La Parola in Biodanza - Monografia Di Titolazione Anno 2012 Scuola Di Bologna
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La Parola in Biodanza
Il Cippo di Perugia è una stele in pietra che presenta su due facciate un'iscrizione in lingua etrusca datata al III/II secolo a.C.
MONOGRAFIA DI TITOLAZIONE
ALESSANDRO AGOSTINETTI, VII CIELO
SCUOLA DI BIODANZA ROLANDO TORO
BOLOGNA
SOMMARIO
La Parola in Biodanza..............................................................................................................................1SOMMARIO............................................................................................................................................2DISCLAIMER............................................................................................................................................3PARTE I - LA MIA VIVENCIA....................................................................................................................4
Ringraziamenti...................................................................................................................................4La mia storia in biodanza da allievo a facilitatore iniziante................................................................5Il gruppo delle 18 e 30, o meglio, delle “sei e mezza”........................................................................8Perché questa monografia...............................................................................................................10
PARTE II - TEORIA E METODOLOGIA.....................................................................................................12Della priorità metodologica della vivencia e di altre faccende... relative alla parola e alla coscienza.........................................................................................................................................................12Della Teoria e della Teoria vivenciale...............................................................................................15Del relato de vivencias, anche detta Condivisione verbale della vivencia........................................18Della consegna in generale...............................................................................................................21I processi “alto-basso” e “basso-alto”: dal pilota automatico alla vivencia......................................25Quando la parola potrebbe intralciare la vivencia?..........................................................................26
Troppe parole?.........................................................................................................................26Uso delle immagini...................................................................................................................27Anticipazione dei vissuti...........................................................................................................28Induzione di vivencia o induzione ipnotica?.............................................................................29
Quando la parola potrebbe facilitare la vivencia?............................................................................31L’essenzialità della parola!........................................................................................................31Chiarezza nella spiegazione del come si fa!..............................................................................32Proiezione esistenziale e biocentrismo: il principio biocentrico come base sicura della con-segna esistenziale.....................................................................................................................33La parola “evocativa / evocatrice” non suggestiva che apre uno spazio di libertà...................34La parola aderente al vissuto (non suggestiva).........................................................................35La parola poetica: ineffabilità della poesia...............................................................................36
Delle vivencias ove si usa la parola...................................................................................................37Del colloquio con i singoli allievi.......................................................................................................38Come si parla in biodanza: una sintesi..............................................................................................41
CONCLUSIONI: nel cammino verso l’integrazione...............................................................................42Caro Sergio,..........................................................................................................................................43
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DISCLAIMER
IN QUESTA TESI PARLO IN PRIMA PERSONA DI MIE ESPERIENZE E DI MIE IDEE.
NON HO LA PRETESA CHE QUESTA SIA UNA VERITA’ OGGETTIVA, E DEL RESTO NON CREDO
NEANCHE PIU’ ALLA VERITA’ OGGETTIVA. MI PERDONINO LE PERSONE CITATE A
SPROPOSITO SE HO RIPORTATO ERRONEAMENTE IL LORO PENSIERO E ANCHE GLI AUTORI
PER LO STESSO MOTIVO. SONO GRATO PROFONDAMENTE LORO PER LE IMPRONTE CHE
HANNO LASCIATO NELLA MIA MENTE E NEL MIO CUORE.
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PARTE I - LA MIA VIVENCIA
Ringraziamenti
Grazie... con il sorriso che nasce dentro di me, dico questi grazie.
A mio Padre e a mia Madre: le Radici della mia energia.
A Elena compagna di vita, che apre continuamente i miei occhi sulla realtà sin dalle prime
ore del mattino ;), che mi fa capire il valore della terra e dell’acqua... e con la quale cammino
con amore mano nella mano ogni giorno nella vita.
Alle mie ragazze: Emanuela e Francesca, che sono sempre nel mio cuore e che mi fanno
capire perché essere biocentrici, a loro che sono semi gettati nella terra e nel futuro.
A Sergio Cruz, per quello che fa per me, per questo Paradiso che sa ricreare, spazio di
vivencia e di formazione umana autentica.
A Concetta che incarna la possibilità di realizzare le proprie potenzialità e che mi ha fatto
vivere per la prima volta in biodanza questa realtà.
A Fiorenza, che vive un momento difficile proprio in queste ore mentre scrivo, che ringrazio
per averci accompagnato con presenza e cura per tutto il ciclo di formazione e per aver
assistito al mio debutto!
Ai miei compagni del Settimo Cielo, ai tutor, Giorgio, Maria Pia, Bendetta, Raffaella,
Donatella, e alle segretarie, Sonia ed Elisabetta, per tutta la vivencia e per tutto l’amore che
ci doniamo.
A Cristina per la sua amorevole presenza nelle supervisioni, dalla quale ho tanto imparato.
A Libero caro amico di tanti voli per aria!
A Pierluigi che ha condiviso con me il percorso della scuola e del tirocinio.
Alle mie prime care allieve: Chiara, Eugenia, Tiziana, Anna e Linda.
Ai miei cari compagni del settimanale di quest’anno, che mi hanno visto danzare al loro
fianco e mi hanno seguito nei primi passi della conduzione: Denise, Franceca, Sara, Paola,
Patrizia, Deni, Mariagrazia A. e Mariagrazia D.
Agli amici che mi hanno aperto la possibilità della coconduzione a gruppi riuniti: Elena R.,
Mara, Ursula e Irene.
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Agli amici biodanzanti che ci sono venuti a trovare in occasione delle supervisioni: Irene,
Barbara, Prima, Roberto, Patrizia M., Miriam, Maurizio, Marco, Delia, Luca e Sara.
A Elvino e Lara che con la loro presenza e la loro amicizia accompagnano da tanti anni il mio
cammino nella vita.
A tutti quelli che per debolezza di memoria non ho citato e che sono nella via assieme a me.
La mia storia in biodanza da allievo a facilitatore iniziante
Ho iniziato a praticare biodanza nell’estate del 2007. E’ stato amore a prima vista. E l’esatto
opposto di quel che si dice “progressività”. Qui ognuno ovviamente ha la sua storia e dove
inizia la storia personale finiscono le regole astratte. Per me è stato un bene così, ad ogni
modo.
Si trattava di uno stage residenziale di approfondimento, in natura, nella magnfica isola di S.
Erasmo nella laguna di Venezia. Il tema “Trasformarsi e Trasformare” (o forse viceversa...!).
Conduttrici Concetta M. e Michela B.
Ho dei ricordi magici e mitici di quell’esperienza, come è giusto che sia per una pietra
fondamentale, per l’inizio di una nuova epoca della mia vita.
Ho coltivato per molti anni i più diversi interessi, nell’ambito della spiritualità e della
psicologia, alla ricerca di sanare alcune profonde ferite interne. Posso dire che portavo (e
ancora in parte porto) in me alcune dissociazioni rilevanti, nonostante i molti lavori fatti, per
lo più da solo. Questo non tanto per egocentrismo, ma per forte sfiducia nell’altro, nel
genere umano in genere. Questo non mi impediva di avere un atteggiamento gentile ed
educato verso (quasi) tutti, tuttavia nel profondo assolutamente guardingo e poco
disponibile ad un contatto umano intimo e, soprattutto, aperto verso la generalità della
specie.
Faccio questa premessa per spiegare il contesto nel quale mi sono trovato a fare la mia
prima esperienza di biodanza, per rievocare ricordi, vissuti ed emozioni.
Ci siamo trovati all’aperto più di qualche decina di persone in un grande cerchio, la sera del
venerdì, il tempo bello, l’aria fresca sulla pelle, il cielo quasi sereno, di un blù profondo, una
grande enorme luna piena (che poi per aumentare l’enfasi mitica scoprii essere la potente
luna blù... una seconda luna piena nello stesso mese!), ed un albero secolare che ci faceva da
sponda con i suoi rami e le sue foglie fruscianti.
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Per me è stato uno shock, ripercorrere in poche ore da lì a poco tutta la storia umana e
quello che dopo alcuni anni di studio ritengo essere l’essenza di questo metodo, vale a dire
l’incontro poetico con la nostra specie.
Mi sono sentito trasportare indietro nel tempo, in una dimensione archetipica, forse
eravamo stati uniti in qualche vita precedente, forse in qualche antico e ancestrale sabba.
Forse, invece, ero capitato fra tanti svitati, si erano proprio tutti matti questi qui, che hanno
cominciato a danzare e a baciarsi tra loro senza “ritegno”. Dopo un’ora avevo deciso: si
trattava decisamente di una banda di matti, ma a me piaceva questa follia. Mi faceva stare
bene.
Nella seconda parte della serata (che oggi saprei identificare ma allora no ;) ) sono entrato in
una trance profonda, in una fluidità, dove ho navigato nel mio spazio interno che era, ad un
tempo, esterno. In un mare di luce buona.
Non so quando l’ho realizzato con consapevolezza, ma quello che è successo in quei giorni
mi ha davvero portato in un’altra linea di vita...
Potrei dire che è iniziato un percorso di scoperta della vita e dell’amore, dove gli altri, da
esseri distanti quasi comparse nel mio scenario interno, sono diventati molto più esseri in
carne ed ossa, esseri UMANI, da sentire, toccare, odorare, abbracciare, onorare.
Lo dico ancora oggi quando devo parlare di biodanza di questa mia esperienza, di riscoperta
dell’umanità.
Un’altra cosa importante è il valore del corpo nella ricerca interiore, fino a quel momento
ero stato moltissimo nella testa, nei pensieri, nel mentale. Avevo invece incontrato un modo
di lavorare su me stesso basato sul corpo sulle emozioni sulla musica e sulla danza, che mi
faceva stare bene, e che sentivo nel profondo essere vasto e plastico al punto di permettere
l’espressione di tutta la vita inespressa che sentivo (e sento ;) ) pulsarmi dentro.
Non avevo certo le idee così chiare, anzi ero piuttosto confuso, ed ho accelerato alcune
scelte di vita che stancamente andavo accettando, ormai decisamente inattuali di fronte al
divampare vitale innescato dallo stage sulla trasformazione.
Nell’estate dello stesso anno ho iniziato a maturare l’idea di frequentare la scuola di
formazione, un’idea suggerita in forma di proposta da Concetta, che mi considerava adatto a
intraprendere quel percorso.
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A settembre, ho iniziato a frequentare due settimanali uno per inizianti e uno di
approfondimento, con l’ardente desiderio di prepararmi all’imminete inizio (da lì a poco)
della scuola.
E’ stato sempre nel 2007 che ho incontrato Elena, con la quale ancora oggi camminiamo
assieme condividendo la vita! L’incontro di due cuori e di due anime che si sono riconosciute.
Il processo nella scuola è stato molto importante, anche perché era la prima volta che mi
concedevo così apertamente (e spudoratamente) qualcosa tutta per me. La mia postura
normale infatti è quella di rinunciare a fare delle cose per me, a favore dei bisogni (a volte
solo immaginati) degli altri.
Il fatto che Elena fosse il ciclo avanti al mio, mi è stato di grande aiuto, perché in fondo il suo
successo, nel terminare il percorso, e poi anche tutto quello che ne è seguito, tirocino,
titolazione, conduzione, sono stati (e sono) fonte di ispirazione per me.
I primi due anni sono stati di pura vivencia, non ne volevo sentire né di studiare né di
relazionare. I primi tempi poi ho sentito che, a volte, la mia vivencia non stava nel
movimento, era più grande di quanto io potessi fare ed esprimere con il mio corpo. E questo
mi dava frustrazione.
Il gruppo del 7 cielo è un gruppo fantastico, caldo, affettivo, accogliente. Un vero utero di
trasformazione. E anche se all’inizio questo un po’ mi spaventava, in quel gruppo ho sempre
sentito che c’era uno spazio anche per me, un posto dove vibrare e riposare, dove prendere
e dare, senza giudizi di sorta. Pura accoglienza. Dalla quale potevo anche sfuggire, ma che
era sempre lì ad accettarmi e a riaccogliermi.
