La Nazione 150 anni SIENA

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SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO A CURA DI www.lanazione.it Siena 150 ANNI di STORIA ATTRAVERSO LE PAGINE DEL NOSTRO QUOTIDIANO

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SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO A CURA DIwww.lanazione.it

Siena150 ANNI di STORIA

ATTRAVERSO LE PAGINEDEL NOSTRO QUOTIDIANO

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sommario4

Così Siena, città risorgimentaleaccolse dal 1859 La Nazione

7da La Nazione del 18 agosto 1867I senesi: “Morte ai preti”Garibaldi: “Morte a nessuno”

8da La Nazione del 3 e 10 novembre 1879Come e perché fu ucciso il Cristo dell’Amiata Lazzeretti

11Le cronache senesi: il 1893Il ministro Ferdinando Martini:“chiudete quella università”

13Cronache senesi del 1928Il governo di Roma ha deciso:“Ecco i soldi per risanare Siena”

15Cronache senesi del 1939Il Monte cambia lo statutoe resta per sempre a Siena

17Cronache senesi del 1939“La più Santa delle italiane,la più italiana fra le Sante”

19da La Nazione del 17 luglio 1948Un maresciallo di P. S. assassinatodai rivoltosi di Abbadia San Salvatore

21È il 1947 e viene apertala prima redazione di Siena

22Cronache senesi del 1965Via le auto dal Centro È la prima volta in Italia

25Giovanni Paolo II, il papa polaccoche mise pace tra l’Oca e la Torre

27Scesi dal pullman i terroristiuccidono due giovani carabinieri

29In Italia il basketormai parla senese

30Quella fantastica nottecol Siena in serie A

Supplemento al numero odiernode LA NAZIONE a cura della SPE

Direttore responsabile:Giuseppe Mascambruno

Vicedirettori:Mauro Avellini Piero GherardeschiAntonio Lovascio (iniziative speciali)

Direzione redazione e amministrazione:Via Paolieri, 3, V.le Giovine Italia, 17 (FI)

Hanno collaborato:Franco AntolaPatrizio ForciPaolo BrogiGiovanna Romano

Progetto grafico:Marco InnocentiLuca ParentiKidstudio Communications (FI)

Stampa:Grafica Editoriale Printing (BO)

Pubblicità:Società Pubblicità Editoriale spa

DIREZIONE GENERALE:V.le Milanofiori Strada, 3Palazzo B10 - 20094 Assago (MI)

Succursale di Firenze: V.le Giovine Italia, 17 - tel. 055-2499203

SIENA150 anni di storia attraverso le pagine del nostro quotidiano.Non perdere in edicola il terzo fascicolo regionale che ripercorre, attraverso le pagine de La Nazione, la storia fino ai nostri giorni e i 17 fascicoli locali con le cronache più significative delle città.

In copertina: Guidoriccio da Fogliano. Le sue imprese militari di condottiero della Repubblica di Siena lo rendono degno di comparire tra i grandi della città, nonostante le sue origini emiliane.

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il Granduca, che a Siena finì per chiudere la scuola medi-ca, facendo sopravvivere solo Giurisprudenza e Teologia. Ma l’ateneo risollevò le sue sorti dopo il 1859, con il governo provvisorio di Toscana retto da Bettino Ricasoli. Non sorprende, dunque, se fin dai primissimi giorni La Nazione fu diffusa negli ambienti patriottici senesi. E per conseguenza, se uno dei primissimi corrispondenti del giornale fu proprio a Siena, come rivelano le cronache quasi quotidiane che da Siena erano inviate al giornale nato a Firenze per vo-lontà di Ricasoli. E infatti, i destini dell’ Italia unita, e quelli de La Nazione, sono in origine gli

stessi. La storia è nota. L’11 luglio del 1859, nel pieno della seconda guerra di indipendenza all’improvviso francesi ed au-striaci firmarono un armistizio ed i Savoia non ebbero la forza per opporsi. Lo fecero perché la Francia cominciava a temere un attacco da parte della Prussia. Lo fecero, perché un’Italia libera e indipendente poteva anche andar bene alla grandi potenze europee, ma non doveva essere eccessivamente forte.

E dunque, ecco che al Pie-monte veniva concessa quasi per intero la Lom-

bardia, ma il Veneto, il Trentino e la Dalmazia restavano agli austriaci, mentre in Toscana sarebbero tornati i Lorena, e in ogni caso si ipotizzava una federazione di stati del Centro Sud sotto la guida del Papa.

Alla notizia, Cavour, dopo uno scontro durissimo con Vittorio Emanuele si dimise. E l’unico a sostenere la causa dell’Italia da unire, restò in quelle ore il capo del governo toscano, Bettino Ricasoli appunto. Era la sera del 13 luglio e Ricasoli chiamò Puc-cioni, Fenzi e Cempini in Palazzo Vecchio. Chiese loro di redigere e stampare il primo numero de La Nazione per l’indomani. I tre presero una carrozza e si fecero portare in via Faenza alla tipografia di Gaspero Barbera, un patriota piemontese, e qui cominciò un lavoro frenetico a redigere i testi ed a comporli.

Alle cinque del mattino Ricasoli si presentò alla tipografia, lesse le bozze

e dette il consenso. Alle dieci, tirate pare in tremila copie, due pagine in mezzo foglio, oggi di-

Una città d’arte e di storia, un campus universitario tra le antiche mura, dove

oggi vivono 20 mila studenti e 50 mila senesi perfettamente integrati gli uni con gli altri. Ma anche nel Risorgimento il ruolo dell’università era politicamente rilevante, con gli studenti ed i professori schierati su posizio-ni apertamente patriottiche. Non sorprende, dunque, se nell’aprile del 1848 tre profes-sori, un assistente e 55 studenti formarono la Compagnia della Guardia Universitaria e parteci-parono alla battaglia di Curta-tone e Montanara. Ancora oggi la bandiera di quella Guardia è custodita nel palazzo del Retto-rato.

Tanta passione risorgi-mentale non poteva però mancare di preoccupare

Le origini

COSÌ SIENA, CITTÀ RISORGIMENTALEACCOLSE DAL 1859 LA NAZIONEGli studenti che avevano combattuto a Curtatone e Montanara, i professori, gli enti e gli amministratori, furono dagli inizi sostenitori del Ricasoli e del suo governo provvisorio

Preoccupato per le scelte risorgimentali

di professori e stu-denti, il Granduca

fece chiudere la facoltà di medicina.

Ma l’ateneo senese tornò alla piena at-

tività nel 1859 con il Governo provvisorio

toscano di Ricasoli.

Fin dagli inizi La Nazione si diffuse anche nella nostra città. Il primo corrispondente divenne attivo già negli ultimi anni dell’Ottocento.

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Nelle foto a destra:il fondatore de

La Nazione Bettino Ricasoli (in alto) e lo scrittore verista Luigi Capuana (in

basso), collaborato-re del giornale fin

dai primissimi anni.

remmo formato tabloid, erano in vendita nel centro cittadino. Si trattava di un’edizione senza gerenza, senza il nome dello stampatore, senza il prezzo, senza pubblicità. Praticamente un numero zero. E così si andò avanti fino al 19 luglio quando, finalmente, La Nazione uscì nel suo primo numero ufficiale, con formato a tutto foglio, le indicazioni di legge, i prezzi per l’abbonamento e per la pub-blicità. Così, dunque, nacque il nostro giornale. Che conobbe i giorni fausti dell’Italia Unita, e poi quelli pieni di problemi, non solo economici, in cui Firenze fu provvisoriamente capitale.

Quindi la questione roma-na, la breccia di Porta Pia, e insomma tutte le

fasi che con alterne vicende portarono alla nascita dello Sta-to italiano. Ma fu proprio con Roma Capitale che La Nazione dovette modificare il proprio tipo di impegno. Che fare? Seguire il governo e il mondo politico fino a Roma, là dove si sarebbero svolte da allora in poi tutte le vicende, e prese le decisioni relative all’Italia? La domanda fu posta ed era più che legittima. Nessun altro quotidiano aveva il diritto di continuare le proprie pubblica-zioni nella sede del regno e del governo italiano, più di quello che l’Italia aveva contribuito a farla nascere. Ma fu compiuta una scelta, che di certo non fu di tipo economico: restare. Restare a Firenze, accompa-gnare la vita della città dove era nata, e dedicare sempre di più le proprie attenzioni anche

alla vita quotidiana, a quella che oggi diremmo la cronaca di ogni giorno.

Insomma, da grande foglio ri-sorgimentale carico di tensio-ni ideali, a giornale come oggi

lo intendiamo. Con rubriche de-dicate alla moda, allo sport, con spazi dedicati alla vita musicale e teatrale. Rese possibile questa scelta di obiettivi un grande direttore, Celestino Bianchi che seppe conquistare il pubblico femminile, interessare anche la media e piccola borghesia mercantile, ma soprattutto richiamare intorno al foglio di Ricasoli le migliori firme italiane del momento.

