La nascita delle lingue

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Studi Linguistici e Filologici Online 9 Dipartimento di Linguistica – Università di Pisa www.humnet.unipi.it/slifo Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Volume 9 (2011) – pagg. 261-286 P. Rosano – “L’etnologia nel De rerum naturis di Rabano Mauro” L’ETNOLOGIA NEL DE RERUM NATURIS DI RABANO MAURO PAOLO ROSANO Secondo Friedrich Ohly “il significato della parola è stabilito dall’uomo per manifestare il suo volere. Il significato delle cose, invece, è fissato da Dio. Per mezzo della parola l’uomo comunica col suo simile, per mezzo della cosa Dio parla all’uomo” 1 L’incapacità o la difficoltà da parte dell’uomo di intendere il messaggio divino è frutto della decadenza susseguita alla caduta di Babele, poiché l’uomo, nella sua innocenza adamitica aveva interpretato le cose nel giusto modo. Per questo “l’allegoria rende nuovamente accessibile, attraverso il senso rivelato, il senso originario della natura, il quale aveva lasciato soltanto tracce e segni indistinti” . Due sono quindi i linguaggi esistenti: uno verbale che è fondato dall’uomo e uno non verbale che è relativo al mondo della natura universalmente inteso. Non si tratta solo di cose percepibili attraverso i sensi, ma anche di realtà ultraterrene delle quali nessun linguaggio umano è in grado di esprimere il contenuto. Ci soccorre in questo caso il testo biblico il quale riporta il messaggio rivolto da Dio all’uomo. E’ tuttavia avvolto in un velo allegorico per scoprire il quale si sono affaticati i più dotti teologi ed esegeti. 2 1 F. Ohly, Vom geistigen Sinn des Wortes im Mittelalter, Darmstadt, 1966 IV-24 pp., trad.it. in Geometria e memoria, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 249-75 (p. 259). . 2 H. Blumenberg, Die Lesbarkeit der Welt, Suhrkamp, Frankfurt, 1981, trad.it.in La leggibilità del mondo, Il Mulino, Bologna, 1984, p.50. Cfr. anche P. C. Bori,

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Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Volume 9 (2011) – pagg. 261-286 P. Rosano – “L’etnologia nel De rerum naturis di Rabano Mauro”

L’ETNOLOGIA NEL DE RERUM NATURIS DI RABANO MAURO PAOLO ROSANO

Secondo Friedrich Ohly “il significato della parola è stabilito

dall’uomo per manifestare il suo volere. Il significato delle cose,

invece, è fissato da Dio. Per mezzo della parola l’uomo comunica col

suo simile, per mezzo della cosa Dio parla all’uomo”1

L’incapacità o la difficoltà da parte dell’uomo di intendere il

messaggio divino è frutto della decadenza susseguita alla caduta di

Babele, poiché l’uomo, nella sua innocenza adamitica aveva

interpretato le cose nel giusto modo. Per questo “l’allegoria rende

nuovamente accessibile, attraverso il senso rivelato, il senso originario

della natura, il quale aveva lasciato soltanto tracce e segni indistinti”

. Due sono

quindi i linguaggi esistenti: uno verbale che è fondato dall’uomo e uno

non verbale che è relativo al mondo della natura universalmente

inteso. Non si tratta solo di cose percepibili attraverso i sensi, ma

anche di realtà ultraterrene delle quali nessun linguaggio umano è in

grado di esprimere il contenuto. Ci soccorre in questo caso il testo

biblico il quale riporta il messaggio rivolto da Dio all’uomo. E’

tuttavia avvolto in un velo allegorico per scoprire il quale si sono

affaticati i più dotti teologi ed esegeti.

2

1 F. Ohly, Vom geistigen Sinn des Wortes im Mittelalter, Darmstadt, 1966 IV-24 pp., trad.it. in Geometria e memoria, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 249-75 (p. 259).

.

2 H. Blumenberg, Die Lesbarkeit der Welt, Suhrkamp, Frankfurt, 1981, trad.it.in La leggibilità del mondo, Il Mulino, Bologna, 1984, p.50. Cfr. anche P. C. Bori,

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Nell’Eden ad Adamo era stata concessa la facoltà di nominare le cose3

Possiamo allora parlare di trasferimento di potere all’uomo il quale,

creato dalla parola, crea attraverso la parola.

che erano appena state create da Dio. Vi era stata allora perfetta

coincidenza tra linguaggio divino e linguaggio umano. La stessa

creazione era avvenuta per mezzo della parola e Dio stesso è il Verbo.

L’equilibrio si spezza in seguito alla costruzione della torre di

Babele come chiaro atto di superbia dell’uomo che aveva voluto farsi

un “nome” artificiale in contrasto con la natura della creazione. Di qui

deriva la nostra incapacità di comprendere il linguaggio dell’uomo e

di raccogliere l’eredità adamitica. Dobbiamo intendere che la lingua

originaria si fosse conservata intatta fino al momento di Babele? O

che lo stesso episodio avesse segnato l’ultimo atto della decadenza

susseguita al peccato originale?4. Rabano, seguendo le orme di

Isidoro,5 individua nell’ebraico la lingua originaria e, credendo nella

sua sopravvivenza al naufragio babelico, ne sottolinea la purezza e la

conservazione in tale stato fino ai suoi tempi6

L’interpretazione infinita. L’ermeneutica cristiana antica e le sue trasformazioni, Il Mulino, Bologna, 1987, pp. 91-108.