Questa qualità per me è diventata la marca essenziale del gruppo dopo il primo minotauro,
nel quale questa parte recettiva e femminile del gruppo, si è manifestata come la sua
grande, enorme, forza di mutuo, reciproco, sostegno.
Una parola va ai miei amici uomini, che tanto mi hanno dato e che mi porto dentro... anche
nella vivencia dello spogliatoio che è una delle più belle da vivere.
Superato un momento di crisi personale che mi faceva pensare di interrompere la scuola alla
fine del secondo anno, da lì in poi me la sono davvero goduta!
Il secondo minotauro è stato un albero dei desideri: ho potuto infatti danzare la mia potenza
con creatività e leggerezza in una tigre che è stata l’espressione di tutto il mio yang (di qui il
noto motto “Yang Forever”, vale a dire Yang per sempre). Anche se solo nella danza perché
ancora oggi sento che questo passa in modo parziale nella vita, c’è stato un momento
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(quello) di grande integrazione e di espressione di me, della mia identità, del mio sentire
profondo.
Si entra nell’ultimo anno, delle metodologie, sento che Sergio è riuscito a passarci la vivencia
del condurre, che ha “facilitato” grazie alla sua teoria: un passaggio, un salto quantico da
allievo a conduttore. Ci ha messo così nelle condizioni di poterlo fare davvero, di poter
davvero prendere in mano la nostra vita.
Nel frattempo, il mio settimanale era condotto da Elena che iniziava all’epoca il suo tirocinio,
per poi titolarsi ed essere così l’insegnate del mio settimanale per questi ultimi tre anni.
Io ho vissuto sin dal principio questa sua avventura, con tutti gli alti e i bassi, i successi e
qualche momento di scoramento.
Ho imparato moltissimo da lei e da questa esperienza: da cose molto pratiche (fare i
volantini, caricare, scaricare e montare l’impianto in palestra, a caricare la musica sul PC !) a
cose davvero importanti: la cura nella preparazione della serata, la presenza alle persone e
alla conduzione, la capacita di offrire sempre una proposta autentica e di qualità nella parte
teorica, oltre che in quella vivenciale. In lei ho ritrovato tutto quello che Liliana Viotti dice
essere necessario per fare un buon facilitatore: teoria, metodologia e amore!
E in questi anni di settimanale ho sentito che la mia vivencia si radicalizzava, che, nella
apparente semplicità delle prime proposte di Elena, potevo lasciarmi andare, entrare in una
pulsazione (sull’asse orizzontale del modello teorico) sempre più ampia. Poi le proposte si
sono fatte sempre più organiche e profonde, e il mio processo in biodanza è andato
approfondendosi di pari passo.
E ho avuto conferma che è nel settimanale che avviene principalmente l’evoluzione
personale.
Terminata la scuola nel luglio del 2011, ho sentito il bisogno di prendere una distanza fisica
ed emotiva da Bologna; ciò a causa, da un lato, del dolore per la separazione dal gruppo e
per la fine di un ciclo di vita (dolore che solo a distanza di tempo ho cominciato a
riconoscere), dall’altro lato, anche per il sollievo di riappropriami di un week end al mese,
che per quasi 4 anni era stato occupato, in modo sicuramente piacevole, ma anche
“ingombrante” per la mia vita personale (di padre e di compagno).
Il gruppo delle 18 e 30, o meglio, delle “sei e mezza”
8
Nel mese di settembre del 2011 ho iniziato con Pierluigi (mio compagno di formazione) e con
la presenza amorevole di Elena a condurre un piccolo gruppo di inizianti.
In verità le nostre prime conduzioni sono della primavera precedente, tuttavia l’intento di
queste prime era stato più che altro quello di rompere il ghiaccio e di fare qualche
supervisione, mentre a settembre la proposta è stata quella di fare un ciclo di 12 lezioni. In
verità nel mio cuore non sapevo se mai si sarebbe formato un gruppo con una sua stabilità.
Sono stato animato in ogni caso dall’intento di proporre biodanza, con quella serietà e cura
che avevo imparato da Elena e che sento appartiene anche a me, per aprire uno spazio per
danzare, e, naturalmente, allo stesso tempo, avere sul mio lavoro i feedback delle
supervisioni formalmente necessari per concludere la mia formazione.
In questo primo trimestre abbiamo proposto un lavoro di integrazione, e ho corso il rischio di
sentirmi ripetitivo, banale, troppo semplice, ovvio nella scelta musicale, eccessivamente
strutturato e poco vivencial, lento nel proporre gli stimoli di crescita.
Ho anche capito però che devo rispettare me stesso ed essere connesso con me stesso, da lì
nel corso dell’anno sono venute le maggior soddisfazioni, quanto sentivo che ero davvero
presente a me stesso e al gruppo, lasciando che Alessandro fosse solo Alessandro (e non
qualcun altro).
In questo gruppo ci sono alcunni allievi stabili (Chiara, Eugenia, Linda e Tiziana), a cui si è
aggiunta Anna a febbraio 2012, mentre invece Elena (che non è un’allieva!) è stata sempre
presente, a cocondurre e fare da sostegno in occasione delle supervisioni.
Tuttavia la cellula di base a cui va il mio grazie profondo, si espandeva in occasione delle
supervisioni, per accogliere l’amore e l’affetto degli amici a cui a va un altrettanto profondo
grazie, che partecipavano alle sessioni supervisionate per sostenerci.
In gennaio con Pierluigi abbiano fatto 2 conduzioni a tema, aperte, con supervisione e le
nostre strade si sono divise a causa delle nostre diversità.
Da febbraio il lavoro è proseguito con Elena con una proposta di altre 12 sessioni con tema le
linee di vivencia, proposte sempre in chiave di integrazione e con l’intento di iniziare un po’
di approfondimento.
Si è trattata di un’esperienza importantissima per me e sento che sono accadute cose
importanti in questo nucleo.
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La prima cosa straordinaria di questo gruppo è stata la qualità della presenza, che nel tempo
si è consolidata sul versante affettivo, dato che abbiamo danzato assieme tutto l’anno da
settembre a maggio.
La seconda cosa straordinaria è il processo di integrazione che è accaduto sotto i nostri
occhi, delle persone e del gruppo, oltre che ad averlo ascoltato nelle condivisioni, sempre
così biodanzanti.
La terza cosa straordinaria è il cambio generazionale, con la presenza di due ragazze nei loro
“venti”: Linda e Tiziana, che oltre ad essere allieve sono anche psicologhe, e, a fine anno,
sono state coinvolte in una nostra iniziativa, azzerando l’asimmetria facilitatore / allievo
(vedi metodologia V). Del resto questo cambio generazionale lo si vede anche nel 9 ciclo di
Bologna che ci ha sconvolto per la sua energia, con tante presenze giovani giovani!
A fine stagione, un po’ stanco, progetto con Elena la prossima stagione. Un ciclo si chiude e
subito un altro si riapre.
Bisogna concedersi del riposo per fare questo, accettare i cambiamenti che arriveranno ed
essere pronti ad affrontarli sotto l’egida della creatività vivencial.
Perché questa monografia
Alla fine di un percorso i motivi che ci spingono in una certa direzione appaiono del tutto
diversi.
All’inizio di questo lavoro io (che sono un chiacchierone) sentivo l’impeto di difendere la
parola, di mettere bene in luce usi propri e usi impropri, e quindi di riscattarla. Sentivo che
sulla parola gravava un eccessivo pregiudizio e che nessuno si faceva una ragione del fatto
che essa è fondamentale anche in biodanza se usata bene. Vedete bene questo approccio
duale nella struttura del mio lavoro, nel suo impianto originario: parola sì e parola no. Del
resto questa stessa caccia al corticale non mi è mai piaciuta, mi ricorda tanto la caccia alle
streghe, solo che anche io sono incappato nella stessa dissociazione, prendendo
esattamente la sponda opposta, quella della difesa della parola.
Oggi sento di avere un approccio molto più integrato al tema della parola di quello che avevo
solo qualche mese fa quando ho iniziato a pensare a questo lavoro e a scrivere. Oggi sento
che dall’unicità dell’essere umano che tende all’integrazione, nasce una parola possibile,
generatrice di vivencia, e che non vi sono opposizioni tra parola e vivencia, tra corteccia e
strutture più profonde del sistema nervoso umano. Solo per comodità rappresentativa e di
10
studio, dividiamo e distinguiamo, ma in realtà si tratta di fenomeni unici e complessi. Anche
la parola è corpo, in fondo, e si fa vivencia. Quindi l’interesse si è spostato dalla parola / non
parola, al conduttore e agli allievi, vale a dire agli esseri umani, alla loro capacità di integrare,
integrarsi, essere integranti, alla loro possibilità di esprimersi con libertà, amore e fiducia
nella vita, nella biodanza, nel movimento e... nella parola.
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PARTE II - TEORIA E METODOLOGIA
In questa seconda parte del mio lavoro tento di inquadrare il ruolo e l’utilizzo della parola,
rifacedomi principalmente ai materiali didattici e al testo di Rolando, tentando di rielaborare
il tutto secondo la mia esperienza ed il mio vissuto, sia di allievo che di facilitatore di questo
ultimo anno di tirocinio.
Della priorità metodologica della vivencia e di altre
faccende... relative alla parola e alla coscienza
Mi piace pensare che, nel lascito teorico della biodanza, le parole siano state usate in un
modo molto preciso e che un’accurata riflessione sulle stesse consenta di accogliere un che
di essenziale, un succo insomma, che alimenta la nostra pratica. Una capacità riconosciuta a
Rolando Toro di mettere molto in poche parole, di nascondere il tesoro delle sue riflessioni
in un linguaggio per certi versi poetico e meditativo, per altri lucido e preciso.
Con questa convinzione mi sono approcciato ad un tema importante e fondante la teoria di
biodanza e chiave per la mia monografia, vale a dire la priorità metodologica della vivencia.
Credo che riflettere su questo assunto mi sia servito a fare chiarezza sul alcuni equivoci che
vivevano in me e che adesso sono meno ingombranti, oltre che a delimitare meglio il tema di
questo mio lavoro.
Riassumo alcune cose senza ovviamente alcuna pretesa di approfondire questi nuclei
concettuali, ma più che altro di richiamarli per svolgere il mio pensiero.
Biodanza è un sistema di integrazione umana che ha un suo metodo1, al pari di molte altre
discipline, e più precisamente fa della vivencia il suo metodo2. In altre parole, i propositi
della biodanza si raggiungono attraverso la vivencia.
La ridefinizione di vivencia data da Rolando Toro è quella di “esperienza vissuta con grande
intensità da un individuo nel momento presente, che coinvolge la cenestesia, le funzioni
viscerali ed emozionali (…) conferisce all’esperienza soggettiva di ogni singolo individuo la
palpitante qualità esistenziale del vissuto ‘qui e ora’”3
1 “Il termine metodo, dal greco μέθοδος, méthodos (inseguire, andare dietro), è l'insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. Il termine greco è composto dalle particelle metà (oltre) e hodòs (cammino)” da: http :// it . wikipedia . org / wiki / Metodo 2 Rolando Toro, Biodanza, p. 243 Rolando Toro, Opera cit., p. 25
12
Dunque, si può subito dire che il metodo della biodanza è la vivencia, e non la parola. E che
quindi nelle procedure della biodanza la vivencia sarà la cosa più importante, il nostro
obiettivo principale, perché attraverso di essa accade quell’apprendimento che sta tanto
cuore a Rolando, e questo orienta tutto il nostro pensare la biodanza e agire la biodanza,
mentre la parola avrà in ogni caso un ruolo secondario, anche se di questo ruolo io voglio
occuparmi.
In estrema sintesi la metodologia prevede: l’induzione di vivencia che hanno la caratteristica
di essere integranti e favorire lo sviluppo umano, nonché di stimolare la connessione con la
vita. La vivencia di biodanza conivolge a livello cenestesico, emozionale e viscerale, e quindi
l’apprendimento proposto dalla biodanza è un apprendimento di significati che coinvolge il
livello cognitivo, quello emozionale (vivenciale) e quello viscerale (istintuale)4. Questi livelli
sono neurologicamente connessi, anche se hanno una loro autonomia, e l’apprendimento
che non coinvolge i tre livelli può portare a delle dissociazioni.
