La guerra democratica

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Non si tratta di essere contrari alla guerra ma di essere contro questa guerra

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Pamphlet, documenti, storie

REVERSE

Michele Ainis, Tina Anselmi, Claudio Antonelli, Franco Arminio, Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Bandanas, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi, David Bidussa, Paolo Biondani, Nicola Biondo, Tito Boeri, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo, Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier,Dario Bressanini, Carla Buzza, Andrea Camilleri, Olindo Canali, Davide Carlucci,Luigi Carrozzo, Gianroberto Casaleggio, Andrea Casalegno, Antonio Castaldo, Carla Castellacci, Giulio Cavalli, Mario José Cereghino, Massimo Cirri, Marco Cobianchi, Fernando Coratelli, Carlo Cornaglia, Roberto Corradi, Pino Corrias, Andrea Cortellessa, Riccardo Cremona, Gabriele D’Autilia, Vincenzo de Cecco, Luigi de Magistris, Andrea Di Caro, Franz Di Cioccio, Gianni Dragoni, Giovanni Fasanella, Davide Ferrario, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André, Fondazione Giorgio Gaber, Goffredo Fofi, Giorgio Fornoni, Nadia Francalacci, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Vania Lucia Gaito, Giacomo Galeazzi,don Andrea Gallo, Bruno Gambarotta, Andrea Garibaldi, Pietro Garibaldi, Claudio Gatti, Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, Francesco Giavazzi, Stefano Giovanardi,Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Luigi Grimaldi,Dalbert Hallenstein, Guido Harari, Riccardo Iacona, Ferdinando Imposimato, Karenfilm,Giorgio Lauro, Alessandro Leogrande, Marco Lillo, Felice Lima, Stefania Limiti,Giuseppe Lo Bianco, Saverio Lodato, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Ignazio Marino,Antonella Mascali, Antonio Massari, Giorgio Meletti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto,Davide Milosa, Alain Minc, Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Loretta Napoleoni, Natangelo, Alberto Nerazzini, Gianluigi Nuzzi, Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Max Otte, Massimo Ottolenghi, Antonio Padellaro, Pietro Palladino, Gianfranco Pannone, Walter Passerini, David Pearson (graphic design), Maria Perosino, Simone Perotti, Roberto Petrini, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Ferruccio Pinotti, Paola Porciello, Mario Portanova, Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Sigfrido Ranucci, Luca Rastello, Marco Revelli, Piero Ricca, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Vasco Rossi, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti,Andrea Salerno, Giuseppe Salvaggiulo, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo,Michele Santoro, Roberto Saviano, Luciano Scalettari, Matteo Scanni, Roberto Scarpinato,Gene Sharp, Filippo Solibello, Giovanni Spinosa, Riccardo Staglianò, Franco Stefanoni, Luca Steffenoni, theHand, Bruno Tinti, Gianandrea Tintori, Marco Travaglio, Gianfrancesco Turano, Elena Valdini, Vauro, Concetto Vecchio, Giovanni Viafora, Anna Vinci, Carlo Zanda, Carlotta Zavattiero.

chiarelettereAutori e amici di

PRETESTO 1 fa pagina 124

“ Non si tratta di essere contrari alla guerra ma di essere contro questa guerra.”

PRETESTO 2 fa pagina 61

“ Le guerre della libertà si fanno con odio.”

Louis Antoine de Saint-Just.

fa pagina 39

“ Eravamo andati in Somalia per salvare i somali dalla fame e stiamo risolvendo il problema nel modo più semplice: ammazzandoli.”

“ Avevano appena finito di risuonare le sacre parole della Rivoluzione francese − liberté, égalité, fraternité − che le Democrazie occidentali si dedicavano al colonialismo sistematico.”

Massimo Fini, dalla prefazione a Il vizio oscuro dell’Occidente.

“Quando sento parlare di ‘diritti umani’ metto mano alla pistola. Perché vuol dire che si sta per aggredire qualcuno.”

fa pagina 5

“ ‘La guerra democratica’ si fa ma non si dichiara. La si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi, preferibilmente ‘missione umanitaria’.”

fa pagina 273

“ Condannare come terrorismo ogni guerriglia violenta significherebbe negare l’elementare diritto di resistenza all’occupazione dello straniero.”

