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ERATO Cultura… Costume… Sindacato… Attualità IV TRIMESTRE 2013 ottobre – novembre - dicembre BUON NATALE A chi ama dormire ma si sveglia sempre di buon umore, a chi saluta ancora con un bacio, a chi lavora molto e si diverte di più, a chi va in fretta in auto, ma non suona ai semafori, a chi arriva in ritardo ma non cerca scuse, a chi spegne la televisione per fare due chiacchiere, a chi è felice il doppio quando fa a metà, a chi si alza presto per aiutare un amico, a chi ha l’entusiasmo di un bambino e pensieri da uomo, a chi vede nero solo quando è buio a chi non aspetta Natale per essere migliore Emanazione del Gruppo Culturale Ricreativo ERATO CIDA-INPS, costituito in seno al SINDACATO NAZIONALE DEI DIRIGENTI E DELLE ALTE PROFESSIONALITÀ DELL’INPS ADERENTE ALLA CIDA Via Ciro il Grande n.21- 00144 ROMA -Tel. 06 59057488 -89 Fax 06 5915686 email: [email protected] - sito web: www.cidainps.it

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ERATO

Cultura… Costume… Sindacato… Attualità

IV TRIMESTRE 2013 ottobre – novembre - dicembre

BUON NATALE

A chi ama

dormire ma si sveglia

sempre di buon umore, a chi saluta

ancora con un bacio, a chi lavora molto e si diverte di

più, a chi va in fretta in auto, ma non suona ai semafori, a chi arriva

in ritardo ma non cerca scuse, a chi spegne la televisione per fare due chiacchiere, a chi è

felice il doppio quando fa a metà, a chi si alza presto per aiutare un amico, a chi ha l’entusiasmo di un bambino e pensieri da uomo, a chi vede nero solo quando è buio

a chi non aspetta Natale per essere migliore

Emanazione del Gruppo Culturale Ricreativo ERATO CIDA-INPS, costituito in seno al SINDACATO NAZIONALE DEI DIRIGENTI E DELLE ALTE

PROFESSIONALITÀ DELL’INPS ADERENTE ALLA CIDA Via Ciro il Grande n.21- 00144 ROMA -Tel. 06 59057488 -89 Fax 06 5915686

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ERATO CIDA-INPS

CULTURA… COSTUME… SINDACATO… ATTUALITÀ A DIFFUSIONE INTERNA ONLINE

Tutti i diritti sono riservati In caso di riproduzione totale o parziale citare la fonte

SOMMARIO 3 in punta di penna 5 l’angolo della poesia 6 sono passati cent’anni e più 7 cinema.. cinema: impegno e disimpegno 8 alimentazione e salute 9 sognatori… rivoluzionari… 11 alle radici della storia 12 arti e mestieri 14 spiritualità 16 forum: leggi e regolamenti 17 romavagando 18 un racconto breve 20 a tavola con lo chef 22 universo donna 23 florilegio 24 mostre e concerti 25 in libreria 26 blok notes 28 per strappare un sorriso 30 sindacato… sindacale…sindacato

34 il nostro organigramma Il progetto grafico è di Silvana Costa; il BUON NATALE della copertina di anonimo. www.silvanacosta.it - [email protected] - ceramicando blog spot silco

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IN PUNT A DI PENNA

ROTTAMAZIONE E POLITICA

(rottamare, rottamaio, rottamati, rottame) di Carmelo Pelle *

Secondo i più accreditati vocabolari della lingua italiana, rottamazione significa il rottamare, l’essere rottamato, il rottamaggio; rottamare, smantellare una struttura o smontare un macchinario, rottamaio chi svolge l’azione del rottamare. Rottame è la cosa o la parte di essa rotta o inutilizzabile. Suoi sinonimi: relitto, catorcio, ferro vecchio, carcassa, larva, cadavere, zombi… Non preoccupatevi, amici lettori, non intendo impartirvi una lezione sul nostro bell’idioma o raccontarmi come rottamaio o rottamato… Niente di tutto questo… Desidero solo ricordare, l’avrete intuito dal titolo, l’introduzione dei lemmi in esame nella politica. Senza andare troppo lontano, ha incominciato il governo Berlusconi, seguito da quelli di Bersani, Monti ed ora di Letta per incentivare i consumi, aiutare le imprese, favorire l’occupazione soprattutto giovanile ed accelerare la “ripresa”. Li abbiamo seguiti – come non farlo, spinti da tali nobili sollecitazioni? – e così abbiamo rottamato elettrodomestici, trattori, automobili, telefonini e quanto ogni altro, anche quando non ne avevamo bisogno, dimentichi che non di rado ciò che rottamavamo era di migliore qualità e tenuta dei loro sostituti appena acquistati, con durata programmata da parte delle aziende produttrici. Quando si dice: “Popolo bue…” Il corso delle cose – mi viene in mente il titolo del primo libro di Andrea Camilleri, uscito nel 1978, bellissimo che ho ricevuto in regalo dalla moglie Rosetta, mia collega di ufficio con tanto di dedica dell’autore, – è proseguito e dal rottamare le cose o parti di esse, in applicazione inconsci della teoria dell’evoluzione della specie di Darwin, ha incominciato a parlare, pochi anni fa, un giovane toscano, Matteo Renzi, di rottamazione dell’intera classe politica, poi scoperta vera e propria casta. Stupore generale. Parola d’ordine di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, nel frattempo eletto a stragrande maggioranza nelle fila del PD: “Tutti a casa!” Gli ha fatto eco un comico - che resta tale - prestato alla politica, Beppe Grillo, con urli indiscriminati di tutti i sinonimi che ho sopra elencato, ed il suo tradizionale rafforzativo di volgarità “Vaffa”. Purtroppo la politica urlata con frasi offensive ha fatto proseliti: dalla componente oltranzista dei sostenitori di Berlusconi alla Lega. Inaccettabile. Ho seguito Renzi, sindaco di Firenze, non solo attraverso le varie Tv e la stampa di diverso orientamento, ma anche mediante testimonianze dirette: a Firenze vivono alcuni miei cugini e molti amici. Mi hanno detto un gran bene del loro Sindaco, che è stato votato anche dai delusi del bunga-bunga di Berlusconi e dagli sconcertati grillini… Così l’8 dicembre, sono andato a votarlo alle primarie del PD, al quale mi ero iscritto sin dalla fondazione, ma al quale non avevo, come tanti altri, rinnovato l’adesione, sconfortato dalla Segreteria di Veltroni e successivamente di Bersani, e dalla Presidenza del Partito, Massimo D’Alema e Rosy Bindi. Nei giorni precedenti lo avevo ascoltato in varie occasioni e letto le sue dichiarazioni, confrontandole con il suo programma: tra i tre concorrenti Cuperlo, Renzi e Civati, con programmi quasi simili è quello che mi ha convinto di più: l’ho votato e fatto votare.

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A Roma, l’8 dicembre spirava un forte vento di tramontana ed ad un certo punto è incominciato a piovere. Sono stato in fila per circa un’ora prima di accedere al seggio: molti i giovani, moltissime le donne, parecchi gli anziani; tutti pazienti ad aspettare il loro turno davanti ad una coda lunghissima. Di tanto in tanto un operatore del Partito invitava i presenti tesserati ad uscire dalla fila, perché avevano una corsia privilegiata: peraltro evitavano la registrazione, essendo già immatricolati, e non erano tenuti al versamento del contributo di € 2,00 avendo già pagato la tessera. Mi sono così accorto che pochi si sfilavano ed aderivano all’invito; tutti gli altri erano semplici cittadini che votavano PD, ma che sicuramente volevano un cambiamento della sua classe dirigente. “Renzi è l’ultima spiaggia” erano i commenti “potrebbe essere il Tony Blair italiano… mai stato comunista… mai avuto la tessera della DC… si è impegnato molto nel sociale… come sindaco a Firenze ha fatto e sta facendo bene…” Naturalmente ero d’accordo e tenevo banco con chi, riconoscendomi, mi salutava con affetto e si congratulava perché ancora alla mia età credevo ad un sogno… “Se anche Renzi fallisce, rispondevo, di volta in volta, con tono deciso, non voto più.” A sera, alle prime proiezioni, poi confermate dai risultati finali, ho esultato: votanti circa 3 milioni, Renzi 68,03%, Cuperlo 18,01%, Civati 13,6%. Un trionfo, oltre le aspettative più rosee. Il discorso di investitura è stato un capolavoro di arte oratoria politica: solo una “scaletta” e poi “a braccio”! Sa gridare come Berlusconi, Grillo, Vendola e Maroni, ma con eleganza e rispetto degli avversari – non nemici – incalzandoli sul loro terreno, proponendo però soluzioni concrete e rapide. Prioritari: la legge elettorale, da definire entro il prossimo Febbraio, l’abolizione delle Province, la riduzione delle spese della politica ai vari livelli, interventi mirati nell’economia per renderla più equa, la diminuzione della pressione fiscale, l’abbattimento della disoccupazione soprattutto giovanile, i correttivi al pacchetto Bertero, sull’ingresso al lavoro e sull’uscita, provvidenze per gli esodati, massicci interventi per la ripresa. Il tutto entro il 2014 -definito l’anno delle riforme- con il Governo Letta. Nel 2015 si andrà a voto e si vedrà… ll giorno dopo la plebiscitaria elezione ha azzerato tutte le precedenti cariche nel Partito, nominando la Segreteria, composta da 9 membri di cui 5 donne, con età media 35 anni, mantenendo a tempo record la parola data: “Tutti a casa, hanno fatto il loro tempo”. Come rottamaio mi ha entusiasmato e credetemi non solo me… Lo stesso giorno, 9 dicembre 2013, fatale per i rottamati, Il Corriere della sera pubblicava una vignetta a firma di Giannelli, che rappresentava un autobus guidato da Renzi corredato da un cartello con la scritta “Fine corsa” dal quale scendevano, tra gli altri della “vecchia guardia” D’Alema e Rosy Bindi, che non saranno ricandidati alle elezioni al Parlamento Europeo, indette per la primavera prossima, Anna Finocchiaro e Pier Luigi Bersani. Geniale!

*[email protected] pelleilcalabro.blogspot.com

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L’ANGOLO DELLA POESIA

di Lina Gonnella*

Alla mia Pescopagano (Un po’ per gioco…) Qui dove abito io talvolta con la mente e col cuore talvolta d’estate, l’ora più attesa è quella del tramonto quando la calura si stempera nel fresco della sera e tutte insieme si accendono le luci del corso rincorrendo le prime ombre della notte. Ora le foglie dei platani si fanno d’argento e le bianche pietre dell’antico castello ad una ad una narrano la nostra storia. Questa è l’ora in cui “Tutta vestita a festa La gioventù del loco Lascia le case, e per le vie si spande; E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.”1

E mentre a poco a poco i paesi lontani, sparsi sulle alture, si svelano ammiccanti di luci, sullo sfondo di un cielo stellato, invisibile altrove, il mio sguardo si smarrisce nella vana ricerca di orizzonti certi e raggiungibili “E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”2

1 Giacomo Leopardi da “Il Passero solitario” 2 Giacomo Leopardi da “L’Infinito” Amicizia Inesorabili gli anni seguendo impervi sentieri lasciano tracce indelebili di sé. Ma la nostra amicizia rimane salda, limpida generosa e discreta. Mai intaccata dal tempo

A mio padre Con antica fierezza ricusi il sostegno di chi ti sta accanto mentre il rossore nascosto tra rughe profonde invade il tuo volto. Certo rimpiangi gli slanci generosi della mente e del cuore che un tempo ti facevano immortale. Ora sai. E’ umana follia credere che gioventù e vigore ci appartengano per sempre. Eppure tu ancora conservi l’antica bellezza e lucido il pensiero. E anche ora che il tempo disperde le nostre certezze in te riscopriamo il senso della vita. Notte in campagna Al chiaror della Luna quando fuori tacciono i grilli e rapido il buio serpeggia tra alberi e viali mentre un silenzio inquietante cattura il respiro della notte io veglio, miei cari, il vostro sonno placido e profondo e invento per voi nuove canzoni Radici Non cedere al fascino delle grandi metropoli… Qui gli antichi affetti Qui l’amore perso e ritrovato Qui riposa la tua gente Qui è la tua casa Questa è la tua terra

*[email protected]