Detto questo, per riaffermare la priorità della vivencia, resta da considerare (per contro) che
la biodanza non è una metodologia non verbale perché si fa uso anche della parola, in
particolare nel relato di vivencia, che ha una sua specifica funzione metodologica (per
esplicita affermazione dello stesso Rolando5). La parola quindi si usa in biodanza e una
riflessione su questo uso è da ritenersi quanto mai utile proprio in quanto la parola è vista
con cotanto sospetto.
Per restare sul versante metodologico ho trovato molto chiarificatore il confronto che fa
Rolando tra la biodanza e le terapie cognitive. Rolando osserva che le terapie cognitive
partono dalla parola e dai significati racchiusi dalla parola per arrivare alle emozioni, poi
quando queste emozioni provocano decisioni avvengono i cambiamenti. In biodanza invece
accade un processo diverso: si parte dalla vivencia (e dalle emozioni suscitate dalla vivencia)
per arrivare ai signficati; questo non esclude per Rolando la funzione cognitiva, coscienza e
pensiero simbolico, che avrebbere però un ruolo successivo, fungendo da “specchio” della
vivencia.
A proposito del ruolo della coscienza6 mi pare di intendere che in biodanza si lavori così: in
un primo momento si provoca la vivencia, che di per sé ha un’intrinseca capacità di
4 Rolanto Toro, Opera cit., pag. 255 “La condivisione delle vivencias è uno strumento di tipo verbale, pertanto non si può designare la Biodanza come una disciplina non verbale” da Dispensa, Metodologia, V 6 Non oso nemmeno sfiorare il tema della coscienza che è estremamente complesso e tocca le più alte vette della filosofia e delle neuroscienze, ma mi limito a riportare le parole di Rolando per trarne spunto per qualche mia riflessione
13
integrazione, mentre la coscienza registra e denota7 gli stati interni, dato che la vivencia
personale si descrive, ma non si analizza o intepreta in senso psicologico8.
Tuttavia, è qui il mio dubbio, la vivencia accade mentre siamo svegli e non addormentati o
svenuti, e quindi si può ritenere che siamo coscienti anche nel momento in cui accade, in
altre parole la coscienza c’è sempre. Qui mi sono fermato spesso a riflettere perché data
l’unità psicofisica umana ho sempre fatto fatica a intendere questa dicotomia apparente fra
vivencia e coscienza, se non che mi sono dato una spiegazione che mi appaga.
Io penso che sia necessario porre una premessa sul modo di intendere questi argomenti, in
quanto vi è un punto di vista soggettivo e un punto di vista oggettivo, anche se i due non
sono affatto separati e anzi possono sorreggersi e chiarificarsi l’uno con l’altro9.
Dal punto di vista scientifico oggettivo (e per il quale vi sono moltissimi riferimenti nell’opera
di Rolando), abbiamo lo studio del funzionamento del complesso organismo psicofisico
umano, del quale si va affermando sempre più la natura integrata: mente-corpo, complesso
psico-neuro-endocrino-immunologico, etc.
La conoscenza scientifica di questi meccanismi è in continua evoluzione e modelli euristici
fino ad ieri validissimi, oggi sono superati da scoperte più recenti.
Da questo punto di vista tutto il sistema nervoso umano (e non solo) coopera nella vivencia
esattamente nel momento in cui accade in modi meravigliosi e integrati di cui le
neuroscienze ci danno sempre più conto.
Detto questo, la vivencia non dipende dalle neuroscienze!
Vi è infatti un modo di conoscere la realtà diverso, ed è il punto di vista del soggetto che fa
l’esperienza e di come questa viene in prima persona vissuta.
In questo io sento esservi profonda saggezza, quella stessa saggezza a cui attinge la biodanza
quando si rifà ad altre discipline che non sono la scienza oggettiva, in senso stretto, ma ad
esempio, all’antropologia, ai miti, alla poesia. Qui non ci sono “prove scientifiche” da
produrre perché sono altri gli strumenti di indagine.
7 Denotare significa esprimere, indicare con estrema chiarezza.8 “La condivisione delle vivencias non è un dialogo terapeutico e non prevede nessuna forma di interpretazione. Biodanza non è interpretativa”, Rolando Toro, Dispensa Metodologia, V.9 Per onesta intellettuale devo dire che mi sono interamente ispirato a Damiel J. Siegel, Mindfulness e Cervello, 2009, neurobiologo americano, che nel porre una questione metodologica sullo studio del cervello e sulla consapevolezza umana, chiarisce che “E’ estremamente importante (...) essere chiari rispetto a questi modi diversi di conoscere: esperienza soggettiva, scienza e applicazioni professionali sono tre entità separate del corpus delle conoscenze che abbiamo bisogno di mantenere come dimensioni distinte della realtà perché questo sforzo integrativo sia valido e utile.” Integrazione che avviene in modo successivo e non prematuro (pag. 4)
14
Da questo punto di vista, le parole di Rolando sono accuratissime perché descrivono il
processo che va dalla vivencia alla coscienza, dalla sessione al relato di vivencia, secondo una
sequenza metodologica che va compresa per quello che è, un modo di lavorare, che nasce
dall’esperienza di Rolando e dai suoi studi, e che a noi sta di applicare e sperimentare.
Si tratta di capire, in altre parole, che si sta parlando del come si deve svolgere questa
esperienza perché non vada confusa con altri diversi modi di lavorare, ma non dovrebbe
essere letta come una spiegazione strettamente oggettiva e scientifica di ciò che accade nel
nostro organismo in quei momenti, spiegazioni ripeto che poi possono mutare al mutare
delle ricerche e delle scoperte, mentre la vivencia umana sarà questa per molto tempo
ancora a venire, fino a quando avremo questa costituzione psicofisica.
Se si tengono distinti concettualmente questi punti di vista e si chiarisce quando si parla
oggettivamente (di come funziona il nostro apparato psicofisico) e soggettivamente (come si
lavora in biodanza e cosa accade in biodanza alle persone), credo che contraddizioni non ce
ne siano.
E’ naturale poi che dalla scienza si traggano spunti metodologici, e dai vissuti spunti per la
ricerca scientifica, per una integrazione successiva fra ambiti però distinti inizialmente.
In questo modo di vedere io ho trovato chiarezza sul mio dubbio, e ho capito il senso
profondo della solita battuta del mio maestro Sergio, che “la vivencia funzionava anche se
prima non sapevamo niente dei neuroni specchio”.
Della Teoria e della Teoria vivenciale
Prima ancora di ragionare del come si possono fare le cose, mi soffermo sul senso di queste,
e la domanda che ci sorge innazitutto è perché si fa teoria in biodanza. Vengo infatti dall’aver
discusso estesamente l’idea che l’apprendimento della biodanza è vivenciale, che il processo
di conoscenza accade in un percorso in cui prima vi è il vissuto e poi coscienza e linguaggio
danno voce al vissuto stesso, in un percorso che mi piace dire è dal basso verso l’altro, dalle
strutture profonde a quelle esterne del nostro sistema nervoso, e non dall’alto al basso, dalle
parole e dai significati all’emozione10.
Perché dunque una spiegazione teorica della biodanza? Quali sono i suoi obiettivi che ci
danno una prima indicazione del senso della parola in biodanza, dato che per fare la teoria si
usa la parola!
10 Su basso-alto versus alto-basso tornerò ancora, la trovo un’idea utile per ricordare il modo in cui si opera in biodanza, oltre ad avere anche una base oggettiva e scientifica.
15
Secondo il metodo di lavoro che mi sono dato11 ho preso la Dispensa della Metodologia 4
per rifarmi al sapere che Rolando Toro esplicitamente voleva trasmetterci.
Senza citare per esteso la Dispensa ho individuato i seguenti aspetti: l’obiettivo è di dare un
spiegazione, di informare gli allievi sui concetti teorici della biodanza per offrire il contesto
degli esercizi. Questi concetti sono utili punti di riferimento per dare agli allievi il permesso
intellettuale di muoversi e di esprimersi, superando timori e insicurezze verso la nuova
disciplina. Nel tempo la modalità di svolgimento della teoria cambia, perché dovrebbe
diventare più dialogica, uno spazio che il facilitatore non dovrebbe monopolizzare e, anzi,
dove sono possibili vedute diverse da parte degli allievi. Rolando ritiene questo importante
per ridurre l’asimmetria iniziale insegnante allievo.
La spiegazione si fa nella prima parte della sessione, non deve durare più di 30 minuti e il
tema teorico dovrebbe essere scelto mantenendo una coerenza con la rispettiva vivencia.
Segue infine una proposta di possibili argomenti da trattare12
La teoria è perciò una spiegazione, un signficato, dato per mezzo della parola, che serve a
facilitare la sessione (parte vivenciale). Questo è il dato essenziale. E natura e funzione di
questa spiegazione paiono cambiare a seconda dell’evoluzione del gruppo, in un primo
momento dà struttura, fa capire alle persone che non sono capitate in un contesto caotico
dove si mettono su musiche e si invita a ballare in modo libero e spontaneistico, che dietro
c’è studio e una ricerca, e che quindi si segue una direzione che ha degli obiettivi (questa è la
prima funzione c.d. permissiva), mentre in un secondo momento ci si apre allo scambio
reciproco di opinioni ed è, quindi, più sulla relazione tra i membri del gruppo e il facilitatore.
Da questo punto di vista si può forse dire che accompagna il processo di sviluppo del gruppo
(favorendo a mio avviso la coesione del gruppo e la relazione tra i suoi membri).
Il perché mi è abbastanza chiaro, veniamo ora al come.
11 Quello di partire in questa parte ricostruttiva essenzialmente dal materiale didattico.12 Questi sono gli esempi di argomenti teorici proposti da Rolando: Definizione di Biodanza; Il concetto di vivenciaPriorità della vivencia sul pensiero e la parola; Spiegazione del processo di integrazione. Concetto di integrazione e dissociazione; Dissoluzione della “corazza caratteriologica” (W.Reich) attraverso la Biodanza; (movimenti Segmentari)Il concetto di comunicazione affettiva in feed-back; Riabilitazione della marcia in Biodanza; Spiegazione delle categorie di movimento come ad esempio: ritmo, sinergia,fluidità, eutonia; Modello Teorico di Biodanza. Identità e Regressione. Inconscio Vitale. Potenziale genetico. Integrazione delle Cinque Linee di Vivencia; Spiegazione dettagliata di ogni Linea di Vivencia, includendo la loro origine genetica, la rispettiva protovivencia e i meccanismi di azione; Contatto e carezzaConcetto di trance in Biodanza; Il principio Biocentrico e la connessione con la vita.
16
Qui la tesi che andrò sostenendo è un corollario della priorità metodologica della vivencia:
mi serve una teoria che sarà vivenciale! La mia tesi è che la vivencia deve contaminare con la
sua qualità (in particolare con la sua capacità d’integrazione), l’uso della parola, a partire
proprio dalla parte potenzialmente e pericolosamente più arida, quella teorica.
Cristina Beraldo (in supervisione) ci ha richiamato sul fatto di non marcare troppo la teoria. Il
suggerimento è di passare alla teoria prendendo spunto da qualcosa che è stato detto o sta
accadendo all’interno del gruppo in quel momento, senza dire che si tratta della “teoria”.
Marcare la teoria potrebbe creare una scissione tra questo e quello, tra la spiegazione e il
resto della serata, mentre si possono considerare parte di una unità integrata (e integrante),
la sessione, cosituita anche dalle spiegazioni teoriche. In questo penso ci sia una prima
qualità vivenciale anche della parola sulla teoria, che parte dal qui ed ora del gruppo, e resta
connesso ai ciò che sta accadendo.
Del resto è esattamente quello che ci dice anche Rolando: curare che vi sia coerenza tra
teoria e vivencia esprime proprio l’unitarietà della sessione.
