La Nazione 150 anni Lucca

32
SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO A CURA DI www.lanazione.it Lucca 150 ANNI di STORIA ATTRAVERSO LE PAGINE DEL NOSTRO QUOTIDIANO

description

The most popular tuscan newspapar celebrates its 150th anniversary in every city where it is published.

Transcript of La Nazione 150 anni Lucca

Page 1: La Nazione 150 anni Lucca

1

SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO A CURA DIwww.lanazione.it

Lucca150 ANNI di STORIA

ATTRAVERSO LE PAGINEDEL NOSTRO QUOTIDIANO

Page 2: La Nazione 150 anni Lucca

2

Page 3: La Nazione 150 anni Lucca

3

sommario5

La città che per ultimaera diventata lorenese

7Lucca si fa bella in onoredel giurista Francesco Carrara

9Sessanta anni di progetti e di lotteper la ferrovia della Garfagnana

1029 novembre 1924Giacomo Puccini ci ha lasciatiil mondo piange il maestro

12È il mattino del 7 settembre 1920Un forte terremoto in Garfagnanadistrutti interi paesi, morti e terrore

14Un paese sepolto dalle acqueper far posto all’invaso di Vagli

16Era il 16 ottobre del 1983Elena aveva 17 mesi, la strapparonodalle braccia dei nonni e della mamma

19Tragedia a Gallicanoesplode il polverificio

21Costa venti miliardi la “bretella”che ci porta al mare in 15 minuti

23Settembre 1989Una gran folla acclamal’arrivo di Papa Wojtyla

25Lucca, città dei santiNacque centro anni fala più famosa “mistica” del ‘900

27Un vertice di cinque ore tra l’Italia e la Francia

29Dal Littorio al Porta ElisaEcco la storia del nostro stadio

30La Lucchese è vissuta oltre 103 anni(ma già è pronta una giovane erede)

Supplemento al numero odiernode LA NAZIONE a cura della SPE

Direttore responsabile:Giuseppe Mascambruno

Vicedirettori:Mauro Avellini Piero GherardeschiAntonio Lovascio (iniziative speciali)

Direzione redazione e amministrazione:Via Paolieri, 3, V.le Giovine Italia, 17 (FI)

Hanno collaborato:Remo SantiniDiego CasaliCristiano ConsortiOriano de RanieriFabio LenziPaolo MandoliPaolo Pacini

Vincenzo PardiniGiulio Simonini

Progetto grafico:Marco InnocentiLuca ParentiKidstudio Communications (FI)

Foto:Foto AlcideFoto BorghesiFoto Umicini

Stampa:Grafica Editoriale Printing (BO)

Pubblicità:Società Pubblicità Editoriale spaDIREZIONE GENERALE:V.le Milanofiori Strada, 3Palazzo B10 - 20094 Assago (MI)Succursale di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 - tel. 055-2499203

LUCCA150 anni di storia attraverso le pagine del nostro quotidiano.Non perdere in edicola il terzo fascicolo regionale che ripercorre, attraverso le pagine de La Nazione, la storia fino ai nostri giorni e i 17 fascicoli locali con le cronache più significative delle città.

Page 4: La Nazione 150 anni Lucca

4

Page 5: La Nazione 150 anni Lucca

5

LA CITTÀ CHE PER ULTIMAERA DIVENTATA LORENESELucca era entrata a far parte del Granducato di Toscana nel 1847, in piena epopea risorgimentale L’appoggio all’Italia Unita e il diffondersi de La Nazione

Un’immagine de La Nazione del 1860. Si nota sulla testata lo

stemma sabaudo.

Nel tondo: Massimo d’Azeglio fra i primi collaboratori politi-

ci de La Nazione.

Il “Barone di Ferro” si rivolse a Puccioni, Fenzi e Cempini dicendo: “Voglio La Nazione per domani mattina”.Era la sera del 13 luglio del 1859 e l’indomani, alle dieci del mattino, il nostro giornale fu distribuito in tremila copie.

per lunghi periodi ebbe un altro nome e in ogni caso non svolse il ruolo fondamentale per l’Unità d’Italia che toccò al foglio di Betti-no Ricasoli. Già, perché fu proprio lui, il “Savonarola del Risorgimen-to” come lo definirà Spadolini, a volere che il nostro giornale fosse in edicola alla notizia dell’armisti-zio di Villafranca. La storia è nota. L’11 luglio del 1859, nel pieno della seconda guerra di indipen-denza all’improvviso francesi ed austriaci firmarono un armistizio ed i Savoia non ebbero la forza per opporsi. E dunque, ecco che al Piemonte veniva concessa qua-si per intero la Lombardia, ma il Veneto, il Trentino e la Dalmazia restavano agli austriaci, mentre in Toscana sarebbero tornati i Lo-rena, e si ipotizzava una federa-zione di stati del Centro Sud sotto la guida del Papa.

Alla notizia, Cavour, dopo uno scontro durissimo con Vittorio Emanuele si

dimise. E l’unico a sostenere la causa dell’Italia da unire, restò in quelle ore il capo del governo

toscano, Bettino Ricasoli ap-punto. Era la sera del 13 luglio e Ricasoli chiamò Puccioni, Fenzi e Cempini in Palazzo Vecchio. Chiese loro di redigere e stampa-re il primo numero de La Nazione per l’indomani. I tre presero una carrozza e si fecero portare in via Faenza alla tipografia di Gaspero Barbera, e qui cominciò un lavoro

frenetico a redigere i testi ed a comporli. Alle cinque del

mattino Ricasoli si pre-sentò alla tipografia,

lesse le bozze e dette il consenso. Alle dieci, tirate pare in tremila copie, due pagine in mezzo foglio, erano in vendita nel centro cittadino. Si trattava

di un’edizione senza gerenza, senza il

nome dello stampato-re, senza il prezzo, senza

pubblicità. Praticamente un numero zero. E così si andò

avanti fino al 19 luglio quando, finalmente, La Nazione uscì nel suo primo numero ufficiale, con formato a tutto foglio, le indica-zioni di legge, i prezzi per l’abbo-namento e per la pubblicità.

Così, dunque, nacque il no-stro giornale. Che conobbe i giorni fausti dell’Italia

Unita, e poi quelli pieni di pro-blemi, non solo economici, in cui Firenze fu provvisoriamente capitale. Quindi la questione romana, la breccia di Porta Pia. Ma fu proprio con Roma Capitale che La Nazione dovette modifi-care il proprio tipo di impegno. Che fare? Seguire il governo e il mondo politico fino a Roma, là dove si sarebbero svolte da allora in poi tutte le vicende, e prese le decisioni relative all’Italia? Fu compiuta una scelta, che di certo non fu di tipo economico: restare. Restare a Firenze, accompagnare la vita della città e della regione dove era nata, e dedicare sempre più attenzioni a quella che oggi diremmo la cronaca . Insomma, da grande foglio risorgimentale carico di tensioni ideali, a giorna-

le come oggi lo intendiamo. Con rubriche dedicate alla moda, allo sport, alla vita musicale e teatra-le. Rese possibile questa scelta un grande direttore, Celestino Bianchi che seppe conquistare il pubblico femminile, interessare anche la media e piccola borghe-sia mercantile, ma soprattutto richiamare intorno al foglio di Ricasoli le migliori firme italiane del momento. Che, del resto, già erano presenti su La Nazione, fin dai primissimi anni. E allora ecco il D’Azeglio e il Tommaseo, ecco il Manzoni e il Settembrini, e poi il Collodi, il De Amicis, Alessandro Dumas, Capuana, il Carducci e in seguito anche il Pascoli, ed infinti altri. Grandi firme che sarebbero continuate durante il fascismo e nell’Italia repubblicana fino ad oggi.

Da Malaparte a Bilenchi, a Pratolini, ad Alberto Moravia, a Saviane, a Luzi.

Dopo aver ospitato Papini, Prez-zolini, Soffici, e gran parte dei letterati delle Giubbe Rosse nel periodo che precede e che segue la grande Guerra. Queste le scelte che permisero a La Nazione, pur dovendo affrontare momenti di crisi e di difficoltà, di battere ogni volta le testate concorrenti. Ma non sarebbe stato sufficiente, senza una grande carica ideale. E infatti, quando si trattò di decide-re se trasferirsi a Roma capitale, seguendo le sorti del governo e del re, la spiegazione data ai let-tori fu questa. “Noi non vogliamo che Roma attiri a sé tutta la forza intellettuale. Noi vogliamo che Napoli, Firenze, Bologna, Vene-zia, Milano, Torino, serbino la loro influenza legittima, portino il peso nella bilancia delle sorti politiche nazionali. Ogni regione ha elementi originali da custodire e nello stesso tempo è sentinella dell’Unità inattaccabile.”

Una prosa intelligente, modernissima, attuale ancor oggi, 140 anni dopo.

Un atteggiamento che La Nazione conservò anche in epoche ben diverse.

Era entrata a far par-te del Granducato di Toscana da soli 12 anni,

Lucca e la sua provincia, quando a Firenze nacque La Nazione. Aveva conservato per secoli la sua indipendenza, la sua specifi-cità, la sua arte e la sua cultura. E dunque Lucca era la più lontana da Firenze, politicamente e non solo, rispetto alla vicende che nel 1859 e nel 1860 animarono i risorgimentali della Toscana tutta. Avrebbe compiuto un suo percorso. Mai avrebbe rinunciato del tutto alla propria indiscussa personalità che ancor oggi, senza difficoltà, risulta ad un visitato-re non superficiale. Eppure, La Nazione seppe diffondersi fin dai primissimi anni anche in questa realtà, dove le idee risorgimentali avevano trovato modo di dif-fondersi con forti motivazioni. E intorno al grande ideale dell’Italia Unita, fiorentini, lucchesi, così come aretini o senesi, tutti si ritrovarono. E La Nazione, fu ugualmente, per tutti, il foglio al quale fare riferimento, nella speranza di un futuro migliore.Nascere con l’Italia e accompa-gnarla, giorno dopo giorno, fino ad oggi. Nessun altro giornale vanta questo primato. E infatti, se anche una testata, la Gazzetta di Parma, sicuramente è più antica di quasi 100 anni rispetto al gior-nale fiorentino, è anche vero che

Page 6: La Nazione 150 anni Lucca

6

Page 7: La Nazione 150 anni Lucca

7

Giorno 3, ad ora una po-meridiana inaugurazione del monumento statua in

bronzo del professore Augusto Passaglia nel cortile del palazzo provinciale, alla presenza dei rappresentanti il governo di sua Maestà il Re e con l’intervento delle autorità civili e militari, della magistratura, della curia, dei corpi universitari, della sco-laresca e delle amministrazioni. Ad ore cinque e mezzo estrazio-ne di una tombola sul piazzale Vittorio Emanale II a profitto degli asili infantili Regina Mar-gherita e della sezione operaia di Mutuo Soccorso. Ad ore nove pomeridiane spettacolo di gala al teatro Comunale del Giglio con l’opera i Due Foscari del maestro Verdi; illuminazione pubblica della Piazza Napoleone e dei cortili del palazzo provinciale eseguita dai signori Fantappiè di Firen-ze; concerti di bande musicali nella piazza Napoleone e di San Michele e sul piazzale Vittorio Emanuele.