. Essendo l’episodio

3 “ omnibus animantibus Adam primo vocabula indidit appellans unicuique nomen ex praesenti institutione juxta conditionem naturae cui serviret ”, (VII, 8), PL 111 199 B. 4 P. Zumthor, Babele ou l’inachèvement, Paris, Editions du Seuil, 1997, trad.it.in Babele, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 79-93 (pp. 88-9). 5 Come si sa, Rabano deve a Isidoro quasi tutta la parte etimologica dell’enciclopedia, per cui rimando a E. Heyse, Hrabanus Maurus Enzyklopaedie ,De rerum naturis’. Untersuchungen zu der Quellen und Methode der Kompilation, Muenchen, 1969. 6 “illa lingua, quae ante diluvium omnibus una fuit, quae et Haebraea nuncupata est” (VII, 8), PL 111 199 B, 199 C e, ancora “Heber, in cujus domo propria loquela remansit” (II, 1), PL 111 35 B. Per tutti questi motivi cfr. anche il commentario alla

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della nascita delle lingue riconducibile alla torre di Babele è da qui

che occorre partire per seguire il percorso di analisi del nostro autore.

1. La torre di Babele

“Turres vocatae, quod teretes sint et longae. Teres est enim aliquid rotundum cum

proceritate, ut columna. Nam et quamvis quadratae aut latae construantur, procul

tamen videntibus rotundae existimantur: ideo, quia omne cujusque anguli

simulacrum per longum aeris spatium evanescit atque consumitur, et rotundum

videtur ”7

.

E’ questa la definizione che dà Rabano della torre, inserendola nel

capitolo dedicato agli edifici. Il plurale esprime la volontà di mettere

in luce un carattere comune a queste costruzioni: la forma

tondeggiante e la linea slanciata a guisa di colonna. Subito dopo però

aggiunge che si sorreggono su un’ampia base quadrata.

L’incongruenza si spiega col punto di osservazione da cui le torri si

guardano, che è lontano da loro e, di conseguenza, interviene a

deformarne gli spigoli annullandoli.

Genesi, (I, 14), PL 107 483 D-485 D. Non a caso nel De inventione linguarum, PL 112 1579-81-83 Rabano inizia con l’esposizione dell’alfabeto ebraico per poi passare a quello greco, latino, scitico e tedesco. M. Olender, nel suo libro Le langues du Paradis. Aryen et Sémite: un couple providentiel, Paris, Edition de Seuil, 1989, trad. it. in Le lingue del Paradiso. Ariani e Semiti: una coppia provvidenziale, Il Mulino, Bologna, 1991, sottolinea il conservatorismo linguistico e culturale dei Semiti di contro al progresso civile e scientifico degli Ariani. 7 XIV, 1, PL 111 384 D- 385 A.

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Dal punto dei materiali di costruzione, sono i mattoni (lateres) di

argilla8

L’altro materiale che fu usato per la sua edificazione è il bitume

(bitumen) di cui Rabano ci fornisce in altro luogo alcune

informazioni

che verranno poi cotti al forno a costituire l’ingrediente

principale. Questo però non viene dichiarato subito dall’autore che lo

rimanda invece al loro significato allegorico di elementi con cui si

costruì la famosa torre di Babele.

9. Esso emerge dal mar Morto, nella parte della Giudea,

in placche pericolose per la navigazione. Questo materiale ha come

caratteristica quella di essere della stessa natura del fuoco, ma anche

di resistere all’acqua e al ferro. Il suo impiego è nella costruzione

delle navi. E’ importante notare allora come nell’analisi allegorica

Rabano faccia riferimento alla costruzione dell’arca da parte di Noè

per comando di Dio10

La torre costruita con mattoni al posto delle pietre e bitume come

caementum che funge da fondamento è ovviamente quella di Babele

per cui Rabano in due luoghi introduce le notizie bibliche

. In questo caso il termine bitumen assume una

connotazione positiva, contrariamente a quanto avverrà per la

costruzione della torre in cui vengono impiegati, come già detto, i

mattoni, mentre nell’arca, appunto, il legno.

11

8 XXI, 3, PL 111 561 B.

. Da un lato

9 XVII, 2, PL 111 459 B- 459 C. 10 Gen. VI, 14. 11 XIV, 1, PL 111 380 B- 380 C che corrisponde a Gen. X, 10 e XXI, 3, PL 111 562 A che si riferisce a Gen. XI, 1. Le etimologie ex diversarum gentium sermone sono riconducibili a Gerolamo, per cui rimando a Paul De Lagarde, Onomastica sacra, Gottingen, 1887. Per un commento a Gen. XI, 1-9 cfr. il Commentarium. in Genesim, PL 107 528 A A-531 A.

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l’attenzione si incentra sul territorio di Sennaar, dove essa fu edificata

e su Nimrod12 che fondò Babilonia, dall’altro sulla torre vera e propria

costruita dagli uomini venuti dall’oriente e stabilitisi sempre a

Sennaar. Solo in quest’ultimo caso l’etimologia è accompagnata

dall’allegoria che collega la torre alla superbia di questo mondo13 e

alle dottrine empie degli eretici che, spinti dalla superbia stessa,

vollero penetrare illecitamente i segreti divini. Come i primi furono

puniti con la confusione delle lingue14

Se ritorniamo alla narrazione biblica, ci accorgiamo che accanto

alla torre si parla anche di una città che dovrebbe portare lo stesso

nome. Si tratta di Babilonia, fondata anch’essa da Nimrod, ampliata

dalla regina Semiramide che ne fece costruire le mura con mattoni e

bitume, governata da Nabuccodonosor. In questo caso l’allegoria

prevede per Nabuccodonosor il significato di diavolo poiché, come

egli distrusse Gerusalemme incendiandone il tempio, così questo

istilla odio in seno alla santa Chiesa e mira a traviare gli uomini,

identificati nel tempio di Dio, con l’ardore dei desideri mondani.

Come si può notare, appare qui definita una prospettiva storica che,

ricollegandosi agli eventi originari, ne propone una successione che

, così questi sono esclusi

dall'unità della fede e a loro volta divisi nelle loro dottrine erronee.

