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ISM Zona Italia ITINERARIO FORMATIVO ANNO 2008 – 2009 La famiglia umana, icona della Trinità nel mondo Ospitare nelle diversità

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ISM Zona Italia

ITINERARIO FORMATIVO

ANNO 2008 – 2009

La famiglia umana, icona della Trinità nel mondo Ospitare nelle diversità

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Immagine di copertina: Efeso, La via dei Kuretler (Cureti)

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ISM - ZONA ITALIA

ITINERARIO FORMATIVO 2008-2009

LA FAMIGLIA UMANA, ICONA DELLA TRINITÀ NEL MONDO OSPITARE NELLE DIVERSITÀ

LETTURA TRASVERSALE DELLE COSTITUZIONI

IN CAMMINO CON LA PAROLA

LA FAMIGLIA UMANA UNA NELLE DIVERSITÀ [PRIMO SEMINARIO DI FORMAZIONE]

LA PENTECOSTE (AT 2, 1-13) NELLA FAMIGLIA UMANA OGGI (percorso storico – esistenziale)

OSPITARE NELLE DIVERSITÀ [SECONDO SEMINARIO DI FORMAZIONE]

PIETRO OSPITE DI CORNELIO (AT 10, 9-28) L’INCONTRO CON L’ALTRO GENERA LA RESPONSBILITÀ DELL’ACCOMPAGNAMENTO (percorso storico – esistenziale)

PARRESIA E MARTYRIA [INCONTRO TERRITORIALE] PAOLO AGLI ANZIANI DI EFESO (AT 20, 17-38)

QUALE MISSIONE PER NOI OGGI? (percorso storico – esistenziale)

UNA COMUNITÀ VERSO GLI “ALTRI” L’ANNUNCIO AI PAGANI (AT 13, 1-3; 44-52)

OLTREPASSARE LE FRONTIERE PAOLO IN ASIA MINORE E A FILIPPI (AT 16, 1-15)

COMPAGNI DI VIAGGIO FILIPPO IN SAMARIA E CON L’EUNUCO (AT 8, 5-8; 26-40)

LA MISSIONE COME OSPITALITÀ RECIPROCA LA NASCITA DELLA COMUNITÀ A CORINTO (AT 18, 1-11)

IN CAMMINO VERSO L’ORIGINE PAOLO SALE A GERUSALEMME DI (AT 21, 1-14)

IN CAMMINO CON S. FRANCESCO

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Premessa

Per l’anno 2008-2009 il cammino formativo della comunità si sviluppa intorno al tema generale: “La Famiglia Umana, Icona della Trinità nel Mondo: ospitare nelle diversità”.

Si offre un unico sussidio da utilizzare per la formazione che comprende, oltre ai testi per gli incontri di Gruppo, anche quelli per i Seminari di Formazione e gli Incontri Territoriali.

Si tratta di un materiale di lavoro con il quale costruire i vari incontri; le unità tematiche non seguono né una cronologia per definire il "prima" e il "dopo", né un rigoroso ritmo mensile per evitare di fissare in modo rigido il numero di incontri durante l'anno.

Ogni missionaria, gruppo, territorio saprà trovare le forme più adeguate per utilizzare al meglio questo materiale, accogliendolo come una traccia aperta da interpretare con uno sforzo in più di creatività e di adattamento.

Il testo biblico prescelto è quello degli Atti degli Apostoli, che leggiamo solitamente nel Tempo pasquale. È il libro delle origini della Chiesa, in obbedienza al mandato missionario del Signore Gesù prima di essere elevato al cielo: «Lo Spirito santo verrà su di voi e riceverete da lui la forza per essermi testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria e fino all’estremità della terra» (At 1,8). Si descrive così il “viaggio” della Parola di Dio in cerchi sempre più ampi, fino a comprendere tutta quella che noi chiamiamo “famiglia umana”.

La narrazione degli Atti vuole indicare il nascere e il diffondersi di ciò che noi chiamiamo “religione cristiana”, con il nome simbolico: “la via” (At 9,2; 19,9.23; 24,22), “la via del Signore” (At 18,25), “la via [di Dio]” (At 18,26); Paolo la indica allo stesso modo (cfr. At 22,4; 24,14). Nel viaggio della Parola di Dio i discepoli sono appunto seguaci della “via”: diventano discepoli sulla strada della missione. Con ciò gli Atti sembrano indicare una direzione permanente per ogni generazione cristiana.

La Parola di Dio è vista come un “seme”: negli Atti assistiamo al suo viaggio. «La Parola di Dio cresceva e si diffondeva»: questa espressione torna tre volte e segna quasi una scansione interna del testo. La Parola di Dio è destinata a una diffusione universale, fino all’estremo confine simbolico della terra, allora conosciuto. Da qui ricaviamo un possibile schema del libro:

At 1, 1-6,7: la Parola in Gerusalemme At 6, 8-12,25: la Parola supera i confini della Giudea At 13, 1-19,20: la diffusione della Parola tra gli altri popoli At 19, 21-28,31: la Parola giunge fino al confine della terra Questa crescita e diffusione della Parola è il piano teologico del libro. Noi

seguiremo alcune pericopi prese da varie parti, cogliendo il momento nel

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quale la Parola supera i confini della Giudea e delle genti, soprattutto grazie alla figura di Paolo e dei suoi collaboratori e amici.

È una Parola che va “oltre”, che si pone sui confini, che non teme di “uscire da”. È nella sua natura questo movimento: non si tratta di una strategia, magari pastorale! Questa stessa Parola conduce i suoi annunciatori ad essere uomini in viaggio, capaci di oltrepassare i confini e di stare su di essi. Un’icona quanto mai forte per la nostra situazione di oggi.

La Parola di Dio cerca “casa” presso le genti, in città e ambienti inediti; supera resistenze e tentativi di possesso esclusivo, per diventare il seme che fa crescere tutti. Non teme le diversità di lingue e di culture, di provenienze etniche e religiose: il movimento impresso il giorno di Pentecoste spinge continuamente oltre il viaggio della Parola e con lei dei discepoli che ne sono costituiti segno e annunciatori. Tra questi eccelle, negli Atti, la figura di Paolo di Tarso. L’Anno Paolino che stiamo vivendo con tutta la Chiesa e, sin dall’inizio a Roma, in prospettiva squisitamente ecumenica, trova così una eco nella nostra comunità, che negli Esercizi si è già soffermata sulla Lettera ai Romani.