Dalla sentenza del giudice milanese Clementina Forleo.

PRETESTO 3

fa pagina 250

“ Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate, hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva, le loro tradizioni si ripetono immutate, possiamo ritenerle sbagliate, arcaiche, ma da migliaia di anni sono rimaste immutate. Gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. Allora capisci che questo strano popolo ha qualcosa da insegnare anche a noi.”

Dalla lettera dell’alpino Matteo Miotto, caduto in Afghanistan, scritta ai giornali due mesi prima di essere ucciso in battaglia.

fa pagina 277

“Ma è il combattente che non combatte a perdere ogni legittimità, ogni dignità e onore.”

fa pagina 277

“ Se potessi farei combattere solo i robot per risparmiare le vite dei nostri soldati.”

Barack Obama.

© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A.Lorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.)Sede: Via Melzi d’Eril, 44 - Milano

isbn 978-88-6190-299-2

Prima edizione: aprile 2012

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Massimo Fini

La guerra democratica

Massimo Fini è nato a Cremeno (Lecco) da padre pisano e madre russa di Saratov, sul Volga. I suoi genitori si erano conosciuti a Parigi sul finire degli anni Venti. Lui fuggiva dal fascismo, lei dal bolscevismo.Studi classici, laurea in Giurisprudenza a pieni voti e lode con Gian Domenico Pisapia, fa vari mestieri (impiegato di seconda alla Pirelli, copywriter, pubblicita-rio in proprio, giocatore di poker) prima di approdare, nel 1970, al giornalismo, all’«Avanti!» di Milano, dove segue i più importanti fatti di cronaca nera e politica di quegli anni: l’omicidio del commissario Calabresi e il caso Feltrinelli. Alla fine del 1971 passa, come inviato, all’«Europeo» di Tommaso Giglio e vi rimane fino al 1979, quando il prestigioso settimanale viene appaltato ai socialisti e la Rizzoli era in mano a Bruno Tassan Din che due anni dopo risulterà essere la longa manus della P2 all’interno dell’azienda.Finito volontariamente a spasso, per un paio di anni vive di collaborazioni saltuarie, e al «Lavoro» di Genova, diretto da Ugo Intini, fa le sue prime prove come editoria-lista e polemista con la rubrica Contropiede. In quegli stessi anni è animatore, con Aldo Canale, del mensile di politica e cultura «Pagina», dove si sono formati o han-no transitato alcuni dei più importanti giornalisti e intellettuali italiani di oggi, da Paolo Mieli a Ernesto Galli della Loggia, da Giampiero Mughini a Giuliano Ferrara a Pierluigi Battista. Nel frattempo viene assunto, come editorialista e inviato, dal «Giorno» di Guglielmo Zucconi e Pierluigi Magnaschi. A metà degli anni Ottan-ta rientra all’«Europeo», dove tiene per undici anni la principale rubrica del setti-manale (Il Conformista). Nel 1992 lascia «Il Giorno» per partecipare all’avventura dell’«Indipendente» di Vittorio Feltri. Quando Feltri lascia per andare a dirigere «il Giornale», si rifiuta di seguirlo al quotidiano berlusconiano. «L’Indipendente» avrà ancora una buona stagione sotto la direzione di Daniele Vimercati.Terminata definitivamente l’avventura dell’«Indipendente», chiuso «L’Europeo», Zucconi lo riprende al «Giorno», poi diventato «Quotidiano Nazionale» («Il Gior-no», «La Nazione», «Il Resto del Carlino»), dove resta fino al 2009, quando Antonio Padellaro lo chiama a collaborare a «il Fatto Quotidiano», dove tiene la rubrica Battibecco. Da anni collabora a «Il Gazzettino» di Venezia. Ha fondato e diretto il mensile «La Voce del Ribelle», totalmente autogestito, per tre anni in versione cartacea e ora su web.Dal 1985 scrive libri (La Ragione aveva Torto?) il cui filone principale, salvo qualche divagazione in campo biografico o esistenziale, è una contestazione radicale del modello di sviluppo, sia liberista che marxista, partorito dalla Rivoluzione industriale (da ultimo Il Mullah Omar, Marsilio, 2011). A teatro è stato autore e attore in Cyrano, se vi pare, per la regia di Eduardo Fiorillo, e coautore, con Elisabetta Pozzi, della pièce Cassandra, che sviluppa i suoi temi antimodernisti.Divorziato, ha un figlio trentenne, Matteo.

