato al progetto internazionale TheBook of Goodness, un vero e proprio condensato disperanza e di desiderio di pace e riconciliazione.Accanto a loro, cento ragazzi che vivono nella zonadi Chernobyl, ospiti in Italia di tante famiglie chefanno riferimento all’associazione «Aspettando unangelo». Infine l’artista britannico Sting hapresentato al Papa contenuti e obiettivi dellospettacolo Giudizio Universale. Michelangelo and the Secretsof the Sistine Chapel, in scena all’AuditoriumConciliazione. Prodotto con la consulenzascientifica dei musei Vaticani, l’originale spettacoloha per protagonista assoluta proprio la cappellaSistina. A realizzarlo è stato Marco Balich, ideatoredi cerimonie olimpiche. «Quando ho visto lacappella Sistina — confida il musicista, che è autoredel tema principale — sono rimasto folgorato dalgenio di Michelangelo. Fare una “colonna sonora”di una simile visione è un’esperienza mistica».Particolarmente attento alla dimensione spirituale ealle questioni solidali — già nel 1989 scrisse di suopugno a Giovanni Paolo II per sostenere la causadei popoli dell’Amazzonia — Sting, al terminedell’udienza, ha nuovamente visitato la cappellaSistina, sostando anche nella cappella Paolina enella sala Regia.

#catechesi

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MERCOLEDÌ 1°Oggi la disoccupazione, che ruba la dignità atanti giovani, deriva da «una risistemazionedell’economia mondiale, dove l’economia, cheè concreta, lascia il posto alla finanza, che èastratta». Questo è «il grande peccato controla dignità della persona»: non tenerla più alcentro della vita sociale ed economica. È lanuova denuncia di Papa Francesco che — in-contrando i partecipanti all’incontro EuropeanJesuits in formation nell’auletta dell’Aula Pao-lo VI — ha parlato della mancanza di lavorocome «uno dei problemi più acuti e più dolo-rosi per i giovani». Ai quali «non avere lavorotoglie la dignità», esponendoli al rischio di

suicidi, dipendenze e derive terroristiche. Difronte a tale situazione, occorre «una corag-giosa creatività» per venire incontro alle esi-genze delle nuove generazioni. «C’è bisogno— ha raccomandato il Pontefice — della parolaprofetica, di inventiva umana, bisogna sporcar-si le mani». Da qui l’esortazione ad «andarenelle periferie, agli incroci delle idee, dei pro-blemi, della missione», restando sempre «an-corati al Signore».

DOMENICA 5L’applauso di piazza San Pietro per Paolo

VI, «grande Papa della modernità». Hanno ri-sposto con convinzione i ventimila fedeli pre-senti all’Angelus nella vigilia del quarantesimoanniversario della morte del Pontefice brescia-no, quando Papa Francesco ha ricordato «contanta venerazione e gratitudine» il suo prede-cessore. «In attesa della sua canonizzazione, il14 ottobre prossimo» Montini «dal cielo inter-ceda per la Chiesa, che tanto ha amato, e perla pace nel mondo» ha detto il Pontefice. Unatestimonianza di affetto rinnovata l’indomanimattina, nella festa della Trasfigurazione delSignore, con la visita alla tomba di Paolo VI

Il cammino dei discepoli verso il monte Tabor ci invitaa staccarci dalle cose mondane per contemplare Gesù

(@Pontifex_it, 6 agosto)

«Le grandi scelte economichee politiche proteggano le famigliecome un tesoro dell’umanità».

È un appello per una «adeguatapolitica familiare» l’intenzione

di preghiera di Francescocontenuta nel videomessaggio per

il mese di agosto, affidataalla rete mondiale di preghiera

( w w w. t h e p o p e v i d e o . o rg ) .«Parlando delle famiglie —

confida il Pontefice — spesso miviene in mente l’immagine

di un tesoro». Ma, riconosce,«il ritmo della vita attuale,

lo stress, la pressione del lavoro eanche la poca attenzione da partedelle istituzioni possono metterlein pericolo». Dunque, rilancia

il Papa nel video, «non èsufficiente parlare della loro

importanza: bisogna promuoveremisure concrete e sviluppare

il loro ruolo nella società conuna adeguata politica familiare».