Che, del resto, già erano pre-senti su La Nazione, fin dai primissimi anni. E allora

ecco il D’Azelio e il Tommaseo, ecco il Manzoni e il Settembri-ni, e poi il Collodi, il De Amicis, Alessandro Dumas, Capuana, il Carducci e in seguito anche il Pascoli, ed infinti altri. Grandi firme che sarebbero continuate durante il fascismo e nell’Italia repubblicana fino ad oggi.

Da Malaparte a Bilenchi, a Pratolini, ad Alberto Moravia, a Saviane, a

Luzi. Dopo aver ospitato Papini, Prezzolini, Soffici, e gran parte dei letterati delle Giubbe Rosse nel periodo che precede e che segue la grande Guerra. Queste le scelte che permisero a La Nazione, pur dovendo affrontare momenti di crisi e di difficoltà, di battere ogni volta le testate concorrenti. Se esisteva una difficoltà di vendita o addirittu-

ra di immagine, sempre riuscì a trovare le energie per risolle-varsi.

E ancora, quando si trattò di decidere se trasferirsi a Roma Capitale, seguendo

le sorti del governo e del Re, la spiegazione data ai lettori fu questa. “Noi non vogliamo che Roma attiri a sé tutta la forza intellettuale. Noi vogliamo che Napoli, Firenze, Bologna, Vene-zia, Milano, Torino, serbino la loro influenza legittima, portino il peso nella bilancia delle sorti politiche nazionali. Ogni regione ha elementi originali da custodi-re e nello stesso tempo è senti-nella dell’Unità inattaccabile.”

Una prosa intelligente, modernissima, attuale ancor oggi, 140 anni

dopo. Un atteggiamento che La Nazione conservò anche in epo-che ben diverse. Così, durante il fascismo, pur costretta come tutte le testate a pubblicare le veline del minculpop, non per questo La Nazione si allineò mai totalmente al regime. Tanto da opporsi, allorché il Regime voleva imporre come direttori uomini fedeli a Mussolini e ospitare firme, come quella di Montale, il personaggio che per il suo antifascismo era pur stato “licenziato” dal Vieusseux. Uno stile, un modo di essere, che la premierà quando, pur con mille problemi tornerà alle pubblica-zioni nel 1947.

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I volontari di Garibaldi hanno salvato l’onore delle armi ita-liane durante la terza guerra di Indipendenza, ma il Risor-gimento non è concluso. L’eroe dei due mondi, pur malvisto dal Re, cerca consensi perché sta programmando la presa di Roma. Per questo gira l’Italia, lascia che le folle lo acclamino. Oggi arriva a Siena, e non è un giorno qualsiasi, perché la città è in strada per il Palio dell’As-sunta. I manifesti per strada lo indicano come il “primo uomo del mondo”. Il corrispondente de La Nazione è molto ironico di fronte a queste manifesta-zioni di retorica popolare, ma apprezza Garibaldi che di fron-te alla folla che gli urla “Morte ai preti”, risponde “Morte a nessuno”. La sua presenza a Siena è però anche l’occasione di una delle primissime crona-che del Palio mai apparse sulla stampa nazionale. La vittoria toccò alla Lupa.

Siena, 16 agosto. Voi deside-rate avere notizie di queste feste senesi ed io vorrei

contentarvi… le tracce della sua precedente dimora sono i ritratti più o meno grandi del Generale, esposti con profusione nelle vetrine, e un Proclama senza nomi, attaccato alle cantonate, e che incomincia così: “Garibaldi, il primo eroe d’Italia, il prim’uomo del mondo” e così di seguito…

A onor del vero il contegno del generale Garibaldi in Siena fece molto contrasto

con il Proclama. Garibaldi ebbe dai senesi una rispettosa acco-glienza ed egli si è contenuto con rara modestia e semplicità. Ad un convegno nel teatro Monte-maggi cui, inviato, intervenne, il Generale fu accolto con questa grande acclamazione: “Morte ai preti”. Egli rispose forte: “Morte a nessuno”. Bravo, Generale! E a chi paresse che in altra occa-sione Garibaldi avesse pronun-ziato parole consimili a queste dei suoi acclamatori, io direi che mi contento dell’oggi e scordo il passato. Ma eccoci alle corse. Sono le 6 e ¾ pomeridiane. Il Ge-

nerale, accompagnato dai signori del Casino degli Uniti, entra sul terrazzo che prospetta la Piazza del Campo. La piazza era gremita di gente: spettacolo che merita di esser veduto… Un colpo di mor-taletto è segno alle 17 bandiere di entrare nella piazza. Prece-dute da un tamburo, seguono le bandiere di ciascuna delle 17 contrade. Gli alfieri vestiti ad uso antico le sventolano, le gettano in aria, le passano sottogamba, si dimenano, si divincolano, e così facendo l’occhio degli spettatori è divertito in modo incantevo-le dai tanti colori delle ricche bandiere che stanno sempre tese e agitantesi.

Dopo questi alfieri viene il capitano della Contrada con elmo e pennacchio e

spada sguainata, poi vengono ra-gazzi, tutti vestiti dai colori della propria bandiera, i quali circon-dano il cavallo che deve correre, ed esso pure ha sul dorso un drappo di velluto.

Giunti al canapo, un segno indica la mossa e a questo punto vi lascio immaginare

il turbinio di voci, di urla nella speranza che vinca o perda la Torre, l’Oca, la Selva, la Lupa, il Bruco, la Chiocciola, il Montone, L’Istrice, il Drago, il Nicchio, nomi tutti di contrade che fanno corre-re non i cavalli proprii, ma quelli estratti a sorte dal Municipio, af-finché il caso abbia più dominio in queste corse, che destano già grande entusiasmo dal fanciullo di 7 anni al vecchio di 70 ed alla vecchierella di 80; e sembra quasi che fra le donne si accenda più che in altri il furore per la vittoria del cavallo della Contra-da propria. Infatti per invogliare il fantino a star saldo nell’adem-pimento del proprio dovere, il popolo dà il suo obolo, i ricchi danno somme di una qualche importanza, le donne si stacca-no orecchini d’oro, la fanciulla lo spillino, un anello d’argento, una crocellina e tutto va nella mani del fantino, il quale fino al punto di entrare in piazza armeggia per vendersi al compagno o per com-prarlo, tanto che dopo la corsa

possa aver raggranellato più denaro possibile. Se perde, dopo la corsa s’invola: se vince, è destinato a ricevere gli abbracciamenti frenetici dei popolani della Contrada vincitrice e questi baciano lui, il cavallo, la bandiera, e trasognati dall’allegrez-za si avviano alla chiesa di Provenzano per ringraziar la Madonna del premio ottenuto, …Un po’ mi dimenticavo di dirvi che la vittoria toccò alla Lupa…

da La Nazione del 18 agosto 1867

I senesi: “Morte ai preti”Garibaldi: “Morte a nessuno”

Conclusa la terza guerra di Indipen-

denza, Garibaldi viaggiava per

l’Italia per sostenere la causa della presa

di Roma. Durante la visita a Siena

ebbe accoglienze trionfali.

Al fantino della Lupa vincitore del

Palio regalò una sua foto con la

seguente dedica: “A Mario Bernini cam-

pione della Lupa vittoriosa, augurio

della vittoria di Roma”.

L’eroe dei due Mondi assiste al Palio dell’Assunta Il grande entusiasmo popolare: “la vittoria toccò alla Lupa”

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Nella foto: David Lazzeretti mentre,

ispirato, scrive una delle sue tante

profezie.

Nel tondo: così i lazzerettisti, nei loro

labari, raffigurava-no il trionfo

di Cristo.

da La Nazione del 3 e 10 novembre 1879

Come e perché fu ucciso il Cristo dell’Amiata Lazzeretti

Lo chiamavano il Santo David e in origine era un carrettiere. Ma sentiva fortissimo il richia-mo, quasi mistico, della fede. Nello stesso tempo non era indifferente alle tesi marxiste della uguaglianza e della soli-darietà. Come risultato, David Lazzeretti aveva costituito sulle pendici dell’Amiata una comunità dove tutto veniva di-viso secondo necessità, secon-do le indicazioni dei Vangeli e delle prime comunità cristia-ne. Un giorno, però, durante una processione, un bersaglie-re gli aveva sparato ucciden-dolo. E la vicenda – destinata a diventare mito, oggetto di libri, spettacoli teatrali, film, e ancora oggi viva nei ricordi dell’Amiatino – si era tragica-

mente conclusa. Qui di seguito La Nazione riporta alcune cronache del processo che si svolse nella Corte d’Assise di Siena e che in-credibilmente si concluse con pene severe per coloro – preti ed operai, contadini, intere famiglie – che avevano osato seguire gli insegnamenti del loro profeta.

È introdotto il testimone cavalier Galassi Leopoldo, di anni 41, nato a Mon-

talcino, domiciliato a Roma, avvocato. Non conosce nessuno degli accusati. Nell’agosto 1878 era con la famiglia a Castel del Piano, ove erasi recato per pas-sare la stagione estiva. Colà udì naturalmente parlare del tema

Sfilano i testimoni in Corte d’Assise dove si tiene il processo ai seguaci del Santo DavidLa requisitoria dell’accusa: “Nella mente di quella gente c’è qualcosa di vago”

favorito del giorno, del Santo David cioè, e della Associazione

di Monte Labro…

Avv. Lesen. Il signor

cavalier Ga-lassi trova-tasi a Castel del Piano il 18 agosto dell’anno decorso. Vorrebbe dirci quel impres-

sione producesse

in quel paese l’annunzio della

famosa discesa degli Eremiti dal loro

eremo del Monte Labro?

