LA NUOVA ALTERNATIVA - ANNO I N.215 - APRILE 2015

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LA NUOVA ALTERNATIVA ANNO i – n.215 – Aprile 2015 rivista Pubblicata online Fernando Rucci editore

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Periodico di cultura, polita e attualità

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LA NUOVA ALTERNATIVA

ANNO i – n.215 – Aprile 2015 rivista Pubblicata online

Fernando Rucci editore

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La Nuova

alternativa Periodico di politica, cultura e attualità Aut. Trib. Di Pescara n.4 / 31-1-1984

Redazione Direttore responsabile Avv. Fernando Rucci Segretario e curatore dei contenuti Massimo Innocenzi Responsabile IMPAGINAZIONE E PUBBLICAZIONE Franco Avino COMITATO DI REDAZIONE Armando Pannone Maria Concetta Nicolai Sergio Pintus Paolo Ruta Giuseppe Legato Luciano Grauso

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EDITORIALE

Riprendiamo la pubblicazione (online) de “La Nuova Alternativa”, voce ufficiale della Unione Logge

Sovrane del Mediterraneo, perché, oggi più che mai, appare evidente quanto sia necessario,

attraverso una alternativa di pensiero, pervenire ad un rinnovamento delle coscienze, in una società

che sta distruggendo se stessa, costruendo, inesorabilmente, passo dopo passo, la sua rovina.

Tutti i valori fondamentali dello spirito umano sono stati dimenticati, sacrificati sull’altare del

consumismo al fine dell’accumulo di ricchezze, come se realmente l’uomo potesse identificarsi in un

immenso tubo digerente, pronto a soddisfare i propri bisogni materiali.

Abbiamo, in diverse occasioni, esaltato la potenza dell’Uomo; idealizzandolo a tal punto da

rivendicare per lui la natura divina.

Lo abbiamo voluto libero dalle stupide superstizioni, dal fanatismo e da ogni forma di

condizionamento ideologico e politico, non certo per vederlo, poi, cadere vittima della sua stupidità;

del prevalere della forza istintuale sulla ragione; della materia sullo spirito.

Non rinunciamo alla nostra battaglia per la rivalutazione dell’Uomo, confortati in questo dalle parole

del Cristo, che definiva se stesso il “figlio dell’Uomo”, nella consapevolezza che sono i liberi pensatori

a dover promuovere e sostenere la necessaria rivoluzione culturale; indispensabile perché si verifichi

il giusto rinnovamento nelle coscienze; momento iniziale di un più ampio fenomeno di rinascita

spirituale.

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La Massoneria è stata, da sempre, l’artefice delle grandi svolte; della grandi rivoluzioni, perché, pur

non facendo politica, ha determinato il rinnovamento delle idee, favorendo nei cittadini la presa di

coscienza dei propri diritti.

Abbiamo sognato una Europa Nazione e, per l’ingordigia di alcuni, ci ritroviamo in una Europa delle

banche; dove, invece di godere di maggiore libertà, abbiamo rinunciato a parte della nostra

sovranità nazionale; dove i destini dei popoli vengono decisi da “alcuni signori”, che non rispondono

a nessuno del proprio operato, come si evince chiaramente leggendo gli ultimi accordi

internazionali.

Stiamo inevitabilmente scivolando verso una forma di dittatura economica, che, ben presto, si

trasformerà in dittatura politica, poiché siamo divenuti polli in batteria da sacrificare sulla tavola del

commensale di turno.

Ma poiché, all’atto della iniziazione, siamo stati ricevuti in quanto uomini liberi e di sani principi

morali, non possiamo rinunciare alla libertà di pensiero e di azione, perché, altrimenti, non

potremmo più dirci liberi muratori.

L’Uomo è in grado di essere e di usare, tutto ciò che percepisce, in quanto tutto ciò che percepisce

è, in un certo senso, parte del suo stesso essere.

Può perciò soggiogare alla sua volontà individuale tutto l’Universo nella sua essenza.

Infatti, non appena l’Uomo diviene una cosa sola con l’Universo, qualsiasi sistema di misura cessa di

esistere.

La Massoneria vuole riunire ciò che è stato diviso; far riscoprire all’Uomo la sua natura divina,

affinché con la sua forza di volontà possa modificare la realtà che lo circonda e riappropriarsi delle

sue primigenie capacità, e completando la sua evoluzione, riscoprire di essere Dio, poiché, in caso

contrario, saremo destinati alla regressione spirituale ed alla involuzione e tutto sommato, ci

dispiacerebbe, in un futuro non molto lontano, essere schiavi sul “Pianeta delle Scimmie”.

Fernando Rucci

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Considerazioni sull’iniziazione alla Massoneria

E sul significato dell’acronimo V.I.T.R.I.O.L.

1. Il fine della Massoneria

La Massoneria si prefigge lo scopo dichiarato di permettere all’Essere umano di compiere un’investigazione interiore, alla ricerca di se stesso, percorrendo una peculiare via spirituale caratterizzata da un’analisi introspettiva, attraverso la quale l’iniziato possa gradualmente entrare in relazione con l’intima essenza della sua coscienza in modo da attuare prima il contatto e successivamente l’unione, sino alla fusione, tra la sua coscienza individuale e la coscienza e l’essenza divine così pervenendo alla conoscenza dell’autentica ed originaria Natura umana. L’ineludibile punto di partenza di questa straordinaria esperienza è rappresentato dall’oblio della scissura animica, vale a dire dal distanziamento psicologico dal dramma originario rappresentato dalla rottura dell’Unità dei primordi che vedeva l’essenza coscienziale umana come aspetto

dell’unica Coscienza divina trasfusa nell’incarnazione dell’Essere creato dall’Infinito Amore.

E’ questa originaria scissione, dunque, il motivo della decadenza dell’essere umano che si ritrova, attonito, “gettato nel mondo”, come afferma Heidegger, affannosamente alla ricerca di una “felicità” che non può che essere caduca in quanto limitata alla contingenza di un arco di vita biologica di per sé limitato. L'irriducibilità dell'esistenza e della libertà del singolo, razionalmente inconciliabile con l'assoluta trascendenza dell'Essere (che per S. Kierkegaard corrisponde all'Ente Supremo), genera un’antinomia

che evidenzia l’angosciosa consapevolezza dell’inconoscibilità dell’Essere.

Da questa apparentemente insuperabile antinomia non si può uscire, secondo sia Kierkegaard sia Heidegger, che ripetendo la ricerca dell’Essere. In Kierkegaard questa ricerca appartiene al singolo e al suo rapporto con Dio; in Heidegger, il singolo è piuttosto un mezzo, o meglio una apertura, attraverso cui il senso dell'Essere si manifesta.

Ridestare l'uomo alla capacità di conoscere l'Essere significa, per Heidegger, innanzitutto evidenziare la differenza ontologica che separa, senza dividerlo, l'Essere nella sua trascendenza da ciò che concretamente è, ovvero l'ente.

Qual è, perciò, il vero scopo di ogni autentica ricerca? Non può che essere il ritrovare in sé la propria, edenica unità, quella unità mortalmente perduta per “nequizia”, come afferma Platone o, come sostiene Plotino “per la temerarietà del libero arbitrio ”, tema quest’ultimo di straordinaria importanza visto che chiama direttamente in causa, per aspetto etico, la responsabilità

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dell’individuo per le sue azioni, mentre in ambito scientifico determina un'indipendenza del pensiero inteso come attività della mente e l’indipendenza della mente stessa dalla pura causalità scientifica.

E’ in quest’area di riflessione che può svilupparsi, altresì, la Weltanschauung per i nostri tempi ai fini di una ormai indilazionabile fondazione assiologica che tragga frutto dalle esperienze del passato per ostruire la casa delle future generazioni

Nell’essere umano, dunque, alberga una commistione tra materia e spirito, corpo e anima, intelletto e passione e, in breve, tra umanità e animalità. Ognuna di queste componenti percorre, in modo naturale, la propria strada, tende ad orientare la vita dell’uomo a proprio vantaggio prevalendo su ogni forza contraria.

