La Misericordia in Missione - Centro missionario diocesano ... · Le sette opere di misericordia...

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Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BL STRUMENTO DI INFORMAZIONE MISSIONARIA Settembre 2016 - N. 27 La Misericordia in Missione Opere corporali e spirituali

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Centro Missionario DiocesanoDiocesi di Belluno-FeltreP.zza Piloni, 11 32100 BellunoTel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Settembre 2016 - N. 27

La Misericordia in MissioneOpere corporali e spirituali

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NotizieCentro Missionario di Belluno-FeltreHanno collaborato a questo numero: vescovo Renato Marangoni,

don Luigi Canal, don Ezio Del Favero, Josè Soccal, Chiara Zavarise,Mario Bottegal, don Giorgio Soccol e i nostri missionari

Redazione c/o: Centro Missionario Belluno-FeltrePiazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Direttore di redazione don Luigi CanalResponsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’AndreaStampa Tipografia Piave Srl - BellunoIscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009

Per un aiuto economico ai nostri missionari

CENTRO MISSIONARIO DIOCESANOIBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato aCentro Missionario DiocesanoP.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno

Il numero precedente di Notizie è stato dedicato ad “Un bicchiere di lat-te”, mostrando il grave problema della denutrizione di milioni di bambini nel mondo e proponendo un nostro impegno a loro favore.

Ora rilanciamo questo progetto per allargare le adesioni, in favore delle comunità che già assistiamo. Sono otto: in America Latina, Africa e Asia e se possibile allargarlo ad altre necessità

Il nostro suggerimento a chi sentisse vicina al proprio cuore questa si-tuazione e volesse rimboccarsi le maniche, è di:aderire ad uno dei gruppi già esistenti che raccolgono “un bicchiere di

latte”: contattandoci, vi daremo il nominativo del responsabile della vostra zona;

formare un nuovo gruppo di amici, con cui raccogliere mensilmente l’offerta di 3 euro, da consegnare al nostro Centro Missionario, che la invierà al progetto da voi scelto. In questo caso, avremo bisogno che, tra di voi, si identificasse una persona referente, per i contatti con il nostro Centro.

La Misericordia in MissioneOpere corporali e spirituali

Introduzione del vescovo Renato pag. 1

Le sette opere di misericordia corporale pag. 3- Dar da mangiare agli affamati pag. 4- Dar da bere agli assetati pag. 8 - Vestire gli ignudi pag. 17 - Alloggiare i pellegrini pag. 23 - Visitare gli infermi pag. 28- Visitare i carcerati pag. 39- Seppellire i defunti pag. 47

Le sette opere di misericordia spirituale pag. 51- Consigliare i dubbiosi pag. 52- Insegnare agli ignoranti pag. 55- Ammonire i peccatori pag. 59 - Consolare gli afflitti pag. 64 - Perdonare le offese pag. 69 - Sopportare pazientemente le persone moleste pag. 75 - Pregare Dio per i vivi e per i morti pag. 81

Riflessioni sulla Misericordia e le opere di misericordia pag. 86

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Notizie - N. 271 Notizie - N. 27

INTRODUZIONEDEL VESCOVO RENaTO

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Da qualche giorno sono rientrato da un viaggio in Niger. Ho fatto visita alla parrocchia di Gaya dove opera come parroco un nostro prete fidei donum, d. Augusto Antoniol. Se dovessi esprimere ciò che ho vissuto in quest’esperienza non c’è immagine più efficace che quella dell’essermi sentito “rovesciato”. È come aver visto e aver avvicinato qualcosa ma dall’altra parte, come se tutto mi apparisse ribaltato: i luoghi, le abitazioni, le strade, le persone, il mercato, l’ospedale, le scuole, i luoghi di culto, il carcere… Non solo: anche il modo di incontrarsi della gente, lo stile di vita, il lavoro, il mangiare, le cose necessarie per vivere, la notte e il giorno…È come se dall’altra parte la verità delle cose si manifesta come ciò che nel proprio mondo non si vede e non si immagina.

Qualsiasi azione che fai, qualsiasi pensiero che coltivi, qualsiasi parola che dici da quest’altra parte mostrano uno squarcio di mondo – molto più vasto di quello in cui si vive – che suscita domande diverse, richiede esigenze mai avute prime, crea attese insperate.È così che da quest’altra parte il racconto della misericordia appare nuovo, inedito, sorprendente.La Misericordia in Missione ha così un volto che non si è ancora incontrato qui da noi e tra noi.Il viaggio della misericordia raccontato in questo numero di Notizie 27 lascia senza fiato, non è vecchio, apre su un racconto che non era già finito, ma che riparte di nuovo.I racconti delle opere di misericordia “in missione” sono affascinanti perché conducono dentro storie di amore reale e creativo e, nello stesso tempo, mostrano che la

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2La Misericordia in Missione

misericordia non è mai una ripetizione di azioni già fatte. È sempre incontro che apre su un mondo nuovo, una civiltà ancora da costruire, un destino da liberare, un futuro da sperare, una giustizia da cercare.Solitamente le opere di misericordia si distinguono in “corporali” e in “spirituali”. In realtà esse sono sempre corporali e sempre spirituali, simultaneamente. In missione diventa più evidente che corpo e spirito sono compenetrati e sempre la misericordia si fa spirito e corpo.

Siamo grati a tutti coloro che in questa raccolta della “Misericordia in Missione” hanno consegnato il loro vissuto che ci fa spaziare in ogni angolo di mondo.Vogliamo cogliere l’opportunità, la chiamata, la testimonianza a far diventare “Missione della Misericordia” ogni luogo della vita, ogni tempo del nostro vivere, ogni incontro con le persone, ogni nostro operare corporale e spirituale, ogni responsabilità sociale e culturale, ogni sguardo di futuro… così come anche tutto il nostro pregare.

Renato, vescovo

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Notizie - N. 273

Le sette operedi misericordia

corporale

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4La Misericordia in Missione

Prima che iniziative nostre, le opere di mi-sericordia sono opere di Dio nei nostri con-fronti. Sempre.

Dar da mangiare agli affamati quindi ci riporta all’atteggia-

mento di Dio Padre nei confronti di noi suoi figli: Tu provvedi loro il cibo al tem-po opportuno, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni (Sal 103). E nel deserto lungo il cammino dell’Esodo è sempre Lui a nutrire il suo popolo con la manna. Mosè disse loro: «È il pane che il Si-gnore vi ha dato in cibo» (Es 16, 15). Gesù davanti alle folle affamate si commuove e «prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero» (Gv 6, 11). Innumerevoli sono i passi bibli-ci nei quali Dio viene incontro alla fame, materiale ed esistenziale dell’uomo.

Da questo nasce anche l’impegno a vi-vere come Dio vive, in un amore, in un’at-tenzione particolare verso chi manca del necessario. Più che un comando morale è un atto di riconoscenza e di gratitudi-ne verso Dio Padre. È un atto di giustizia. È avere verso i fratelli lo stesso atteggia-mento che Dio ha nei nostri confronti.

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano». È questa una delle richieste che Gesù ci ha insegnato di rivolgere al Padre nostro dei Cieli. Va da sé che il figlio che chiede il pane al Padre, non può dimenticare il fratello che ne è sprovvisto.

È questo il culto gradito a Dio richia-mato spesso dai profeti: Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo? (Is 58). Lo scandalo della fame nel mondo fu segna-lato ancora cinquant’anni fa, in maniera drammatica e profetica dal grande Papa Paolo VI: «I popoli della fame interpella-no oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratel-lo». (Pop. Prog. 3)

Questa opera di misericordia ci porta a pensare all’immagine cara alla Bibbia sia nell’Antico, come nel Nuovo Testamento: l’immagine del banchetto dove si farà fe-sta, dove si realizzeranno tutte le attese e le ricerche umane, dove la fame di ogni uomo sarà saziata. Là in quel banchetto sarà il Signore stesso che passerà a servir-ci. Noi nel vivere questa opera di miseri-cordia possiamo anticipare ad oggi tutto questo.

Dar da mangiare agli affamati

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Notizie - N. 275

CONGOpadre Pino Locati

Descrivere quel-lo che vedo nei Campi degli sfol-lati è come rac-contare scenari apocalittici che possiamo vedere nella televisione

alla fine di una guerra, ma toccarli dal vivo è tutto un altro sentimen-

to. Provo un’infinita compassione verso queste persone sprovviste di tutto e nel frattempo cresce in me la frustrazione per l’impossibilità ad arginare questa ferita sociale che colpisce centinaia di migliaia di persone nel Nord - Kivu.

[…] Proprio oggi sono andato per un ennesimo safari (uscita-visi-ta-aiuto) al Campo degli sfollati di

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6La Misericordia in Missione

Mugunga 1, a 15 km da Goma, pre-senti circa 5000 persone, compre-si gli anziani e i bambini. Con due religiose (Henriette e Léontine), avevo portato farina, salsa di po-modoro, latte in polvere, abiti per bambini, biscotti, caramelle, sapo-nette per una folla di 455 sprovve-duti, donne della terza età e frantumate nei volti da un sofferenza ventennale di guerre civili, mamme incinte o con bambino e una cinquantina di uomi-ni, spesso con una canna, oltre ai ragazzi innumerevoli. Il comitato di gestione sul posto ci ha aiutato per disciplinare la folla e distribui-re il tutto. Da molti anni frequento i Campi degli sfollati.

[…] Passeggiando nel campo a Ngangi, scorgo una folla di bambi-ni in attesa di ricevere la loro pap-pa. Tre mamme affamate gridano la loro disperazione per essere senza latte e domandano cibo! Conto 17 grandi recipienti con la pappa o bouillie.

Chi può contare quei bambini con le loro mamme? Bambini se-duti, in piedi, avanzano, arretra-no, si bisticciano per una pappa, c’è un via-vai a non finire. Decine di volontari e di mamme aiutano per mantenere la calma e l’ordine nell’attesa di ricevere la pappa! Quando penso che il 15% dei ra-gazzi italiani è obeso! Mah! C’è giustizia a questo mondo?

[…] Non nascondo che se non sentissi la “mano di Dio” agire nell’opera che stiamo facendo in favore degli abbandonati e biso-gnosi di tutto, il nostro servizio avrebbe il sapore della follia e del fallimento continuo, talmente la piovra del male frena le forze del

bene e stritola le ener-gie che vogliono co-struire una società di-versa, un mondo che sia umano, un’umanità che diventi misericor-diosa e sia tale nelle

relazioni!E invece, la preghiera e lo sguar-

do amoroso rivolto alla Parola di Dio ci danno la forza di restare, continuare ed essere presenti in situazioni sempre più complicate e pressoché impossibili da gestire! Se facciamo poco o se facciamo molto, non tocca a noi valutare, la-sciamo il tutto nelle mani di Dio ma se anche offrissimo la possibilità di un sorriso a un bambino con una caramella o un biscotto, è già un’a-pertura a un mondo diverso, oserei dire l’apertura a quel mondo mes-sianico dove l’essere riconosciuti, amati, rispettati è proprio del mes-saggio proclamato sulla montagna dal Discorso delle Beatitudini.

La nostra forza è il Nome di Dio e con lui siamo certi che le piccole cose che facciamo nell’abisso con-golese, sono straordinariamente grandi e preziose nel suo cuore di Creatore e Custode della vita.

La nostra forza è il Nome di Dio

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Notizie - N. 277

BRASILE don Luigi Canal

Un bambino an-dava solo per una strada del centro chiedendo in ele-mosina “pane vec-chio”. Una signora, al-lergica a queste

richieste, cominciò a indagare: «dove abiti?» – «sotto il ponte» fu la risposta.

«Dov’è tuo papà?» – «non lo co-nosco».

«Hai mamma?» – «sì, è malata». «Vai a scuola?» – «no».«Chi fa la spesa a casa tua?» – «io,

quando mi danno qualcosa».«Allora aspetta che ti do del

pane, ma di quello fresco…» – «no signora, non occorre: lei è la prima persona che si interessa chieden-domi qualcosa della mia vita e que-sto vale per me più del pane».

«Ed ora cosa vai a fare?» – «conti-nuerò a chiedere pane vecchio...» disse il bambino.

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8La Misericordia in Missione

Dar da bereagli assetati

«Un gruppo destinato alla l i q u i d a z i o -ne si avvia al blocco nume-ro 25. Que-sto blocco è l’atrio della

morte. Serve ai condannati da ulti-ma tappa, prima della camera a gas, come sala d’aspetto… Alle donne racchiuse non veniva dato né da bere né da mangiare. Le infelici morivano dalla sete. Erano avide di acqua. Dalle finestre con le inferriate si sporge-vano decine di mani. Nell’inferno di disu-manità di Auschwitz non poteva mancare – come ci ricorda una prigionie-ra polacca – la tortura della sete». Una morte terribile.

È da questa penosa visione della morte per sete del proprio figlio-letto, che Agar, venuta a mancare l’acqua «depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’ar-

co, perché diceva: “Non voglio ve-der morire il fanciullo!”. Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che hai, Agar? Non temere, per-ché Dio ha udito la voce del fan-ciullo là dove si trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, per-ché io ne farò una grande nazione”.

Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e fece bere il fanciullo». (Gen 21,15-18). Questo è ciò che fa Dio per noi.

Nella Bibbia, e non solo, l’acqua è con-siderata la vita. Molti momenti della storia di

Israele sono attraversati dal terrore della siccità e delle sue devastanti conseguenze. La stessa migrazione in Egitto al tempo di Giuseppe de-riva da situazioni di carestia. Nella Bibbia, dar da bere a chi ha sete è un dovere assoluto insito nella leg-ge dell’ospitalità. «Andate incontro agli assetati, portate acqua» – dice

«u“

Ogni 20 secondi un bambino muo-re a causa delle malattie associa-te alla mancanza d’acqua potabile

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Notizie - N. 279

Isaia. Neppure ai nemici si

può rifiutare l’acqua: «se il tuo nemico ha sete, dagli acqua da bere» (Pr 25,21). «Voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite» (Is 55,1). Così il profe-ta Isaia annuncia una nuova alleanza. E Gesù stesso chiede alla sa-maritana: «Dammi da bere».

Ogni 20 secondi un bambino muore a causa delle malattie as-

sociate alla mancanza d’acqua potabile. In totale si contano un milione e mezzo di giovani vite stroncate ogni anno. Oggi, per-ciò, dar da bere agli assetati può signifi-care anche fornire a un missionario i mez-zi per installare una pompa o per scavare un pozzo. È il Signo-

re che ci chiede da bere e che in quel giorno ci dirà: «Avevo sete e mi avete dato da bere».

Oggi, perciò, dar da bere agli assetati può si-gnificare anche fornire a un mis-sionario i mezzi per installare una pompa o per sca-vare un pozzo

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SUDANsuor Costanza Gaio

Carissimi tutti del Centro Missiona-rio, saluti da Khar-toum – Sudan.Dal mio ritorno in Sudan nel gennaio 2015 mi è stato chiesto di fermar-

mi a Khartoum nella nostra casa provinciale in un servizio di «Fac totum”.

Mi è stato un po’ difficile lascia-re il contatto diretto di apostolato con le persone...

Data la mia età ed il bisogno con-creto di una persona in questo ser-vizio (abbiamo anche il servizio di cucinare per il Cardinale), ho ac-cettato e ho fatto del mio meglio nel compierlo con la grazia di Dio che mai si lascia vincere. Sia Egli sempre benedetto.

Quando il tempo me lo permet-te, faccio delle visite ai «miei ami-ci», i poveri, che nelle periferie di Khartoum sono in continuo au-mento, data la situazione nel Sud Sudan... (Sono certa ne siete in-formati a mezzo dei media... «Che Sofferenza!»). Nei campi profughi, le autorità non permettono agli stranieri di entrarvi, solo alle Suo-

re del Sacro Cuore Sud Sudanesi è concesso loro il permesso.

«Dar da bere agli assetati» è un’opera di misericordia che qui in Sudan è più che attuale e di grandissima necessità, data l’ari-dità dell’ambiente e la tempera-tura quasi sempre oltre i 40 gradi in questi giorni. Ad aumentare l’aridità ed il calore contribuisco-

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Notizie - N. 2711

no i temporali di sabbia molto fre-quenti in questi periodi di forte calore che precedono le piogge.

Succede molto di frequente che un po-vero picchia alla porta proprio per chiedere acqua... Chi ha i mez-zi se la compera. C’è sempre chi la vende qui in città, si incon-trano molto facilmen-te lungo le strade an-che bambini, con un secchio d’acqua e un bicchiere: spesso è pure un mezzo di guada-

gnarsi la giornata e così aiutare la famiglia.

Mi piacerebbe proprio inviar-vi una foto su queste “fonti d’acqua!», i secchi... Neanche far-lo apposta: siamo nel mese di Ramadan, ov-vero del digiuno dei Mussulmani, per cui niente di ciò è per-messo. Pazienza.

In unione di pre-ghiera e intenzioni,

ringrazio di cuore per quanto ope-rate per le Missioni.

Succede molto di frequente che un povero picchia alla porta proprio per chiedere ac-qua...

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12La Misericordia in Missione

BRASILEdon Lucio Pante

“ F r a t e r -nità e ac-qua”. Era il messag-gio della C a m p a -gna di fraternità

della Quaresima 2004 in Brasile. Sono proprio arrivato quell’anno, nel mese di gennaio, a Canudos, nella diocesi di Paulo Afonso, ac-colto da don Livio Piccolin. Percor-rendo le piste polverose e piene di buche, osservavo il paesaggio del “Sertão” semiarido e molte fami-glie che andavano con taniche di plastica ad attingere acqua in poz-ze dove si abbeveravano anche gli animali e, pensavo.. al verde dei nostri paesi, all’acqua disponibile per tutte le necessità e purtroppo anche agli sprechi di questo pre-zioso liquido.

In Adustina, l’acqua potabile, pur con molto cloro, forniva già diver-se famiglie della cittadina, tuttavia molto razionata nei periodi di sic-cità, mentre nelle comunità rurali le famiglie attingevano quel po’ di acqua, molte volte insufficiente per il fabbisogno, dalle prime ci-sterne, costruite in parte dal pro-

getto “un milione di cisterne” del governo LULA, e per la maggior parte costruite con i sussidi e aiuti vari, anche del nostro Centro Mis-sionario.

Approfittando della visita quasi “F

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Notizie - N. 2713

giornaliera alle comunità per in-contri e sante Messe, ho caricato per molto tempo sull’auto acqua potabile con bidoni da 15 e 20 li-tri. Era una grande festa per loro, pur centellinando quel liquido che doveva servire per molti usi, nel-la speranza che la stagione delle piogge potesse finalmente riempi-re le loro cisterne (di chi le aveva), cosa che non sempre succedeva, per l’irregolarità o la mancanza stessa delle precipitazioni.

Purtroppo anche l’acqua, bene essenziale per l’uomo, è stata com-mercializzata, diventando così un bene privato per pochissimi lati-fondisti che non hanno mai visto le

loro riserve vuote. La lotta per l’acqua in Brasile, so-

prattutto nel Nordest, continua an-cora, considerando anche la cam-pagna della perforazione di pozzi quale alternativa e sfida al clima secco e all’aridità del suolo.

Tutti abbiamo provato l’impel-lenza della sete e in pochi minuti siamo stati soddisfatti. Purtroppo in ancora molti posti l’acqua è una risorsa da razionare e tuttora mol-te persone ogni anno muoiono di sete, o per malattie contratte da ac-qua insana. Misericordia è contri-buire alla costruzione di un pozzo in uno dei tanti villaggi delle mis-sioni.

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14La Misericordia in Missione

COSTA D’AVORIOdon Virginio De Martin

Tornando dall’A-frica dopo quasi 13 anni ti restano molte immagini in archivio.