Testimone. Nessuna… destò piuttosto un senso genera-le di curiosità… io stesso

fui da alcuni miei amici incitato a prender parte a codesta gita. Sapendo però che… i Lazzeret-tisti avrebbero dovuto passare anche da Castel del Piano, ritenni inutile prendermi tale disturbo, e pensai che potevo benissimo godermi lo spettacolo senza muovermi… Perciò senza nulla alterare delle consuete abitudini dopo aver tranquillamente pranzato spinto come altri dalla curiosità si spin-se ad Arcidosso… giunto… seppe i particolari dello scontro ed ebbe notizia che David, mortal-mente ferito e vicino a spirare, trovatasi nella vicina borgata

detta Le Bagne… giuntovi assi-sté a un miserando spettacolo…

In un povero casolare, sopra uno squallido letto, giaceva il corpo dell’infelice Lazza-

retti, cui ormai non restavano che pochi aliti di vita. Accanto al moribondo stava il medico dottor Terni che faceva delle po-sche con acqua ghiaccia al capo del ferito e il figlio di questi che ne allontanava le mosche… Di qua e da là erravano spaventate, colla massima confusione, don-ne e fanciulle vestite di bianco e con le corone in testa, nonché varii uomini… Visto il testimone che riconobbero, si affollarono intorno a lui richiedendolo che nella sua qualità di avvocato sapesse dire cosa sarebbe avve-nuto di loro. Egli rispose… che li avrebbero tratti in arresto, e che anzi aveva veduto i carabinieri dirigersi a quella volta. Inter-pellati se avessero armi, ebbe in risposta che non avevano nep-pure il più piccolo temperino… L’avvocato Galassi non si perita a qualificare l’avvenimento del 18 agosto col titolo di selvag-gia repressione. (ndr. L’ascolto dei testimoni si svolge il 2 e 3 novembre 1879, sette giorni dopo, il 10 novembre, prende la parola il Pubblico ministero).

Non intendo – sostiene l’oratore della legge – di innalzare né distruggere

questo idolo, dinanzi alla fede più o meno sincera, più o meno ipocrita dei suoi ammiratori… se sarà destinato a sopravvivere come un grande uomo, o come

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Nella foto: i tafferugli di Arci-

dosso che portarono all’uccisione di

David Lazzeretti. L’immagine è tratta

da un’incisione di fine Ottocento.

un eroe da strapazzo per uso e consumo dei nostri cantastorie nelle fiere e nei mercati dei nostri castelli, da venire insieme con Guerrino, ma strilli e con Brindano.

Signori giurati, la storia del Lazzeretti è una storia antica... falsi Messia vissero

e perirono in tutto il mondo. La leva, il punto d’appoggio per queste operazioni fu sempre il cielo; lo scopo vero furono sem-pre i materiali interessi... tutti questi agitatori e profeti ebbero il loro tempo... come David Laz-zeretti seppe trovare il suo!... La linea che percorse fu questa. Barrocciaio, figlio di barroccia-io, visse fino al 1868 di una vita conforme alle abitudini del suo mestiere. In quest’epoca scom-parve da Arcidosso, e dicasi restasse nascosto in Sabina, ove condusse, per qualche mese, vita da anacoreta. Tornato al pa-ese natio egli si mostrò comple-tamente trasformato: l’antico carrettiere era divenuto un filo-sofo più o meno strano, spro-positato inintelligibile. L’antico bestemmiatore parlava di Dio, con accento ispirato e profetico. I buoni montanari dell’Amiata l’accolgono prima con diffidente

curiosità; egli arriva ben presto ad avere dei seguaci e a farsi un partito.

Va a Monte Labro; e già ha tante braccia, e tanti mezzi a sua disposizione,

che fabbrica una chiesa ed erige una torre. Crea società religio-se, predica per lunghissime ore; scrive libri, scrive poesie, intraprende viaggi in Francia, in Inghilterra, nel Belgio e giunge al colmo del successo allorché ha la ripetuta soddisfazione di trionfare dei propri nemici. Denunziato dinanzi ai tribunali ecclesiastici, dinanzi ai civili, egli rimane sempre assolto. Inorgoglito della sua fortuna, rompe ogni freno alla sua cieca ambizione, che poi fu la sua vera rovina. E giacché era a tutto fare e disfare, allorché trattasi di se medesimo non si accontenta di esser più l’eremita, nemmeno il Profeta, ma si dice Cristo, e Dio addirittura…

Dice, predicando ai suoi fidi, che tutto deve essere riformato. Che il Papa,

quello che una volta egli voleva far Re d’Italia, deve essere pure abbattuto; che egli ricostitu-irà la società su nuove basi,

e fantasticando su tutto e su tutti prende il volo, in fondo al quale non poteva trovare che il manicomio, la carcere o le armi della forza pubblica… riuscì ad accumulare, per la dabbenaggi-ne dei suoi seguaci, una immen-sità di denari, coi quali diceva voler comprare Gerusalemme; entrò in trattativa col Sultano; ma Solimano lo fece arrestare e minacciò di tagliargli la testa; ed egli per salvare testa e quattrini gabbò gli ebrei ed il Sultano e si fece turco…

E detto in tal modo di lui l’oratore parla distinta-mente di tutti gli altri

accusati. Dice che per giudicare delle loro intenzioni bisogna distinguere la prima dalla seconda epoca della storia del Lazzeretti, asseverando che se poteva nei primi tempi am-mettersi in quella gente una tal quale buona fede, allorché non si facevano che modeste riunio-ni ascetiche e si trattava di cose religiose, la buona fede non può ammettersi negli ultimi tempi, non fosse altro che per le forme esterne che avevano assunto le pratiche religiose della lazzeret-tiana commedia.

Si sa che David e i suoi seguaci erano tenerissimi della banda musicale, e per

questo chiamavano e pagavano spesso la musica d’Arcidosso. Ma quell’andare a zonzo, quel parlare di riforme sociali e di penitenze e di pratiche religiose a suon di Walzer e di Polke, non è certo una cosa che si concili con la serietà…

In sostanza, dopo l’esame di molti altri fatti, l’oratore conclude col dire che nella

mente di quella gente c’era qualche cosa di incomposto e di vago, che altro non era che un pervertimento di ogni idea d’or-dine e di rispetto della legge.

Nel tondo: il sigillo d’argento col quale il profeta dell’Amia-ta battezzava i suoi seguaci. La “chiesa” dei lazzerettisti ha continuato ad esistere, pur con notevoli trasforma-zioni, fino ai giorni nostri.

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Le cronache senesi: il 1893

Il ministro Ferdinando Martini: “chiudete quella università”

Iniziavano con un tono decisamente allarmato le cronache senesi del 1893:

il primo numero di quell’anno pubblicava una sola corrispon-denza proveniente da Siena e si riferiva al progetto di soppres-sione delle università minori proposto dal ministro della pubblica istruzione Ferdinando Martini che voleva concentrare gli sforzi economici a poche grandi università. In tutta Italia gli iscritti all’università raggiun-gevano solo lo 0,006%: a Siena erano attivi due corsi, quello di medicina (a cui erano iscritti il 58% degli studenti) e quello di giurisprudenza, priva di alcune cattedre importanti.

Non era la prima volta che si tentava di chiudere l’Ateneo senese, anzi,

nell’Ottocento il tentativo fu ri-corrente tanto che, preoccupati

per le sorti dello studio senese, alcuni enti cittadini si riuniro-no in consorzio per evitarne la chiusura più volte minacciata: il primo consorzio fu fondato nel 1875 ed era composto da Provincia, Comune, società ese-cutori Pie Disposizioni e Monte dei Paschi.

Il ventennio che ne seguì fu uno dei più fecondi: nel 1883 la facoltà di medicina

raggiunse la completezza dei corsi e nel 1886 fu firmata la convenzione con gli Spedali Ri-uniti di Santa Maria della Scala, trasformati così in policlinico universitario, il primo esem-pio in Italia; a spese del Monte dei Paschi fu istituito il Circolo Giuridico (1880) e poi realizzati i nuovi istituti biologici (1894). Nonostante ciò i richiami al rag-guardevole patrimonio erano un vanto illusorio e privo di fonda-

Ma la città con una rivolta generale difende le facoltà di medicina e giurisprudenzaLa Nazione sostiene la protesta e alla fine il Governo ritira il progetto

mento. Eppure il mantenimento dell’università era inteso da tutta la città come una questione di onore per i senesi e di gloria per la città. In questo contesto vanno interpretati sia la grande manifestazione che si tenne in piazza del campo il 29 gennaio di quell’anno, sia i festeggiamen-ti di fine maggio per ricordare la battaglia di Curtatone e Monta-nara combattuta dagli studenti senesi al fianco di quelli pisani. In entrambi i casi il richiamo del popolo senese alle armi non fu affatto velato perché “togliere a Siena la sua università è togliere quanto può avere una città che vive per la scienza e per l’arte”.