12 PL 111 337 A. Nimrod ha come attributo venator, VIII, 1, PL 111 226 A , con riferimento a Gen. X, 9, come etimologia ex diversarum gentium sermone di matrice geronimiana tyrannus che edificò la torre dell’empietà, come significato mistico diabolus, II, 1, PL 111 35 A- 35 B. 13 In XIV, 1, PL 111 385 A- 385 B Rabano introduce il significato negativo attribuito alla torre di altezza della superbia. 14 XVI, 1, PL 111 435 C- 437 B.

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vede l’introduzione, tra l’altro, di personaggi collocabili anche al di

fuori del quadro biblico. Si noti inoltre, a testimonianza della relazione

con la narrazione della torre, la presenza di materiali analoghi usati

per l'edificazione delle mura.

2. La nascita delle lingue.

La nascita delle lingue dei popoli viene fatta risalire da Rabano

proprio alla costruzione e alla successiva caduta della torre di Babele.

Prima di questo infatti sulla terra non esisteva che un’unica lingua che

era l’ebraico ed era usata dai patriarchi e dai profeti sia come mezzo di

comunicazione quotidiano che come espressione delle lettere sacre. In

questo modo non esisteva che un unico popolo che parlava una sola

lingua.

La susseguente diversificazione delle lingue portò con sé una

necessaria differenziazione dei popoli. Ma Rabano tiene a precisare

l’asse temporale dei due eventi. Mentre all’inizio vi erano allo stesso

tempo quot gentes, tot linguae, successivamente fu dalle lingue che

nacquero i diversi popoli:

“Ideo autem prius de linguis, ac deinde de gentibus posuimus, quia ex linguis gentes,

non ex gentibus linguae exortae sunt” (XVI, 1)15

.

15 Ibid. 437 B

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Questo si può spiegare col riferimento alla storia della torre mediante

la cui costruzione gli uomini si proposero di darsi un nome16

16 Gen. XI, 1-9. Per un commento a questo capitolo cfr. il già citato Commentario di Rabano al Genesi.

. La

lingua adamitica era insufficiente a tal fine, avendo essa imposto un

nome soltanto alle cose. L’uomo sentì di non appartenere a questa

categoria e, di conseguenza, avvertì la necessità di distinguersi. La

molteplicità degli uomini che confluirono a Sennaar era consapevole

di non possedere una propria identità, ma di poterla raggiungere

attraverso la costruzione di una torre che fosse anche un simbolo

materiale della propria tensione verso il divino. Questo tuttavia generò

in loro la superbia, volendo essi raggiungere il cielo e celebrare il

proprio nome. Il tentativo di emulare Dio fu per loro causa di

perdizione ed essi, alla ricerca di un’identità culturale, si trovarono

dispersi su tutta la terra e in una condizione di completa

incomunicabilità. Secondo Rabano è ravvisabile una contrapposizione

uomo-Dio laddove quest’ultimo, quando interviene a distruggere

l’opera dell’uomo, parla alla prima persona plurale. Questo sta ad

indicare l’unità delle tre persone divine di contro all’avvenuta

dispersione dei popoli. Al momento della creazione anche l’uomo,

fatto ad immagine e somiglianza di Dio, possedeva questa unità che si

realizzava nell’uso di un’unica lingua la quale, anche dopo la caduta

di Babele, si sarebbe conservata nella stirpe di Heber da cui poi

nascerà Gesù. Di qui deriva anche il problema di quale fosse la lingua

parlata da Dio al momento della creazione. Pur essendo difficile dare

una risposta, Rabano la individua in quella pre-babelica. Ma per

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quanto riguarda quest’ultima, alcuni sostengono che Dio parli agli

uomini nelle loro diverse lingue sin da quando apparve loro nelle vesti

di uomo17

Ammettendo allora che quello di Babele sia stato un problema di

identità culturale che, come conseguenza negativa, ha portato l’uomo

a dividersi dalla sua inconsapevole unità originaria e a disperdersi sia

linguisticamente che geograficamente, occorre in qualche modo

ricostruire, anche se artificialmente, un’unità originaria. Una spinta in

tal senso ci viene offerta dalla croce su cui troviamo le iscrizioni in

ebraico, greco e latino. La via per la restaurazione ci è indicata da

Cristo che ci fornisce in tal modo la chiave per la comprensione e la

decifrazione della sacra Scrittura. La conoscenza di tutte e tre le lingue

è ritenuta indispensabile, poiché, qualora ci si imbatta in un passo

poco comprensibile col metro di una sola, è sempre possibile in questo

modo rifarsi all’altra.

.

Ma Rabano si mostra attento anche al corpo della lingua, da lui

concepita non come codice predefinito e fisso che neghi ogni variante

locale, bensì come materia fluida che si differenzia non solo per

registro, ma per identità culturale dei parlanti. Il greco infatti, lingua

che, rispetto alle altre, gode di maggior prestigio presso gli uomini,

poiché più armoniosa, si suddivide in cinque varietà: la coine, che è un

po’ il fondo comune alle altre e per questo è parlata da tutti; l’Attica,

parlata dagli Ateniesi e dagli autori greci; la Dorica, parlata da Egizi e

Siculi; la Ionica; la Aeolica, usata dagli Eoli. Il latino invece secondo 17 Nel commento a I Cor. XIII, 1 Rabano accenna anche al problema di quale sia la lingua degli angeli, senza però addentrarsi nella questione.