Ne levo alcune dalla memoria, ri-guardanti l’acqua,

non per la gioia degli occhi, ma per la salute del cuore. • Acquapulita:lussoinsperato

Ricordo impresso nella mia me-moria sulla interminabile strada tra Bobodoulassou e Ouagadougou.Sotto una cappa di calore e di afa, siamo scesi a …pranzare ai bordi della strada sotto un albero. Il pran-zo? Salame e formaggio destinati a don Augusto. Che cosa si poteva trovare per un pranzo europeo, sui poverissimi e sgangherati tavolini di fortuna esposti qua e là lungo le strade del Burkina? Certo, salame e formaggio non erano i più adatti ad estinguere la sete! Stra-benedicia-mo le bottiglie d’acqua comperate il giorno prima in città.

Ci sembrava un luogo solita-rio rispettoso della nostra priva-cy. E quasi dal nulla ecco spuntare dai cespugli una bicicletta ridotta all’osso, cerchioni e manubrio, dei

ragazzi e due uomini, magrissimi. Ci guardano. Li guardiamo: è gio-coforza condividere. Stiamo per chiudere il sacco e riporre la mezza bottiglia d’acqua rimasta ed ecco un’altra apparizione, una mamma con un piccolo in braccio e uno per mano. Un attimo di incertezza e la mezza bottiglia d’acqua passa nel-le mani della giovane mamma. Laprende, se lastringealpettocome un regalo di nozze, siillumina,sor-ride con una gioia quasi infantile negli occhi, nello sguardo, nelle pochissime parole che pronuncia. Era un grazie per quel lussoinspera-to:acquapulita da dare, come una medicina miracolosa, ai suoi bam-bini.• L’ospitalitàiniziadaunvasod’ac-

quadabere.Arrivando in un villaggio baulé

(Costa d’Avorio) si resta sorpresi dal rituale dei saluti che non è pos-sibile omettere. Prima di ogni altra parola il capo famiglia (o chi perlui)offrelasediaeordinadiportaredell’acquadabereall’ospite.Si beve senza parlare. Nella savana non c’è acqua. Chi viene a trovarti deve es-sere prima di tutto dissetato con la migliore acqua che hai. Offrono

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Notizie - N. 2715

l’acqua messa da parte per questo scopo. Capita che l’acqua non sia trasparente, soprattutto se non ti aspettavano. Ma per educazione la sorseggi, o, se hai proprio sete, la bevi e basta. Poi da ricco occidenta-le ti procurerai un antiparassitario. • L’acquaquotidiana,lapiùprezio-

saefaticosa.Dove non esistono ancora acque-

dottiné altri impianti idrici, il fabbi-sogno di acqua quotidiana diventa una delle fatiche quotidiane indero-gabili. Sono tra i quattro e i cinque miliardi della popolazione mondiale ad essere in questa situazione!!

Come fanno? In Africa occidenta-le francese fanno più o meno così:fin dal mattino presto, le donne e le bambine vanno al “marigot” a riem-pire d’acqua i loro catini o i secchi o altro, per la casa. Catini grandi, anche enormi, che le ragazze e le donne portano magistralmente sul-la testa. Prima di caricarsele sulla te-sta, strappano dei rami a foglie lar-ghe e le pongono sopra l’acqua dei catini, cosicché l’acqua non ondeg-gia e non si versa lungo il cammino di ritorno. Tanti viaggi quanti servo-no per avere l’acqua sufficiente per tutta la giornata. Così ogni giorno. Compito delle donne.

E come la usano? Una parte di quest’acqua viene accantonata per bere. Una parte per cuocere ilcibo della sera (pasto principale); una parte per fare il bucato perso-nale (per il bucato più importante vanno allo stagno); ciò significa un poco d’acqua in un secchio nel cor-

tile, un pugno di detersivo, molta schiuma e … centrifuga manuale. Anche i giovanotti devono farsi il loro bucato personale. Una parte d’acqua è conservata per lavarsi afine giornata. Tutti si lavano ogni sera, dopo il rientro dai campi, ac-caldati, stanchi e sporchi di lavoro. Prima si lavano i bambini, dietro la capanna, con un po’ d’acqua nel so-lito secchio, insaponandosi e diver-tendosi al massimo, sotto gli occhi vigili del villaggio; gli uomini e le donne fanno la loro toilette quan-do è buio, discretamente, nella doccia addossata alla casetta, unico angolo di privacy, fatta di argilla e legni, a cielo aperto. Le donne de-vono conservare un po’ d’acqua per i commensali, perché, cenando senza posate, essi devono lavarelemaniperprendere il cibo. Infine ci vuole l’acqua da bere.Una partico-larità intelligente: al momento della cena, ossia del pasto comune, l’ac-qua viene offerta e bevuta alla fine.• Acquastagnante,gioiaepericolo

perbambinieadulti. La gioia dei bambini che sguazza-

no nell’acquadi uno stagno o in un rigagnolo è uno spettacolo diver-tente e simpatico per chi sosta sulla pista a fotografarli. Quante volte li ho visti sul suolo africano! Il sole è allo zenit, piomba perpendico-larmente sulla terra e scotta, toglie quasi il respiro; l’acqua è calda e ca-rezzevole. Le foto dei bambini che si divertono nell’acqua, faranno vedere il lato gioioso della realtà, ma nasconderanno il lato amaro di

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questo divertimento. Chi frequenta quelle acque è condannato ad am-malarsi di vermi, di verminosi cro-niche (pance grosse e dure), ad es-sere vittime di altri parassiti come la filaria, o di infezioni gravi come il tifo.

Non si può immaginare quanti siano gli utenti nascosti dentro agli stagni o nelle piccole risacche d’ac-qua delle riviere. Ma basta passarvi accanto di notte. Da quelle acque stagnanti sale un chiasso assordan-te ed insopportabile di raganelle, di rane e rospi; di uccelli notturni che svolazzano a filo d’acqua. Di zanzare e moscerini che si scatena-no e naturalmente anche di musi di animali più consistenti che vanno a bere ….o si riposano dentro. • Hovistomorireditifo.

Silvain aveva 26 anni. Mi si è im-presso come una spina nel cuore. Era un ragazzo impegnato. Stava veramente male. Dopo molti e vani tentativi di curarsi dalla presunta malaria, nel dispensario del suo villaggio, chiede soccorso alla Mis-sione. Non capimmo che si trattava di tifo. Non ne avevamo mai avuta l’esperienza. L’ultimo giorno, ormai in fase drammatica, quando si con-torceva dai dolori, un infermiere ne diagnosticò la causa: febbre da tifo all’ultimo stadio. Era ormai notte ma la Missione si mobilitò per eva-cuarlo immediatamente verso l’o-spedale della Città più vicina. Morì alle prime ore del mattino.

Se vuoi bene ad una persona che soffre, fai di tutto per lui e cerchi di

prendere tutte le precauzioni pos-sibili. La sua morte è stata doloro-sa per tutti. Ma almeno è servita a salvare la vita di tanti altri, che pre-sentando sintomi analoghi, obbli-gavamo a richiedere le analisi del sangue. Il tifo, agli inizi, sembra una malaria comune. Invece è un’infe-zione gravissima. La si contrae di solito a causa delle condizioni anti-igieniche dell’acqua e dei gabinetti (che nei paesi caldi) sono a cielo aperto.• Papa Francesco e l’enciclica Lau-

dato sì riguardoall’acqua.Papa Francesco ha nel cuore e

nella coscienza le immagini di im-mense e impenetrabili periferie di città, nelle Americhe, simili a quelle dell’Asia e di buona parte dell’Afri-ca, dove milioni e milioni di perso-ne vivono in slums, bidonvilles, fa-velas o discariche, senza fognature e senza acquedotti. Qualcuno si domanda: come fanno a vivere in quelle condizioni? Il Papa va oltre, e nell’enciclica Laudato sì afferma come dottrina della Chiesa:

L’accesso all’acqua potabile e si-cura è un diritto umano fondamen-tale e universale, condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Le comunità devono fare in modo che tutti possano avere l’acqua ne-cessaria”. (n. 30)

Con una sinergia di interventi e un accresciuto impegno di corre-sponsabilità mondiale, è possibile dare acqua pulita e sicura a tutti. Il Papa ci crede e chiede a noi di cre-derci.

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Notizie - N. 2717

Vestiregli ignudi

Vedendo la nu-dità della nostra condizione uma-na limitata e fragi-le rivestita di Cri-sto nel Battesimo, noi cristiani sap-p i a -

mo di essere immersi nella misericordia di Dio, coperti e avvolti da essa, sicché questa opera di misericordia non è che un riflesso e una testimonianza della misericordia di-

vina che abbiamo ricevuto.Questa opera di misericordia

ha un insegnamento immediato e pratico: prima di tutto significa non sprecare, accontentarci di quello che abbiamo. Secondo, ha un va-lore simbolico: Dio è il tuo vesti-

to, perché Dio è colui che ti protegge. Dun-que vestire gli ignudi ha anche un valore di presenza, è come dire ad una persona «io ci sono, puoi contare su di me, io ti sono vici-no».

V“

Dio è il tuo ve-stito, perché Dio è colui che ti pro-tegge

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18La Misericordia in Missione

PERÙpadre Sergio Cassol

Per vari anni, qui a Lima, ci sono arri-vati container con doni preparati con cura dalle mamme in Italia. È stato un grande aiuto per famiglie che fati-

cavano a sbarcare il lunario, e an-che un’occasione di volontariato per la gente del posto: chi era stato aiutato, poteva a sua volta aiutare

altri nel bisogno: così scarpe, abiti, quaderni, penne… hanno permes-so a tante mamme di fare la gioia dei loro figli.

In una città di 9 milioni di abitan-ti, le baraccopoli si estendono ol-tre l’orizzonte; vai un poco più in là, la vita degli emarginati continua a questionarci sulle nostre sicurez-ze e la loro invocazione a Dio inter-pella radicalmente la fede che noi viviamo.

P

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Notizie - N. 2719

Ero nudo…, ci dice, e lo incon-tro in quel giovane che è mancato all’incontro della Cresima; poi si giustifica: ho fatto il bucato e dove-vo aspettare che asciugasse; …e io, che stavo per rimproverarlo, quan-ti cambi ho nel mio armadio? Io ho vestito Gesù?

Questo venerdì santo la via cru-cis si snodava sul pendio, in mezzo a un mare di casette, frutto di tanti sacrifici, ma ben povere. Davvero si poteva contemplare Gesù con-dannato ingiustamen-te, provato, umiliato, ferito, dimenticato, abbruttito, avanzare nella polvere verso il Calvario.

Decima stazione: Gesù spogliato dalle vesti per essere cro-cefisso; stiamo pregando, in fondo intravvedo una donna che spesso chiede l’elemosina per strada. I vi-cini mi dicono che vive lì. Lascio la processione e le vado incontro. La sua casa è solo un riparo; non c’è un mobile; pochi stracci in terra dove rannicchiarsi la notte. Anche lei è trasandata. Mi dice che è rima-sta sola; il marito l’ha abbandonata e il piccolo che aveva è morto. Non si è mai ripresa dalla disperazione:

lo confermano il suo volto, i capelli in disordine, la gonna, la maglietta sudicia.

Come continuare la via crucis senza fare qualcosa per lei? Come può passare il Signore distratta-mente, lui, servo sfigurato, di-sprezzato, percosso e umiliato, per salvarci e ridarci dignità?

Più tardi avremmo baciato la croce con devozione, ma avvici-nare quella sorella non era altret-tanto facile: mi son fatto coraggio

e le ho dato un bacio, una luce si è accesa sul suo volto, Buona Pasqua, le ho detto. La gente partecipava all’incontro da lonta-no. La notte di Pasqua, Juana era lì, nella Cap-pella, vestita bene,

pettinata; la carezza del Risorto la aveva raggiunta, e quest’anno era un po’ più Pasqua.

C’è ancora tanto da fare per resti-tuire dignità, coraggio, libertà a lei e ai fratelli; tanti e tante attendono uno sguardo che va oltre le appa-renze misere e raggiunge il cuore. Lì, in quel cuore, la misericordia aspetta il mio sì, per rivestire di misericordia e abbracciare ogni uomo amato da Gesù.

Quanti cambi ho nel mio arma-dio? Io ho vestito Gesù?

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20La Misericordia in Missione

ALBANIAdon Fabio Cassol

La missione di Ka-livac si trova nella regione dell’Al-bania chiamata “Mirdita” (che si-gnifica buon gior-no): è una zona di montagna dove si

erano rifugiati i cristiani nei secoli XIV e XV in seguito all’invasione ottomana, per evitare di essere sgozzati dai “tagliagola” mussul-

mani di allora, perché quasi inac-cessibile (senza strade, né ponti e attraversata da vorticosi fiumi) e quasi inabitabile per la sterilità del suo suolo roccioso e scosceso.

Zona abitata da una popolazio-ne di pastori disseminati in case poverissime (malghe), lontane una dall’altra (non ci sono villaggi veri e propri), e rimasta pratica-mente inalterata nella sua pover-tà, nei secoli, fino agli anni del re-

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Notizie - N. 2721

gime comunista (dal 1945 al 1991), che l’ha depredata ancor di più, tagliando quasi tutte le piante ad alto fusto che erano l’unica risor-sa della montagna e distruggendo tutto quello che era segno di vita religiosa: chiese, capitelli, croci ecc. Veramente una zona spo-gliata di tutto: senza strade, senza corrente elettrica, né acquedotti, né tele-fono, né ambulatori medici, tanto meno ospedali e ogni altra conquista moderna.

“Vestire gli ignudi” per quella zona si-gnificava dare tutto, incominciando da un cibo sufficiente ad una scuola decen-te, dagli stivali per attraversare i fiumi agli indumenti pesanti per l’inverno, dalla corrente elettrica all’acqua corrente, dall’istruzione religiosa, di cui solo gli anziani avevano ancora qualche cono-scenza e tanta nostalgia, alle chie-se dove celebrare la propria fede rimasta viva, dalle strade ai ponti per attraversare i fiumi, ecc.

L’arrivo di un sacerdote e di due comunità di suore in quella regio-ne è stato come l’inizio di epoca nuova per quel popolo fino ad allora dominato e sfruttato dagli agenti del regime che punivano severamente chi non dava allo Stato tutto quello che aveva e produceva (non c’era la proprietà privata) e ancor di più chi manife-

stava qualche segno di fede reli-giosa.

Si è incominciato a rivestire la nudità religiosa di quella povera gente, specialmente dei bambini, ragazzi e giovani, organizzando come si poteva, sotto gli alberi o in qualche cortile, nei cimiteri senza recinti, sulle sponde di un

fiume, un po’ di cate-chismo per i piccoli e le celebrazioni delle Messe per tutti, che venivano frequentate moltissimo, perché era rimasta molta no-stalgia negli anziani e molta curiosità nei giovani.

E in questi incontri con la popolazione

anche più lontana e sperduta nei luoghi più inaccessibili, che si po-tevano raggiungere solo con una Land Rover che la Caritas di Bellu-no mi aveva fatto pervenire, oltre che al catechismo e alla celebra-zione della S. Messa, si distribui-vano merendine per i bambini e vestiario per le famiglie, qualche medicina per gli anziani e malati (c’era una suora infermiera molto brava), stivali per piccoli e grandi per attraversare i torrenti nei pe-riodi più freddi, tutto materiale che ci veniva donato dalle diocesi di origine, mia e delle suore.

Poi, pian piano, abbiamo potuto rivestire quel territorio con ben sei chiese vere e proprie, che la popolazione chiedeva più di ogni

Vestire gli ignu-di” per quella zona significava dare tutto, inco-minciando da un cibo sufficiente ad una scuola de-cente...

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22La Misericordia in Missione

altra cosa, e questo è stato possi-bile per i contributi chiesti e otte-nuti dalla Congregazione di Pro-paganda fide di Roma.

Dopo alcuni anni di lavoro ab-biamo avuto la soddisfazione di celebrare il culto divino nelle nuove chiese con i fedeli che vi partecipavano attivamente con i loro chierichetti, lettori, cantori come nelle nostre comunità ita-liane.

Il nostro lavoro pastorale ini-ziale ora continua ancora me-glio, portato avanti da una giova-ne congregazione religiosa che ha preso il nostro posto in tutta

quella vasta zona della Mirdita e in altre parti dell’Albania. Il seme di senape da noi, missionari della prima ora, ora sta diventando una promettente pianta che darà cer-tamente buoni frutti di evangeliz-zazione e di vita cristiana, fecon-data dal sangue di una quarantina di martiri albanesi che fra qualche mese verranno proclamati santi, là dove era stato fatto il deserto da un regime spietatamente ateo e persecutorio.

Dal Venerdì santo alla Pasqua, come sempre, perché “le porte degli inferi non prevarranno mai”. Deo gratias.

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Notizie - N. 2723

Alloggiarei pellegrini

Non è straordi-nario il fatto che i due racconti dell’infanzia nar-rati dai Vangeli abbiano come tema la necessità di dare un rifugio

al Bambino Gesù? L’Antico testamento comincia

con un Dio generoso, che fa del suo mondo il nostro mondo, del-la sua dimora la nostra dimora. Noi ultimi arrivati siamo accolti come ospiti del nuo-vo mondo dal nostro Creatore. Ma quando Lui venne nel mondo «il mondo non lo ri-conobbe e i suoi non l’hanno accolto… perché non c’era po-sto per lui»… e nasce in uno squallido am-biente; e presto deve fuggire per non veni-re ucciso. Gesù che «non aveva dove posare il capo», accoglieva

nel suo cuore chiunque incrocias-se la sua strada, insegnando così a tutti la necessità di essere premu-rosi nell’ospitalità.

Oggi più che ai pellegrini, que-sta opera di misericordia si riferi-sce all’accoglienza degli immigrati e dei profughi, all’accoglienza di cosa resta dalla frantumazione delle famiglie e dalle violenze che in esse dilagano, dall’accoglienza dei senza dimora, i vuoti a perde-re o gli scarti per le istituzioni. E

spesso anche per i cri-stiani.

Accogliere i pelle-grini, oggi significa prima di tutto con-vertire il nostro cuo-re ad una apertura verso l’altro, ad uno sguardo pieno di fede dove, come al tempo di Abramo, siamo ca-paci di scorgere in co-

loro che passano, Dio stesso che visita l’uomo.

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Oggi più che ai pellegrini, questa opera di miseri-cordia si riferisce a l l ’accogl ienza degli immigrati e dei profughi

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24La Misericordia in Missione

ECUADORsuor Dionella Faoro

Con gioia aderisco alla vostra richiesta per una mia testi-monianza su di un’Opera di Mise-ricordia e precisa-mente “Alloggiare i pellegrini”.

Questa opera di misericordia è una delle più praticate nella mia vita missionaria, specialmente dopo il tremendo terremoto ad Haiti del 2010 ed ancor di più dopo quello dello scorso aprile qui in Ecuador.

Haiti è la nazione più povera dell’America Latina. La gente è grandemente disorientata, si sente sola e abbandonata e cerca sicurez-za nelle strutture della missione.

Un episodio su tutti. Una notte, molto buia, sentiamo bussare alla nostra porta. Con comprensibile paura, decidiamo di aprire. Qua-le spettacolo! Una piccola donna, magrissima, con un piccolino av-volto in una coperta tutta buchi. Un volto dai segni evidenti di gran-de stanchezza per aver camminato per ore e ore; domandava alloggio, le bastava anche un “buco” per passarvi la notte, perché il giorno

seguente avrebbe proseguito il viaggio per Porto Principe, dove vi-veva la sua famiglia.

Ci ha raccontato la sua storia! Che fare? Abbiamo pensato a Gesù, Giuseppe e Maria in cerca di un alloggio, pellegrini a Betlem-me… L’abbiamo rifocillata e le ab-biamo dato un giaciglio.