Giorno 4, ore dodici meri-diane, solenne distribu-zione dei premi agli alunni

delle scuole tecniche musicali ed elementari nel salone dell’Isti-tuto musicale Pacini, concerti di bande musicali nella suddetta località. Ad ore nove pomeridiane gran-de concerto vocale e strumenta-

le al teatro Comunale del Giglio, a beneficio del monumento all’immortale scultore lucchese Matteo Civitali. Dirigeranno il concerto i signori maestri cav. Carlo Angeloni, prof. Augusto Michelangeli, e vi prenderanno parte la Società orchestrale Lucherini e distinti artisti e dilettanti di canto coadiuvati da alcune signore lucchesi e dalle alunne della Scuola Normale, che eseguiranno un coro com-posto di ottanta voci, espres-samente scritto dal maestro Angeloni.

Saranno erette delle tribune nel cortile del palazzo pro-vinciale e vi troveranno po-

sto gli invitati avendo l’ingresso dal cortile detto degli Svizzeri. Gli studenti delle Università, la scolaresca, i gruppi musicali e le associazioni si schiereranno ad ore dodici meridiane nel

piazzale Vittorio Emanuele e ad ore dodici e mezzo, muovendo per la via Nazionale entreranno nel cortile del palazzo provin-ciale ed ivi si disporranno in più ordini su tre lati, lasciando libero quelle sulle tribune. Il Sindaco prega i cittadini di adornare con tappeti e bandiere gli stabili prospicienti sulla via Nazionale e piazza Napoleone e di illuminare le finestre la sera del tre maggio.

Si sono diramati molti inviti anche per il palazzo della Corte d’Appello che ha i

balconi nel cortile, riservan-do agli invitati l’ingresso del portone che prospetta sulla via Vittorio Emanuele. Ricorrendo il tre maggio la festa della lavenzione della Santa Croce, la cappella comunale diretta dal maestro Calo Giorni, farà un servizio straordinario

da La Nazione del 2 maggio 1891

Lucca si fa bella in onoredel giurista Francesco Carrara

Francesco Carrara è stato uno fra i primi

studiosi di Diritto Criminale a voler

abolire la pena di morte in Europa.

Dopo gli studi ed il dottorato presso

l’Università di Pisa, Carrara fu

Professore di Diritto a Firenze e a Lucca.

Da giovane politico il Carrara seguì inizialmente Giu-seppe Mazzini, ma successivamente, negli anni Quaran-ta, si avvicinò a gruppi liberali più moderati.Si adoperò inoltre per l’annessione di Lucca alla Toscana, e, dopo l’Unità d’Italia, fu eletto al Parlamento nel 1863, 1865 e 1867.

Il programma delle feste. La Grande Accademia al Giglio e gli invitati all’inaugurazione del monumento. L’appello del sindaco. Per più giorni gare di tiro a segno nazionale

nella Cattedrale ad ore dieci e mezzo, eseguendo la messa in fa dei celebrati e compianti ma-estri lucchesi Michele Puccini e Fortunato Magi. Dal giorno 3 al 17 maggio saran-no tenute le gare provinciali e comunali del Tiro a segno nazionale

Le rappresentazioni al Tea-ro Comunale dell’opera in musica “I due Foscari” del

maestro Verdi avranno termine non prima del 10 maggio. Presidente onorario della com-missione ordinatrice della festa è l’avvocato commendatore Carlo Petri senatore del regno; presidente effettivo è l’avvoca-to cavaliere Enrico del Carlo, sindaco di Lucca. Assisterà alla cerimonia della inaugurazione del monumento a Francesco Carrara sua ec-cellenza il ministro di Grazia e Giustizia che giungerà a Lucca con la sua Signora sabato 2 ad ore 6,35. Appena arrivata sua eccellenza si recherà al palazzo prefettizio dove, ad ore sette e mezzo vi sarà pranzo di famiglia offerto dal signor prefetto. Domenica 3, ad ore undici e mezzo, il ministro riceverà uffi-cialmente le autorità. Dopo la cerimonia della inaugu-razione prederà parte ad un thè offerto agli invitati nel palazzo della prefettura…

Page 8: La Nazione 150 anni Lucca

8

Page 9: La Nazione 150 anni Lucca

9

Sessanta anni di progetti e di lotte per la ferrovia della Garfagnana

di Cristiano Consorti

Quarantasei chilometri. Una distanza esigua nel 2009, enorme se tra-

sportata idealmente a 159 anni fa. Nel 1850 infatti lo spazio geografico posto tra Lucca e Ca-stelnuovo Garfagnana era privo di un qualsivoglia collegamento ferroviario. Altri tempi, ma necessità più o meno identiche a quelle dei giorni nostri. Non poche infatti furono le proteste e, addirittura, come ricorda il sindaco di Barga professor Umberto Sereni su «Le Ferrovie di Lucca tra passato e futuro», anche le manifestazioni sfociate nelle dimissioni delle ammini-strazioni comunali della Valle del Serchio, della Lunigiana e della Garfagnana. Ma facciamo alcuni doverosi passi indietro nei secoli. La necessità di avere un collegamento tra Lucca e «la capitale» della Garfagnana, ovvero Castelnuovo, emerse intorno alla metà dell’800, anche se trovò sulla sua strada, è proprio il caso di dirlo, due ordini di problemi. La costruzio-ne della linea Porrettana da un lato, inaugurata nel 1864 e che collegava Bologna con Pistoia, e l’annessione della Garfagnana alla provincia di Massa Carrara con l’unificazione nazionale dall’altro, fecero passare in secondo piano la realizzazione

della linea ferroviaria lucchese. E così nel 1892 l’unico tratto completato, il primo in assolu-to, che sarebbe stato destinato poi nei decenni a raggiungere Castelnuovo, era solo quello che metteva in contatto Lucca con il paese di Ponte a Moriano. È proprio in questi frangenti però che qualcosa si muove.

Si muovono soprattutto i cittadini che protestano a gran voce, mettono in

piazza vere e proprie manife-stazioni. Tra queste vale ricor-dare quelle messe in luce dal professor Sereni. La prima, il 14 ottobre 1894, quando al Teatro Vittorio Emanuele di Castelnuo-vo i rappresentanti della Valle del Serchio spingevano, tra le altre cose, per l’annesione della Garfagnana alla provincia di Lucca e la realizzazione della ferrovia Lucca-Aulla. La seconda manifestazione, sicuramente di maggior impatto, fu quella del 9 dicembre del 1896, quando bande musicali, istituzioni, asso-ciazioni, politici, amministratori, giunsero a Lucca con i propri la-bari, stendardi e bandiere. Al Te-atro del Giglio si annunciò come la «questione della Garfagnana» fosse prioritaria per la Lucche-sìa. Manco a dirlo, nell’arco di pochi anni i lavori ripresero rag-giungendo, come prima tappa, Borgo a Mozzano e, nel 1900,

Si cominciò a parlarne a metà dell’Ottocento ma ancora nel 1892 il treno si fermava a Ponte a Moriano

addirittura Fornoli di Bagni di Lucca. Ma per arrivare a quel 21 marzo 1959, esattamente 50 anni fa, per collegare Lucca ad Aulla, di strada, quel treno, ne doveva percorrere ancora tanta.

La scintilla che fece scatta-re l’ennesima protesta, e questa volta direttamen-

te in Parlamento, fu quando nell’estate del 1905 il tema delle priorità infrastrutturali appro-dò alla Camera dei Deputati. E, guarda caso, proprio in questa sede, nella trattazione del nuovo elenco delle «complementari», mancava proprio la Lucca-Aulla. Da qui lo sciopero amministra-tivo, come accennato all’inizio, degli amministratori locali della Valle del Serchio, della Lunigiana e della Garfagnana, che rassegnarono in blocco le dimissioni. Un’agitazione che non passò assolutamente inos-servata. Tutt’altro. Fu negata dal Prefetto di Lucca l’autoriz-zazione per una manifestazione a Camporgiano, mentre la folla scesa comunque in piazza fu dispersa dalle cariche contro i manifestanti. Dichiarata illegale, l’agitazione continuò fino a che i finanziamenti non furono sbloc-cati per la realizzazione di due nuovi tratti della ferrovia: da una parte cioè da Aulla a Mon-zone nella Lunigiana, e dall’altra da Fornoli a Castelnuovo per la Valle del Serchio.

Il 25 luglio 1911 la linea Luc-ca-Castelnuovo Garfagnana fu ufficialmente inaugurata.

Dai primi studi del 1850 fino al definitivo taglio del nastro, quel tratto di 46 chilometri dovette attendere ben 61 anni prima di vedere la luce.

1846: A LUCCANASCE LA STAZIONE

Il 1846 segna una data storica per la città di Lucca, per due buoni motivi. Da un lato infatti il capoluo-go di provincia si dota di una moderna stazione ferroviaria. Dall’altro invece proprio quella linea da cui passeranno carrozze e carri dividerà in due la città. La stazione, con annessi binari di collega-mento, è una delle prime vere e proprie opere infrastrutturali viarie della città. Il treno però non era ben visto da tutti. C’era chi infatti avanzava critiche perché erano state espropriate delle terre, mentre altri dicevano che il fumo «faceva andare a male il latte delle mucche», come ricorda Carlo Farulli in “Le Ferrovie di Lucca tra passato e futu-ro”. Una stazione moderna, però, il cui impianto è pressoché quello che vediamo ancora oggi, tranne alcuni piccoli ritocchi e modifiche. Un edificio merito del lavoro degli architetti Bianchi, Pardini e Pohlmeyer, anche se si scorge l’opera del Nottolini che aveva compiti di commissario, ma che dette un impulso importante, come ribadisce Farulli. Ebbene, una stazione moderna e ricca di comfort e servizi. Esistevano fabbricati per il personale, per il ricovero dei mezzi di trazione, per le riparazioni, gli uffici, le soffitte, le docce, la biglietteria, l’uffi-cio postale, gli uffici amministrativi, una locanda e un caffé, sale di intrattenimento per i viaggia-tori, sale di attesa 1ª e 2ª classe accoglienti con tende, consolle e mobili in noce, e di 3ª classe con panche e sedie. Anche le carrozze erano eleganti (naturalmente differenziate per rango), imbottite e illuminate.