L’intelletto e la coscienza, simboli dell’umanità e fattori fondamentali dello

sviluppo spirituale, tendono sempre a trascinare l’essere umano verso la purezza e le virtù. La passione, simbolo dell’istintività, invece, cerca di disarmare l’intelletto e la coscienza, di sgombrare la strada alle cupidigie e alle brame, affinché l’uomo sia totalmente libero di soddisfare i propri istinti. Solo l’essere umano è quindi libero di scegliere se comportarsi da essere umano o da animale. A tal proposito, si legge nel Corano: “Noi gli abbiamo mostrato il retto sentiero, è lui che deve decidere e scegliere la propria via: essere riconoscente e scegliere il sentiero che gli abbiamo indicato o deviare da esso, dimostrandosi così ingrato”.

2. La via iniziatica

La via iniziatica, dunque, è la sola che possa riunire ciò che è sparso e, perciò, insignificante, ricostituendo la primigenia Unità significante che, in quanto tale, assume ed esterna significati. Tuttavia, per riunire ciò che è disperso, l’unica strada è quella di distaccarsi ulteriormente da ciò che immanentisticamente “E’”, il che si traduce in una sofferta ma necessaria “separazione” dalle effimere certezze del Presente per recuperare il senso della acronicità assoluta (ab – soluta, cioè sciolta da qualsivoglia legame

contingente), tipica di uno stato dell’Essere aspaziale ed atemporale, in quanto tale affrancato e libero nell’Unità consustanziale animica con la Divinità.

Ananda Kentish Coomaraswami scrive: “…l’uomo deve staccarsi da se stesso. Solo nella misura in cui ti stacchi da te stesso, sei padrone di te stesso. Nella misura in cui sei padrone di te, ti realizzi. Nella misura in cui ti realizzi, realizzi Dio e tutto ciò che ha creato”. Ed a questo punto entra in scena il concetto di anamnesi, già presente nella visione orfico-pitagorica, ripresa da Platone soprattutto nel “Menone” e nel “Fedro”. Siamo dinanzi ad un processo di reminiscenza che, stimolato dalla percezione degli oggetti sensibili, guida l'uomo a riscoprire gradualmente

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nel proprio intelletto quelle Idee eterne che sono causa e origine del mondo fenomenico. In tal modo la conoscenza sensibile, distinta dalla conoscenza intellettiva, può offrire a quest'ultima lo stimolo per avviare un tale procedimento.

Questo processo di metànoia (dal greco µetάνοιa, composto dalla preposizione µetά, dopo, con e dal verbo νοέω, percepire, pensare) non può che realizzarsi attraverso la “purificazione dell’Anima” che Plotino definisce consistente “nel far getto di tutto ciò che è estraneo”.

Il viaggio all’interno dell’uomo, finalizzato alla purificazione dell’Anima ed all’ascensione al livello divino, si delinea e si sostanzia nell’iniziazione, termine che deriva dal latino col significato di avviare una particolare azione o dare l’avvio ad uno speciale evento.

Il termine significa anche, più profondamente, “in – ire”, cioè un movimento dall’esterno verso l’interno nel senso della penetrazione nella più intima essenza della mente e della natura umana, alla ricerca ed alla riattivazione degli “elementi” della Natura divina, giacenti assopiti nel subconscio e che, episodicamente, possono provvisoriamente ridestarsi sollecitati da particolari esperienze

extra-ordinarie.

Questo sorprendente viaggio è magnificamente presentato e descritto metaforicamente ed allegoricamente nella Divina Commedia dantesca, ad un terzo livello interpretativo dell’opera.

In altri termini, l’iniziazione consiste nel progressivo ridestarsi ed attualizzarsi di ciò che già si è; in tal senso è bene aggiungere che nessuno può ridestare ciò che non esiste né può diventare ciò che non è.

Una simile constatazione può essere terribile per chi, abbacinato dai fantasmi fascinosi del suo essere, si illude che questi possano concretizzarsi proprio grazie al percorso iniziatico. Un’altra certezza è che non si ha processo iniziatico senza sottoporsi ad una serie indefinita di morti e di rinascite che si susseguono a spirale, producendo una sempre più pervasiva trans - formazione dell’essere individuale. Come sottolineano Chevalier e Gheerbrant, la morte iniziatica non è la fine dei processi biologici bensì il distanziamento ed il superamento graduali dalla condizione profana e, soggiungo io, il cammino dal Chaos al Cosmo, dalle tenebre alla Luce, dall’Ovest all’Est, dalla condizione di Finitudine e determinatezza allo stato di Eternità e di purezza.

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Sarebbe interessante, peraltro, approfondire se e quanto il cammino iniziatico possa influenzare i processi biologici dell’iniziato, inducendo in lui uno stato di sempre maggiore serenità interiore che, verosimilmente, innalza la soglia delle naturali difese immunitarie ed agevola gli equilibri omeostatici dell’organismo. Ma non è questo il momento ed il luogo per affrontare un simile e tanto complesso argomento. Ai nostri fini valga sottolineare come nel significato etimologico di “iniziazione” sia implicito il concetto di morte: “in – ire” differisce di poco da “inter – ire” e “interitum” che, secondo

l’illuminante interpretazione di Arturo Reghini, indicano il morire. Lo stesso Plutarco già faceva notare la concordanza fra “teleutan” nel significato di morire e “telestai”, essere iniziato.

Il profano che si presenta per principiare il suo cammino iniziatico in

Massoneria, una volta spogliato di tutti i suoi oggetti metallici, metafora di tutto ciò che nel Chaos risplende ingannevolmente, viene introdotto nel Gabinetto delle meditazioni (o Gabinetto delle riflessioni) ed ivi rinchiuso (secondo l’antico rituale il profano viene prima fatto entrare in una stanzetta appartata in cui, sopra un leggio posto fra due torce, si trova la Bibbia aperta al Vangelo di San Giovanni; lasciato per qualche minuto alle sue meditazioni, egli viene poi bendato e condotto al Gabinetto delle meditazioni e ivi rinchiuso con il divieto di togliersi la benda fino all’udire di tre colpi; dopo ciò egli potrà esaminare la stanza e redigere il suo testamento filosofico).

Secondo Oswald Wirth è questo “il primo insegnamento massonico: per imparare a pensare occorre esercitarsi nell’isolamento; vi si perviene rientrando in se stessi, guardando dentro senza distrarsi con quanto avviene fuori”.

3. Il Gabinetto di riflessione

La piccola stanza parata a nero, con evidenti emblemi e simboli della morte, è sobriamente arredata con un tavolino a tre gambe, scarsamente illuminato, e su di esso sono deposti un calamaio con penna, un foglio da scrivere, una candela, due ciotole contenenti Sale e Zolfo (ma si può trovare anche una terza ciotola contenente sabbia, simbolo di ambiente depurato, sterilizzato ed anche simbolo dell’ammonimento divino “Ricordati, uomo, che polvere sei e polvere ritornerai” ma, forse, come io ritengo, anche segno del tempo che scorre inesorabile)

Vi sono poi un pane secco, una brocca d'acqua, dei chicchi di grano, un teschio umano.

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Il pavimento, le pareti ed il soffitto sono dipinti di nero, per dare l'idea dell'antro nelle viscere della Terra.

Sulla prima parete, dalla quale inizia il simbolico primo viaggio, è raffigurato il segno zodiacale del Cancro, uno scheletro umano, la scritta V.I.T.R.I.O.L., i simboli alchemici dello Zolfo e del Sale, una lucerna ed una frase che invita a riflettere sulla propria determinazione nel voler proseguire. Vi è anche rappresentato il simbolo ermetico dell'Acqua.

Sulla seconda parete è dipinto il segno zodiacale della Bilancia, una porta socchiusa con uno Spioncino, il simbolo dell'Elemento Aria ed è posta una scritta circa le motivazioni che hanno condotto qui l'iniziando ammonendolo ad andarsene subito se non sono quelle giuste.

Se la curiosità ti ha condotto qui, vattene.

Se temi di mettere a nudo i tuoi difetti, starai male tra noi.

Se sei capace di dissimulazione, sarai scoperto.

Se tieni alle distinzioni umane, esci: qui non se ne conoscono.

Se la tua anima ha provato spavento, non andare oltre.

Se perseveri sarai purificato dagli Elementi, uscirai dall’abisso delle Tenebre e vedrai la Luce. Sulla terza parete è dipinto il segno zodiacale del Capricorno, una Falce, la Clessidra, una Finestrella con uno Specchio, il simbolo alchemico dell'Elemento Terra ed una scritta relativa alle "distinzioni umane".