Noi ascoltiamo oggi questa parola degli Atti a partire dal nostro contesto particolare. Viviamo nel pieno di un cambio d’epoca difficile da decifrare e da abitare. Respiriamo un’aria favorevole a nuove discriminazioni e muraglie tra genti e popoli diversi. Siamo tentati di deporre il sogno di Dio di una famiglia umana unita di cui noi cristiani siamo l’umile primizia e il segno per tutti. Siamo cristiani chiamati al Vangelo in un tempo che ci obbliga a dire un sì della fede non scontato e che sia credibile per noi e per chi incontriamo, soprattutto nei segni della comunione e dell’ospitalità.

Questa “Parola in cammino” sta al centro anche del nostro itinerario formativo globale di quest’anno, per aprirci alla famiglia umana, icona della danza dell’amore trinitario nel mondo, spazio aperto per accogliere la realtà di un Padre che tutti ospita, a partire dai più piccoli, nell’abbraccio della Sua misericordia.

Nelle prime tre unità, che verranno utilizzate anche per i due Seminari e l’incontro territoriale, è indicato un tema per un percorso storico-esistenziale; tale indicazione è assente nelle rimanenti unità e quindi consegnata all’elaborazione di ciascuna realtà locale.

Viene affidata alle singole ed ai gruppi la lettura trasversale delle Costituzioni a partire dal tema dell’anno.

Entriamo in questo cammino con umile confidenza: Signore, ti prego di liberarci in questo anno di cammino fraterno dall’ansia

di prestazione spirituale, di “fare” delle pratiche devote.

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Rendici aperti e docili, tranquilli nel profondo, sereni di fronte a quello che attualmente non va in noi, personalmente e come comunità, insieme a quanto vediamo di indecifrabile e oscuro intorno a noi.

Siamo come siamo, però davanti a Te. Donaci umiltà e fiducia, guardando a Maria, la prima discepola che

accoglie la Parola e la mette in pratica, con Paolo di Tarso, afferrato dalla Parola e divenuto “schiavo di Cristo” per l’annunzio alle genti, con Francesco d’Assisi, uomo tutto evangelico e con Chiara, donna nuova, con Armida Barelli e p. Agostino Gemelli, innamorati di Cristo nel mondo.

ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE • Joseph A. Fitzmeyer, Gli Atti degli Apostoli. Introduzione e commento,

Queriniana, Brescia 2003. • Rinaldo Fabris, Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2004. • G. C. Bottini – N. Casalini, «Trama e teologia degli Atti degli Apostoli» in

Liber Annuus XLIX – 1999, Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme. • Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana

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(I SEMINARIO DI FORMAZIONE)

LA FAMIGLIA UMANA UNA NELLE DIVERSITÀ LA PENTECOSTE (AT 2, 1-13)

In ascolto degli Atti

[1]Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. [2]Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. [3]Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; [4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. [5]Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. [6]Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. [7]Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? [8]E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? [9]Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, [10]della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, [11]Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio». [12]Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l'un l'altro: «Che significa questo?». [13]Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto».

Spunti per la lectio e l’attualizzazione

In questa narrazione l’autore descrive e rappresenta con immagini e suoni di eventi concreti e sensibili un duplice mistero vissuto e sperimentato solo dai credenti:

a) l’avvento misterioso dello Spirito Santo: nel quadro di fenomeni entusiastici legati allo Spirito, l’autore racconta l’esperienza reale dell’effusione dello Spirito del Signore risorto. b) l’universalità della salvezza che esso comunica, come è significato dal fatto che coloro che lo ricevono si esprimono in altre lingue, diverse dalla loro.

Questo secondo significato è confermato dal seguito dell’episodio narrato in At 2,5-13: ciò che gli apostoli dicono è compreso nella loro lingua da ciascuno di coloro che li ascoltano e che rappresentano Giudei e uomini religiosi provenienti da ogni popolo “di quelli che sono sotto il cielo”, come si legge in At 2,5-6 e di cui dà una lunga lista in At 2,9-11, come se volesse significare che essi rappresentavano la totalità dei popoli della terra abitata e da lui

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conosciuta. Il giorno di Pentecoste che si compie è quello predetto dai profeti, nel quale si realizza la salvezza attraverso la separazione tra i Giudei e i Gentili e per mezzo del dono dello Spirito Santo la salvezza è destinata ad ogni uomo che ascolta e accoglie con fede la testimonianza apostolica su Gesù Cristo. Questa ipotesi di interpretazione trova conferma nelle parole che l’autore lascia dire a Pietro per spiegare il fatto. Egli inizia a parlare citando per esteso Gl 3,1-5 che inizia con queste parole riportate in At 2,17: “E negli ultimi giorni avverrà, dice Dio, (che) effonderò il mio Spirito su ogni carne e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie”. Quindi il dono dello Spirito Santo che Dio ha riversato sugli apostoli e su coloro che erano nello stesso luogo il giorno della Pentecoste non è altro che l’inizio e quindi il segno dell’effusione generale o universale dello Spirito che Dio ha promesso di riversare su ogni carne o essere umano vivente. Lo scopo di questa effusione è la salvezza, come risulta da At 2,21: “E avverrà (che) ognuno che invocherà il nome del Signore sarà salvato”. Il dono della salvezza apre i credenti alla missione universale, come Luca sottolinea con forza spostando la scena dalla casa nella quale i discepoli sono rinchiusi alla piazza pubblica nella quale la folla raccolta sembra preannunciare il raduno di Israele dalla dispersione in mezzo alle nazioni.

Lo Spirito è una forza dono di Dio, che cambia i rapporti tra le persone.

Pentecoste rovescia l’esperienza di Babele, dove gli uomini volevano costruire un sistema di potere unificante (la torre) le culture con l’imposizione di una sola lingua. Pentecoste dice, invece, che l’unità della famiglia umana non si fonda sul controllo e la pianificazione delle culture, ma sulla condivisione della stessa esperienza interiore, fonte di libertà.

Quando l’esperienza umana è condivisa la diversità delle lingue non è un ostacolo alla comunicazione.

Ciascuno può intendere il Vangelo nella propria lingua: la missione cristiana non tende a far entrare le persone in un “movimento”, sequestrandole (proselitismo), ma le vuole riunire nel loro ambiente di vita e dentro la propria cultura (testimonianza come condivisione).