la guerra democratica

Avvertenza 3Introduzione 5

Primo capitolo. I prodromi 9

Perché non abbiamo il diritto di fermare la guerra Iran-Iraq 11 - L’ar-roganza a stelle e strisce 13 - Chi ha paura della Germania unita? 15 - Le incognite della globalizzazione 17 - Esercito europeo. Per farla fini-ta con la Nato 20 - Volete sapere l’ultima di George Bush? 21 - Ma quali gendarmi, sono pistoleri 23 - Algeria. Lezioni di democrazia 24

Secondo capitolo. Le guerre degli anni Novanta 27

Golfo 29La guerra nell’era della tv 29 - Un gregge chiamato esercito iracheno 31 - Fermate quei poliziotti! 33

Somalia (e dintorni) 36Sulla pelle dei somali 36 - Non fatevi la guerra. Ve la facciamo noi 38 - La Casa Bianca ci porta verso la guerra mondiale 40 - Siamo noi i colpevoli in Ruanda 42 - Quando l’Africa si aiutava da sola 44

Bosnia 48Quella sana inciviltà 48 - In difesa della guerra slava 50 - Lasciamoli combattere in pace 52 - Ma chi sono i cattivi? 55 - L’Europa imbelle ai piedi degli Usa 56 - Karadzic, un criminale comodo 59 - Quel tribunale internazionale somiglia tanto a Norimberga 60

Sommario

XII La guerra democratica

Serbia/Kosovo 63Democrazie imperialiste 63 - Lasciamo che il Kosovo si difenda da sé 65 - Indecisi a tutto 67 - Curdi e kosovari, due pesi e due misure 68 - Ora la Nato farà pulizia. Etnica 70 - La guerra dei vigliacchi 73 - Kosovo: ci arriva il conto 74 - Né Cecenia né Kosovo 75 - Quei censori in malafede 77 - Dalla Bosnia con terrore 78 - Il malaffare regna nel Kosovo 80 - Elezioni farsa in Kosovo 81 - «I principi etici universali» 82

Milosevic 84 Lo scandaloso processo Milosevic 84 - Il processo dimenticato a Slo-bodan Milosevic 86 - La morte di un uomo scomodo, Milosevic. Occasione per un riepilogo 87

Terzo capitolo. L’11 settembre 97

Il rituale dell’11 settembre 99 - Gli Usa, tra forza e morale 100 - L’Occidente così leggero e vulnerabile 102

Quarto capitolo. Dopo le Torri gemelle 109

Iraq 111Contro Saddam solo il diritto del più forte 111 - Saddam Hussein e le notizie del diavolo 112 - Guerra preventiva, idea inaccettabile 113 - Che Dio ci protegga dall’America 115 - Motivi più convincenti per attaccare Saddam 117 - Lupo Bush e (l’improbabile) agnello Sad-dam 119 - L’America ha già deciso, per il rais non c’è scampo 120 - Il vero obiettivo di una guerra falsa 123 - Quando le stragi facevano comodo agli americani 124 - Petrolio, solo petrolio 126 - La vecchia Europa ha rialzato la testa 127 - Il diritto internazionale per Bush è un optional 129 - L’America nuoce a se stessa e agli alleati 130 - E alla sesta guerra la gente dice basta 132 - Il diritto della forza 133 - La fretta codarda 135 - Nel vespaio musulmano 136 - Il vizio oscuro dell’Occidente 138 - La falsa democrazia, quella totalitaria 140 - Il business della ricostruzione 142 - Le ispezioni dell’Onu ora non vanno più 143 - Quando la cura uccide il malato 144 - La democra-zia in Iraq non ha senso 146 - Tante buone ragioni per lasciare l’Iraq 148 - Ma non chiamatelo terrorismo: è guerriglia 150 - Siamo in ballo, ma quella in Iraq è guerra 151 - Il diritto di protestare 152 - Assurdo processare il nemico 153 - Armi di distruzione, un tragico