Sulla quarta parete è disegnato il segno zodiacale dell'Ariete, un Gallo che canta, il simbolo dell'Elemento Fuoco e varie scritte di alto significato esoterico, relative al percorso iniziatico da intraprendere.

In particolare, sono tre le immagini che si possono trovare nella stanza:

- uno Scheletro, simbolo della totale spoliazione da tutto ciò che riguarda la vita profana, raffigurata anche nella consegna dei metalli, che si deve compiere su se stessi, per rinascere veramente;

- una Clessidra, raffigurazione di Saturno e quindi simbolo del Tempo che tutto divora, chiaro invito alla Pazienza ed alla Tolleranza;

- un Gallo, simboleggiante il risveglio delle forze, l’azione, l’elemento Fuoco, ed anche la fine della notte ed il trionfo della Luce sulle Tenebre.

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Nel Gabinetto delle meditazioni si svolge la prova della terra; la stanza simboleggia il ventre stesso della terra, l’iniziando deve simbolicamente morire, come i chicchi di grano, per poter poi rinascere a nuova vita e dare frutto, così come i chicchi di grano devono essere sepolti per poter dare frutto. La Terra accoglie nelle sue viscere il profano, la Madre-Terra che accoglie e protegge per rendere a nuova vita l’iniziando, come la madre naturale, che cela nel suo grembo il nascituro, lo protegge, lo nutre, lo prepara alla nascita, in questo caso alla ri - nascita. La tomba dell’iniziando diventa culla nel momento in cui è accolta nelle viscere della Terra.

Il pane e l’acqua sono la riserva alimentare che nutre il germe umano, che si appresta alla gestazione per ri-nascere, ma sono anche metafora del “necessario”, in senso materiale e spirituale, che deve bastare all’uomo saggio per vivere virtuosamente, in opposizione a tutto ciò che è superfluo, vale a dire a quanto “incrosta” l’involucro animico dello Spirito impedendogli di “respirare” (simbologia dell’Aria e del Soffio vitale) e quindi di elevarsi fino al punto di condividere il respiro divino fondendovisi.

Zolfo, mercurio e sale sono i tre principi fondamentali costituenti la materia e che, combinati in varie proporzioni, danno vita ad un corpo nuovo, immagine questa della trasmutazione alchemica che l’iniziando è chiamato ad operare su se stesso per giungere fino all’opera compiuta, rappresentata dalla “Pietra

filosofale”, metafora per antonomasia della realizzazione dell’Opera. In particolare, lo zolfo (sulfur) è il simbolo dello spirito, il Sale è il simbolo del corpo umano o, in senso strettamente ermetico, indica l’essenziale personalità dell’uomo. Il mercurio è il simbolo dell'anima.

Il sale e lo zolfo sono presenti nel Gabinetto di riflessione; manca il mercurio perché, per realizzare la sostanza "sottile" dalla quale, a sua volta, nascerà la "Pietra Filosofale" o "Polvere di proiezione" o "Elisir di lunga vita" occorre un processo attivato e realizzato dal fuoco.

Il profano è pronto per ricevere la Luce, come il sale è pronto all'incontro con il mercurio. La Luce provocherà l'ignizione dello zolfo e da quel momento in avanti l'iniziato non subirà più passivamente le influenze esterne, come un albero aggredito dal vento, ma se ne servirà selezionando quelle che lo aiuteranno nella sua crescita spirituale e scartando invece le altre. Il Vangelo esorta a “separare il grano dal loglio”, nel linguaggio ermetico si parla invece di “coagulazione del mercurio”. Il processo attivato si distingue in tre fasi: 1 - Distillazione

2 - Coagulazione o Fissazione

3 – Sublimazione

Le tre fasi sono dette anche: Opera al nero (nigredo), opera al bianco (albedo), opera al rosso (rubedo).

Si susseguono anche quattro operazioni:

1 – Calcinazione

2 – Putrefazione

3 – Soluzione

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4 - Unione

Così l’Alchimia è sì l’Arte di natura trascendentale e spirituale ma è, soprattutto, la “scienza di Dio” (il prefisso “Al” in arabo indica, per l’appunto, l’Essere supremo ed onnipotente, come in “Al-lah”).

4. Il testamento filosofico

Al termine di un adeguato periodo di riflessione, il profano è invitato a rispondere per iscritto a tre domande fondamentali circa i Doveri dell’uomo nei riguardi dell’Umanità, della Patria e di se stesso. Originariamente le tre domande vertevano su Dio, sull’Umanità e su se stessi ed avevano lo scopo di rimarcare le basi etico-filosofiche della Massoneria. Come sottolinea Umberto Porciatti è evidente che il concetto di Famiglia è contenuto in quello di Patria, questo è contenuto in quello di Umanità, così come l’idea del prossimo include Famiglia, Patria ed Umanità.

Circa il significato di tale testamento, si può senz’altro affermare che si tratta di un testamento filosofico ma che, nel contempo, rappresenta anche un itinerario di viaggio, una sorta di mappa di orientamento per l’esplorazione della nuova vita che si prospetta abbandonando definitivamente il mondo profano per accedere alla prospettiva iniziatica. Il testamento non è affatto una semplice formalità, poiché soltanto dopo la sua lettura ed approvazione da parte dei fratelli di Loggia sarà consentito al profano di accedere alla

prosecuzione del rito di iniziazione, affrontando le altre tre prove.

5. V.I.T.R.I.O.L.

Nel Gabinetto di riflessione la parola che troneggia a lettere dorate sulla parte nera e che, pertanto, richiama immediatamente l’attenzione del profano è V.I.T.R.I.O.L., termine che può lasciare interdetti o indurre uno stato di ansia per la sua misteriosità. Si tratta di un acrostico ermetico, ideato dall'alchimista rosacrociano Basilio Valentino che si traduce in Visita Inferiora Terrae Rectificandoque Inveniens Occultum Lapidem con questo significato: “Penetra nelle viscere della Terra e, percorrendo il retto sentiero, scoprirai la pietra che si cela ai tuoi occhi”. L’acronimo viene anche così sviluppato: Visita Interiora Tua

Rectificandoque Inveniens Occultum Lapidem, con il significato di: “Penetra nelle profondità del tuo essere e, percorrendo il retto sentiero, scoprirai la pietra che si cela ai tuoi occhi”.

Analizziamone le varie parti:

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Visita Inferiora Terrae: è un esplicito invito rivolto all’uomo, in generale, ed al recipiendario, in particolare, ad indagare instancabilmente e senza alcuna remora nelle pieghe più profonde del proprio Sé, fino alle soglie del baratro dantesco in cui si profila l’Inferno, in cui tutto è “pianto e stridor di denti” per l’eternità. Questa coraggiosa azione indagatrice interessa la parte più “pesante”, grezza della materia prima umana e, secondo un rigoroso procedimento alchemico iniziale, ha la finalità di separare il puro dal misto, iniziando così il duro lavoro di “sgrossatura” della pietra grezza.

Abbiamo già evidenziato come l’Essere umano sia una simbiosi di Materia e Spirito. Questa dualità, risultato della perdita originaria dell’unità, è foriera

di continuo dolore, espressione di un’angoscia esistenziale che non potrà mai avere fine in una dimensione vitale tutta centrata nel Chaos della vita profana.

Ecco perché nel profondo del cuore di ciascun Essere umano arde la scintilla dell’anelito al ricongiungimento con Dio.

Rectificando: nel crogiolo alchemico il processo di trasmutazione continua. E’ qui che la pietra grezza subisce un secondo intervento ad opera dell’acqua. L’acqua è uno dei quattro elementi che compongono il Mondo (insieme a Fuoco, Aria, Terra). Il simbolismo alchemico attribuito ai "Quattro Elementi" è il seguente: FUOCO- Triangolo rivolto verso l'alto per indicare la proprietà di ascendere al cielo; ACQUA- Triangolo rivolto verso il basso per indicare la proprietà di discendere verso la terra, tagliato da un segmento, per segnare la capacità spontanea di estensione; ARIA- Triangolo rivolto verso l'alto tagliato da un segmento, per indicare la capacità spontanea di estensione; TERRA- Triangolo rivolto verso il basso per indicare la capacità di scendere verso il basso. Ai quattro elementi sono accoppiate le rispettive qualità, sensazioni e colori: Fuoco - caldo - luce- rosso; Acqua -umido -liquido -blu, Aria - secco - gas – bianco; Terra - freddo - solido – nero (da notare le corrispondenze con la massonica tetrade cromatica). I due elementi fluidi, aria ed acqua, sono considerati i principali enti di trasferimento rispettivamente del calore (fluido oscuro) e della luce (fluido luminoso), e sono correlati all'influsso (Energheja) del firmamento, che tramite il trasferimento del suo potere di informazione (= capacità di dare forma alle cose), muove i venti ed il mare, determinando il movimento e che, generando i fulmini, feconda la terra. Attraverso l’azione dell’acqua, dunque, il “misto” è dissolto dalle sue impurità. Si osserva che l'acqua è un elemento usato da

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secoli in magia, ma anche nelle varie religioni essa svolge una fondamentale funzione poiché è sinonimo di pulizia e purificazione.