Nella foto in alto: l’arrivo del

treno inaugurale a Castelnuovo

Garfagnana il 17 luglio 1911.

Nella foto a destra: la stazione

ferroviaria di Lucca in una fotografia scattata agli inizi

del Novecento.

Page 10: La Nazione 150 anni Lucca

10

Giacomo Puccini posa davanti al

pianoforte nella sua villa di Torre del

Lago. Qui l’artista trascorreva lunghi

periodi alternando il suo impegno

di compositore a lunghe partite di

caccia.

29 novembre 1924

Giacomo Puccini ci ha lasciatiil mondo piange il maestroEra ricoverato in una clinica di Bruxelles. Le sue ultime parole e la penosa agonia.Aveva con sé gli appunti della Turandot

di Oriano de Ranieri

Alle 11.30 di sabato 29 novembre 1924 Giacomo Puccini cessò di vivere.

La notizia colse tutti di sorpresa perché l’operazione alla gola nella clinica del dottor Ledoux a Bruxelles andò bene, anche se alla partenza per il Belgio dalla stazione di Pisa accompagnato pure dal figlio Tonio, il Maestro

si era rivolto al fedele Marotti e gli aveva detto: «Caro Guido, questo è un malaccio che nep-pure in Belgio sapranno vincere. Sono condannato».

All’entrata in clinica il Maestro doveva affronta-re un trattamento prima

dell’operazione per applicare il radio direttamente intorno al tumore. In quel periodo poteva lasciare la clinica e infatti volle assistere in incognito ad una rappresentazione di Madama Butterfly al Théatre-de-la-Monnaie. Aveva portato con sé anche degli appunti di Turandot, l’opera incompiuta, col desi-derio di tirare avanti il difficile lavoro. Poco dopo il ricovero

arrivò anche la sua grande amica Sybil Seligman, che gli regalò un morbido cuscino sul quale poi fu posta la maschera mortuaria, a Torre del lago. Ma il maestro era inquieto e all’amico Angelo Ma-grini rivela tutto il suo sconfor-to: «Sono in Croce come Gesù! Ho un collare che è una specie di tortura. Radio esterno per ora, poi spilli di cristallo nel collo e buco per respirare anch’esso nel collo». Allo stesso Magrini chie-de notizie con rimpianto della caccia in Maremma.

Il 23 novembre Giacomo andò ad un ristorante e al cinema a vedere un film americano con

Fosca, Tonio, Carlo Clausetti. La mattina, un lunedì era prevista l’operazione. Inizia la settimana di passione. Al Maestro non si poteva fare l’anestesia totale perché soffriva di diabete e si temevano complicazioni cardia-che. L’operazione ebbe inizio e durò tre ore e mezzo. Ledoux e

Page 11: La Nazione 150 anni Lucca

11

Il mondo restò attonito alla notizia della morte del Maestro. In Italia i giornali del 30 novembre del 1924 la riportarono con grande evidenza. Anche «La Nazione» fece un titolo a tutta pagina e fornì ampie notizie. In precedenza, a metà novembre, il quotidiano parigino «Le Soir» parlò per primo del ricovero a Bruxelles del Maestro e delle sue preoccupanti condizioni di salute. Nella nostra città la notizia colpì tutti anche perché il musicista era stato visto passeggiare per le strade e le piazze recentemente, e sembrava in una forma sma-gliante. Non si era spenta ancora l’emozione dei festeggiamenti tributati da Pescaglia al suo figlio illustre a fine ottobre prima della partenza senza ritorno per Bruxelles. Comunque a Lucca gli amici, pietosamente, sparsero la notizia che Puccini si era recato a Bruxelles per controlli medici e in definitiva le sue condizioni non erano così gravi. Anche «L’Intrepido», un giornale locale, diffuse queste notizie ottimistiche. Ma arrivò l’annuncio della morte anche nella nostra città il pomeriggio dello stesso 29 novembre, poche ore dopo il tragico evento. La commozione prese tutti, la gente, dal più umile al più importante, pianse anche per strada. Come racconta in un suo articolo su «La Nazione» di qualche tempo fa Umberto Sereni, un dispaccio di agenzia pervenne alla redazione de «L’Intrepido» che ne fece un comunicato e l’affisse alla sua sede dove si radunò una folla in lutto. Dagli uffici pubblici furono esposte bandiere a mezz’asta. I negozi chiusero le saracinesche. Si fermarono tutte le attività. Manifesti a lutto anche dell’amministrazione comunale. Come hanno raccontato dei testimoni dell’epoca i lucchesi amavano il Maestro Puccini perché sapeva parlare con tutti, con l’intellettuale e il popolano e interpretava i sentimenti di tutti.

Su La Nazione un titolo a tutta pagina

sette assistenti gli aprirono un taglio alla gola di dieci centime-tri e gli applicarono sette aghi di radio intorno al tumore. Il Maestro cominciò a comunicare con bigliettini: «Mi par di avere delle baionette in gola», «Fosca me la cavo», e Ledoux era molto ottimista: «Puccini en sortira». Il giovedì il Maestro si alzò e cominciò a fare piccole pas-seggiate nella stanza e leggeva i giornali. Stava bene anche il venerdì e i parenti e gli amici intorno a Puccini inviarono dap-pertutto notizie confortanti. Ma alle diciotto di venerdì il malato ebbe un collasso. Era seduto in poltrona e improvvisamente si accosciò su un lato. Tonio si spaventò. Ledoux intervenne e tolse gli aghi mormorando: «Il cuore non regge». Assistette tutta la notte il Maestro che cominciò l’agonia durata dieci ore, ma era un’agonia vigile, continuava a scrivere in modo telegrafico, con fatica, come poteva, sui foglietti: «Sto peggio di ieri, l’inferno in gola, mi sento svanire, acqua fresca».

Il sabato mattina fu fatto chiamare il nunzio apostolico Clemente Micara che divenne

poi cardinale, per confortar-lo prima della fine. Per non impressionare il moribondo il nunzio si presentò con l’amba-sciatore italiano Orsini-Baroni che era un amico del Maestro. «Il nunzio - scrive Arnaldo Frac-caroli - mescolando le parole sacre, a frasi di augurio per non impressionare il morente, diede la benedizione estrema». Pucci-ni, come ha poi riferito il figlio Antonio, è sempre stato lucido, ebbe solo brevissimi momenti di incoscienza, spirò alle 11.30 del mattino di sabato. Poco prima fece un tragico segno di addio agli astanti commossi e morì a sessantasei anni in un giorno triste di pioggia.

Vicino al suo letto di morte rimasero le ultime tren-tasei pagine di appunti

della partitura di «Turandot». E Ledoux, sconvolto, nell’uscire con l’auto dalla clinica provocò un incidente mortale.

Qui di lato: La Prima pagina de La Nazione listata a lutto per la morte del compositore.

Nel tondo: Puccini assieme a suoi amici e colleghi Mascagni e Franchetti.

Nella foto in basso: Giacomo Puccini alla guida della sua prima auto.

Page 12: La Nazione 150 anni Lucca

12

di Paolo Mandoli

La tragica mattina di martedì 7 settembre 1920 ha cam-biato il destino di migliaia

di abitanti della Garfagnana e della Lunigiana, cancellando interi paesi. Quel giorno alle 7,55 (ma c’era l’ora legale dunque erano le 6,55 al sole) la terra tremò con una violenza incredi-bile. Una scossa di terremoto del nono-decimo grado della scala Mercalli che è stata poi definita come «uno degli eventi di più elevata magnitudo che si siano verificati nell’Appennino setten-trionale». I morti ufficialmente furono 171, i feriti 650. Molte migliaia di persone rimasero senza casa.

Il nostro giornale seguì, giorno per giorno, quel tragico terre-moto con articoli e corrispon-

denze dai vari paesi. Ed è stato proprio grazie alle cronache de La Nazione che è stato poi possibile ricostruire un quadro esatto degli effetti e dare una più precisa spiegazione al disastroso evento, grazie all’ampia docu-mentazione delle pagine di cro-naca. I territori più colpiti furono quelli di Fivizzano con 45 morti

È il mattino del 7 settembre 1920

Un forte terremoto in Garfagnanadistrutti interi paesi, morti e terrore

e 300 feriti, di Villa Collemandi-na con 27 morti e 100 feriti, di Casola con 19 morti e 60 feriti, di Minucciano con 16 morti e 30 feriti, di Camporgiano con 12 morti e 30 feriti, di Castiglione Garfagnana con 9 morti e 20 feri-ti. La violenta onda sismica colpì anche molto lontano, nelle città. A Lucca, come scriveva La Nazio-ne nell’edizione dell’8 settembre 1920, ci furono cinque feriti, vari edifici lesionati, il crollo di molti comignoli e del tetto del palaz-zo comunale. All’ospedale Galli Tassi caddero alcune pareti. A Massa, come scriveva La Nazione nell’edizione dell’11 settembre 1920, ci furono 5 morti e 9 feriti e cento case inabitabili. A Pisa caddero comignoli e tegoli dai tetti e sei persone si gettarono dalle finestre per terrore (La Na-zione del 7 e 8 settembre 1920). A Livorno caddero comignoli, terrazze e alcune pareti nei quar-tieri più antichi e nella chiesa di San Giovanni cadde un pezzo di cornicione (La Nazione dell’8 settembre 1920).

La zona di massima distru-zione si estese su un’area di circa 160 chilometri

quadrati con due centri parti-colarmente colpiti: Fivizzano in Lunigiana e Villa Collemandina in Garfagnana. A Fivizzano, come scriveva La Nazione l’8

settembre 1920, su circa 17 mila case non una poteva essere considerata abitabile dopo la scossa. La cronaca di quel giorno è molto ampia e riporta numeri e testimonianze della tragedia. Altrettanto si trova per Villa Collemandina, dove le nostre cronache dell’8 settembre 1920 e dei giorni successivi riporta-no i numeri (27 i morti, 100 i feriti gravi, 30 i feriti leggeri) e le testimonianze con il capoluogo e le frazioni diroccate e la chiesa fortemente lesionata.