Accolgo con gioia questo feedback anche perché ricordo con emozione il modo in cui Cristina
ci parlò del modello teorico di biodanza nel nostro stage di formazione: posso testimoniare
di mie lacrime e di molte lacrime del cuore dei mie compagni di viaggio, mentre le sue parole
abbracciavano amorevoli il cosmo e l’uomo, dipingendo i fondamenti delle biodanza.
Questo ricordo mi fa pensare anche la fatto che i contenuti della teoria della biodanza sono
di per sé gravidi di un potenziale vivenciale. Ora sono solo all’inizio del mio percorso e spesso
l’ansia prevale nelle mie parole nella parte iniziale della sessione, facendomi percorrere
strade più sicure, più astratte, a scapito della vivencia della parola teorica. Io credo però che
come facilatore ho il dovere di approfondire la teoria e di lasciarmi emozionare
profondamente da questa, per la visione che ci dà e per la speranza che ci dà. E nel fare
questo non c’è altro che esserci dentro nel momento stesso in cui se ne parla, proprio come
la vivencia della parola, cercando aderenza tra i propri vissuti e quei significati che via via si
vanno esponendo.
Per restare nella stessa onda di pensieri, ho trovato utile (su suggerimento di Elena),
accompagnare (o almeno provarci) la parola sulla teoria con un vissuto personale, facendo
riferimenti espliciti e in prima persona. Questo rende più autentica la teoria, gli dà spessore,
la fa palpitare di vita, oltre ad essere espressione di un processo di integrazione di
17
conoscenza e vita che accade prima di tutto al facilitatore che va a proporre un lavoro di
integrazione.
Ho trovato poi utile dal punto di vista pratico, poter anticipare alcune spiegazioni verbali che
poi nella parte vivenciale si possono semplicemente richiamare, per esempio quando si fa la
fludità come categoria del movimento si può dare una spiegazione nella parte teorica più
ampia, che poi ci servirà ad alleggerire la consegna verbale delle vivencie di fluidità,
razionalizzando l’uso della parola nella sessione.
Un altra cosa interessante è di usare anche dello spazio teorico come di uno spazio di dialogo
a due direzioni, Rolando evoca la natura “gentile” che dovrebbe avere questo dialogo. E’
un’occasione preziosa per il facilitatore anche per accompagnare l’evoluzione del gruppo: se
vede che c’è bisogno di lavorare sul feedback, potrebbe essere l’occasione di fare questa
“teoria” e un dialogo con gli allievi su questo per poi lavorare insieme con una vivencia che
marcherà quest’aspetto.
Del relato de vivencias, anche detta Condivisione verbale
della vivencia
Questo è un altro spazio verbale di gruppo (oltre alla teoria) che ha molta importanza per il
gruppo stesso. Si colloca prima della vivencia nel gruppo settimanale, mentre negli stage può
avere un’altra collocazione. Nel cercare in quale metodologia se ne parlasse ho con piacere
riscontrato che se ne tratta nella metodologia sul gruppo: in questo caso (forse ancora di più
che per la teoria) la parola può diventare un occasione di crescita e reciproca conoscenza per
il gruppo.
Per essere aderente al metodo che mi sono dato, in primo luogo, vorrei riprendere le parole
di Rolando per focalizzare gli aspetti essenziali da lui evidenziati sotto il profilo metodologico,
contenuto peraltro ricco di spunti per riflettere sul senso della parola in biodanza anche in
termini generali:
- definizione: si tratta di una “fenomenologia parlata”
- l’attore è l’allievo, il quale con le parole descrive alcuni aspetti intimi e personali della
sua esperienza interiore; si tratta di una rivelazione dei processi più importanti di
questa esperienza.
- Ha una funzione di integrazione su tutti i tre piani:
18
- Integrazione con se stessi: rivivo emozionalmente la vivencia e includo elementi di
coscienza
- Integrazione con gli altri: stabilisco un vincolo e una connessione basata sulla
sincerità
- Integrazione con il mondo: condividendo con il gruppo ho un effetto di catarsi
(liberazione) che ha un effetto forte di riconciliazione con il mondo.
- L’uso del linguaggio genera un processo di durata nel tempo del significato della
vivencia; il linguaggio porta a manifestazione le componenti simboliche e aumenta la
coscienza dell’esperienza. L’allievo assume l’esperienza vissuta: si passa da vivencia
ad emozione e da emozione a sentimento
- Si rafforza l’identità: l’allievo esprime se stesso all’interno del gruppo
- Si tratta di uno strumento verbale e pertanto “non si può designare la Biodanza come
una disciplina non verbale”, anche se è uno dei pochi interventi in cui la metodologia
prevede l’uso del linguaggio.
- Si stimola l’espressione sincera di ciò che si è sentito, non vi è “interpretazione”
(biodanza non è interpretativa e non si tratta di un dialogo terapeutico)
- Nel caso di condivisioni molto emozionate accompagnate da pianto si offre al
compagno “contenimento affettivo”, cioè contenimento mediante una
manifestazione affettiva di contatto da parte del facilitatore o dei compagni vicini
- Il facilitatore si pone in una posizione di “ascolto attivo”, avendo cura che non si parli
all’infinito, evitando che si cada in ragionamenti ed interpretazioni.
- Il facilatore inltre deve “interrompere decisamente” espressioni tossiche, le
manifestazioni aggressive o le denuncie contro qualche compagno del gruppo
- Il facilitatore nel caso di qualche vivencia sgradevole o angosciante può spiegare il
meccanismo dell’esercizio, per esempio in un esercizio di trance e regressione la
difficoltà può essere legata alla paura di perdere il controllo e l’identità, mentre lo
scopo dell’esercizio è proprio quello di dimuire la propria presenza egoica per
favorire l’identificazione con gli altri13
- La collocazione è prima della vivencia perché l’attivazione data dal linguaggio non
disperda gli effetti della vivencia stessa.
13 Nel caso in cui l’allievo ne senta il bisogno le difficolà possono anche essere affrontate in un colloquio individuale, vedi dopo.
19
Ripeto spunti molto ricchi. La mia esperienza personale è che la condivisione è un momento
molto importante per la crescita del gruppo, è l’occasione in cui ci si racconta agli altri e ci si
fa anche conoscere. Questo momento inziale, è un momento totalmente biodanzante e di
forte integrazione.
L’ho vissuto così da allievo, soprattutto nel gruppo settimanale di Elena, oltre che nel gruppo
del 7 Cielo, ma anche per il gruppo di inizianti che abbiamo cocondotto è stato così: non
abbiamo fatto mai mancare all’inizio uno spazio dedicato al relato e questo ha fatto in ogni
caso da fattore coesivo.
In questa breve esperienza di conduzione sono stato profondamente commosso dalle
condivisioni di benessere riferite all’inizio; quando le persone iniziano a dire che hanno
passato una buona settimana, che hanno sorriso di più, o dormito meglio, o si sono accorte
mentre camminavano per strada degli altri e del mondo.
E’ stata anche questa una rivelazione per me: una seconda. La prima, infatti, precedente era
che la biodanza funziona per me; questa seconda è... funziona per gli altri anche quando la
propongo io. E questo anche se che fa la differenza e fa entrare nella vivencia del facilitare.
Di quanto dice Rolando, tutto interessante, mi sento di sottolineare alcune cose, che per me
sono anche uno stimolo ad ulteriori approfondimenti teorici, soprattutto sul come si fa.
Un primo errore in cui si può cadere è il botta e risposta, il dialogo, tra conduttore e allievi, e
tra gli allievi. Il richiamo all’ascolto attivo ha invece una valenza molto potente, rifacendosi a
precisi ambiti psicologici che hanno estesamente studiato la posizione dell’ascolto attivo, a
cui si aggiunge l’empatia ed l’autenticità del facilitarore (mi riferisco allo psicologo umanista
americano Carl Rogers).
Rolando parla esplicitamente di ascolto attivo del facilitatore, ma credo vada stimolata
anche negli allievi questa posizione, che è una posizione ricettiva in cui si accoglie in modo
non giudicante, la parola dell’altro, parola che rivela l’intimità dell’esperienza interiore.
Tant’è che esplicitamente Rolando invita ad interrompere gli allievi che siano aggressivi o
tossici, mentre si accoglie e si contiene qualsiasi relato emerga, il relato accompagnato dal
pianto affettivamente, mentre nel caso di condivisione di vivencia sgradevoli o angoscianti il
contenimento viene dato sotto forma di spiegazione del meccansimo dell’esercizio14.
14 Onestamente qui si rasenta l’interpretazione, credo sia un punto delicato nel quale saggiamente Rolando dice che il conduttore può, e questo può credo si riferisca soprattutto a chi ha anche altre competenze…. In ogni caso non si potrà entrare nello specifico vissuto ma semmai offrire delle chiavi di lettura di carattere generale, come del resto sembra suggerire Rolando stesso.
20
Un’altra cosa che sento importante è che qui viene ribadito con chiarezza il ruolo della
parola nella metodologia: qui si riprende ancora esplicitamente l’idea che si parte sempre
dalla vivencia, per passare grazie al linguaggio al mondo dei significati (anche simbolici) e
della coscienza. Qui il linguaggio fa da ponte e consente un’operazione d’integrazione che io
ritengo fondamentale, dando durata alla vivencia. La vivencia si è fatta memoria, quindi
identità, e noi ci raccontiamo a noi stessi e agli altri, e diamo consistenza, valore, continuità,
e (come dice Rolando) dall’emozione passiamo al sentimento, ad una forma più stabile e
profonda di sentire.
E’ un cerchio che si apre e si chiude di continuo in noi, certo, ma il fatto di farlo in modo
rituale e ritmico con il gruppo dà a questo processo di integrazione un valore speciale.
Una esperienza che accade spesso a me, e ho sentito riportare anche da altri, è il non
ricordare la vivencia. Si dice “non ricordo, ma so che sono stato bene e mi ha fatto stare
bene”.
Credo che questo sia legato soprattutto alla fase regressiva e alla profondità della trance e
dall’altra al fatto che manchi l’abitudine a scavare e a riportare questi contenuti che sono
molto profondi, con correlati a volte immaginativi, uditivi e cenestesici. Di qui l’utilità del
lavoro verbale del relato che darà modo al tempo giusto (diverso di ciascuno) di portare a
consapevolezza i vissuti che per il momento a cui ci si riferisce potrebbe essere meglio
restino ancora inconsapevoli.
Della consegna in generale
Teoria e condivisione sono due momenti in cui è il linguaggio ad essere in primo piano,
anche se si deve trattare di una parola che ha una certa qualità e che arriva in una specifica
fase della sequenza metodologica.
Con la consegna e con le vivencie che usano la parola, la parola entra nello spazio della
vivencia in quel regno dove vige la norma della “sospensione della parola”15, si tratterà
dunque di una eccezione.
Resto un po’ sorpreso che nella metodologia II si dedichino poche righe alla consegna, anche
se in ogni caso si tratta del solito “concentrato” di idee di Rolando:
- La consegna è una “breve spiegazione” dell’esercizio
- La consegna si compone di 4 elementi
- Di questi quattro elementi se ne usano soltanto 1 o 2 alla volta15 Rolando Toro, Biodanza, pag. 39
21
- I quatto elementi sono:
o Nome dell’esercizio16
o Modo di realizzarlo e dimostrazione
o Effetto dell’esercizio sull’organismo
o Importanza dell’esercizio come fonte di una determinata vivencia e sua
proiezione esistenziale
- Le consegne sono diverse nel gruppo di inizianti e in quello di approfondimento
- La consegna è importante perché da questa dipende “in gran parte” la qualità della
vivencia17
- La consegna può essere semplice e descrittiva
- Oppure in essa il conduttore si coinvolge e si entusiasma dando agli allievi la
possibilità di fare altrettanto
- Attraverso la consegna il conduttore “crea” variazioni e sfumature affettive nella
vivencia
- La consegna deve essere “espressiva”, avere contenuto, “esaltare”
- La consegna ha per obiettivo motivare al movimento e alla vivencia
La prima cosa che mi vien da dire è che l’obiettivo essenziale della consegna è di facilitare
l’accesso alla vivencia, e sulla base di questo criterio (facilita / non facilita) tenterò di
svolgere i miei pensieri.