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SONO PASSATI CENT’ANNI E PIÙ di Silvana Costa* CENTENARIO DI VASCO PRATOLINI - scrittore e sceneggiatore nasce a Firenze il 19 ottobre 1913 da un'umile famiglia fiorentina. Orfano di madre a 5 anni, risiede con i nonni in un tipico quartiere cittadino, spesso protagonista dei suoi romanzi che rappresentano il momento migliore della tradizione realista e, in parte, della corrente neorealista della letteratura italiana della quale Pratolini è uno degli iniziatori insieme a Italo Calvino, Elio Vittorini e Cesare Pavese. In seguito, appena adolescente va a vivere da solo e si mantiene lavorando come operaio in una bottega di tipografi e svolgendo altri vari mestieri, tra cui, il cameriere, il venditore ambulante e il rappresentante, tutti lavori che però alterna con lo studio di Dante, Dickens, Manzoni, e poi Jack London, Charles Dickens, Mario Pratesi, Federigo Tozzi. Letture disordinate, che rispondono ad un’unica vocazione: quella di diventare scrittore. In Pratolini forte è il desiderio di raccontare. Tramite il pittore Ottone Rosai, inizia a scrivere di politica, e dal 1935 al 1938 diviene redattore, assieme a Romano Bilenchi e a Elio Vittorini del periodico politico il Bargello, grazie al quale focalizza e perfeziona la sua "coscienza proletaria" e di classe, ma è soprattutto il Vittorini che lo porta dalla politica alla letteratura e pubblica i suoi primi scritti letterari nel 1937 su Letteratura. Nel 1938 fonda con Alfonso Gatto la rivista Campo di Marte, distribuita dall'editore Vallecchi e soppressa dopo un anno dal regime fascista. Partecipa attivamente alla Resistenza, e nel 1939 a Roma, prende parte alla lotta partigiana e nel 1941 pubblica il suo primo romanzo Il tappeto verde. Passa un breve periodo a Milano dove lavora come giornalista poi si trasferisce a Napoli, dove rimane sino al 1951; qui insegna all'Istituto Statale d'Arte "Filippo Palizzi" e intanto scrive nel 1947 Cronache di poveri amanti, e Cronaca familiare, opere animate da uno sguardo d’amore, da legami affettivi con la propria gente, da un dolore privato, come per la scomparsa del fratello in Cronaca familiare, e nel 1949 Un eroe del nostro tempo e Le ragazze di San Frediano. Dopo la pubblicazione di Cronache di poveri amanti e Cronaca familiare, i due romanzi che lo imposero al pubblico e alla critica, si è sempre più affermato anche nei premi letterari, vincendo il Premio Viareggio, il premio Feltrinelli dell'Accademia d'Italia e il premio Marzotto. Negli stessi anni lavora come giornalista e collabora alla sceneggiatura di alcuni famosi film: Paisà di Roberto Rossellini, Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, ma oltre alle sue parole, rimangono le immagini dei film tratti dai suoi libri, da Carlo Lizzani per “Cronache di poveri amanti” (1954) a Valerio Zurlini per “Cronaca familiare” (1962) - Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia - a Mauro Bolognini per “Metello” (1970). Cronache quotidiane appunto, rapporti d’amore e di odio. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando il ricordo di Firenze comincia lentamente a sfumare decide di scrivere la trilogia “Una storia italiana”: un affresco storico che riunisce il mondo operaio in “Metello”, tipico personaggio del sottoproletariato fiorentino ormai però lontano dal clima della lotta; il mondo borghese ne “Lo scialo” che descrive la storia della borghesia ai tempi dell'avvento del regime fascista. Il protagonista rinuncia ai suoi ideali giovanili socialisti per opportunismo e convenienza, ma al centro dell'attenzione dell'autore vi è proprio la borghesia, che grazie al fascismo raggiunge una posizione di privilegio; e infine quello degli intellettuali nell’“Allegoria e derisione”. Una lunga storia che narra gli ultimi anni del fascismo, la guerra mondiale, e la lotta partigiana e che fu in seguito definita dai critici “ancora una storia troppo fiorentina” e “ancora troppo poco italiana”. Alla pubblicazione della trilogia fa seguito un lungo periodo di silenzio, interrotto solo nel 1981 dalla pubblicazione de "Il mannello di Natascia" contenente testimonianze e ricordi risalenti agli anni Trenta. Vasco Pratolini muore a Roma il 12 gennaio del 1991 all'età di 78 anni. ● da Cronaca familiare: L'uomo è come un albero e in ogni suo inverno levita la primavera che reca nuove foglie e nuovo vigore. ● da Il quartiere: Olga mi chiese: “Ma come si fa ad essere sicuri di amare?” Improvvisamente mi vennero delle parole alle labbra; senza una percezione della posta che stavo giocando, dissi: “È facile,credo. Quando si pensa ad una persona giorno e notte, e non si è felici se non accanto a lei, allora siamo innamorati. Io per esempio sono ormai sicuro di non amare che te.” ● Ha scritto di lui il critico letterario Carlo Salinari: “Pur movendosi nel mondo squallido e triste dei poveri, Pratolini non è il poeta della disperazione, ma il poeta della speranza"

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CINEMA CINEMA: IMPEGNO E DISIMPEGNO di Giuliana Costantini*

Molti i film nelle sale, in quella che si annuncia come una stagione cinematografica decisamente interessante. In particolare ci preme rilevare l'abbondanza della produzione italiana, anche se non sempre di qualità. E’ proprio in questa ottica che vi proponiamo per l’impegno, due pellicole: SOMETHING GOOD con Luca Barbareschi, Alessandro Haber, Gary Lewis, Zhang Jinghu. Italia, 2013 Di questo film, Luca Barbareschi ha curato anche la regia, affrontando il genere “thriller impegnato” con un tema inusuale: le sofisticazioni alimentari. Il protagonista, Matteo Mercury, è un trafficante senza scrupoli in alimenti tossici che permettono grandi profitti con lo smercio in paesi dove la fame preoccupa più della genuinità: Matteo pensa di aver raggiunto il culmine dei suoi desideri, quando è nominato direttore generale ad Hong Kong. La vita però, gli riserva ben altro, incontrerà una giovane madre cinese il cui figlio è morto proprio per i cibi adulterati: sarà l’amore e le sue scelte cambieranno radicalmente, anche se il prezzo da pagare per diventare onesto, sarà il più alto. Film abbastanza riuscito, con un Barbareschi convinto e convincente, ma soprattutto originale, presentandoci il profitto come il vero unico fine, anche in un campo come quello delle industrie alimentari che pure dovrebbe essere controllato e garantito per tutti. IL VENDITORE DI MEDICINE . Regia di Antonio Morabito, con Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Ignazio Oliva. talia, 2013. Anche questo film affronta un tema attuale , conosciuto, ma poco proposto dal mondo dello spettacolo. Bruno, il protagonista, è un informatore scientifico che è riuscito ad ottenere da alcuni medici, in cambio di regali, la costante prescrizione ai propri pazienti dei prodotti di cui è rappresentante. In un difficile momento di riduzione del personale, viene spinto dalla sua capo area, una Isabella Ferrari decisamente brava, ad allargare il giro. Si tratta di coinvolgere un celebre oncologo e di far prescrivere farmaci costosissimi, anche se non necessari. L’informatore, privo di scrupoli, molto ben interpretato da Santamaria, si rivelerà capace di tutto pur di tenersi stretto il suo posto di lavoro. Il film è dunque centrato sul reato di comparaggio, ovvero su quei medici disonesti, naturalmente non tutti, che in cambio di regali o favori di ogni genere, prescrivono medicinali specifici a vantaggio di case farmaceutiche determinate, pur sapendo che i malati potrebbero farne a meno. La pellicola ha suscitato molte polemiche e reazioni decise da parte degli informatori scientifici che ritengono il fenomeno molto circoscritto. Comunque, l’argomento, anche se fosse trattato con eccessivo cinismo, è senza dubbio attuale ed intrigante. Per il disimpegno vi proponiamo: SOLE A CATINELLE. Regia di Gennaro Nunziante con Checco Zalone, Aurore Erguy, Orsetta De Rossi. Italia, 2013 E’ il fenomeno della stagione ed ha sbancato il botteghino. Si potrebbe a questo proposito parlare di successo spiegabilissimo, perché in tempo di crisi il pubblico vuole ridere o almeno sorridere, ma il film ha incassato cifre da capogiro e quindi, piaccia o non piaccia questa è la comicità dei nostri giorni. Trama abbastanza semplice, con Checco che pensa di aver raggiunto la stabilità economica vendendo aspirapolvere, ma poi perde tutto. Senza tuttavia rinunciare al suo ottimismo, promette al figlio, ancora alle elementari, una vacanza da sogno se prende tutti dieci nell’ultima pagella. La vacanza arriverà, con una serie di vicende grottesche, in un’Italia dove truffatori e snob, imprenditori e megalomani, artisti, finanzieri e operai “vivono” come su un palcoscenico e nessuno in realtà è risparmiato dall’ironia pungente del comico pugliese, dalla battuta fin troppo pronta e dal linguaggio realistico, ma infarcito di parolacce e volgarità. Zalone però e questo è un indubbio merito, non si atteggia a perfetto e tantomeno a giudice, è un cafone tra i cafoni e questo piace al pubblico. Il suo non voler essere a nessun costo “colto” e “impegnato” è un modo di comunicare che si rivela vincente. Lontano da ogni sentimentalismo il comico già tra i protagonisti di Zelig, non rinuncia alle sue canzoni stralunate e parodistiche:basta citare questi versi: “Che senso ha questo sole al tramonto, se torno a casa e non trovo pronto…” Altro che sole e amore, meglio un buon ragù, del resto, di questi tempi… *[email protected]

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ALIMENTAZIONE E SALUTE di Antonella Bailetti* REGIME DIETETICO PARTICOLARE PER GESTANTI E PUERPER E

Nell’ultimo numero della nostra rivista del III trimestre del 2013 si è sottolineato che esistono alcune categorie di persone che possono essere più a rischio di carenze nutritive, non a causa di malattie o di cattive abitudini, ma legate all’età o a peculiari condizioni fisiologiche e ci si è occupati dei bambini, dei ragazzi in età scolare e degli adolescenti che presentano alcuni bisogni specifici importanti da conoscere e ai quali è necessario far fronte con la massima attenzione. Questa volta si illustra per grandi linee, il tema delle gestanti e delle puerpere che per le loro condizioni fisiologiche, anche se temporanee, limitate cioè al periodo della gravidanza e dell’allattamento, hanno necessità di seguire un particolare regime dietetico, essendo a rischio di carenze nutritive. Si consiglia comunque di consultare un nutrizionista di professione che valuterà, caso per caso, il regime dietetico da praticare. Gravidanza - L’alimentazione della gestante non si discosta molto da quella effettuata nei periodi normali, poiché deve coprire non solo i bisogni nutritivi della madre ma anche quelli del nascituro e garantire il regolare decorso della gravidanza. Ciò porta comunemente a dire che la gestante debba mangiare per due, affermazione certamente esagerata. E’ però vero che se la dieta della donna non copre i bisogni del feto, l’accrescimento di quest’ultimo intaccherà le riserve materne di nutrimenti, e quindi oltre ad aumentare il rischio di malattie per la madre, può influenzare negativamente lo sviluppo del bambino. La richiesta supplementare di energia per la gestante è relativamente contenuta (in media è intorno alle 300 kcal/die). Bisogna evitare di aumentare eccessivamente di peso. Una ipotesi di giusta progressione è quella che prevede un aumento di 3,5 Kg. dopo le prime 20 settimane e in seguito circa 1 Kg. al mese, non di più. Durante il 3° trimestre, poiché aumentano le richieste anche da parte del bambino che deve incrementare il suo peso corporeo fino alla nascita, la gestante può aumentare anche di un kilo e mezzo al mese. Nei confronti dell’alimentazione, qualche attenzione in più deve essere in relazione alla quota proteica, al tipo di grassi e ad alcune vitamine e minerali. All’aumentata domanda di proteine, la gestante può far fronte ricorrendo al pesce, alle carni magre, alle uova, al latte e latticini, ma anche al pane, alla pasta, al riso e agli altri cereali, i quali contribuiscono anche a prevenire la stipsi, disturbo frequente durante la gravidanza. Anche i legumi apportano proteine, ferro e calcio, ma possono favorire la comparsa di meteorismo e di coliche addominali, condizione che in gravidanza è meglio evitare. Tra i minerali la gravidanza comporta necessità decisamente superiori per quanto riguarda il calcio indispensabile al feto per la formazione delle ossa. Inoltre sono importanti le vitamine A,B1,B2,B12, i folati e il ferro indispensabile per la gestante. Occorre quindi arricchire la dieta base con latte e latticini e consumare un’ampia varietà di frutti e ortaggi, privilegiando quelli colorati in giallo e arancione, e le verdure a foglie larghe di colore verde scuro. Per quanto riguarda l’acqua, la gestante oltre ai propri bisogni, deve coprire anche quelli gestazionali e fetali (sangue materno, liquido amniotico e annessi, sangue e tessuti fetali) per una richiesta totale di circa 8 litri: è quindi opportuno che la normale razione di 1,5-2 lt. sia aumentata. In gravidanza come regola generale è consigliabile astenersi dal consumare insaccati, ma soprattutto escludere i cibi di origine animale crudi o poco cotti e le bevande alcoliche di qualsiasi genere. Allattamento - I bisogni nutritivi della donna che allatta sono superiori a quelli della donna in gravidanza, poiché la produzione di latte è un lavoro più gravoso per l’organismo, anche se in parte bilanciato dalla utilizzazione delle riserve di grasso create durante la gravidanza. Il modello dietetico per la nutrice è simile a quello consigliato per la gestante, con alcune varianti, ossia più proteine, calcio, iodio, vitamina A, vitamine del gruppo B e di vitamina C, oltre che di acqua. L’alimentazione deve essere varia, ricca di vegetali freschi, pesce, latte e derivati che aiuteranno a stare bene e a produrre un latte adatto alle esigenze del neonato. Il fabbisogno energetico aggiuntivo nell’allattamento è tra le 450 e le 550 kcal al giorno, fino al settimo mese. Vi sono alimenti da evitare o moderare: asparagi, aglio, cipolla, cavoli, mandorle amare e alcune spezie che possono risultare sgradite al lattante. Inoltre evitare i cibi che potrebbero essere responsabili di manifestazioni allergiche: crostacei, molluschi, cacao o cioccolata, fragole, ciliegie, pesche, albicocche. Evitare i superalcolici perché inibiscono la montata lattea e provocano sedazione, ipoglicemia, vomito e diarrea, il vino, cosi come la birra che non favorisce la secrezione lattea e può cedere al latte oltre all’alcol anche sostanze amaricanti, nonché caffè, tè, cacao, coca cola e tutti i nervini. Preferire eventualmente i prodotti decaffeinati e deteinati..