Sommario XIII

balletto 155 - È l’inizio di una guerra civile 156 - Una guerra contro gli occupanti 158 - Saddam, un feroce punto di equilibrio 160 - Il diritto di dire no ai «liberatori» 161 - Gli iracheni adesso vogliono la libertà 163 - Ammettiamo l’errore e andiamocene 166 - Continuerà la guerriglia agli stranieri 167 - Democrazia in Iraq, l’errore america-no 168 - Processo a Saddam: farlo ora è follia 170 - Nato e Usa per gli arabi sono uguali 171 - Fare la guerra chiamandola pace 173 - Quattrocchi va ricordato, ma con onori privati 174 - Noi e i canni-bali 176 - Baghdad, va in scena la svolta elettorale 178 - Un pieno di retorica 180 - Protagonismo umanitario 182 - Iraq, l’ultimo capitolo del fallimento della politica estera Usa 184

Libia 186Gheddafi e le carnevalate di Berlusconi 186 - Il conflitto in Libia va risolto solo dai libici 187 - Così la comunità internazionale crea Sta-ti figli e figliastri 188 - L’Occidente protegge se stesso 189 - Se l’Oc-cidente si crede Dio 192 - La fine della sovranità nazionale 193 - I bambini di Gheddafi 195 - Ma il rais fa il suo mestiere 195 - Passa sotto silenzio la «pulizia etnica» dei neri di Libia 197 - Della viltà dei potenti 198

Quinto capitolo. Afghanistan 201

Massacrare i Talebani per gli Usa non è reato 203 - I Talebani in ca-tene spettacolo incivile 205 - Afghanistan violentato 206 - Afghani-stan al voto. Una farsa 207 - Sull’Afghanistan l’ombra dell’Occiden-te 209 - Se la guerra va fuori dai ranghi 211 - Forse l’Afghanistan preferisce i Talebani 213 - Libano e Afghanistan, due missioni con scopi diversi 215 - Gli afghani ci cacceranno come hanno già fatto con i sovietici 216 - Quante bugie in tv sui seguaci del Mullah Omar 218 - Quando i Talebani «mangiavano» i rossi 219 - Ma non chia-miamoli terroristi 221 - Talebani terroristi? No, uomini 222 - Af-ghanistan, a Roma una «comica» conferenza 224 - Andiamocene e lasciamo che gli afghani se la sbrighino da soli 225 - Afghanistan, la pace possibile non passa per l’occupazione 227 - Una democrazia non può temere le idee degli altri 229 - Le tragedie in Afghanistan e le responsabilità occidentali 231 - Menzogna afghana (Un riepilogo dopo otto anni di occupazione) 233 - Niente «sdegno» per l’attenta-to. È stata un’azione di guerra 235 - Impossibile ormai portare de-mocrazia in Afghanistan. Si resta per l’unità della Nato 236 - Quel

XIV La guerra democratica

ridicolo tentativo di comprare i Talebani 238 - La guerra afghana vista con gli occhi dei giovani talebani 239 - Guerra in Afghanistan: una strage troppo spesso ignorata 241 - Io sto col Mullah 242 - Ba-ratti iraniani 244 - L’uomo, la macchina e il denaro 245 - Ma gli er-rori della Nato rischiano di provocare una nuova guerra civile 247 - Liberate Kabul, non Sakineh 248 - Lettere dal fronte 250 - L’inizio della fine 251 - Il nemico immaginario 253 - Afghanistan: una pace di carta 254 - Ora si tratta con il Mullah Omar? 256 - Bin Laden, messinscena che può essere utile alla pace in Afghanistan 258 - Bu-fale sul Mullah Omar 259 - Ma quale pace 261 - Italiani in Afghani-stan già odiati come «invasori». E ora la grana delle torture 263 - Trattativa allo scoperto tra Usa e Mullah Omar 264 - La cultura su-periore 266 - La versione del Mullah Omar 267

Sesto capitolo. Il combattente che non combatte... 271

Il confine fra guerriglia e terrorismo 273 - Noi, i migliori 274 - Il combattente che non combatte... 276

Cartine 279Indice dei nomi 285

la guerra democratica

Ringrazio Raffaella Todaro e Maurizio Donati. Senza la loro preziosa collaborazione questo libro non sarebbe stato possibile.