A limitare ma, in alcuni casi, anche ad amplificare gli effetti del terremoto sul

numero dei morti e dei feriti ci furono vari elementi. Anzitutto una scossa di sesto grado Mer-calli alle ore 16,05 del 6 settem-bre, seguita da una replica del quarto grado alle ore 22,30. In alcuni paesi della Garfagnana e della Lunigiana, abituati a con-vivere con frequenti scosse di terremoto, quelle due vibrazioni che pure avevano causato qual-che leggero danno, non provoca-rono un grande spavento. Così la sera del 6 settembre la popo-lazione andò a letto alla solita ora e al mattino del 7 settembre uscì di casa molto presto, prima della tragica scossa. Così si salvò da morte certa. D’altra parte buona parte dei residenti erano

contadini, abituati ad alzarsi pre-sto, mentre nelle case restavano soprattutto le donne e i bambini, che furono le principali vittime.

In altri paesi, a cominciare da Villa Collemandina, invece la gente reagì con paura, forse

a causa di un maggiore risenti-mento locale delle due scosse del 6 settembre, così rimase all’aper-to praticamente fino all’alba. Quando i residenti di questi paesi decisero di andare a dor-mire mancava ormai pochissimo tempo alla tragedia. Inevitabil-mente rimasero schiacciati sotto le loro case che crollarono.

Ancora oggi in alcuni paesi della Garfagnana e della Lunigiana sono rimaste le

ultime casette di legno che ven-nero costruite all’indomani del terremoto per ospitare le miglia-ia di persone rimaste senza un tetto. Le ferite di quella tragedia sono ancora visibili a distanza di oltre 88 anni. Ci sono paesi la cui storia venne interrotta proprio quel giorno. Soltanto alcuni di essi, il caso più emblematico è stato Bergiola nel comune di Minucciano, hanno provato a risorgere, ma soltanto per farne un possibile polo di attrazione culturale e turistica.

Nella foto: Il campa-nile, la sacrestia, la

chiesa e la canonica di Villa Colleman-dina distrutti dal

terremoto.

I morti furono 171 e i feriti 650. Migliaia di persone rimasero senza casa. Si intensificò, dopo la tragedia, l’esodo dei garfagnini verso l’America e il resto d’Europa. Ancora oggi si trovano in Garfagnana rifugi di legno costruiti dopo il sisma di 89 anni fa.

Page 13: La Nazione 150 anni Lucca

13

Page 14: La Nazione 150 anni Lucca

14

di Paolo Pacini

Correva l’anno 1941 quando in Garfagnana presero il via i primi lavori per realizzare

il mastodontico invaso artifi-ciale tra le pareti dei monti del Sumbra e del Roccandagia, che si ingoiò un’intera vallata nei pressi di Vagli. Il bisogno di energia, la particolare conformazione del territorio e l’abbondanza di acque nella zona spinse la società idroelettrica Selt Val-darno a costruire qui la grande diga elettrica che sbarrò il corso del torrente Edron, affluente di destra del Serchio.

I lavori furono poi sospesi a causa della guerra, ma nel 1946 ripresero e, l’anno dopo,

lo sbarramento raggiungeva già un’altezza di 65.50 metri. In quel 1947 iniziò il lento e inesorabile processo di sommersione del paese di Fabbriche di Careggine, che ancora oggi giace sul fondo del lago artificiale, sacrificato al grande progetto energetico. Nel-la valle non c’era posto per tutti e due. E vinse la diga. Fabbriche fu evacuato e «affondato», dunque, con le sue case, le sue strade, le tante storie dei suoi abitanti. Un processo che non fu indolore. Fu necessario far intervenire la forza pubblica per sgomberare le

Un paese sepolto dalle acqueper far posto all’invaso di VagliIl sacrificio di un’intera valle per ottenere energia elettrica. I lavori cominciarononel 1941 ma furono ultimati solo dopo la guerra

146 persone rimaste e trasferirle nel vicino paese di Vagli.

Per dare vita al mega pro-getto moderno, si dovette assistere alla lenta e triste

agonia del vecchio paese risuc-chiato dalle acque, che risaliva-no inarrestabili, ricoprendo e cancellando tutto nel silenzio di una dimensione spettrale. Fabbriche di Careggine moriva,

ma in quel momento nasceva la leggenda del borgo sommerso, di quel fantasma di pietra con la sua chiesa di San Teodoro e il campanile che, si racconta, nelle notti di plenilunio farebbe ancora suonare la sua campana. Negli anni successivi la diga venne innalzata fino ad arrivare all’attuale quota di 92 metri con gli interventi ultimati nel 1952 e furono sommersi anche altri

Viene svuotato l’invaso e riappare il paese fantasma di Fabbriche.I turisti partecipano all’evento che si è ripetuto quattro volte nell’ultimo mezzo secolo.

tre piccoli borghi. Ma non per sempre. Nel 1958, nel 1974, nel 1983 e nel 1994 il bacino è stato infatti svuotato in estate per la manutenzione straordinaria e come per magia l’antico paese medievale è riemerso dalle acque e dal fango. Una piccola Atlanti-de, subito invasa da un oceano di fortunati turisti, accorsi ad ammirare le sue bellezze cariche di mistero.

Un lago artificiale che contiene35 milioni di metri cubi d’acquaLa diga di Vagli, del tipo a gravità massiccia in calce-struzzo, è un invaso di 35 milioni di metri cubi d’acqua, utilizzati principalmente per produrre energia elettrica, ma anche per regolare la portata stagionale del Serchio. All’interno della sua spessa muraglia, corrono gallerie, cunicoli e camminamenti che conducono ai vari stadi e livelli: ogni tanto, Enel organizza visite guidate nella pan-cia del gigante di cemento. Le acque del lago artificiale alimentano la centrale idro-elettrica di Torrite nei pressi di Castelnuovo Garfagnana

con una produzione annua di oltre 150 milioni di KWH. Ma è anche una notevole risorsa turistica, mèta di escursio-nisti e appassionati di barca a vela, canoa e trekking nella natura. Certo il polo d’attrazione magnetico resta sem-pre il paesino sommerso di Fabbriche, che giace silenzio-so sul fondo, fondato nel 1200 da fabbri originari della Lombardia che utilizzavano, per la loro ferriera, la forza motrice delle acque del torrente Edron. Proprio la stessa imbrigliata poi in tempi moderni per creare il gigantesco invaso artificiale.

Page 15: La Nazione 150 anni Lucca

15

Page 16: La Nazione 150 anni Lucca

16

di Oriano de Ranieri

LIl rapimento di una bambi-na di appena 17 mesi, Ele-na Luisi destò una enorme

impressione in tutto il mondo. Nella notte tra domenica 16 e lunedì 17 ottobre 1983, poco dopo la mezzanotte, nel corso di un temporale, tre uomini entrarono in casa della piccola Elena a Lugliano, un paesino nel comune di Bagni di Lucca, dopo avere scardinato la porta. Picchiarono Niccolò Citti e la moglie Norma, i nonni materni della bambina, picchiarono an-che la mamma Isabella (il babbo Rino era assente per lavoro). Poi i tre portarono via Elena che indossava un pigiamino azzur-ro e piangeva e gridava. Prima

Era il 16 ottobre del 1983

Elena aveva 17 mesi, la strapparonodalle braccia dei nonni e della mamma I tre rapitori chiesero un riscatto di 5 miliardiGli appelli del Papa e la liberazione in un paese della SiciliaDure condanne per i malviventi

di partire uno del malviventi ha gridato al nonno di Elena, imprenditore e assessore comu-nale. «Prepara i soldi, vogliamo cinque miliardi». E fissarono per il «pagamento» il termine di cinque giorni. La notizia del rapimento fa il giro del mondo e desta soprattutto nella provin-cia di Lucca una enorme impres-sione. Si tratta del bambino più piccolo che sia stato mai rapito e poi siamo in una isola felice dove la delinquenza è molto ridotta. Il paesino di Lugliano fu assediato dai giornalisti di tutto il mondo. Il dramma ebbe fortunatamente un lieto fine. Oltre quaranta giorni dopo ci fu la frenetica liberazione in Sicilia. Ma durante il rapimento della bambina trascorsero settimane

Nella foto a destra: Egidio Piccolo e Franco Chilè dietro le sbarre durante una fase del processo. Mai era avvenuto in Italia, prima di allora, il rapimento di una bambina di 17 mesi.

Nella foto sotto:I nonni e i genitori

intorno alla piccola Elena poco dopo il suo ritorno a casa.

angosciose per tutti. Scattano le ricerche a tutto campo. La gente pensa che i rapitori siano venuti da lontano. Per poco si pensa anche alla «banda dei Sardi». Gli inquirenti affermano che stanno seguendo tutte le piste possibili. Ma poco dopo il procuratore della Repubblica Angelo An-tuofermo parla di «rapimento anomalo». In campo scendono anche i servizi segreti. I rapitori devono essere presi ad ogni co-sto anche perché siamo in piena emergenza sequestri e il gover-no è per la linea dura. Il Papa Giovanni Paolo II rivolge «un pressante appello perché non chiudano il cuore a quel senso di umanità che qualche residua eco deve pur avere anche nelle loro coscienze». Il presidente Pertini in una dichiarazione a «La Nazione» aveva implorato i rapitori di restituire Elena alla

mamma. Un sacerdote siciliano don Giorgio Spidalieri è pronto ad offrirsi in ostaggio per la liberazione della piccola Elena. Il parroco di Lugliano don Mario Tolomei a nome della famiglia chiede il silenzio stampa.

A Lucca i quarantadue giorni prima della libera-zione di Elena diventano

una pesante cappa di piombo. Un altro episodio drammatico contribuì a turbare ancor di più l’opinione pubblica. Il 21 novem-bre un uomo col volto coperto da un passamontagna entrò nella redazione de «La Nazione» nella centralissima piazza del Giglio e sparò con una pistola al volto al giornalista Roberto Baldini che

Page 17: La Nazione 150 anni Lucca

17

Nel tondo: la piccola Elena. AL momento

della liberazione la madre si disse

convinta che la bambina aveva

sofferto.Risultava in

effetti più magra e impaurita.

poi perse un occhio. Si pensò ad un collegamento con il ra-pimento della bambina. Invece l’autore, rintracciato e arrestato poi, era un delinquente esaltato, feritore anche di alcune com-messe.