Infermiera Professionale Ospedale Fatebenefratelli - Isola Tiberina Roma

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SOGNATORI … RIVOLUZIONARI … RIFORMATORI

UN SACERDOTE, CULTORE DELLA FILOSOFIA, ILLUMINATA DALL A FEDE

ANTONIO ROSMINI di Giuseppe Crifò*

Antonio Rosmini (1797-1855) da Rovereto (Trento) è stato una figura eminente nella storia della cultura italiana e occidentale, un “punto fermo”, secondo Giovanni Gentile, nella “circolazione del pensiero europeo” che, lo definì “il Kant dell'Ottocento filosofico”. A 18 anni, passeggiando per Rovereto, Rosmini intuì che ogni concetto ha la sua ragion d'essere in uno o più concetti più grandi, di modo che dal concetto di uomo si passa a quello di animale, da quello di animale a quello di essere vivente e così via, sino a che non si giunge al concetto universale di tutti gli altri. In breve, gli era balenata l'“idea dell'essere”, una delle più straordinarie concezioni del mondo filosofico, tanto da fargli dire: “Ecco la ragione ultima di ogni concetto, ecco il principio di ogni cognizione”. Le peculiarità di essa sono: l’“idea” è innata, è possibile escogitarla in modo universale, senza riferimento ad alcuna particolare qualificazione, non è derivabile da alcuna sensazione; per contro, in qualunque “altra” essa è implicita a quella di “essere”, è impossibile derivarla da una astrazione diversa, ma solo da una con la proprie peculiarità (universale); un’idea innata, dono di Dio. Ovvero la teoria dell'illuminazione di S. Agostino. A 24 anni fu ordinato sacerdote e divenne per tutti “un modesto prete roveretano”. Da religioso intuì la regola di condotta dell'Istituto della carità, da lui fondato, per la direzione spirituale degli uomini, nel concetto di “passività”. Tale principio ad onta del nome significa la totale obbedienza e l'abbandono nella Provvidenza. Ed è un principio attivo. Criticò e contestò duramente il grande filosofo tedesco Emanuele Kant, finendo con ricercare in Dio quella base oggettiva, che Kant non aveva trovato per via razionale. Vide cioè nell'uomo la “scintilla del divino” che caratterizza lo spiritualismo cristiano. Trattò nel “Nuovo saggio sull'origine delle idee” la vera conoscenza (gnoseologia) di esse, tanto da essere celebrato dal filosofo calabrese Pasquale Galluppi, che lo ammirava e lo stimava moltissimo. In cima al suo pensiero filosofico pose le “Massime di perfezione”, tra le più grandi intuizioni spirituali del suo tempo. Fu teologo, studioso della politica, giurista, pedagogista, asceta, omelista avvincente, conferenziere osannato, uomo di fede e di immensa carità. Per comprendere la sua visione per una “renovatio ecclesialis” fondamentali le sue opere : “Delle cinque piaghe della santa Chiesa” e “La Costituzione secondo la giustizia sociale”; quella giustizia che si fondava sulla carità. Da parroco, assistette al patibolo di un assassino e lo chiamò fratello, felice della sua conversione. Era solito affermare: “Tacere, adorare, godere”. E coerentemente tacque per modestia al cospetto del Papa Pio VII, quando, da questi convocato, e non conoscendolo di persona, lo ammonì: “Dovete scrivere di filosofia come il vostro confratello don Rosmini” e dinnanzi a Papa Pio VIII: “E' volontà di Dio che lei scriva libri... per prendere gli uomini con la ragione...” E silenzio assoluto mantenne durante tutta quella che si chiamò “Questione rosminiana”: mentre gli altri parlavano e lo accusavano, lui taceva considerandola un “male necessario”; un

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male relativo a confronto di quello universale, che per ogni fedele è la stessa vita finita, la quale si sostanzia solo nel fatto di essere propedeutica alla perfetta vita ultraterrena ed eterna. Da ultimo e non meno importante il problema educativo, consistente nel metodo globale che procede, di pari passo, con il processo psichico del giovane, per la verità delle cose, secondo una scala di valori (intelligenza, cuore e amore). Significativa la frase: “Quello che l'intelletto intende, il cuore senta e l'opera manifesti”. La centralità dell'educazione è sempre quella della religione, dell'unità della educazione religiosa, fonte di nobiltà del pensare cristiano. Il nostro compito, scriveva, è quello di “orientare i nostri pensieri ed affetti nell'incremento della Chiesa, operando dietro la divina chiamata”: La liturgia era il “culmine”, -la parola è sua- verso cui tende l'azione ecclesiastica e nel contempo la “fonte” promanante la sua virtù. “...Mi parrebbe di pensare -continua- “che quegli che pregò l'eterno Padre di rendere tutti i suoi discepoli una sola cosa, permettesse poi che tra la plebe e il clero per sempre crollasse muro di separazione... sordo alle voci che sua madre la Chiesa gli volge nei momenti più solenni, quando Ella parla ed opera in persona ed atti di Chiesa” (Le cinque piaghe della santa Chiesa, n. 21). Il vero cristiano cammina nella luce della Chiesa. In definitiva, per Rosmini è centrale la considerazione della Chiesa come corpo mistico e l'aspirazione a un suo rinnovamento (Ecclesia semper reformanda) tramite la partecipazione di un laicato forte nella fede e ardente nelle opere; per questo arriva ad una concezione personalistica del diritto e della società, resa esplicita nelle teorie costituzionali. Il suo pensiero si staglia nel cielo della dottrina cristiana, nel modo di concepire la politica e nello splendore della morale e della giustizia. Il suo magistero di “profeta disarmato”, come disse P. Umberto Muratore, è restato come un lievito nel pensiero cattolico-liberale italiano ed ha ricevuto riconoscimenti e valorizzazioni nel Concilio Ecumenico Vaticano II e nell'Enciclica di Giovanni Paolo II proclamata solennemente “Fides et ratio”. Fu nominato beato il 18 Novembre 2007.

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Nota: Crifò è autore de “La filosofia della persona in Antonio Rosmini Serbati” (Ediz Interstampa Roma) pubblicata nel 2006.

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ALLE RADICI DELLA STORIA EVENTI EPICI... MITI... LEGGENDE..

“LA DOLCE VITA” DEI SIBARITI di Daniela Ferraro*

Era di gran lunga la più popolosa, la più potente, la più ricca tra le colonie achee la bella Sibari fondata in Calabria, secondo la cronologia di Eusebio, nel 708 a.Cr. tra il corso dei due fiumi Crati e Sibari (oggi Coscile) dall’ecista Ois…d’Elice. I due fiumi avevano reso molto fertile il territorio che offriva in abbondanza frumento, olio, vino, frutta e in quantità di molto superiore alle esigenze locali, le sue ricche miniere trasudavano rame e argento, la sua cavalleria era famosa quanto quella di Taranto e quella messapica. Le sue navi solcavano il Mediterraneo per raggiungere Mileto, l’Etruria, la Sardegna commerciando i propri prodotti e ritornando ricolme di tessuti finissimi, tappeti, avori, profumi, incensi, oggetti d’argento finemente lavorati e d’ogni altro articolo di lusso da offrire ad una popolazione mai sazia del superfluo. “I Sibariti sono schiavi del loro ventre e amanti del lusso” scriveva Diodoro Siculo riportando su di loro diversi aneddoti. Narrava, ad esempio, di un Sibarita che, dopo una visita a Sparta, aveva affermato che era solito stupirsi del coraggio degli Spartani ma che, dopo aver visto la vita frugale e miserabile che essi conducevano, poteva di conseguenza ben affermare quanto essi fossero pari ai più miseri degli uomini e che sarebbe stato di certo meglio per loro morire piuttosto che vivere in tali condizioni perché “ anche il Sibarita più codardo preferirebbe di certo la morte piuttosto che vivere una simile vita!” Per quanto sia inevitabile il pensare che sia gli altri Greci come pure i Romani esagerassero senz’altro nel raccontare di lei sia per catturare l’interesse degli ascoltatori attratti dalla visione di questa città da “Mille e una notte” sia per invidia o astio politico, è innegabile che la vita, a Sibari, si svolgesse all’insegna del lusso e dello sfarzo. E si narrava così della “triphè”, la dolce vita di Sibari che lasciava incantato l’auditorio: i facili costumi sessuali e gli splendidi i vestiti dei suoi abitanti intessuti di fili d’oro e impreziositi da spille dorate, le strade coperte per passeggiare anche d’estate al fresco e perché, la mattina, il sole non entrasse nelle case a turbare il sonno mentre una musica, ovunque, accompagnava il passo dei cavalli. Le grandi sale dei banchetti erano riccamente decorate ed adorne di bende e corone e recavano al centro un grande mosaico pavimentale. A Sibari si banchettava ad ogni ora tanto che era un vanto per i suoi abitanti l’affermare di non vedere mai sorgere né tramontare il sole. E l’aria era profumata da incensieri e il pasto accompagnato da musiche e danze. Per ordine del governo sibarita, i galli non potevano stare dentro le mura della città per non turbare, all’alba, il sonno dei suoi abitanti che doveva, invece, protrarsi fino a tarda ora. Tale molle vita non impedì comunque ai Sibariti di fondare subcolonie quali Laos, Scidro e Poseidonia né, alleati con Metaponto e Crotone, di radere al suolo la città di Siris (metà del VI sec.a.Cr.). Sibari era retta a quel tempo da un governo oligarchico, espressione delle grandi famiglie proprietarie terriere e mercantili che venne, però, ben presto in dissidio con il partito democratico che reclamava il potere chiedendo anche una più equa distribuzione delle ricchezze. Il capo di quest’ultimo, Telys, riuscì ad impadronirsi del governo esiliando cinquecento cittadini tra i più facoltosi che si rifugiarono a Crotone chiedendo il suo aiuto. Sul fiume Traente, i Sibariti vennero sconfitti con conseguente caduta della dittatura di Telys e l’assedio alla città. Scrive Strabone” I Sibariti furono vittime del loro orgoglio e del loro lusso. Tutta la loro prosperità fu distrutta in 70 giorni dai Crotoniati che, dopo aver preso la città, deviarono su di essa il corso del fiume Crati sommergendola sotto acqua e fango.” Mi viene alla mente il canto VI dell’Inferno dantesco : Non più sontuosi banchetti per i Sibariti, bensì un’eterna pioggia di acqua fetida e fango. Ma anche la golosità mista a lussuria può diventare leggenda.

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ARTI E MESTIERI

GLI ZAMPOGNARI

di Antonio Pillucci La pratica della zampogna, uno strumento così singolare e dal suono melodioso e struggente, si perde nella notte dei tempi e sopravvive nonostante le innovazioni tecnologiche. Ricompare periodicamente nelle feste rurali ma soprattutto nel periodo che preannuncia il Natale. Anche se teologicamente lo è la Pasqua, il Natale è la festa più amata, partecipata e sentita. Ciò è dovuto al fatto che si rinnova il tenero ricordo della nascita di Gesù Bambino; e che, quindi, i bambini sono attori principali della festa per la loro innocenza e la gioia che provano e ci procurano nell'attesa di Babbo Natale e della Befana e dei loro e nostri doni; che è la prima grande pausa festiva dopo la ripresa autunnale, e che è la più lunga festività essendo collegata all'ultimo dell'anno, al nuovo capodanno, all'epifania; che, per la coincidenza dell'avvento dell'anno nuovo, è celebrata in quasi tutto il mondo abitato... La festa del Natale è pertanto ricca di manifestazioni d'ogni genere: religiose (funzioni e presepe), culinarie (dai vari menù tradizionalmente riconosciuti ai notissimi torroni e panettoni...), sociali (ritorno in famiglia, offerta di carità per i meno fortunati...), ricreative e folkloristiche. Tra di esse spiccano gli zampognari, che allietano le giornate di festa con l'inconfondibile suono del loro singolare strumento, eseguendo mirabili e intramontabili canti natalizi principiando da “Tu scendi dalle stelle”, distribuendo gioia a paesi e città. Lo zampognaro è o rappresenta un pastore vestito con brache alla zuava, giacca di fustagno, ampio mantello, berretto a calza con fiocco e cioce ai piedi. La zampogna è uno strumento musicale a fiato, di carattere pastorale agreste, originato dal “flauto”. La sua origine è antichissima, derivando dalla “siringa” del dio Pan. I latini lo chiamarono “utricularium”. Dal medioevo si diversificò in varie tipologie territoriali, quali la cornamusa scozzese e irlandese, la musetta francese e la piva. La zampogna, in particolare, è un aerofono a sacco. La sua specifica organologia è costituita dalla sacca di accumulo dell'aria (detto otre) e da varie canne di cui è dotato. Le canne sono 4 o 5 e vengono inserite in un ceppo dove viene legata all'otre. Di esse, solo 2 canne ( e nella cornamusa scozzese solo una) sono strumento di canto, mentre le altre fanno da bordone (suonano cioè una nota fissa e funzionano da accompagnamento alla melodia). Le canne terminano con delle ance, singole o doppie, tradizionalmente realizzate in canna e recentemente anche in plastica. L'otre (il sacco d'aria) è realizzato con una intera pelle di capra o di pecora rovesciata (col pelo all'interno) - ma oggi anche con altri materiali, quali la gomma - al posto del collo viene legato il ceppo, al posto di una zampa anteriore il cannello di insufflazione e le altre aperture sono chiuse con delle legature. Il suonatore immette aria nella sacca attraverso un insufflatore (cannetta o soffietto) che mette in vibrazione le ance innestate sulle 2 canne melodiche, quella destra per la melodia, quella sinistra per l'accompagnamento, nonché nei bordoni detti “basso” o “scantillo”. Per quanto descritto, la zampogna ha la capacità di eseguire una melodia con relativo accompagnamento armonico, senza l'ausilio di altri strumenti (un po' come accade per la fisarmonica). Per ottenere quella sequenza musicale, quella tipica complessa armonia di assonanze e dissonanze e per simulare l'effetto di “staccato”, gli zampognari ricorrono a vari ingegnosi