Percorso storico-esistenziale: Nella famiglia umana oggi

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(II SEMINARIO DI FORMAZIONE)

OSPITARE NELLE DIVERSITÀ

PIETRO OSPITE DI CORNELIO (AT 10, 9-28)

In ascolto degli Atti

[9]Il giorno dopo, mentre essi erano per via e si avvicinavano alla città, Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare. [10]Gli venne fame e voleva prendere cibo. Ma mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi. [11]Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi. [12]In essa c'era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo. [13]Allora risuonò una voce che gli diceva: «Alzati, Pietro, uccidi e mangia!». [14]Ma Pietro rispose: «No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo». [15]E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano». [16]Questo accadde per tre volte; poi d'un tratto quell'oggetto fu risollevato al cielo. [17]Mentre Pietro si domandava perplesso tra sé e sé che cosa significasse ciò che aveva visto, gli uomini inviati da Cornelio, dopo aver domandato della casa di Simone, si fermarono all'ingresso. [18]Chiamarono e chiesero se Simone, detto anche Pietro, alloggiava colà. [19]Pietro stava ancora ripensando alla visione, quando lo Spirito gli disse: «Ecco, tre uomini ti cercano; [20]alzati, scendi e và con loro senza esitazione, perché io li ho mandati». [21]Pietro scese incontro agli uomini e disse: «Eccomi, sono io quello che cercate. Qual è il motivo per cui siete venuti?». [22]Risposero: «Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, stimato da tutto il popolo dei Giudei, è stato avvertito da un angelo santo di invitarti nella sua casa, per ascoltare ciò che hai da dirgli». [23]Pietro allora li fece entrare e li ospitò. Il giorno seguente si mise in viaggio con loro e alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono. [24]Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli ed aveva invitato i congiunti e gli amici intimi. [25]Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. [26]Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anch'io sono un uomo!». [27]Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: [28]«Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo.

Spunti per la lectio e l’attualizzazione

Questo racconto si trova al centro degli Atti. L’incontro tra Pietro e l’ufficiale Cornelio segna per la prima chiesa la fine del sistema di separazione fondato sui tabù sociali e religiosi. Questo fatto assieme al concilio di Gerusalemme sono le due tappe decisive del superamento del sistema legale giudaico, perché la missione cristiana esce dall’ambito del giudaismo per

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andare incontro alla famiglia umana. Cornelio inaugura la prima chiesa delle genti, ma l’iniziativa discende da Dio che dona il suo Spirito. Pietro riceve la visione mentre è in preghiera; in essa la tovaglia piena di “quadrupedi d’ogni specie” rimanda esplicitamente a Gen 1,24, da dove si sviluppa una teologia della creazione che non permette divisioni tra sacro e profano. Pietro riceve una chiamata che lo rende segno profetico del superamento delle barriere e quindi dell’apertura ai Gentili. Nell’episodio della conversione di Cornelio, l’autore diventa teologicamente più esplicito per mostrare che lo Spirito Santo è dato da Dio a coloro che credono in Gesù Cristo e che questo non è diverso da quello ricevuto a Pentecoste, all’inizio, dagli apostoli che lo testimoniano. Pietro è perplesso: resta sul confine della fatica di comprendere e di ospitare questa inaudita novità. Supera ogni incertezza grazie alla mozione dello Spirito e così può a sua volta ospitare Cornelio e i suoi inviati. In At 11,15-16 Pietro narra il fatto della conversione di Cornelio a Gerusalemme davanti ai credenti provenienti dalla circoncisione. In At 15,7-9 rievoca di nuovo l’accaduto nella riunione della Chiesa, degli apostoli e degli anziani a Gerusalemme. In At 15,10 nega che si debba imporre il giogo della legge ai credenti e conclude dicendo in At 15,11: “Ma per mezzo della grazia del Signore Gesù crediamo essere salvati allo stesso modo anche loro”. Questa conclusione permette di supporre che, secondo l’autore, la salvezza si consegue per mezzo della grazia del Signore Gesù Cristo e che questa grazia opera per mezzo dello Spirito Santo che Dio dona ai credenti in Cristo.

“Dio non mostra alcuna parzialità” (At 10,34), dichiara Pietro. Dio chiama sia i Giudei che i non Giudei alla salvezza tramite Gesù Cristo, rispettando tutti gli esseri umani, di ogni nazione, che cercano la verità e si comportano con giustizia e rettitudine.

Pietro è condotto quasi per mano a superare il tabù del puro/impuro e della separazione: oltrepassa le frontiere della sua appartenenza etnica e religiosa per aprirsi all’incontro con l’altro.

L’incontro e l’ospitalità reciproca tra Pietro e Cornelio genera un vero percorso di accompagnamento verso una nuova esperienza umana e religiosa. Ciascuno vede schiudersi un orizzonte inedito e un cammino di conversione.

Pietro ritorna più volte su questo episodio, che lo ha realmente cambiato, come ogni incontro con l’altro.

Percorso storico-esistenziale:

L’incontro con l’altro genera la responsabilità dell’accompagnamento

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(INCONTRI TERRITORIALI)

PARRESIA E MARTYRIA

PAOLO AGLI ANZIANI DI EFESO (AT 20, 17-38)

In ascolto degli Atti

[17]Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. [18]Quando essi giunsero disse loro: «Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: [19]ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. [20]Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, [21]scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù. [22]Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. [23]So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. [24]Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio. [25]Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. [26]Per qu esto dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, [27]perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio. [28]Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. [29]Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; [30]perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. [31]Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. [32]Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati. [33]Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. [34]Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. [35]In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!». [36] Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. [37] Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, [38] addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.

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Spunti per la lectio e l’attualizzazione Si tratta di un discorso di congedo, dove Paolo riflette sul proprio lavoro, sul suo ministero e sulla sua testimonianza ed esorta i presbiteri di Efeso a imitare il servizio da lui reso alla Parola, mentre lui prosegue il viaggio verso un destino ignoto. Tre parti scandiscono il brano: lo sguardo al passato (vv. 18-21), quello sul futuro (vv. 22-25) e il testamento (vv. 26ss.). Nel brano c’è già la prefigurazione della fine dell’attività missionaria di Paolo e il passaggio alla sua passione: l’Apostolo segue così il destino di Gesù, salendo a Gerusalemme con la stessa determinazione del Maestro (cf. Lc 9,51). Assistiamo così al passaggio dagli apostoli, testimoni oculari della risurrezione, alla seconda generazione cristiana. Il v. 32 sembra una chiave per interpretare tutto il testo: “Ed ora vi affido al Signore e al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare…”. I presbiteri sono affidati al Vangelo, a quella parola che ha il potere di salvare. Nessuno possiede o custodisce la Parola, ma è la Parola che custodisce e salva. In questo modo l’Apostolo sembra illuminare la sua stessa esperienza di apostolo, “avvinto” dalla Parola e per questo in grado di annunciarla a tutte le genti. Questa “cattura” è all’origine della parresìa cristiana: la franchezza nel testimoniare quanto si è sperimentato in prima persona discende dalla certezza di non essere portatori di un proprio messaggio ma della Parola di Dio “viva ed eterna”. La vigilanza richiesta a chi annuncia (v. 28), fa sì che colui che è afferrato dalla Parola, non la brandisce come una spada ma se ne lascia conquistare in vista della martyrìa, la testimonianza fino al dono della vita. Ecco allora la libertà dell’Apostolo che può affidare gli anziani di Efeso alla Parola e non essere un possessore gioioso della loro fede, quanto un collaboratore della loro gioia. Fa parte della franchezza e della testimonianza del credente la libertà rispetto ai beni e alla salvaguardia del proprio guadagno e interesse. Veramente avvinto dalla Parola, Paolo non ha vissuto tanto un distacco ascetico dai beni, quanto la certezza di essere preso da un tesoro più grande: il Signore Gesù che “da ricco che era per noi si fece povero” e i poveri che, secondo i Padri della Chiesa, sono i suoi “vicari” sulla terra.