Avvertenza

Gli articoli sono riportati integralmente, così come furono pubbli-cati dai vari giornali, fatta eccezione per alcuni tagli anche consisten-ti, comunque segnalati, resi necessari per ridurre al minimo le ripeti-zioni e la correzione di alcuni evidenti errori di stampa. Il metodo seguito, oltre che tematico, è in larga misura cronologico, ma in qualche caso ho preferito quello logico, invertendo l’ordine tempo-rale dei pezzi, per rendere più fluido e coerente il racconto di vent’anni di «guerre democratiche». Insomma, trovandomi a ma-neggiare un materiale prefissato ho dovuto fare un po’ di montaggio, come in un film.

Introduzione

Da quando è collassato il contraltare sovietico le Democrazie occi-dentali, guidate dagli Stati Uniti, avendo le mani ormai libere, han-no inanellato, in vent’anni, otto guerre: conflitto del Golfo (1991), Somalia (1992), Bosnia (1995), Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), ancora Somalia, per interposta Etiopia (2006), e infine Libia (2011). E altre ne minacciano: alla Siria e soprattutto all’Iran.

Solo il primo conflitto del Golfo, avallato dall’Onu, aveva una legittimazione secondo il diritto internazionale allora vigente, per-ché Saddam Hussein aveva invaso uno Stato sovrano, il Kuwait, pe-raltro una creazione degli Stati Uniti, del 1960, ad uso dei loro inte-ressi petroliferi (del resto anche l’Iraq è un’invenzione cervellotica degli inglesi che nel 1930 misero insieme tre comunità, curdi, sun-niti e sciiti, che nulla avevano a che vedere fra di loro, cosa che avrebbe avuto una serie di gravi conseguenze). Tutte le altre sono state guerre di aggressione, variamente motivate.

La «guerra democratica» si fa, ma non si dichiara. La si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi: «operazione di poli-zia internazionale» o di «peacekeeping» o, preferibilmente, «missio-ne umanitaria». Questo equivoco, o piuttosto questa ipocrisia, ha scardinato il diritto internazionale vigente fino all’altro ieri e abbat-tuto, in particolare, il principio, prima mai messo in discussione da nessuno, della «non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano». Il grimaldello sono stati i «diritti umani». Secondo le Democrazie esisterebbero dei valori universali, assoluti, i loro, che superano le sovranità nazionali e a cui tutti gli altri Stati devono adeguarsi. Si è cominciato con la Serbia, si è proseguito con l’Afgha-nistan talebano, con l’Iraq (dove, venuta meno ogni altra giustifica-

6 La guerra democratica

zione, si è voluto portarvi a forza la democrazia) e si è finito, per ora, con la Libia.

Un altro corollario dei «diritti umani» è che è lecito alle Demo-crazie intervenire nelle guerre altrui cambiando il verdetto del cam-po di battaglia. Lo si è fatto in Bosnia trasformando i vincitori serbi in vinti. Ma andare a mettere il dito nell’ecologia della guerra, anche qualora lo si faccia con le migliori intenzioni, si traduce quasi sem-pre in un boomerang. L’esempio classico è quello della guerra Iraq-Iran, anche se risale a un periodo precedente alla teorizzazione dei «diritti umani». Quando nel 1985 l’esercito di Khomeini stava per prendere Bassora, la seconda città irachena, concludendo così la guerra, gli americani e i francesi intervennero in appoggio a Saddam Hussein, per motivi «umanitari» (non si poteva permettere alle «or-de iraniane» di entrare a Bassora, sarebbe stata una carneficina), for-nendogli ogni genere di armi, comprese quelle di «distruzione di massa», col risultato di prolungare la guerra di altri tre anni e di por-tare il bilancio dei morti da mezzo milione a un milione e mezzo, mentre il rais di Baghdad, ringalluzzito, con un arsenale nuovo di zecca, lo rovesciò sul Kuwait...1