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sistemi, come quello di fare rapidissimi mordenti su tutte le note possibili o inframmezzando a ogni nota della melodia la nota fondamentale della canna. Le zampogne sono diffuse un po' per tutta Italia, ma principalmente in Molise (Scapoli è rinomata nell'arte di costruire e suonare zampogne, conserva un museo ad esse dedicato e indice un annuale festival internazionale), Abruzzo, basso Lazio (Ciociaria, Valle del Comino; le città di Acquafondata FR e Marandola LT organizzano un festival internazionale della zampogna), Basilicata (famosa per la “surdulina”), Calabria (note la ciaramella del Catanzarese e la “ciarameddha” di Reggio Calabria) Sicilia... La musica delle zampogne non è richiesta solo nel periodo natalizio, ma pure per pellegrinaggi, serenate, matrimoni, feste patronali... I suoni caldi che emana, il “dialogo” costante tra melodia e accompagnamento, i virtuosismi di trilli, pause e riprese, ascese e discese di toni... hanno un qualcosa di “sublime” che ben si presta ad allietare momenti “forti” di vita personale e collettiva, tra cui il santo e dolce Natale. Di cuore, auguriamo un Natale ricco di spirituali grazie, sereno per il riposo festivo e il ritrovo di affetti familiari, felice... per la musica di qualche zampogna!

. *[email protected]

Lo zampognaro

Se comandasse lo zampognaro che scende per il viale, sai che cosa direbbe il giorno di Natale? “Voglio che in ogni casa spunti dal pavimento un albero fiorito di stelle d’oro e d’argento”. Se comandasse il passero che sulla neve zampetta, sai che cosa direbbe con la voce che cinguetta? “Voglio che i bimbi trovino, quando il lume sarà acceso tutti i doni sognati più uno, per buon peso”. Se comandasse il pastore del presepe di cartone sai che legge farebbe firmandola col lungo bastone? “ Voglio che oggi non pianga nel mondo un solo bambino, che abbiano lo stesso sorriso il bianco, il moro, il giallino”. Sapete che cosa vi dico io che non comando niente? tutte queste belle cose accadranno facilmente; se ci diamo la mano i miracoli si faranno gli zampognari oggi e il giorno di Natale durerà tutto l’anno di Gianni Rodari

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SPIRITUALITÀ

nei sentieri del vissuto quotidiano Claudia Pelle*

NON SOLO A NATALE Quest'anno il Vangelo della quarta domenica d'Avvento, a pochi giorni dal Natale, ci parla della nascita di Gesù e di un Santo a noi caro, il padre putativo di Gesù: Giuseppe. Membro della Sacra Famiglia, suo custode semplice e silenzioso, Giuseppe svolge un ruolo importantissimo nella storia di Gesù. Rileggendo il Vangelo di Matteo qualche giorno prima di Natale ho ricordato le parole di Paolo Curtaz, scrittore che ho avuto il piacere di conoscere personalmente qualche mese fa, riguardo alla figura del Santo. Guidata da Curtaz vi propongo alcune sue riflessioni. Giuseppe può essere ricordato come l'uomo giusto che agisce nel silenzio. Il "giusto" conosce la legge di Dio e la mette in pratica: è ciò che farà Giuseppe, senza parole - nulla ci viene infatti tramandato nei Vangeli riguardo alle sue affermazioni - ma con scelte importanti che resteranno scolpite nella storia di Gesù. Giuseppe è un uomo semplice che ha saputo farsi grande nell'amore. Al futuro sposo di Maria in effetti succede qualcosa di incredibile: la sua amata è scelta per essere “la porta” attraverso la quale il Figlio di Dio entrerà nella Storia. A volte Dio si manifesta nella nostra piccola esistenza, dice Curtaz, e non è detto che lo faccia rendendola più "comoda". Tutt'altro. Dio fa suo il momento della nascita del Figlio: sin dall'annuncio dell'Angelo stravolge un progetto di coppia e trasporta i futuri sposi nella realizzazione di un disegno molto più grande. La storia è simile a quella di due giovani di ogni tempo: Maria e Giuseppe sono fidanzati, hanno stipulato un contratto di matrimonio. All'improvviso, dopo l'annuncio dell'Angelo, Maria dice al futuro sposo: non posso più sposarti, aspetto un bambino. E' molto giovane Maria, forse Giuseppe è più maturo, ma in ogni caso la notizia lo sconvolge e lo addolora. Malgrado il suo cuore sia turbato, però, deciderà di prendersi una grandissima responsabilità: andare contro la legge e non denunciare la sua donna che lui crede sia un'adultera. Lo "sposo sfortunato" - così lo definisce Curtaz - decide, in un primo momento, di ripudiarla, ma in segreto, in modo da salvare la vita alla sua futura sposa. Contravviene alla legge del tempo che avrebbe condannato Maria alla lapidazione e così decidendo compie il suo primo gesto d’amore. Giuseppe non cede alla tentazione di vendicarsi - la vendetta sarebbe stata una scelta più semplice, a portata di legge, a portata di mano – ma decide di mentire, seguendo una legge più grande di quella del suo tempo, la legge della misericordia. Questo sentimento prevale sul suo desiderio di vendetta. Il futuro sposo di Maria ci insegna già molto con questa decisione, presa non senza dolore, di certo. Poi arriva il sonno e nella notte viene data a Giuseppe una nuova chiave di lettura della sua vicenda: un Angelo gli appare in sogno e gli parla di un Figlio di Dio, di un disegno misterioso… all’uomo si chiede di portare la croce di allevare un figlio non suo. Dice Curtaz: “Dio ha bisogno della mitezza (di Giuseppe ndr.) e della sua forza, sarà padre di un figlio non suo, amerà una donna silenziosamente, come chi prende in casa l’Assoluto di Dio. Giuseppe accetta, si mette da parte, rinuncia al suo sogno per realizzare il sogno di Dio e dell’umanità. Giuseppe è il patrono silenzioso di chi aveva dei progetti ed ha accettato che la vita glieli sconvolgesse.” Questa è la bellezza del messaggio che la vita di Giuseppe ci racconta: le braccia tese di quel

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Bimbo dalla mangiatoia gli diranno “Ho bisogno di te”. Amare sarà per lui fare spazio al progetto di Dio, mettere da parte se stesso per realizzarlo. Qui, ci tengo a dirlo, siamo lontani dalla falsa immagine di un Dio che giudica e che condanna: il nostro Dio, il Dio che le Sacre Scritture ci rivelano, parla all’uomo incarnando suo Figlio nella Storia, invia i suoi messaggeri per chiedere che si diventi strumento di Vita (come Maria) e di Amore (come Giuseppe). E' un Padre, un Dio onnipotente, ma per agire e manifestarsi sulla terra ha bisogno dell'uomo e della sua volontà. La Bibbia è piena di persone semplici, peccatori, balbuzienti, pescatori, esattori delle tasse, persecutori, profeti recalcitranti, uomini che conducono una vita normale, spesso lontana da Dio. La loro vita è sconvolta da un incontro, una rivelazione. Ponendo Dio al centro della loro storia, scegliendo di aderire al Suo disegno che inizialmente li strappa alla loro comoda realtà, si sorprenderanno a compiere la Sua volontà, non senza difficoltà, si troveranno testimoni di quella capacità del Signore che Madre Teresa definiva così bene: saper scrivere dritto su righe storte. Dio ha bisogno di credenti così, di uomini "normali", che nell'incontro con Lui cambino strada, semplicemente riconoscendo il Suo ruolo nella loro storia. Da custode della Santa Famiglia, Giuseppe ci chiede di accogliere quell’invito che il Signore manda ad ognuno di noi. Non solo a Natale.

*Ordine Francescano Secolare [email protected] http://eccola.blogspot.com

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FORUM: LEGGI E REGOLAMENTI… NOTE A SENTENZA…GIURISPRUDENZA

LA NUOVA AUTORIZZAZIONE UNICA AMBIENTALE

TRA SEMPLIFICAZIONE E TUTELA di Irene De Chiaro *

Dal 13 giugno scorso potrebbe dirsi aperto un nuovo scenario nei rapporti tra imprese e Enti pubblici in materia di adempimenti ambientali. E’ infatti finalmente entrato in vigore il D.P.R. 13 marzo 2013 n. 59 che, in attuazione della delega contenuta nell’articolo 23 del d.l. n.5/2012 (significativamente rinominato come decreto “Semplifica Italia”), introduce nel nostro ordinamento l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA). Caratteristica essenziale della nuova autorizzazione è quella di sostituire fino a sette diversi titoli abilitativi previsti dalla legislazione ambientale (in materia di scarichi, emissioni, rifiuti), consentendo alle piccole e medie imprese di presentare un’unica domanda, per via telematica, presso lo sportello unico per le attività produttive (SUAP), unico referente per i privati nonché punto di coordinamento e raccordo tra le diverse amministrazioni competenti al rilascio del titolo abilitativo. Le esigenze di tutela della salute e dell’ecosistema interessano sempre maggiori profili, evidenziati dal progresso continuo delle conoscenze scientifiche e scanditi dal succedersi della normativa europea, che, in tali materie, è fattore pervasivo e trainante delle discipline interne. Ne è derivato un sistema normativo costruito attraverso una stratificazione di discipline autorizzative, che obbligano le imprese a rivolgersi ad interlocutori pubblici diversi (Regioni, Province, Comuni, ARPA, etc.) per ottenere i diversi atti di assenso richiesti per l’avvio e l’esercizio della propria attività. Tali aggravi procedimentali incidono sui costi di gestione delle imprese in maniera non sempre proporzionata alle esigenze di tutela degli interessi pubblici (si pensi che il costo della burocrazia per le PMI è stato stimato in oltre 1,3 miliardi di euro l’anno). L’ambiziosa finalità ispiratrice dell’AUA sta dunque nel coniugare la semplificazione degli adempimenti amministrativi con la tutela effettiva dell’ambiente dagli inquinamenti. Sotto il profilo formale, l’autorizzazione contiene tutti gli elementi richiesti dalla normativa di settore per gli atti che sostituisce ed ha una validità di ben 15 anni. Inoltre, nei casi previsti, l’AUA definisce le modalità di svolgimento delle attività di autocontrollo, individuate sulla base della dimensione dell’impresa e del settore di attività. In caso di scarichi contenenti sostanze pericolose, in particolare, i gestori degli impianti autorizzati devono comunicare almeno ogni 4 anni gli esiti delle attività di autocontrollo all’autorità competente, la quale, ricorrendone i presupposti, può aggiornare le condizioni autorizzative. La dialettica tra istanze di semplificazione e tutela adeguata degli interessi pubblici accompagna tutti i più recenti sviluppi del diritto amministrativo, ma assume caratteri davvero emblematici nel settore della protezione ambientale. La complessità della materia e la delicatezza degli interessi in gioco hanno, almeno in principio, sottratto questo settore dall’ambito di operatività dei vari istituti di semplificazione ad oggi introdotti. Le politiche ambientali, ad ogni modo, non sono aprioristicamente incompatibili con alcuni interventi di semplificazione e questi ultimi – in certi casi – possono rivelarsi persino strumentali alle prime. Pensiamo al cd. approccio integrato alle attività industriali (introdotto sulla scorta della direttiva europea IPPC del 1996) e a come si sia rivelato molto più efficace di quello tradizionale (che prendeva in considerazione i vari inquinanti in modo isolato, non consentendo di studiarne le interazioni). Se in quel caso l’unificazione procedimentale si è rivelata funzionale ad una più efficace tutela dell’ambiente, la corretta attuazione dell’AUA sembra tuttavia più difficile, presupponendo un’efficienza amministrativa (pensiamo alle difficoltà di riordino delle competenze e ai fondi da destinare ai SUAP) nonché una cultura dell’autocontrollo da parte delle imprese che nel nostro paese stenta ad attecchire. Si auspica intanto che nella prassi applicativa il Ministero dell’Ambiente e gli enti locali forniscano i necessari chiarimenti, soprattutto in materia di controlli e sanzioni, evitando il rischio di sacrificare la protezione di interessi vitali sull’altare della competitività e del risparmio economico.