Una prima cosa che richiama subito Rolando è la “brevità”, si tratta di una spiegazione
breve, tant’è che questa brevità è rafforzata dal fatto che la consegna completa non si dà
mai.
Nella mia breve esperienza mi è accaduto di aver dato consegne lunghe che mi sono accorto
non hanno funzionato.... in questo voler dire troppo e spiegare bene ho, infatti, ripetuto la
stessa cosa due o più volte (feedback in supervisione), oppure mi sono contraddetto, o
ancora ho meticciato varianti di una stessa vivencia, ad esempio trenino ritmico e creativo:
risultato poca chiarezza sul da farsi, meno facilitazione per la vivencia.
16 Che come dice Sergio Cruz (Comunicazione personale nel corso della formazione) ha di per sé un potere evocativo17 E qui si sfata il mito che la consegna (e in generale la conduzione) siano un accessorio: senza consegne e senza conduzione efficace non c’è vivencia! Non basta proporre il giusto esercizio e la giusta musica dunque, c’è bisogno di un quid pluris, la conduzione appunto.
22
Poi sono caduto nell’eccesso opposto, consegne troppo brevi, senza gli elementi essenziali
sul movimento, con troppo poca struttura (feedback in supervisione): risultato poca
chiarezza, meno facilitazione per la vivencia.
Qui inizia l’arte del condurre: si tratta prima di tutto di una spiegazione, e la spiegazione
deve essere chiara, e quindi se vuole essere anche breve deve essere essenziale.
La seconda cosa importante è che la consegna va adattata al gruppo... in metodologia si dice
che la consegna sarà diversa per un gruppo di inizianti e per un gruppo di avanzati, io credo
però che in realtà la consegna si plasmi sulla specificità di un momento di vita, dell’incontro
del facilitatore con il suo gruppo, e in questo senso la metodologia ci dà uno schema
generale di riferimento da adattare caso per caso. In altre parole, non è solo la grande
differenza tra inizianti ed avanzati, che è del resto va tenuta presente, ma soprattutto la
capacità di usare della consegna per condurre il gruppo, quel gruppo in quel momento, alla
vivencia.
Del resto all’inizio è molto difficile fare questo: arrivo con la mia scaletta precostituita, con lo
studio del singolo esercizio, la scelta della musica, la scelta delle parole da dire.... è difificile
osservare il gruppo e ancora più difficile è adattare la scaletta a quel che sta accadendo... si
capisce qui che la struttura serve prima di tutto al faciltatore che inizia!... tuttavia, già
qualche parola ad hoc può sorgere, magari (come mi è capitato di fare) per ricordare che la
vivencia del cavallo richiede autoregolazione e che si può adattare alle possibilità motorie di
tutti, perché nel gruppo c’era una persona con una lieve difficoltà motoria, poi ho mostrato
una vivencia dove ho volutamente limitato la dinamica motoria per rimarcare anche questa
possibilità.
Un’altra cosa importante che dice Rolando riguarda le variazioni e le sfumature del tono
affettivo che passa il conduttore nella consegna. Poi ritornerò su questo dal punto di vista
della parola.
Qui però vorrei tornare ancora sulla vivencia e sulla sua priorità.
Vivencia è un sentire immediato intenso nel qui ed ora. E’ una esperienza specifica di
coinvolgimento integrale. Nella consegna devo passare degli elementi che mi fanno accedere
a quel movimento e a quel sentire. Posso passare così elementi che diversificano la vivencia
anche profondamente.
23
Sergio Cruz fa l’esempio di vivencie simili nel movimento (resp. Danzante, braccia sensibili,
seg. Petto braccia), ma molto diverse nel sentire. Qui è la consegna che ha passato la
vivencia, in modo molto preciso18.
Ma si potrebbe trattare anche solo di sfumature nell’ambito di una stessa vivencia, perché
mi serve un certo tipo di vivencia per prepararne un’altra. Ogni vivencia infatti può avere
moltissime sfumature e sono queste sfumature che può passare la consegna.
Dice sempre Sergio, ci serve chiarezza sullo spunto (stimolo) che sarà vivenciato.
Altra riflessione importante è sempre legata alla vivencia e alla sua natura: di essere
soggettiva e di dipendere da meccanismi interni alla persona.
Il mio ruolo è di facilitare, vale a dire di condurti alle soglie della vivencia, indicandoti una via
e poi lasciandoti libero di entrare e di vivertela a modo tuo: ti devo dare tutto quello che ti
serve, spiegazioni, musica, permesso, ma poi la vivencia è tua.
In questo senso non c’è modo di controllare la vivencia né ha senso proporsi di farlo!
Quindi elementi sì, struttura ok, ma attenzione che troppi elementi e troppa struttura
possono interferire con i meccansimi automatici delle persone.
E l’esempio è presto trovato, la vivencia della marcia, mi è già capitato di aver dato la
consegna del sinergismo troppo presto e avere visto gli effetti paradossali, di un camminare
MENO naturale... e quindi anche qui bisogna entrare in punta di piedi, perché le persone
possano riprendere il loro ritmo e il loro sinergismo... in modo il più naturale possibile... e
quindi anche qui gli elementi da introdurre sono chiari in un senso generale, ma vanno calati
con tempismo e arte di modo che facilitino l’esperienza vivienciale invece di precluderla.
Un’altra cosa che mi sento di evidenziare è che Rolando dà estremo valore alla consegna,
dice che da questa dipende in gran parte la vivencia.
Un’altra riflessione è che la consegna non può mai mancare neanche in un gruppo di
approfondimento o addirittura di insegnanti: perché attraverso di essa il facilitatore
conduce, ci fa fare il nostro viaggio, lui sa dove ci sta portando e noi no: quindi la consegna
non può mancare, anche se dopo 5 volte che si fa la sincro ritimica la consegna potrà anche
essere “invitate un compagno per danzare a 2”...
Tuttavia, come dirò nella mia conclusione, alla fine di questo lavoro ho capito che ciò che
davvero conta per la conduzione e quindi anche per la consegna è la misura di integrazione
del facilitatore, il grado di connessione con se stesso e con il suo gruppo. E’ in quello spazio
di vivencia del facilitare che si attinge al proprio bagaglio personale per ricreare la 18 Video sulle metodologie.
24
consegna per quel qui e ora, anche quand’anche fosse identica pedissequamente
all’eserciziario! Si tratterebbe pur sempre di una consegna che ormai è diventata mia19, e
che va proprio bene per quel momento.
I processi “alto-basso” e “basso-alto”: dal pilota
automatico alla vivencia
Il nostro ruolo e il nostro compito come facilitatori, è quello di facilitare la vivencia da
quando gli allievi mettono piede in sala, ma in particolare nel momento delicato della
consegna.
Qui la parola può esserci d’aiuto o, invece, rappresentare un ostacolo per la vivencia. Ripeto
questo è il principale criterio di riferimento sulla parola che io ho adottato per questo lavoro.
In generale la parola va usata con cura giacché richiama20 l’elaborazione dell’esperienza
“dall’alto al basso”, vale a dire facilita l’attivazione di quei meccanismi basati
sull’apprendimento e sulle memorie in quanto la parola è essa stessa una
rappresentazione invariante21 nella nostra memoria (una sorta di schema fisso, rapido,
sprovvisto di contenuti immediati, filtrato).
Tali meccanismi, una volta attivati, generano processi automatici secondari (secondari
rispetto all’esperienza primaria dei sensi, di enterocezione, di autoconsapevolezza e di
sintonia con il mondo) processi, tra l’altro, con correlati non solo corticali ma anche sul
sistema limbico e cioè sulle emozioni, e che in definitiva attivamente plasmano
l’esperienza cognitiva ed emotiva del momento.
Tali meccanismi molto forti22, governano ampie aree neurali e sono responsabili nella vita
di farci sentire meno vivi, sono una sorta di pilota automatico.
Siegel, il neurobiologo che ho citato e che ho visto utilizzato recentemente anche da altri in
studi specifici sulla biodanza23, parla di una situazione di schiavitù, intollerabile per la parte
esistenziale.
Questa fenomenologia della mente e del cervello è molto studiata oggi in relazione alle
possibili terapie che non sono più solo cognitive (c.d. talking therapies), ma vi sono anche
19 Sergio Cruz, comunicazione personale20 Con l’importante eccezione della parola poetica e di quella emozionata, come vedremo più avanti21 D.J. Siegel, Mindfulness e cervello, p. 138 e seguenti22 In effetti ad essi dobbiamo anche la nostra sopravvivenza come specie!23 Ad esempio nell’articolo pubblicato su www.biodanza.org in spagnolo, di Cecilia Toro Acuña, Bases Neurológicas del Cerebro Social, che cita Siegel e la sua opera “Cervello sociale” (del 2001).
25
approcci che partono dal basso per arrivare in alto, in particolare dal corpo, secondo un
percorso analogo a quello della biodanza.
Nella biodanza d’altra parte si punta proprio alla vivencia come esperienza integrante nel qui
e ora, attenuando quel genere di elaborazione (alto basso, appunto)24 per arrivare invece ad
una esperienza più autentica (basso alto). In questo caso emergerebbe una parte essenziale
di noi, la nostra ipseità, il nostro sé più autentico25.
In questo ho trovato molti punti di contatto tra biodanza e altre discipline26 proprio perché
se, da un lato, vi può essere diversità di metodi, l’obiettivo è comune (l’integrazione che dà
benessere) e in questo obiettivo si ritrova un correlato oggettivo nella neurobiologia che è
del tutto sovrapponibile. In altre parole, un cervello liberato dalla schiavitù
dell’elaborazione alto basso, è un cervello bidanzante che vive pienamente la vita. E quello
che interessa a noi lo stanno studiando le punte più avanzate della psichiatria e della
neurobiologia a livello mondiale.
Quando la parola potrebbe intralciare la vivencia?
Troppe parole?
Queste note sono da considerare appunti di lavoro politicamente scorretti!
Abbiamo già chiarito perché parlare troppo può ostacolare la vivencia degli allievi:
principalmente perché si possono attivare processi neurali di elaborazione alto basso, in cui
cui la conoscenza e l’esperienza pregressa condiziona la vivencia del qui e ora plasmandola,
si va in altre parole a stimolare quei meccanismi di controllo che vogliamo allentare e
sperabilmente dissolvere.
Diciamocelo francamente: a chi non è capitato che l’uso eccessivo delle parole da parte del
conduttore non abbia portato ad una interruzione della vivencia... ve lo ricordate, si trattava
di quel ruomore di fondo un po’ noioso con il quale il palpitare della tua vivencia si
scontrava: perché non stai zitto e mi lasci danzare?
In supervisione è stato tematizzato questo, in effetti dipende da grado di profondità della
vivencia, in un gruppo di inizianti una consegna strutturata è utile, mentre nel gruppo di
approfondimento meglio consegne più snelle o addirittura anticipate.
24 A mio avviso è proprio a questo che Rolando si riferisce quando parla di attenuare il controllo corticale25 D.J. Siegel, Mindfulness e Cervello, p. 144 e seguenti.26 Qui mi riferisco alla mindfulness intesa non tanto come meditazione, ma come una trasformazione profonda della consapevolezza che ha caratteristiche quasi sovrapponibili a quelle a cui aspira la biodanza
26
Me lo devo ricordare sempre, di parlare poco, per non essere io il rompi ... vivencia di
turno ;)
Tuttavia anche nel caso delle consegne con più struttura più si parla più c’è il rischio
dell’incoerenza (dico una cosa e poi il suo contrario), come ho già fatto notare sopra.
Nel mio caso personale mi è stato fatto notare in supervisione che tendevo a ripetere, anche
qui si tratta di dimagrire la parte linguistica rendendola essenziale, quindi così facendo si
riduce anche il volume delle parole.