Fu una difesa a tutto campo: enti morali e associazioni cittadine “votano somme

ragguardevoli al fine di esser pronti a qualsiasi sacrificio per conservare a Siena questa antichissima gloria”, associazioni studentesche battevano palmo a palmo la città per raccogliere fondi. Il valore della manifesta-zione del 29 gennaio 1893 si deduce dalla passione con cui tutti vi parteciparono: “Questa mattina di buon’ora, da ogni edificio pubblico sventolava il vessillo tricolore e le vie del-la città si facevano via via più animate, al suono della maggior campana del comune e degli strumenti delle 17 contrade tutte le associazioni si avviava-no ai luoghi di ritrovo. Tutti i pubblici esercizi chiudevano con affisso un cartellino Chiuso per protesta. Il lunghissimo corteo era preceduto da una squadra di pompieri, dalla banda comunale e dalla bandiera del comune a cui seguivano le rappresentanze del municipio di Siena, di quelli delle provincie, le autorità citta-dine, enti morali, studenti, priori

delle 17 contrade, la musica della filarmonica, le associazio-ni operaie, militari, politiche e altre. Oltre un centinaio le ban-diere, tra cui l’Accademia della Crusca”.

Ma la manifestazione non ebbe un riscontro immediato: il ministro si

limitò a posticipare la chiusura. L’agitazione riprese quota verso la fine di aprile, quando Siena di preparava a festeggiare il 45° anniversario della battaglia di Curtatone e Montanara: per l’occasione fu corso un palio straordinario (vinto dall’Onda) e “le prime lampade a gas a Siena illumineranno Piazza Salimbeni”. La Nazione per la prima volta mandò a Siena un suo inviato speciale: segno che le feste se-nesi avevano un significato che andava ben al di là delle mura medievali della città.

“Èormai fatto incontesta-bile che, per inerzia di uomini e per necessità

di cose, Siena, la vecchia e glo-riosa città ghibellina, meta degli artisti, delizia degli innamorati, sogno dei poeti, dorme per do-dici mesi l’anno i suoi più placidi sonni appena turbati dalla vita studentesca. Siena dorme…, e nessuno ha mai pensato di sve-gliarla, e se ci si è pensato è stato per spogliarla dé pochi cenci che le rimangono dell’antica dovizia. Ma ella a quei cenci ci tiene… e si è destata per difenderli”. Alla fine il ministro Martini do-vette ritirare il progetto: ancora una volta Siena i “suoi cenci” li aveva ben difesi.

Nella foto: Ferdinan-do Martini con la

Regina Margherita durante una cerimo-

nia ufficiale.

L’ex cronista de La Nazione e professore alla Normale di Pisa, divenne poi Governatore dell’Eri-trea e Ministro dell’Istruzione Pub-blica nel Governo Giolitti.

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Le condizioni sanitarie della città di Siena, in conse-guenza della notevole

diffusione di talune malattie sociali, hanno indotto il Governo a studiare le cause del fenome-no e ad escogitare prontamente gli opportuni rimedi.

La città è fornita abbondan-temente di acqua sgorgan-te dalla sorgente del Vivo,

che sono fra le più salubri del Regno; è circondata da terreni ubertosi con frequenti zone boschive che purificano l’aria; possiede un ottimo sistema di fognature, ha accurati servizi di igiene e di nettezza urbana. Con-corde è stato quindi il giudizio degli organismi competenti nell’attribuire l’origine dell’at-tuale disagio alle condizioni an-tigenico delle abitazioni popo-lari, nelle quali l’aria, lo spazio e la luce difettano egualmente: incorporate come sono tali abitazioni in vecchie e strette vie che circondate dalle antiche mura della città sono in gran parte chiuse ai raggi benefici del sole.

Cronache senesi del 1928

Il governo di Roma ha deciso:“Ecco i soldi per risanare Siena”Grazie a un cospicuo finanziamento statale, parte il recupero di alcune parti della città (Salicotto)Una spesa di oltre 38 milioni di lire. Ecco come viene “raccontato” l’evento

L’amministrazio-ne comunale ha fatto quindi

studiare un piano completo di risana-mento cittadino, che comprende la realiz-zazione di importanti

nuclei di case popolari in adatte zone, lo sven-

tramento dei quartieri insalubri mediante l’abbatti-

mento di una parte delle attuali abitazioni, l’allargamento di vie e la creazione di nuove piazze che darebbero aria e sole alle altre case, la costruzione di un sanatorio antitubercolare, d’un ospizio marino, di nuove caser-me, e l’adattamento a scuole di quelle ora esistenti; ed infine la costruzione di strade cittadine per l’accesso alle nuove zone di ampliamento alla città.

Il programma completo delle opere progettate importa una spesa di oltre 38 milioni. Le

condizioni finanziarie del Comu-ne però non gli consentono di affrontare, senza l’ausilio dello Stato, sì grave problema: si è quindi predisposto l’unito dise-gno di legge col quale vengono assicurati all’amministrazione comunale i mezzi per l’esecu-zione di una così indispensabile opera.

Lo Stato concorrerà con 7,2 milioni destinati alla realizzazione di nuove case

popolari.

Con una bellissima giornata si è svolto nel nostro velodromo l’attesa riu-nione. Il pubblico entusiasta ha tributato a Girardengo molte prolungate dimostrazioni di sentita simpatia. Molti sono stati gli assi del pedale qui convenuti: Cozzi, Ciaccheri, Balestrieri, Negrini, Massaro, Marchi, non-ché una trentina di dilettanti. Nelle corse per professionisti, col giuoco di “equipe” tra Negrini e Girardengo neutralizzano i tentativi di Ciacche-ri e Balestrieri e vincono magnificamente tutte le gare. Il campionissimo anche oggi ha saputo mandare il pubblico in delirio per le magnifiche prove date.

Il 13 giugno muore Pier Eugenio Sclavi, trentenne figlio del rettore Achille, tenente di artiglieria nella grande guerra e direttore dell’Istituto sieroterapico e vaccinogeno toscano. Il padre il giorno stesso inviò una lettera al commissario dei RR Spedali Riuniti di Santa Maria della Scala: “Nell’immensa sciagura che mi ha colpito, un po’ di conforto l’ho trovato cercando in qualche modo di alleviare grandi dolori ad altri. Come ella sa, il nostro Ospedale non dispone affatto di quel radio che in non pochi casi può vincere la malignità del cancro. Vorrei quindi che ella accettas-se in memoria del mio povero figlio Eugenio lire diecimila come primo fondo per l’acquisto del radio necessario al nostro Ospedale per corri-spondere ad un dovere impostoci dalla pietà e dalla solidarietà umana”. Le oblazioni in memoria del giovane Pier Eugenio Sclavo giunsero da istituzioni e privati cittadini di Siena, ma anche da altre città italiane e dall’estero: in due mesi fu raggiunta la cifra di 61 mila lire, in sei mesi si arrivò a 83 mila lire.

5 giugno 1928Girardengo vittorioso a Poggibonsi

14 giugno 1928La morte di Pier Eugenio Sclavi

Vengono sventrati quartieri insalubri e create nuove vie e piazze, costruite

case popolari e un sanatorio antituber-

colare.

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Cronache senesi del 1939

Il Monte cambia lo statutoe resta per sempre a Siena

Il Monte dei Paschi resta a Sie-na. Ecco come la città apprende la notizia.

“S. E. il capo del Governo su proposta dei ministri per la difesa del rispar-

mio e dell’esercizio del credito, ha disposto che siano apportate varie modificazioni allo Statuto del Monte dei Paschi approvato con il precedente decreto 22 ottobre 1936 XIV. Sono stati così accolti i voti espressi dalla Città, la quale deve esser grata a S. E. il capo del Governo che compia-cendosi di portare la sua bene-vola attenzione sull’importante

problema, ha voluto affrettarne l’auspicata soluzione. Di tali sentimenti di viva gratitudine il podestà si è reso interprete inviando il seguente telegram-ma: Popolo senese ha accolto col più vivo giubilo Decreto Vostra Eccellenza che apporta modifi-cazione statuto Monte dei Paschi e Vi esprime Duce tutta la sua profonda riconoscenza anelan-do a gridarvela tra le sue mura vetuste. Dall’alto benevolo Vostro Interessamento per secolare Istituto, sua gloria e fortuna, Siena fedelissima, fascisticamen-te vibrante, trae i più lieti auspici del proprio avvenire”. Queste le principali modifiche allo Statuto.

Carattere e sede dell’Istitu-to - Il nuovo testo all’art 1 conferma in modo espilicito

che il Monte dei Paschi, creato per voto della Magistratura e del popolo senese, è Istituto di Credi-to di Diritto Pubblico, con propria personalità giuridica ed ha la sua sede in Siena.

Deputazione amministra-trice. Nello statuto del 1936 la

deputazione era stabilita in 8 membri, 1 dei quali il residente nominato da S. E. il capo del Governo, tre dal comitato dei ministri e quattro dal comune di Siena senza alcuna prescrizione di domicilio. Il nuovo statuto aggiunge un quinto membro nominato dall’amministrazione provinciale di Siena e prescrive che questo e i membri nominati dal Comune siano domiciliati a Siena o nella sua provincia. Degli otto membri dei quali

Nella foto: il Duce accoglie le richieste dei senesi con un decreto del 22 ottobre 1936.