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Nota - E’ iscritta Erato CIDA-INPS -collabora presso la Cattedra di Diritto dell’Ambiente della Luiss “Guido Carli.” -il 9 Settembre 2013 ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense a Roma, e si è iscritta nell’apposito albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine della Capitale. Al neo-avvocato i complimenti sinceri del Gruppo Erato CIDA-INPS e della Rivista ERATO

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ROMAVAGANDO

SPUNTI E APPUNTI NELLE PIEGHE DELLA CITTÀ di Giuliano Cibati*

Dopo aver chiuso il “pezzo” su Piazza Navona, Papa Innocenzo X e il Bernini nell’ultimo numero, mi sono accorto che mi erano restate nella penna alcune notizie che potrebbero interessare la curiosità dei lettori. Dove stava l’obelisco che poi ha abbellito la fontana? Come è stato trasportato fino a Piazza Navona? Chi ha pagato l’opera e dove sono stati trovati i soldi? A dire la verità già Sisto V aveva pensato, sul finire del 1500, a utilizzare i resti dell’obelisco che giacevano abbandonati a Capo di Bove, luogo così chiamato per le teste di bue scolpite e affisse ai lati della tomba di Cecilia Metella sull’Appia antica. Voleva erigerlo davanti la chiesa di S. Sebastiano fuori le mura. Ma forse il costo dell’operazione o la brevità del suo pontificato (1585-1590) che lo aveva visto impegnato in gravose opere di urbanizzazione, lo distolse dall’impresa. Avendo Papa Innocenzo approvato, come abbiamo avuto modo di dire, il progetto del Bernini, si procedette al trasporto dei pezzi dell’obelisco prima utilizzando carri trainati “da gran numero di bufale” (i tre pezzi minori) poi i pezzi maggiori (tre) furono trasportati per terra fino al centro “a poco a poco con gli argani, e con ordigni e con grossi canaponi” un’impresa di sicuro complessa sia tenuto conto dello stato delle strade di campagna che non erano certo affollate o lastricate, sia considerata la struttura urbanistica del tempo ove sopravvivevano vicoli strettissimi e contorti. Il popolo, ovviamente, assisteva a queste operazioni, forse anche divertito, ma certamente preoccupato per le conseguenze finanziarie. Già infatti era stata posta una tassa a tutti i proprietari di case nel tratto che va da Fontana di Trevi a Piazza Navona per la posa di condutture atte a trasportare l’acqua fino alla nuova fontana che doveva abbellire la piazza dove il Papa Innocenzo aveva fatto costruire, quando era ancora Cardinale, la sua magnifica residenza. “noi volemo artro che guje e fontane. Pane volemo Pane Pane Pane” fu questo il mugugno che accompagnò il trasferimento del resto dell’obelisco. In effetti i costi non erano irrilevanti, né il Papa era aduso a provvedervi di persona né donna Olimpia gli avrebbe permesso di depauperare il patrimonio familiare. Aveva già sperimentato un sistema di finanziamento dei portici in Piazza del Campidoglio “senza pur dargli un quattrino del suo, ma con gli emolumenti che si davano a molti officiali romani, (i quali avevano profumatamente pagato per ottenerli) onde furono dismessi gli Offizi delli Marescialli, Giudici, Pacieri, Riformatori di Studio e fu scemata la provvigione dei Lettori della Sapienza e levato il salario di scudi 30 l’anno ai maestri di scuola”. Anche allora la prima ad essere sacrificata era la cultura. Comunque è stato un bell’esempio di spending rewiew ante litteram che ci fa guardare con occhi diversi le attuali decisioni finanziarie in materia così come guardiamo oggi con occhi diversi e compiacenti il risultato finale, ignari e dimentichi delle difficoltà dell’opera.

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UN RACCONTO BREVE

da “I racconti del giovedì” di Silvana Costa*

IL REGALO DI NATALE

ATTENZIONE: il treno numero 2830 delle 19 e 20 proveniente da Milano viaggia con 90 minuti di ritardo! L’altoparlante annuncia, con la sua voce gracchiante, il ritardo del treno. Loretta ha un attimo di stizza. È uscita prima dal lavoro per arrivare in tempo alla stazione, affrontando il traffico caotico della città che sembra impazzita a un giorno dalle festività natalizie. Ha trovato a stento un parcheggio a pagamento in un garage poco lontano dalla stazione Termini. La giornata è stata lunga e nervosa. Si è alzata presto la mattina per sistemare la casa, ha perfino apparecchiato la tavola per la sera sapendo di stare fuori tutto il giorno ed ora… ora, ma si, forse non tutto il male viene per nuocere, ha un pò di tempo per rilassarsi, prepararsi a questo incontro con il marito che non vede da tanto tempo. Anche lui sarà certamente teso e stanco, prima il volo da Bruxelles a Milano, poi in treno fino a Roma per farle gli auguri e portarle il regalo. All’edicola compra una rivista e si siede nel tavolo d’angolo di un bar davanti a una tazza di caffè nero. Sfoglia con pigrizia il giornale, le pagine colorate, le figure note o sconosciute, i fatti di ieri e di oggi, la lasciano indifferente. Pian piano la mente si isola, non sente più il vocio che c’è intorno, non recepisce il via vai delle persone che entrano ed escono dal locale; il pensiero vaga nello spazio e nel tempo in un percorso solo a lei conosciuto. Ed eccola bambina, con i genitori nella casa al mare, in giardino, in bicicletta non ci sa andare, quante cadute prima d’imparare con il papà che le corre dietro affannato, e poi gli amici, la scuola, gli esami, l’università, i sogni e i momenti romantici condivisi con colui che diventerà suo marito. Un film inedito, custodito nei meandri della memoria, a volte scolorito, perso nel ricordo o ancora adesso vivido, smagliante, tuttora attuale. Con Carlo erano vicini di casa, si conoscono fin da bambini, hanno bruciato insieme tutte le tappe della loro vita e sono arrivati al matrimonio che tutti si aspettavano, la cosa più logica che si potesse pensare. Sono undici anni che sono sposati, ma gli ultimi, precisamente, negli ultimi sei anni, sono stati lontani, lui a Bruxelles per un’attività che doveva durare poco, ma che si è prolungata troppo e che non finirà tanto presto. Lei a Roma ché non ha voluto seguirlo. Non ha voluto lasciare il lavoro per un futuro che non era il suo, e che non l’avrebbe resa indipendente ed appagata come lo è attualmente. In principio la lontananza le sembrò insopportabile, ma col passare del tempo si era abituata, aveva incrementato il lavoro, ampliato il personale, accarezzato l’idea di espandere il giornale, di cui era redattrice, anche fuori dall’ambito della provincia. La voce gracchiante avverte che il treno sta arrivando e la ridesta dai suoi pensieri; non si è accorta del tempo che è passato, questa pausa forzata, anzi, le è stata utile, si sente come rinvigorita, paga la consumazione e si avvia serena verso il binario numero 12. Lo vede scendere e pensa che si mantiene bene, è sempre un bell’uomo, chissà quante donne gli avranno fatto la corte, è contenta di vederlo, in fondo si vogliono ancora bene e si rispettano come due vecchi, cari amici.

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Tra la folla rumorosa si abbracciano in silenzio, le parole verranno dopo, in macchina mentre andranno a casa si racconteranno tutto, e poi a cena parleranno di cose serie. La serata è fredda e sta cominciando a piovere, quando arrivano sono quasi le dieci, ma la casa è calda ed accogliente e Loretta gli mostra, con un pizzico di orgoglio, le modifiche fatte per renderla più moderna e confortevole. Il plico è in bella mostra sul tavolo della cucina. È il regalo di Carlo. Le tremano le mani, a Loretta, mentre lo apre, sfoglia in fretta le pagine per arrivare a quello che è il punto cruciale, quello che aspettava: la firma. La firma c’è, bella, nitida, leggibile. Lui ha firmato. Il divorzio le sarà concesso quanto prima. È libera. Va nello studio, alza la cornetta e fa un numero di telefono.

*[email protected] Nel mio racconto la protagonista attende un treno con nel cuore la speranza di qualcosa… “una firma” che cambierà la sua vita: le due bellissime poesie sotto riportate di Nazim Hikmet, poeta e scrittore turco nelle quali predominano sentimenti di malinconia, tristezza e solitudine descrivono i suoi viaggi in treno in giro per l’Europa in cerca di pace. La mia donna è venuta con me fino a Brest è scesa dal treno è rimasta sul marciapiede si è fatta più piccola più piccola più piccola un seme di grano nell’azzurro infinito poi, eccetto i binari, non ho visto più niente. E poi mi ha chiamato, dalla terra polacca non potevo rispondere, non potevo chiederle dove sei, mia rosa, dove sei, mi ha detto vieni ma non potevo andare da lei, il treno correva come non dovesse fermarsi più soffocavo dalla tristezza. E poi sulla terra i pezzi di neve si scioglievano e a un tratto ho capito che la mia donna mi vedeva, mi chiedeva mi pensi ancora mi pensi ancora mentre la primavera camminava coi nudi piedi fangosi sul cielo, e le stelle scendevano a posarsi sui fili del telegrafo e l’oscurità batteva come pioggia sul treno la mia donna restava in piedi sui pali del telegrafo e il suo cuore batteva – tac tac – come se stesse tra le mie braccia i pali si muovevano e passavano ma lei non si muoveva di lì, il treno correva come se non dovesse fermarsi mai soffocavo dalla tristezza.

Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me non dico che fosse come la mia ombra mi stava accanto anche nel buio non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi quando si dorme si perdono le mani e i piedi io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me non dico che fosse fame o sete o desiderio del fresco nell'afa o del caldo nel gelo era qualcosa che non può giungere a sazietà non era gioia o tristezza non era legata alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi era in me e fuori di me. Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.

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A TAVOLA CON LO CHEF di Gina Baldazzi*

L’ITALIA SI METTE A TAVOLA PER IL CENONE DI NATALE , ma come? Da regione a regione i menù cambiano: vediamo in che modo. ●Il piatto tipico natalizio della regione più a nord d’Italia, la Valle d’Aosta, è la zuppa alla Valpellinentze, con cavolo, verza, fontina, cannella e pane raffermo. Per secondo la Carbonata Valdostana cioè carne di manzo, tagliata a strisce e lasciata a macerare in vino aromatizzato, accompagnata dalla tradizionale polenta. ●La tradizione Piemontese ci regala per Natale gli agnolotti ripieni di carne e verdure; seguono a ruota bollito misto e cappone, possibilmente accompagnati da una delle tipiche salse piemontesi. ●La cucina di Natale Trentina per eccellenza sono i Canederli: maxi gnocchi preparati con una base di speck, salame, pancetta e pane raffermo. Si gustano conditi con burro e parmigiano, ottimi anche in brodo. ●Per il Natale le ricette Friulane sono numerose: protagonisti la trippa con sugo e formaggio, ma anche la brovada e muset, una zuppa a base di rape e cotechino. ●La tradizione Veneta suggerisce che il pranzo di Natale abbia inizio con un antipasto di salumi, tra cui soppressa e la salsiccia luganega, seguito da un primo piatto come gli gnocchi al sugo d’anatra. Tra i secondi, polenta e baccalà sono una buona scelta, ma anche il lesso di manzo al cren (una radice nota anche come rafano) ●La Lombardia per il cenone di Natale propone un trionfo di tortelli di zucca e gnocchetti agli spinaci e tra i secondi piatti più cucinati trova posto il cappone ripieno accompagnato dall’ottima (per chi piace) mostarda di Cremona. ●Delizie Liguri di Natale sono i maccheroni in brodo e i ravioli alla genovese. Tra i secondi piatti della Liguria si distinguono gli stecchi fritti, ovvero spiedini di interiora di pollo inanellate insieme a profumati funghi freschi locali. ●La cucina Emiliana e quella Romagnola si incontrano nella tradizione natalizia: il culatello va sempre bene. Tra i primi patti, i classici tortellini ripieni e i passatelli in brodo, si alternano alla sugosità delle tagliatelle al ragù. Tra i secondi piatti il celebre cotechino di Modena. ● Piatti Toscani di Natale sono i cappelletti in brodo, seguiti da una lunga lista di secondi piatti a base di cacciagione, magari innaffiati da un buon Vino Chianti. ●Primi piatti Marchigiani di Natale sono i maccheroni allo stoccafisso, maccheroncini di Campofilone o spaghetti al sugo di filetto magro; tra i secondi piatti cappone arrosto o tacchino. ●La cucina natalizia Umbra si avvale di cappelletti ripieni di cappone e cappone bollito con cardi, come piatti forti per la cena di Natale. ●Le ricette del cenone di Natale Romano e Laziale includono cappelletti in brodo tra i primi piatti e secondi a base di pesce d’acqua dolce e poi frittelle di baccalà e di broccoli. ●Il più famoso piatto natalizio Abruzzese è probabilmente il cosi chiamato “Le virtù”, ovvero un ricchissimo minestrone a base di legumi freschi e secchi, verdure varie, carni, e pasta. ●Primo piatto Molisano che si cucina spesso nel periodo di Natale è la zuppa con i cardi; tra i secondi piatti si segnala il baccalà preparato con un condimento di uva passa e prezzemolo.