E' con l'acqua santa che si benedice, è nell'acqua corrente che si gettano i resti di un rituale.

L’acqua è l’elemento fondamentale per diluire il misto, cioè per separare il puro dal vile, dissolvendo le impurità. E’ da notare, fra l’altro, che, secondo la scienza chimica, una molecola di acqua è composta da due atomi di idrogeno (H) ed uno di ossigeno (O) per cui si ha l’espressione H2O. L’idrogeno e l’ossigeno, considerati individualmente, hanno peculiari, fondamentali proprietà energetiche.

In senso metaforico, la diluizione è la rappresentazione del dissolvimento dell’acidità

del dubbio nella coscienza dell’iniziato che acquista consapevolezza della strada su cui incamminarsi, così sciogliendo ogni perplessità ed ogni remora che lo lega ancora alla vita profana.

Nel simbolismo muratorio il “rectificando” corrisponde alla paziente e sagace levigazione della pietra grezza, al fine di predisporre al meglio la pietra cubica che sarà oggetto di ulteriore levigazione. È attraverso quest’opera di purificazione che si compie la rigenerazione dell’uomo, spirituale, animica e fisica. Questa fase risanatrice è magnificamente rappresentata nelle parole di Gesù a Nicodemo: “In verità ti dico che se uno non nasce di nuovo non può vedere il Regno di Dio”, ed è anche simbolizzata, altrettanto manifestamente a chi “ha orecchi per intendere” nel “Purgatorio” della “Divina Commedia” in cui Dante, giunto alfine al termine del suo secondo viaggio, dichiara: “Io ritornai da la santissima onda rifatto sì come piante novelle rinovellate di novella fronda, puro e disposto a salire a le stelle”. Riguardo alla sua “Commedia”, infatti, Dante scrive: “O voi che avete l’intelletti sani mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani”. L’uomo, in definitiva, è un microcosmo che riflette il macrocosmo. Inveniens Occultum Lapidem: i Liberi Muratori non aspirano all’oro degli Alchimisti, né al dominio dei segreti della Natura, né tanto meno all’elisir di lunga vita, bensì ad accendere la stilla divina che giace assopita nel più profondo di ogni essere umano. Nella simbologia alchemica lapis exilis rappresenta la "pietra pura" o "pietra filosofale" che, apparentemente fragile, è dotata dell’intrinseca qualità di penetrare e rivitalizzare la materia e lapis philosophorum rappresenta il punto culminante della ricerca alchemica.

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Il fuoco dei massoni, espressione della loro sublime aspirazione, è riposto nella Stella a cinque punte che campeggia in tutto il suo splendore sopra il Trono del Maestro.

La lettera “G” incisa su di essa indica Virtù Generatrice ma anche Geometria ad indicare che tutto quanto si compie nel Tempio massonico dev’essere geometricamente perfetto.

Una è la via della Conoscenza, della scoperta e dell’affinamento (Rectificando) profondo di sé medesimo (Visita Interiora Tua) e della risonanza col TUTTO (Inveniens Occultum Lapidem).

Si tratta, in definitiva, di un’autodistruzione e di un’autorigenerazione che presentano, tuttavia, molti e gravi pericoli, il più grave dei quali potrebbe essere la dispersione delle forze che compongono l’individualità dell’uomo.

Gli egizi mettevano in guardia in questa operazione, in quanto l’anima poteva venir assalita dai quarantadue Dei che l’avrebbero fatta a pezzi con i coltelli.

Rimanendo nell’alveo della tradizione esoterica egizia non si può non fare riferimento al viaggio notturno del dio Sole nell’Ade, la cosiddetta “discesa agli Inferi” che ci riporta, ancora una volta, al “visita interiora terrae rectificando” della Porta Magica: è il viaggio cosciente del principio solare attraverso varie prove e pericoli “rectificando” tutto ciò che è necessario affinché il “volatile” alchemico divenga “fisso” ed il Sole possa nascere, vittorioso, al termine del pericoloso viaggio.

Gli Inferi, quindi, costituiscono la simbolica terra che deve essere “conosciuta”. Il Duat, il “luogo” ove debbono essere compiute queste peregrinazioni non indica un luogo estraneo o lontano bensì la “Terra” che deve essere “conosciuta” dopo averne spogliato il sigillo: l’interno stesso della compagine tellurica individuale.

Una seconda interpretazione dell’acronimo V.I.T.R.I.O.L. si richiama direttamente all’Arte alchemica e si riferisce all’olio verde o olio di vetro, detto vitri oleum, sede dell’oro celeste e, pertanto, prezioso, vero oro degli Alchimisti, dispensatore di tutta l’energia attrattiva necessaria e della virtù coagulante e ritenente dello spirito (L’OR Y EST), grazie alla quale potrà costituirsi un corpo nuovo la cui struttura è intimamente trasformata. Questa interpretazione, evidentemente, si discosta da quella consolidata di “vetriolo” inteso come il composto chimico ottenuto miscelando lo zolfo con diversi metalli o elementi, fino a formare quello che nella chimica profana è conosciuto come “acido solforico”, sostanza corrosiva per

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eccellenza e quindi in grado di mondare i metalli vili dalle loro impurità per farne basi per la successiva trasmutazione in oro.

Un’ulteriore, terza interpretazione di VITRIOL riguarda la stessa struttura dell’acronimo, formato da sette lettere. La tradizione dottrinale alchemica, tuttavia, ci presenta l’acronimo non solo nella versione comunemente conosciuta in ambiente massonico ma anche nella sua forma enneadale, cioè composta di nove lettere, per cui si presenta così: V.I.T.R.I.O.L.U.M. con il significato di “Visita Interiora Terrae, Rectificando Inveniens Occultum Lapidem Veram Medicinam”.

Ritengo che la forma enneadale possa essere collegata alla Grande Opera Cosmica che si rispecchia nella Piccola Opera all'interno dell'uomo. La Piccola, come la Grande Opera, si basa, come già accennato più sopra, su 4 elementi,

caratterizzati da 4 Qualità Elementari; 3 principi Filosofici; 2 Metalli Nobili elementari e la Pietra Filosofale, o Crisopea, a coronamento dell'Opera. Questi dieci fattori trovano compiuta collocazione nella Tetractys alchemica, che può essere rappresentata come un triangolo rovesciato:

Terra + Acqua + Aria + Fuoco

Zolfo + Mercurio + Sale

Argento + Oro Pietra filosofale

Sono allora evidenti le connessioni con il quadro dei 9+1 principi elementari della tradizione ermetico-alchemica, che si unisce alle enneadi iniziatiche di altre tradizioni:

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L'enneade muratoria = i nove strumenti

L'enneade cabalistica = i nove sefiroti

L'enneade della gnosi cristiana = i nove eoni

L'enneade greca = le nove muse

L'enneade dantesca = i nove cori angelici

Si evidenzia qui tutta l’importanza dei contributi dei Rosa+Croce che, alla fine del XVII sec. entrarono in numero sempre crescente nelle Logge di tutta Europa apportandovi i loro insegnamenti di fonte egizia, talmudica, essenica.

Occorre anche notare che nelle Clavicole di Re Salomone si legge che il 9 è il numero dell'iniziato, il grande numero magico. Nove, infatti, sono i gradi dell'iniziazione la quale, essendo una rigenerazione spirituale, avviene nel mistero. Sempre secondo i cabalisti questo numero, essendo il quadrato di tre e quindi tre volte trinitario, si riflette nel cielo nei nove cori degli angeli che governano le sfere celesti.