Paolo ha reso testimonianza a Giudei e Greci (v. 21), senza distinzione. La missione non conosce confini, non conserva coloro che già sono “dentro” il recinto, sa che tutti siamo in cammino verso il Regno. La famiglia umana è l’unico confine della testimonianza cristiana.

La testimonianza richiede la libertà dall’attaccamento ai beni e dalla soggezione, di qualsiasi tipo, ai potenti di questa terra, che sembrano

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assicurare ciò che mantiene in vita. Il credente nella misura in cui vive affidato “alla parola della sua grazia” diventa libero dai poteri terreni e dai loro idoli.

Per questo il credente sa anche denunciare le derive idolatriche di qualsiasi potere umano, rimettendo al centro dell’attenzione quei piccoli e poveri che ci rimandano al primato di Dio.

Percorso storico-esistenziale: Quale missione per noi oggi?

Alloggiare i pellegrini

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UNA COMUNITÀ VERSO GLI “ALTRI” L’ANNUNCIO AI PAGANI (AT 13, 1-3; 44-52)

In ascolto degli Atti

[1]C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. [2]Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». [3]Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono.

[44]Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. [45]Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. [46]Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. [47]Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra». [48]Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. [49]La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. [50]Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. [51]Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, [52]mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

Spunti per la lectio e l’attualizzazione Luca inizia il racconto del viaggio missionario di Paolo e Barnaba, quasi

come un’introduzione agli altri viaggi, una matrice della missione tra i pagani, e al “concilio” di Gerusalemme (At 15). È la chiesa di Antiochia che li invia, in seguito ad un’esplicita direttiva dello Spirito. Né Barnaba né Saulo scelgono di propria iniziativa di intraprendere questa missione. Essi sono gli strumenti eletti dello Spirito, che continua a costituire l’energia dalla quale parte ogni nuova tappa della diffusione della Parola di Dio: essi sono “inviati dallo Spirito Santo”, nel seno di una comunità radunata per il culto, nel digiuno e nel gesto di imporre le mani. Una comunità attenta allo Spirito diventa luogo da cui si sprigiona la missione, l’andare oltre se stessi: una chiesa veramente estroversa!

Dopo il discorso di Paolo ad Antiochia di Pisidia, si manifesta la tensione che l’annuncio produce tra i Giudei della città, che restano comunque i primi destinatari dell’annuncio. Proprio il loro rifiuto porta gli apostoli a volgersi

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verso i pagani, i quali «si rallegravano e glorificavano la parola di Dio» (v. 48). Grazie al kerygma il rapporto dei nuovi discepoli è direttamente rivolto alla parola, che in tal modo continua a diffondersi (v. 49).

Gli Atti possono essere descritti come “il viaggio della Parola”. Prima che di quelli degli apostoli e soprattutto di Paolo, si tratta del cammino che lo Spirito apre alla Parola nell’ecumene, fino al limite simbolico allora conosciuto. In diversi punti del libro è evidente che è proprio lo Spirito ad aprire sentieri nuovi, chiudere altri progetti solo umani ecc. La “parola cresceva e si diffondeva” per virtù propria, animata com’è dallo Spirito Santo. Una parola che attinge dalla croce la sua energia (dynamis) e la sua novità. È proprio la parola scandalosa della croce a permettere che il Vangelo si diffonda presso le genti, spalancando gli orizzonti ad un mondo nuovo.

Il card. Suhard ha scritto che essere missionario «non consiste nel dedicarsi a un'opera di propaganda, né nell'accendere la gente, ma nell'essere un mistero vivente. Significa vivere in modo tale che la vita non avrebbe più alcun senso se Dio non esistesse».

Ci chiediamo quale percorso la Parola ci stia aprendo oggi nelle nostre vite e comunità. I segni che comprovano questo passaggio sono quelli dei frutti dello Spirito e dell’audacia apostolica. Spesso, come la chiesa madre, il viaggio della Parola rallenta tra le pastoie delle nostre paure e comodità… ritarda per la qualità scarsa del nostro ascolto quotidiano, personale e comunitario… per la nostra autoreferenzialità che si chiude alla parola dell’uomo, dei segni dei tempi… dei modi altri di sperimentare e dire/balbettare il Mistero…

Dar da mangiare agli affamati

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OLTREPASSARE LE FRONTIERE PAOLO IN ASIA MINORE E A FILIPPI (AT 16,1-15)

In ascolto degli Atti

[1]Paolo si recò a Derbe e a Listra. C'era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco; [2]egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. [3]Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco. [4]Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. [5]Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno. [6]Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia. [7]Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; [8]così, attraversata la Misia, discesero a Troade. [9]Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: «Passa in Macedonia e aiutaci!». [10]Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore. [11]Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e [12]di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni; [13]il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite. [14]C'era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. [15]Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.

Spunti per la lectio e l’attualizzazione Siamo all’inizio di un’altra parte degli Atti, con l’inizio del secondo viaggio

apostolico di Paolo. L’intenzione è quella di consolidare la fede delle comunità già fondate. Nelle lettere paoline troviamo innumerevoli tracce di questo aspetto dell’evangelizzazione, che è quello di consolidare la fede, la carità, la vita interna delle comunità cristiane. Tra i tanti esempi, richiamo quello di Romani 16 nel quale vediamo Paolo preoccuparsi di Gerusalemme, di Roma, di Efeso e di vari discepoli che chiama per nome. Anche in Galati e Corinzi la sollecitudine dell’Apostolo, anche affettiva, raggiunge dei vertici significativi.