Intanto furono stabiliti dei contatti con i rapitori tramite la chiesa di Lucca.

L’arcivescovo Giuliano Agresti, anche se ha sempre smentito, probabilmente si è adoperato personalmente per il buon esito della triste vicenda. A casa Citti arrivano tre polaroid con le foto della bambina. Il 24 novembre a Ferrara viene arrestato un uomo: aveva in tasca una foto della piccola. E infine la liberazione nella notte fra il venerdì 25 e sabato 26 novembre. I banditi senten-dosi accerchiati abbandonarono la bambina riparata solo da un cartone, sul ciglio di una strada a cinquanta chilometri da Messina. Ai genitori in ansia a Lugliano arriva la notizia della liberazione. A bordo di un Hercules vanno

in Sicilia a riprendersi la

piccola che final-mente con lo stesso aereo

da Catania vola fino a Pisa e rag-giunge la sua casa a Lugliano. È finito un incubo. Ci saranno poi grandi festeggiamenti. Il sindaco di Bagni di Lucca Enzo Tintori dirà che tutta la Valle si ricor-derà per sempre di quei giorni terribili finiti nella gioia. Franco Chillè, l’ideatore del sequestro e il capo della banda, amico della famiglia Citti, viene arrestato e con lui Egidio Piccolo, Salvatore Alacqua, Gaetano Fugazzotto, Carmela Italiano, la baby sitter, Luigina Mazzeo la vivandiera. Rimangono latitanti, ma per poco, Mazzeo e Iarrera. Poco dopo si apre il processo per direttissima nella corte d’Assise di Lucca. Vengono inflitte dure condanne esemplari. Ora Elena, una bella ragazza di ventisei anni, sa solo vagamente di quello che le è capitato in quel lontano autunno del 1983. La mamma Isabella e il padre Rino in questi anni si sono impegnati per fare dimenticare alla figlia quel rapimento e forse ci sono riusciti.

Allora si parlò di nuovi barbari, gente che di fronte alla ricerca del denaro facile non esitava a servirsi come arma di ricatto di una bambina di diciassette mesi. Il rapimento di Elena Luisi divenne un caso a livello nazionale e mondiale anche se purtroppo il periodo era quello triste dei rapimenti, basti ricorda-re il caso Bulgari. E l’industria del sequestro approdò anche nelle oasi tranquille, nel paesino di Lugliano, vicino a Bagni di Lucca, come rilevò sulla nostra cro-naca lo scomparso collega Paolo Galli, e approdò con il sequestro di una bambina nel nostro territorio, un fatto clamoroso che non era mai successo. Si aprirono dibattiti sul ricatto più infame degli affetti sotto sequestro. Ci furono immediate e nobili reazioni. L’allora vescovo di Acerra monsignor Riboldi affermò che c’è una dimensione della vita delle coscienze che non può essere dominata dal ricatto dei malviventi. L’allora caposervizio della redazione di Lucca de «La Nazione», attuale direttore Giuseppe Mascambruno, rilevò lo choc nella comunità lucchese: «È la prima volta, la prima volta per tutti noi e l’emozione, l’ango-scia, la rabbia non sono sentimenti che si nascondono. Il rapimento della bambina ha segnato una novità per Lucca e la sua provincia: è il primo sequestro di persona a scopo di estorsione, perché i precedenti episodi avvenuti in Versilia non avevano niente a che vedere con riscatti in danaro. Questo drammatico esordio della criminalità organizzata e operante al massimo livello del crimine ha colpito una creatura di neanche un anno e mezzo». Molti si preoccuparono alla fine del rapimento anche dei danni morali soprattutto per la piccola che al ritorno a casa ebbe dei problemi. Del resto la mamma Isabella disse subito che non era stata trattata bene in quei quaranta giorni di prigionia. Tutto finì bene, ma non era scontato che finisse così. Ricordiamo la fine tragica del piccolo Tommaso, anche lui vittima innocente del ricatto degli affetti e della mercificazio-ne dei sentimenti più profondi, in un’epoca che ha il danaro come valore supremo.

La gente li chiamò “I nuovi barbari”

Per la liberazione di Elena si mobilitarono anche i servizi segreti e il Papa, durante l’Angelus in piazza San Pietro, rivolse un appello ai rapitori.

Page 18: La Nazione 150 anni Lucca

18

Page 19: La Nazione 150 anni Lucca

19

Tragedia a Gallicanoesplode il polverificio

di Giulio Simonini

È venerdì 27 febbraio 1953, una tremenda deflagrazio-ne seguita da altre minori

scuote Gallicano. È scoppiato il polverificio «Sipe Nobel» pro-vocando la morte di ben dieci persone, tra operai e impiega-ti. Erano le 10.23 (l’orologio della torre campanaria rimase a lungo fermo su quell’ora) di un mattino terso e luminoso, quasi primaverile, che doveva di lì a poco trasformarsi nel venerdì più nero della storia gallicanese. Fu il caos. Vetri delle finestre e vetrine in frantumi, saracine-sche contorte, la gente terro-rizzata che fuggiva dalle case e dai negozi, presa dal panico, inconsapevole di quello che stava succedendo.

La deflagrazione fu udita in tutto il territorio nel raggio di 20 chilometri. Gli abitan-

ti dei paesi collinari come Barga, Coreglia, Monteperpoli furono i primi a capire il dramma, veden-do gigantesche colonne di fumo e di fuoco levarsi laggiù nella valle, nell’area del polverificio, dove nei tre turni vi lavoravano complessivamente circa 120

operai. Terribile il terrore e l’an-goscia sul volto dei familiari che correvano col cuore in tumulto lungo quei mille metri che sepa-rano il paese dallo stabilimento. Nei loro occhi leggevo il turbinio dei propri sentimenti, misto tra disperazione e speranza. Se per alcuni fu la fine di un incubo, per altri invece ci fu l’agghiac-ciante conferma della fine dei loro cari, che si tramutò in uno straziante dolore.

L’esplosione di un «casotto granitore», dove si pro-duceva polvere nera da

utilizzare nelle cave di marmo e per munizioni, ne aveva fatti esplodere, «per simpatia», altri vicini, proprio mentre era in corso una visita di alti dirigenti, provocando l’apocalisse. Diffi-cile fu il riconoscimento delle dieci vittime che ricordiamo: l’ingegner Fracesco Nanni, diret-tore dell’azienda di Spilamberto (Mo), l’ingegner Vero Maionchi di Lucca, direttore a Gallicano, oltre al capofabbrica Pellegrino Consigli e agli operai Mario Da Prato, Giuseppe Simonini, Raf-faello Lemetti, Pietro Lucchesi, Andrea Granducci, Eugenio Carli e Alessandro Simonini, tutti di

Gallicano. Numerosi i feriti. Ai primi soccorritori apparve uno scenario raccapricciante. Dolo-roso fu il compito del medico di condotta, Pietro Stringari, il quale nel ricomporre i poveri resti (ritrovati anche sul greto del fiume Serchio), pianse. Il di-sastro fu in parte contenuto dal tempestivo intervento dei vigili del fuoco, i quali riuscirono a spengere il furioso incendio che stava minacciando altri settori di lavoro, evitando così un’ulteriore catastrofe. La Garfagnana e la Valle in lutto, piansero unanimi le vittime di uno dei più tragici avvenimenti della storia di que-sti luoghi.

Anche il presiden-

te della Repubblica Einaudi inviò al Prefetto di Lucca un telegramma di cordoglio per le famiglie delle vittime. Profonda commozione ai funerali che si svolsero nella chiesa di San Giovanni con una partecipazio-ne di folla immensa, fra la quale erano presenti i rappresentanti di tutte le istituzioni della pro-vincia.

La “Sipe Nobel” produceva fra

l’altro esplosivi da utilizzare nelle cave

di marmo di Carrara.

Nelle foto alcuni prodotti

dell’azienda e operai di Gallicano

al lavoro.

Dieci le vittime, panico fra la gente. Lo scoppio si è udito nel raggio di 20 chilometriLe condoglianze del presidente Einaudi

Erano in molti, per non dire tutti, gli operai che quel venerdì 27 febbraio 1953 attendevano con trepidazione quel giorno. Il 27 del mese era infatti il gior-no di paga, un giorno che doveva essere sereno e tranquillo per le famiglie. Un giorno che, invece, si tramutò in un dolore straziante per tutta la Valle. L’esplosione fu così forte che perfino alcune delle gigantesche banconote da mille lire, quelle contenute nelle valige con le quali i dirigenti erano giunti a Gallicano per pagare gli operai, furono ritrovate anche molto distante, penzo-lare dalle piante circostanti, testimoni di desolazione e morte.

Era il 27 febbraio, giorno di paga

Page 20: La Nazione 150 anni Lucca

20

Page 21: La Nazione 150 anni Lucca

21

Entro quest’anno sarà aperta una nuova autostrada, con-cepita principalmente, tale

ci sembra il suo ruolo, per dare sfogo ai congestionati traffici che muovono – quando incombe il fine settimana – dall’entroterra al mare e viceversa. È la Lucca-Viareggio , una “bretella” di ventuno chilometri (pochi ma benedetti) fra la Firenze-Mare e la Sestri Levante-Livorno, un quarto d’ora d’automobile, un’al-ternativa al percorso obbligato dei fiorentini quando si tuffano in Versilia e vivono un’avventura che, logisticamente parlando, è un po’ un tuffo verso l’ignoto perché si sa quando si parte ma non quando si arriva.

Ora, intendiamoci, la Lucca-Viareggio non promette il miracolo di rendere i

movimenti dello scambio fra l’interno e la costa scorrevoli e lisci come un fuso; ma insomma, a qualcosa servirà, servirà a di-stribuire in maniera un po’ meno caotica la massa delle automobili nell’ultimo tratto del percorso,

quando è alle viste il traguardo del mare; e servirà anche a far risparmiare un po’ di benzina e qualche imprecazione residua. In pratica, giunti alla prossimità della barriera di Lucca si potrà svoltare a destra e infilarsi in questa nuova autostrada oppure tirare diritto. Nell’uno o nell’al-tro caso l’automobilista, reso esausto da una marcia troppo logorante, potrà finalmente dar sfogo ai suoi istinti di leone del volante.