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alcuni si compone di quattro varietà: la prisca, usata dalle più antiche

popolazioni italiche sotto i regni di Giano e Saturno, lingua rozza in

cui furono scritti i carmi Salii;

la Latina, usata nel Lazio sotto Giano e i re Etruschi e in cui furono

scritte le dodici Tavole; la Romana, parlata dal popolo romano dopo la

cacciata dei re, diffusa da poeti quali Nevio, Plauto, Virgilio e oratori

come Caio Gracco, Catone, Cicerone e altri; la mista, che, dopo la

massima estensione dell’Impero, penetrò a Roma insieme ai costumi

del barbari e corruppe con solecismi e barbarismi la Romana. In

ultimo l’ebraico sembra essere vicino al siro e al caldeo per i

moltissimi suoni in comuni e la pronuncia delle lettere, tanto che

alcuni lo identificano con lo stesso caldeo alla cui stirpe Abramo

apparteneva.

Rabano inoltre si sofferma anche sulla fonologia e, in base a

questa, distingue tre aree linguistiche: l’orientale, la mediterranea e

l’occidentale. Gli orientali, come nel caso di Ebrei e Siri, pronunciano

parole dal suono gutturale, a differenza dei popoli mediterranei, come

Greci e Asiatici, che prediligono i suoni palatali e degli occidentali,

come Itali e Ispani, che emettono suoni dentali.

Ogni lingua poi, sia essa la greca, la latina o le altre, si può apprendere

mediante il parlato, attraverso l’ascolto dei suoni della voce o la

lettura, sotto la guida del precettore. Benché l’apprendimento di una

lingua sia difficile per chiunque, tuttavia nessuno può essere tanto

pigro da rifiutarsi di imparare la lingua della comunità di cui fa parte.

In caso contrario sarebbe considerato peggiore degli animali bruti.

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Questi ultimi almeno emettono i versi propri della loro specie, mentre

gli altri ignorerebbero la loro lingua.

3. Ex linguis gentes18

.

Se nel capitolo precedente l’esposizione prendeva inizio dalla

vicenda di Babele, qui si fa un passo indietro a quando la lingua era

ancora unica e le genti molteplici19. Occorre allora definire il concetto

di gens che, secondo Rabano, è un gruppo di persone con una sola

origine o distinto da un altro, secondo l’appartenenza ad una

determinata stirpe come, ad esempio, la greca o l’asiatica, donde

deriva il nome di gentilitas. Dal punto di vista etimologico gens deriva

dalla generazione (a gignendo) poiché da essa nascono nuove

famiglie, come la nazione dal nascere (a nascendo). Le gentes che si

diffusero sulla terra sono in numero di 73, di cui 15 appartengono alla

discendenza di Iafet, 31 a quella di Cam e 26 a quella di Sem. Il totale

è in realtà 72 che corrisponde al numero delle lingue che sparsero per

continenti e isole20

A questo punto sembrerebbe quasi naturale, in contrasto con

quanto detto prima, far risalire la varietà delle lingue alla molteplicità

dei popoli. Non dobbiamo però dimenticare l’ordine narrativo del

.

18 XVI, 2, PL 111 437 C-445 B 19 Gen. X, 1-32 20 Per il numero 72 delle lingue cfr. l’In honorem s.crucis.nell’edizione critica a cura di M.Perrin in CCCM, Brepols, Turnhout, 1997, pp. 165 e segg. Vedi anche A.Borst, Der Turmbau von Babel, Hiersermann, Stuttgart, 1958, vol. II, parte III, cap, 4, pp. 514-18. Riesce difficile comprendere il numero 73, poi corretto in 72, introdotto anche da Isidoro.

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testo Sacro e sottovalutare, di conseguenza, l’episodio di Babele che

costituisce l’atto di nascita delle lingue, E’ lì infatti che i popoli

acquistano una precisa identità linguistica e culturale, diventando così

consapevoli di se stessi. Prima erano dei semplici discendenti dai

capostipiti e il loro numero era del tutto privo di significato. Quando

però si accorsero del pericolo di una generazione anonima, vollero

fissare dei principi comuni da realizzare con la costruzione di mattone

e cemento. L’altezza di questa tuttavia li sopraffece, impedendo loro

di finire l’opera che invece crollò e ponendoli di fronte

all’impossibilità di costituire un’unica nazione. Ciascuno di loro

assunse una propria lingua come carta d’identità culturale che lo

contraddistingueva. Mattone e cemento non erano più la stessa cosa

per tutti.

Vediamo ora l’effetto di questa dispersione espresso con

particolare chiarezza nell’esposizione dei popoli dell’Asia per un buon

numero dei numero dei quali, come avviene anche per i toponimi

asiatici, è prevista anche un’etimologia ex diversarum gentium

sermone accompagnata però sempre da uno o più significati

allegorici21

.

21 Occorre osservare che qui, a differenza di quanto avviene per il capitolo precedente, non tutte le etimologie sono riconducibili al Liber de interpr. nom. hebr. di Gerolamo. In particolare non trovano corrispondenza quelle di Ismael e Agar, non coincidono perfettamente Edom, Chanaan e Aegyptii, rilevabile anche in Isidoro, PL 82 333 C. Per i nomi geronimiani cfr. Paul De Lagarde, op.cit., pp.27 e segg. Più avanti Aethiopes, unico caso extra-asiatico con etimologia ex diversarum gentium sermone, trova corrispondenza in Gerolamo.

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4. L’Asia22

Innanzi tutto occorre precisare che Rabano si occupa soltanto della

discendenza di Sem, a differenza di quanto fa Isidoro che,

coerentemente, descrive anche quelle di Cam e Iafet23

Per quanto riguarda l’Asia, occorre osservare come Rabano si

limiti ad analizzare i popoli coinvolti nella storia biblica, mentre per i

restanti non riservi che un accenno

. Questo non

significa che le ignori, in quanto nell’etimologia dei popoli extra-

asiatici ne riferisce i nomi.

24. Di questi ultimi si ricava il nome

dai rispettivi patriarchi, a loro volta discendenti da Sem, figlio di Noè.