Al cap. 16 inizia il racconto del più importante viaggio missionario di Paolo. Notiamo nei primi 5 versetti tre punti: a) si parla di un collaboratore, Timoteo, che poi sarà molto importante: Paolo non resta solo; b) Fa

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circoncidere Timoteo, facendosi così “tutto a tutti”, “Giudeo con i giudei” per salvare ad ogni costo qualcuno (cf. 1Cor 9,20); c) Il fine è rinvigorire la fede delle comunità e diffondere le decisioni del ‘concilio’ di Gerusalemme.

Nei vv. 6-10 continua il brano narrativo, con la descrizione, un po’ confusa geograficamente, del viaggio di Paolo. Quello che interessa Luca è mostrare come il vero obiettivo sia l’Europa, dove lo Spirito (menzionato 2 volte più 1 volta Dio) spinge la missione. Si passa al v. 10 al “noi”, che fa irrompere lo stesso Luca nel racconto.

La visione del Macedone è descritta con i toni di una vocazione veterotestamentaria (cf. Is 6,8; Ger 1,5-10). Paolo risponde ad una chiamata che dischiude ancora nuovi orizzonti alla missione, non ridotta all’iniziativa umana.

Giunti in Europa, Paolo e i suoi cercano i giudei, come sempre, per iniziare l’annuncio: è una costante della missione paolina, che profitta della vasta diaspora giudaica e della rete stradale e marittima dell’Impero per la diffusione del Vangelo, che è sì guidata dal cielo ma sempre attraverso gli ordinari mezzi umani. Il cuore di una certa Lidia è aperto dal Signore per aderire alle parole di Paolo: anche qui Luca sottolinea con decisione l’opera dello Spirito nell’evangelizzazione. Dopo il battesimo Lidia invita tutti nella sua casa. Dove germoglia la fede, lì nasce la famiglia dei figli di Dio, la comunità dei discepoli, stretti anche da legami di umana appartenenza.

La missione paolina passa attraverso una fitta rete di relazioni umane. Si cerca la sinagoga, si accoglie l’ospitalità di qualche famiglia, si “fa casa” presso qualcuno… è uno stile da cui apprendere molto. Nella nostra società policentrica, anzi “a coriandoli” o addirittura ridotta a “poltiglia”, non sarà l’incontro personale e feriale, l’annuncio che parte dall’amicizia e dall’umana comprensione a segnare i passi del Vangelo? Quante chiamate ci giungono da tanti possibili interlocutori? Abbiamo le orecchie del cuore aperte per ascoltarle?

Se la preoccupazione per le modalità e i contenuti dell’annuncio diventa preponderante, saremo capaci di tessere relazioni, riconoscere le chiamate che ci giungono, dare tempo alle persone? Le nostre solitudini spesso non sono anche il frutto di una certa ansia da prestazione?

La missione obbedisce non tanto ad un programma pianificato nei minimi dettagli in antecedenza, quanto all’obbedienza interiore allo Spirito che apre il cammino.

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COMPAGNI DI VIAGGIO FILIPPO IN SAMARIA E CON L’EUNUCO (AT 8, 5-8; 26-40)

In ascolto degli Atti

[5]Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo. [6]E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. [7]Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati. [8]E vi fu grande gioia in quella città. [26]Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e và verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». [27]Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etiope, un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, [28]se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia. [29]Disse allora lo Spirito a Filippo: «Và avanti, e raggiungi quel carro». [30]Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». [31]Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. [32]Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,così egli non apre la sua bocca. [33]Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. [34]E rivoltosi a Filippo l'eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». [35]Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù. [36]Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse: «Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?». [37]. [38]Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò. [39]Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. [40]Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa.

Spunti per la lectio e l’attualizzazione Filippo è uno dei sette scelti dagli apostoli per il servizio delle mense. Qui

ci è mostrato in un’intensa opera di evangelizzazione oltre i confini della Giudea e del popolo eletto. La prima tappa è la Samaria, una terra diversa e contrapposta al giudaismo ufficiale. Già Gesù l’aveva percorsa e vi aveva operato (cf. Gv 4). L’ascolto della parola, i miracoli e il battesimo segnano l’attività di Filippo, che produce la gioia, secondo un tratto tipicamente lucano.

Più avanti il testo ci mostra l’incontro con l’eunuco, che fa intravedere popoli veramente “altri e lontani”, addirittura dall’Africa profonda, premere

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alle porte della salvezza. In tal modo l’autore ci mostra il progredire del comando di Gesù nell’atto di ascendere al cielo: “Andate e annunciate il Vangelo a tutte le genti”. Dalla Samaria all’Africa: Luca mostra il viaggio del Vangelo in tutta la sua ampiezza. Si parla di un eunuco: se Dt 23,1 proibiva la loro ammissione al popolo eletto, Is 56,3-5 contiene la promessa per gli eunuchi fedeli. La salvezza non è limitata ad alcuno. Non è chiaro se l’eunuco fu “il primo pagano” (Eusebio di Cesarea) ad essere convertito al cristianesimo, o se fosse un proselito, un simpatizzante del giudaismo. L’episodio, dopo l’annuncio in Giudea e Samaria, sembra preparare il terreno al cap. 10, nel quale ha inizio veramente la missione ai pagani con Pietro.

Per alcuni interpreti questo episodio è parallelo al racconto di Gesù che cammina lungo la via di Emmaus insieme ai due discepoli. Se questa interpretazione fosse esatta, mostrerebbe come a Luca prema presentare questa storia della prima comunità cristiana come il seguito della storia di Gesù da lui già raccontata. Torna così il tema della fede come narrazione e racconto della storia di morte e di resurrezione di Gesù che fa dei discepoli compagni di viaggio nella ricerca e nella fede.

L’accento lucano cade comunque sul modo in cui la Parola di Dio si è diffusa fino a raggiungere un personaggio influente appartenente a una diversa cultura, proveniente da una nazione remota, e che si era recato a Gerusalemme in pellegrinaggio. E la conversione avviene grazie alla testimonianza dell’evangelizzatore Filippo.

Il viaggio della Parola si spinge oltre i confini stabiliti e, secondo la logica della prassi di Gesù, predilige i territori estranei, stranieri, addirittura “fuori” dalla zona più ‘sacra’. Al discepolo è chiesto di essere così obbediente alla Parola da seguirne la traiettoria con audacia e umiltà.

La strada è il luogo della narrazione e dell’annuncio della fede: discepoli in cammino si raccontano attraverso le loro vita la vicenda del Maestro che è passato per la via paradossale della sofferenza e della morte. La fede senza la narrazione muore.