Sappiamo che con il 9 si conclude l'enneade, che era la base dell'antico sistema di numerazione greco e la lettera che vi corrisponde è la q, inizio della parola qeòV, che vuol dire Dio in un senso meravigliosamente più profondo e coinvolgente rispetto al “tradizionale” termine theòs. È simbolo di verità totale, completa e immutabile perché il 9, moltiplicato per qualsiasi numero, non muta la sua identità giacché dà un prodotto che riproduce sempre il 9. Tirando le conclusioni, l’acronimo V.I.T.R.I.O.L., a struttura settenaria, rimanda al numero magico 7 ottenuto come 4 + 3 = 7 cioè unione dell’umano con la

divinità considerata nella sua perfezione. Sette sono le note musicali; sette i giorni della settimana; sette le meraviglie del mondo antico: la Piramide di Cheope (a Giza), i Giardini pensili di Babilonia, la statua di Zeus a Olimpia, il tempio di Artemide a Efeso, il Mausoleo di Alicarnasso, il colosso di Rodi, il Faro di Alessandria. E ancora, sette i colori dell'arcobaleno e sette i doni dello Spirito Santo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio); sette i sacramenti (battesimo, cresima, eucarestia, confessione, ordine sacro, matrimonio ed estrema unzione). Il settimo pianeta del sistema solare è Saturno, pianeta con effetti positivi e negativi. I numeri 7 e 13 sono associabili per dar vita ad originali regole di divisibilità.

Il settimo atomo della tavola periodica è l'azoto, il cui nome a- zoto significa assenza di vita, ed infatti uno dei simboli di Saturno è la falce.

Sette, infine, sono anche le benedizioni di Abramo e nella cabala ebraica il numero 7 corrisponde alla lettera zain (la lettera Z dell'alfabeto latino), e rappresenta spirito, sostentamento, lotta.

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Nel caso dell’enneade V.I.T.R.I.O.L.U.M. risalta il numero 9. Nove sono i mesi della gestazione nella specie umana ed è più che evidente il periodo di gestazione simbolica dell’iniziando nel ventre della Madre Terra per rinascere alla Nuova Vita.

Nell'antica Grecia nove erano le arti umane personificate dalle nove muse: astronomia (Urania), canto sacro (Polimnia), commedia (Talia), danza e corale (Tersicore), poesia amorosa (Erato), storia (Clio), tragedia (Melpomene), canto elegiaco e lodi (Calliope), inni di festa (Euterpe).

Il nono pianeta del sistema solare è Nettuno, strettamente associato all'elemento acqua, la cui orbita si interseca con quella di Plutone per cui, in determinati periodi, diventa Plutone il nono pianeta. Nella cabala ebraica il numero 9 corrisponde alla lettera tet (la lettera T dell'alfabeto latino), e rappresenta la bontà.

La parola V.I.T.R.I.O.L, composta di sette lettere come le parole A.G.D.G.A.D.U. ed A.U.T.O.S.A.G., ci introduce per mezzo della V (lettera Vu, oppure valore 5), al mistero del settenario, al fine di far sì che, una volta conosciuto il senso dell’enneade, sia possibile intelligere il Supremo mistero dell’UNO, che è quattro e che è sette, affinché il DIECI si compia.

F B

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Il significato esoterico della fondazione di Roma

Questo articolo non si rivolge ad un pubblico di profani, che considerano la storia come la cronologica evocazione di vicende umane; né a quei poco illuminati teorizzatori di dottrine arditamente razionalistiche che vedono nell’essere umano l’unico, determinante artefice della storia; né si rivolge ai fedeli sostenitori del principio di causalità, imponderabile all’origine, indeterminabile nel fine, inesorabile nel ritmo; ma parlo a voi, miei FFr., iniziati come me alla lettura della tradizione, e quindi alla progressiva scoperta di quei valori che sostanziano la

Terra, l’Uomo, nei simboli grafici e verbali. Tra i simboli verbali grande importanza hanno le leggende, che non sono pure invenzioni, e, seppure appaiono ornate di fantastiche volute, hanno sempre un cuore, un calice centrale, che racchiude semi preziosissimi, destinati ad andare lontano nel tempo. Sono un po’ come quei semi anemofili, che la natura riveste di tessuto leggero, perché siano lievi sulle ali del vento. Il gerundivo “legenda”, in latino, significa (a seconda del verbo da cui si fa derivare) “cose che debbono essere lette”, oppure “cose che debbono essere scelte”. Le leggende, dicevo, sono importanti, anche perché offrendo una suggestiva trama di fatti apparentemente insoliti, narrati in un tono vagamente lirico, scivolano dalla mente al cuore e (attraverso una sequenza di simboli, legati assieme da un sottile filo conduttore, al cuore che sa intendere) dicono parole di Verità. Una ben nota leggenda narra di un prodigioso incontro tra il divino e l’umano, o meglio, di una provvidenziale proiezione del piano metafisico sul piano fisico. Un Dio, Marte, feconda una Vestale, Rea Silvia. Chi era Marte, nella complessa gerarchia degli Esseri celesti, ideata e definita in una fase della mentalità occidentale, comunemente detta pagana?

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E ancora: chi era Rea Silvia, nello spirito della leggenda? A questo punto occorre fare una precisazione: in tutte le religioni si distinguono una forma confusamente fideistica, piuttosto sommaria, miracolistica, che soddisfa le menti meno informate, gli spiriti meno evoluti, i miti cultori dell’autorità dell’inspiegabile; ed una forma superiore, autentica, “nobilis” (nel senso di genuina), a cui attinge chi ne ha la possibilità intellettuale e spirituale. Dai primi Marte era onorato come dio delle armi e della guerra. Essendo figlio, o meglio, incarnazione di Juppiter (Juris pater = padre della giustizia), era invocato a difesa dei deboli, a tutela di chi comandava per diritto divino.

Gli Iniziati a misteri, invece, identificavano Marte con l’energia vitale che proviene dal mondo soprannaturale; quell’energia che sveglia la coscienza, stimola all’azione, sostanzia la vis creativa, perché erompa ed agisca nella creazione in eterno divenire. Sempre secondo gli Iniziati, il suo intervento si rendeva necessario ogni qualvolta il verificarsi di una disarmonia avrebbe ritardato o ostacolato l’attuazione del Piano divino. Infatti, quando Roma ancora non esisteva e le civiltà mediterranee, per avere ormai esaurito la loro funzione, volgevano al tramonto, e l’Etruria, il cui insegnamento esoterico si era incanalato di un processo di interiorizzazione, sembrava aver svolto il suo ruolo, doveva necessariamente apparire la nuova “tedofora”, la portatrice di fiaccola, l’erede della facis vitae o luce del progresso. Era fatale. In un territorio predestinato, il Latium, in cui latent = sono nascosti, quali linfe sotterranee, i misteriosi principi divini, che danno alla

Terra la spinta necessaria per inserirsi tra i pianeti eletti; in questo territorio predestinato, dicevo, Marte – il Dio – feconda una creatura umana – Rea Silvia – una vergine votata al culto della dea Vesta. Il Divino scende nell’Umano; la scintilla iperuranea consacra la materia, affinché venga stabilito un nuovo ordine morale, sociale, civile e religioso, mediante il quale, ripeto, il piano terreste salga di qualche grado verso l’Ordine Primo. Le Vestali, come sapete, erano le sacerdotesse di Vesta, la dea onorata dagli Iniziati del tempo con l’ermetico appellativo di “custos fiammae”, custode della fiamma. Custos flammae e non diversamente; non custos ignis, ad esempio, custode del fuoco. La differenza tra i termini è sostanziale. Flamma (fiamma) è forma sincopata di flamen, soffio; il soffio che ascende. Custos flammae è quindi chi custodisce il soffio divino, l’emanazione dello spirito che incendia (incendit = accende dentro), che investe e trascina nella sua spirale avvolgente gli Eletti; che vuole rendere partecipi del Piano Divino. Sul territorio destinato a Roma discese lo spirito che infiamma e la sua custode fu chiamata Vesta. La religione popolare ne fece la sua dea del focolare domestico. Il suo tempio, edificato da Numa 4 decenni dopo la fondazione di Roma, sorgeva alle falde del pendio settentrionale del Paladino, su terra vergine (argilla gialla), nei pressi della fonte di Giuturna, la bella ninfa amata da Giove. A quella fonte, alcuni anni dopo, vennero a rinfrescare i loro cavalli polverosi i Dioscuri, i due esseri dalla lucente stella sul capo, discesi dal Cielo, per aiutare Roma a sconfiggere il superbo Tarquinio che, con la violenza e l’abbruttimento, alterava la funzione a cui la città era destinata.