A rafforzare il forte messaggiodi Francesco, il video propone

una rapida ma incisiva carrellatadi immagini che scandisconoquotidianità e problematiche

di ogni famiglia. Ecco, allora,genitori e nonni accompagnare

una bambina che giocasull’altalena. E, ancora, i banchi

di scuola e una tavolaimbandita: due punti essenzialidi riferimento, di formazione,

di crescita e di dialogo frale generazioni. Per poi arrivare

alle questioni legate allamaternità, alla disabilità e alla

salute. Non manca, infine,l’immagine di una solenne aula

per richiamare il sensodi responsabilità di quanti sono

chiamati a legiferare sullafamiglia (Kelly Turner,

«Unità familiare»)

”Il discorsoai giovani gesuiti

Angelusin piazza San Pietro

nelle Grotte vaticane. Prima della recita dellapreghiera mariana, come di consueto PapaBergoglio aveva commentato la lettura delgiorno, tratta dal vangelo di Giovanni (6, 24-35). In queste ultime settimane, ha spiegato,«la liturgia ci ha mostrato Gesù che va incon-tro alle folle e ai loro bisogni». Invece«nell’odierno racconto la prospettiva cambia: èla folla, sfamata da Gesù, che si mette nuova-mente in cerca di lui». Ma egli «vuole che laricerca di lui e l’incontro con lui vadano oltrela soddisfazione immediata delle necessità ma-teriali». Cristo «è venuto ad aprire la nostraesistenza a un orizzonte più ampio rispetto al-le preoccupazioni quotidiane del nutrirsi, delvestirsi, della carriera». E così facendo — haconcluso — «il Signore ci invita a non dimenti-care che è importante coltivare il rapporto conlui, che è il “pane della vita”».

LUNEDÌ 6Papa Francesco è rimasto «colpito dal lavo-

ro di riflessione, discernimento e decisioni»compiuto dall’episcopato cileno dopo lo scan-dalo degli abusi. Un lavoro i cui frutti sonocontenuti nel documento Dichiarazione, decisio-ni e impegni dei vescovi della Conferenza episco-pale del Cile redatto al termine dell’assembleaplenaria straordinaria conclusasi nei giorniscorsi. Proprio riferendosi al documento ilPontefice — in una breve lettera autografapubblicata oggi sul sito dell’episcopato —esprime l’auspicio che «il Signore ripaghi ab-bondantemente questo sforzo comunitario epastorale». Il Papa sottolinea che le decisionidei presuli «sono realiste e concrete» e si dice«sicuro che aiuteranno in modo decisivo» asuperare la grave crisi che sta vivendo la Chie-sa cilena. «Ma ciò che più mi ha colpito — ag-giunge Francesco — è l’esempio di una comu-nità episcopale unita nella guida del santo po-polo fedele di Dio. Grazie per questo esempioedificante... perché “c o s t ru i s c e ” la Chiesa»conclude il Papa, assicurando disponibilità eaccompagnamento spirituale.

#7giorniconilpapa

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di MARCELOFIGUEROA

Il dibattito parlamentare in Argentina per la le-galizzazione dell’interruzione volontaria dellagravidanza, ovvero dell’aborto, è stato al cen-tro dell’attenzione dell’opinione pubblica na-zionale. In genere si è voluto presentare il te-ma come un dibattito nuovo e la difesa dellavita da parte delle Chiese cristiane e di altreconfessioni religiose come reazionaria e tar-diva.

Ma esiste un prezioso documento, pubblica-to otto anni fa dai massimi rappresentanti del-la Chiesa cattolica, dei patriarcati ortodossi,dei protestanti riformati ed evangelici, che di-mostra l’unione nella diversità su questo temavitale nel Vangelo della vita. Così le preghieree celebrazioni sia ecumeniche che interreligiosesi sono collocate oggi nel solco già tracciato eguidato dall’arcivescovo di Buenos Aires, ilcardinale Bergoglio.

Vale la pena allora tornare su quel docu-mento, intitolato Compromiso por la vida, perun «impegno a favore della vita». Il testoesprime la convinzione comune «del valoredella vita umana, dal concepimento fino allamorte naturale» e invita tutti a unirsi a favoredella vita. «Nella cultura del nostro popolo —si legge nel documento — è sempre apparsochiaro il valore inalienabile di ogni vita uma-na. Anche quanti non conoscono Dio e noncredono in lui, percepiscono il sacro attraversoil miracolo della vita» che «permette d’i n t u i rela presenza di una realtà trascendente».