Così dal nome dei suoi figli diretti Elam, Assur, Arpacsad, Lud e

Aram discendono nell’ordine gli Elamitae, principi di Persia, gli

Assiri25

22 PL 111 437 C-439 A. Si veda la corrispondenza col capitolo delle regioni, XII, 4, PL 111 335 A-347 D.

, fondatori dell’omonimo impero, la gens Caldeorum, i Lydii e

i Syri la cui capitale fu Damasco. Dal nome dei quattro figli di Aram e

nipoti di Sem, Uz, Cul, Gheter e Mas derivano il nome gli abitanti

della Traconitide, fondata da Uz tra Palestina e Celesiria e patria di

Giobbe, gli Armenii, gli Acarnanii, i Meones. Dai discendenti di

Arpacsad, Eber, suo nipote, Joktan figlio di Heber e Selef, figlio di

Joktan, derivano nell’ordine gli Haebrei, la Indorum gens e i

23 Per la corrispondenza esatta tra Rabano e Isidoro cfr. Elisabeth Heyse, Hrabanus Maurus Enzyklopaedie, De rerum naturis’. Untersuchungen zu der Quellen und Methode der Kompilation, München, 1969, p. 128. 24 Il che si spiega con la mancata trattazione delle stirpi di Cam e Iafet che, oltre ad Africa ed Europa, occuparono anche parte dell’Asia. In Isidoro invece abbiamo il quadro completo. 25 Assyriorum imperium in Rabano.

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Bactriani, sebbene alcuni ritengano che questi ultimi siano degli Sciti

esiliati.

Di Abramo non viene l’ascendenza, ma solo la posteriorità. Ed è

da questo punto che si può trovare l’analisi sopraddetta. Da Abramo

discende infatti il figlio di Ismaele26 a cui devono il nome gli

Ismaelitae, detti impropriamente Saraceni dal nome di Sara, dal figlio

di Ismaele Nebaiot discendono i Nabatei27, dai figli di Lot Moab e

Ammon i Moabiti e gli Ammoniti28, dalla moglie di Abramo Agar gli

Amareni, chiamati anche qui impropriamente Saraceni poiché si

gloriano di essere stati generati da Sara, da Edom29, figlio di Esaù, gli

Idumaei e da Amalek30 gli Amalecitae; i Philistaei,31 che devono il

nome alla regione in cui si erano stabiliti e vengono chiamati anche

Allophyli o stranieri, in quanto eterni nemici di Israele e a lungo

separati dalla loro comunità; i Chananaei32, così detti da Canaan figlio

di Cam, dalla cui stirpe derivò Camor33

26 Gen. XVI, 16

padre di Sichem, da cui

trassero il nome gli Amorrei; gli Aegyptii, così chiamati solo dal nome

del re Egitto.

27 Gen. XXV, 13 28 Gen. XIX, 36-38. In questi ultimi due casi manca sia l’interpretazione ex diversarum gentium sermone che il significato allegorico. 29 In realtà Edom e Esaù sono la stessa persona, come si conferma in Gen. XXXVI, 1, 9, 19, 43. Seir invece è il luogo montuoso in cui egli si stabilì e dove ebbe la sua discendenza. Ma cfr. II, 2, PL 111 38 A, dove Rabano sostiene, analogamente a Isidoro, PL 82 329 B, che Esaù trinomius est. 30 Gen. XXXV, 12. Cfr. anche PL 111 380 D. Non c’è traccia di questo nome e del popolo derivato in Isidoro. 31 Gen. X, 14. 32 Gen. IX, 18 e 22; X, 6. 33 Gen. XXX, 19; XXXIV, 6, 20 e 26. Deut. XXXIV, 32. Nel De rerum naturis troviamo scritto erroneamente frater.

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5. L’Europa34

.

Da qui in avanti non vi è quasi più dissonanza tra De rerum naturis

e le Etymologiae isidoriane, parallelamente a quanto avviene per i

nomi geografici35

In oriente troviamo: gli Armeni, che prendono nome da Armeno,

capitano di Giasone; i Massagetae dalla massa o forza dei Geti che

derivano il nome dall’argento; le Amazones che vivono senza uomini

o amazosai e hanno una sola mammella aneu mazou; gli Albani che

nascono dalle nevi perenni coi capelli bianchi (albo crine); gli Hunni

detti poi Avari dal nome del loro re; la Trojanorum gens, detta prima

Dardana dal nome del re Dardano, mentre l’altro nome è dovuto al suo

nipote Tros; i Galati o Galli detti poi Gallograeci in quanto si

mescolarono alle popolazione greche della Bitinia.

. Anche qui possiamo notare come l’esposizione

cominci dai popoli che risiedono ad oriente, nei territori non ben

definiti ai confini tra Asia ed Europa. Non deve inoltre sfuggire che

molte delle etimologie ex nominum derivatione sono analoghe a quelle

esposte per i nomi geografici.

Il secondo gruppo comprende le popolazioni della penisola greca:

i Graeci, così detti dal re Greco, mentre prima Thessali da Tessalo e

originari della Tessaglia; i Lapithae da Lapita figlia di Apollo; i

Sicyonii dal re Siconio, detti prima Aegialei dal nome del loro primo

re Agialeo da cui anche Agialea, antico nome del Peloponneso da

34 PL 111 439 B-443 C. Per il riferimento esatto ai luoghi geografici cfr. XII, 4, PL 111 347 D-351 B. 35 Cfr. PL 111 439 B- 445 B con PL 82 333 C-341 C.