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Il tempietto di Vesta aveva forma circolare ed era circondato da venti colonne. Al centro, in un breve recinto trapezoidale, non pavimentato sulla terra vergine, quindi, le vergini sacerdotesse, dette vestali, alimentavano il simbolico fuoco sacro con legna di quercia, l’albero caro alla più antica ed occulta tradizione, perché assorbe in quantità elevata e trasmette l’Energia cosmica. Era una Vestale Rea Silvia. Il suo nome è un simbolo che racchiude dati importanti per chi voglia orientarsi nella planimetria del mondo dello Spirito. Rea = la provenienza etimologica dal greco ρέω, scorrere, è evidente. Tuttavia, per meglio comprendere il significato ermetico di questo verbo, congiunto di altri termini, è opportuno riferirsi ad un particolare suggestivo ed eloquente: si chiamava Rea la madre di Giove, ed aveva sposato Cronos.

Se Cronos è il tempo, l’unione di questi due simboli rappresenta il fluire del tempo, l’inizio della dimensione nella quale ci muoviamo, l’inizio dell’esistenza (ex – sistere = stare al di fuori) al di fuori della vita senza inizio e senza fine. Ecco perché la madre di Giove presiedeva alla forma di vita proiettata nella dimensione e tempo, legata all’humus, e pertanto definita “umana”. Il nome Silvia, dal latino Silva = selva, racchiude tutta la silenziosa bellezza del mondo vegetale e, più precisamente, degli alberi, creature così armoniosamente vive, misteriosamente funzionanti, divinamente generose. Gli alberi sono ciechi, ma hanno la passione per la luce. Amano l’aria e respirano senza polmoni. La loro circolazione avviene senza il cuore; il loro movimento senza muscoli; la loro sessualità, forse, senza desiderio. Il mondo arboreo è il mondo della bellezza immaginata. Quella bellezza che fa presentire il regno della Perfezione. Se in base a queste considerazioni riusciamo a vedere negli alberi uno dei modi più raffinati in cui la Natura si esprime, nel nome di Rea, congiunto a Silvia, possiamo intuire della vita cosmica nelle forme più nobili della materia. Per raggiungere la pura sacerdotessa di Vesta, Marte si manifesta come fiamma che si stacca dal Fuoco sacro e avvolge Rea Silvia in un abbraccio luminoso e fecondo. E’ questo un caso di partenogenesi = concepimento (insolito) nello stato verginale, opportunamente ricorrente nella mitologia e nella Tradizione. Così è concepito l’indù Krishna. Zeus, la suprema divinità greca, spesso si fa luce o rugiada per raggiungere una creatura umana. Una fanciulla celtica, di nome Eri, sedendo sulla spiaggia, vide venire dal mare un battello, guidato da un guerriero che, avvicinandosi, appariva sempre più luminoso: era Eletha, una razza eletta a cui gli Irlandesi riferiscono le loro origini.

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Eletha, principe dei Fomori, indossa un abito d’oro che abbaglia ed incanta Eri. Si ferma a distanza, investe con la sua luce la fanciulla e con questa onda luminosa la feconda. Nasce così Bres, l’eroico difensore della sua gente, che i canti celtici devotamente osannano. L’atto creativo contemplato dalla partenogenesi è la discesa della luce dal mondo astrale nell’ombra della terra, sicché possa sbocciare in un grembo umano la vita che palpita nel grembo cosmico. Da Rea Silvia, resa madre da Marte, nacquero Romolo e Remo, i gemelli a cui è legata la storia della fondazione di Roma, la città sacra. A voi FFr. certamente non sfugge il significato semantico dei gemelli; l’essenza binomiale di ogni fenomeno vi è nota: la luce e l’ombra, il positivo e il negativo, il superiore e l’inferiore, il bene e il male… Condannati a morire dallo zio Amulio, furono deposti in

una cesta ed affidati al fiume; ma in quel momento le acque erano alte e, quando queste si ritirarono, la cesta restò all’asciutto, impigliata nei rami bassi di un fico. Nel vostro ricordo, a questo punto, affiora l’immagine di un’altra cesta, impigliata nelle canne di un grande fiume, il Nilo, contenente un neonato, uno solo. E’ evidente perché sia uno solo: Mosè deve trasmettere la legge del Dio unico, deve fissare i principi di una religione, deve operare solo nel campo dello spirito; Romolo e Remo debbono invece fondare una comunità laica! Li ritroviamo, i gemelli, allattati da una lupa, sotto il Ficus ruminalis (così viene definito, da rumon, che forse significa fiume). E’ strano e meraviglioso ad un tempo come la leggenda, ad ogni svolta, offra simboli sempre più suggestivi. Il fico, onorato un po’ ovunque nei paesi mediterranei, era oggetto di particolare considerazione nel Medio Oriente ed in Egitto, come simbolo di fecondità materiale ed intellettuale. Inoltre il latice trattenuto nel suo tessuto è spesso accostato alla linfa vitale del tessuto umano. Nel buddismo il principe Siddartha Gautama, detto il Budda, l’illuminato, mentre era seduto a meditare (non a caso) sotto un fico, ebbe dall’Alto il dono della luce iniziatica. Quest’albero è presente più volte con significato simbolico, nel racconto evangelico, dove, badate bene, appare come pianta condannata alla sterilità o già sterile. Ed è chiaro: dopo l’avvento cristico, quel simbolo di vita e di sapienza era destinato ad estinguersi. Sull’ampia distesa dell’umana sofferenza, su questa via crucis che un giorno avrà fine, si stagliava ormai la mistica figura del Verbo incarnato, della Sapienza divina, dell’Amore che si offre come energia che tutto pervade, la sola che possa innalzare l’uomo dal piano mentale a quello spirituale. L’alimento fisico è offerto ai gemelli da una lupa, la bestia perversa in cui la tradizione nordica vede l’insaziabile avidità, inevitabile causa di distruzione cosmica. Gli induisti (e siamo geograficamente lontani dall’Europa del Nord) la rappresentano nell’atto di ingoiare il sole.

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E Dante, il Fedele d’Amore, che vive con noi nei versi della Divina Commedia, la descrive come la “bestis senza pace” che “non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto l’impedisce che l’uccide”. Bene!

Il gruppo universalmente noto della lupa con i gemelli poppanti è il simbolo eloquente della soggiogante potenza di Roma. Soggiogante e rigeneratrice. Romolo e Remo, questa dualità – unità voluta dal Piano Divino, trasformeranno l’avidità in generosità, l’egoismo in altruismo, il dente che lacera nella mammella che offre l’alimento. Non si eresse infatti Roma a maestra di civiltà sui “selvaggi piani”? E non sciolse, nell’ambito della sua giustizia, la durezza dei costumi di popoli primitivi, guidati dalla legge del più forte e della vendetta? Riscaldati e nutriti dalla lupa, i gemelli furono poi

raccolti dal pastore Faustolo, che li allevò. Sappiamo anche che crebbero forti e coraggiosi, che uccisero lo zio usurpatore e rimisero sul trono il nonno, il buon Numitore, che donò ai nipoti la terra sulla quale erano stati miracolosamente salvati, perché vi fondassero una città. Ma chi dei due sarebbe stato il fondatore ed il Re? Era necessario conoscere la volontà degli dei. Gli antichi (badate bene) pur onorando ed utilizzando la facoltà razionale, non dimenticavano la provenienza dell’Uomo dal Cielo, per cui al Cielo chiedevano la direzione, la spinta iniziale della loro attività razionale. Se fossero stati Greci, Romolo e Remo avrebbero consultato l’oracolo di Delfo; i Sanniti avrebbero seguito l’uccello sacro, il picchio verde. Poiché erano Latini, e per giunta vicinissimi agli Etruschi, interpellarono gli dei col volo degli uccelli: Remo vide 6 avvoltoi, Romolo 12. Il numero 6 indica (sul piano materiale) l’incompletezza, il prevalere dell’istinto; il numero 12 invece indica la completezza, il prevalere delle doti superiori. Secondo l’interpretazione pitagorica, il 12 è il numero base di una città forte. Sul piano mentale è un numero di saggezza e di spiritualizzazione. Sicché Romolo, l’iniziato alla scienza degli àuguri, è (per volontà celeste) chiamato a fondare la città. Il giorno della fondazione, narra Varrone, vestito di bianco, con la benda di lana sul capo, sacrifica agli dei: la sua figura è di una purezza sacerdotale. I compagni sono schierati intorno a lui.