Filippo si mette a sedere accanto allo straniero e lo accompagna, pronto a lasciarlo camminare da solo dopo il battesimo: l’apertura del credente alla famiglia umana rispetta i ritmi e i cammini di ciascuno e si fa compagno di viaggio nella conversazione e nel dialogo che parte dall’amore.

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LA MISSIONE COME OSPITALITÀ RECIPROCA LA NASCITA DELLA COMUNITÀ A CORINTO (AT 18, 1-11)

In ascolto degli Atti

[1]Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. [2]Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro [3]e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. [4]Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci. [5]Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo. [6]Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani». [7]E andatosene di là, entrò nella casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. [8]Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare. [9]E una notte in visione il Signore disse a Paolo: «Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, [10]perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città». [11]Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio.

Spunti per la lectio e l’attualizzazione Dopo la disillusione sulla possibilità di annunciare la “stoltezza” della

Croce ad Atene, Paolo si porta a Corinto, città greca rifondata dai Romani e capitale dell’Acaia, centro multietnico e commerciale. In questo crocevia di popoli, Paolo incontra la locale comunità giudaica e concretamente due coniugi giudeo-cristiani, Aquila e Priscilla, che avevano dovuto lasciare Roma in seguito all’editto dell’imperatore Claudio. Presto viene raggiunto da Sila e Timoteo, formando così una comunità domestica dedita all’annuncio del Vangelo tramite l’ospitalità. Vediamo qui un esempio di esercizio fraterno ed ecclesiale del reciproco sostegno in vista dell’Evangelo. Paolo che lavora con gente comune ci mostra la possibilità reale di vivere la radicalità evangelica senza estraniarsi dalla vita quotidiana né giudicandola duramente. Nella casa dei coniugi convergono diversi carismi, che insieme contribuiscono a disegnare la forma della fede cristiana vissuta come lievito nel mondo, assumendone le ricchezze. Appare così urgente un cristianesimo che torni ad essere ospitale nei confronti dei tanti legami che si sviluppano nella rete di relazione della vita quotidiana, che risulta essere tanto significativa per l’esperienza spirituale.

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È evidente che «il cristianesimo ha sempre perduto il proprio sale e il proprio fermento quando ha ceduto alla tentazione di coltivare il benessere dello spirito nel disprezzo della vita del mondo. Ne va della fede nella creazione e nell’incarnazione. Ne va della croce e della risurrezione del Signore. Ne va dell’onore di Dio e della dignità dell’uomo in un sol colpo» (P. Sequeri).

Paolo cambia residenza e si ferma a Corinto in seguito ad un sogno che gli garantisce l’assistenza celeste: il Signore, infatti, ha un popolo numeroso in quella città. Sembra avvenire il passaggio dal sospetto alla Koinōnía (comunione). Gli Atti riportano la tensione tra i Giudei e i cristiani e tra la chiesa madre e le nuove comunità dei gentili. Si tratta di qualcosa che ritorna sempre nella storia della Chiesa. In fondo la storia della diffusione del vangelo altro non è che lo schiudersi continuo di popoli, lingue e culture all’incontro con Cristo. Il fine non è l’allargamento di un sistema, quanto la testimonianza nel mondo della chiamata di tutti i popoli a divenire un’unica famiglia, dei cui la comunità dei discepoli di Gesù è primizia e segno (cfr. LG). In ogni popolo il Signore ha un popolo che gli appartiene e lì lo Spirito ci precede e ci apre la via. L’evangelizzazione che cosa altro è se non questo esercizio di obbedienza allo Spirito, nell’apertura ai suoi segni, barlumi e annunci?

Nel nostro contesto, sempre più segnato da secolarizzazione, torna attuale un modello di vita e di annuncio cristiano che sa fare del l’amicizia e dell’incontro con gli altri il primo luogo di annuncio. Per dirla con Paolo VI: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (Ecclesiam suam, 67). E ancora: «Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la vanità d'inutile conversazione. Se certo non mira ad ottenere immediatamente la conversione dell'interlocutore, perché rispetta la sua dignità e la sua libertà, mira tuttavia al di lui vantaggio, e vorrebbe disporlo a più piena comunione di sentimenti e di convinzioni. Suppone, pertanto, il dialogo uno stato d'animo in noi, che intendiamo introdurre e alimentare con quanti ci circondano: lo stato d'animo di chi sente dentro di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione dell'umano discorso»

(Ecclesiam suam, 81-82).

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IN CAMMINO VERSO L’ORIGINE PAOLO SALE A GERUSALEMME DI (AT 21, 1-14)

In ascolto degli Atti

[1]Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara. [2]Trovata qui una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo. [3]Giunti in vista di Cipro, ce la lasciammo a sinistra e, continuando a navigare verso la Siria, giungemmo a Tiro, dove la nave doveva scaricare. [4]Avendo ritrovati i discepoli, rimanemmo colà una settimana, ed essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme. [5]Ma quando furon passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro con le mogli e i figli sin fuori della città. Inginocchiati sulla spiaggia pregammo, poi ci salutammo a vicenda; [6]noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case. [7]Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide, dove andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro. [8]Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui. [9]Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. [10]Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. [11]Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani». [12]All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. [13]Ma Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». [14]E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».

Spunti per la lectio e l’attualizzazione Siamo giunti all’epilogo della missione di Paolo, che dopo il discorso agli

anziani di Efeso riprende il suo viaggio per Gerusalemme, dove ha in programma di arrivare per la festività giudaica di Pentecoste (58 d.C.). Luca descrive le tappe del viaggio, sino a Tiro, dove i cristiani locali lo esortano a non proseguire e comunque lo accompagnano con la loro preghiera (motivo lucano tipico) fino alla nave. Prosegue quindi per Cesarea di Filippo, dove Paolo si ferma a casa di Filippo, l’evangelista. Il suo ministero e i carismi di profezia delle sue figlie ci mostrano una comunità cristiana ricca di doni e carismi diversi con i quali il Cristo risorto arricchisce la chiesa in vista dell’edificazione comune. Agabo (già menzionato in At 11,28) simbolicamente lo informa del destino che lo attende a Gerusalemme. Malgrado gli avvertimenti degli amici, l’Apostolo compie risolutamente il suo viaggio a Gerusalemme. In ciò egli è come Gesù nel vangelo di Luca, che affronta risolutamente il suo cammino verso la città del proprio destino (cf. Lc 9,51).