Anch’io ho provato l’esperienza

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Notizie - N. 2725

di essere pellegrina e di essere accolta quan-do, in compagnia di 50 persone, abbiamo fat-to la marcia a tappe, da Quito al Coca, per 370 kilometri, in onore dei missionari martiri Mons. Alejandro La-baka e Suor Ines Arango. Ricordo con commozione la gioia e la festa che ci dimostrava la gente. Baci e abbracci, in qualche villaggio suo-navano le piccole campane e poi ci ospitavano nelle loro povere case mettendo a nostra disposizione il povero cibo, condividendolo con noi. Che commozione!

Ho pensato, in quel momento,

dentro di me, e que-sta verità voglio con-dividerla anche con voi: «su questa terra il Signore, come ha fatto con Abramo, ci con-duce tra terre fertili e talvolta impervie, tra gioie e dolori, ma con-

duce Lui, il buon Pastore, e allora la meta è sicura perché arriva alla sua casa.

Lì saremo accolti con grande fe-sta e lo stesso Dio ci farà sedere alla sua mensa e Lui stesso si metterà a servirci».

Sempre riconoscente, saluto cor-dialmente e vi mando un abbrac-cio.

Questa opera di misericordia è una delle più pra-ticate nella mia vita missionaria

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26La Misericordia in Missione

Ricordo Jurací, un signore sulla cin-quantina che ha stabilito la sua ten-da a Bom Jesus da Lapa, un santuario famoso ai margini del Rio S. Franci-

sco. Alcuni pellegrini della nostra

parrocchia lo hanno incontrato là e sono stati impressionati dalla sua testimonianza. Jurací è un uomo che ha studiato, ha casa e famiglia a cui rimane fedele, ma ha scelto di condividere la vita con drogati e prostitute, alla periferia di questa cittadina dove c’é sempre grande movimento di pellegrini. Frequen-

BRASILEdon Luigi Canal

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Notizie - N. 2727

ta poco il santuario, né i preti sono mai passati là a trovarlo. Con i suoi amici -tenuti a distanza dal santua-rio- lui legge la Parola del Signore, incoraggia, orienta, condivide la farina ed i fagioli, ripassa una me-dicina... Le “prediche” non le fa a questi poveri “peccatori” , perché dice che il potere di toccare i loro cuori è di Dio, a noi basta offrire la sua Parola con amore. Ha aiutato anche molte famiglie diseredate – che come lui vivevano in baracche di cartoni- a farsi la casetta di mat-toni, e se ne vede una bella fila là dietro. Quando gli si domanda perché non ne hanno fatto una anche per lui, risponde di no, che lui deve ri-manere li, per accogliere chi arriva, come sentinella...

Quante di queste sentinelle avrebbe bisogno il popolo di Dio, quando aspettare i figli di Dio in questi crocicchi forse é diventa-to più urgente e significativo che aspettarli nei nostri santuari!

***

Qui a Salvador, nella Pastorale che si occupa di chi vive sulla strada, uno di loro, An-derson, 26 anni, 18 passati fra orfano-trofi e strada, 10 sui marciapiedi di S.

Paulo, oggi ospite nella Chiesa del-la SS.ma Trinità (una vecchia chiesa abbandonata che ora serve di ‘ri-fugio’ per loro nelle notti di fred-do e pioggia), ci diceva una sera: «Sia pur con tutta la sofferenza dei marciapiedi, ho sempre incontrato persone che mi hanno appoggia-to, che mi hanno ascoltato, che mi hanno dato fiducia! A volte c’è gente che ti dà delle cose, ma non crede nella persona! So che mai Dio mi ha abbandonato, seppure sia stato abbandonato molte vol-te… Per le strade non c’è religio-ne di chiesa, ma c’è molto di Dio! Oggi ringrazio la Trinità Santa e le persone che hanno creduto in me: ora studio, lavoro come artigiano nella chiesa ed ho il mio cantuccio per riposare».

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28La Misericordia in Missione

Visitaregli infermi

Quante volte nel Vangelo scopria-mo Gesù chinarsi sull’uomo sofferen-te, solo, escluso, ferito. Spesso per guarire, sempre per “prendersi cura”. Da qui nasce l’invi-

to a prendersi cura delle persone, di tutte le persone. Perché tutti siamo o saremo “malati”, soli, an-gosciati, stanchi. Ma tutti siamo e saremo sempre accolti, protetti, guariti dallo sguardo e dalle mani di Gesù. Noi oggi possiamo esse-re quello sguardo e quelle mani. Nella società della comunicazione commerciale possiamo dimostrare che la vera comunicazione è fatta di lacrime, sentimenti, emozioni, dolori e gioia. E soprattutto ascol-to.

Nella situazione di solitudine e impotenza in cui spesso si trova, il malato chiede, a chi gli si fa vicino, di essere ascoltato, di essere ac-cettato così com’è. E come in tutte

le opere di misericordia è bene ri-cordare anche in questa che il Re davanti a cui saranno radunate tut-te le genti, si identifica con il ma-lato e non con il visitatore come ci si potrebbe aspettare. Dunque di fronte al malato siamo di fronte a una presenza (Cristo) la cui dignità deve essere riconosciuta. Quando si dice che i poveri sono sacramen-to di Cristo, significa che essi sono presenza velata, ma reale di Cristo e che l’incontro con Lui e l’annun-cio stesso del Vangelo avviene at-traverso questa via privilegiata del-la misericordia e dell’amore, come affermano tanti documenti degli ultimi Papi.

Sempre queste esperienze ci maturano anche nella fede, per-ché nel malato è Cristo stesso che si svela a noi nella debolezza e ci prepara al momento in cui la soffe-renza busserà pure alla porta della nostra vita. Amare la Vita è rispet-tarla anche nella sua fragilità con l’attenzione ai più affaticati e fragi-li. È anche avere la chiarezza di co-

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Notizie - N. 2729

gliere che vivere è fare i conti con la morte, con il dolore, con la solitudine, l’umiliazio-ne del malato che si sente espropriato del suo corpo, della sua li-bertà con la paura del vuoto, del non senso.

E allora restano le cose più essenziali: il mangiare, il bere, le funzioni del corpo. La tentazione è sottrarsi al dolore, fuggire, non c’è corag-gio, né tempo, non ci si sente pre-parati, si è inquieti, a volte infasti-diti.

In una parola si ha paura. La pro-va dell’ altro è la nostra prova! Ma

per chi non scappa c’è la grazia della presen-za, il dono della rela-zione, il dono che dà speranza e fiducia in qualcosa di più forte della morte. Tale gra-zia passa attraverso di noi con legami pro-fessionali o più ele-mentari, legami sem-plici, della compagnia, dell’amicizia, legami umili, fedeli, che ren-

dono ancora “umani”.Doni di presenza anche corpo-

rale: la mano, la carezza, magari lo sguardo... il silenzio. Il sacro dell’uomo custodito da una incrol-labile tenerezza.

Tutti siamo e saremo sempre accolti, protet-ti, guariti dallo sguardo e dalle mani di Gesù. Noi oggi possiamo es-sere quello sguar-do e quelle mani

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30La Misericordia in Missione

PARAGUAYpadre Aldo Trento

Che cos’è la “ca-riño-terapia”? Una parola inventata dal Papa e che non esi-ste nei dizionari. Si tratta della terapia affettiva di cui tutti abbiamo bisogno, e

in particolare chi soffre. Tutti i gior-ni andando alla clinica, dove qua-rantotto persone aspettano che il Signore venga a prenderli, faccio esperienza della “cariño-terapia”

baciando i pazienti, stando al loro fianco, accarezzando il loro volto, tenendo le loro mani nelle mie, parlando soavemente e con tene-rezza come ha fatto la Madonna con Gesù e san Giuseppe, suo ca-stissimo sposo.

È questo il “cariño” di cui parla il Santo Padre. Quando nella sua visi-ta in Paraguay ha voluto incontrare i miei figli, è stato commovente il modo con cui ha guardato e ba-ciato alcuni dei pazienti. Non solo,

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Notizie - N. 2731

ma quando le mie figlie, vittime di abusi sessuali, lo “assaltarono” ab-bracciandolo, il suo viso si illuminò e i suoi occhi brillarono di gioia.

L’1 maggio l’hospice compirà dieci anni. Un santo sacerdote che passò molti mesi con noi, vittima di un cancro alla bocca con meta-stasi generalizzata, chiamò questo luogo sacro la “antisala del Para-diso”. Il paradiso è la pienezza del “cariño”, l’antisala è un luogo nel quale uno si sente amato, accolto, mentre aspetta che Gesù venga a prenderlo. È questa la ragione per cui tutti i giorni sul comodino di tutti ci sono dei fiorellini freschi e festeggiamo ogni mese coloro che hanno compiuto gli anni.

La responsabile dell’ospedale è una giovane suora alla quale Bene-detto XVI ha dato il permesso di la-sciare il convento di clausura delle carmelitane per vivere al fianco dei pazienti. Contemplare Gesù euca-ristia e Gesù inchiodato a letto che aspetta di morire è la ragione della sua vita.

Il gesto più bello della “cariño-terapia” è l’incontro dei pazienti, tre volte al giorno, con Gesù euca-restia. Alle 7 del mattino in proces-sione la suora porta la comunione; alle 12.30 celebro la Messa che si ascolta in ogni stanza; alle 18.30 sempre in processione porto l’o-stensorio per la benedizione sera-le. Un altro gesto che ci aiuta a ca-pire la “carino-terapia” è il cambio di guardia che il personale compie nella cappella, davanti al Santissi-

mo, perché cosciente che senza questo incontro con Gesù sareb-be troppo difficile stare davanti a gente che muore, spesso con parti del corpo in putrefazione e piene di vermi.

Il mio compito è uno solo: educa-re il personale a riconoscere Gesù in questi pazienti, qualsiasi siano le loro condizioni fisiche.

***Madre di nove figli, Felicita è ri-

coverata nella nostra Clinica, vitti-ma di un cancro e della lebbra che le hanno sfigurato il volto. Il suo dolore, anche se controllato con la morfina e altri farmaci, è gran-de. Non ha più la bocca né il naso e per di più l’odore che emana la sua carne in decomposizione le dà fastidio. Tutti i giorni, sedendomi al suo fianco, vedo in lei uno di quei lebbrosi che chiedevano a Gesù di essere curati. Nel suo grande dolo-re vedo Gesù sulla Croce e questo mi commuove e mi suscita il desi-derio e l’energia per abbracciarla. Non mi allontanerei mai da lei, perché il solo stare al suo fianco mi permette una grande libertà rispet-to ai problemi quotidiani. Felicita è in questo momento la modalità at-traverso la quale il Mistero mi rag-giunge, mostrandomi la pochezza ma anche la grandezza della perso-na umana. Più passa il tempo, più mi diventa chiaro che questa è la mia vera famiglia, grazie alla qua-le la coscienza del mio destino è sempre più vera e profonda.

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32La Misericordia in Missione

PARAGUAYpadre Natale Fabris

Visitare gli amma-lati è diventato un aspetto impor-tante nella mia vita, come sacer-dote guanelliano e come parroco. Nel nostro pro-

getto pastorale si è sempre data una attenzione particolare agli am-malati, in sintonia con il carisma guanelliano del buon samaritano che il nostro fondatore, San Luigi Guanella, ci ha trasmesso. La Par-rocchia, infatti, conta di un con-sistente numero di ministri dell’Eucaristia che settimanalmente visitano ognuno il loro gruppo di ammalati, ascoltandoli nei loro sentimenti e nelle loro necessità, pregando con loro e, soprattut-to, portando loro la comunione. Anche la Legione di Maria, al-tro movimento della parrocchia, ha come missione anche quella di visitare gli ammalati. Sia i mini-stri dell’Eucaristia che i legionari di

Maria molto spesso mi accompa-gnano nella visita agli ammalati.

Nella mia esperienza di missione in Paraguay, di ammalati ne ho in-contrati molti e non solo nella mia parrocchia, ma anche negli ospe-dali, nelle cliniche, nei centri di sa-lute. Da tutti ho imparato qualcosa che mi ha aiutato a crescere come persona e come guanelliano.

Ho conosciuto ammalati che hanno saputo mettere la loro vita nelle mani di Dio, ricevendo con fede i sacramenti e chiedendomi di pregare per loro; ammalati che

non accettano la pro-pria malattia; ammalati che mi ringraziano e mi chiedono di ritor-nare a visitarli; amma-lati che si confessano dopo molto tempo che non si confessava-no; ammalati che han-no bisogno di essere ascoltati; ammalati che si sentono soli e che hanno bisogno di compagnia...

Sto da tempo accompa-gnando, e continuerò ad accom-pagnare, un matrimonio del Mo-

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Ammalati che si confessano dopo molto tempo che non si confessava-no; ammalati che hanno bisogno di essere ascoltati; ammalati che si sentono soli e che hanno bisogno di compagnia...

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Notizie - N. 2733

vimento Familiar Cristiano della parrocchia: la coppia ha un figlio, Carlo Antonio, di 40 anni, che otto anni fa ha subito un grave inciden-te, riportando un serio trauma alla testa, e fratture del bacino e del braccio sinistro. Ancora adesso, sta seguendo trattamenti medici, in-terventi chirurgici, applicazioni di protesi con la speranza che possa, anche con difficoltà, poter inco-minciare a camminare. Ho potuto constatare quanto è grande l’amo-re dei suoi genitori che senza scor-raggiarsi continuano lottando, con la speranza che possa anche solo in parte recuperarsi. Li sostiene molto anche l’accompagnamento

solidale del Movimento Familiar Cristiano e della gente in generale, che fin dall’inizio li accompagna, aiutandoli anche finanziariamente.

Ricorderò sempre anche quella ragazza che abitava non lontano dalla parrocchia, di nome Salma. All’età di 14 anni le diagnosticaro-no una leucemia e incominciò il calvario, per lei e la sua famiglia. Dovette abbandonare la scuola per seguire le sue sessioni di che-mioterapia. I trattamenti medici, le medicine che non potevano mancare, hanno pesato non poco sull’economia domestica. Le per-sone del quartiere che la conosce-vano organizzarono attività varie

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per raccogliere fondi e aiutare eco-nomicamente la famiglia. La gente qui siè sempre dimostrata solidale quando si tratta di aiutare persone con necessità, soprattutto se am-malate. I compagni di scuola la vi-sitavano tutte le volte che poteva-no, dimostrandole sempre la loro amicizia. Salma nonostante tutto sapeva sorridere a chi a lei si avvicinava e tut-te le volte che la visita-vo lei mi ringraziava. Quando ha compiuto i 15 anni, una tappa del-la vita sempre sognata e festeggiata da tutte le ragazze qui in Para-guay, i suoi genitori, con l’aiuto dei parenti e dei compagni di scuola, organiz-zarono per lei una festa famigliare. Come di abitudine, ho celebrato in Chiesa la messa dei suoi 15 anni e dopo la comunione, come sono solito fare, l’ho chiamata perché si avvicinasse all’altare, per darle una benedizione speciale. Dopo aver ricevuto la benedizione, guardan-domi, mi disse: «Mi piacerebbe che venissi anche tu a casa mia questa sera a festeggiare il mio comple-anno». Ci sono andato. Una festa famigliare semplice, però Salma era contenta. Con lei ho fatto delle foto che conservo gelosamente. Il suo trattamento medico continuò sempre con la solidarietà della gen-te del quartiere, ma, purtroppo, la leucemia non perdonò Salma. Due settimane fa, ho celebrato il suo

funerale. Aveva da poco compiuto i suoi 16 anni. Mi son chiesto che senso avrà avuto la sua vita. Quale sarà stata la sua missione in una vita così corta? Forse la sua missione è stata un messaggio per tutti: Salma ha detto «Sì alla vita», ha sempre amato la vita nonostante tutto.

Devo dire che Salma, Carlo An-tonio e molti altri am-malati sono stati aiutati economicamente non solo dalla gente solida-le della nostra parroc-chia di Asunción, ma anche da tutte quelle persone che, quando venivo in Italia per le mie vacanze, mi han-no dato le loro offerte

per le mie missioni in Paraguay e che ringrazio anche a nome di tutti quelli che sono stati aiutati.

Visitare gli ammalati non è solo un atto di cortesia, ma è l’attitudine samaritana di chi davanti alla sof-ferenza umana non si tira indietro continuando per la sua strada, ma si avvicina a chi soffre e cerca di fare qualcosa.

La misericordia costruisce la convivenza umana, il nostro stare insieme e le sue opere sono azio-ni che ci insegnano come vivere e praticare concretamente il coman-damento dell’amore a Dio sopra tutte le cose e al prossimo come se stessi.

Della misericordia tutti prima o poi avremmo bisogno e chi è mi-sericordioso riceverà misericordia.

Visitare gli am-malati non è solo un atto di cortesia, ma è l’attitudine samaritana di chi davanti alla soffe-renza umana non si tira indietro

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Notizie - N. 2735

CONGOsuor Giovanna Rocchi

Nei miei ven-tott’anni di presen-za in missione nella Repubblica Demo-cratica del Congo, sono quasi sempre stata a fianco di bambini in difficol-

tà (portatori di handicap, malnutri-ti), di persone anziane, di malati.

I bambini colpiti da poliomielite o con altri handicap mi hanno sorpre-sa per la loro gioia e vitalità. Bastava arrivare fra loro al mattino e ogni preoccupazione o pensiero pesante spariva di fronte alla loro allegria.

Ricordo anche Yosefu, un ragaz-zo di Uvira che scendeva dalla sua casa sulle pendici del monte verso la zona piana dove sorge la nostra casa, a volte con la carrozzina, il più spesso trascinandosi con le mani, perché le sue gambe sono total-mente inabili. Salutava con un sor-riso gentile e sereno. Ringraziava di ogni piccola somma che si metteva nella borsetta che portava al collo. È sopravvissuto alle due terribili guer-re che hanno sconvolto la città e l’est del Paese. Quando la gente che poteva era fuggita, la sua mamma aveva deciso di restare in città, per

l’impossibilità di fuggire con lui. I soldati portavano da bere e da man-giare a lei e a suo figlio. Ho incon-trato Yosefu ancora recentemente, nelle stesse condizioni, e con il suo grande sorriso.

Quando ero nella comunità di Mbobero, a pochi chilometri da Bukavu, insieme alla signora Tere-sa, da tempo impegnata per i pove-ri della Parrocchia, ho percorso le colline per incontrare tanti malati, che mi hanno edificato per la loro

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perseverante fiducia nel Signore. Un giorno, Teresa mi accompagnò da Joséphine, una donna paralizzata da più di quattro anni con malfor-mazioni diffuse. Teresa le rendeva visita e servizio quotidianamente. Entrando in casa, mama Teresa mi annuncia e Joséphine mi accoglie con occhi che brillano di sorpresa e di gioia. Mi chino e l’abbraccio. Jo-séphine è stesa su un pagliericcio, la testa sollevata da un cuscino di spu-gna. La stanza non ha finestre, ma è areata da vari buchi nelle pareti. Aiuto Teresa a lavarla e a girarla per curare le piaghe da decubito, che stanno però guarendo. Preghiamo assieme. Mi colpisce soprattutto il volto sereno, lo sguardo profondo di Joséphine, la sua forza di sorri-dere. Non si lamenta, non recrimina contro alcuno. È per me una lezione di fede e di accoglienza della croce, un brano di Vangelo vissuto.

Qualche anno dopo, quando sono tornata a Uvira nel popoloso quar-tiere di Mulongwe, ho conosciuto Teresita, una donna che ha fatto del soccorso ai poveri l’impegno co-stante della sua vita. Lei stessa pove-ra, da anni accoglie nella sua piccola casa delle persone anziane in diffi-coltà e le accompagna con amore fino alla fine. Era lei l’animatrice dei bambini della Legio Mariæ.

Ogni domenica, insieme, incontra-vamo questo gruppo per la forma-zione e per organizzare il loro servi-zio. Ammiravo questi bambini che a gruppi di due o tre andavano a visi-tare i malati, riordinavano la casa, la-

vavano i vestiti, attingevano l’acqua, pregavano e portavano il soccorso a loro possibile: una scatola di fiam-miferi, una candela. La settimana se-guente, nel gruppo, presentavano la relazione del loro apostolato.