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●Menù del cenone Campano protagonista assoluto è il pesce: i primi piatti tipici sono rappresentati dagli spaghetti con le vongole e dagli scialatielli ai frutti di mare, i secondi sono il capitone ed il baccalà fritto ma la tradizione vuole che si porti in tavola anche la particolare insalata di rinforzo preparata con cavolfiore lesso, insaporito da alici salate, olive e “papaccelle napoletane” ossia peperoni conservati nell’aceto. ● La pasta Pugliese di Natale sono i raschiatelli fatti in casa, con il sugo di pesce. Tra i secondi piatti, si predilige la frittura di pesce, l’agnello al forno o il tacchino. ●Nella tradizione natalizia Lucana, la cena della vigilia si articola in tredici portate a base di pesce. Per il pranzo del 25 dicembre si consigliano gli strascinari, pasta fatta in casa di forma cilindrica, insaporita da un ragù di carni miste, oppure una minestra fatta di scarole, verze e cardi. Tra i secondi piatti il baccalà lesso è tra i preferiti. Famose anche le pettole, pasta fritta con alici. ●Per il cenone di Natale Calabrese si consigliano minestre di verdure, piatti a base di stoccafisso e carciofi. Caratteristico secondo piatto è il pesce spada condito con olio, cipolla, pomodori, olive, capperi, uvetta. ●Le ricette Siciliane di Natale dividono l’isola tra la parte est e quella ovest. Nella Sicilia occidentale dominano la pasta con le sarde e i timballi di riso. In Sicilia orientale è tradizione preparare per le scacce, focacce calde cotte in forno e ripiene di verdure, formaggi, carne. ●Il Natale Sardo a tavola comincia con antipasti misti con salsiccia locale, seguiti dai culurgiones de casu, ravioli ripieni di pecorino e bietola, o la fregula, versione locale della ricetta araba del cuscus. Tra i secondi piatti l’agnello con patate al vino che si accompagna benissimo con crostoni caldi del rinomato pane carasau.

Così come in Italia in tutti i paesi del mondo per la Cena di Natale sono previsti piatti tradizionali. In Germania la tradizione Natalizia parte dall'11 novembre, passa per il 6 dicembre quando San Nicola porta ai bambini cioccolatini, casette fatte con il pan speziato e altre prelibatezze per concludersi la vigilia di Natale con pantagruelici piatti di carne di maialino, insalate di maccheroni, salsicce bianche e altre specialità regionali. Dopo la Messa di Mezzanotte i francesi si siedono intorno a ricche tavole imbandite chiamate “le reveillon”. Il menu, che varia secondo la regione, consiste in anatra, paste fatte con farina di grano saraceno e panna acida, tacchino con castagne, mentre per i parigini, ostriche e foie gras. Suggestivo è il Natale in Russia che viene celebrato il 6 gennaio, dove non si mangia carne, ma il Kutya, una specie di zuppa di grano e miele, simboli di speranza e felicità che viene posto in un unico piatto messo al centro del tavolo e che rappresenta l'unità della famiglia. Anche in Polonia si consumano solo cibi magri: pesce o verdura. Non si usano i grassi come burro o olio neanche per fare i dolci. La vigilia di Natale è chiamata “Festa della Stella”, e la tradizione vuole che la Cena di Natale inizi solo quando compare in cielo la prima stella. La vigilia di Natale in Danimarca si trascorre in famiglia, addobbando l'albero con palline e bandierine danesi e preparando il pranzo tradizionale che prevede oca arrosto con cavoli e patate scure. Il Natale è una Festa Cristiana nata per celebrare la nascita di Gesù Cristo avvenuta a Betlemme in Giudea (ora Palestina) circa 2006 - 2013 anni fa. Ogni anno, il 25 dicembre in tutto il mondo, la nascita del Bambino Gesù si festeggia preparando il Presepe, addobbando l'albero di Natale, scambiandosi regali, cantando canzoni, preparando dolci e cibi particolari da consumare in famiglia e andando alla suggestiva Messa di Mezzanotte. Il 25 dicembre è una data simbolica che si collega al solstizio d'inverno e ad una festa pagana romana introdotta dall'Imperatore Aureliano nel 274 d.C.: il “Natale dell'Invitto”, che altro non era che il “Sol Invictus”, divinità solare di Emesa, ovvero il “giorno del nuovo sole”. La tradizione fa risalire il primo presepe vivente a San Francesco d'Assisi che nel 1223, a Greccio, la notte di Natale volle far rivivere, in uno scenario naturale, la nascita di Gesù. Le prime statuine, alcune delle quali sono conservate a S. Maria Maggiore a Roma, furono scolpite in legno da Arnolfo di Cambio nel 1280. I Cristiani Ortodossi celebrano il Natale il 6 Gennaio. *[email protected]

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UNIVERSO DONNA di Gabriella Natta*

“QUANDO DIO ERA UNA DONNA” E’ questo il titolo che la scrittrice statunitense Merlin Stone ha dato nel 1976 a un saggio che solo dal 2011, pochi mesi prima della sua scomparsa, è possibile leggere anche in italiano grazie alla casa editrice Venexia. E sarebbe sufficiente scorrere l’amplissima bibliografia per qualificare questo libro come uno studio serio e approfondito delle religioni pre-patriarcali. La studiosa documenta il cruento passaggio dalle religioni della Dea al monoteismo patriarcale ebraico e poi cristiano e musulmano che ne hanno preso lentamente il posto. La ricerca della Stone si limita all’area del Vicino e Medio Oriente, intorno al bacino orientale del Mediterraneo (Egitto, Grecia, Mesopotamia, Assiria, Sumeria), per concentrarsi, nella seconda parte, sul territorio di Canaan, conquistato e colonizzato dal popolo ebraico, come leggiamo nei testi della Bibbia ebraica. Negli stessi anni del libro della Stone (tra il 1968 e il 1980) l’archeologa Marija Gimbutas conduceva le sue campagne di scavi e pubblicava i suoi primi studi sull’età del bronzo. La grande Dea è stata venerata dagli inizi del periodo neolitico, nel 7000 a.C., fino alla chiusura degli ultimi templi a lei dedicati intorno al 500 d.C., anche se alcuni studiosi fanno risalire la datazione delle prime forme di religione femminile a 25000 anni fa. Poiché gli eventi raccontati nella Bibbia si situano in epoca storica (si reputa che Abramo non sia vissuto prima del 1800- 1550 a.C.), per molti secoli dunque le due religioni hanno convissuto essendo diffuse tra popolazioni che vivevano a stretto contatto. “Prove archeologiche, mitologiche e storiche dimostrano che la religione femminile, lungi dallo svanire autonomamente, subì secoli di persecuzioni e repressioni continue da parte dei sostenitori delle nuove religioni”. Ricordo il bel film su Ipazia nel quale abbiamo visto come alcuni fanatici adepti della nuova religione cristiana, non potendo ammettere che una donna fosse scienziata ed avesse un seguito anche maschile, la perseguitarono e la uccisero. Merlin Stone, interessata soprattutto alle ripercussioni che la religione può avere sul tessuto umano e sociale, si domanda in che modo l’adorazione della Dea abbia influito sulla condizione delle donne che vivevano in quel contesto. E non vuole cadere nel circolo vizioso “per cui, poiché si adorava una Dea, allora sicuramente le donne godevano di uno status sociale elevato, oppure poiché le donne godevano di uno status sociale elevato, allora si adorava una Dea”. Certo, è abbastanza scontato pensare che esistesse una correlazione tra religione della Dea e assetto sociale, vista l’influenza esercitata poi dal monoteismo patriarcale giudaico-cristiano sulla vita concreta di donne e uomini.. L’abitudine di usare due pesi e due misure per i comportamenti umani (le donne viste come oggetti sessuali - e quindi l’identificazione sessuale della passività e dell’aggressività - i diversi ruoli delle donne e degli uomini in contesti lavorativi e sociali) è radicata così profondamente che i sentimenti e i valori riguardo a questi temi sono spesso considerati tendenze naturali o istintive degli esseri umani. Con questo non si pensa certo di voler tornare ad una religione della Dea. E’ la stessa Stone a dirci: “Non sto suggerendo un ritorno all’antica religione femminile (...). Io spero, tuttavia, che la consapevolezza della venerazione, un tempo ampiamente diffusa, possa essere usata oggi per infrangere molte immagini, leggi, usanze e stereotipi patriarcali, oppressivi e infondati, che i leader delle più recenti religioni maschili hanno sviluppato in reazione all’adorazione della Dea… (pp. 28-29). Mi colpisce molto il fatto che questa preziosa ricerca si basi in gran parte su reperti (tavolette, cocci, statuette, iscrizioni...) portati alla luce da accademici maschi, quindi non sospetti. Stone li cita a piene mani, riconoscente a loro e profondamente addolorata al pensiero di “tutte le statue e documenti antichi che devono essere stati distrutti intenzionalmente” (p. 21). Condivido la conclusione di Merlin Stone: non si propone di tornare all’antica religione femminile, ma mi sembra necessario conoscere questo nostro passato per liberarci da interpretazioni fuorvianti. Se è vero che la verità ci farà liberi, allora dobbiamo indagarla con serenità e costanza. Potremmo ottenere una prospettiva storica e politica tale da consentirci di confutare l’idea di ‘ruoli naturali o divinamente imposti’, per aprire finalmente la strada a un riconoscimento più realistico delle capacità e delle potenzialità di bambini e adulti, femmine o maschi, come semplici esseri umani. “Grazie a una migliore comprensione delle origini antiche degli stereotipi odierni, il mito del giardino dell’Eden non potrà più perseguitarci” (pp. 270-272). E potremmo capire meglio la predicazione della “giustizia” da parte di Gesù di Nazareth. Anche senza cancellare nulla della legge mosaica, la legge dell’amore e della giustizia, scritta nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, aiuta a non applicare le norme contrarie alla giustizia e a liberarla dal peso delle interpretazioni legaliste, funzionali al potere di chi se ne fa unico interprete. [email protected]

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FLORILEGIO

IN VIAGGIO CON LE PAROLE

di Lina Gonnella* Da sempre la parola ha esercitato su di me una forte attrattiva. Avviene talvolta che il registro, le assonanze e il tono accattivante delle parole esaltino e diano vigore al discorso di un qualsiasi oratore, occultando il modesto spessore delle sue argomentazioni. Questo accade soprattutto nel contesto politico, determinando adesioni di massa spesso ingiustificate e malriposte. Gorgia, filosofo greco del v sec. a.C., nel suo "Encomio di Elena" esprimeva queste considerazioni: "La parola possiede il divino potere di determinare grandi svolte nella storia. Essa può suscitare compassione, infondere gioia, provocare dolore, indebolire gli animi, affievolire le coscienze". Dunque la parola è potere. Carlo Levi, in tempi più vicini ai nostri, affermava: "Le parole sono pietre". Ma sono anche musica e poesia, se ben orchestrate, aggiungo. Ogni Essere umano, attraverso le parole si propone, si manifesta, si svela o, al contrario, si sottrae, si camuffa, si maschera. La parola stessa può risultare ambigua, così da lasciare aperta la sua interpretazione o muoversi tra simboli e allegorie, permettendone una molteplice lettura. Oggi, purtroppo, il linguaggio, nelle sue diverse tipologie, è appesantito da termini, per così dire, disinvolti, spregiudicati e spesso volgari. Anche il tono delle parole, come frequentemente capita in molti programmi televisivi, il sovrapporsi concitato di opinioni contrapposte, la scarsa propensione all'ascolto, sviliscono e annullano l'opportunità di un civile e democratico confronto oltre ad offendere quanti seguono, con perplessità e sconcerto, tali indecifrabili "dibattiti". Intollerabile, inoltre, risulta l'uso delle parole per attacchi offensivi sul piano personale; vergognoso, se di matrice razzista; ignominioso, se proviene da chi riveste cariche istituzionali. L'adozione di termini considerati tabù fino a poco tempo fa, appartiene, comunque ad una "follia collettiva" che non condivido. In questo sono rimasta un pò indietro. Fatte tali considerazioni, dichiaro di voler utilizzare le parole in armonia con i miei pensieri, senza nessun intendimento se non quello di manifestare stati d'animo, esperienze, riflessioni che esprimono, in fondo, il percorso esistenziale della bella Umanità di cui mi sento parte piccola, ma non insignificante. Com'è proprio di tutte le donne e di tutti gli uomini che ad essa appartengono.

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MOSTRE E CONCERTI di Rocco Ferri*

GEMME DELL'IMPRESSIONISMO - Dipinti della National Gallery of Art di Washington ROMA - Nuovo spazio espositivo Ara Pacis – fino al 23 febbraio 2014 - Martedì-domenica 9.00-19.00 (la biglietteria chiude un'ora prima) Chiuso il lunedì, il 25 dicembre e 1° gennaio. Unica tappa europea, per la prima volta i capolavori della collezione impressionista e post impressionista della National Gallery of Art di Washington. Nell'ambito del programma di scambio internazionale che porterà il Galata capitolino in America, sarà possibile ammirare 68 opere organizzate tematicamente: dal paesaggio al ritratto, dalla figura femminile alla natura morta, fino alle rappresentazioni della vita moderna.