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Da Cesarea Paolo viene scortato via terra a Gerusalemme. Il ritorno di Paolo nella Città santa avviene sotto la guida dello Spirito, anche se i cristiani di Tiro «mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme» (v. 4). Eppure la decisione di Paolo resta ferma «per amore del nome del Signore Gesù» (v. 13). Vediamo così come lo Spirito guida i viaggi di Paolo e le sue fatiche missionarie. Lo Spirito che lo aveva designato con Barnaba per la prima missione (cf. 13,2), è lo stesso che ora tramite Agabo gli fa sapere che sarà consegnato nelle mani dei pagani. Convinto della presenza di Cristo risorto con lui (cf. 18,9-10), Paolo è pronto a tutto, anche ad essere imprigionato e morire; la sua determinazione fa eco anche all’annuncio della passione di Gesù in Lc 18,31-34.

«La Chiesa adempie la propria vocazione quando è presente di fronte alle rotture che crocifiggono l'umanità nella sua carne e nella sua unità. Gesù è morto dilaniato tra cielo e terra, le braccia protese a riunire i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li volge gli uni contro gli altri e contro Dio stesso. Egli si è posto sulle linee di frattura nate da questo peccato. In Algeria, ci troviamo su una di queste linee sismiche che attraversano il mondo: Islam/Occidente, Nord/Sud, ricchi/poveri. Siamo proprio al nostro posto, giacché è in questo luogo che si può intravedere la luce della risurrezione» (Mons. Pierre Claverie, Vescovo di Orano in Algeria, parole scritte poco prima di morire ucciso nel 1996).

«Annunciare Gesù Cristo per Paolo è stata una necessità che nasceva dall’amore per Lui. Ciò significa che chi incontra Cristo non può fare a meno di annunciarlo, sia con la vita che con le parole. Come disse dell’apostolo un altro figlio della nostra terra, Giovanni Crisostomo, “è in virtù dell’amore che Paolo è diventato quello che è stato. Non venirmi a parlare dei morti che ha risuscitato, né dei lebbrosi che ha sanato; Dio non ti chiederà niente di questo. Procurati l’amore di Paolo e avrai la corona perfetta” (Panegirico III su Paolo 10). Il sangue che l’apostolo versò a Roma intorno al 67 d.C. sotto l’imperatore Nerone, non fu altro che il naturale epilogo di una vita spesa per Cristo e per i propri fratelli. Tempo prima ai cristiani di Filippi aveva scritto: “anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento e ne godo con tutti voi” (2,17)» (Lettera dei Vescovi della Turchia per l’Anno Paolino).

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IN CAMMINO CON S. FRANCESCO 1. Missione come pellegrinaggio verso l’altro: il bacio al lebbroso All’inizio della sua conversione S. Francesco compie l’incontro decisivo

con il lebbroso, mediante il quale cambia il mondo delle sue relazioni; non capiremmo il suo desiderio di pace se non comprendessimo come S. Francesco, attraverso il lebbroso, incontra lo sguardo compassionevole di un Dio umile. Dopo ciò non sa che unirsi in una unica fraternità con questo mondo di umiliati, di emarginati, che erano i lebbrosi del suo tempo, diventando attento agli uomini nel segno della misericordia. Si tratta di un vero e proprio pellegrinaggio verso l’altro, che al tempo di Francesco s’imbatte in tre tipi di frontiere e di esclusione che provocano paura: il lebbroso fisico, il lebbroso morale, il lebbroso spirituale .

1) Il bacio al lebbroso fisico è ben conosciuto. L’incontro è avvenuto al di là delle mura di Assisi. Dopo avere rotto il muro tra i sani e gli infermi, Francesco percorre il suo primo cammino di conversione: è disposto ad ascoltare il Cristo entrando nella chiesetta di san Damiano.

2) Il secondo muro si alza fra i benpensanti e il bandito che vive nei

boschi, al margine della città: è il lebbroso morale. Nella Leggenda perugina alcuni frati del romitorio vogliono dare loro da mangiare, altri pensano che questo sarebbe incoraggiare il male. S. Francesco, venendo nel luogo, è invitato a fare un discernimento. Risolve il caso di coscienza chiedendo di vedere i briganti come fratelli che soffrono la fame e di dar loro una lezione morale soltanto dopo averli incontrati: «Andate, procuratevi del buon pane e del buon vino, portateli a loro nei boschi dove sapete si trovano e chiamateli gridando: “Fratelli briganti, venite da noi: siamo i frati e vi portiamo buon pane e buon vino! Essi verranno subito da voi, allora voi stenderete per terra una tovaglia…e li servirete con umiltà e allegria”» (LP 115). Restano fratelli, mentre sono briganti; umiltà e buon umore devono andare di pari passo quando s’incontra l’altro.

3) Infine, c’è il lebbroso nel senso spirituale: è il non-cristiano, il ‘pagano’ dell’Asia e soprattutto il musulmano, membro della ‘razza schiava’, discendente di Agar e Ismael. Anche qui Francesco attraversa la frontiera, la grande muraglia, della paura del Saraceno, “figlio del diavolo”. La guerra con l’altro mondo, il mondo delle tenebre, non è una guerra di clan come era il caso dell’Europa di quel tempo, ma una guerra santa contro il Male, una lotta tra due sistemi. Due sistemi si fronteggiano. Hanno potuto mobilizzare anche i mistici! Dalla parte cristiana, nel secolo XII, San Bernardo fu richiesto dal suo studente diventato papa di predicare la crociata. Bernardo scrive che si possono uccidere i Musulmani : “Uccidendo

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un malfattore non si comportano come omicidi però, se ho l’audacia di dirlo, come malecidi”. I fedeli cavalieri hanno il diritto di andare a purificare la Terra santa “dalla sporcizia dei Saraceni immondi”, come scrive il papa Gregorio IX. S. Francesco si inserisce in tutt’altra logica.

2. La missione come annuncio di pace Francesco nei suoi scritti parla delle relazioni tra i frati in un contesto di

misericordia e di compassione. Possiamo pensare che questa via lo porti a scoprire la sua vocazione evangelica a vivere nella pace e ad annunizarla. Nel Testamento, scritto pochi giorni prima di morire, leggiamo: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto, il Signore ti dia pace». La prima vita di Celano testimonia che il saluto dei primi frati con S. Francesco era: il Signore vi dia pace. Riportare la pace sarà la sua missione più grande, come testimoniano le Fonti. Con la canonizzazione S. Francesco diventerà il santo dei miracoli: nelle fonti appare soprattutto messaggero di quella pace che, in una civiltà in piena trasformazione, rappresenta un nuovo tipo di relazioni fra gli uomini.