Ancora recentemente, a Luvungi, ricordo una mamma di quattro figli, l’ultimo dei quali, Giuseppe, è cere-broleso a causa di un parto difficile: è spastico e muto. Sente e riconosce le persone, sorride loro con una te-nerezza estrema. Ora ha più di tre anni, ma deve stare sempre sulle spalle della mamma. Vive grazie alla cura e all’amore che la mamma gli prodiga. Vorrei poter descrivere la pazienza, la tenerezza di questa mamma. Ogni volta che la incontro, mi parla del suo bambino come se tra loro facessero dei grandi discor-si, ma in realtà si guardano solo ne-gli occhi, e lei capisce tutto di lui.

Giuseppe era diventato pesante e portarlo sulle spalle era faticoso. Nello stesso periodo, un bimbo pa-raplegico, che era su una sedia a ro-telle, è morto. Grazie ai consigli del responsabile della comunità eccle-siale vivente (CEV) – le piccole co-munità di quartiere o villaggio, rette da laici – la mamma di questo bimbo morto ha donato a Giuseppe la sua carrozzina.

È stato per me un dono stare con i malati, soprattutto quando riesco a vedere in loro Gesù. La mia mis-sione non è stata tanto di parole, ma di un accostamento alle persone in difficoltà. «L’amore – racconta un detto – non torna mai a mani vuote».

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Notizie - N. 2737

BRASILEdon Luigi Canal

Rita, una ragazza di 28 anni, da 27 e mezzo paraliti-ca, un mucchietto di ossa rattrappi-te con una testa troppo grande per un corpicino cosi

esile, era chiamata, nel bairro S. Francisco, “l’Apostola della gioia”.

Non ha mai camminato da sola, mai mangiato con le sue mani, mai uscita in strada, mai seduta su una sedia, mai giocato con nessuno! E quando la visitiamo e le chiedia-mo: «Rita, come stai?» lei risponde sempre sorridendo: «Io sto bene... sono contenta! E voi, state bene? siete contenti?». Questa domanda ti inchioda alla parete: tu che hai

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tutto, vai dove vuoi, mangi quello che vuoi, non dipendi da nessu-no, ti vergogni di aver bisogno di qualcosa... sei messo in questione (e vedi beni da chi!): – Sei contento? – E poi si metteva a cantare l’in-no preferito che ascoltava sempre alla radio: «Con la Chiesa salirà l’al-tare del Signore...» qui mi pare più chiaro di chi fa veramente Messa è chi si identifica al Servo sofferente, l’Agnello immolato... E quando sua madre mi diceva «Padre, io penso che andrò all’inferno a causa del-la pazienza che mi scappa e delle parole grosse che a volte non rie-sco a trattenere nel gestire questa figlia...», lei rispondeva: «Mamma,

quand’anche qualcu-no ti mandasse all’in-ferno, io ti verrò a prendere e portarti lassù con me, perché per quello che già ab-biamo sofferto, abbia-mo questo diritto...». Pareva Cristo che dal-

la croce diceva: «Oggi stesso sarai con me in Paradiso!».

Ed oggi Rita è già lassù: una Santa Rita in più per proporci cose che a noi sembrano impossibili. Al suo funerale c’erano cattolici, prote-stanti, testimoni di Geova... ma era-vamo tutti molto piccini di fronte alla sua statura. Era lei che faceva, almeno per un momento, quell’u-nità dei cristiani che a noi riesce così difficile.

Io sto bene... sono contenta! E voi, state bene? siete contenti?

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Notizie - N. 2739

Visitarei carcerati

«Ero carcerato e siete venuti a visitarmi». Le parole di Gesù nel famoso brano del giu-dizio finale presentano il

carcerato come persona bisognosa di cura e di relazione. La sua po-sizione infatti è diversa da tutte le altre situazioni fin qui viste.

Il carcerato infatti porta lo stigma di una colpa, di un delitto commesso. Ma Gesù che si è fatto com-pagno di peccatori e persone disoneste annunciando a tutti la comunione di Dio e la possibilità di con-versione, non esita a identificarsi con chi è privato della liberà in prigione. Egli stesso con-dannato, crocifisso, porta in sé lo stigma del peccatore e non esita ad apparire come il colpevole che suscita ripugnanza e disgusto in

coloro che lo vedono, «tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo», e pro-iettano su di lui il male di cui è ac-cusato.

È un’opera di misericordia che prevede una forte conversione in-teriore prima di avvicinarsi a que-ste membra doloranti di Cristo. Se non abbiamo chiaro che noi siamo

fuori, liberi, anziché dentro solo perché la misericordia di Dio è stata presente nella nostra vita; una vita che è doveroso defi-nire storia di una pa-zienza infinita da par-te di Dio è meglio che ce ne stiamo fuori.

Che ne sappiamo noi cosa significhi la perdita della libertà da

parte di un uomo? E la coscienza della vergogna che spesso abita co-lui che è in prigione? Abbiamo noi sviluppato una capacità di compas-sione per le nostre fragilità? E per quelle degli altri?

«E“

È un’opera di misericordia che prevede una forte conversione inte-riore prima di av-vicinarsi a queste membra doloranti di Cristo

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BRASILEMaria Gobbato

È un uomo tra i trenta e i quaran-ta e lo incontro durante una visita domenicale nel carcere maschile cittadino. Si spor-ge dalle grate e

gesticolando con le mani tenta di richiamare l’attenzione mia e della volontaria con cui mi trovo.

È lì perché gli hanno sparato, è successo nella “rua”, per strada. Poi lo hanno incarcerato e lo han-no messo in infermeria per essere curato: da tre mesi ha ancora la pal-lottola nel piede, ma dice di stare bene. 

Se vuole parlare con noi è per-ché sa della possibilità di poter scontare la pena in una comunità di recupero dalle droghe: sì, per-ché il motivo per cui si trova lì è proprio la sua dipendenza. Chiama Dio a testimone per affermare che lo hanno incastrato, che le “teste di crack”, i pezzi di droga, non erano sue, che qualcuno gliele ha messe in macchina, che lui non c’entra. Eppure la polizia lo ha trovato, lo ha picchiato, quasi ucciso, lo ha portato all’ospedale dove è rima-

sto ammanettato per tutto il tem-po, curato alla bene e meglio e poi spedito in carcere. Molto dolore, molta umiliazione. Ma la sofferen-za più grande è quella di essere di-stante da sua figlia, di non poterla vedere, di sapere che la droga lo ha portato lontano da lei e dalla moglie molto prima di essere in-carcerato. La droga, il “crack”, la

È

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Notizie - N. 2741

sostanza nella quale cercava chissà quale felicità e per la quale ha ab-bandonato tutto, ha causato solo disperazione e dolore. Ma adesso è pentito, vuole ricominciare e ri-acquistare quella dignità che nei cammini della vita ha perso. Conti-nua ad affermare che solo Dio co-nosce le umiliazioni e la sofferen-za che ha patito, che Lui conosce il suo pentimento e il desi-derio di uscirne, che Dio sa che è sincero. Ci sembra di vedere il figliol prodigo e noi, forse un po’ come il figlio maggiore, pen-siamo che dica que-ste cose solo adesso quando ha toccato il fondo, quan-do con gli occhi chiusi senza più nessuna forza di reagire ai poli-ziotti che lo picchiavano, ha visto l’immagine di sua figlia, adesso che vive rinchiuso in una cella senza ri-cevere la visita dei parenti che abi-

tano troppo distante per venirlo a trovare.

Ma sappiamo che l’incontro con Dio è personale e che nel suo amo-re tutti noi valiamo molto di più de-gli errori che abbiamo commesso o delle scelte sbagliate che abbiamo fatto. Dio perdona ed è misericor-dioso e ci ha collocato lì ad ascol-

tare questo fratello e ad aiutarlo, ad amarlo proprio come Gesù ci ha insegnato: ero in-carcerato e mi avete visitato, avevo fame e sete e mi avete dato da bere e da mangia-re. Perciò annotiamo il suo nome, i suoi dati e promettiamo che

cercheremo qualcuno che vada ad ascoltarlo e possa recapitare la sua lettera di richiesta di internamento.

 Lo salutiamo, gli auguriamo ogni bene e ci allontaniamo con la spe-ranza che questo sia l’inizio per lui di una nuova vita.

Solo Dio cono-sce le umiliazioni e la sofferenza che ha patito, il desiderio di uscir-ne, che Dio sa che è sincero

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CONGO e SÃO TOMÉsuor Mariangela D’Incà«Ero in prigione e siete venuti a vi-sitarmi». (Mt. 25, 36)

Queste parole di Gesù hanno sem-pre suscitato in me l’ispirazione più vera e pro-fonda per vivere questa missio-ne con passione, quest’opera santa

di misericordia. Gesù vuol dire che è Lui stesso dietro il volto di ogni prigioniero. Sì, Lui stesso che assu-me la storia di ognuno, Lui che ama e accoglie ogni peccatore, Lui che vuole caricare la pecorella smarri-ta, Lui che aspetta di fare festa per averla ritrovata. Gesù accoglie il nostro passato per trasformarlo e perché tutti possiamo fare l’espe-rienza della sua misericordia.

Nel visitare, ogni domenica po-meriggio, dalle 14.30 alle 17.00, una trentina di donne, in Congo, e poi i prigionieri di S. Tomé, sentivo quanto ognuna e ognuno di loro era per me importante, degno di considerazione, d’amore e di ri-spetto. Non potevo mancare a que-sti appuntamenti. A S. Tomé anda-

vo alla domenica mattina dalle 7.30 alle 10.00. La mia visita era riservata dapprima a 12 uomini, che dove-vano scontare una lunga pena, e circa 10 donne, tutte accusate gravemente e severamente custo-dite. Solo tre di loro, che avevano dato prova di fiducia, s’occupava-no della cucina, mentre gli uomini fabbricavano oggetti con foglie di banana: borse, cappelli, cinture, etc. Il mio incontro con loro e con un successivo gruppo di circa 30 persone, aveva sempre la finalità di un ascolto attento sul loro vis-suto settimanale: qualche nuovo arrivato, la malattia, il cibo che non soddisfaceva, la famiglia che li ave-va quasi abbandonati, un piccolo scontro fra di loro. Ognuno condi-videva con il gruppo le poche gioie e le tante pene sperimentate, so-prattutto il problema del processo che li preoccupava molto, special-mente i più poveri, coloro che non avevano avvocati o soldi da pagare. Seguiva poi la nostra preghiera, la lettura e breve commento del Vangelo. Erano interessanti i vari commenti, gli interrogativi, le pre-ghiere spontanee, la scoperta di un Gesù paziente e misericordioso,

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Notizie - N. 2743

che sempre accoglie e per-dona. Allora qualche volto diventava più sereno, più fiducioso ed insieme go-devano dei vari canti, sem-pre cantati a squarcia gola specialmente il seguente ritornello: «La mia mano nella Tua, Signore» e tut-to era accompagnato con i gesti… e stringevano le mani dei compagni come fossero le mani di Gesù. Io sentivo la mia povertà di fronte a loro e chiedevo sempre al Signore di darmi qualche parola di fede, di fiducia, di speranza e di co-raggio, perché non si può certo avvicinare i prigio-nieri senza la luce e la for-za dello Spirito Santo per saper illuminare e conso-lare, per dare ad ognuno una testimonianza vera d’amore, di comprensione e di fraterna pros-simità. Ricordo Vencelei, che aveva già scontato 12 anni della sua pena, ma gliene mancavano altrettanti. Era lui che riuniva i prigionieri per il nostro incontro. Lui mi confida-va: «Non ne posso più. Ogni volta che inizio un nuovo giorno, il mio stomaco si ribella. Per favore, por-tami un po’ di latte e zucchero». Fortunatamente, il Presidente del-la Repubblica ha fatto un’amnistia per una quindicina di loro, tra cui il nostro Vencelei. Uscito dalla pri-gione, è venuto a trovarmi: sem-brava un’altra persona, raggiante di

allegria e grato al Signore di questo dono della libertà. In prigione ave-va imparato a lavorare con le foglie di banana, ora era deciso di fare, con il suo lavoro, un vero sostegno per la famiglia, per la sposa e i suoi due figli. Altri prigionieri sono ve-nuti a visitarmi e dicevano: «Suora, ora sono libero, finalmente, e vo-glio rifare la mia vita con onestà: prega per me». Molti di loro, dopo il nostro abituale incontro, mi pas-savano dei piccoli biglietti con i loro nomi e con la richiesta di sod-disfare un loro bisogno, soprattut-to coloro che avevano la famiglia lontana e si mostravano contenti e

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riconoscenti nel ricevere un sapo-ne, un dentrificio, un paio di cibat-te da spiaggia.

Tutte e due le prigioni erano to-talmente deteriorate e l’igiene era seriamente pregiudicata, per cui le malattie si moltiplicavano e, conse-guentemente, la morte. Nella pri-gione del Congo non si distribuiva il cibo giornaliero: questo era dato normalmente dalla Caritas o da va-rie istituzioni caritatevoli. Avendo un po’ di tempo, ho insegnato alle donne a lavorare a maglia. Alcune di loro erano molto riconoscenti, perché, dopo la prigione, sapeva-no come guadagnare onestamente per la loro vita.

Il momento più cruciale era quando i prigionieri mi dicevano: «Anche se noi vogliamo cambiare vita, alla nostra uscita da qui incon-triamo grandi difficoltà per trovare un lavoro, per essere accolti dalla nostra famiglia, perché la gente ab-bia ancora fiducia di noi. Ci sentia-mo veramente rifiutati, ostacolati e guardati con diffidenza». Non è mai stato facile incoraggiare, ma dicevo loro che con l’aiuto del Signore, capace di curare il cuore degli uo-mini, avrebbero sopportato anche queste gravi difficoltà. Importante per ognuno era anche il fatto di sa-per perdonare le offese, di lasciarsi perdonare ed essere decisi a vivere una vita diversa. Sentivo quanto im-portante è la conversione e come il lasciarsi trasformare dalla grazia era puro dono di Dio-Misericordioso. Nella prigione di S. Tomé era pre-

sente una Commissione Educativa, ma, a dire dei prigionieri, praticava molte ingiustizie e discriminazioni.

Anche con i prigionieri che non partecipavano ai nostri incontri cercavo sempre di dire una paro-la d’incoraggiamento, di stringere loro la mano, di offrire un sorriso, e vedevo come tutto era una piccola speranza per loro e per me, poiché li vedevo sempre molto sensibili al poco bene che si poteva fare ed esprimere. Durante la settimana li avevo presenti tutti nella mia pre-ghiera e li sentivo veramente come miei fratelli amati e bisognosi del prezioso dono della libertà e della fiducia, dell’amore. Ora non posso più svolgere questa missione e mi dispiace tanto, ma a quanti volesse-ro “visitare Gesù in carcere” vale la pena di vivere questa esperienza, che ci rende più umani, più vicini a coloro che soffrono indicibilmente questa triste realtà. Dall’Africa ho portato con me i canti della prigio-ne, spesso sono concretamente la mia preghiera per quanti ho co-nosciuto dietro le sbarre: ricordo i loro volti, i loro propositi, anche le loro rabbie, ma nel fondo, quan-to erano vive le loro speranze e quanto sentivano indispensabile la presenza di Gesù, che mai abban-dona, che tutto perdona, che può cambiare totalmente la loro vita… anche di questa bambina, con cui ho la foto (in prigione non si può fotografare), e delle sue sorelle considerate “streghe”.

Un caro saluto a tutti voi!

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Notizie - N. 2745

La Chiesa in Brasile ha scel-to come tema d e l l ’ i m p e g n o quaresimale il problema delle prigioni. Quelle dalle sbarre di

ferro... e quelle morali: situazioni che in ogni caso, distruggono la vita e la dignità umana.

È stata per me un’esperienza di avvicinamento ad un mondo total-mente estraneo. Qui, le memorie di Silvio Pellico sono poesia in con-fronto. Celle di un metro e mezzo di larghezza per 3 di lunghezza, con 6 persone dentro e due bran-

dine di cemento... Malati di AIDS, di tubercolosi, persone sane, tutti mescolati insieme... con un anno o due, aspettando il giudizio, sen-za l’evidenza di essere colpevoli... Processi e persone lasciati nel di-menticatoio, giacché normalmente si tratta di gente che non può pa-garsi un avvocato. Chi ha soldi per l’avvocato, là non ci sta!

Per questo in Brasile scoppia, in media, una rivolta alla settimana nelle prigioni, con distruzione e spesso numerosi morti.

Il martedì santo, decidiamo in parrocchia di fare un po’ di Pasqua con loro, dopo alcune visite duran-te la Quaresima. Con i dovuti per-

messi, peraltro abbastanza restrittivi, un gruppo di persone della Parrocchia ci accompagna e prepara per loro una ‘cena’ pasquale. Sono 72. Conversiamo con tutti, uno per uno. Anno-tiamo alcune necessità più urgenti, alcuni provvedi-menti da prendere.

Una madre ci accom-pagna e passa le due ore appoggiata alla sbarra che la divide dal figlio giova-

BRASILEdon Luigi Canal

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ne, stringendogli la mano in silenzio. Or-ganizziamo una cele-brazione semplice. In una cella, tre giovani intonano un inno di matrice protestante; in un’altra ci invitano a leggere il Vangelo; altri ci danno l’indirizzo della famiglia che li ha ‘dimenticati’, per prende-re contatto; altri ci chiedono mate-riale per lavori artigianali; qualcu-no ci mostra le fotografie dei figli piccoli che hanno a casa; quasi tutti chiedono di intervenire per sbloc-

care il processo. Una giovane madre, in cel-la per traffico di droga, prepara una lettera da leggere ai nostri gio-vani in chiesa, dove racconta la sua triste esperienza e invita i giovani a non sciupare

la vita con illusioni.«Ero in prigione... e mi avete visi-

tato». Eri tu... ed io non lo sapevo!A questo punto, la Pastorale par-

rocchiale non potrà più dimentica-re, fra i suoi impegni permanenti, anche questa realtà.

Ero in prigione... e mi avete visita-to». Eri tu... ed io non lo sapevo!

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Notizie - N. 2747

Seppellirei defunti

Tutti abbiamo presente come le donne il giorno dopo il sabato si recarono al se-polcro dopo aver «comperato oli aromatici per an-

dare a imbalsamare Gesù”.Nella tradizione biblica, la se-

poltura è sempre stata tenuta nel massimo onore insieme alle cure da accordare al cadavere. L’uso di chiudere gli occhi del morto, at-testato nella Bibbia (Gen 46,4), si spiega con l’assimilazione della morte al sonno. Lo stesso termine cimitero significa “luogo in cui si dorme”. Per noi cristiani “in attesa

della risurrezione”.La morte è una delle realtà che

veramente fa riflettere l’uomo. Ogni uomo. È il luogo delle do-mande ultime, inevitabili di ogni uomo, là dove nasce il senso reli-gioso.

Oggi purtroppo nel nostro mon-do preso dalla fretta e dal materia-lismo anche il momento della mor-te di una persona rischia di passare sempre più come fatto privato e anonimo. Non di rado si fa il fune-rale strettamente privato in cimite-ro senza che la comunità lo sappia. Prassi diffusa oggi è la cremazione, ma spesso anche la decisione di spargere le ceneri nei luoghi più disparati.

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48La Misericordia in Missione

THAILANDIAdon Bruno Soppelsa

S o g g i o r n a n d o per un tempo prolungato in Thailandia, pro-babilmente capi-terà di assistere ad un funerale.

Il funerale nel mondo buddista è vissuto soprat-tutto nel suo momento celebrati-vo.

I funerali buddisti possonodurare da una settimana fino addirittura a due anni e i monaci svolgono un ruolo molto importante durante queste cerimonie, in quanto a loro è affidata la gestione dei riti e la recitazione di alcune preghiere. Il corpo viene posto in una bara e cir-condato da corone di fiori, candele e incensi.