Nel tondo: un inter-no anni Trenta della sede del Monte dei Paschi.

rimane composta la deputazio-ne, sono quindi almeno cinque domiciliati in Siena e provincia: lo stesso requisito deve avere il Presidente. È assicurata con ciò, la prevalenza dell’elemento locale.

Comitato esecutivo. Nel vecchio statuto il comitato era composto

dal Provveditore (presidente), dal direttore Generale, e da tre deputati uno dei quali di no-mina governativa; rimanevano quindi due posti al massimo per i deputati di nomina locale. Nel nuovo statuto rimane inalterato il numero dei deputati.

Presidente. Sostanzialmente diversa la figura del presidente al

quale è deferita, anziché al Prov-veditore, la legale rappresentan-za dell’Istituto. La nomina del presidente rimane di competen-za di S. E. il capo del Governo ma deve cadere su uno dei deputati aventi domicilio in Siena o nella provincia. È questa indubbia-mente una modificazione di grande importanza perché ripristina un’antica tradizione nei riguardi dell’Amministrazione dell’Istituto. Il presi-dente è sostituito da un vice presidente scelto dalla stessa deputazione nel proprio seno.

Provveditore (Di-rettore Generale). Il Provveditore

ritorna ad essere il diret-tore generale dell’Istituto, il

L’Unione provinciale Agricoltori fascista comunica. Ai fini di una tempestiva organizzazio-ne è necessario che le prenotazioni per la coltivazione del ricino nella prossima campagna ci pervengano nel più breve tempo possibile. La urgente necessità di raggiungere in breve tempo la produzione di seme di ricino necessario al fabbisogno militare e civile, il conse-guente alto prezzo che viene pagato per tale prodotto e la certezza del suo collocamento, sono condizione di sicuro incitamento alla maggiore estensione di tale coltura. È da rite-nere che il contratto di coltivazione sarà migliorato. Comunque possiamo assicurare fin da ora che tutte le attuali condizioni favorevoli saranno mantenute

24 gennaio 1939Per l’incremento della coltura del ricino

capo degli uffici, dei servizi e del personale.

Sindaci revisori. Nello statuto del 1936 dei tre sindaci solo uno era

nominato dal comune di Siena, mentre nel nuovo sono nominati tutti i sindaci effettivi e supplenti meno uno nominato dal comita-to dei ministri per la difesa del risparmio e la tutela del credito che preside il collegio.

Ripartizione degli utili. Quella che nel vecchio statuto era una semplice fa-

coltà ad elargire gli utili in opere di beneficienza e pubblica utilità, nel nuovo diventa un obbligo. Si legge infatti: “gli utili residui sono erogati in opere di beneficienza e pubblica utilità riservandosi a vantaggio della Città di Siena e delle sue Istituzioni una quota non inferiore ai tre quarti degli utili disponibili”.

La decisione voluta dal capo del Governo Benito Mussolini

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Cronache senesi del 1939

“La più Santa delle italiane,la più italiana fra le Sante”

Il 18 giugno 1939 Santa Caterina Benincasa viene proclamata Patrona d’Italia

“esaudendo il voto di tutto il popolo italiano” e a Siena la cerimonia di proclamazione si svolge nella Basilica di San Domenico dove le campane di tutte le chiese della città e del contado chiamano a raccolta tutto il popolo per il Te Deum di ringraziamento. La sua vita e le sue opere – scrive La Nazione – stanno a testimoniare anche

L’impegno dei senesi per ottenere il riconoscimento era durato nove anni.Raccolte ventiseimi-la firme per sostene-re la causa di Santa Caterina presso la Santa Sede.

Caterina Benincasa e chiedere ad essa protezione e conforto”. Nel contempo anche nell’orato-rio dell’Oca venne celebrato il rito di ringraziamento con le vie della contrada allestite con “gli arazzi alle finestre, le seriche bandiere elevate al vento e i caratteristici braccialetti illumi-nati da molteplici lampadine; alfieri e tamburini dell’Oca, indossati gli storici costumi, transitavano per le vie principa-li della città rendendo omaggio alla reliquia della testa della Santa in San Domenico e alla chiesa della contrada del Drago, che si onora anch’essa di avere Santa Caterina protettrice”.

La proclamazione di Santa Caterina patrona d’Ita-lia viene da lontano, dal

1896 con la prima conferenza in epoca moderna sulla santa senese; nel 1920 nacque a Siena la Società di studi Cateriniani, “la prima sorta in Italia con precipuo scopo di volgarizzare le opere della Santa senese e promuovere con ogni mezzo lecito, la glorificazione della fan-ciulla di Fontebranda”. All’inizio il metodo divulgativo consisteva nelle conferenze che si tenevano alla casa della Santa, poi, nel 1925 con una solenne cerimo-nia nella Sala del Mappamon-do, alla presenza del ministro dell’istruzione fu istituita la Cattedra Cateriniana all’Unver-sità. Nel 1930 Padre Martino Gillet, generale dei domenicani

Il 18 giugno 1939 le campane di tutte

le chiese senesi suonano a festa per

la proclamazione di Santa Caterina a

patrona d’Italia.

Caterina Benincasa è proclamata Patrona d’ItaliaIl Te Deum di ringraziamento in San Domenico

Creato con lo scopo di consolidare lo slancio verso la passione africana. Affermata la sosti-tuzione della gerarchia dei valori a quella superata delle classi, illustra i vari compiti della donna nei diversi settori della vita e del lavoro italiano in terra d’Africa, sia come moglie di rurale, sia come compagna di funzionario o di impiegato, nell’opera continua e silenziosa della famiglia ed in quella di diretto lavoro che si integrano con i compiti assistenziali nei quali può profondere le sue doti spirituali e di italiana. Fondamentale la sua parte nella difesa contro il meticciato attraverso il costruirsi di nuovi nuclei familiari e l’apporto di valori morali dato dalla sua presenza.

17 gennaio 1939La preparazione della donna alla vita coloniale

oggi la fede e l’italianità della vergine di Fontebranda, donna di grande ingegno e di infinita pietà. Nell’occasione l’Arcive-scovo… pronunziò “un’ispirata allocuzione”: “Santa Caterina si innalza oggi oltre il suo campa-nile, oltre la sua terra fino ad irradiare la sua luce divina su tutto il popolo italiano. In un momento in cui tutte le nazioni, all’infuori della nostra, sono turbate è bello vedere sorge-re sull’Italia l’astro di Santa

iniziò proprio dal questa catte-dra la propaganda per ottenere l’importante riconoscimento per la Santa senese: subito la società di studi cateriniani rac-colse 26mila firme di adesione per sostenere la causa presso la Santa Sede. Il procedimento ini-ziò sotto il pontificato di Pio XI, ma la proclamazione fu firmata dal Pio XII, terziario domenica-no. Esattamente 60 anni dopo Giovanni Paolo II proclamò la Santa senese compatrona d’Eu-ropa insieme a San Francesco d’Assisi.

Tra gli ospiti illustri del santuario anche Madre Teresa di Calcutta nel

1987 e lo stesso Giovanni Paolo II, ha visitato la Casa-Santuario nel 1980 e nel 1996, nell’ulte-riore visita, scrisse: “C’è una fe-lice convergenza tra il carisma di Caterina e, diciamo così, il carisma del Vaticano II, che po-tremmo definire passione per Cristo e, in lui, per il mistero della Chiesa..”. E io ho pensato anche: “Che cosa mi dice, cosa mi dice Caterina: devo viaggia-re di più o di meno?” E la rispo-sta mi è venuta: “Si, viaggiare puoi, ma non trasferire mai la sede, la Santa Sede, da Roma... Viaggiare sì... ma sempre torna-re...” (Dall’Osservatore Romano, 19.03.1996).

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Sono le 11,30 del 14 luglio del 1948. Palmiro Togliatti esce da Montecitorio assieme a Nilde Jotti quando un giovane, Antonio Pallante, gli spara tre colpi con un P 38. Il leader del PCI cade a terra, trasportato immediatamente all’ospedale appare in condizioni gravissi-me. Dopo poche ore si sparge la voce che sia morto, e in Italia scoppia la rivolta. Si bloccano i telefoni ed i treni. A Torino gli operai della Fiat sequestrano nei suoi uffici l’amministratore Antonio Valletta. Per tre giorni andrà avanti la rivolta, ed i morti saranno una ventina, centinaia i feriti. Ad Abbadia San Salvatore, un agente e un maresciallo di P.S. vengono uccisi dai dimostranti. Ecco la cronaca di quel fatto apparsa sulla prima pagina de La Na-zione di allora.

Sull’efferato crimine com-messo ad Abbadia San Salvatore dove il maresciallo

di P. S. Raniero Virgilio è stato as-sassinato con un colpo alla nuca si apprendono oggi ulteriori par-ticolari. Nel pomeriggio di ieri fu inviato dalla questura di Siena un camion con alcuni agenti di P. S. per rifornire di viveri gli uomi-ni della polizia, alle dipendenze del commissario dr. Pugliesi che erano a guardia della centrale di amplificazione telefonica.