Un lavoro però che richiede l’esperienza della conduzione e lo studio precedente: solo se
incorporo la viviencia nella sua essenza, posso passarla anche con poche parole. E questo
richiede pratica, pratica, pratica.
Uso delle immagini
Parto da un fatto accaduto nella nostra metodologia, nella quale in una nostra proposta
venne usata in una consegna l’immagine di un orologio, del pendolo di un orologio.
Nel feedback Sergio ci ha spiegato che nelle consegne è da evitare l’uso di immagini che
provengano dal mondo meccanico, che in biodanza si usano immagini del mondo della
natura o archetipiche.
La cosa mi ha fatto riflettere, soprattutto perché già allora mi interessava il tema oggetto di
questo approfondimento...
... una vivencia nella quale vi è un riferimento esplicito alle immagini è la fludità per
immagini, una vivencia particolare nella quale si evocano gesti mimici espressivi puri:
Rolando parla di immagini quali “aprire una porta” (archetipo), “indicare una nuvola”
(natura), “aprire una finestra del cielo” (poetica, aprire è un gesto archetipico), “indicare un
passero in volo” (natura), con l’invito agli allievi a creare altri gesti usando la propria
immaginazione. (le note tra parentesi non sono mie!)
Ripeto si tratta di una vivencia particolare nella quale vi è una mimica di un gesto, si tratta di
un gesto fluido, gli occhi dovrebbero essere aperti, e nel quale si cura una certa qualità
espressiva.
Credo che, data la natura specifica della vivencia, da qui non si possa trarre una
considerazione di natura generale circa l’uso delle immagini in biodanza.
E in ogni caso proprio da questa vivencia emerge un punto d’attenzione: usare immagini per
guidare i gesti porta in una dimensione mimica, oltreché espressiva.
27
Sento che un riferimento teorico più valido è il richiamo alla connessione alla vita
dell’educazione biocentrica: nella vivencia ci connettiamo profondamente o all’Uomo
(dimensione archetipica) o alla Natura (dimensione della vita); è in questa profonda
riscoperta che avviene il miracolo della progressiva reintegrazione umana.
Usare di altre immagini in cui non vi sia questo legame rischia di essere inopportuna in
biodanza.
Ho anche un altra suggestione: usare immagini tratte dal mondo non archetipico e non
naturale rischia di far entrare nel mondo delle rappresentazioni invarianti (alto / basso),
inducendo quei processi secondari di ideazione e di emozioni, che allontanano dalla vivencia
(come la intendiamo noi); possono portare in una trance fatta soprattutto di immagini (se si
tratta di fase regressiva), ma potrebbe non essere integrante. Solo una considerazione, del
resto anche vie meditative antiche che mirano alla reintegrazione partendo dall’esperienza
sensoriale diretta del corpo sconsigliano l’uso delle immagini, il che mi sembra
interessante27.
A mio avviso invece le immagini naturali ed archetipiche hanno una qualità diversa, che le
avvicina alla parola poetica. Queste immagini fanno infatti appello all’inconscio collettivo e,
per certi versi, mi ricordano le posizioni generatrici. L’immagine del fiume e del relativo
elemento, che ad esempio, si richiamano quando si parla di fluidità sono ben antiche e
appartenenti da sempre all’umanità!
Anticipazione dei vissuti
Un’altra cosa emersa durante la formazione è la necessità di non anticipare i vissuti, in una
camminata che si propone di stimolare una vivencia di euforia ed allegria, nella consegna si
dovrebbe evitare di dire camminiamo e siamo allegri… l’allegria è una emozione
conseguente alla vivencia euforizzante data dalla musica e dal movimento, che noi
aspettiamo che ci sarà… ma questo non è automatico, è quello che accade di norma, mentre
per qualcuno potrebbe non essere così28.
Del resto la parola allegria è una rappresentazione invariante con un signficato diverso per
ciascuno, che si perde nel meccanismo che va dall’alto al basso ;) … e di per sé non rende
27 Mi riferisco alla meditazione buddista di consapevolezza.28 Diverso invece è a mio avviso l’uso di evocare qualcosa: si dà infatti implicitamente che al momento quel sentire potrebbe non essere presente, ma tutti siamo invitati a contattare dentro di noi quel che per noi è l’allegria in quel momento e secondo la nostra possibilità. Tuttavia per le considerazioni fatto nel testo, secondo me, anche questo metodo va usato con parsimonia.
28
l’intera gamma delle sfumature che difficilmente possiammo anticipare e che potrebbero
deflagrare in quel momento: quelle persone, quella musica, etc. etc…. inoltre vi è anche un
altro aspetto importante: scatta un meccanismo del dover essere allegri, che, da un lato, mi
impone una certa emozione, dall’altro lato rischia di svalutarmi se non sono capace di
provare quella emozione (“non sono capace di essere allegro”); attiva la voce critica che sta
nelle zone del nostro cervello deputate al controllo e che la biodanza si propone di
attenuare.
Induzione di vivencia o induzione ipnotica?
Mi sono spesso interrogato come biodanzante se la vivencia avesse a che fare con l’ipnosi,
soprattutto se da parte del conduttore vi possa essere il rischio di un modo di fare e di dire
(troppo) suggestivo. Dico consapevolmente fare e dire perché in effetti l’induzione ipnotica
passa attraverso i gesti e non solo le parole29.
Il punto di atterraggio del mio paragone sono l’induzione (parola che usiamo anche in
biodanza riferita alla vivencia) e la trance, che “indica un cambiamento di stato di coscienza
che è sempre accompagnato da modificazioni cenestesiche."30
L’assunto dal quale parte il mio discorso è che trance ipnotica e trance musicale (biodanza)
sono due fenomeni diversi, così come puntualmente evidenziato da Rolando Toro.
In particolare ci tengo a sottolineare la diversa dinamica psichica: nel caso della trance
ipnotica “possessione psichica da parte dell’ipnotizzatore”, nel caso della biodanza trance
musicale, “regressione integrante in un gruppo caloroso e permissivo”31.
Nella trance ipnotica “i soggetti delegano all’ipnotizzatore la propria identità. Per indurre
questo tipo di trance si possono utilizzare suoni di gong e ritmi musicali, anche se questi non
sono indispensabili: ciò che conta maggiormente è la personalità dell’ipnotizzatore: la sua
voce, il suo sguardo, i suoi gesti”32.
29 Devo chiarire che per motivi personali ho molte remore anche etiche sull’uso dell’ipnosi fuori di contesti strettamente medici o psicoterapeutici. Qui si tratta infatti di un fenomeno in cui un essere umano viene temporaneamente spossessato della propria egoità (in senso nobile) a favore dell’ipnotista, che ne prende il controllo. Nell’ipnosi spettacolo ciò è di particolare evidenza, quando il poveretto di turno fa la gallina o abbaia. Qui c’è un confine sottile che è legato al rispetto della libertà umana, ove una pratica apparentemente innocua, se davvero considerata nel suo valore reale, potrebbe ricevere una valutazione molto più severa di quella comune.30 Rolando, Biodanza, p. 10231 Rolando, Biodanza, p. 11132 Rolando, Biodanza, p. 112
29
D’altra parte, in biodanza “l’individuo non è il ‘possesso’ di alcuna entità magica o religiosa,
ma semplicemente si integra in un’identità maggiore, il gruppo, in seguito a una precisa
decisione”33
Il paragone a mio avviso interessa in particolare la fase regressiva della vivencia di biodanza
ove c’è il manifestarsi della trance, che per Rolando Toro ha caratteristiche integranti.
Io credo che si debba riflettere sul fatto che l’uso di una parola (e anche di un atteggiamento)
suggestivo per indurre uno specifico stato vivenciale possa far “possedere” l’esperienza
individuale da parte del facilitatore, che potrebbe prendere in parte la posizione di ipnotista.
Si rischia cioè di indurre forzatamente una certa vivencia, saturata però dalle parole e dagli
atteggiamenti del conduttore, in luogo della libera espressione della vivencia del facilitato.
Certo poi arriva la musica e si danza, tuttavia se la parola (e gli atteggiamenti) suggestivi si
sono impressi con una certa forza, la suggestione continua a lavorare.
Io a volte sono entrato in trance molto profonde (penso in parte ipnotiche) in cui le
consegne avevano avuto un grosso valore di suggestione, dando peraltro accesso a
contenuti molto immaginativi, e non cinestesici e viscerali.
Tuttavia io sento che si è trattato di esperienze che si pongono in parte fuori dalla vivencia di
biodanza anche se apparentemente (cioè dall’esterno) si tratta proprio della stessa cosa.
Io penso che, proprio per questo motivo, che sia integrante o meno è fuori controllo,
proprio perché si può andare in una trance diversa. Quindi di per sé potrebbe essere
integrante anche questa vivencia e il contesto del gruppo in parte lo dovrebbe garantire,
tuttavia non sono certo di questo.
Qui c’è forse un aspetto più profondo e dipende dal grado di integrazione personale già
posseduto dal biodanzante. Più la trance indotta è profonda (e grazie ai mezzi suggestivi può
essere molto profonda) più c’è il rischio del manifestarsi delle dissociazioni presenti nella
persona. Non dissimilmente dal manifestarsi delle dissociazioni da parte di chi assume
allucinogeni, mutatis mutandis! Del resto, è noto che i lavori personali profondi possono
avere questo effetto.
Mentre stare sul terreno della vivencia della biodanza dà più garanzie (integrante nella
presenza del gruppo) e in ogni caso prevede una progressività metodologica, proprio per
evitare esperienze profonde poco gestibili in modo autonomo dalla persona e che ne
farebbero manifestare precocemente aspetti dissociati che si sarebbero dovuti integrare con
un lungo lavoro precedente. Infatti, ci si aspetta che l’allievo che radicalizza la vivencia abbia 33 Rolando, Biodanza, p. 113
30
già elaborato in qualche anno di biodanza gli aspetti più dissociati e quindi vada più in
sicurezza in profondità.
In definitiva non credo si possa tracciare facilmente il confine tra evocazione e
suggestione, tra il facilitare la vivencia e possedere la vivencia... tuttavia una cura e
un’attenzione su questo aspetto quando si facilita io credo sia molto opportuna, in altre
parole, credo non vi sia una risposta certa, ma che sia opportuno farsi la domanda,
soprattutto guardano alle persone che fanno parte del nostro gruppo e a cui viene rivolta
la nostra proposta.
Quando la parola potrebbe facilitare la vivencia?
L’essenzialità della parola!
La consegna è fondamentale per la buona riuscita della vivencia e della intera sessione.
Ovviamente la parola è parte importante della consegna, anche se la consegna non è fatta
solo di parola perché vi sono da considerare gli aspetti di comunicazione non verbale e la
dimostrazione della vivencia.
Quanto alla parola io penso e sento che una parola essenziale aiuta molto la vivencia.
L’essenzialità per me è una presenza asciutta che nasce, a mio avviso, dal modo di lavorare
del facilitatore. Una parola che arriva dritta al punto, che dà l’impulo giusto (e solo quello)
per fare la vivencia, che dà la sfumatura e il tono che ci serve per quel gruppo e per quella
serata, proprio quello e solo quello. Evidentemente un arte, che si costruisce attraverso la
ripetizione della pratica e l’approfondimento metodologico.
Per quanto mi riguarda ho sentito importante nella mia conduzione lavorare su vari aspetti
per tentare di asciuguare la parola:
- aver chiara la vivencia che si propone (movimento, obiettivo, proiezione esistenziale);
- mettersi in connessione con il proprio bagaglio vivenciale;
- tenere presente il gruppo e contestualizzare la vivencia nella sessione.
Sento che questi aspetti mi sono di aiuto nella ricerca della parola.
In primo luogo, una parola che descrive con semplicità e chiarezza il movimento, lo
“mostra”, non è una parola astratta, ma anzi facilita. Mette le persone tranquille e in grado si
sapere cosa si sta per fare. E quindi aver chiaro il movimento e sentirlo dentro di sé connessi
al proprio bagaglio vivenciale, aiuta a non dire troppo o dire male. Spiegare il movimento
della danza, di per sé è una base sicura.