Nonostante il valore costituzionale di «trat-tati internazionali che tutelano il diritto delbambino alla vita nel grembo materno dal pri-mo momento del suo concepimento», in Ar-gentina si osservano «situazioni della nostravita sociale in cui non si sta promuovendo ilvalore del diritto alla vita e del dono della vi-

ta. Oggi la vita è profondamente minacciatada diversi tipi di dipendenza, dalla povertà edall’emarginazione, nonché da varie forme diviolenza in cui le persone vedono la propriaesistenza in pericolo, in particolare l’ab ortoche minaccia la vita appena concepita. Voglia-mo affermare insieme: quando una donna è instato di gravidanza, non è soltanto una vita adover essere protetta, ma due, quella della ma-dre e quella del figlio o della figlia in gestazio-

ne. Entrambe devono essere preservate e ri-sp ettate».

Il documento osserva poi che la vita è undono da ricevere: «Non ci diamo la vita da so-li, fondamentalmente la riceviamo. E non laconquistiamo, né la meritiamo, né la compria-mo; la riceviamo. È proprio del cuore del di-scepolo saper ricevere e accogliere la vita comeun dono per il quale si rende grazie». E ognivita umana «è immagine di Dio e fin dal pri-mo istante del suo concepimento reca l’im-pronta della Trinità. Perciò le nostre Chiese ecomunità hanno difeso sempre l’accettazionedella vita quali che siano le circostanze dellasua esistenza».

Di questo dono prezioso e fragile bisognaprendersi cura, ma la vita è anche dono da of-frire, condividere, amministrare, in una «vitafamiliare stabile» ed esercitando «una paterni-tà e maternità responsabili e generosi», e dun-que «la crescita e lo sviluppo personale devo-no includere la conoscenza della sessualità edella fertilità per integrarle nell’affettività enell’amore» sottolinea il testo.

Infine, la vita è «un dono da contemplare»,come «percepiamo quando passa il tempo e lafunzione del ricordo si sviluppa in modo piùvivido» osserva il documento. «Questo atteg-giamento contemplativo ci spinge anche adammirare il miracolo della vita e a onorarla làdove si manifesta, con particolare attenzionealle situazioni di minaccia o fragilità» prose-gue il testo. Che alla fine invoca «la protezio-ne di Dio, fonte della vita, affinché illumini ilegislatori e tutti noi che abbiamo la responsa-bilità di proteggere ogni vita umana».

Imp egnoper la vita

Manifestazione per la vita nel centrodi Buenos Aires (4 agosto)

#dialoghi

Il dibattitoin Argentinasulladepenalizzazionedell’aborto

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di ENZOBIANCHI

Q

Mangiare la carnee bereil sangue di Cristo

19 agostoXX domenica

del tempoo rd i n a r i o

Giovanni 6, 51-58

Bernadette Lopez (Berna)«Gesù spezza il pane» (2015)

uesta pagina del vangelo secondo Giovanni ètra le più scandalose di tutti i vangeli, può ad-dirittura risultare ripugnante a chi non sta nel-lo spazio “d e n t ro ” (éso), quello dell’intimitàcon il Signore. Chi l’ha scritta ha faticato perfar comprendere ciò che doveva affermare, difronte a una fede gnostica che non accettaval’umanità, la carne umana nella sua debolezzaquale luogo in cui incontrare Dio. Eppure, se-condo il quarto vangelo, Dio ha scelto che lasua manifestazione definitiva, la sua rivelazio-ne decisiva fosse l’umanità come carne deboledi Gesù (cfr. Giovanni 1, 14.18), un galileo cheandava verso la morte. Tentiamo dunque conmolta umiltà di leggere questa pagina.

Gesù aveva detto: «Io sono il pane vivente,disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pa-ne vivrà in eterno e il pane che io darò è lamia carne per la vita del mondo». Questo an-nuncio appariva una pretesa intollerabile,un’affermazione irricevibile e, come tale, avevasuscitato mormorazione e discussione (cfr. Gio-vanni 6, 41-42). Qui nasce un’aspra discussio-ne, una vera e propria battaglia verbale tra gliascoltatori di Gesù: «Come può costui darci lasua carne da mangiare?». Ed egli risponde lo-ro con espressioni ancora più scandalose, ren-dendo il suo annuncio più duro e urtante, inmodo da togliere ogni possibilità di compren-dere le sue parole in modo semplicemente pa-rabolico, in modo intellettuale, raffinato magnostico: «Se non mangiate la carne del Figliodell’uomo e non bevete il suo sangue, nonavrete la vita eterna».