L’automezzo, giunto nella piazza del paese è stato assalito da una folla arma-

ta che ha sparato ripetutamente colpi di arma da fuoco contro gli agenti che erano a bordo. Rima-nevano feriti gravemente due agenti: la guardia scelta Giovan Battista Carloni che è deceduto stamattina all’ospedale di Abba-dia e l’agente Michele De Fabio che, trasportato a Siena, è stato ricoverato con prognosi riserva-ta. La folla intanto si impossessa-va del maresciallo Virgili Raniero e di altri due agenti che venivano trasportati nei boschi vicini. I due agenti, in serata riuscivano ad eludere la sorveglianza e a

tornare disarmati ma incolumi in sede. Il Maresciallo Virgilio, invece, è stato la notte scorsa rinvenuto cadavere. I criminali lo avevano colpito con un colpo alla nuca, e secondo notizie ufficialmente non confermate, ne avevano seviziato il cadave-re. La questura non ha ancora comunicato il referto medico e dell’autopsia. Si sa però che oltre al colpo alla nuca il cadavere presentava tracce evidenti di strangolamento, una ferita all’in-guine, una coltellata allo sterno e lo strappamento dell’epidermide al dito in cui il poveretto teneva l’anello. Il maresciallo Virgilio lascia quattro figli in tenera età, i funerali si svolgono domani a Siena.

da La Nazione del 17 luglio 1948

Un maresciallo di P. S. assassinatodai rivoltosi di Abbadia San Salvatore

Stasera la situazione sul monte Amiata era immu-tata. Gruppi di uomini

armati fra i quali si trovavano sicuramente gli assassini si sono rifugiati nei boschi. Nel pome-riggio sono arrivati nella zona notevoli rinforzi di polizia da Siena e da Firenze, con autoblin-de corazzate pesanti... Le forze armate non hanno proceduto ancora a rastrellamenti, limitan-dosi a presidiare i vari abitati della montagna. Una azione in grande stile per accerchiare i criminali e recuperare le armi è considerata imminente. A Siena la situazione è tornata normale. Si apprende oggi che il conte Francesco Guicciardini è stato aggredito alla stazione di Poggi-

bonsi da un gruppo di sconosciu-ti che gli hanno provocato varie contusioni. A Colle val d’Elsa è stata fermata dai dimostranti la macchina dell’ordinario militare Arcivescovo monsignor Ferrero di Cavallerlone. Tutti i passeg-geri sono stati fatti scendere e condotti alla locale Camera del Lavoro. Qui l’ordinario milita-re è stato riconosciuto da un capitano dei carabinieri e subito rilasciato. Prima di ripartire monsignor Ferrero ha tenuto un breve discorso alla folla adunata in piazza predicando l’amore e la pace tra i popoli, ascoltato con il massimo rispetto dalla folla. L’or-dinario militare è stato fermato un’altra volta a Volterra ma è stato fatto ripartire subito.

Per tre giorni l’Italia si ferma

dopo l’attentato a Palmiro Togliatti.

Nell’Amiata le proteste si

trasformano in una vera e propria

rivolta armata.

Due agenti riescono invece a fuggireLa protesta dopo l’attentato a Togliatti si diffonde in città e provincia

Contro i rivoltosi dell’Amiata la Polizia farà interve-nire da Firenze e da Siena autoblinde e mezzi pesanti.

La vicenda dell’Ar-civescovo Ferrero di Cavallerlone ordinario militare.

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È il 1947 e viene apertala prima redazione di Siena

Due stanze in un vecchio Palazzo che più senese non poteva essere. E tre colle-

ghi, Chiantini, Corsini, e Giovanni Magrini a presidiarlo. Nel dopo-guerra, primi anni Cinquanta, la redazione di Siena era questa, in Banchi di Sotto, a due passi dalla piazza del Palio, su una distesa di tetti rossi di cotto, punteggiata dal verde del muschio. Lo stesso edificio dove si trova ancor oggi, ma più angusto, più intimo.

A dire il vero Siena aveva sempre avuto, già nell’Ot-tocento, un corrisponden-

te per La Nazione. Era troppo vicina al capoluogo perché le sue vicende non interessassero a fondo i fiorentini. E poi, la Siena risorgimentale era una assoluta realtà. Quindi, al Ricasoli e ai suoi uomini, le vicende senesi interes-savano da vicino, come dimostra-no le cronache sulla visita in città di Garibaldi, ampie insolitamente diffuse per il giornale di quei giorni, e che riportiamo in questo stesso fascicolo. La vera e propria redazione, nasce però nei giorni che precedettero la guerra, si interruppe nei giorni in cui La Nazione cessò le pubblicazioni

(dal 1944 al 1947) ripartì da allora per volontà di Gastone De Anna, lo storico organizzatore delle edizioni provinciali quando ancora era editore Egidio Favi.

Due i redattori, e due le pagine di cronaca nei pri-missimi giorni. Chiantini

era il capo, Corsini si occupava soprattutto di cronaca, e in modo particolare di cronaca nera che però a Siena non abbondava. Ma al di là dei redattori in organico, erano i numerosi e qualificatissi-mi collaboratori che rivelavano l’importanza della redazione, a cominciare dall’indimenticabile scrittore, e conoscitore della re-altà locale, Giulio Pepi. Una città non facile Siena, non c’è dubbio, ma capace di esprimere stori-ci, letterati, uomini di assoluta cultura, tutti o quasi gravitavano nella nostra redazione.

Chiantini era un gentiluomo, autentico, ma con un grave problema alla vista che un

po’ alla volta lo rese quasi cieco. E tuttavia continuò a lavorare, finché non dovette cedere il passo. A chi? De Anna mandò a Siena dei giovani dalla redazione

Oltre ai giornalisti, la redazione di Siena si è sempre avvalsa della colla-borazione di storici e letterati locali. Fra questi l’indimen-ticabile Giulio Pepi.

Ma già dall’Ottocento La Nazione poteva contare su cronache quasi quotidianeDa Chiantini a Parigi, da Tiberi ad Antola

Nella foto: una vignetta degli anni

Cinquanta che raffigura Gastone

De Anna (al centro) mentre parla al

telefono con il corrispondente di Siena Chiantini (a destra). A sinistra

si riconosce (con gli occhiali) il vice caposervizio della

redazione provincie Nicola Della Santa.

centrale. Per un breve periodo la responsabilità delle pagine locali toccò anche a Maurizio Naldini ma erano soluzioni provvisorie, perché occorreva trovare un redattore dispo-sto a vivere nella nostra città. Finalmente, De Anna, individuò l’uomo giusto: Guido Parigi Bini. Con lui aumentò progressiva-mente il numero delle pagine e anche il prestigio delle crona-che senesi. Un buon numero di collaboratori qualificatissimi, anche di giovani promettenti e che avrebbero mantenuto le promesse. Da Laura Pacciani, attuale capo delle redazioni provinciali della Nazione, Pa-trizio Forci, Sandro Fornaciari (alla guida della redazione per un breve periodo), Michele Manzotti, Pino Di Blasio, Cecilia Marzotti e Gianni Tiberi, poi nominato responsabile.

Nel frattempo anche i loca-li della redazione si era-no ampliati, ma sempre

al primo piano di quel vecchio Palazzo. Si erano semplicemen-te aggiunte delle stanze. E nello stesso tempo, si era passati dalla composizione a cal-

do (con il piombo, cioè) a quella a freddo, fino alla impaginazione direttamente col computer. Una rivoluzione non solo tecnica, ma nel modo stesso di organizzare i lavoro. E infatti se all’inizio i cor-rispondenti da Siena inviavano gli articoli e il materiale raccolto alla redazione centrale, a Firenze, dove si provvedeva a organiz-zarlo e impaginarlo, col nuovo sistema partivano dalla redazio-ne senese le pagine già titolate, pronte per la tipografia.

E dunque il lavoro era total-mente decentrato. Parigi e Tiberi, pur essendo nel

frattempo arrivati a Siena da altri giornali con la cronaca locale, non solo riuscirono a mantenere i livelli di vendita ma addirittura li migliorarono. Attualmente la redazione è guidata da Franco Antola, circondato da un gruppo affiatato e qualificatissimo di col-leghi (il vice caposervizio Patrizio Forci, con il resto della “squadra” composta da Cecilia Marzot-ti, Franco Tinelli, Paolo Brogi, Francesco Meucci, Laura Valdesi e Antonella Leoncini; Serafina Biagini ha lasciato il servizio due anni fa).