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Dopo il sacrificio, accendono un fuoco di sterpi, ed ognuno salta attraverso le fiamme, per purificarsi. Quindi Romolo si accinge al rito della fondazione, che aveva appreso (asserisce Plutarco) dagli iniziati Etruschi che, a loro volta, avevano ricevuto la formula non da altri uomini, ma dai Géni, il che non desta meraviglia, perché la vera Sapienza non è mai rivelata all’uomo da un altro uomo!

Il rito comporta 4 fasi, che sono un vero compendio di dottrina esoterica. Nella prima fase – detta Inauguratio – il fondatore delinea sull’area prescelta, lo spazio che sarà destinato alla Divinità. E’ un delineare che è quasi un tagliare, isolare dal suolo circostante il piano da consacrare. Quindi, al centro di questo spazio, scava un fosso di forma circolare. Ciascuno dei suoi compagni avrebbe poi gettato nel fosso un po’ di terra portata dal paese di provenienza, affinché, indicando la nuova dimora, potesse dire: “Questa è ancora la terra dei miei padri!”. In tal modo il cittadino si legava con vincoli

sacri alla nuova città. Il fosso si chiamava “mundus”. Questo nome indicava, nell’antico linguaggio iniziatico, la regione dei padri. La sua forma doveva essere rotonda, perché il cerchio (segno solare per eccellenza) indica la pienezza della vita nelle sue varie forme; è inoltre l’immagine della forza rotativa che, nel suo turbinare, trattiene tutti gli aspetti della Vita – una. Al di là del cerchio è l’ignoto; dentro è tutto l’universo. Su tutte le are romane è disegnato un cerchio con un punto al centro. Nella seconda fase, detta Orientatio, Romolo tracciò idealmente nel cielo, col lituo (un sacro bastone ricurvo in legno di quercia), due linee a forma di croce, alle quali dovevano corrispondere le due principali vie della città: il Decumanus maximus, da Oriente a Occidente (secundum cursus solis), ed il Cardo maximus, da Mezzogiorno a Settentrione. A terra, la suddivisione veniva ripetuta con una croce di legno, che aveva quattro fili pendenti. La Croce è una chiara rappresentazione della duplice espressione dell’essere: in senso orizzontale, e cioè ad un determinato livello dell’esistenza; in senso verticale, segno di proiezione verso l’alto. La Croce: figura che racconta tutta la storia dell’uomo e dal cui punto centrale l’esoterismo delle grandi religioni fa scaturire l’infinita pace. Il segno della Croce non poteva non essere l’ossatura principale di una città, quando la fondazione era un rito ed il fondatore indossava abiti sacrificali. Compiuto questo rito, Romolo passò alla terza fase, detta Limitatio, che consisteva nella delimitazione dei confini. Per aprire il solco, si servì di un vomere di rame. Il rame è un buon conduttore di energie. Gli antichi saggi conoscevano bene la proprietà di questo metallo. Non a caso, un albero (che per la sua sagoma e per la forma delle sue foglie è un ottimo trasmettitore) prende il nome dal rame “cuprum”. Mi riferisco al cipresso (=cupressus).

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E non a caso il cupressus veniva piantato dagli Etruschi nei pressi delle dimore, quelle dei vivi e quelle dei morti. L’aratro, dal vomere di rame, era tirato da un toro bianco e da una vacca bianca, simbolo di forza, prosperità e purezza. Romolo guida l’aratro, invocando l’assistenza della Terra madre. I compagni, dalla parte esterna del solco, lo seguono in religioso silenzio. Le zolle di terra rimossa vengono gettate all’interno del recinto, affinché nessuna particella della terra

sacra, cadendo all’esterno, venga profanata. Il recinto è inviolabile: né i cittadini né gli stranieri hanno il diritto di sorpassarlo. Chi avesse commesso un tale sacrilegio, sarebbe stato punito con la morte. A parte le considerazioni di carattere storico – politico, che non sottolineo in questa fede, vi invito ad una riflessione: tutto quello che ha forma concreta (in questo caso il solco delimitante) è il riflesso di un’idea, di un fenomeno spirituale, di una verità. L’area spirituale di ogni essere umano è simile ad una cittadina, un aggregato di strutture, molto spesso confuse e contrastanti. Ogni essere umano ha i suoi limiti. Guai a violarli! Si commette azione sacrilega, sia quando si oltrepassano i propri limiti, sia quando si forzano i limiti di un altro, per introdursi nel suo recinto! E’ l’autentica forma di violenza spirituale. Vi prego di riflettere sul simbolo del limite, quale elemento inviolabile. Mai con tanta profonda convinzione, come nella fondazione di Roma, è stata rispettata la sacralità del limite! Ma affinché sia possibile entrare nella città ed uscirne, il solco è interrotto in tre punti. Romolo solleva ed abbassa il vomere, per tre volte, ad uguali distanze, fissando così i punti dove saranno le porte. Nella puntualità di questo rito la volontà di bene si esprime in tutta la sua purezza e sembra illuminare uomini e cose. Inevitabilmente il male si scatena. Deluso ed irritato, Remo, con atto di sfida e di irriverenza, scavalca il solco ed entra nel recinto, provocando una temibile interferenza. Romolo si scaglia sul fratello e lo uccide. Era fatale, doveva avvenire. L’elemento negativo nella dualità – unità, il simbolo della separazione (ricordate il numero 6?) che si rivela con l’insubordinazione, con l’invidia, con l’oltraggio, deve perire! Remo si assume, forse inconsciamente, il Karma relativo agli aspetti negativi della sua gente e…diventa la “victima”, la forma deteriore, “ima” che deve essere “victa” = vinta.

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Ma il sangue che sgorga dalle ferite, il sangue che Orazio, altro grande iniziato, chiama il rosso veicolo di Marte, liberatosi dall’involucro impuro, bagna la terra e la purifica. Dopo questa cruenta

purificazione, nella quarta fase, la Consacratio, Romolo, rex et pontifex ad un tempo, intona preghiere e consacra Roma all’eternità. Era il 21 aprile del 753 a. C. Trentasette anni dopo, nel 716 a. C., il terzo giorno successivo all’ingresso del sole nella costellazione dell’Acquario, Romolo, dopo aver costruito le mura definitive, e dopo aver dato stabilità al suo popolo (Ovidio, Fasti, L. 2°), rivolto a Giove, pregò: “O Giove, la potenza romana ha ora assicurati i suoi eroi. Il mio compito è esaurito. Restituisci il figlio al Padre. Dei gemelli, uno solo è quello che solleverai nell’alto dei cieli (ad caerula coeli). Tu l’hai detto. Si avverino le tue parole!”. Giove acconsentì: le nuvole coprirono il

cielo. La pioggia cadeva a scrosci. Il cielo era squassato dai fulmini e dai tuoni. Presi dal panico, tutti fuggivano. Romolo montò nel cocchio tirato dai cavalli del padre e scomparve in una nuvola. Lo venerano con nome di Quirino. La sera (era trascorso qualche giorno) un certo Julio Proculo percorreva a piedi la via da Albalonga a Roma. Luna fulgebat, prosegue Ovidio, e non era necessaria la fiaccola per farsi luce, quanto improvvisamente l’aria intorno sembrò scossa da uno strano fragore. Giulio Proculo fermò il passo, ebbe paura. Al centro della strada, Romolo, bello di una bellezza luminosa e di statura superiore a quella umana (humano maior, dice il poeta) gli parlo: “Dì ai Romani che non piangano per la mia scomparsa. Brucino incensi: il nuovo dio vuole un popolo devoto. Onorino la Patria, la sacralità del Lavoro, le Armi”. Così parlò, e scomparve in una luminosa dissolvenza. Ora, FFr. sapete che Roma è una città sacra.