Era già uno scandalo pensare di poter man-giare la carne del Figlio dell’uomo, ma bere ilsangue è un’azione gravemente peccaminosa,vietata dalla Legge e dunque ripugnante per icredenti nell’alleanza sancita da Mosè. Su que-sto non c’erano dubbi. Nella Torah, infatti, stascritto: «Ogni uomo, figlio di Israele o stra-niero, che mangi qualsiasi tipo di sangue, con-tro di lui, che ha mangiato il sangue, io volge-rò il mio volto e lo eliminerò dal suo popolo.Poiché la vita (nephesh) della carne è nel san-gue» (Levitico 17, 10-11). L’ebreo sapeva che

l’umanità fino ai giorni di Noè non si era nu-trita della carne di animali ma unicamente divegetali e che solo nell’economia dopo il dilu-vio Dio aveva permesso e tollerato le carnianimali come nutrimento, ma a una precisacondizione: «Soltanto non mangerete la carnecon la sua vita (nephesh), cioè con il suo san-gue» (Genesi 9, 4). Questo comando, che indi-ca un rispetto della vita, rappresentata dal san-gue, era talmente importante che gli apostolilo manterranno anche per i cristiani prove-nienti dalle genti, cioè dal paganesimo (cfr. At -ti degli apostoli 15, 20.29; 21, 25).

Eppure Gesù annuncia che per avere partealla vita eterna, alla vita di Dio, per conoscerela salvezza, è necessario mangiare — o meglio“m a s t i c a re ”, stando al verbo greco utilizzato(t ró g e i n ) — la carne del Figlio dell’uomo e bereil suo sangue. Perché questo realismo nelle pa-role di Gesù secondo il quarto vangelo, paroleche non risuonano né negli altri vangeli né nelresto del Nuovo Testamento? Perché questolinguaggio proprio nel vangelo che non ricor-da l’istituzione eucaristica, ma la sostituiscecon il racconto della lavanda dei piedi (cfr.Giovanni 13, 1-17)? Certamente l’autore di que-sto racconto si serve di un linguaggio che vuo-le affermare come la partecipazione al pane e

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L’Osservatore Romanogiovedì 9 agosto 2018il Settimanale

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al calice di Gesù Cristo sia partecipazione alsuo corpo e al suo sangue. Questo avviene sa-cramentalmente, cioè attraverso il mangiare isegni del pane e del vino, ma ciò che si riceveè tutta la vita del Figlio fattosi carne e sangue,nato da donna, manifestatosi uomo veramenteuomo come noi che siamo suoi fratelli.

Lo sappiamo, fin dall’inizio della fede cri-stiana, non fu facile confessare la reale umani-tà di Gesù, e il corpo di Gesù fu immaginato

Le parole eucaristiche di Gesù, in questo se-sto capitolo di Giovanni, in profondità ci dico-no che incarnazione di Dio, risurrezione dellacarne ed eucaristia esprimono insieme il miste-ro della nostra salvezza. Nella nostra poveracarne, nel «corpo di miseria» (Filippesi 3, 21)che noi siamo, proprio lì noi incontriamo Dio,perché in Gesù «abita corporalmente tutta lapienezza della divinità» (Colossesi 2, 9). Carneda masticare e sangue da bere sono la condi-zione in cui Gesù si consegna a noi, in cui

solo apparenza e la sua carne come del tuttoprovvisoria. Un mero strumento per mostrarsima da abbandonare al più presto con la risur-rezione. E invece «chi non riconosce Gesù nel-la carne, non è da Dio» (1 Giovanni 4, 3).