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VENDITE BOOM DI DISCHII senesi hanno letteralmente polverizzato la tredicesima: i soldi spesi in questi giorni superano un miliardo. Il regalo più gettonato è il disco. Le statistiche parlano chiaro: nella seconda parte di questo mese (dicembre ndr) le vendite di questo prodotto nella nostra città sono più che triplicate, i negozi sono stati sempre affollati. (…) e non è affatto azzardato prevedere che anche in avvenire il ritmo di vendita di essi continuerà a mantenersi alto. Siamo infatti in un periodo in cui feste e parties sono all’ordine del giorno: le ragazze dovevano per lo più trovare delle scuse per parteciparvi. Oggi non più. Anche i genitori si sono convinti che questo è un passatempo come un altro per divertirsi. Anche loro non pongono più veti: il progresso li ha convinti.. Il 45 giri sta diventando sempre più un elemento indispensabile ed insostituibile. In testa alla graduatoria troviamo “Non son degno di te” cantata da Gianni Morandi. Il morandino dopo il successo di “In ginocchio da te” è senz’altro da considerarsi il cantante più in voga, il più gettonato del momento. Subito dopo Morandi troviamo – in piena ascesa – l’ultimo disco di Rita Pavone “Viva la pappa col pomodoro”.

La Nazione annuncia: “La circolazione sarà vietata entro il mese di aprile”Una decisione che solleva polemiche

Cronache senesi del 1965

Via le auto dal Centro È la prima volta in Italia

In realtà il problema del traffico nel centro storico riguarda anche la sicurezza

stradale molto seriamente: nel solo 1964 gli incidenti rilevati dai vigili urbani (quindi esclusi quelli rilevati dalla polizia e dai carabinieri) erano stati 308 con 138 feriti; nel solo mese di gen-naio del 1964 si verificarono 14 incidenti con 20 feriti, mentre la punta minima nelle statistiche di quell’anno furono 4 incidenti con 4 feriti. “E sebbene siano molte le gentili rappresentanti del bel sesso che ormai con-ducono automezzi, esse sono, rispetto agli uomini, assai più prudenti”. Ma i senesi faticarono ad abituarsi alle nuove norme e ogni categoria cercò di ottenere una deroga: così fecero dappri-ma i commercianti e gli alberga-tori, poi i medici e postini fino al ricorso dell’Aci al ministro dei lavori pubblici. Nonostante le polemiche il centro fu chiuso al traffico dall’11 luglio, ma la mancanza di altre strade di scorrimento e soprattutto di parcheggi adeguati fece monta-re la rabbia dei senesi che qual-che giorno dopo protestarono invadendo il centro con le loro auto con l’obiettivo di entrare in piazza del Campo: la protesta fu fermata alla bozza del Casato.

Dopo una decina d’anni di studio, finalmente la giunta appena insediata

di Fazio Fabbrini, delibera la chiusura a titolo sperimentale di parte del centro storico L’annun-cio della delibera viene fatto dal sindaco stesso in occasione dei lavori della quindicesima assem-blea nazionale delle aziende di soggiorno e di turismo che si era svolta a Siena i primi giorni di marzo: Via Banchi di Sopra, Via Banchi di Sotto e via di Città ver-ranno chiuse a qualsiasi tipo di veicolo esclusi quelli di pubblica utilità. La notizia viene data dal giornale un mese prima della data effettiva dando così vita ad una viva discussione: si tratta infatti del primo esperimento del genere effettuato in Italia: da un lato si schierano coloro che sono a favore di un maggiore rigore nel rispetto non solo dei pedoni ma anche di chi vive nel centro storico, dall’altra coloro che sostengono la tesi che la chiusura di tre strade non serva a risolvere il problema del traffi-co ma solo a creare una città-museo nella quale il commercio e la felicità saranno “distrutte”.

Siena è la prima città ad applicare la

“zona blu”. Via Banchi di Sopra,

via Banchi di Sotto e via di Città vengono

chiuse al traffico alla metà degli anni

Sessanta.I commercianti

temono che si venga a creare una “città

museo”.

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con il cuore alla sua patria tanto che, mettendosi a cantare con i giovani intonava anche dei canti in polacco commentando: “Voi che cantate con me con tanto affetto non conoscete forse le parole della canzone che suona quasi a rimandarmi via. Quando sono venuto per la prima volta a Siena nel 1947 non pensavo che qui avrei cantato con i ragazzi italiani le canzoni polacche!”.

Ma la venuta del Papa è riuscita, pare, a mettere anche pace tra i contra-

daioli della Torre e Santa Cate-rina, protettrice della “nemica” Oca. La bandiera amaranto della Torre consegnata dall’alfiere al Santo Padre durante la sfilata delle 17 contrade in piazza del Campo non è stato solo un gesto di riconoscenza verso il Papa che all’inizio del suo pontificato aveva regalato l’immagine della Madonna Nera alla contrada che da 19 anni non riesce a vincere il Palio, ma un segno di pace tra la Santa e la contrada che, per riva-lità con l’Oca aveva fino ad allora disertato anche la processione in onore di Caterina Benincasa.

Trentamila persone lo at-tendevano al Rastrello per salutarlo prima che salisse

sull’elicottero. Poteva il Papa la-sciare Siena in questo modo? No. E così, prendendo alla sprovvista carabinieri e agenti di polizia si è staccato dal corteo delle autorità ed ha compiuto un giro attorno al campo di calcio. Come fanno i veri vincitori. Ma lui più che un vincitore, si sentiva il pastore senese che si distacca dalla sua terra, che fu la terra di Santa Caterina.

Il papa pellegrino che viaggia-va con il cuore rivolto alla sua Polonia ma voleva essere con-

siderato senese. La prima visita di Giovanni Paolo II a Siena risale alla metà del settembre 1980: furono dieci ore intense durante le quali il pontefice non mancò di rompere il protocollo in più occasioni. L’attesa della città fu grande non solo perché incurio-sita e affascinata dal primo Papa straniero dopo quasi 500 anni di pontefici italiani, ma anche perché non riceveva in visita un pontefice dal 1857.

“Il programma delle 10 ore di visita, già intenso (benedizione della nuova

chiesa di Santa Caterina dottore della Chiesa, Santa Messa in Piaz-za del Campo, visita agli amma-lati del Santa Maria della Scala, l’incontro con il clero in Duomo, poi con le autorità e con i giovani, la visita alla casa di Santa Cate-rina e San Domenico) ha subito ritardi a causa degli incontri del Papa con la folla, con i fedeli, con i migliaia di pellegrini che sono giunti da ogni parte. C’è anche da dire che il percorso del corteo papale non è stato transennato, se non una piccola area in piazza del Campo e in piazza Duomo”.

Commovente l’incontro con i giovani in piazza Jacopo della Quercia: travolgendo

ogni possibile cordone protet-tivo il Papa si è mischiato con i giovani che lo chiamavano per nome. Fra loro anche i giovani minatori dell’Amiata che hanno offerto al Papa polacco, che ha conosciuto le insidie delle minie-re, un blocco di cinabro, un’ace-tilene e un cesto di funghi: doni che forse lo hanno fatto tornare

Trentamila persone salutarono Papa Wojtyla al Rastrello per la sua partenza in elicottero.

Commovente l’incontro con i giovani in Piazza Jacopo della Quercia.

È il settembre del 1980

Giovanni Paolo II, il papa polaccoche mise pace tra l’Oca e la TorreDopo oltre 100 anni la visita a Siena di un ponteficeDieci ore e una lunga serie di “fuori programma”

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Sono anni difficili per il terrorismo. L’arresto di Moretti e di Senzani

nell’aprile del 1981, aveva fatto pensare che il peggio fosse dietro le spalle, conclusi gli anni di piombo e le follie dell’ever-sione. E invece nuovi scandali, nuovi motivi di apprensione si profilano all’orizzonte. Il 14 maggio, sempre dell’81, l’atten-tato al Papa in piazza San Pietro, fa capire che l’Italia è ancora al centro delle lotte di potere fra l’oriente e l’occidente del mondo. Una settimana dopo, il 21 maggio, l’elenco della lista P2 ci fa comprendere che qualcuno ha pensato di uscire dal periodo di tensioni rivoluzionarie orga-nizzando in segreto uno Stato forte. Ma almeno i terroristi, i brigatisti sono sconfitti?

Non è così purtroppo e lo rivela una delle stragi più violente nella storia

degli anni di piombo. È il 21 gennaio del 1982. A Siena, in pieno centro, si svolge di mat-tina un assalto in piena regola a una banca. Sette fra uomini e donne si impadroniscono di quanto conservato nella cassa-forte di un istituto di credito. Può sembrare una rapina come tante, ma da certi particolari gli investigatori capiscono che non di banditi si tratta ma di terrori-sti. La rapina è infatti il classico modo per “sovvenzionare” la loro attività eversiva. Scattano, come è logico, i controlli ed i posti di blocco in tutte le strade che escono da Siena. L’ordine è di controllare tutti coloro che, con qualsiasi mezzo, si stanno allontanando da Siena.

A Monteroni d’Arbia, il ma-resciallo Augusto Barna e due giovani carabinieri,

Euro Tarsilli e Giuseppe Savasta-no, si appostano all’ingresso del paese. Passa un autobus di linea, uno di loro sale a bordo, con-

È il 21 gennaio del 1982

Scesi dal pullman i terroristiuccidono due giovani carabinieri

trolla i documenti ai passeggeri, qualcosa non lo convince nell’at-teggiamento di due giovani, e li prega di seguirli all’esterno del pullman. Questi fanno finta di ubbidire, ma appena per strada prendono a sparare ad altezza d’uomo. Due carabinieri resta-no sull’asfalto, sono morti. Il maresciallo rimane ferito. Prima di cadere gli uomini dell’arma riscono a colpire un terrorista, ed a ferirne un secondo. L’uc-ciso, fra i terroristi, si chiama Lucio Di Giacomo, ed appartiene al gruppo “Comunisti per la liberazione proletaria”.