31
In secondo luogo, aver riflettuto e aver chiaro l’obiettivo della vivencia e la sua proiezione
esitenziale, aiuta molto nella consegna, perché permette di spiegare con semplicità il
significato di quel movimento. E più il facilitatore ha fatto sua questa parte, più la parola sarà
ricca e calda. Ho visto che da conduzione a conduzione questa consapevolezza cambia e si fa
approfondisce.
In terzo luogo, aver presente prima e durante la conduzione il gruppo che si ha di fronte e il
percorso che si propone ci consente di arricchire lo schema generale con la sfumatura
necessaria per quel momento, con la parola più appropriata. Di una stessa camminata sono
molte le cose che si possono ad esempio mettere in evidenza a seconda della situazione e
della sensibilità del facilitatore.
Tutto questo potrebbe portare all’estrema sintesi che io identifico nella “parolina giusta”,
quella parolina che tutti noi biodanzanti incontriamo nella nostra storia, quella che ci ha
spalancato quella volta porte e portoni, o che ci ha fatto entrare per la prima volta in una
certa vivencia in un certo modo.
Devo confessare che il mio ideale in questo è Sergio Cruz, che ha sempre la “parolina”
giusta... per portarti nel luogo in cui deflagra la vivencia, parolina giusta che io sento nascere
proprio dall’arte, dall’esperienza, dallo studio, e dall’amore per la gente34.
Chiarezza nella spiegazione del come si fa!
Vengo dal dire che la spiegazione del come si fa è la base sicura della mia consegna.
Certamente essendo è questa una spiegazione il primo dato basilare è che sia chiara e
comprensibile35.
C’è sempre questo gioco di chiamare le nostre danze, esercizi piuttosto che vivencie. Nel
nostro linguaggio quotidiano la parola esercizio evoca altro, in particolare può evocare gli
esercizi ginnici, anche se si può parlare di esercizi spirituali.
La parola esercizio implica in ogni caso l’idea che ci si alleni, che ci si prepari, e in biodanza
mi vien da pensare che ci si alleni alla vita.
Tuttavia non è di certo un esercizio di ginnastica quello che andiamo a spiegare.
Io ho trovato utile come facilitatore apprendista rivedere ogni volta prima della serata tutto
il materiale disponibile: eserciziario, video, appunti, per cercare di entrare dentro al
movimento della vivencia, per comprenderlo a fondo, per apprezzarlo ed amarlo.
34 E dalla vivencia del facilitare!35 E la cosa non è affatto scontata!
32
Ogni movimento in biodanza è, infatti, saggio, di quella saggezza intrinseca legata al nostro
corpo, alla sua anatomia e alla sua fisiologia, che è la saggezza della vita.
Raccogliersi ogni volta su questo prima della conduzione mi ha aiutato a capire meglio la
vivencia in questa sua saggezza e credo aiutato ad usare con più precisione le parole per
mostrare il movimento.
Quando dico entrare nel movimento, intendo anche provare la vivencia a casa per vivificare
gli aspetti più sottili legati al movimento perché siano ben presenti al momento di proporre
la vivencia.
Da questo punto di vista ritengo che sia utile non dare mai per scontato che le persone
(anche biodanzanti esperte) conoscano già il movimento. In ogni caso se l’uso della parola è
essenziale, è piacevole che il facilitatore ripercorra per noi la danza con le sue parole, anche
se ci è già nota.
Proiezione esistenziale e biocentrismo: il principio biocentrico
come base sicura della consegna esistenziale
Il percorso della facilitazione è un percorso di autoeducazione. Sono infatti convito che ciò
che siamo è ciò che in effetti poi passa agli altri e in questo sento l’assunzione di una
responsabilità nei confronti degli esseri umani che si accostano alla biodanza che noi
facilitiamo.
Nel mio percorso ho sentito la necessità proprio per questo di autoeducarmi e di
sensibilizzarmi alla vita in modo più consapevole, di realizzare cioè in modo vivenciale la
connessione con la vita, di vivenciare in un certo senso il principio biocentrico in vista della
conduzione.
Questo accade in particolare nella preparazione della serata, nel tentare di cogliere l’essenza
di una vivencia, di un gesto. Può essere stato per esempio il riflettere sul senso di dare la
mano, su questo gesto che si fa nella ronda, che si fa nella camminata a 2. Nel sentire, in
questo caso, il valore di questo movimento e di questo contatto, quello che rappresenta e,
soprattuto, è nel qui e ora della serata per le persone che sono lì testimoni della specie
umana. E poco a poco questa vivencia prende corpo, si radica, anima la parola.
Questo ha avuto, in altri termini, un riflesso reale sull’uso della parola soprattutto nella parte
teorica e poi in particolare nella proiezione esistenziale della consegna.
33
Credo infatti che la parola esistenziale possa nascere solo da una riflessione profonda e
consapevole del facilitatore, in particolare, ripeto, proprio sul fondamento biocentrico della
pratica della biodanza, e non dall’uso di slogan… anche le parole più pronfonde del poeta
sono banali se enunziate senza essere frutto di una riflessione personale e, quindi, sentite.
Il rischio, a mio avviso, è di cadere in stereotipi comunicativi “new age”, mentre è di gran
lunga preferibile attingere alla personale vivencia del facilitatore che rispecchierà certo il suo
livello di elaborazione, ma avrà il grandissimo pregio di essere autentica.
La parola “evocativa / evocatrice” non suggestiva che apre uno
spazio di libertà
Oltre alla parola suggestiva di cui ho già detto e che, a mio avviso, potrebbe portare ad una
vivencia potente, diversa da quella della biodanza e più simile alle trance dell’ipnosi, esiste
anche una parola altrettanto efficace a livello di capacità induttiva della vivencia che, invece,
può, secondo me, essere usata, cioè la parola evocativa / evocatrice.
La parola evocativa / evocatrice è, infatti, una parola che “fa ricordare” un certo stato, un
certo vissuto, che mette in contatto la persona con emozioni e vissuti propri, già presenti in
lei e per questo di per sé rispettosa della libertà interiore36, mentre la parola suggestiva
tende a precostituire la vivencia.
Si tratta di una linea di confine apparentemente non facilmente marcabile tra parola
suggestiva e parola evocativa /evocatrice, tuttavia questa linea secondo me c’è, si può
tracciare astrattamente ed è utile farlo anche solo come riflessione, che può guidare nella
pratica della conduzione.
Da un parte, infatti, suggestionare significa, ripeto, suggerire uno specifico contenuto,
precostituirlo in forma quasi data, proponendo di vivenciarlo, mentre, dall’altra parte,
evocare significa dare alla persona alcuni stimoli aperti e generali, attorno al quale si
possa strutturare la vivencia personale, in modo libero.
Nella conduzione io credo che questo si traduca in un uso limitato di parole che
richiamano ad immagini, stimoli sonori e sensazioni cenestesiche. L’esigenza in fondo è
proprio quella di non saturare lo spazio vivenciale delle persone, accompagnandole fino ad
un certo punto, alle soglie della vivencia, che poi sarà tutta loro.
36 Tra le varie definizioni del dizionario vi è quella di evocare proprio come far ricordare qlco. a qlcu., oltre a quella di suscitare emozioni in qlcu.
34
In un certo senso penso che, per un certo aspetto, è anche una questione di quantità e che
un uso moderato di questo genere di stimoli faccia in ogni caso rimanere in uno spazio
sicuro, fermo restando che si tratta di due modalità di proporre essenzialmente diverse.
La parola aderente al vissuto (non suggestiva)
Qui voglio semplicemente dire che il facilitatore dovrebbe essere connesso con il gruppo che
facilita, in modo empatico. La parola quindi dovrebbe aderire ai vissuti di quel momento, di
quel qui ed ora, in tal modo si esprime questa connessione, che arriva al gruppo come
autenticità.
Mi viene da pensare che l’applicazione più immediata sia quella di “tenere il filo” della
vivencia. Quando noi riprendiamo il vissuto già accaduto nella vivencia precedente per
collegarla a quella successiva. Ad esempio, terminata la vivencia di massima attivazione,
possiamo riprendere i vissuti presenti in quel momento (se l’attivazione ha funzionato ;)!), di
euforia, energia, tonicità muscolare, per poi parlare della proposta di armonizzazione che
andremo a fare.
Questa connessione, se percepiamo davvero quello che sta accadendo alle persone e al
gruppo, può essere forte e rendere molto efficace lo stimolo, anche evocativo di vissuti, che
andiamo a offrire nella consegna successiva.
In ogni caso la facilitazione è una forma di “guida”, di conduzione appunto. Ci sono
naturalmente stili diversi di guida, più strutturata, più direttiva, e meno strutturata, che
lascia più libertà e spazio vivenciale, e direi “un conduttore = uno stile”, questo perché vi è
una relazione diretta con la personalità del conduttore, e anche l’uso della parola risente di
questi diversi stili. Chi è meno strutturato, e quindi apparentemente meno direttivo, può
però essere comunque suggestivo e quindi avere in ogni caso una guida forte sull’esperienza
degli allievi. La connessione empatica e l’aderenza al vissuto a mio avviso è una base solida
per condurre efficamente “nella” vivencia, pur rispettando nella sostanza la libertà vivenciale
dell’allievo. E’ un modo che può essere efficacemente evocativo in modo biocentrico in
quanto, appunto, si fonda sulla relazione empatica facilitatore / gruppo / faciltatore.
La parola poetica: ineffabilità della poesia
“Nell'attimo in cui l'emozione invade l'essere e questo diviene emozione può sorgere la
parola poetica”37. Questa citazione si riferisce alla vivencia (di cui dirò poi) il poema sei
37 Dispensa “Creatività”, pag. 19
35
tu. In realtà questa frase fa sintesi di quello che in biodanza di solito intendiamo quando
parliamo di parola emozionata e, a mio avviso, si presta anche a caratterizzare la c.d.
consegna poetica.
La parola poetica è dunque la parola emozionata, quella parola che sgorga dall’essere
emozionato. E dunque attraverso l’emozione del facilitatore che si può trasmettere al
gruppo attraverso la consegna quella “espressività, contenuto, esaltazione” nella cui
mancanza “non si raggiunge l’obiettivo della sessione”38.
Inizialmente pensavo che la parola emozionata fosse da riservare alla proiezione esistenziale,
tuttavia mi sono reso conto che in effetti non è proprio così, perché anche un movimento
può essere descritto in termini più o meno tecnici, pur conservandosi la precisione
nell’informazione. Questo per evitare (forse) che la sessione di biodanza si trasformi in una
sessione di ginnastica dolce.
Nella mia personale esperienza ho anche constato che questo genere di uso della parola si
giustifica solo in presenza di una vera emozione del facilitatore. Non si possono immaginare
parole poetiche che non sorgano nel qui e ora, anche se è del tutto ovvio che nel qui e ora
scaturirà ciò che esiste già in termini di bagaglio vivenciale, di apprendimento, nelle
profondità del conduttore.
In fondo anche qui si tratta di essere prima di tutto integri e connnessi con noi stessi. Vorrei
dire che se sono connesso con me stesso (e quel giorno però non mi sento particolarmente
poetico) la mia conduzione potrà essere globlamente più soddisfacente (e
integrata/integrante), anche in una apparente semplicità, di una diversa conduzione nella
quale, in una analoga situazione, volendo sforzarmi a tutti i costi di dire qualcosa di poetico,
risultassi poi un po’ forzato, stereotipo, e mi sa anche un po’ new age, come certi personaggi
dei film di Verdone.