IL PRESEPE DEL RE ROMA -Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari - Piazza Guglielmo Marconi, 8 Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia - fino al 2 marzo 2014 - Orari -Mar-dom 9.00-20.00 - Chiuso lunedì - Aperto 25 dicembre e 1 gennaio ore 14.00-20.00 - Sabato 28 dicembre 2013, in occasione delle festività natalizie, il Museo sarà a ingresso gratuito per l’intera giornata. Allestito, per la prima volta in Museo il grande “Presepe del Re”, monumentale presepe napoletano realizzato con i pastori settecenteschi e ottocenteschi raccolti da Lamberto Loria e oggi parte delle collezioni del Museo nazionale delle Arti e Tradizioni popolari. Il riferimento è a Carlo III di Borbone (1716-1788), il Re di Napoli e di Sicilia che, in piena età barocca, grazie alla sua personale passione per l’allestimento del Presepe, diede un forte impulso e permise un’ampia diffusione di questa secolare tradizione.

LA CINA ARCAICA. ROMA, Palazzo Venezia - fino al 20 marzo 2014 La mostra rientra nel quadro degli accordi tra Italia e Cina che prevedono lo scambio di spazi museali dedicati alle rispettive culture. E' frutto di due anni di lavoro e presenta circa 150 manufatti, provenienti da varie collezioni cinesi, molti dei quali mai esposti in Italia. Attraverso i preziosi reperti si potrà conoscere lo sviluppo della civiltà della Cina e della sua storia, dall'origine (oltre 5.000 anni fa) fino alla prima grande unificazione, nel III sec. a.C. ad opera dell'imperatore Qin Shi Huang. Quest'ultimo è noto come ideatore della “Grande Muraglia” ed è sepolto nel famoso Mausoleo - di proporzioni gigantesche ed ancora non completamente scoperto - custodito dal celebre “esercito” di migliaia di “guerrieri di terracotta”; ma è anche tristemente noto perché ordinò il rogo di ingenti quantità di libri e l'uccisione di numerosi eruditi, che finirono sepolti vivi.

MODIGLIANI, SOUTINE E GLI ARTISTI MALEDETTI. La Col lezione Netter ROMA - Palazzo Cipolla - Via Del Corso, 320, 00186 - fino al 6 aprile 1914 - 06/98373328 Orari - lunedì: 14-30-20.00 - martedì – domenica: 10.00-20.00 Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura - BIGLIETTI -Intero: € 13,00 Ridotto: € 11,00 Ridotto speciale: € 9,00 Audioguida inclusa nel biglietto. La mostra presenta più di 120 opere di straordinaria bellezza oltre a Modigliani , anche Soutine, Utrillo , Suzanne Valadon, Kisling e altri artisti che vissero e dipinsero a Montparnasse agli inizi del Novecento durante i cosiddetti “anni folli”, in cui il noto quartiere parigino divenne centro culturale di avanguardia e luogo di incontro di artisti e intellettuali.

VASSILY KANDINSKY. La Collezione del Centre Pompidou MILANO - Palazzo Reale. – piazza del Duomo, 12 fino al 27 aprile 2014 - Orari: Lunedì: dalle ore 14.30 alle ore 19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica: dalle ore 9.30 alle ore 19.30; giovedì e sabato: dalle ore 9.30 alle ore 22.30 Un'ampia retrospettiva dedicata al padre della pittura astratta. Oltre ottanta opere dell'artista russo, provenienti dal parigino Centre Pompidou.

I BRONZI DI RIACE sono tornati a casa. REGGIO CALABRIA - il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria è parzialmente aperto. L'entrata al Museo è a pagamento: 5 Euro il biglietto intero, 3 Euro il biglietto ridotto per i visitatori dai 18 ai 25 anni. I visitatori di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 65 anni entrano gratuitamente. L'orario di apertura va dalle 9:00 alle 19:30 tutti i giorni. - L'accesso alla Sala dei Bronzi è consentito solo a gruppi di venti persone alla volta secondo il seguente programma: - sosta di circa 20 minuti nella sala pre-filtro, durante i quali un video intratterrà il pubblico con aggiornamenti sullo stato dei Bronzi - sosta di circa 3 minuti nella sala filtro - visita ai Bronzi di circa 20 minuti.

*[email protected]

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IN LIBRERIA

di Carmelo Pelle*

ACCABODORA di Michela Murgia (Ed. Enaudi, pagine 164, € 18,00) Acabar in spagnolo significa finire; in sardo accabadora è colei che finisce… È l’ultima madre … Agli occhi della comunità il suo non è un gesto di un’assassina ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. Le protagoniste principali del libro sono una vecchia, Tizia Bonaria, e Maria Bonaria Urrai, una bimba, che Tizia, di professione sarta, ha preso con sé come “fill’ e anima” e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura quando sarà lei ad avere bisogno. Tizia non è solo una sarta: vestita di nero, coi suoi silenzi lunghi, ha un’aria misteriosa che l’accompagna, insieme ad un ombra di spavento, che accende negli occhi di chi la incontra, perché lei è un’accabadora. Maria, dal carattere duro e ribelle, non lo sa, non se ne accorge nemmeno quando una volta vede Tizia uscire di notte per recarsi, chiamata, al domicilio di un paziente, per portargli il gesto amorevole e definitivo dell’accabadora… la morte pietosa… dell’ultima madre. Lo scopre, drammaticamente, da adolescente, e fugge da lei dopo un colloquio tumultuoso, imbarcandosi per Genova per poi proseguire in treno per Torino, dove sarà bambinaia in casa Gentili. Altri protagonisti Anna Teresa Lustru, la madre di Maria, Andrìa Bastìu, un giovane contadino, innamorato di Maria, sempre respinto e deriso, Nicola Bastìù, fratello maggiore di Andrìa, bulletto presuntuoso e prepotente, vittima della propria cattiveria criminale, che mentre sta per incendiare la fattoria di un confinante inviso, gli sparano una fucilata ferendolo alla gamba destra che a seguito di una infezione gli verrà amputata, rendendolo storpio per tutta la vita; Piergiorgio Gentili, un adolescente viziato, con gravi problemi psicologici, affidato alle cure della bambinaia Maria, di cui si innamora, ricambiato. Amore e passione travolgente… e Maria diventa donna … Un amore drammaticamente infranto, proprio la notte dell’addio - Maria, affranta, deve tornare, pur con la morte nel cuore, in Sardegna per assistere Tizia, molto malata, per adempiere a i suoi doveri di figlia adottiva, fill e’ anima - al culmine di un appassionato amplesso, scoperto dagli scandalizzati coniugi Gentili, su soffiata della sorella minore di Piergiorgio. Con la malinconica partenza, alle prime luci dell’alba per la sua isola, finisce l’avventura di Maria in casa Gentili. Indimenticabili e coinvolgenti le pagine del libro illustrative della rivelazione, attraverso il racconto di Andrìa, della professione di accabadora di Tizia; del conseguente aspro scontro tra le due donne conclusosi con la partenza di Maria; quelle che descrivono la maturazione di Andrìa, che si rende conto della buona fede di Maria, della quale è sempre innamorato, e quelle finali, a sorpresa, che il lettore potrà gustare. Sullo sfondo la Sardegna degli anni 50: un mondo antico sull’orlo del precipizio con le sue regole, i suoi divieti, una lingua atavica e taciti patti condivisi. Michela Murgia, con un lessico scabro e poetico insieme, usa tutta la forza della letteratura per affrontare un tema così complesso - l’eutanasia - senza semplificarlo. “E trova le parole, si legge nella seconda bandella della copertina del libro, per interrogare il nostro mondo, mentre racconta di quell’universo lontano e del suo equilibrio segreto e sostanziale, dove le domande avevano risposte chiare, come le tessere di un abbecedario, l’alfabeto elementare di quando gli oggetti e il loro nome erano misteri non ancora separati dalla violenza sottile dell’analisi logica” Il libro merita più delle poche righe che gli ho riservato, sempre in questa rubrica, del 2° trimestre 2013. Un libro interessante da leggere o rileggere, per i molteplici spunti di riflessione che regala, e che nel 2010 ha valso alla giovane autrice il Premio Campiello.

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BLOCK NOTES a cura della Redazione* E’ stato un trimestre ricchissimo di eventi, che si riepilogano in larga sintesi: ● 29 ottobre 2013 - INCONTRO CON L’AUTORE - con inizio alle ore 16,30 e conclusione alle ore 19 presso la sala delle riunioni del Consiglio Nazionale della Cisl, via Chopin 35. Presentazione del libro – SINESTESIA TEATRO - (9 opere teatrali) di GIANLUCA BIONDI autore, regista, attore. Moderatore: Carmelo Pelle. L’autore, dopo aver illustrato, di volta in volta, tutte le opere contenute nel libro, ha recitato alcuni brani significativi, coadiuvato da alcuni nostri fini dicitori presenti: Anna Iozzino, Rossana Mezzabarba, Adriano Longhi, Rossana Pellegrini, Cesare Fucci, Gioacchino Ruocco e da attori o allievi del Teatro Piccolo Re di Roma. - La nostra Maria Meli, ricercatrice di tradizioni popolari calabro-sicule, ha recitato detti, indovinelli, poesie di notevole interesse culturale, in un inedito e inaspettato fuori programma. E’ seguito un gustoso rinfresco. ● 16 novembre al Teatro Piccolo Re di Roma, via Trebula 5, con inizio alle ore 16,30 e conclusione alle ore 19,30. - TEATRO A LARGO RAGGIO , con le seguenti scansioni: recita del monologo Calogero Cifalà di Giorgio Lofermo, che ne ha curato anche la regia. Il dramma racconta la storia di uno “zolfataro” in miniera, che il numeroso pubblico ha ascoltato commosso applaudendo.

� Siparietto romano (canzoni, poesie, sceneggiate, con Lucilla Colloridi, 14enne accompagnata alla chitarra dal padre Gianluca, scatenata in rock romaneschi, composti dallo stesso padre). Fuori programma: il cantante Paolo Longhi, accompagnato alla chitarra dallo zio Alessandro Longhi, ha cantato, molto applaudito, una sua composizione inedita dal titolo It' not your time e poi Roma Capoccia di Antonello Venditti; il padre Adriano Longhi ha recitato tra gli applausi, alcune poesie di Trilussa, e due sue in romanesco, sulle virtù teologali. Rossana Mezzabarba ha declamato, in romanesco, molto applaudita dal pubblico, due sue poesie inedite e due di Trilussa.

� Siparietto napoletano con Rosa Rotoli Magri che ha presentato poesie di Salvatore di Giacomo e di Totò e alcune sue composizioni; ed a sorpresa, una per lei scritta dal marito, Michele Magri... da fidanzatino... Lo stesso Magri ha poi declamato, cantandoli, i versi della famosa canzone “‘A luna nova” di Salvatore Di Giacomo. Applausi scroscianti per entrambi. Fuori programma una breve farsa di Cesare Fucci “Io questo ho!” un duetto con Rosa Rotoli Magri che ha rivelato insospettabili doti di attrice.

� Siparietto calabro-siculo di Maria Meli (canti e suoni, poesie, indovinelli, detti e battute, della tradizione orale) accompagnata alla chitarra dalla figlia Anita Pititto. Da ricordare: La recita della poesia di Rocco Ritorto, in vernacolo calabrese: “I BRIGANTI” e la sceneggiata in stretto dialetto dal titolo “Zì Nicola” protagonisti Maria Meli e Anita Pititto (sempre alla chitarra) nei ruoli di madre e figlia e Carmelo Pelle, nella parte di zio Nicola e la proposizione della canzone “Io che amo solo te” di Sergio Endrigo, da parte di Paolo Longhi, sempre accompagnato alla chitarra dallo zio Alessandro Longhi. L’esibizione si è conclusa, tra gli applausi al coro di “Calabrisella” e di “Vitti nà crozza”. E’ seguito un rinfresco offerto dalla Direzione del Teatro.

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● 12 dicembre con inizio alle 13,15 e conclusione alle 16,45 - al Ristorante La Torricella -via Evangelista Torricelli 2/12 al Testaccio: convivio per il tradizionale scambio degli auguri di Natale. Partecipanti 76 persone, menù faraonico a base di pesce, 16 estrazioni, atmosfera gioiosa e distesa: una festa. Si ricordano i vincitori dei primi due premi: Francesco Sparagna, che si è aggiudicato una preziosa incisione del pittore Pietro Mocci, contitolare della Galleria d’Arte “Segni dei Sogni” in Roma, e Giulio Falasca, che ha vinto una stampante Canon di ultima generazione. Le successive estrazioni sono state: 4 locandine della pittrice Daniela Troina e 10 del pittore Claudio Angellotti. Tra i vincitori: Aurelio Guerra, Alfredo Terzo, Patrizia Costanza, Anna Iozzino, Paulette Carrara, Pietro Armeni, Franco Caramanti, Roberto Vairo, Filippo Buono,Tarantino Pietro, Massimo Saraz. Ai saluti è stato offerto dal Gruppo Erato, per famiglia, una borsa rossa con sopra scritto Buon Natale, contenente una bottiglia di vino bianco doc della cantina Val di Neto (Crotone), una confezione di peperoncino di 200 gr acquistato al mercato coperto di Locri e un sacchetto di 250 gr di torronicini artigianali, predisposti per l’occasione dal Bar Pasticceria Mario Scocchieri -nostro responsabile periferico- sempre a Locri. Ineccepibile e rapido il servizio: il direttore di sala e gli addetti sono stati bravissimi! Un grazie sentito e complimenti vivissimi al titolare del Ristorante, Augusto Alfonsi! ●14 e 15 dicembre, Mostra “NATALE IN COCCI ” di Silvana Costa in arte Silco, che ha esposto ceramiche medievali, frammenti di tegole antiche, re e regine in ceramica, coppi raffiguranti scene medievali, piatti decorati con bruno di manganese e verde ramina, mattonelle antiche e moderne, vasi e brocche. Il giorno 14 dicembre “Vernissage” con inizio alle ore 17 fino alle 20: ai visitatori è stato offerto un gustoso rinfresco e sorteggiata un’opera “la Dama bionda” dipinta su frammento di tegola antica, acquistata dal family bancher Marco Ferreri e vinta dal sig. Vincenzo Panetta. La mostra si è conclusa il giorno 15 dicembre alle ore 19.