Il discorso diventa meno alle-gro quando si guarda alla via del ritorno. Le due autostrade

a Lucca torneranno ad essere una sola e si riproporrà, nei momenti più impegnati, il mesto scenario della marcia a passo di lumaca. L’autostrada per Firenze dovrà cioè sopportare due assal-ti ed è chiaro che la barriera di Montecatini sancirà inesorabil-mente le solite, lunghissime code della domenica sera. È questo il motivo per cui i fiorentini, quando parlano della Lucca-Viareggio sono sul piede

da La Nazione del 10 marzo 1972

Costa venti miliardi la “bretella”che ci porta al mare in 15 minuti

di guerra della polemica e so-stengono che un’autostrada più arretrata, almeno fino a Pistoia, avrebbe avuto una funzione ben più utile. Ma si sa che a volere la Viareg-gio-Lucca sono stati i lucchesi che invocavano un collegamento veloce con il mare. Altro discorso è dire che mentre l’autostrada sta arrivando, Lucca non ha an-cora un progetto di allacciamen-to di territorio urbano. Il pro-getto è ancora motivo di accese discussioni e non è possibile dire dove approderà lo svincolo. A far ritardare ulteriormente le cose c’è la crisi comunale. In ogni modo prima o poi una decisione sarà presa…

I lavori della bretella sono molto avanzati. La Viareggio-Lucca è cosa fatta per un buon

settantacinque per cento… Le previsioni: l’intera autostrada (allacciamento di Lucca a parte) sarà pronta entro l’autunno, al massimo entro dicembre. Il primo tratto partendo dalla costa – da Viareggio a Massarosa

– potrebbe già essere aperto al traffico se a Massarosa fosse sta-to costruito lo svincolo… Questo primo tratto è di 3500 metri. Da Massarosa alla futura barriera di Lucca , ora in costruzione, ci sono altri 13200 metri e infine 2300 metri separano la barriera di Lucca dall’ingresso alla Firenze-Mare.

L’intera autostrada costerà stando alle ultime valuta-zioni (ma la cifra potrebbe

salire) attorno ai venti miliardi, come a dire un miliardo per chilometro. Il pedaggio, secondo una indicazione non ufficiale sarà di 400 lire per una auto di media cilindrata. Sul piano propria-mente tecnico la realizzazione dell’opera ha dato e sta dando filo da torcere. Era necessario fare i conti con la montagna perché l’autostrada si arrampica sul Quiesa e ne fora la sommità passando sotto la vecchia e tor-tuosa Sarzanese, con una duplice galleria di circa un chilometro…

Raffaele Giberti

Forse sarà inaugurata entro l’autunnoAlla riscoperta di paesaggi meravigliosi e dove non esiste la nebbia.

Nelle foto : La Polstrada

interviene a soccorrere un

automobilsta rimasto in panne

sulla Bretella.

In alto a destra: il titolo e la cartina col quale la Nazione annunciava la realizzazione dell’opera.

Page 22: La Nazione 150 anni Lucca

22

Page 23: La Nazione 150 anni Lucca

23

Settembre 1989

Una gran folla acclamal’arrivo di Papa Wojtyla

di Remo Santini

È una bellissima giornata di sole. La città viene risve-gliata da un’alba limpida,

ma in realtà molti non hanno dormito per l’emozione: è il 23 settembre del 1989 e Giovanni Paolo II si appresta a visitare Lucca, dove un bagno di folla si stringerà intorno a lui. Una visi-ta destinata a restare nella sto-ria, e non solo per la popolarità sempre più grande raggiunta da Wojtyla negli anni successivi. Fin dalle prime ore del mattino migliaia di persone si assiepano al Campo Balilla per vedere da

vicino l’arrivo dell’elicottero. E un oceano di facce è anche quel-lo in piazza Napoleone, dove è previsto l’incontro con le auto-rità civili e religiose cittadine, a partire dall’arcivescovo Giuliano Agresti, dal sindaco Franco Fanucchi e dal presidente della Provincia Leonardo Andreucci. Un programma breve e intenso, che viene rispettato nei dettagli. Sempre tra due ali di fedeli, fer-mandosi più volte alle transen-ne a stringere le mani, il Papa raggiunge la Cattedrale, dove vive l’intensa preghiera al Volto Santo e il contatto diretto con i rappresentanti della Diocesi. E ancora l’abbraccio dei giovani in piazzale Arrigoni, dietro il Duomo.

Subito dopo il Pontefice si reca dalle suore del mona-stero di S. Gemma, mentre

la tappa successiva è quella che rimarrà impressa indelebilmen-te nella memoria di molti: la S. Messa celebrata allo stadio Por-ta Elisa di fronte a venticinque-mila persone, unite nello spirito di preghiera e nella devozione a Dio. Infine il trasferimento alla casermetta del Villaggio del Fan-ciullo, dove parla con il volonta-riato cattolico e il «Ceis».

Ad accogliere Giovanni Paolo II il sindaco Franco Fanucchi e il vescovo Giuliano Agresti

Giovanni Paolo II benedice la folla

che lo acclama nel centro di Lucca.

Accanto a lui nella “papamobile” è il vescovo Giuliano

Agresti.

Momenti di intensa preghiera davanti al Volto Santo. L’abbraccio con i giovani nel Piazzale Arrigoni.

Giovanni Paolo II arriva a 132 di distanza dall’ultima visita di un Papa nell’arborato cerchio. Ma quanti e chi furono i pontefici a toccare la nostra terra? Si inizia da Bene-detto IX che passò da queste parti nel 1038, poi Alessandro II, che fu anche vescovo di Lucca e Sommo dal 1061 al 1073. Anche il suo successore, Gregorio VII, venne qui (nel 1077) accompagnato da Matilde di Canossa. In seguito fu la volta di beato Urbano II, di ritorno dal Concilio di Clermont dove aveva indetto la prima crociata, mentre nel 1107 toccò a Pasquale II. Per venerare il Volto Santo venne poi a Lucca Callisto II (era il 1119), mentre nel 1146 fece visita alla città il beato Eugenio III. Nacque a Lucca, dove vi fece ritorno anche da Pontefice, Lucio III della nobile famiglia degli Allucingoli (era il 1183). Andando avanti, un’altra visita papale in città la si ritrova nel 1386 con Urbano IV, a cui spetta la palma del soggiorno più lungo, ben 9 mesi. E ancora per ben due volte fece visita a Lucca Papa Paolo II Farnese, nel 1538 e nel 1541. Infine, prima di Giovanni Paolo II, l’ultimo pontefice a fare visita a Lucca fu Pio IX nell’agosto del 1857. Ma altri personaggi del mondo ecclesiastico, nel corso dei secoli, non hanno mancato di fare una tappa qui. Ve ne è traccia in numerosi archivi.

L’ultimo era stato Pio IX, nel 1857

Al di là dell’avvenimen-to in sé, regolato da un rigido protocollo che non

impedisce il gigantesco slancio affettivo della gente, la visita di Papa Wojtyla lascia vive nei cuo-ri le parole pronunciate davanti ai lucchesi: parole legate alla necessità della solidarietà so-ciale e del rapporto tra i popoli. Un messaggio che scuote la città, già ribattezzata come capitale del volontariato e della pace. «Santità - chiude l’intervento rotto dall’emozione del sinda-co Fanucchi -, la sua visita ci incoraggia e le diciamo grazie di essere venuto, e le esprimiamo una speranza e un augurio: che lei possa esercitare la sua alta missione ovunque nel Mondo in piena libertà, e che la sua opera possa dare i frutti che i cristiani e tutta l’umanità attendono».

Accadrà proprio così. Giovanni Paolo II diven-terà uno dei pontefici

più importanti della storia. La speranza e l’augurio diventeran-no, dunque, realtà. Lucca non lo dimenticherà mai.

Page 24: La Nazione 150 anni Lucca

24

Page 25: La Nazione 150 anni Lucca

25

Gemma Galgani era originaria di Borgonovo nel comune di CapannoriLe vengono attribuiti numerosi miracoli

Lucca, città dei santi

Nacque cento anni fala più famosa “mistica” del ‘900

di Vincenzo Pardini

Nel 2003, Lucca ha vissuto un grande evento: il primo centenario della

morte di Gemma Galgani, pro-clamata santa nel 1940 da Pio XII e considerata la più grande mistica del XX secolo. Da ogni parte del mondo, pellegrini ven-nero in visita al suo Santuario, fuori Porta Elisa, poi alle case in cui trascorse la vita: quella in via del Biscione, nel centro storico, che sarà a lei intitolata, dove l’8 giugno 1899 ricevette

le stimmate, e a casa Giannini, in via del

Seminario, dove ebbe molte

estasi e subì le vessazioni

sataniche. Satana le rubò

perfino i diari. Glieli restitui-

rà dopo due esorcismi del

suo padre spirituale, le pagine annerite, come si vede dalle foto in mostra nel museo del Santua-rio.

Tutto questo è raccontato anche da Cecilia Giannini, che assistette Gemma sia

durante le estasi sia durante le vessazioni su incarico del padre passionista Germano, direttore spirituale della Santa. La quale nacque il 12 marzo 1878 nella frazione di Borgonovo, comune di Capannori. Sarà una bambina prodigio. Mostra subito attitudi-ne a studio e preghiera. La fami-glia, numerosa, si trasferisce nel frattempo a Lucca. Tutto pareva andare per il meglio, quando la madre Aurelia contrae la malat-tia del secolo: la tubercolosi. Il 26 maggio 1885, nella chiesa di S. Michele in Foro, Gemma riceve la Cresima. D’un tratto accade quanto le cambierà la vita. Una voce interiore le chiede di darle la madre. Risponde di sì, a patto che prenda anche lei. La voce replica di no e aggiunge: «Te la porterò in cielo la mamma. Me la dai volentieri?». È l’inizio del suo dialogo con Cristo; un dialogo che diverrà sempre più intenso, fino alle estasi e alle stimmate. A Lucca, sebbene fosse avversata

perfino da esponenti del clero, molti la chiameranno «La ragaz-zina della grazia». Iniziano le sventure economiche. Il padre, farmacista, ha un tracollo finan-ziario, poi si ammala e muore. La famiglia cade nell’indigenza e iniziano le persecuzioni dei creditori. Gemma si rifugia dalle sorelle del genitore. Molto bella, riceve proposte di matrimonio, ma le rifiuta, adducendo che vuole essere tutta di Cristo. E così sarà. Cristo le ha infatti detto: «Ti farò Santa, perché molto mi assomigli». Tra tante sofferenze non le mancano tuttavia le consolazioni della Madonna, che le appare spes-so, e la presenza dell’Angelo Custode, che recapiterà le sue lettere dirette al padre spiritua-le senza che passassero dalle poste del Regno. Morì a imma-gine di Cristo, l’11 aprile 1903, un sabato santo. Molti i mira-coli che le sono stati attributi durante i festeggiamenti del suo centenario, e che «La Nazione» ha pubblicato in esclusiva. Chi la conobbe ha raccontato ch’era di media statura, ben proporziona-ta, di fattezze angeliche, i capelli castani e gli occhi azzurri. È stata definita la Marilyn Monroe delle sante.