La cremazione di solito si svolge tre giorni dopo la morte, ma a volte può essere posticipata di una set-timana per consentire ai parenti o agli amici lontani di far visita al de-funto; la cremazione non si svolge mai di venerdì, in quanto in thai-landese la parola ‘venerdì’ è pro-nunciata come la parola ‘felicità’.

Nei giorni che precedono la cre-mazione, i monaci si recano più

volte al giorno a recitare le pre-ghiere durante le quali tengono un nastro bianco che li collega al corpo del defunto; in segno di rin-graziamento le famiglie donano ai monaci del cibo. In alcuni posti, queste preghiere possono prolun-garsi anche tutta la notte, ma non pensate che sia un evento triste, tutt’altro! Tra una preghiera e l’altrasi può conversare, giocare a carte, assaggiare i piatti preparati dalla famiglia e ascoltare della musica. Anche questo fa parte della tradi-zione buddista, perché la famiglia e gli amici devonomantenere un atteggiamento positivo per non rattristare ed intralciare il viaggio dello spirito del defunto.

Nel giorno della cremazione, i monaci, prima di guidare la pro-cessione verso il crematorio, reci-tano le ultime preghiere. Nel caso di famiglie benestanti, il corpo viene spesso conservato per un anno o più all’interno di un tem-pio, per prolungare i benefici dei doni e delle preghiere a favore del defunto. Con la cremazione, infatti, lo spirito viene liberato e si separa dal corpo e quindi non può più beneficiare delle azioni e

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Notizie - N. 2749

preghiere di familiari e amici.Perciò, la cultura nella società

thailandese non ha l’idea dei cimi-teri, perché tutto finisce nel mo-mento in cui si bruciano le perso-ne. Nel mondo buddista esistono i luoghi dove si bruciano i morti, ma non luoghi come li intendiamo noi dove si custodiscono le ceneri o qualche resto. Fatta eccezione di qualche gruppo etnico particolare, come gli oriundi del mondo cine-se, che hanno un po’ più di cura dei resti mortali che restano dopo la cremazione. Per cui, per i cristia-ni è un elemento nuovo quello di avere cura, rispetto e in qualche maniera venerazione del corpo dei

famigliari, dei parenti, degli ante-nati. E non è semplice, per chi im-magina di fare un cimitero, entrare in questa logica dove non è pre-visto un luogo per fare custodia e memoria dei morti. Nemmeno per noi missionari è facile parlare di ci-miteri, di luogo appropriato, digni-toso, decoroso, dove venga fatta memoria della persona defunta.

In questo anno della misericor-dia ecco che per noi missionari di-venta importante ricordare la diffe-renza di significato del funerale e della sepoltura secondo il rito cat-tolico: che diventa testimonianza nella fede della vita nuova in Gesù morto e Risorto per tutti noi.

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50La Misericordia in Missione

PARAGUAYpadre Aldo Trento

L’1 maggio la cli-nica per ammala-ti di Aids e cancro compie 12 anni. In questo tempo abbiamo accolto 1.788 pazienti di cui 1.310 hanno

raggiunto il Paradiso. Non è facile per me, né per i miei amici, vivere gomito a gomito con la morte. An-che oggi, 20 aprile, ho celebrato la Santa Messa con due cadaveri da-vanti all’altare.

Normalmente, mettiamo il defun-to nella bara dopo la Messa perché nel momento del segno della pace possa dare al defunto l’ultimo ba-cio in fronte. Non si tratta di un corpo qualsiasi, ma di un essere umano che è stato il tempio del-lo Spirito Santo e che un giorno, come recitiamo nel Credo, risu-sciterà. Anche per me ci sono giorni difficili, circostanze non desiderate; ma la certezza che tutto è per un bene più grande mi permette di consegnarmi tutto a Gesù. A volte mi prende la paura che possa tornare an-cora l’oscuro male che tanto mi ha fatto soffrire, ma so con cer-

tezza di essere sotto il manto della Madonna, la mia tenera madre che non mi ha lasciato mai solo. Dio mi chiede tutto e io gli do tutto e so molto bene che non permetterà mai che il dolore sia superiore alla mia libertà. Un gesto che mi aiuta ad essere realista è quando, termi-nata la visita ai malati, verso le 23, mi reco nella cella mortuaria.

È lì dove mi risuonano nella men-te le belle parole di san Gregorio Nazianzeno: «Se non fossi tuo o Cristo mio sarei creatura finita». Questi brevi minuti in compagnia di chi è già in Paradiso mi aiutano a mettere le cose al loro posto.

L

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Notizie - N. 2751

Le sette operedi misericordia

spirituale

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52La Misericordia in Missione

Consigliarei dubbiosi

«Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio cuore mi istruisce». (Sal 16,7)

Il Salmista ci mette nella giusta strada quando ci invita a comprendere che il vero consigliere è il Si-gnore: il consiglio infatti è uno dei doni dello Spirito Santo. Il Con-siglio è il dono

che ci aiuta a trovare il posto giusto nella vita.

E che cos’è la vita dell’uomo? È uno sce-gliere quotidiano tra più possibilità per cui le perplessità, le ri-flessioni, i silenzi, le incertezze, i dubbi fanno parte della vita di ogni uomo. Scegliere in fondo si-gnifica superare i dubbi e chiarire il proprio cammino nella vita. Noi

cristiani sappiamo che la «nostra libertà è il Suo disegno su di noi», quindi scegliere significa scoprire il piano di Dio nella mia vita, nella certezza che questo è il bene per me.

Trovare qualcuno che ci aiuti in questo discernimento è davve-ro trovare molte volte il bandolo della matassa della vita, trovare la

luce vera, la luce della speranza. La dispera-zione infatti è un dub-bio senza speranza. Claudio Chieffo in una sua canzone canta-va: «cammina l’uomo, quando sa bene dove andare».

Davvero di fronte alle scelte più importanti della vita, sul senso ulti-mo dell’esistenza, sul futuro che ci attende non possiamo vivere in un perenne dubbio.

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Il Consiglio è il dono che ci aiuta a trovare il posto giusto nella vita.

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Notizie - N. 2753

BRASILEDaniela Camuffo

La realtà in cui ci troviamo ad ope-rare come Comu-nità Missionaria di Villaregia è una realtà complessa e ricca di sfide. Periferia della

grande metropoli di S. Paolo, luo-go di convivenza di diversi livelli sociali e culturali, ricchezza e po-

vertà, diversità di religioni, di raz-ze, di provenienze…

Molte persone si trovano spes-so confuse dalle tante idee che circolano sulla religione, e di con-seguenza sulle scelte concrete di vita. Il sincretismo molto forte non aiuta a far chiarezza sulle verità fondamentali. Il livello tendenzial-mente basso di istruzione, dovuto alle poche risorse date alla scuola,

L

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54La Misericordia in Missione

favorisce una fragilità anche dal punto di vista della conoscenza.

Una coppia non riusciva ad avere figli, dopo alcuni anni di tentativi e dopo aver consultato vari medi-ci, il loro rapporto stava andando in crisi e stavano già sull’orlo della separazione. Gli abbiamo parlato dei metodi naturali per il controllo delle nascite, del metodo Billing, che loro non conoscevano. Han-no accettato di provare, e questo ha cambiato anche il loro modo di rapportarsi, aiutandoli a crescere nella fiducia e nel rispetto recipro-co. Adesso stanno aspettando un figlio!

Quante volte ci sentiamo dire: «Non sapevo che era così! Ah, se l’avessi saputo prima!».

Il nostro servizio mira a formare le persone, perché possano avere gli strumenti per fare scelte nella vita. Cominciando dai bambini e dagli adolescenti che frequentano il nostro Centro Infanto, cerchia-mo di offrire un ambiente sano dove possa svilupparsi il dialogo, perché imparino a cercare le solu-zioni nel confronto con l’altro, che quando ascolta profondamente, aiuta a trovare la via.

È proprio vero che è il Signore che da consiglio, ogni volta che mi trovo a dialogare con qualcuno che si trova in un dubbio, l’ascolto della persona si unisce all’ascolto dello Spirito Santo, e la luce viene fuori da questo incontro, per effet-to della comunione.

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Notizie - N. 2755

Insegnareagli ignoranti«Tutta la scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, cor-reggere e formare alla giustizia».

(Tim 3,16)

Questa opera di mi-sericordia ci riguar-da tutti dal versante di imparare prima che insegnare. Non p e r n i e n -te la

grande preghiera di Israele è “Ascolta Isra-ele”. Apri il tuo cuore a Cristo. “Aprite, anzi spalancate il vostro cuore a Cristo; Lui solo sa cosa c’è nel cuore dell’uomo”. Chi non riconosce in questo invi-to di Giovanni Paolo II il punto di partenza per vivere questa opera di misericordia? Dunque prima di insegnare bisogna imparare; prima

di parlare di Dio bisogna parlare con Dio.

Ignorante non vuol dire senza cultura e senza erudizione. Igno-rante è chi non conosce proprio le cose che più dovrebbe conoscere, e può essere anche un professore o un famoso funzionario della re-gina di Etiopia. Qui si tratta della bizzarra condizione dell’uomo di

oggi, che sa tutto tran-ne le cose che con-tano, che fa scoperte incredibili ed è muto davanti alle domande fondamentali, che è in grado di andare a raccogliere i sassi sul-la luna e non sa cosa è

venuto a fare sulla terra. Ignorare quale sia il significato del nostro stesso vivere; ignorare quale sia il destino che alla fine ci aspetta: questa è la notte assurda che im-plora di essere rischiarata.

Q “

Bizzarra condi-zione dell’uomo di oggi, che sa tut-to tranne le cose che contano

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56La Misericordia in Missione

CONGOpadre Raimondo Sommacal

È la scuola in unio-ne con la famiglia, il luogo proprio per la formazione di uomini e don-ne che sappiano dare senso alla loro vita, fornen-

do loro i mezzi per renderla utile e giusta.

Fine dell’evangelizzazione è la formazione dell’uomo sul model-lo dell’“Uomo-Dio”: «chi segue Cristo, uomo perfetto, diventa lui stesso più uomo» (GS 41.1).

«Insegnare agli ignoranti» è quindi un imperativo che viene dal «guai a me se non annuncio il Van-gelo».

In tutte le classi nelle quali sono entrato ho sempre presentato la dignità della Persona, illustran-done la grandezza coniugando i verbi: rispettarsi, rispettare, farsi rispettare.

Ma come fare, in terre dilaniate da guerre tribali e fratricide, per-corse da bande armate che semi-nano morte e desolazione. Terre segnate da diffidenza, sospetti, rancori, desideri di vendetta, odi e

divisioni ancestrali con ferite mo-rali profonde.

Terre dove giustizia e pace sono un sogno che rischia di suscitare solo frustrazione, perché non se ne vede all’orizzonte neanche una piccola aurora. E questo perché, come ebbe a dirmi il Nunzio, “chi organizza queste situazioni non tiene in alcun conto i costi umani”.

La scuola – c’è stato un tempo in cui per anni le scuole restarono chiuse – resta il luogo dove pro-porre fraternità, perdono, riconci-liazione, condivisione, accoglienza reciproca rispettosa e promuovere la giustizia per la pace, specialmen-te alla giovane generazione molto desiderosa di “scuola”. Formare le menti e i cuori alla vita buona del Vangelo.

La voglia di “scuola” fa percorre-re chilometri a piedi per raggiun-gere i luoghi di lezione. Le famiglie fanno enormi sacrifici per reperire la tassa di un dollaro e mezzo per completare il magro salario degli insegnanti nelle scuole elemen-tari. E allora succede che un anno vanno a scuola gli uni e l’anno suc-cessivo gli altri, alternativamente,

È

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Notizie - N. 2757

tra fratelli e sorelle. In genere poi, a mancare la scuola sono le bam-bine, addette ai lavori domestici e alla cura dei piccoli.

E ancora la mancanza di aule de-gne e di materiale scolastico mini-mo.

Un capitolo a parte è poi la for-mazione degli insegnanti. Spe-cialmente nei villaggi dell’interno, nelle campagne, ci sono ancora in servizio insegnanti della prima ge-nerazione che hanno la possibilità di insegnare fino alla terza elemen-tare e non più, per mancanza di formazione.

Fondare scuole, sostenere gli in-segnanti nel loro servizio con una buona formazione e un sostegno economico (dove possibile), pro-

curare materiale didattico, curare la formazione dei genitori perché mandino a scuola i figli, è compito primo della Chiesa, se si vuole aiu-tare efficacemente le popolazioni a rendersi coscienti della dignità di ogni persona e sapersi prendere a carico per una vera e integrale pro-mozione umana.

La scuola è il luogo eccellente ed evangelicamente prioritario per vi-vere l’opera di misericordia “inse-gnare agli ingoranti”.

La realizzazione più significativa a Bukavu (RDC) è stato il centro “Amis de Jésus”.

C’erano dei ragazzi che vagabon-davano in città durante la giornata: vivevano rubacchiando dove riu-scivano, e dormivano dove “si ad-

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58La Misericordia in Missione

dormentavano”.Con gli studenti del seminario

saveriano, cominciammo a riunir-ne alcuni in casa nostra, con la pro-posta di “un piatto di riso e fagioli” in cambio di “due ore di scuola”. La proposta funzionò e portò frutti: arrivammo in questo modo a isti-tuire la “mensa e scuola”.

Oggi, il piccolo inizio si è svi-luppato in tre centri d’accoglienza con circa 800 ragazzi e ragazze che li frequentano. I ragazzi con una accorta animazione di possono ri-unire abbastanza facilmente; per accostare e riunire le ragazze, gli animatori incontrano più difficoltà. Lo sfruttamento delle bambine da

parte dei profittatori rende l’incon-tro più difficile.

Ad occuparsene ora non sono più i seminaristi, con tutta la loro generosità, ma le suore di Santa Gemma di Lucca.

I tre centri offrono scuola ele-mentare, cure mediche, laborato-rio di falegnameria, laboratorio di sartoria e altre attività educative, con buoni risultati.

“Insegnare agli ignoranti” ha dato frutti buoni e copiosi, grazie alla collaborazione di tanti. Tra i tanti, amo segnalare la nostra Dio-cesi che più volte ha mandato aiuti, l’8‰ della CEI, Misereor della chie-sa di Germania, e altri.

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Notizie - N. 2759

Ammonirei peccatori«Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere». (1Cor 10,12)

Vivere questa opera di miseri-cordia prima di tutto significa far-ci un bell’esame di coscienza. Il punto di parten-za per esercitare

quest’opera consiste nel prende-re anzitutto coscienza che siamo tutti pec-catori. Perciò non ci sono i “giusti” che am-moniscono i “peccato-ri”, ma fratelli che dan-no una mano ai fratelli perché non cadano in peccato, o perché si ti-rino fuori da uno stato di peccato. Questa opera ci invita a prenderci a cuore la vita degli altri. È esatta-mente quel vincere l’indifferenza, molte volte ricordato dal Papa. È il contrario del «non me ne importa niente». È quel “mi interessa” di don Milani. Se noi ci mettiamo in

questo atteggiamento umile nei confronti del fratello comprendia-mo anche il metodo indicatoci da Gesù: «Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te uno o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre te-stimoni» (Mt 18,15-17). Non basta prendersi cura della vita del fratel-

lo; bisogna farlo con amore.

L’episodio di Zac-cheo è in questo sen-so molto bello: basta lo sguardo pieno di amore di Gesù per far-gli capire il suo pecca-

to e far sì che cambi vita. Non un rimprovero, non un richiamo. Solo quello sguardo. Solo quella scon-volgente frase: «Scendi Zaccheo, perché oggi voglio venire a casa tua». Questo sguardo dobbiamo chiedere al Signore e allora tutto diventerà più semplice.

V“

Nel prendere anzitutto coscien-za che siamo tutti peccatori.

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60La Misericordia in Missione

MESSICOdon Giuseppe Pedandola

Sono venuto, con mia moglie, qui a Cortina, per tro-vare un nostro vecchio amico: don Giuseppe Pe-dandola. Il nostro scopo, a giustifi-

cazione di questo viaggio, è dupli-ce: primo incontrare questa perso-na con la quale abbiamo passato un bel po’ di tempo della nostra vita in Ecuador, durante alcuni periodi in-dimenticabili; secondo per riceve-re una testimonianza, seguendo il tema di questa pubblicazione, inti-tolata Ammonire i Peccatori.

Cerco di convincerlo a scrivere lui sull’argomento, ma non c’è ver-so. – «Fai tu!» è la definitiva rispo-sta, nonostante le mie insistenze, poi si predispone di buon grado a commentare e raccontare secondo le sue impressioni.

Comincia, secondo il suo stile, ri-baltando il titolo:

«Ammonire i peccatori? Semmai sono i peccatori che hanno am-monito me! Mi sono sentito più peccatore di loro, di fronte a tanta

fede che dimostravano. In Messi-co, ad esempio, ho visto la miseria di tanta gente dalla fede semplice, arrivare da lontano, dopo ore e ore di cammino sempre a piedi… per venire a confessarsi. In vista della Basilica, a centinaia di metri di di-

(Testimonianza raccolta da Mario Bottegal)

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Notizie - N. 2761

stanza, si mettevano a camminare sulle ginocchia che, man mano, erano sempre più sanguinanti, fino ad entrare per salutare la Madonna. Volevate forse che io li ammonissi? Loro mi hanno dato l’esempio, con una semplicità unica. La mia vista si è aggiustata, grazie a quello che ho visto.

Vi voglio raccontare di una vec-chietta che ha camminato per una settimana e si è pre-sentata da me dicen-do che aveva fatto una promessa alla Madon-na di donare a lei tutto quello che possedeva. Le chiesi: – ma dopo come vivi? – E lei mi rispose: – la Provvi-denza aiuta, come mi hanno aiutato alcuni durante il viaggio. – Tirò fuori un fazzoletto e dentro c’erano 18 pesos, poco più di un dollaro, ma era tutta la sua ricchez-za. Mi offrii almeno di pagare il viaggio di ritorno in corriera, ma lei rifiutò dicendo: – Ho promesso alla Madonna di fare a piedi andata e ritorno e così farò! –

Cosa vuoi che ammonisca questa gente che viene da me a confessar-si e hanno un’anima così splendi-da, davanti alla quale io mi sentivo peccatore? Per dirla tutta, di fronte a loro mi sentivo una pulce”.

Poi, dopo un po’ di pausa, pro-segue: «Mi viene in mente anche di una donna cieca che veniva dal Chapas che mi disse: – Portami da-

vanti alla Madonna. Io non posso vederla, ma lei mi vedrà e quando morirò lei mi riconoscerà e mi apri-rà la porta del Paradiso. – Questi sono gli esempi che ti fanno pen-sare: “qua ‘l pore diaol son mi” (in dialetto). Questi sono gli ammoni-menti continui che ho ricevuto in America Latina.

Forse lo sapete anche voi, io non ho mai studiato all’università, però

ho frequentato due università non ufficiali: la prima vivendo con gli indios, che è gente piena di religiosità e questo lo sapete an-che voi che siete stati in Ecuador con me. Quando vedono cre-scere il mais ti dicono che là c’è Dio; quando sentono il vento è Dio

che viene. Si aiutano tra di loro in modo bellissimo e io ho imparato molto da questa università. L’altra università è stato il confessionale di Guadalupe. Tutta quella gente, con una fede immensa nella Ma-donna, che veniva da me facendo-mi sentire piccolo e peccatore, lo ripeto ancora, ma tutto ciò è stata la mia laurea».

Qui termina la nostra chiacchie-rata e quindi il mio resoconto e mi resta una certezza: non ho ancora letto quanto ci avranno scritto tutti gli altri missionari da noi interpel-lati ma, quanto sopra, esprime si-curamente dei concetti diversi. Un grazie a don Giuseppe!