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Pelope, o Arcades da Arcade, figlio di Giove e Callisto; i Danai da

Danao o Argivi dal capostipite Argo; gli Achaei da Acheo figlio di

Giove detti anche Pelasgi da Pelasgo figlio di Giove e Larissa; i

Myrmidones dai compagni di Achille astuti come formiche

(myrmeces)36 oppure dal re Mirmidone figlio di Giove ed Eurimedusa;

gli Attici da Attis figlia di Cranao che diede nome sia al popolo che

alla regione degli Athenienses, detti anche Ioni da Ione; i Macedones

detti prima Emathii dal re Emazio; gli Epirothae detti prima Pyrrhidae

da Pirro figlio di Apollo; i Dori da Doro figlio di Nettuno e Elope; i

Lacedaemones da Lacedemone figlio di Semele; gli Spartani detti

anche Parthenii perché figli di donne non sposate; i Thraces da Tiras

figlio di Iafet37

Per quanto riguarda i popoli della penisola italica troviamo: i

Romani così detti da Romolo che diede nome anche alla città di

Roma, chiamati prima Saturnii da Saturno e Latini da Latino re

d’Italia e Quirites dal nome di Quirino attribuito a Romolo che usava

la lancia, detta in sabino quiris; Itali, Sabini, Sicani o Sicilienses dai

tre fratelli Italo, Sabino e Sicano che diedero il nome anche alle

regioni Italia, Sabina e Sicania; i Tusci dalle cerimonie sacre

coll’incenso (apo tou thuein); gli Umbri, popolazione dell’Italia

centrale che si dice essere sopravvissuta al diluvio o ombrious; i Marsi

, detti anche truces dai pagani in seguito ai loro

costumi; la Istrorum gens dal fiume Istro o Danubio.

36 Occorre qui tenere presente che Giove, per ingannare Eurimedusa di cui si era innamorato, si trasformò in formica. 37 Gen. X, 2

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da Marsia compagno di Bacco, detti dai Greci Usci in quanto

possessori di serpenti (ophiuchos).

Giungiamo così alle genti che popolano i territori pressappoco

dell’Europa centro-orientale, a partire da quelle più ad est; i Gothi,

così chiamati da Magog figlio di Iafet38 in base alla somiglianza

dell’ultima sillaba del nome, detti dagli antichi anche Geti, uomini

robustissimi e dalla grande mole corporea; i Daci o Dagi perché

discendono dai Geti; i Bessi dalla moltitudine dei buoi; i Gipedes dal

loro combattimento a piedi (pedestri proelio); i Sarmatae

dall’esercizio delle armi (studium armorum); gli Alani dal fiume Lano

che si trova oltre il Danubio; gli Alemani dal lago Lemano; i

Longobardi dalla barba intonsa; i Vandali dal fiume Vindalico che

nasce nella parte estrema della Gallia; le Germaniae gentes che hanno

corpi immani (immania), sono in numero grandissimo (immanes

nationes), dall’animo feroce, lo spirito indomito, la vita di rapina e

caccia e nelle quali sono comprese tribù diverse per costumi, lingue e

nomi come i Tolleraces, Amsivari, Quadi, Tungri, Marcomanni,

Bruteri, Camasi, Blangioni e Ubantes dalle etimologie incerte, ma da

cui si evince la loro barbarie; i Suevi dal monte Suevo ai confini

orientali della Germania; i Burgundiores dal nome dei villaggi

(burgos) che costruirono; la Saxonum gens che deve il suo nome

all’essere di tempra dura e robustissima (durum et validissimum

genus)39

38 Cfr. nota precedente.

.

39 Per tutti questi nomi cfr. Isidoro PL 82 337 D-338 A dove si trovano significative varianti.

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Per quanto riguarda l’Europa centro-occidentale, comprendendo

anche le isole britanniche, abbiamo: i Franci, così detti dal nome del

proprio condottiero40 o, secondo altri, dalla barbarie (a feritate) dei

loro costumi; i Britones41 dal loro essere incivili (bruti); gli Scoti dal

nome che assume nella lingua il corpo che viene da loro tatuato di

immagini e figure varie con punte di ferro e inchiostro; i Galli dal

candore latteo del corpo in quanto gala, tradotto dal greco, significa

“latte”42; i Galli Senones, detti anticamente Xenones poiché ospitarono

Bacco43

Concludendo Rabano elenca i popoli dell’Europa più occidentale,

ovvero della penisola iberica, partendo da oriente: i Vaccaei dalla città

fortificata di Vacca presso i Pirenei, detti anche Vaccones o, mutata la

c in s, Vascones che prima della città popolavano le montagne, gli

Hispani detti prima Iberi dal fiume Ibero (Ebro) poi Hispani da

Ispalo; i Galleci che hanno la stessa etimologia ex causa dei Galli e

sono i più bianchi di pelle tra le popolazioni ispaniche; gli Astures dal

fiume Astura; i Cantabri dal nome della città

.

44

e del fiume Ebro

presso il quale abitano; i Celtiberi dai Galli detti Celtici, da cui

discendono e dal e dal fiume Ebro.

40 Non è specificato il suo nome. 41 XII, 5, PL 111 354 A-354 B. 42 Rabano, seguendo il modello isidoriano, inserisce a questo punto un inciso dove spiega che a seconda della diversità del carattere del clima variano l’aspetto dell’uomo, il colore della pelle, le dimensioni del corpo e i costumi del popolo, per cui troviamo nei Romani la gravità, nei Greci la dolcezza, negli Africani la pelle scura, nei Galli la natura feroce e l’ingegno più acuto. 43 Hospitium corrisponde al greco xenon. 44 Dovrebbe trattarsi della regione della regione della Cantabria.

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278

6. L’Africa45

.

Anche per questo continente il procedimento di analisi non cambia,

in quanto Rabano inizia l’esposizione partendo dai popoli più

orientali, con l’ovvia esclusione degli abitanti dell’Egitto che viene

collocato in Asia. Tuttavia la scarsa conoscenza dell’Africa,

caratteristica comune alla geografia antica e a quella medioevale, fa sì

che non si possa seguire una traccia precisa in questa direzione. Per

quanto riguarda l’Africa settentrionale lo schema è facilmente

costruibile, a differenza delle regioni, mentre per i popoli meridionali

che si collocano variamente nell’Aethiopia non vi è più una chiara

collocazione geografica, come accade invece nell’esposizione delle

regioni africane. In base a questa premessa mi sembra quindi utile

dividere in due parti l’enumerazione, pur continuando a seguire

l’ordine espositivo di Rabano.