È un atto di violenza e cini-smo senza pari. Scatta la caccia agli uomini che han-

no ucciso i carabinieri. Questi si allontanano verso Sud, attra-versano la Maremma, finiscono nell’Alto Lazio, si nascondono fra le caverne di tufo: Le tracce che lasciano durante la fuga sono evidenti. A centinaia gli uomini dell’arma e della polizia danno loro la caccia. Interviene perfino la cavalleria, per snidare gli assassini dalle gole nelle quale sono andati a nascondersi.

Passano i giorni e quasi una settimana dopo, finalmen-te la cattura. Sono perso-

naggi di spicco dell’eversione. È quasi il tramonto quando finalmente, ammanettati, i re-sponsabili della strage vengono condotti in una piccola caserma dell’Alto Lazio. I commilitoni, i colleghi dei carabinieri uccisi inveiscono contro i giovani che vengono trascinati in caserma. Si saprà poi, a distanza di mesi, che quella scena è stata rico-struita, che quei ragazzi condot-ti in caserma altro non sono che carabinieri vestiti civilmente.

Giuseppe Savastano (nella foto grade) e Euro Tarsilli (nel tondo) furono uccisi dai terroristi che sparono all’improv-viso contro di loro. Prima di morire riuscirono però a uccidere uno degli assalitori e a ferirne un secondo.

I veri terroristi, una volta catturati, erano stati portati subito a Roma e qui interrogati dai nuclei antiterrorismo, perché si potesse arrivare quan-to prima alla cattura dei loro complici.

Ci vorranno poi anni, per ricostruire fino in fondo il gioco delle responsabilità

di quella strage compiuta da gio-vani irriducibili, quando ormai era evidente che ogni ipotesi di rivoluzione armata era fallita.

La strage a Monteroni d’Arbia dopo una rapina nel centro di SienaLa caccia e la cattura nelle campagne dell’Alto Lazio

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È di colore biancoverde il terzo millennio del basket italiano. I colori della Mens

Sana sono dominanti in Italia e si estendono nell’orizzonte del Continente quando si consu-ma il matrimonio tra la società centenaria, che nel 1907 aveva importato per prima in Italia - al concorso ginnico di Venezia - le regole della pallacanestro, e la banca istituzionale cittadina, il Monte dei Paschi.

La Mens Sana Basket si affaccia al 2009 con tre scudetti, tre SuperCoppe,

la Coppa Saporta, la Tim Cup, tre partecipazioni alla Final Four di Eurolega, ovvero con un percor-so che nessun altro club italiano ha compiuto in questo inizio di secolo.

In Italia il basketormai parla seneseTre scudetti, tre supercoppe, tre partecipazioni alla Final Four Eurolegaper una società che non ha rivali

Approdata nel 1973 nella massima serie, dopo aver attraversato un «deserto»

lungo trent’anni, la Mens Sana fa il grande salto di qualità nel 2001. Grazie alla sponsorizza-zione con il Monte dei Paschi, «Un’operazione azzeccata e di buon senso», come la definì il presidente della banca, il profes-sor Pierluigi Fabrizi, che riuscì a spalancare prima le porte dell’Europa e in un secondo tem-po quelle dell’Italia. Già, perchè nel 2002 la Montepaschi di coach Ataman vinse a Lione la Coppa Saporta, e poi, a Barcellona, fu la prima matricola ad approdare alla Final Four di Eurolega.

Ècon coach Recalcati, il ct della Nazionale, che la Montepaschi inizia - al ter-

mine della stagione 2003/2004 - la sua «dittatura» nel campiona-to italiano, vincendo il suo primo

scudetto e anche la sua prima Supercoppa. Oltre alla seconda partecipazione alla Final Four di Eurolega, a Tel Aviv. È una città che va in delirio, che fa esplode-re l’urlo di gioia, dopo che per decenni era stato strozzato in gola da Bologna, Milano, Roma. Il presidente Morrocchi e il gm Minucci piantano ed espongono a Siena la bandiera di capitale italiana del basket.

Il dna della Montepaschi diven-ta ancor più senese quando, dal 2006/2007, la squadra

viene affidata a coach Pianigiani, ed il dominio in Italia diventa terrificante, imbarazzante, con due scudetti e due SuperCoppe consecutivi, un record strabilian-te intorno al 90% di vittorie, sta-gione regolare e play off domina-ti con una facilità sconcertante. Arriva anche la terza partecipa-zione alla Final Four di Eurolega,

a Madrid, con il play Mc Intyre nominato nel miglior quintetto d’Europa.

Ma, soprattutto, fiorisce all’inizio del 2009 la conquista della prima

Tim Cup. Era l’unico trofeo ita-liano che mancava nella bacheca della Mens Sana Basket, un tabù che finalmente veniva sfatato.

Capitan Stonerook, simbo-lo della squadra che ha nella forza mentale il suo

caposaldo, alza al cielo la Coppa Italia, traguardo intermedio di una storia che ha altri capitoli da scrivere, progetti ambiziosi da realizzare: la costruzione di un nuovo Palasport, la conquista dell’Eurolega.

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Quella fantastica nottecol Siena in serie A

Dalla nascita del 1904, al traguardo della B nel 2000, alla storica promo-

zione in A della primavera 2003, fino all’attuale consacrazione nel massimo campionato.

Queste le tappe fondamen-tali della Robur, anche se è riduttivo dimenticare

tutto il resto, gli anni della speranza, quelli delle amare delusioni e poi le persone. Tanti condottieri appassionati, altrettanti vigorosi atleti che hanno vestito la storica maglia ora a strisce verticali biancone-re ma in origine a scacchi, come quella presentata nell’anno del centenario, il secondo in serie A. Perché quando nel 1904 alcuni affiliati appartenenti alla Società Sportiva Mens Sana in Corpore Sano fondano la Società studio e divertimento, la casacca adotta-ta è proprio quella a scacchi con i colori della Balzana, stemma della città di Siena.

Non fu subito calcio, come ricorda anche il sito della società nella sua parte

storica, ma in origine podismo,

pesistica e ciclismo. Poi dal 1908 comincia a rololare il pal-lone con le prime partite che si disputano in piazza d’Armi, non certo l’ideale per praticare lo sport più bello del mondo.

Bisogna aspettare il 1920 per vedere la Robur impe-gnata nel primo campio-

nato ed è subito un trionfo! Gli anni che verranno, attraverso il dramma della seconda guerra mondiale, non riserveranno però solo cose positive, con al-cune dolorose discese in serie D. In seguito la squadra bianconera non riuscirà più ad andare oltre alla serie C, almeno fino a quel famoso campionato 1999-2000 quando sotto la guida di mister Antonio Sala arriverà l’inatteso ma meritatissimo salto in B. Una cavalcata con il passare delle giornate sempre più trionfale sotto la gestione Pastorello-Ponte-Salvietti e un traguardo assolutamente insperato in quel periodo. Ma negli anni successi-vi la Robur saprà sovvertire ogni pronostico, restando solo tre stagioni nel campionato cadetto. Con l’entusiasmo del presiden-

Nel tondo in alto: un’immagine del campionato 1938-39.

Nel tondo in basso: I festeggiamenti al presidente della Robur Paolo de Luca (scomparso nel marzo 2007) per la conquista della serie A.

Nella foto grande: i tifosi festeggiano

la promozione nella massima serie di

calcio.Nata nel 1904 la Società Sportiva

Robur inizialmente praticava il podi-

smo, la pesistica e il ciclismo.

tissimo Paolo De Luca, la grinta del condottiero Giuseppe Papadopulo e un gruppo fantastico, sostenuto da un pubblico fantastico il Siena riuscirà prima a salvarsi all’ulti-mo tuffo (stagione 2001-2002) con un percorso irripetibile e poi l’anno successivo trasforma-re in realtà il sogno.

La serie A presa con la forza, con l’orgoglio e la consa-pevolezza di chi con rabbia

e cuore ha avuto il coraggio di sfondare le porte del paradiso calcistico. Da Genova a Genova, quasi un’ironia del destino. Nel “Luigi Ferraris” colorato di blu-cerchiato la salvezza in extremis del 2002 e in quello rossoblu la conquista del palcoscenico più prestigioso in ambito nazionale dell’anno successivo.

Tutto bello, tutto fantastico, ma in quella meraviglio-sa notte di fine maggio

2003 nessuno avrebbe mai immaginato che l’avventura più incredibile era appena iniziata. Sei stagioni di fila in serie A alla faccia degli scettici che ne

prevedevano una o al massimo due e la settima è quasi servita, guardando all’attualità, a quello che la squadra sta combinando in questo momento. 105 anni di storia in crescendo e la voglia di andare avanti ancora più deter-minati e convinti, in un mondo di giganti che spesso e volentie-ri hanno dovuto piegare la testa davanti alla vecchia Robur.

È il maggio del 2003 e la Robur raggiunge finalmente la massima serie Cominciano anni di grandi soddisfazioni. Un secolo di attività

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