Ciò che questo linguaggio duro tenta di far-ci comprendere è che l’incarnazione, cioèl’umanizzazione di Dio, va accolta seriamente,senza riserve e senza pensieri che rispondonopiù al bisogno religioso dell’umanità cheall’azione di Dio. La verità è che Dio si è fattouomo in Gesù affinché lo cercassimo e lo tro-vassimo, per quanto ci è possibile, nella condi-zione umana. Dio ha voluto condividere connoi proprio la nostra umanità, la nostra stessacarne, perché noi potessimo realmente cono-scere il suo amore, non come qualcosa da cre-dere, ma come qualcosa che comprendiamo esperimentiamo attraverso e nella nostra carne.Gesù è questa carne che possiamo incontrarenella nostra carne, è questo corpo che possia-mo incontrare solo nella nostra corporeità.Perché noi potessimo partecipare alla vita diDio — «diventare Dio», come si esprimevanogli antichi padri della Chiesa d’oriente — eranecessario che Dio diventasse uomo e che car-ne e carne, corpo e corpo si incontrassero real-mente. L’amore espresso solo a parole, anchenella rivelazione non era sufficiente: occorrevauna carne umana che raccontasse (cfr. Giovan-ni 1, 18) Dio, una carne umana che, amando lanostra umanità, ci narrasse l’amore di Dio, omeglio il “D io” che «è amore» (1 Giovanni 4,8.16). Questa nostra carne, che ci dice la no-stra debolezza, la nostra fragilità, la nostramorte, questa carne che a volte pensiamo dinegare o dimenticare in favore di una «vitaspirituale», per poter incontrare Dio, proprioquesta carne è stata assunta da Dio e non è unostacolo alla comunione con lui, ma anzi è illuogo ordinario dell’incontro con Dio.

Dio si dà a noi, raggiungendoci là dove siamoe non chiedendo a noi di salire alla sua condi-zione divina, azione per noi impossibile e solofrutto di un orgoglio religioso malato. Entran-do in noi, la carne e il sangue di Cristo ci tra-sformano, per partecipazione in carne e san-gue di Cristo, producendo ciò che a noi è im-possibile: diventare il Figlio di Dio in Cristostesso, l’Unigenito amato dall’amante, il Pa-dre, con un amore infinito, lo Spirito santo.Chi mangia la carne e beve il sangue di Cristoconoscerà la risurrezione, vivrà per sempre, inuna salda comunione con Cristo per la qualerimane, dimora in Cristo, così come Cristo ri-mane, dimora in lui: corpo nel Corpo e Corponel corpo!

Lo stesso Giovanni nel prologo della suaprima lettera, parlando dell’esperienza di Gesùda lui fatta, scrive: «Ciò che noi abbiamoascoltato, visto e toccato del Verbo della vita»(cfr. 1 Giovanni 1, 1), cioè di Gesù. E in questapagina del vangelo è come se arrivasse a dire:«Ciò che abbiamo mangiato, gustato di Ge-sù», attraverso l’eucaristia, è la nostra vita!

Proprio per questo non dobbiamo isolarel’eucaristia come fosse un principio di riferi-mento, un realtà autosufficiente cui attribuireun potere proprio. No! L’eucaristia non è unsecondo Gesù Cristo, non c’è un Cristo eucari-stico separato dal Cristo della storia che è na-to, è vissuto, è morto ed è risorto! Gesù Cristoè unico, e nell’eucaristia è totalmente presente,e se non si è capaci nella fede di cogliere que-sta unica soggettività, allora si cosifica l’eucari-stia, la si riduce a cosa, a oggetto, attentandoall’unica vita di Gesù Cristo! Ricevendo dun-que l’eucaristia, come ammoniva con intelli-genza cristiana il teologo Giuseppe Colombo,al cristiano è data la possibilità di vivere la vi-ta come l’ha vissuta Gesù, perché non vive piùlui ma Cristo vive in lui (cfr. Galati 2, 20).

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Aligi Sassu, «Ultima Cena»(1929, particolare)

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#controcopertina

Provenienti dalle oltre duecento diocesi di tutta Italiadecine di migliaia di giovani sono in cammino

per incontrare Papa Francesco.Partendo alla riscoperta delle vie dei pellegrini

delle loro terre d’origine, «per mille strade» — comerecita lo slogan del pellegrinaggio organizzato

dalla Conferenza episcopale italiana — stannoconvergendo a Roma, dapprima al Circo Massimo

(nel pomeriggio di sabato 11) e poi in piazzaSan Pietro (la mattina di domenica 12)

dove sono attesi in settantamila, accompagnatida oltre cento vescovi