Era un antipasto, sia pur ancor spurio, della «guerra democrati-ca». Poiché questa guerra non si presenta come tale, ma sotto le vesti di «missione umanitaria», il nemico, si tratti di Slobodan Milosevic o di Saddam Hussein o di Gheddafi o del Mullah Omar, non è mai, schmittianamente, uno justus hostis ma un criminale o un terrorista. Ai soldati del nemico non si applicano le regole dello ius belli. Se catturati, non sono trattati come prigionieri di guerra e nemmeno da detenuti comuni, ma sono soggetti senza diritti sui quali si può fare quel che si vuole, come si è visto a Guantánamo, ad Abu Ghraib e come avviene ogni giorno nelle prigioni dell’Afghanistan «libera-to». Ogni guerrigliero che si batta contro un’occupazione «democra-tica» è un criminale e si intentano grotteschi processi a combattenti che, in un’azione di guerra, si siano permessi di uccidere soldati del-le Democrazie. I loro capi, politici e militari, vengono trascinati da-vanti al Tribunale internazionale dell’Aja per i «crimini di guerra», che è un’emanazione dell’Onu ma ha questa curiosa particolarità: per quante nefandezze possano aver compiuto i soldati delle Demo-

1 Sul conflitto Iran-Iraq vedi più avanti pp. 11 e 185.

Introduzione 7

crazie (e i loro comandanti) non vi vengono giudicati. Questo avvie-ne di fatto, ma gli Stati Uniti, pur mandandovi a processo gli altri, lo affermano di diritto negando qualsiasi autorità di questo Tribunale sulle loro truppe.

La «guerra democratica» utilizza quasi esclusivamente l’aviazione, bombardieri e caccia, e sempre più spesso, soprattutto in Afghani-stan dove non riesce a piegare gli insorti, droni, aerei senza equipag-gio, ma armati di missili, teleguidati da 10.000 chilometri di distan-za. Nella «guerra democratica», in buona misura materialmente ma anche concettualmente e giuridicamente, uno solo può colpire, l’al-tro solo subire. Tanto che si può dubitare che si tratti di una guerra in senso proprio, perché ne manca l’essenza: il combattimento. Uno dei comandanti in capo della missione Nato in Afghanistan, Tommy Frank, guidava le operazioni da Tampa, in Florida, fra un whisky e l’altro. Essenzialmente tecnologica, fatta con macchine, con sistemi digitalizzati, con robot, la «guerra democratica» perde ogni epica, ogni etica e persino ogni estetica.

L’Occidente democratico si arroga il diritto di dividere il mondo in «buoni» e «cattivi», di intervenire, come «giustiziere della notte», nelle guerre altrui, di imporre, con la forza, con la violenza, con le bombe, i propri valori perché si considera una «cultura superiore» (moderna declinazione del razzismo, poiché quello classico, dopo Hitler, è diventato impresentabile) e quindi con l’obbligo morale di portare «le buone maniere» ovunque, in un tentativo di omologazio-ne a sé dell’intero esistente. È quello che in un altro libro ho chiama-to Il vizio oscuro dell’Occidente, un totalitarismo, tanto più pericolo-so perché, spesso, inconscio, che non riesce a riconoscere e nemme-no più a concepire la dignità e il diritto di esistenza dell’«altro da sé».

Bisogna ammettere, con una certa amarezza che, sconfitti i totali-tarismi nazifascista e comunista, quello democratico non si è rivelato migliore. Anzi, forse, un tantino peggiore. Perché bombarda, inva-de, occupa, uccide con la pretesa di farlo per il superiore Bene delle sue vittime. Una sorta di Santa Inquisizione planetaria. Ed è questo l’Intollerabile.

m.f.marzo 2012