Ammonire i peccatori? Sem-mai sono i pec-catori che hanno ammonito me! Mi sono sentito più peccatore di loro

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62La Misericordia in Missione

BRASILEdon Gigi De Rocco

7 settembre 1980: festa dell’Indipen-denza del Brasile. I proprietari della canna da zucchero nella vasta regione di Palmares organiz-zano le celebrazioni

festive, inserendo, di loro propria iniziativa, una S. Messa solenne, in orario da loro scelto, di domenica. Il parroco di Ribeirao si rifiuta di cele-brare, per il fatto di non essere stato consultato, ma soprattutto “perché non si sente, in coscienza, di cele-brare l’indipendenza di un popolo ancora schiavo del lavoro nella col-tivazione di canna da zucchero, mal pagato, ridotto a sub-specie umana (nanico), in perenne situazione di mendicanza e di fame.

Ne scoppia un caso nazionale sulla stampa e in TV. Il proces-so si conclude con l’espulsione di Pe. Vito per avere infranto le leggi di Sicurezza nazionale. La Chiesa di Palmares ha vissu-to l’avvenimento con fermez-za evangelica. Stretta attorno al suo Vescovo, ha denunciato senza esitazione il peccato di sfruttamento e di manipolazio-

ne dei poveri, con uno stile di non-violenza attiva in varie manifestazio-ni. Ricordo l’invasione della chiesa di Ribeirao da parte dei padroni del-la canna: erano alterati dall’alcool e cantavano l’inno nazionale. Nella destra la pistola e nella sinistra la bandiera brasiliana. Il Vescovo in-tonò il ritornello “non c’è prova di amore più grande che dare la vita per i fratelli”. Il coro era potente. All’invito del capo della Polizia, uno ad uno, gli invasori sono usciti ur-lando offese e minacce. È stata una vittoria dell’amore dei poveri contro la prepotenza dei cosiddetti potenti.

Il motto allora era «annunciare il Vangelo e denunciare»: forse la denuncia prevaleva sull’annuncio

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Notizie - N. 2763

e spesso sconfinava anche nell’o-dio e nel desiderio di vendetta, ma senz’altro anticipava un po’ il mes-saggio e la pratica della misericor-dia, tema fondamentale e tanto caro a Papa Francesco. Molti, non tutti, in quegli anni, erano pronti a resi-stere, davanti alla violenza, con il ri-schio di perdere il lavoro e la vita. In nome della giustizia, denunciavano il peccato sociale che grida “vendet-ta” davanti a Dio e tanti hanno sacri-ficato la vita per la pratica vigliacca dei padroni che si servivano di sicari di morte, pagati, in modo che i man-danti restassero protetti dall’omer-tà e dalla paura della gente, vittime dell’idolatria del denaro, al di là di ogni diritto umano. Ho visto cade-re sindacalisti e poveri contadini in difesa dei loro diritti alla terra. Co-scientizzati e sostenuti dalla Parola del Vangelo, tra il popolo semplice fiorirono numerosi esempi di eroi-smo, fino al versamento del loro sangue nella terra già intrisa di su-dore e di martirio, seme che nel tempo germogliò frutti di giustizia, di fraternità e di santità.

Le campagne elettorali erano drammatiche, specialmente per l’e-lezione del Sindaco. I poveri (a que-sto porta la miseria) si schieravano dalla parte del candidato ritenuto più forte e che dava regali in cambio del voto: mattoni, cemento, mate-rassi, ecc., diventando ciechi e sordi davanti a corrotti e assassini. Inoltre, facendo campagna, speravano in un impiego stabile alle dipendenze del Comune. Ricordo di essermi trovato

solo a difendere la verità e a denun-ciare la falsa generosità dei politici criminosi e assassini. Stampai per varie settimane il profilo vero dei candidati e lo distribuivo alle por-te della chiesa... Una sera, nel buio silenzioso e isolato di un campo di canna, scoppiò un fragore come di uno schianto di metalli che si spez-zano. Terrorizzato, continuai con la corsa, perché l’auto funzionava regolarmente. Mi fermai nel primo villaggio dove un amico, guardando la carrozzeria della Fiat, esclamò: «Ti hanno sparato due rose di proiettili sul fianco!». Lui vuole nascondermi, per proteggermi, ma io gli chiedo di accompagnarmi in città per le strade e sulla piazza, perché tutti mi veda-no. Il giorno dopo, fin dal mattino, svolgo le mie funzioni normalmen-te: forse era una intimazione a tace-re. Tra la gente e le autorità, bocche sigillate. Giorni dopo, un vecchio, quasi senza voce, mi sussurra: «Non succederà più. Ti ha salvato il tuo vi-zio di correre come un pazzo sulle strade!». Era il padre di uno dei can-didati denunciati. Ho perdonato dal pulpito, ma ho continuato a denun-ciare il candidato indegno e corrot-to. Ha vinto. La gente, poco a poco è ritornata a frequentare la pratica religiosa, come se niente fosse suc-cesso. Molti sono venuti a confessa-re il loro peccato di infedeltà a Gesù e al Vangelo.

La misericordia dona pace interio-re. Ti senti come abbracciato dall’a-more di Dio: è il motore più potente ed efficace per l’evangelizzazione.

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64La Misericordia in Missione

Consolaregli afflitti«Consolate, consolate il mio popolo dice il Signore». (Is 40,1)

San Paolo tra-duce con queste parole l’opera di misericordia “consolare gli af-flitti”: “godere con chi è lieto e pian-gere con chi sof-

fre”. Certamente è più

facile la prima parte, godere con chi gode; è più difficile pian-gere con chi piange. Eppure ci sono tante situazioni di sofferen-za che si incontrano in continuazione nella vita: una disgrazia, una malattia, una difficoltà economica, uno sfratto, una fami-glia che si sfascia, genitori anzia-

ni e abbandonati, la morte di una persona cara: quando una perso-na vive una di queste situazioni, molto spesso si trova sola con la propria sofferenza; anche gli amici girano al largo.

Forse anche ciascuno di noi deve pentirsi di avere lasciato sole per-sone che conosceva nel momento della sofferenza, mentre si sareb-bero attese una nostra presenza:

ne avevano bisogno, ne avevano diritto.

Noi ci scusiamo di-cendo che non ab-biamo avuto tempo, che avevamo troppe cose da fare, che pro-prio non potevamo: in realtà abbiamo avu-to poco cuore, poco amore.

Consolare, significa letteralmente «stare accanto, stare vicino a chi è solo».

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Forse anche ciascuno di noi deve pentirsi di avere lasciato sole persone che co-nosceva nel mo-mento della soffe-renza

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Notizie - N. 2765

UGANDA e ITALIAsuor Lea Zandonella

Uno dei doni più preziosi che Dio fa al Missiona-rio chiamandolo alla sua sequela è quello di renderlo suo collaborato-re nell’esercizio

delle sue opere d’amore miseri-cordioso, specialmente nei con-fronti dei più poveri, di quelli che non contano o contano poco per il mondo.

Dopo quasi 50 anni di apparte-nenza ad un Istituto Missionario, di cui 7 passati in Inghilterra e 32 in Africa, sento di dover rendere gra-zie a Dio per avermi concesso di essere stata strumento e testimone del vissuto delle opere di carità, sia materiali che spirituali, così legate l’una all’altra, nel contesto della “Missione ad Gentes.”

Come è vissuta la “Misericordia in Missione”?

Non esiste un “metodo” predefi-nito o classico: Gesù, l’uomo Dio incarnato e vissuto tra noi, è il vero Maestro con il suo stile di vita, il suo insegnamento, le sue opere e il suo amore preferenziale per i piccoli e i più poveri. È a Lui che

ci ispiriamo per conoscere la me-todologia da seguire, adattandola alle situazioni alle quali veniamo esposti.

C’è chi guarda al missionario con grande stima e ammirazione, rico-noscendo l’utilità della sua scelta e del suo vissuto, paragonandolo addirittura ad un “eroe della cari-tà”. Ci sono poi altri, e correnti di pensiero, che invece demonizzano tale scelta, criticano l’operato del missionario considerandolo un’in-terferenza nelle culture, credenze e vissuto di altri popoli. Lo si ac-cusa “gratuitamente” di coltivare atteggiamenti di passività e pigrizia procurando per loro il “pesce da mangiare” anziché insegnare loro a pescare, ecc.

Premesso che i missionari non sono superuomini/donne, bensì persone normali con il loro baga-glio personale di limiti e virtù, mi sento di poter affermare quanto segue:

- I missionari di ogni tempo han-no cercato e cercano di testimonia-re non solo con le parole ma con la loro vita che ogni popolo non va classificato come appartenente al primo, secondo, terzo… mondo

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66La Misericordia in Missione

ma che siamo tutti figli dello stes-so Padre e di conseguenza fratellitradinoi, senza distinzione di clas-se o esclusione di razze… con gli stessi diritti e doveri fondamenta-li di ogni essere umano, ospiti su questa terra madre che appartiene a tutti ed è perciò anche responsa-bilità di tutti…

- Essi condividono il dono della fede in Dio che è Padre e ci ama, è presente nella nostra e nella loro vita non comeuno Stregonecheminacciaericatta,bensìcomeColuicheci liberadalleforzedelmale, dalle tante paure di cui sia-mo schiavi, e sazia la fame di infi-nito insita in ogni essere umano.

- Ogni missionario riceve molto dai popoli che avvicina, dalla ric-chezza delle loro culture e dall’u-manesimo vissuto nella solida-rietà tra poveri, sia nella gioia che nel dolore, nell’accoglienza del forestiero e del viandante, nel rispetto delle leggi della natura, nella gioia di vivere e celebrare la vita, anche se non facile… nella capacità di ricominciare sempre da capo, anche dopo una enne-sima disfatta, senza disperarsi…

- La sua presenza in “Casa Altrui” non è mai dettata da interessi personali o da altre “agende na-scoste” mascherate di umane-simo; non è un colonizzatore di popoli, bensì un promotore di crescita integrale delle perso-

ne attraverso strumenti efficaci come l’Annuncio del Vangelo che libera dalle tante schiavitù a cui ho già accennato sopra, attra-verso l’istruzione ad ogni livello intellettuale e tecnico, la cura della salute e la prevenzione da certi mali endemici, possibile non solo con l’uso dei farmaci, ma anche grazie a conoscenze nuove che portano al cambia-mento di abitudini inveterate e pratiche tradizionali che risul-tano potenzialmente nocive. Il missionario promuove, dove necessario, il rispetto della vita, di ogni vita, dal concepimento alla morte e, se necessario, è di-

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Notizie - N. 2767

sposto a donare anche la propria vita, affinché altri possano averla in pienezza.

- A differenza di altre presenze umane con finalità ben diverse, il missionario trasmette quanto a sua volta ha rice-vuto e gioisce quan-do la sua presenza diventa, non dico superflua, ma alme-no non più stretta-mente necessaria. Inoltre coinvolge nel suo operato anche la Chiesa d’origine che lo invia e tante altre persone che credo-no nel suo operato e diventano così suoi preziosi collaboratori, artefici di opere di solidarietà, giustizia e fratellanza tra i popoli.

- Negli ultimi sette anni del mio vissuto missionario nella terra di missione che è diventata l’I-talia, ho incontrato tanto biso-gno dell’esercizio delle opere di Misericordia, non tanto ma-teriali, ma spirituali. Anche dove i beni materiali abbondano, quanta fame di relazioni uma-ne, di ascolto, di senso e gioia di vivere, di speranza… Troppe persone vivono nella tristezza e nella solitudine; c’è fame e sete di relazioni significative. Quanta

solitudine leggo sul volto delle persone che incontro per la stra-da ogni giorno, ancor prima di ascoltare le loro parole… Troppa gente cammina eternamente in-collata al telefonino, ma ignora chi gli passa accanto. Gli anziani

sono soli, a volte ac-compagnati più o meno rispettosamen-te, ma con distacco, da badanti straniere, per cui la comunicazione è ridotta ai minimi ter-mini. Altri, in grado di muoversi da soli, sono accompagnati da ca-gnolini che sembrano riflettere la tristezza di

chi li tiene al guinzaglio. C’è addi-rittura chi porta in braccio questo essere vivente… e gli parla con tenerezza. Quanta solitudine!!! Sugli autobus, per le strade, quali sono i discorsi ricorrenti tra chi si scambia la parola? Gli acciacchi, l’appuntamento con il medico, gli esami clinici da fare, le terapie per ogni tipo di disturbo… Se poi sono uomini meno anziani, l’ar-gomento verte immancabilmen-te sui soldi. Ho tracciato un triste specchio di una parte della no-stra società, ma è realistico e ci fa riflettere sul bisogno urgente di praticare sempre più le opere di Misericordia, incominciando dal-le persone che ci vivono accanto.

Anche dove i beni materiali ab-bondano, quanta fame di relazioni umane, di ascolto, di senso e gioia di vivere, di speranza

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68La Misericordia in Missione

BRASILEdon Luigi Canal

Una sera, di pas-saggio per Pau-lo Afonso, stavo celebrando nella Chiesa del Perpe-tuo Soccorso. Era il giorno dell’Esal-tazione della San-

ta Croce, quando, mentre discor-revamo sul Vangelo, si fa avanti un povero uomo, un po’ barcollante: interrom-pe la ”predica“, apre la camicia e ripete forte: «Questa è la mia Cro-ce, padre... questa è la mia croce!... Preghi per me, padre... preghi per me...». E mostra la sua croce ”incarnata“ nel petto: una cicatrice orizzontale, frutto di una coltellata, ed un’altra grande, verticale, risultato di un’operazio-

ne mal fatta. Normalmente un al-colizzato che si intromette nelle nostre liturgie dà abbastanza fa-stidio, ma quella sera ci ha fatto la predica.

Ci additava tre forti segni di cro-cifissione evidenti in Brasile: la vio-lenza, l’infermità mal assistita, la droga (dall’alcool in giù...). Esaltare la Croce significa superarla con la

Risurrezione. Per far questo, ci di-

ceva il nostro amico, non basta la predica di un giorno, bisogna passare dalla predica all’azione!

La Campagna della Fraternità, nella Qua-

resima di quest’anno, ci invita ad uno sguardo evangelico su queste realtà: «ERI TU SIGNORE...».(Mt. 25). Ma che difficile!

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Questa è la mia Croce, padre... questa è la mia croce!

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Notizie - N. 2769

Perdonarele offese«Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per essere miseri-cordioso verso tutti». (Rom 11,32)

Appare chiaro che tutti abbiamo da perdonare e tutti abbiamo da chiedere perdo-no, perché tutti siamo perdona-ti da Dio. Che il

perdono sia l’apice dell’amore di Dio lo si capisce da tutta la vita e l’insegnamento di Cristo, dove egli stesso afferma di essere venuto non per i giusti e i sani, ma per i malati e i peccatori. Le ultime pa-role sulla croce sono parole di per-dono. Quando ama, Dio perdona. Il perdono è il suo modo di amare, di essere giusto, perché la giustizia di Dio è il perdono. Egli infatti è Mi-sericordia. «E noi riconosciamo il tuo amore di Padre, quando pieghi la durezza dell’uomo e in un mon-do lacerato da lotte e discordie, lo rendi disponibile alla riconciliazio-ne». (2a riconciliazione)

Sette o settanta volte sette? Le larghe misure del cristiano

«Fino a sette, Signore? Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. Sì, perché Dio fa così. Ce lo ha detto e mostrato in tutte le salse Gesù. Allora come oggi c’è chi non accetta questa lo-gica di Dio e punta sulla paura più che sulla misericordia di Dio. «Sie-te voi invidiosi perché io sono buo-no?» risponde Gesù ai lavoratori della prima ora. C’è un solo motivo per cui si deve perdonare sempre, ed è che Dio mi perdona sempre.

Quello di perdonare è forse l’o-pera più difficile di tutte, è una strada in salita. Eppure fa parte dell’insegnamento inequivocabi-le del Vangelo Una regola d’oro è questa: non lasciare mai che una situazione si incancrenisca, non lasciare mai scendere la notte su tensioni non chiarite, su offese non perdonate. «Non tramonti mai il sole sulla vostra ira». Ma è pos-sibile tutto questo? Ne abbiamo le forze? La risposta sta nelle parole dell’apostolo San Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza»

A

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70La Misericordia in Missione

KENYApadre Virgilio Pante

Il 6 ottobre 2001, Virgilio Pante è stato ordinato Ve-scovo della diocesi di Ma-ralal, in Kenya. Come ogni nuovo Vescovo ha dovuto scegliere e designare il suo personale stemma. Si è seduto con la Bibbia e ha

aperto il libro del profeta Isaia 11:6-9 dove vi è scritto che Dio manderà il

Suo Salvatore che porterà la pace e la riconciliazione tra tutti i popoli e persino tra gli animali. I leoni e i leo-pardi giaceranno pacificamente con i vitelli e gli agnelli. Sì, questo era un segnale per la parrocchia di Sambu-ru, Turkana, Rendille, Pokot, Gabra (etc etc) che può essere possibile vivere insieme in pace. Perciò il Ve-scovo ha ideato, sul suo stemma, un

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Notizie - N. 2771

leone sdraiato accanto ad un agnello, con una colomba, simbolo di pace, che si alza sopra il Monte Kenya. Ora questo stemma può essere trovato in ogni chiesa e su ogni macchina della diocesi di Maralal. All’inizio, i più an-ziani dei nomadi Samburu ridevano di questo strano stemma; e, in effetti, ogni giovane pastore potrebbe dirti con sicurezza che i leoni e i leopardi amano divorare sia agnelli che vitelli.

Tuttavia, niente è impossibile per Dio. Tre mesi dopo la consacrazione del Vescovo Pante, è stato segnalato uno strano avvenimento dalla Riser-va di caccia Samburu. Il sette Gen-naio 2002, una leonessa ha adottato una giovane antilope.

Il Vescovo Virgilio Pante stava tor-nando da una delle sue parrocchie più lontane nelle montagne in sella alla sua moto. I saggi anziani gli han-no detto: «Vescovo, il tuo Dio deve essere un Dio molto potente e forte. Lui ha fatto sì che l’immagine che tu hai dipinto sulla tua macchina si sia realizzata. Non abbiamo mai visto prima una leonessa che abbia adot-tato una giovane gazzella al posto di ucciderla e mangiarla. Questo non è mai successo prima. Il tuo Dio ama la pace, e noi Lo onoriamo. D’ora in poi i Samburu vivranno in pace con i Tur-kana e i Pokot. Gli animali selvaggi ci hanno dato un grande esempio: che per Dio ogni cosa è possibile».

Questo miracolo ha aiutato lui e i suoi missionari a portare la pace in varie tribù nomadi che lottano co-stantemente per i pozzi e per la terra per far pascolare le loro greggi.

La storia d’amore tra la leonessa e l’agnello viene ricordata e raccontata tante e tante volte durante le serate attorno al fuoco nelle tende. E gli anziani dei Samburu si dicono l’un l’altro: «il Vescovo Virgilio Pante, dal Nord Italia, che ha gli occhi blu come il cielo e la barba folta, è un uomo forte; forte come il Dio che permette che un agnello sieda accanto a una leonessa». Lo stesso Vescovo non si stanca mai di ripetere quest’incre-dibile storia durante la predica per sfidare i suoi fedeli a vivere insieme in pace. Dice che questa storia non è solo per le persone della sua parroc-chia, che da tempo immemore si ru-bano l’un l’altro il bestiame, ma per tutte le persone in Kenya e per tutto il mondo. In Kenya ci sono 42 diverse tribù e tutte loro potrebbero formare un fantastico arcobaleno. L’arcobale-no ha diversi colori ed è conosciu-to e ammirato come un bellissimo segno di speranza. Sì, le varietà e le differenze sono bellezza. Persone diverse hanno bisogno le une delle altre perché la differenza porta con sé novità e ricchezza. Il Kenya ha bi-sogno di pastori, di agricoltori, di pe-scatori e di commercianti. I Samburu hanno bisogno dei Kikuyu e dei Luo. I circoncisi e coloro che non lo sono possono vivere insieme, i Cristiani e i Musulmani venerano un creatore comune, Dio. Per gli esseri umani la legge della giungla, la sopravviven-za del più forte, deve essere messa in discussione e questo è l’insegna-mento di questa vera storia della leo-nessa e dell’agnello.