Nell’Africa settentrionale troviamo: gli Afri, così detti da Afer46

45 Per la corrispondenza con i luoghi geografici, cfr. XII, 4, PL 111 351 B-353 B. L’Africa fu posseduta prima dai Libyes, poi dagli Afri (che le diedero il nome), dai Getuli dai Mauri e dai Numidi.

discendente di Abramo da cui anche il nome Africa; i Poeni o

Carthaginienses dai Fenici (a Phoenicibus) detti anche Tyrii dalla

città di Tiro da dove partirono per giungere sulla costa africana; i

Getuli dal nome dei Geti da cui discendevano; i Numidi discendenti

dai Persiani che devono il nome nella loro lingua al fatto di essere

senza fissa dimora ed erranti (sine oppido vagi et et errantes); i Mauri

nati dalla fusione di Medi e Libi, così chiamati dai Greci in seguito al

46 Gen. XXV, 4.

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colore scuro (mauron) della loro pelle; i Massylii dalla città di

Massilia, non lontano dal monte Atlante e dal giardino delle Esperidi.

A questo punto ci spostiamo in un territorio vagamente definibile

come Africa interiore o Africa meridionale, dove troviamo un’Etiopia

che si estende dal Nilo all’Oceano meridionale e popoli che vagano in

questi territori: i Gaulalii dall’isola di Gauloe presso l’Etiopia; i

Garamantes dal nome del re Garamante figlio di Apollo che fondò la

città di Garama (Gherma); gli Hesperii che abitano la Hesperia o

Hispania; gli Aethiopes che discendono dal figlio di Cam Cus detto in

ebraico Aethiops47

Subito dopo troviamo altre genti d’Etiopia di cui però non è

specificata né la collocazione geografica né la parentela con le

sopracitate: i Troglodytae

. Di questi ultimi Rabano spiega che, provenendo

dal Nilo, si insediarono nel territorio confinante con l’Egitto e

compreso tra il Nilo e l’Oceano meridionale oltre l’equatore. Sono

inoltre composti dagli Hesperii che vivono in occidente, i Garamantes

in Tripolitania e gli Indi ad oriente. Quella di Aethiops diventa allora

una denominazione che indica il ceppo comune a più popoli la cui

terra originaria, l’India, si trova in Asia.

48

47 Gen. X, 6.

, chiamati così per la loro grande velocità

che consente loro di raggiungere a piedi gli animali selvatici; i

Panfagii il cui cibo è tutto ciò che è commestibile e tutto ciò che nasce

spontaneamente.

48 L’etimologia non corrisponde a quella consueta di “abitatori di caverne”, ma cfr. Isidoro, PL 82 341 A. Le seguenti etimologie di matrice greca non lasciano dubbi: “mangiatori di ogni cosa”, mangiatori di pesci” e “mangiatori di uomini”.

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I rimanenti popoli sembrano avvolti da un’aura ancor più favolosa,

per cui non si specifica l’appartenenza ad alcun gruppo, ma vengono

collocati in remote regioni della terra: gli Ichthyophagi che si cibano

solo di pesci e abitano le regioni montane oltre l’India; gli

Antropophagi che si cibano di carne umana e abitano a sud del

territorio del Seri; gli Antipodes la cui etimologia originaria è andata

perduta col passare del tempo, che si ritiene camminino all’opposto

dei nostri piedi, come se fossero sotto terra e da lì calcassero le nostre

orme; i Titanes, robusti e di eccezionale forza, cosi detti apo tes tiseos,

cioè dalla vendetta (ab ultione) che fecero verso gli dei per conto della

madre terra irata verso di loro.

7. Alcune conclusioni

Come abbiamo visto è netta la separazione tra le genti dell’Asia e

quelle dei restanti continenti. Parallelamente a quanto avviene per le

regioni, solo le genti di questo continente possiedono sia

un’etimologia ex diversarum gentium sermone che un significato

allegorico. Tuttavia è interessante notare come Rabano non completi

l’analisi, ma si limiti ad elencare quelle che più da vicino sono

coinvolte nella storia Sacra. A differenza della geografia, è tralasciata

l’analisi di interi popoli. Di molti nomi è individuata l’origine a partire

dai patriarchi o dai loro discendenti, anche se, a differenza di Isidoro,

il prospetto non è completo. In questo modo alcune etimologie ex

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nominum derivatione vengono a coincidere con quelle delle regioni,

come nel caso di Assur che dà il nome sia all’Assiria che agli Assyrii.

Per quanto riguarda la collocazione dei popoli non vi è assoluta

coerenza. Se nella geografia l’Armenia, il territorio delle Amazones e

la Scizia sono collocati decisamente in Asia e precedono l’esposizione

delle regioni bibliche, le corrispondenti popolazioni sembrano trovarsi

in una non meglio specificata zona ai confini tra Asia ed Europa. Non

si trova inoltre in geografia una terra per gli Albani, di cui si dice che

abitino vicino alle Amazones e per gli Hunni, detti poi Avares,

collocati nelle estreme regioni della Meotide. Il dato più interessante è

comunque la separazione tra le popolazioni di origine scitica e quelle

di origine germanica. In geografia i loro territori sono accostati l’uno

all’altro, prima dell’esposizione delle regioni greche, mentre qui le

genti sopraddette sono analizzate separatamente e intervallate dai

popoli greci e italici, anche se non in modo sistematico. Alcune delle

popolazioni scitiche menzionate seguono infatti questi ultimi per

essere poi accostate alle germaniche.