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L’uomo e le stelle

Le radici capillari che lo spirito umano affonda nel mondo misterioso degli Archetipi e degli Universali assorbono spesso dei concetti le cui umbratili immagini ben difficilmente lascerebbero un segno nella coscienza dell’uomo se non si usassero, a tal scopo, le pitagoriche fiaccole, rappresentate dai simboli che permettono di concepirli, di rappresentarli, di tradurli. La semantica della proiezione ci dice che l’uomo impone ad un oggetto o ad un essere una certa tonalità psichica che è, in realtà, un tratto della sua vita interiore; tale operazione è completata dalla percezione, cioè dall’apporto sensoriale classico. Ogni processo iniziatico, per essere efficace, deve poggiare su queste due nozioni: esso utilizzerà il simbolismo sublimato al massimo in ognuna delle corrispondenze analogiche attraverso tutti i piani del sensibile. Vera alchimia intellettuale e morale, questo metodo è il solo capace di trasformare la scintilla accesa al momento dell’iniziazione in piena e vera luce. Solo con le leggende, i miti, le immagini e i simboli lo spirito umano può accostarsi alle realtà superiori. L’incantesimo della natura ancora incontaminata e ignota ci convince della meta fisicità dell’uomo prima ancora della sua fisicità: più di ogni altro prodigio lo splendore ardente del solo, la gelida luminosità della luna, l’ammiccante scintillio delle stelle abbagliarono e ancora abbagliano l’uomo che si attarda nella contemplazione del firmamento. Nulla si trovò in natura che fosse più meritevole di adorazione degli astri celesti e il loro culto si chiamo Sabismo: esso è “la più antica e la più vasta delle sette, preesistente a quella che crede nei due principi fondamentali (dualismo) e non ancora spenta, perché esistono tuttora le sue fiorenti propaggini in varie tribù americane”1.

1 Cairo – Dizionario ragionato dei simboli

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Dalle stesse, secondo i miti orfici ed eleusini, discendevano le anime dei neonati e alle stelle tornavano le anime dei defunti e non è mai cessato lo studio di questi corpi “che vanno eterni tra la terra e il cielo”. I brahamini individuano nella stella a sette raggi il loro soggetto estremo di adorazione; gli egiziani simboleggiavano con la stella l’immortalità dell’anima; i greci la sostanziavano di felicità e di eternità; i cristiani vedono in essa l’ispirazione divina; per i massoni la stella fiammeggiante indica la potenza divina che fa da guida nelle tenebre morali, perché, se è vero che “le stelle non

rivelano niente di ciò che è terrestre”, tuttavia esse guidano il navigatore. Il saggio che sa consultarle si orienta con sicurezza nella vita2; la stella del mattino, Venere o Espero, ha dato il suo primo nome, Esperia, all’Italia. Questo stesso astro mattutino, però, per Isaia è Lucifero, caduto “nelle profondità della fossa”, e anche Virgilio, che tanta parte avrà nella formazione della nostra cultura medievale, annuncia con modalità luciferi che la distruzione di Troia per mezzo di una stella profetica: “E dal convesso ciel cadde una stella Che per mezzo fendé l’ombrosa notte E lunga striscia di face e di splendor Dai nostri tetti ire a celarsi in Ida. Si lasciò quando il suo corso Tenne di chiara luce un solco e lungo intorno Fumò la terra di sulfureo odore”. Stella: fonte di vita o portatrice di disgrazie, come si è sempre discusso a proposito di comete che, da tempo immemorabile, costituiscono una manifestazione dell’aspetto più segreto e magico della natura? Cristo e Lao-Tzè nacquero sotto l’egida di una cometa e il primo sciamano dell’antico Messico addirittura fu generato da una stella chiomata. Non dimentichiamoci che l’astrologia si basa sull’osservazione di azioni parallele e simmetriche, di manifestazioni fisiche con avvenimenti umani: essa è “scientia iudiciorum stellorum” e, studiando il cielo, determina il destino umano: “la natura è la costituzione di Dio… e lo stato del mondo naturale è sempre legato a quello del mondo morale”3. Potremmo quindi dire che l’astrologia si occupa delle interrelazioni tra natura e umanità, proponendosi come strumento di conservazione della libertà dell’uomo. L’umanità si trova in una posizione privilegiata, perché vive al centro, tra il firmamento e il resto della creazione: solo ad essa è concessa la capacità di dominare la natura, perché Dio è l’uomo e l’uomo è Dio.

2 Wirth – I misteri dell’Arte Reale, Atanor 3 Whiston – A vindication of new theory, nota n.76 del libro sottocit.

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Modello ideale per tale operazione è l’uomo – mago, non quello “inevitabilmente condizionato e saldamente ancorato alle Scritture… e strettamente connesso alla sua forma di etica sociale cristiana”4 che la concezione paracelsiana della magia proponeva, bensì il Magus della più pura tradizione ermetica, “l’unico uomo degno di essere tale… (l’uomo che) comprende tutte le

intelligenze e tutte le cose di questo mondo… ed esse non lo comprendono, tutte lo servono ed egli non è servo di niente… La forma generale dell’uomo (-mago) è l’arca dello spirito in generale”5. Questo uomo è l’iniziato che, meditando profondamente dentro di sé e concentrandosi contemporaneamente, compie l’operazione opposta espandendosi al di fuori di sé. Potremo dire con Pirandello che il “fuori è il nostro dentro”. La via iniziatica procede per “solve et coagula”: Dante nella Commedia descrive l’iniziazione all’indipendenza dello spirito (ecco di nuovo

Virgilio) e, raggruppando in tre parti, intitolate fra l’altro al Sole, alla Luna e alle Stelle, le sue cantiche, procede alle tre fasi della “Grande Opera”, indicando poi nel Canzoniere la via: “E la stella d’amor Ci sta rimota Per lo raggio lucente”. “Dal composto alchemico nasce la stella mattutina o Perla che viene ad elaborarsi nella conchiglia di S. Giacomo, uscendo dalle acque primordiali…allora soltanto potrà essere ottenuta la Pietra filosofale”6. ATTI DEGLI APOSTOLI: INNO DELL’APOSTOLO GIUDA NEL PAESE DEGLI INDIANI Quando ero un piccolo fanciullo Dimoravo nel mio regno Nella casa di mio padre… Dall’Oriente nostra casa I miei genitori mi equipaggiarono E mi mandarono…

4 Webster – Magia e scienza da Paracelso a Newton 5 Picatrix – testo arabo nella traduzione proposta in Abstracta n.2 6 Angelbert - Il libro della tradizione, Ed. Mediterranee

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Mi tolsero la veste scintillante Fecero con me un contratto… “Se tu discenderai in Egitto E porterai la perla Che sta in mezzo al mare Attorno al serpente sibilante Tu indosserai la veste scintillante…” Io lasciai l’Oriente e discesi… Lungo la strada pericolosa e difficile… Andai dritto dal serpente… Per portargli via la perla. Allorché fui unico e solo Divenni estraneo alla mia famiglia… Dimenticai la perla… Ma di tutte queste cose Che mi accaddero Si accorsero i miei genitori… Mi scrissero una lettera… “Ricordati che sei figlio di re” Ricordati della perla… Pensa alla tua veste…” La mia lettera è una lettera Che il re ha sigillato con la sua destra… Essa volò nelle sembianze di un’aquila… Alla sua voce e al suono del suo rumore Io partii e mi destai dal sonno… Mi ricordai che i miei genitori erano re… Mi ricordai della perla… E cominciai ad incantare Il terribile serpente sibilante. Afferrai la perla e mi volsi Per ritornare alla casa di mio padre. La mia lettera, la mia destatrice Trovai davanti a me nel cammino… Così la sua luce mi guidava… L’abito splendido che mi ero tolto… I miei genitori mi mandarono… Io più non ricordavo il suo modello… Ma subito, non appena lo ricevetti, Mi parve che l’abito Fosse diventato uno specchio di me stesso. L’osservai molto bene E con esso io ricevetti tutto Giacché noi due eravamo distinti E tuttavia avevamo un’unica sembianza… Vidi che in tutto il suo essere Pulsavano i moti della conoscenza… Mi adornai con la bellezza dei suoi colori…

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…il padre mio… Mantenne quanto aveva promesso… …e con la perla Mi sarei con lui presentato al nostro re”7.

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7 Gli apocrifi del Nuovo Testamento a cura di L. Moratti, vol. II Utet.