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72La Misericordia in Missione

PARAGUAYpadre Aldo Trento

La testimonian-za che segue ci provoca sulla nostra relazione personale con Cristo.Come può una adolescente per-

donare il proprio carnefice? Umanamente è impossibile e

per il mondo non è neanche giu-sto. Eppure la parola “perdono” è tornata a essere il cuore di questa ragazzina, che mi ricorda molto santa Maria Goretti.

Il miracolo del perdono è sempre un dono della misericordia di Dio e di un lungo cammino educativo nel quale uno vive una vera esperienza d’a-more. Un amore che sgorga da quell’Uomo in croce. Il perdono è solo cristiano, esclu-sivamente cristiano.

Caro padre Aldo, dopo sei anni che vivo nella casa di Betlemme 1, voglio finalmente raccontarti la mia vita.

Tante volte avrei voluto farlo ma

avevo paura di ciò che poi avresti pensato di me. Finalmente la Ma-donna mi ha dato la forza di rac-contarti tutto.

Questa mattina sono andata a visitare mio padre che vive in una stamberga in un quartiere dove regna la miseria, la droga e la pro-stituzione. Appena entrata sono rimasta sconvolta: sporcizia dap-pertutto. Lui, cieco, magrissimo e ammalato, era accovacciato in un pagliericcio. Un incontro che mi ha fatto male ma nello stesso tem-po ha svegliato in me un gran desi-derio di abbracciarlo e perdonarlo per tutta la violenza che ha usato con me. Mia madre era una ragazza

di 14 anni quando mio padre ha abusato di lei e da quella violenza sono nata io. Quando ho compiuto otto anni sono diventata io la sua vittima e da quel momento l’ho odiato.

Poi, grazie all’inter-vento degli assistenti sociali, sono stata af-fidata alla tua opera. Per sei anni non sono

riuscita a guardare in volto nessun

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Il miracolo del perdono è sempre un dono della mi-sericordia di Dio e di un lungo cam-mino educativo nel quale uno vive una vera esperien-za d’amore

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Notizie - N. 2773

uomo. Ti ricordi come scappavo anche da te? Alla mia durezza, al mio odio, tu e la mamma sostituti-va avete risposto con l’amore. È sta-to un cammino attraverso il quale il mio cuore ha cominciato ad aprirsi.

Oggi mi sento sicura, ho perdo-nato mio padre. Mi avete abbrac-ciata e adesso sono io che voglio

abbracciare lui. Credo che Dio ab-bia permesso tutto ciò perché io imparassi a perdonare. Ma ci sono voluti sei anni di faticosa strada per arrivare a questo momento.

Padre Aldo, voglio che tu venga con me a visitare mio papà perché anche tu ti possa rendere conto della miseria in cui vive.

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74La Misericordia in Missione

BRASILEdon Luigi Canal

Un episodio che ha colpito la no-stra missione è stata la morte di due fratelli, di 12 e 13 anni, in una comunità dove lavora uno dei

nostri amici preti. Avendo rotto il vetro della macchina di un fa-zendeiro con la fionda, sono stati obbligati a pagare il danno e non avendo con che, detto signore ha obbligato i loro genitori a lavora-re nelle piantagioni di caffè gior-no e notte, fino all’estinzione del debito.

I due ragazzi non sopportaro-

no vedere i loro genitori in tanta umiliazione e sofferenza ed han-no deciso insieme di avvelenarsi. La madre non chiede vendetta, ma giustizia, affinché il padrone non ripeta la stessa cosa con al-tri!

Che abisso fra la dignità di que-sta donna povera e doppiamente martirizzata e la bassezza di quel signore!

Il gesto di questi due ragaz-zi rimarrà per sempre come un atto di accusa a tutti coloro che spremono il sangue dei poveri sino alla morte. Loro, credo che saranno annoverati fra il numero dei Santi Martiri Innocenti!

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Notizie - N. 2775

Sopportarepazientementele persone moleste

«Sopportatevi a vicenda e perdo-natevi scambievolmente se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri». (Col 3,13)

Ci dobbiamo met-tere tutti nel nu-mero delle “per-sone moleste”, chi più chi meno na-turalmente. E tutti dobbiamo impa-rare la virtù della

sopportazione. Può succedere che non sia l’altro ad essere molesto con me, bensì l’ospite inquietante dentro di me che me lo fa sentire tale. Quest’opera è legata all’espe-rienza della pazienza di Dio, del suo perdono. La pazienza di Dio è lo sguardo grande e pieno di amo-re di Dio nei nostri confronti, che non si ferma a guardare il dettaglio del presente (il pelo nell’uovo, di-

remmo noi), ma ci tiene in mano e ci guarda nel disegno che Lui ha pensato per noi. In questo senso la nostra storia è sempre storia di una pazienza infinita di Dio che sopporta sempre le mormorazioni di Israele e le nostre. Quante volte nella Bibbia ci incontriamo con l’at-teggiamento dell’uomo che meri-terebbe un castigo esemplare e in-vece Dio riallaccia pazientemente i legami con lui. Dunque non perché siamo buoni e amabili, dobbiamo voler bene, ma perché è buono Dio che per amore ci ha creati tutti.

L’apostolo Paolo scrive: «Soppor-tatevi a vicenda con amore».Questa è forse l’opera di misericordia più attuale, più quotidiana; ci interpella tutti i giorni, dovunque andiamo, perché ogni giorno siamo a con-tatto con persone: in famiglia, sul lavoro, per la strada, sull’autobus, a scuola, in parrocchia, in chiesa.

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76La Misericordia in Missione

BRASILEsuor Laura Rossi

A questa quinta opera di miseri-cordia spirituale mi viene spon-taneo associare il brano del Van-gelo di Marco (Mc 10, 13-16) nel

quale Gesù, dopo che i discepoli volevano cacciare i bambini per-

ché, secondo loro, davano fastidio, dice: «lasciate che vengano a me!». Quante volte nella nostra vita vi-viamo la stessa esperienza dei di-scepoli... quante persone deside-reremmo tenere lontane da noi perché ci irritano, ci disturbano, ci danno fastidio, ecc..., Gesù invece ci invita ad accoglierle, ad aver mi-sericordia, ad andare incontro alle

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Notizie - N. 2777

loro fatiche, a sopportare!Della mia esperienza di missio-

ne in Brasile porto con me, come fosse oggi, il volto di tante persone e situazioni difficili da comprende-re e da accettare. Ne ricordo uno: il volto di una donna povera che veniva più volte nella settimana a bussare alla porta della nostra co-munità e, con insistenza e anche con una certa prepo-tenza, chiedeva che l’aiutassimo con gli alimenti che voleva lei... proprio come se la nostra casa fosse un supermercato! La nostra reazione era spesso quella di non aprire o di aprire e di rispondere a tono alla sua prepotenza, perché ci innervosiva questo suo comportamento. Ma lei insisteva nel venire e allora ci siamo dette: se lei continua, siamo noi chiamate a cambiare il nostro atteggiamento nei suoi confronti. Finché un giorno ci è capitato di meditare proprio la parola di Gesù: «lasciate che i bambini vengano a me!».

Questa Sua accoglienza miseri-cordiosa nei confronti dei “piccoli” (che può essere qualsiasi persona che incontriamo nella nostra vita) ci ha fatto pensare e ci ha invita-te ad avere pazienza, ad andarle incontro ascoltandola ogni volta

che veniva, con magnanimità, con rispetto e con amore, facendole capire che potevamo sì aiutarla, ma non come voleva lei, ma con le possibilità che avevamo in quel momento. Umanamente non è sta-to così facile, ma la Parola ci ha dato forza e posso dire che è stata vera-mente efficace, perché il nostro di-verso atteggiamento nei suoi con-

fronti ha fatto sì che anche lei si presentas-se con più semplicità e mansuetudine.

Un’esperienza sem-plice, ma che ha se-gnato il nostro modo di metterci in relazio-ne.

Il «sopportare» di questa opera di mise-ricordia sembra con-sistere in un subire

passivamente, ma se ci lasciamo toccare dalla Parola di Dio può diventare veramente forza d’amo-re capace di trasformare il nostro cuore e il cuore delle persone che possono essere per noi antipatiche e renderlo paziente e misericor-dioso.

In ogni luogo di vita, in ogni co-munità ci possono essere «persone moleste», addirittura a volte può succedere che anche chi ci è caro riesce a essere molesto, ma non per questo sono persone da allon-tanare, ma da accogliere e amare con pazienza e misericordia.

Ma se ci lascia-mo toccare dalla Parola di Dio può diventare vera-mente forza d’a-more capace di trasformare il no-stro cuore

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78La Misericordia in Missione

ETIOPIApadre Sisto Agostini

In mezzo a tanti conflitti e discordie di questo mon-do, spesso ripenso alla storia non solo delle gran-di guerre, per limitarmi agli ultimi 100 e poco più anni, ma anche alle lotte, spesso di carattere locale

che sono avvenute in Africa spe-cialmente perché sono avvenute in tempi recenti.

E qualcuna delle nostre comuni-tà bellunesi, feltrine e diocesane le ha personalmente vissute, sofferte e anche positivamente superate.

È ormai impossibile, in questo tempo di globalizzazione, che un conflitto locale non sia connes-so internazionalmente con altri o che non abbia ripercussioni poi, in senso più estero.

Non solo tra gente cristiana laica, ma anche tra religiosi, missionari e conferenze episcopali perfino. Ci si chiede se mai avrà fine qual-che lotta, ribellione, estremismo politico, che arriva a perturbare la tranquillità di molti, a creare morte di rifugiati, a commettere crimini imperdonabili, uccisioni anche di massa e genocidi. Sembra che non ci sia alle volte limite ai soprusi, alle

oppressioni, alle umiliazioni inflit-te, come sembra non vi siano prin-cipi morali, spinte verso il bene, ca-pacità di ripresa dopo efferatezze commesse e annichilamenti subiti.

Il ripetersi di atti di violenza e di tragedie morali, familiari, sociali e nazionali porterebbe al pessi-mismo, a dire che non c’è assolu-tamente speranza per un cambio positivo o per giorni futuri di pace; invece ci sono segni sia dalla storia passata, sia da quella presente, che accendono un lumino, che indica-no bene quello che può essere il futuro, anche molto prossimo, di

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L’imperatore Hailé Selassié.

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Notizie - N. 2779

una riconciliazione, di un perdono dato e ricevuto, di intere popola-zioni e religioni che, volgendo lo sguardo verso Gesù Cristo, Gesù Cristo anche sofferente e croci-fisso, possano trovare guarigione del cuore, perdono e misericordia, pace duratura.

Un esempio molto chiaro e a portata di compren-sione dei popoli inte-ressati e di altri ancora è la riconciliazione, non solo politicamen-te, ma anche spiritual-mente, promossa da un leader africano, anzi Etiopico: l’impe-ratore Hailé Selassié.

Lui si è visto toglie-re il regno, e non certamente per il bene del popolo, da forze che invadevano il regno e la nazione dell’Etiopia, obbedendo a tardi so-gni di gloria e a una utopia sociale irrispettosa del vero e del bene dei cittadini meno fortunati.

Al suo ritorno in Etiopia (a ca-vallo, accanto al generale inglese Wingate), Hailé Selassié, non cer-tamente solo per ragioni politiche, ma per magnanimità e per una promozione di sentimenti buoni, anche cristiani, tra il popolo d’E-tiopia e gli invasori-oppressori, perdonò i perpetratori di un’of-fesa grandissima, di dimensione epocale, alla storia, cultura e civiltà etiopica.

Perdonò i traditori ed accolse persino quelli che erano stati co-

lonizzatori in Etiopia, integrandoli, ancor prima di arrivare agli accor-di formali di pace, nella nazione e nella vita di sviluppo della nazione etiope, quasi un patto siglato con il sangue che ormai scorreva misto nelle vene delle popolazioni sul territorio nazionale.

Sorprende la bellezza di questo gesto che ha portato pace e sviluppo pri-ma che in Etiopia si introducessero poi altre ideologie vio-lente, crudeli, senza misericordia, ricche di odio, che con la prete-sa della “giustizia” ri-schiavano e rischiano di privare la vita socia-

le ed individuale di un’anima che potrebbe invece guidare, ricca di misericordia e di attenzione verso i poveri e sofferenti, a uno svilup-po integrale e a un progresso con una vitalità sorprendente.

Quante altre situazioni e non solo in Africa, ma altrove, potreb-bero essere illuminate da una riconciliazione guidata da uno spirito di genuina intesa di riconci-liazione che porta alla pace, al pro-gresso equanime e alla gioia di vi-vere una vita ricca di valori umani, di rispetto, di fiducia, senza quin-di la necessità di dover fuggire o emigrare verso altri lidi, spesso purtroppo, come capita, portando con sé alle volte la rabbia e l’odio acquisito e magari senza incontra-re accoglienza e speranza.

Sorprende la bel-lezza di questo ge-sto che ha portato pace e sviluppo pri-ma che in Etiopia si introducessero poi altre ideologie

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80La Misericordia in Missione

BRASILEdon Luigi Canal

Mi viene in mente Dona Teresa che mi racconta la storia di sua fi-glia Hosanna, quando, incu-riosito, le chie-

si il perché di questo nome. «Un giorno mi chia-

marono alla porta. Quando aprii mi vidi mettere in braccio un fagottino strano, ma... già familiare: un altro bambino sottratto alla spazzatura. Ho pas-sato gran parte della notte litigando col Padre Eterno, cui mi rivolgevo come al padre respon-sabile di questa creatura... Mi ap-

pisolai. Quando mi svegliai... stavo canterellando “Hosanna, hosan-na... benedetto colui che viene nel nome del Signore?”.

Mio marito, guardando quel-la cosina con cuore accogliente, diede una risatina indulgente nei miei riguardi e poi mise sul fuoco del latte. In quello stesso giorno

andai all’Ufficio Ana-grafe per verificare se la bambina era re-gistrata. Non lo era. Così la chiamai “Ho-sanna”!

Oggi è una giovane di 15 anni – mongo-loide – non importa: non ho più litigato con il Signore, perché

lui ci aveva riempito il cuore e la casa del suo Amore».

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Non importa: non ho più litiga-to con il Signore, perché lui ci aveva riempito il cuore e la casa del suo Amore

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Notizie - N. 2781

Pregare Dioper i vivi eper i morti

«L’eterno riposo dona loro Si-gnore e splenda ad essi la luce per-petua».

La lista delle ope-re di misericordia spirituale culmi-na con la pre-ghiera. Dunque come l’amore an-che la preghiera è un’opera.

L’invito a “pregare per i vivi e per i defun-ti” si basa su questa grande e splendida verità: siamo un corpo solo, che neppure la morte può separare. Formiamo una comu-nione di santi. La Chiesa educa in continuazione in tutta la Liturgia,

che è la sua preghiera pubblica e ufficiale, all’esercizio di quest’o-pera di misericordia. Infatti, nella preghiera eucaristica, noi preghia-mo sia per i vivi che per i defunti. Quindi, partecipando consapevol-mente alla Liturgia, esercitiamo già quest’opera di misericordia.

Ma nel costume della comunità cristiana ci sono anche altre forme individuali e personali: ad esempio, fare celebrare la santa Messa per

determinate persone vive, in difficoltà (ma-lati, giovani famiglie in crisi, ecc.) o in date significative della loro vita come l’onoma-stico, il compleanno, l’anniversario di ma-trimonio o per i propri

parenti defunti, particolarmente nell’anniversario della morte.

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Splendida veri-tà: siamo un cor-po solo, che nep-pure la morte può separare

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82La Misericordia in Missione

PARAGUAYpadre Aldo Trento

Cari amici, per me non esiste cosa più bella al mondo che stare davanti al Santis-simo Sacramento esposto nella cap-pella dell’ospeda-

le. Faccio perfino fatica a staccarmi da Lui. Normalmente l’ultimo salu-to alle 23 è a Gesù che mi guarda con tenerezza, e così vado a letto con l’Ostia bianca negli occhi. Pen-

sate, i miei ammalati sono visitati tre volte al giorno da Gesù. Un amore grande all’Eucarestia che trova le sue origini nella pri-ma comunione e si sviluppò fino a diventare la gioia della mia vita, il cemento di ogni opera di carità grazie all’educazione di mia madre e degli educatori del seminario dei padri canossiani.

Queste opere di carità che bril-lano della misericordia divina non esisterebbero senza le ore passate davanti a Gesù Eucarestia. Quando sto male mi rifugio nella cappel-la del Santissimo supplicandolo, spesso con le lacrime negli occhi, che mi sostenga, che mi tenga la mano perché possa fare la Sua vo-lontà.

Che bello, dopo tanti anni di la-voro educativo, vedere che il per-sonale cambia di turno davanti al Santissimo. È un gesto che cambia la prospettiva, tanto nel guardare a se stessi quanto nell’osservare la persona ammalata.

La battaglia educativa è dura con i medici che pensano di poter pre-scindere da Dio. Ma non mollo l’osso, mostrando loro che senza questo sguardo all’Eucarestia non

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Notizie - N. 2783

è possibile parlare di cure palliative.

Un esempio mi vie-ne dato dagli ammalati che chiedono di vede-re e parlare con suor Sonia o con me.

Cercano la suora perché sanno che alla mattina in processione porta la comunione, mentre io sono dispo-nibile per le confessioni, per dare l’unzione degli ammalati e la be-

nedizione papale “in articulo mortis”. Sono convinto che è inutile parlare di cure pallia-tive se noi cattolici im-pegnati negli hospice e negli ospedali non abbiamo chiara questa posizione sacramenta-le.

Solo guardando quell’Ostia bianca è

possibile vivere e costruire opere di carità.

Queste opere di carità che brillano della misericordia divina non esiste-rebbero senza le ore passate da-vanti a Gesù Euca-restia

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84La Misericordia in Missione

BRASILEdon Luigi Canal

Maria da Con-ceição è una ve-dova, paralitica, mendicante in carrozzella da oltre 18 anni, ora ridotta ad un pugno di

ossa senza carne, raggomitolata in un fagottino di poco più di un me-tro. Una signora della comunità le porta la comunione tutte le settima-ne, ma stavolta chiede la mia visita. Le do la comunione e riusciamo a conversare un po’ della sua lunga storia di sofferenze e dei “miracoli” della sopravvivenza. I 7-8 nipotini che vivono in casa con le sue 3 figlie non si danno pace: fra strilli, pianti, grida, dispetti... non si staccano dal letto della nonna ... finché a me pare naturale chiederle: «Le danno fasti-dio questi bambini?... Li allontania-mo un po’?». E lei, con voce esile, mi risponde: «No, padre: mi mancano tanto quando non li sento vicini!...». Mi accorgo che l’amore in lei solca altre strade... che non incrociano con la mia logica!

Mi sono sentito un Pietro, che al-lontanava i bambini da Gesù... Mi sono sentito arrogante, come chi vuole legare la vita con un cavo di

acciaio, di fronte a chi ha sempre lottato per la vita ricucendo fili esi-lissimi!

Quindici giorni dopo, D. Con-ceição moriva e toccava a me, dopo la preghiera, chiudere la cassa, per-ché ero l’unico uomo presente. Le figlie si abbracciarono a lei, renden-do difficile il mio compito ormai im-prorogabile e tutti i pargoletti sono scoppiati in un coro di pianto. «La credevamo disprezzata e ritenuta come spazzatura dagli uomini del mondo, una persona sommersa dai dolori e familiarizzata con le soffe-renze, così deformata da non sem-brare più un essere umano... ma il Signore la rese luce per molta gen-te». Così dice Isaia (cap. 5253) del Servo di Javé e così mi sembra di poter dire di sorella Conceicão.