Nulla da segnalare invece per Greci e Italici che trovano

corrispondenza pressoché perfetta in geografia. Dove invece troviamo

difformità è in Francia (o Gallia) le cui popolazioni vanno sotto il

nome di Franci, con un’etimologia ex nominum derivatione non

specificata e di Galli49

49 La menzione dei Galli Senoni dopo le popolazioni britanniche non mi sembra aggiunga molto a questo quadro.

, con la più volte vista etimologia ex causa,

mentre in geografia sono esposti i nomi delle sue regioni. Ovviamente

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in tale circostanza l’esposizione segue quella delle regioni italiche,

mentre qui quella delle popolazioni germaniche.

Le province della Spagna trovano solo in due occasioni trovano

corrispondenza con i popoli che le abitano: la Gallecia abitata dai

Galleci e la Celtiberia, abitata dai Celtiberi. Non figurano popolazioni

che abitino nell’Africa Tingitana, anche se fra le genti d’Africa

vengono citati gli Hesperii.

Per trovare i territori dei britannici occorre risalire al capitolo

dedicato alle isole, tenendo presente che di tutte le rimanenti, eccezion

fatta per la Scozia, non viene qui indicata nessuna popolazione50

Dell’Africa occorre precisare che l’Etiopia è geograficamente ben

definita, mentre la moltitudine di popoli che essa ospiterebbe è più al

di là dei suoi confini che al loro interno. Gli ultimi popoli descritti poi

si potrebbero collocare in una sorta di quarto continente, come Rabano

ipotizza per gli Antipodes

.

51

Dal punto di vista dell’etimologia possiamo osservare come sia

prevalente quella ex nominum derivatione rispetto a quella ex causa.

Nel primo caso si può notare come i popoli asiatici derivino il nome

quasi tutti (fuorché gli Aegyptii) dai patriarchi biblici, mentre per gli

altri continenti si fa ampio ricorso alla mitologia classica, non senza

l’impiego di qualche etimologia biblica, come nel caso dei Thraces

che discendono da Tiras figlio di Iafet, i Gothi da Magog figlio di

Iafet, gli Afri da Afer discendente di Abramo e gli Aethiopes da da

Cus figlio di Cam. Le etimologie ex causa invece riguarda più

.

50 XII, 5, PL 111 353 C-358 C. 51 Cfr. PL 111 445 A con PL 82 341 A.

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strettamente le popolazioni cosiddette “barbare” di cui nell’Antichità

come nel Medioevo non si aveva una conoscenza precisa, come nel

caso delle popolazione scitiche, germaniche e anche africane.

Per quanto riguarda le corrispondenze tra geografia e popolazione

il numero più alto è raggiunto dai popoli greci e italici con le regioni

dove abitano. Naturalmente ritroviamo questo schema anche in altri

casi, come quello degli Aegyptii in Egitto, gli Armeni in Armenia, i

Thraces in Tracia, i Galli in Gallia, gli Hispani in Spagna, gli Afri in

Africa, i Mauri in Mauritania, i Numidae in Numidia. In geografia

solo una citazione veloce meritano le parti della Germania dette

Alania, Dacia e Gotha, mentre dei popoli rispettivi si parla più

diffusamente. Nessuna menzione si fa dei territori di Avares,

Longobardi, Alemanni, Burgundiones, Vaccaei, Astures, Marsi,

Cantabri e, ovviamente Panfagii, Ichthyophagi, Anthropophagi e

Titanes. Infine possiamo trovare terre senza popoli come Tuscia,

Aquitania, Belgica, Cisalpina (comprese però nella Gallia), Rezia,

Lusitania, Baltica, Tingitana, Bizacena e, come già visto, tutte le isole,

tranne Britannia e Scozia.

Come appare da questo schema parecchie sono le incongruenze tra

geografia e popolazioni, come molte le omissioni reciproche. D’altro

canto non possiamo dimenticare che lo stesso discorso può essere fatto

per Isidoro, ma in questo caso lo schema denota maggiore

completezza. Inoltre non possiamo pretendere dal De rerum naturis

una coerenza che non solo non mostra nelle altre parti, ma nel suo

stesso impianto. A chi voglia approfondire gli argomenti non resta che

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rivolgersi altrove, come lo stesso Rabano consiglia, poiché qui la

brevità dell’opusculum e il principale se non esclusivo fine

edificatorio non consentono di dilungarsi su tali argomenti.

In alcuni casi il nome dei popoli è mutato a locis, a moribus, ex

quibuslibet aliis causis per cui è preclusa la possibilità di scoprire la

loro prima origo, come avviene per gli Antipodes. Certo questo

sembra in contraddizione con quanto detto dell’origine delle genti dai

patriarchi. Tuttavia, a ben guardare, se per i popoli asiatici questi

ultimi sono chiamati in causa, per quelli degli altri continenti non se

ne trovano quasi mai e, anzi, essi vengono sostituiti da capostipiti

mitologici, secondo quanto accade anche per le regioni. Quando poi

non è possibile individuare neppure questi, Rabano ricorre alle

etimologie ex causa, ma qui, per quanto riguarda gli Antipodes, non è

proprio possibile rifarsi alla tradizione che li dipinge come popoli che

camminano a testa in giù. Certo sembra una giustificazione per trattare

solo dei popoli di cui si può fornire un’etimologia, ma il caso degli

Antipodes è quanto mai significativo, come anche la citazione di

popoli semisconosciuti e leggendari senza rapporti con le regioni (una

concessione ai mirabilia?). Resta comunque il fatto che i frammenti di

Babele non si possono ancora ricomporre del tutto e l’etimologia è un

risarcimento solo parziale, mentre il sostegno allegorico non può

sempre essere chiamato in causa.

PAOLO ROSANO [email protected]

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285

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