Procalmata santa nel 1940, la Galgani (foto grande) rice-vette le stigmate e più volte fu sorpresa in estasi.

Nel tondo: Elena Guerra che si impe-gnò per l’educa-zione religiosa dei giovani.

Con Santa Gemma e la Beata Maria Domenica Brun Barbantini (1789-1868) Fonda-trice delle Suore Ministre degli Infermi di S. Camillo, un’altra donna che ha reso gran-de la storia di Lucca, ove nacque il 23 giugno 1835, è la Beata Elena Guerra, Apostola dello Spirito Santo. Elena venne educata dalla famiglia alla devozione e alla preghie-ra. Di notte, di nascosto dai genitori, che non volevano s’affaticasse, in quanto affetta da una malattia sconosciuta, studiava teologia in camera sua, accendendo lumini con l’olio dentro gusci di noce. La devozione allo Spirito Santo era già in lei. Nel 1871 dette inizio alla Congregazione delle Suore di S. Zita, per l’educazione cul-turale e religiosa della gioventù. Il suo pensiero fu sempre rivolto alle missioni e alla povera gente, a cui faceva visita. Nel 1866 scrisse a Leone XIII esortandolo ad invitare i fedeli a riscoprire lo Spirito Santo. Accolta la sua richiesta, il pontefice l’autorizzò a chiamare le religiose della sua Congregazione Oblate dello Spirito Santo. Muore a Lucca l’11 aprile 1914, un sabato santo. Giovanni XXIII la beatifica il 26 aprile 1956.

La beata Elena Guerra che fondòle Oblate dello Spirito Santo

Page 26: La Nazione 150 anni Lucca

26

Page 27: La Nazione 150 anni Lucca

27

aveva parlato di Lucca come «città simbolo delle relazioni tra le due Nazioni».

Sulla falsariga delle attese, il vertice - durato comples-sivamente cinque ore - ha

spaziato su varie tematiche: dalla politica estera (con particola-re riguardo al Medio Oriente, all’Europa e al Mediterraneo) alla Tav, dall’accordo sul trattamento delle scorie nucleari ai program-mi culturali, dal futuro dell’Eu-ropa alle politiche economiche. La delegazione italiana, timonata dal presidente Prodi, era compo-sta dai ministri Massimo D’Alema (affari esteri), Francesco Rutelli (beni e attività culturali), Arturo Parisi (difesa), Luigi Bersani (svi-luppo economico), Emma Bonino (politiche europee), Antonio Di Pietro (infrastrutture) che fra l’altro stava poco bene e aveva 38 di febbre, Alessandro Bianchi (trasporti) e dall’ambasciatore d’Italia a Parigi Ludovico Ortona. La delegazione francese invece, guidata dal presidente Chirac, vedeva impegnati al tavolo i ministri Philippe Douste-Blazy (affari esteri), Renaud Donnedieu de Vabres (cultura e comunica-zione), Michèle Alliot-Marie (di-fesa), Francois Loos (industria), Catherine Colonna (affari euro-pei), Christian Estrosi (politiche

di Diego Casali

Come ai tempi del triumvi-rato. Come quando - nel 56 avanti Cristo - Giulio Cesare,

Pompeo e Crasso scelsero Lucca quale sede logistica ideale per rinnovare il loro patto di Gover-no. A distanza di oltre duemila anni, la storia si è, in un certo sen-so, ripetuta. E la storia ha optato per il palcoscenico del «cerchio arborato» in occasione del vertice intergovernativo del 26 novem-bre 2006 tra l’Italia e la Francia. Se Cesare (da tempo governatore della Gallia Cisalpina) trascorse l’inverno a Lucca, va sottolineato che i leader del summit hanno scelto una sosta decisamente più breve, condensando i lavori e quindi la permanenza in una sola giornata. Allora, come in tempi più recenti però, la città ha visto la gradita presenza sia degli uomini politici (capi di Stato e Ministri) sia delle loro consorti. Tutti affascinati dalla piccola-grande realtà che li ha calorosa-mente accolti. «Una splendida città, simbolo storico dei rapporti di fiducia e di amicizia tra l’Italia e la Francia». Queste le parole del presidente transalpino Jacques Chirac. Affermazioni che hanno trovato una eco nel presidente del Consiglio dei ministri, Roma-no Prodi che, pochi istanti prima

Ademollo di Palazzo Ducale. Nel mirino dei grandi, oltre agli argo-menti sopracitati, anche il tema dell’approvigionamento energe-tico così attuale anche ai giorni nostri e quello del futuro della compagnia aerea di bandiera con Alitalia (e il Governo) impegnati a contenere le avances del nu-mero uno di Airfrance Spinetta. Successivamente la mega-con-ferenza stampa nell’auditorium San Romano, quindi, dalle 14 alle 15.15, la colazione ufficiale, sempre a Palazzo Ducale, dove intorno alle 15.20 sono tornate le signore Flavia Prodi e Bernadette Chirac, che hanno preso il caffè con i due presidenti. Intanto fuori dalla zona off-limits alcuni mani-festanti (trasversalmente di de-stra e della sinistra antagonista) protestavano contro il vertice e le politiche dei rappresentanti dei due Paesi. Tutto è filato liscio fino alla partenza dei leader francesi prima e italiani poi. Qualche contestatore l’ha buttata anche sull’ironia-enogastronomica. Azione Giovani infatti ha offer-to a tutti pane di Altopascio e mortadella in piazza San Ponzia-no. Un “esemplare suino” da 30 chili tagliato a fettine, vago (ma nemmeno poco) riferimento al soprannome dell’allora premier italiano.

Il Medio Oriente, il percorso della Tav, il trattamento delle scorie nucleari e il futuro economico dell’Europa furono gli argomenti trattati durante il vertice a Palazzo Ducale e a Palazzo Orsetti.

Nei tondi: Prodi e Chirac si

incontranno con le autorità locali e

passano in rassegna il picchetto d’onore.

Nell’occasione furono accreditati

oltre 200 giornalisti italiani e francesi.

Un vertice di cinque oretra l’Italia e la FranciaEra il 26 novembre del 2006 quando avvenne l’incontro fra Prodi e Chirac. “Lucca città simbolo nei rapporti fra le due nazioni”. Tutto come nel 56 a.C. con Cesare, Pompeo e Crasso

territoriali), Dominique Perben (trasporti) e dall’ambasciatore di Francia a Roma Yves Aubin de la Messuziere. Rispetto al pro-gramma, reso noto inizialmente,

il vertice (che è stato il 25° incontro bilaterale Italia-

Francia) ha registrato un rinvio di una quarantina di minuti nella fase iniziale. Stretta tra le ingenti misure di sicu-rezza - coordinate da Prefettura e Questura il cui obiettivo era quello di regalare un messaggio di «norma-

lità e serenità» - la città ha accolto alle 10.40 la

delegazione francese.

Nel Cortile degli Svizzeri si è dato così finalmen-te spazio agli onori

militari e agli inni nazionali. Poi, subito dopo, sono iniziati i colloqui bilaterali nelle sale della Provincia e della Prefettura (a Palazzo Ducale) e del Comune (a Palazzo Orsetti), incontri che sono stati ridotti a circa 30 minuti per recuperare il gap in previsiose degli altri momenti previsti dal cerimoniale: la «foto di famiglia» e la firma degli accordi e quindi la riunione ple-naria iniziata alle 11.40 nella sala

Il dietro le quinte del vertice è di quelli da intenditori. Con numeri e minuziosi particolari da mille e una notte. Due camere speciali nelle sontuose stanze di Palazzo Ducale hanno accolto i leader Prodi e Chirac per i pochi momenti di relax. Grande attenzione alle premiere dames a cui Lucca, e le donne di Lucca, hanno riservato un programma ad hoc. Le consorti dei leader politici hanno assistito alle prove della «Bohème» di Puccini al Teatro del Giglio (andato in scena il 27 e 28 novembre). Dopodiché hanno degustato cioccolata calda, secondo le usanze francesi importate a Lucca dalla sorella di Napoleone e quindi visitato il centro storico distra-endosi con un po’ di shopping. Riflettori accesi anche sui preparativi eno-gastronomici del summit. La cura dei menu è stata affidata all’esperienza collaudata di Tony Lazzaroni. A tavola hanno fatto la parte del leone il risotto alla parmigiana, presentato in una forma di grana e ricoperto di tartufo bianco. Poi un’apoteosi di carne con chianina e fagioli conditi dall’olio “bono” e verdure di campo saltate. Dessert decisamente di spicco lucchese con arcobaleno di frutta, castagnaccio e necci con ricotta. Come vini, una selezione di rossi e bianchi mentre per aperitivi e dessert, vini della tenuta del marchese Frescobaldi. Curiosa parentesi: a tavola Chirac ha chiesto a sorpresa un bicchiere di birra... I giornalisti si sono “accontentati” di un risottino servito in una zucca di 310 chili. Per secondo tagliata di chianina con fagioli bianchi, vitella con verdure cotte. Come dolce mousse al cucchiaio, macedonia con gelato, frutta cotta e plateau di formaggi. Ad annaffiare il tutto gli ottimi vini della Lucchesia. A proposito di giornalisti. Il vertice è stato seguito da oltre 220 professionisti italiani, francesi e delle principali agenzie di stampa internazionali. Un vero record, considerando che altri ver-tici bilaterali hanno avuto, a Roma, una media di 100-120 giornalisti. Ben 15 infine le televisioni in collegamento diretto da Lucca.