La presenza dell’emozione del facilitatore (e poeta) è dunque la chiave per un uso meno
ordinario, meno comune, della parola. Da un punto di vista scientifico, risulta che ascoltare
poesia favorisca l’integrazione neurale dei due emisferi. Questo meccanismo d’azione
(integrazione dei due emisferi) mette, a mio avviso, la persona a contatto più diretto con la
propria esperienza, agevolando la vivencia e l’esperienza più diretta, oltre le barriere del
38 Dispensa “Metodologia II”, pag. 9, mentre si parla della consegna.
36
linguaggio ordinario39, rafforzando l’idea che la parola calda, emozionata, evocativa e poetica
sia davvero un ottimo strumento, sul quale sento che c’è per me ancora tanto da lavorare.
Delle vivencias ove si usa la parola
In biodanza si dà priorità alla vivencia e la vivencia non prevede, di regola, l’uso del
linguaggio e, anzi, gli allievi sono invitati a sospendere il linguaggio, la parola, soprattutto
nella seconda parte della sessione.
Tuttavia vi sono alcune specifiche vivencie nelle quali invece è previsto l’uso del linguaggio,
ovviamente in un contesto molto vivenciale in cui la parola assume carattere poetico e un
marcato contenuto affettivo.
Si tratta di vivencie che non ho mai proposto e che ho solo vivenciato sia a Scuola che nel
settimanale. Sono andato perciò a cercarle nell’eserciziario IBF e ne ho rintracciate 2 che
secondo me sono indicative del “come” si può usare il linguaggio all’interno della vivencia.
Delle altre due citate da Rolando (Metodologia, V, pag. 12), vale a dire il dialogo intimo e il
mandala delle virtù non saprei dire perché non appartengono alla mia esperienza e non le ho
neanche rintracciate nei cataloghi IBF né 2009 né 2012.
In particolare, si tratta della “Percezione estetica dell’altro” e de “Il poema sei tu”.
Nella Percezione estetica dell’altro si lavora sulla qualificazione dell’altro, attraverso una
vivencia che stimola la capacità di percezione profonda delle altre persone, nei loro aspetti
positivi.
Le persone sono sedute in cerchio. Uno dei membri inizia la comunicazione con il compagno
di fianco, mettendosi di fronte e prendendo le sue mani fra le proprie. Poi esprime con
affettività la percezione degli aspetti più belli che scopre nell’altro.
Per Rolando Toro (che parla al riguardo di estetica antropologica) si tratta di percepire gli
aspetti umani meno esterni e formali, gli stati d’animo (stati d’allegria, tristezza, paura,
sofferenza, collera, erotismo, affettività), cogliendo così la bellezza dell’essere umano.
39 “Ascoltare poesia sembra favorire l’integrazione. La scienza del linguaggio e del cervello rivela che mentre l’emisfero sinistro si specializza nel linguaggio linguistico, il destro assume un ruolo dominante nell’elaborazione delle parole ambigue. Ma l’immaginazione evocata dalla poesia sembra che attivi in modo più diretto i processi visuo-spaziali primari del cervello, un’altra specialità dell’emisfero destro. Così, un poeta può indurre abilmente uno stato neurale integrato che scioglie i condizionamenti secondari semplici che possono essere indotti dall’uso quotidiano delle parole dall’alto verso il basso” , Daniel J. Siegel, Mindfulness e cervello, Milano, 2009, pag. 155.
37
Nel poema sei tu la vivencia si propone di stimolare la capacità di esaltare la presenza
dell’altro e di sviluppare un linguaggio poetico e affettivo per esprimere la vivencia di vedere
l’altro.
La vivencia si svolge così. Due persone si scelgono per affinità. Esse si siedono viso a viso ed
entrano nella contemplazione una dell'altro. Si aprono al mistero una dell'altro,
sensibilizzandosi alla essenza, allo stato d'animo, alle emozioni che il suo viso esprime. A
tutto cio che si libera di essenziale. Poi, conservando la prossimità, ciascuna esprime
attraverso il linguaggio poetico la sua vivencia di vedere l'altro. Sei la poesia: sei il centro
della mia percezione. Sei la motivazione della mia poesia.
Rispetto a questo mi vengono due considerazioni: la prima è che in entrambi i casi si tratta di
parole emozionate dettate dalla vivencia che via via si va stimolando (che è in buona
sostanza la stessa, vale a dire la percezione essenziale dell’essere umano nella sua bellezza e
nella sua verità), e che quindi anche qui si rispetta il criterio della priorità metodologica alla
vivencia sul linguaggio; la seconda è che se si scorre l’eserciziario si capisce che queste
vivencie (se pur belle e importanti) sono una netta minoranza, e che quindi del linguaggio
verbale (se pure emozionato e poetico) nelle vivencie se ne fa un uso davvero limitato. Oltre
questa misura probabilmente si rischierebbe di fare qualcosa di diverso dalla classica
sessione di biodanza, magari un laboratorio di creatività o un percorso di crescita personale
di altra natura.
Del colloquio con i singoli allievi
Da ultimo il facilitatore si trova ad usare il linguaggio verbale nel colloquio individuale.
Riprendo testualmente dalla dispensa della metodologia V: “Il colloquio individuale si
effettua eventualmente quando l’allievo sente difficoltà durante la vivencia e manifesta
all’insegnante la necessità di un dialogo privato. L’atteggiamento dell’insegnante di Biodanza
durante il colloquio deve limitarsi all’”ascolto attivo”. Non si tratta pertanto di una sessione
di psicoterapia.
Il colloquio individuale è uno strumento metodologico supplementare di appoggio, che
consente all’insegnante di offrire all’allievo un’assistenza individuale, quando questa è
necessaria.”
Mi piace evidenziare come Rolando Toro abbia circoscritto questo strumento, chiaramente
indicato come “supplementare”, “eventuale” e “di appoggio”.
38
In primo luogo, è l’allievo che manifesta all’insegnante la necessità di un dialogo privato e, in
secondo luogo, quanto “sente difficoltà durante la vivencia”. Tale colloquio quindi si prefigge
un ambito ben delimitato, quello delle difficoltà durante la vivencia (e non delle difficoltà in
termini generali) e si dà solo se l’allievo spontanemente manifesta l’esigenza di parlarne in
privato (e quindi non durante il relato) con il conduttore.
Rolando Toro inoltre indica una precisa modalità del colloquio, che non ha natura di
psicoterapia (nemmeno se il facilitatore per avventura lo fosse!), bensì di “ascolto attivo”.
Tuttavia, quella dell’ascolto attivo è una modalità che appartiene specificamente alla
corrente della psicologia umanistica (Carl Rogers) e della terapia centrata sul cliente. Un
riferimento quindi a mio avviso che, se esploso, richiederebbe al facilitatore conduttore più
della buona volontà, ma probabilmente una specifica conoscenza e un relativo saper fare.
Alcune considerazioni, in primo luogo che delle due fenomenologie verbali Rolando Toro dà
assoluta preminenza a quella di grupppo, vale a dire al relato de vivencias, che è parte
essenziale della metodologia di biodanza, mentre il colloquio individuale è solo uno
strumento metodologico eventuale e supplementare.
In secondo luogo, la continua attenzione a non fare mai in nessuna circostanza della
“psicoterapia”, che, secondo me, per Rolando Toro equivale alla psicoterapia verbale,
analitica, interpretativa40. Sempre nella metodologia V, infatti, ci ricorda che: “il gruppo di
Biodanza è un catalizzatore di processi integrativi e non un sistema di ‘elaborazione
analitico-verbale di sintomi’”.
Ritengo che vi possano essere anche altre occasioni di colloquio personale con l’allievo, ad
esempio, all’inizio di un percorso se questo avviene a gruppo già formato, dove si potranno
fornire quelle informazioni che normalmente si danno al gruppo all’inizio dell’anno.
Non mi sembra invece che la metodologia preveda colloqui individuali per la valutazione del
percorso personale, né intermedi né finali. O meglio, in realtà, è prevista una articolata
metodologia di valutazione (Metodologia VI) ma che poggia su due pilastri, questionari di
autovalutazione da completare da parte dell’allievo e sulle osservazioni del conduttore (sia
sul movimento che sulla condivisione), mentre non pare vi sia un chiaro mandato di valutare
tramite specifici colloqui.
40 Io ovviamente non sono un esperto del settore ma so che esistono anche approcci terapeutici che partono dal corpo e che hanno lo statuto di “psicoterapia”.
39
Come si parla in biodanza: una sintesi
Ritengo utile proporre una tabella sinottica riepilogativa:
Ambito Descrizione Obiettivo Caratteristica della parola
Teoria Spiegazione dei fondamenti della biodanza
Facilitare l’esperienza della vivencia dando il permesso intellettualeRidurre l’asimmetria conduttore allievo
Prevale la spiegazione, ma mai sconnessa da una parte vivenciale
Condivisione Espressione in prima persona dei vissuti delle vivencias
Integrazione con sé, con l’altro e con il mondoConnessione integrativa vivencia, emozione, sentimento
Parola autentica ed emozionata, la posizione di ascolto attivo la facilita
Consegna* Spiegazione del movimentoProiezione esistenzialeEvocazione di stati d’animo
Dà all’allievo lo stimolo per accedere alla vivencia
Parola essenziale, chiara, aderente ai vissuti, non anticipatoria dei vissuti,biocentrica, che nasce dalla vivencia del conduttore
Vivencia con parola Esprimere all’altro la mia vivencia
Stimolare un linguaggio affettivo e poetico
Parola emozionata
Colloquio con gli allievi
Ascoltare le difficoltà dell’allievo nel percorso di biodanzaInformare
Offrire un’assistenza individuale all’allievo in difficoltà
Ascolto attivo, nessuna interpretazione
* La consegna non è solo verbale in quanto può contemplare la dimostrazione vivenciale
40
CONCLUSIONI: nel cammino verso l’integrazione
Sono contento di aver fatto questo lavoro, perché mi ha fatto apprezzare molto il materiale
della formazione e tutto quanto ci è stato passato durante gli anni di formazione, sia teoria
che vivencia.
Mi sento solo all’inizio del viaggio dove la biodanza e i biodanzanti sono compagni in un
cammino fatto di apprendimento e fatto di vincolo alla vita.
Non ho quindi alcuna pretesa scientifica ma solo di aver messo insieme un po’ di teoria con
la mia vivencia e in questo mi sento bene.
Nel colloquio che ho avuto con Sergio Cruz sul materiale della monografia ho avuto un
feedback davvero utile e credo che da questo scaturisca anche la mia conclusione, che è
diversa da quella che avevo inizialmente pensato.
Inizialmente al centro della scena c’era la parola, quella cosa lì da sospendere, ma che anche
a me piace molto. Volevo quindi concludere dicendo a chi osteggia la parola, ok hai ragione
ma forse non sai usarla, forse non la conosci abbastanza. E concludere quindi con una difesa
della buona parola.
Questo andrebbe bene, e argomenti ve ne sono nel mio ragionamento, ma è riduttivo. Oggi
vedo al centro della scena l’umanità nella danza della vita. Ci siamo noi facilitatori e ci siamo
noi biodanzatori, in fondo non c’è differenza alcuna.
La qualità importante che portiamo nella parola è data dalla nostra integrazione, dalla nostra
connessione qui e ora con noi stessi e, di conseguenza, con il gruppo. E’ lì che nasce l’arte
della parola, germina dalla coltura dell’integrazione.
Non c’è una parola buona e una cattiva, non c’è giudizio, ci sono uomini sulla strada
dell’integrazione, lungo l’asse verticale del modello teorico della biodanza, in cammino per
realizzare se stessi. E più il facilitatore continua ad educare se stesso attraverso la vivencia
integrante della biodanza41 e più potrà proporre biodanza in un modo in cui anche la parola
potrà scaturire dal suo bagaglio vivenciale, dalla sua frequentazione del qui e ora, e sarà
entusiasmante, emozionata, evocativa, e soprattutto giusta per quelle persone in quel
momento.
41 … e anche attraverso lo studio come diceva Rolando!
41
In definitiva come in un modello frattale la biodanza genera se stessa attraverso la
frequentazione continua anche da parte del facilitatore di questo suo Paradiso.
Caro Sergio,
Un grazie particolare a te, alla fine di questo lavoro, per questo Paradiso che contribuisci a
creare.
42