Visitando l’Equador, in luglio, a contatto con il mondo degli indi-geni, ho potuto leggere una poesia a proposito di Mons. Proaño, il Ve-scovo apostolo degli indigeni, dove diceva: «Tu te ne vai... però restano gli alberi che hai piantato... ed altri alberi verranno, ed altri frutti, ed altre preziose sementi». Lo si può dire certamente di lui, a 10 anni dal-la morte; lo si può dire di D. Con-ceição; lo si può dire di P. Florio (di

M

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Notizie - N. 2785

Colle di S. Lucia), morto in Amazzonia per un banale incidente di macchina; lo si può dire delle due gio-vani suore del gruppo che accompagna don Giuseppe Pedandola e che sono mor-te, a 20-25 anni, di tumore (una, Hermana Anita, pro-prio nei giorni in cui mi tro-vavo con loro)... lasciando un “perché” grande come tutta la Bibbia!

Però che bello se si potes-se dire di ognuno di noi, alla fine della nostra vita: «Tu te ne vai... ma restano gli alberi che hai piantato...». È una di quelle pagine del Vangelo di cui i poveri più pove-ri dei mondo salgono in cattedra e ci danno lezione...

Io non posseggo nessun diploma universitario... ma forse sto affer-randone uno più prezioso, quello offerto dalla silenziosa università dei poveri. È una grazia grande del Signore!

***

Un giorno ci è giunta la notizia che il nostro giovane seminarista Marco era morto improvvisamente, annegato al mare, proprio nella pas-seggiata di chiusura del suo primo anno di Seminario. Si preparava ad essere Missionario. In una sua let-tera all’amico “Dio” aveva lasciato scritto, quasi profeticamente: «Ami-co Dio, è molto difficile per me fare quello che tu mi chiedi. Però, poco

a poco, sento che comincio a stac-carmi da me stesso. Comincio a sen-tirmi sempre più responsabile verso gli altri. Oggi vedo la felicità come una sorgente che, tanto più distri-buisce, tanto più si rifornisce. Perciò io sto prendendo coraggio per non smettere più di distribuire, affin-ché questa fonte non si secchi mai più...». E in un’altra nota leggiamo: «la maggior ricchezza che una per-sona umana può avere è la capacità di servire agli altri».

Sua madre, la donna forte della Bibbia, ha avuto il coraggio di fare un piccolo discorso nella funzione funebre, dove diceva: «Io sentivo che questo figlio non mi appartene-va: il Signore me lo stava togliendo poco a poco... Noi volevamo un mis-sionario qui in questo mondo, ma il Signore ha voluto un missionario in cielo...». Così infatti la famiglia ed i nostri giovani ricordano l’amico Marco!

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Riflessioni sul tema Raccolte daezio del FaveRo

Misericordia, legge che abita nel cuoredi chi guarda con occhi sinceriPaPa Francesco “Misericordiae Vultus”

Misericordia: è la legge fon-damentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incon-tra nel cammino della vita. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiria-moli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.

È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per en-trare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Ri-scopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le ope-re di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

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Notizie - N. 2787

La Misericordia di Diosant’agostino

Poteva esserci misericordia verso di noi infelici maggiore di quella che in-dusse il Creatore del cielo a scendere dal cielo e il Creatore della terra a rive-stirsi di un corpo mortale?

...Quella stessa misericordia indusse il Signore del mondo a rivestirsi della natura di servo, di modo che pur essendo pane avesse fame, pur essendo la sa-zietà piena avesse sete, pur essendo la potenza divenisse debole, pur essendo la salvezza venisse ferito, pur essendo vita potesse morire.

E tutto questo per saziare la nostra fame, alleviare la nostra arsura, raf-forzare la nostra debolezza, cancellare la nostra iniquità, accendere la nostra carità.

Occorre una “insurrezione delle coscienze”enzo Bianchi

Nel vangelo c’è una parola de-cisiva di Gesù: “Tutto quanto vo-lete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). È la “regola d’oro”, che stabilisce l’amore attivo di ciascuno di noi verso l’altro: una regola presente in tutte le culture della terra, per-ché elaborata dal “noi insieme” nel cammino di umanizzazione.

In quest’anno della misericordia voluto da papa Francesco il primo nostro compito è quello di recuperare l’elementare grammatica dell’amore misericor-dioso di Dio: misericordia da parte di Dio conosciuta su di noi – anche questa è “conoscenza di Dio” (Os 6,6)! – e misericordia attiva da parte nostra verso i fratelli e le sorelle in umanità. In un’epoca in cui si sono fatti progressi, anche se ancora deficitari, nel cammino di umanizzazione, sui temi della libertà e dell’uguaglianza, la fraternità rischia di essere dimenticata. Ma senza la frater-nità anche la ricerca della libertà e dell’uguaglianza diventa debole e rischia di non essere sufficientemente fondata. Occorre un’“insurrezione delle coscien-ze” che affermi e ricerchi la fraternità a livello universale. Le sette opere di mi-sericordia sono indicative di un cammino da compiersi a tutti livelli: personale, comunitario e politico. Comunque, ci vuole poco a capirlo: se io voglio bene a

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qualcuno, cioè voglio il suo bene:• gli do da mangiare bene, o meglio, gli faccio bene da mangiare;• gli procuro da bere e brindo insieme a lui con un po’ di vino;• lo aiuto a vestirsi degnamente; • gli do ospitalità a casa mia; • lo curo se è malato;• lo vado a trovare se lui non può venire a trovarmi; • gli do sepoltura quando morirà.È semplice e quotidiano!

Il mantello laceratoDagli Apoftegmi dei Padri del deserto

Un guerriero dal passato piuttosto torbido chiese ad un anacoreta se pensava che Dio avrebbe mai potuto accogliere il suo pentimento.

E l’eremita, esortato che l’ebbe con molti discorsi, gli domandò: «Dimmi, ti prego, se la tua camicia è lacerata, la butti via?...»

«No», rispose l’altro: «la ricucio e torno ad indossarla.»«Dunque», soggiunge il monaco, «se tu hai riguardo al tuo vestito di panno,

vuoi che Dio non abbia misericordia per la sua immagine?».

Diario della divina MisericordiaFaustina Kowalska

O Signore, desidero trasformarmi tut-ta nella tua misericordia ed essere il ri-flesso vivo di te.

Aiutami, o Signore, a far sì che i miei occhi siano misericordiosi, in modo che io non mi nutra mai di apparenze este-riori, ma sappia scorgere ciò che c’è di bello nell’anima del mio prossimo e gli sia di aiuto.

Aiutami, o Signore, a far sì che il mio udito sia misericordioso, che mi chini sulle necessità del mio prossimo, che le mie orecchie non siano indifferenti ai dolori e ai gemiti del mio prossimo.

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Notizie - N. 2789

Aiutami o Signore, a far sì che la mia lingua sia misericordiosa e non parli mai sfavorevolmente del prossimo, ma abbia per ognuno una parola di con-forto e di perdono.

Aiutami, o Signore, a far sì che le mie mani siano misericordiose e piene di buone azioni, in modo che io sappia fare unicamente del bene al prossimo e prenda su di me i lavori più pesanti e più penosi.

Aiutami, o Signore, a far sì che i miei piedi siano misericordiosi, in modo che io accorra sempre in aiuto del prossimo, vincendo la mia indolenza e la mia stanchezza. Il mio vero riposo sia nella disponibilità verso il prossimo.

Aiutami, o Signore, a far sì che il mio cuore sia misericordioso, in modo che partecipi a tutte le sofferenze del prossimo. Mi comporterò sinceramente anche con coloro di cui so che abuseranno della mia bontà, mentre io mi rifu-gerò nel misericordiosissimo Cuore di Gesù. Non parlerò delle mie sofferenze. Alberghi in me la tua misericordia, o mio Signore.

L’ottava opera di misericordiaJulie Lavergne

Ho trovato un’ottava opera di misericordia: rallegrare le persone tristi!

Seminare speranzariVista “il cenacolo”

Signore, donami degli occhiper vederti nudo e affamato,delle orecchie per ascoltartimentre supplichi e implori.Donami delle mani per curartiquando sei malato e prigioniero. Donami un cuore aperto per acco-gliertiquando sei straniero e senza tettonella casa della fraternità, alla mensa della condivisione.Donami l’intelligenza per costruire dei ponti,un cuore per frantumare le frontiere,l’audacia per denunciare ogni chiusurae ogni muro di divisione.Donami forza per il cammino, sostegno nelle tribolazioni,

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l’audacia nella profezia.Donami il coraggio di accorciare le distanze,globalizzare le solidarietà,riaccendere i sogni, seminare dei fiori e dei sorrisi,per un avvenire di speranza.

Otto cose che Dio non chiederà quel giornoanoniMo

1. Dio non chiederà che genere di automobile hai guidato. Chiederà quante persone hai guidato e che non avevano guida.

2. Dio non chiederà di quanti metri quadri era la vostra casa. Chiederà quante persone avete accolto favorevolmente nella vostra casa.

3. Dio non chiederà notizie sui vestiti che avete avuto nel vostro armadio Chiederà quante persone avete contribuito a vestire.

4. Dio non chiederà quanto alto era il vostro stipendio. Chiederà se siete scesi a compromessi per ottenerlo.

5. Dio non chiederà qual era il vostro titolo di studio. Chiederà se avete fatto il vostro lavoro al meglio delle vostre capacità.

6. Dio non chiederà quanti amici avete avuto. Chiederà per quante persone siete stato un amico.

7. Dio non chiederà con quale vicinato avete vissuto. Lui chiederà quale cura avete avuto per i vostri vicini.

8. Dio non chiederà qual era il colore della vostra pelle. Chiederà notizie sui vostri sentimenti e del vostro carattere.

Dio vi porterà amorevolmente alla vostra casa in Paradiso e non alle porte dell’inferno.

Vengo da SamariaOliviero Ferro

Nessuno conosce il mio nome. Quel tale che mi ha fatto entrare nel suo rac-conto ha detto che sono un samaritano. Mi sta bene così, perché quello che ho fatto è una cosa normale per me. Non ho bisogno di pubblicità. Ma, se volete, ve la racconto, a modo mio.

Era un giorno d’estate e faceva molto caldo. Avevo preparato delle cose da andare a vendere a Gerico. Ormai quella strada la conoscevo bene. L’avevo

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Notizie - N. 2791

percorsa tante volte. Dopo la sosta in un alberghetto a Gerusalem-me, stavo per ripartire, quando un amico mi ha detto di stare attento, perché in questo periodo la strada era pericolosa. Invocai l’aiuto del Signore e cominciai la discesa ver-so Gerico. Andavo piano, accom-pagnando il mio asino che faceva fatica. Era sovraccarico. Dovevo fare attenzione che non finisse in un burrone. Quando, a una curva della strada, sento qualcuno che si lamenta. Affretto il passo e vedo a terra un pover’uomo, pieno di sangue, più morto che vivo. Faccio fermare l’a-sino contro una roccia e prendo qualcosa per curarlo. Mi faceva compassione. Lui riesce a dirmi qualche parola. Certo, era stato assalito dai banditi che gli avevano portato via tutto e lo avevano picchiato per bene. Mentre lo medicavo, riesce a dirmi che era passato qualcuno prima di me. Mi pare gente che lavo-rava al tempio (un sacerdote e un levita), ma non si erano fermati. Si vede che avevano fretta. Ma a me interessava lui. Non lo conoscevo, ma lo sentivo come uno della mia famiglia. L’ho pulito per bene e l’ho fasciato. Poi l’ho messo sull’asino e piano piano siamo arrivati a Gerico. Alla prima locanda, lo affido al proprietario, gli do dei soldi e gli dico di accoglierlo come se accogliesse me. E al ritorno, concludo, aggiungerò il resto. Me ne vado a vendere tutte le mer-ci e chissà perché, faccio dei buoni affari. Finalmente, dopo essermi riposato, ritorno alla locanda e trovo l’amico, sano, in piedi. La storia non lo dice, ma ve lo dico io. Ci abbracciamo felici. Lui riprende la sua strada, io la mia. Forse non ci incontreremo più, ma io so che ho incontrato Dio e quell’uomo è diventato mio fratello. Non mi è costato molto fare questo. Mi hanno insegnato a tenere gli occhi aperti e anche il cuore. Così è stato tutto più facile.

Il segnaleBruno Ferrero

Un giovane era seduto da solo nell’autobus; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino. Aveva poco più di vent’anni ed era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.

Una donna si sedette accanto a lui. Dopo avere scambiato qualche chiac-

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chiera a proposito del tem-po, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettata-mente: «Sono stato in pri-gione per due anni. Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa».

Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore. In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro. Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli. Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.

Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, di-sperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre. Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.

Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe ripor-tato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.

Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni. Per ren-dere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall’autobus. Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino. Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe la-sciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.

Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.

Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli: «Cambia posto con me. Guarderò io fuori del finestrino».

L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la don-na vide l’albero. Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò: «Guarda! Guarda! Hanno coperto tutto l’albero di nastri bianchi».

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Notizie - N. 2793

Il mercante di Venezia (Atto IV, Scena I)William Shakespeare

La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve.

Dio ama ciò che è perdutoDietrich Bonhoeffer

Dio non si vergogna della bassezza dell’uo-mo, vi entra dentro (...) Dio è vicino alla bas-sezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emargi-nato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.

Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguar-do, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”.

Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.

Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.

Non accusare nessunoIsacco di Ninive

Non è adatto alla vita cristiana chi cerca giustizia contro qualcuno; Cristo non ha insegnato questo.

Porta con amore le pene degli infermi; piangi sui peccati dell’uomo; tripudia del pentimento del peccatore.

Non accusare nessuno. Stendi il tuo mantello sull’uomo che cade e coprilo perché nessuno lo veda.

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Le mie maniCharles Singer

Le mie mani, coperte di cenere, segnate dal mio peccato e da falli-menti, davanti a te, Signore, io le apro, perché ridiventino capaci di costruire e perché tu ne cancelli la sporcizia.

Le mie mani, avvinghiate ai mie possessi e alle mie idee già asso-date, davanti a te, o Signore, io le apro, perché lascino andare i miei tesori...

Le mie mani, pronte a lacerare e a ferire, davanti a te, o Signore, io le apro, perché ridiventino capaci di accarezzare.

Le mie mani, chiuse come pugni di odio e di violenza, davanti a te, o Signore, io le apro, deponi in loro la tua tenerezza.

Le mie mani, si separano dal loro peccato, davanti a te, o Signore, io le apro: attendo il tuo perdono.

Preghiera e MisericordiaIsacco di Ninive

Come uno che vorrebbe mietere avendo seminato nel mare, è colui che pre-ga tenendo chiuso il cuore alla misericordia.

Amalo così com’èSan Francesco d’Assisi

Non volere che tuo fratello sia cristiano migliore: amalo in ciò che esso è... e abbi sempre misericordia di questi fratelli.

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Notizie - N. 2795

Preghiera a Dio MisericordiosoDr. Raffaele Mezza

Signore ti ringrazio, quando mi fai capire che anche l’uomo adulto ha bisogno del Pa-dre.Signore ti ringrazio,quando mi fai constatare che senza di te il mondo,anche perfezionato dalle tecnologie, non farà mai progressi.Signore ti ringrazio,quando mi fai toccare con la mano che l’uo-mo,senza la tua grazia rimarrà sempre lupo contro l’altro uomo.Signore ti benedico,ogni volta che tappi i buchi della mia anima foracciata dai peccati.Signore ti benedico,per tutte le volte che colmi le falle delle mie delusioni.Signore ti benedico,per ogni volta che, additandomi i veri valori della vita,tappi i buchi dei miei insuccessi.Signore ti benedico,quando riempi col tuo amore i buchi profondi della mia solitudine.Signore ti benedico,quando mi mandi il tuo Spirito consolatoreper farmi uscire dalla angoscia.Signore ti lodo, quando mi sostieni nei miei fallimenti,ricordandomi che chi possiede te, possiede tutto.Signore ti lodo,quando nella mia presunzione di poter fare da solo,mi affaccio al baratro della disperazionee tu mi afferri con la tua mano paterna e forte.Signore ti lodo,quando la paura del doloremi fa rifugiare nelle tue braccia paterne.Signore ti lodo,quando infine tapperai il buco della mia morteriempiendolo della tua vita eterna.

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Preghiera per il Giubileo della misericordiaPaPa Francesco

Signore Gesù Cristo,tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,e ci hai detto che chi vede te vede lui.Mostraci il tuo volto e saremo salvi.Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del de-naro;l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;fece piangere Pietro dopo il tradimento,e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla sama-ritana:Se tu conoscessi il dono di Dio!Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la mi-sericordia:fa’ che la Chiesa sia nel mondo il voto visibile di te, suo Signore, risorto e nella gloria.Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezzaper sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranzae nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio.Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzioneperché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli op-pressi la libertà e ai ciechi restituire la vista.Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordiaa te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

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NotizieCentro Missionario di Belluno-FeltreHanno collaborato a questo numero: vescovo Renato Marangoni,

don Luigi Canal, don Ezio Del Favero, Josè Soccal, Chiara Zavarise,Mario Bottegal, don Giorgio Soccol e i nostri missionari

Redazione c/o: Centro Missionario Belluno-FeltrePiazza Piloni, 11 - 32100 Belluno – Tel. 0437 940594centro.missionario@diocesi.itwww.centromissionario.diocesi.it

Direttore di redazione don Luigi CanalResponsabile ai sensi di legge don Lorenzo Dell’AndreaStampa Tipografia Piave Srl - BellunoIscrizione al Tribunale di Belluno n. 1/2009

Per un aiuto economico ai nostri missionari

CENTRO MISSIONARIO DIOCESANOIBAN Bancario Unicredit IT73U0200811910000002765556 intestato aCentro Missionario DiocesanoP.zza Piloni, 11 – 32100 Belluno

Il numero precedente di Notizie è stato dedicato ad “Un bicchiere di lat-te”, mostrando il grave problema della denutrizione di milioni di bambini nel mondo e proponendo un nostro impegno a loro favore.

Ora rilanciamo questo progetto per allargare le adesioni, in favore delle comunità che già assistiamo. Sono otto: in America Latina, Africa e Asia e se possibile allargarlo ad altre necessità

Il nostro suggerimento a chi sentisse vicina al proprio cuore questa si-tuazione e volesse rimboccarsi le maniche, è di:aderire ad uno dei gruppi già esistenti che raccolgono “un bicchiere di

latte”: contattandoci, vi daremo il nominativo del responsabile della vostra zona;

formare un nuovo gruppo di amici, con cui raccogliere mensilmente l’offerta di 3 euro, da consegnare al nostro Centro Missionario, che la invierà al progetto da voi scelto. In questo caso, avremo bisogno che, tra di voi, si identificasse una persona referente, per i contatti con il nostro Centro.

La Misericordia in MissioneOpere corporali e spirituali

Introduzione del vescovo Renato pag. 1

Le sette opere di misericordia corporale pag. 3- Dar da mangiare agli affamati pag. 4- Dar da bere agli assetati pag. 8 - Vestire gli ignudi pag. 17 - Alloggiare i pellegrini pag. 23 - Visitare gli infermi pag. 28- Visitare i carcerati pag. 39- Seppellire i defunti pag. 47

Le sette opere di misericordia spirituale pag. 51- Consigliare i dubbiosi pag. 52- Insegnare agli ignoranti pag. 55- Ammonire i peccatori pag. 59 - Consolare gli afflitti pag. 64 - Perdonare le offese pag. 69 - Sopportare pazientemente le persone moleste pag. 75 - Pregare Dio per i vivi e per i morti pag. 81

Riflessioni sulla Misericordia e le opere di misericordia pag. 86

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Settembre 2016 - N. 27

La Misericordia in MissioneOpere corporali e spirituali