I retroscena del vertice: dal menu allo shopping

Page 28: La Nazione 150 anni Lucca

28

Page 29: La Nazione 150 anni Lucca

29

di Fabio Lenzi

Una volta era lo stadio del Littorio. Così nacque. E non poteva essere altri-

menti, perché figlio del «Ven-tennio». Del resto le dittature - di qualunque colore - hanno sempre poca fantasia per cele-brare loro stesse. Tranne che per le torture (basti ricordare l’uso degli stadi fatto da Pino-chet in Cile o quello dei generali argentini con i desaparecidos: campi di concentramento; per non parlare dell’Iran, dell’Iraq o dei regimi del Sud-Est asiatico, Cina compresa). Così, a Mosca, l’impianto principale non poteva che chiamarsi «Lenin» e a Bagh-dad «Saddam» e via dicendo. E, anche per quello che sarà il futuro «Porta Elisa» (che, forse, andrà in pensione prima che gli si trovi un degno eponimo fra gli illustri rossoneri), la storia non poté essere diversa: come l’Eur, anche lo stadio di Lucca, nel suo piccolo, doveva essere la celebrazione della gloria fascista e richiamava, anche nello stile, con la torre di maratona molto simile all’attuale «Franchi» di Firenze, l’architettura razionali-sta dell’epoca. Fortunatamente, per quanto se ne sappia, non fu mai teatro diretto di perse-cuzioni od esecuzioni, anche se, non lontano, sotto le mura, fu trucidato don Aldo Mei dai

Dal Littorio al Porta ElisaEcco la storia del nostro stadio

nazisti. (E, forse, lo si potrebbe intitolare a lui, visto che lo sport dovrebbe essere dono, pace e sacrificio).

Progettato a seguito della promozione in serie «B» della Lucchese Libertas,

l’attuale stadio «Porta Elisa» fu inaugurato ufficialmente il 20 gennaio del 1935. Anche se, in realtà, già vi si giocava, a costruzione ultimata e collauda-ta, dal 21 ottobre 1934, quando i rossoneri affrontarono il Pavia, battendolo per 1 a 0, con un gol di Scheer. Curioso notare come una cronaca dell’epoca, sotto-linei come quella prima gara, «svoltasi allo stadio del Littorio, di fronte a un’inusitata cornice di pubblico, lieto ed orgoglio-so del nuovo campo sportivo, non ha soddisfatto i tifosi». «La partita - chiosa infatti l’anonimo commentatore di allora - non è stata molto bella e, se si toglie il primo quarto d’ora della ripresa, in cui i rossoneri hanno preso il comando delle azioni, si può dire che gli azzurri di Pavia hanno costruito e imposto il loro gioco». Insomma, tutte le epoche si assomigliano e tutti i debutti sono spesso, in qualche modo, criticati. Ne sa qualcosa un luc-chese doc come Giacomo Puccini che vide fischiate alla «prima» alcune sue opere che, poi, invece, trionfarono in seguito.

Nel giorno dell’inau-gurazione dello

stadio la Lucchese sconfisse la gloriosa

Pro Patria per due reti a zero.

Marcatori furono Ottavi (su rigore) e

Giordani.

Anche qui, nel calcio degli albori o poco dopo, non bastava vincere nel nuovo

stadio. Bisognava anche giocare bene. Notare, a parte le analogie con tante situazioni del football attuale, pure la modernità, in rapporto all’epoca, del linguag-gio giornalistico sportivo. Quel commento postumo alla vittoria della Lucchese sul Pavia, nel primo incontro giocato al nuovo stadio del Littorio, potrebbe tranquillamente essere ospitato, con pochi ritocchi, nelle colonne del nostro inserto sportivo di oggi.

Ma torniamo agli anni ‘30. E sempre in quel primo campionato cadetto per

i colori rossoneri del 1934-35. Se l’inizio ufficiale del servizio del nuovo impianto di Porta Eli-sa fu con una vittoria, altrettan-to avvenne nel giorno dell’inau-gurazione ufficiale, il 20 gennaio 1935. Allora, a chinare il capo davanti alla «Pantera», furono i biancoblucerchiati della gloriosa Pro Patria et Libertate di Busto Arsizio. Un rigore di Ottavi e un gol di Giordani sancirono il 2 a 0 per i rossoneri, sotto gli occhi dell’onorevole Adelchi Serena, «vicesegretario del Partito», come scriveva Dino Grilli «e delle principali gerarchie della provincia».

L’autorevole esponente del Partito nazionale fasci-sta, però, non si trovava

a Lucca per caso, né era venuto appositamente solo per l’inaugu-razione dello stadio del Litto-rio. In realtà era stato invitato per presiedere le «gerarchie provinciali» del PNF. Dunque, si era aspettato a «bagnare» ufficialmente il nuovo impianto, già operativo dall’autunno del ’34, proprio per far coincidere il vernissage con l’evento politico. Insomma, in perfetto stile dei re-gimi di qualunque colore, come dicevamo prima. Lo stadio, cioè, non era solo il luogo privilegiato dello sport, ma lo sport stesso e l’architettura erano e dovevano essere simbolo della nuova Era e strumento di propaganda. E, infatti, in un periodico fascista come L’Artiglio, si declamano le varie opere realizzate dal Partito, tra cui proprio lo stadio del Littorio, con tanto di due belle fotografie di tribuna e gradinata appena costruite. E, curiosa-mente, nonostante il successo, il solito anonimo commentatore, plaude alla vittoria, sul piano sportivo, ma non al gioco. Dice infatti che «La Lucchese ha superato in modo abbastanza netto il confronto con i biancoblu di Busto Arsizio, ma, la prova fornita domenica allo stadio, non ha troppo convinto. C’è ancora qualcosa che non ingrana nella squadra concittadina e questo qualcosa è nell’attacco». E, dopo aver fatto nomi e cognomi che, per brevità, non riportiamo, invi-ta a fare, per la sfida successiva, qualche «spostamento».

Fu ascoltato? Chissà. Intan-to la Lucchese, a Casale, non vinse, ma pareggiò. E,

poi, perse 3 a 2 a Seregno, nella seconda trasferta consecutiva. Ma, quando tornò allo stadio del Littorio, fu il solito 2 a 0, con Rivolo e Marianetti, questa volta sul Cagliari. Insomma, il futuro «Porta Elisa», intanto, porta...va bene. Alla faccia di tutte le proverbiali critiche tecnico-tat-tiche. Sale del calcio e della vita. Anche quella lunga di uno stadio che continua. Lui, a differenza della Lucchese, non è, per ora, mai morto neanche una volta. E continuerà ad ospitare, almeno per qualche anno ancora, i nuovi «risorti» rossoneri di oggi.

Fu inaugurato ufficialmente il 20 gennaio del 1935, ma già vi si giocava dall’ottobre del 1934

Lo stadio Littorio fu considerato un esempio di come il fascismo guardava con attenzione allo sport e di come sapeva utilizzare a proprio vantaggio ogni sorta di attività agonistica.

Page 30: La Nazione 150 anni Lucca

30

La Lucchese è vissuta oltre 103 anni(ma già è pronta una giovane erede)

Nella foto accanto: Il mitico portiere Giovanni Viola che si è spento lo scorso anno a 82 anni.Viola fu portiere della Juventus dal 1945 al 1958, ma agli inizi della car-riera aveva anche vestito la maglia della Lucchese.

Nella foto in basso: la rosa della U. S.

Lucchese per il cam-pionato 1936-1937.

Negli anni Novanta più volte la Lucchese

è stata vicina alla promozione in

serie A. Fra i suoi allenatori il futuro

C.T. della Nazionale Marcello Lippi.

di Fabio Lenzi

E’ morta da poco. Dopo 103 anni e mezzo. Ma ha già una figlia, nata

sulle sue spoglie, pronta (se tutto andrà per il verso giusto) ad ereditarne presto lignaggio e titolo «nobiliare» ufficiale (ma non, purtroppo, la gloriosa matricola «anagrafica», ormai perduta per sempre). Stiamo parlando della mitica «Pantera» rossonera, ovvero, al secolo, Unione sportiva Lucchese Libertas 1905, poi, negli anni ’80 appena trascorsi, trasforma-tasi in As. Fino all’ignominiosa e misera fine recente, con il fallimento dichiarato dal tribu-nale il 18 novembre 2008 e la parallela nascita, qualche mese prima, dello Sporting Lucchese di Giuliano Giuliani e soci, erede morale e, presto - asta sul titolo sportivo permettendo -, anche «delfino» effettivo.

Ma facciamo, alla mo-viola, un rapido passo indietro nel tempo. 27

maggio 1905 (data sicura solo per l’anno, assunta, però, ormai, in toto come ufficiale). Come riporta «Lucchese, amore rossonero» di Vincenzo Bon-vino, in quei lonta-nissimi giorni, «due lucchesi rientrati dal Brasile, Vittorio Menesini ed Ernesto Matteucci, insieme a Mario Battaglini e a pochi altri», innamorati del Milan Cricket and Football Club, come si chiamava, allora, la socie-tà meneghina, fondarono il Lucca FBC (poi si chia-merà Lucchese nel 1918, ricostituita dopo la Grande Guerra; e, nel marzo 1924, dopo la fusione con la Gin-nastica Libertas, Us Lucchese Libertas). Il club (maglie rossonere), dopo i primi passi - proprio nella zona di Porta Elisa, dove sorgerà l’attuale stadio - raggiunse, per la prima volta, la serie «B» nel 1930 e la «A» nel 1936 (rimanendovi tre stagioni di fila), dove, poi,

ritornerà, ininterrottamente, dal 1947 al 1952. La cosiddetta epoca d’oro della «Pantera», negli anni in cui furoreggiava il Grande Torino che perì a Super-ga il 4 Maggio ’49. E la Lucchese era un po’ il Chievo o, se volete, il Parma di allora, da tutti stima-ta e fucina di campioni, spesso, poi, ceduti ai grandi club.

Quindi la lenta discesa, gli anni bui e speranzosi (sal-vo uno spiraglio cadetto

nei primi anni ’60) tra «D» e «C» a cavallo dei ’60-’70 e, finalmen-te, la recente “Era Maestrelli”, in «B». Con la serie «A» sfiorata più volte negli anni ’90 e, tra gli altri, il futuro ct campione del mondo, Marcello Lippi, come allenatore. Poi ancora serie «C» nel nuovo millennio. E la celebrazione del centenario, nel 2005. Mentre ci apprestavamo alle «godurie» (si fa per dire...) dei castelli di cartone dell’ambi-guo dottor Giano bifronte Fouzi Hadj.

Page 31: La Nazione 150 anni Lucca

31

Page 32: La Nazione 150 anni Lucca

32