Nella Regola non bollata, al cap. 16 si parla dei frati che vanno tra i

saraceni e gli altri infedeli. È la prima regola di un Ordine che ha un capitolo sulla missione e che per di più vi inserisce anche i saraceni. È il primo testo cristiano che parla dei saraceni non in chiave offensiva – distruggerli, difendersi – ma in chiave propositiva: annunciare loro il Vangelo. Secondo studi autorevoli, i capp. 1-17 della Regola non bollata sarebbero stati scritti prima del Concilio Lateranense IV (1215) in cui si emetterà il decreto "Spedizione per recuperare la Terra Santa" e nel quale è detto che dinanzi al fatto che i musulmani attaccano i cristiani con violenza, l’unica risposta è la guerra per liberare il sepolcro di Cristo. Il metodo che S. Francesco adotta verrà approvato "ad experimentum" nel 1221, ormai dopo il Concilio Lateranense IV. S. Francesco propone un metodo evangelico di annuncio e di presenza tra i musulmani: «Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo mini-stro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione. I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Rnb 16,1-6: FF 42-43).

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Il Corano esalta la dolcezza di Gesù testimoniata dai monaci cristiani, e

questo sembra trovare una eco in S. Francesco, il quale chiede ai frati di restare sottomessi ad ogni creatura. Sempre il Lateranense IV proibisce ai cristiani di stare sotto autorità pagane o saracene, perché questo è indegno di un battezzato. Il Poverello dice: siano sottomessi a ogni creatura, anche ai saraceni. Sembra citare quindi la 1Pt: “siate sottomessi ad ogni autorità umana”, e invita i frati a riconoscere anche l’autorità dei musulmani come proveniente da Dio. E’ lo stile della missione proprio della minorità, in modo da confessare di essere cristiani con la vita e con l’esempio.

Il secondo modo è: «L'altro modo è che quando vedranno che piace al

Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non “sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio”» (Rnb 16,7: FF 42-43).

E’ l’esplicita predicazione del Vangelo. Ma quando viene l’ora? S. Francesco non fa un piano strategico. S. Francesco dice "quando piace al Signore": mentre i frati vanno per il mondo sono chiamati a discernere in ogni situazione quello che piace al Signore. Per i suoi contemporanei i saraceni erano pagani e infedeli. S. Francesco sa che adorano il Dio di Abramo e allora non dice: annunzino loro che Dio esiste, ma annunzino loro che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè annuncino quello che a loro manca: la Trinità e la Pasqua, il Figlio è salvatore e redentore. Essi sanno che c’è un Dio grande e misericordioso e non c’è bisogno di annunziarlo. Dice ancora si facciano cristiani, non siano fatti cristiani. Nella loro libertà aderiscano al Vangelo. La libertà di S. Francesco raggiunge qui uno dei suoi vertici più alti.

S. Francesco, mentre ha chiesto per se stesso il martirio, è il solo fra i suoi contemporanei ad avvertire la chiamata ad evangelizzare i musulmani, quale dovere più alto del diritto di difendersi da loro e di attaccarli. Non troviamo niente di simile in altri documenti dell’epoca.

Certo, dopo le decisioni del Lateranense IV l’Assisiate avrà sperimentato

la sua impotenza. Nella Chiesa risuonava un’altra voce e S. Francesco, come al solito, non critica. S. Francesco andrà personalmente in Terra Santa, ma non si parla di un suo pellegrinaggio a Gerusalemme (c’era la scomunica di Onorio III). Potremmo dire che S. Francesco non è andato in Terra Santa per visitare innanzi tutto i luoghi santi ma per stare con i musulmani, per annunciare il Vangelo, come lui stesso prescrive ai frati. Infatti torna e farà di Greccio una nuova Betlemme, celebrando l’Eucaristia sul presepio: non c’è bisogno di andare a Betlemme, perché Cristo è là dove si celebra l’Eucaristia.

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E vorrà fare della Porziuncola un luogo in cui si può ottenere misericordia e indulgenza, anche al di fuori della Terra Santa.

Il nucleo centrale di quanto S. Francesco chiede ai frati è raccolto nella

Lettera a tutto l’Ordine, scritta dopo il 1220 al ritorno dalla Terra Santa. All’inizio di questa lettera compone un salmo che i frati devono imparare ed usare nella predicazione: «Ascoltate, miei signori, figli e fratelli e prestate orecchio alle mie parole. Inclinate l’orecchio del vostro cuore e obbedite alla voce del figlio di Dio» (vv. 5-6: FF 216).

Questi frati inviati per la missione sono innanzitutto uomini, cristiani che hanno ascoltato il Vangelo. Non predicano un messaggio che hanno imparato a memoria ma qualcosa che hanno ascoltato per primi, Non devono convertire nessuno, ma testimoniare ciò che ha toccato innanzitutto la loro vita. E quale è quest’annuncio? «Lodatelo perché è buono ed esaltatelo nelle opere vostre, perché per questo vi mandò per il mondo intero, affinché rendiate testimonianza alla voce di lui con la parola e con le opere e facciate conoscere a tutti che non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui» (vv. 8-9: FF 216). Secondo alcuni, l’espressione che S. Francesco ripete spesso, "Non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui" evocherebbe la grande proclamazione coranica "Dio è il più grande" ascoltata nei minareti di Damietta. S. Francesco invita ancora a pregare e a prostrarsi davanti a Lui tre volte al giorno e anche di più: alcune espressioni sembrano richiamare il fascino che la pietà islamica può aver esercitato su di lui.

Questa onnipotenza non è innanzitutto forza evocatrice ma bontà e

amore: “facciate conoscere che non c’è nessuno onnipotente eccetto Lui, che per sua grazia e amore ci ha creati. Annunciare la bontà e l’amore”. Lodatelo - continua S. Francesco - nelle opere vostre. Non sono opere eccezionali, ma le opere di chi si è lasciato trasformare dall’annuncio di pace. Secondo questo testo, la missione dei frati – anche per i saraceni, senza distinzioni – consiste nel proclamare l’annuncio del mistero di Dio, del Suo amore onnipotente e di quanto questa realtà opera nella vita di chi lo accoglie.

Secondo S. Francesco dunque la missione rivolta a tutti non può che muoversi su questa linea: testimonianza attraverso la presenza e la vita e poi, quando piacerà al Signore, con la Parola.

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“Ogni volta che avete fatto

queste cose a uno solo

di questi miei fratelli più piccoli,

l’avete fatto a me”

(Mt 25, 40)