La dama bionda *[email protected]

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PER STRAPPARE UN SORRISO Giuseppe Spinelli*

VOCABOLARIO ALTERNATIVO

ABBECEDARIO - Espressione di sollievo di chi si è accorto che c'è anche Dario ADDENDO - Urlo della folla quando a Nairobi stai per pestare una merda ALUNNO - Esclamazione sfuggita a Papa Leone all'apparire di Attila APPENDICITE - Attaccapanni per scimmie ASSILLO - Scuola materna sarda AUTOCLAVE - Armi automatiche dell'età della pietra BASILICA - Chiesa aromatica BUCANEVE - Precisa pisciata maschile invernale CALABRONE - Grosso abitante di Cosenza CALAMARI - Molluschi responsabili della bassa marea CAPPUCCETTO ROSSO - Profilattico sovietico CATALESSI - Catalani condannati alla pentola a pressione CERBOTTANA - Cervo femmina di facili costumi CERVINO - Domanda dei clienti all'oste romano CONCLAVE - Riunione di cardinali violenti e trogloditi CONTORSIONISTA - Ebreo arrotolato COREOGRAFO - Studioso delle mappe della Corea CURRICULUM - Gara di finocchi ai tempi dell'antica Roma DISSENTERIA - Attitudine a dir sempre di no DOPING - Pratica anglosassone del rimandare a più tardi ECCEDENTE - Frase di un dentista latino dopo un'estrazione EMPORIO - Fratello di Giorgio Armani EQUIDISTANTI - Cavalli in lontananza EQUINOZIO (1) - Zio del cavallo EQUINOZIO (2) - Cavallo che non lavora EUFRATE - Monaco mesopotamico FAHRENHEIT - Tirar tardi la notte FANTASMA - Malattia dell'apparato respiratorio dei consumatori di aranciata FOCACCIA - Foca estremamente malvagia FONETICA - Disciplina che regola il comportamento degli asciugacapelli GAIEZZA - Gioia omosessuale GESTAZIONE - Gravidanza di moglie di ferroviere GIULIVA - Slogan di chi è vessato dall'Imposta sul Valore Aggiunto INCUBATRICE - Macchina fabbricatrice di sogni terribili LATITANTI - Poligoni con molte, moltissime facce LORD - Signore inglese molto sporco LUX - Primo tipo in assoluto di FIAT MAREMMA - Nome di una famosa maiala MARRON GLACES - Testicoli sotto zero MESSA IN PIEGA - Funzione religiosa eseguita da un prete in curva

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NEOLAUREATO - Punto nero della pelle che ha fatto l'università OBIETTORE - Ottico fabbricante di obiettivi che se è particolarmente serio viene chiamato "obiettore di coscienza" OPOSSUM - Marsupiale americano possibilista PARTITI - Movimenti politici che nonostante il nome sono ancora qui RAZZISMO - Scienza che studia i propulsori a reazione RAZZISTA - Fabbricatore di missili REDUCE - Sovrano con tendenze di estrema destra SALADINO - Biscotto salato con il raffreddore SALAME - Tipo di figura che il maiale non vorrebbe mai fare SBRONZI - Ubriachi di Riace SCIMUNITO - Attrezzato per gli sport invernali SCORFANO - Pesce che ha perduto i genitori SOMMARIO - Indicativo presente del verbo "essere Mario" SPAVENTO - Società per azioni eolica STRAFOTTENTE - Dicesi di persona di grandi qualità amatorie TACCHINO - Parte della scarpina TELEPATIA - Malattia che colpisce chi guarda troppo la TV TONNELLATA - Marmellata di tonno TROIKA - Donna russa di facili costumi VIBRATORI - Macchina per vibromassaggio bovino VIGILIA - Donna vigile urbano ZONA DISCO - Parcheggio per gli UFO

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SINDACATO… SINDACALE… SINDACATO di Lidia Cangemi

INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA CIDA FP. GIORGIO REM BADO

D. La CIDA, nel Luglio 2012, è stata protagonista di un radicale cambiamento. Quale il ruolo della Federazione Pubblica e quali i suoi impegni futuri? R. Nel panorama delle confederazioni sindacali rivolte alla rappresentanza dei Dirigenti e delle Alte Professionalità, la nuova CIDA, costituitasi da poco più di un anno (Luglio 2012, come ha giustamente ricordato), si è posta l’obiettivo di diventare il polo di aggregazione di tutta la dirigenza pubblica e privata. Per quanto si riferisce alla Federazione Funzione Pubblica, a sua volta, quest’ultima ha allargato il perimetro della sua rappresentanza per inglobare figure dirigenziali da quelle tradizionali a quelle dei medici, costituendo all’interno della nuova struttura confederale un coordinamento dei dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni, con l’obiettivo di determinare al proprio interno indirizzi comuni nell’ambito delle politiche di valorizzazione delle diverse categorie dirigenziali delle pubbliche amministrazioni e definire, in attesa della ripresa dell’attività contrattuale, linee di indirizzo comuni per i contratti delle diverse aree dirigenziali. A distanza di poco più di un anno, si può vedere con maggiore chiarezza il disegno dal quale si era partiti e valutare molto positivamente la condivisione di fini comuni fra le differenti organizzazioni sindacali di categoria, presupposto indispensabile per un rafforzamento della capacità contrattuale di ciascuna sigla.

D. La nuova CIDA, essendo la somma delle varie Federazioni CIDA e di altre Organizzazioni similari, ha certamente un peso diverso rispetto al passato: da notizie non ufficiali gli aderenti facenti capo alla Federazione che Lei presiede, sono 12 mila, tra dirigenti in servizio e in pensione, mentre quelli della Confederazione, sempre tra dirigenti in servizio ed in pensione sono 120 mila. Una bella “forza d’urto” Quale l’impatto nel mondo sindacale italiano e non solo? R. I dati numerici da Lei ricordati sono orientativi ed in via di continuo aggiornamento: una “bella forza d’urto” per usare la Sua espressione, che si farà sentire non solo nell’ambito delle relazioni sindacali, ma anche, in un impegno nel Paese per le riforme strutturali necessarie e per la ripresa economica. L’impatto sarà per questo positivo.

D. In questo quadro si colloca l’iniziativa delle varie Federazioni CIDA, che ha destato molto interesse nell'opinione pubblica, di costituire, nell'estate 2012: PRIORITALIA Quali i risultati sin qui conseguiti e quali i progetti futuri? R. In epoca successiva, a distanza di circa un anno dalla nascita della nuova CIDA, è stata costituita fra le Federazioni della CIDA l’Associazione, “PRIORITALIA”, che era stata presentata in anteprima la scorsa estate (2012) a Roma, in un meeting ampiamente partecipato dal quale era partita l’idea di affiancare alla Confederazione dei Dirigenti, rivolta tradizionalmente alla tutela sindacale e previdenziale degli iscritti, un nuovo soggetto che, secondo la cultura manageriale tipica della CIDA si occupasse delle problematiche attinenti alle politiche sociali, indirizzando la propria azione ad una pluralità di prospettive. Prioritariamente, l’obiettivo era e sarà quello di far sì che l’associazionismo dirigenziale rappresenti il terreno di coltura di una visione della politica ispirata alle specificità delle professionalità dei dirigenti, che orientano la propria azione – nel concreto quotidiano – alla costruzione di progetti, alla verifica della loro praticabilità e all’analisi dei risultati raggiunti. L’idea è quella, nella crisi sempre più profonda dei partiti tradizionali e nella proliferazione di movimenti (in un clima di frammentazione e disgregazione nella progettualità politica), di creare un luogo di elaborazione delle soluzioni politiche ai diversi problemi del Paese e una sede in cui si possano produrre idee da offrire ai soggetti politici presenti nelle istituzioni e a persone capaci di realizzarle. Si vuole superare l’antico pregiudizio delle classi dirigenti del nostro Paese di stare a debita distanza dal mondo della politica per evitare di “sporcarsi le mani” e al tempo stesso abdicando al proprio ruolo di classe dirigente. Dopo un anno di “incubazione” del progetto, PRIORITALIA è stata costituita all’inizio di luglio di quest’anno, si è data i propri organismi e ha cominciato a definire l’impostazione della propria attività. Il prossimo appuntamento sarà il meeting di autunno, che si svolgerà a Roma e che svilupperà il tema della politica culturale come risorsa, in tutte le sue articolazioni ed eccezioni.

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LA SPENDING REVIEW

Rosario Bontempi*

Molti non sanno il significato di spending review e a che serve, ma quando si parla di spese dello Stato, tutti fanno riferimento alle spese della politica e al costo delle siringhe che acquistano le Regioni per la Sanità. Per abbassare le spese della politica, tutti condividono che bisogna mettere mano con l’accetta ed eliminare tutte quelle organizzazioni messe in piedi per collocare politici e che, nell’economia di una comunità, servono solo a mantenere se stesse. In un momento così difficile per il Paese, queste spese sono sempre meno sopportabili da parte dei cittadini che vedono in esse l’immagine di una casta che si arricchisce sempre più indebitamente alle spalle di una comunità che si dispera per la mancanza di lavoro e di risorse. Nel momento in cui, pertanto, si parla di spese della politica s’individua nella spending review il tentativo di fare giustizia, che finora si è dimostrato vano. I lettori di giornali e spettatori assidui di dibattiti televisivi che conoscono il significato della spending review ci direbbero che, oltre alla politica, il problema sono le siringhe che, secondo il colore politico di chi lo dice in Tv o sul giornale, costano di meno in una Regione e di più in un’altra. I più raffinati ci parlerebbero di costi standard perché effettivamente, se tutte le stazioni appaltanti, per esempio nella Sanità, tenessero conto obbligatoriamente dello stesso costo di riferimento dei prodotti da acquistare, in precedenza determinato, la siringa non costerebbe dieci in una Regione e venti o più in un'altra. Più in là non si va, i politici e i giornalisti che seguiamo attraverso la carta stampata o in Tv quando parlano di spending review, accennano unicamente ai costi della politica e a quello standard della siringa. In verità, c’è chi inserisce nel ragionamento anche una battaglia ideologica perché invece di riqualificazione della spesa si cerca di semplificare il concetto di riduzione della spesa, introducendo a monte quali debbano essere i confini dello Stato e da qui la soluzione con lo slogan “meno Stato, più Società”. Tale principio viene anche surrettiziamente applicato comprimendo verso il basso i trasferimenti, per cui i Comuni, per effetto della riduzione dei trasferimenti dal Centro, sono quelli che limitano i servizi e/o la loro qualità. Un altro modo surrettizio di riduzione dei confini dello Stato si realizza esternalizzando alcune attività istituzionali. E’ il caso dell’INPS che è diventata una web Company, per effetto della quale, tutte le domande di servizio, devono essere presentate solo per via telematica, in presenza di un suo pubblico di riferimento fatto di anziani, svantaggiati, invalidi civili, il mondo del “digital divide”, mondo che è costretto a rivolgersi ai mediatori sociali per la ricerca di un patrocinante che possa presentare per lui la domanda di servizio. Poi ci dimentichiamo che in effetti, l’Inps riduce la spesa, ma poi allo Stato il patrocinio dei mediatori sociali costa oltre 400 milioni di contributi annui, oltre ai costi aggiuntivi “indiretti” cui è “costretto” il cittadino non capace di accedere alle procedure informatiche, per cui, in questo caso, la spending review è apparente. Ritornando alla questione dei costi della politica e delle siringhe, siamo poi convinti che basti intervenire su questi costi e il risultato è ottenuto? E’ possibile pensare che la spending review si limiti a questo? Certo che no, ma allora perché il dibattito è limitato a queste due partite: il costo della politica e quello delle siringhe? E’ mala fede, è semplificazione? NO, è ignoranza. Riqualificare la spesa, questo è il significato della spending review. Con la spending review si riorganizza uno Stato, si pone in essere una rivoluzione organizzativa della cosa pubblica per conseguire snellimenti operativi e procedimentali con l’obiettivo di ridurre i costi dei servizi pubblici resi e di conseguenza le spese di cui tanto si parla.

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Di conseguenza si riducono i tempi di attesa e s’innalza la qualità percepita dal cittadino. E’ lì il grosso dei risparmi che si possono realizzare. In qualunque azienda l’analisi che si pone in essere con continuità è la verifica dei costi fissi e di quelli variabili, per quantificare la parte dell’organizzazione che serve a mantenere se stessa e le risorse che assorbono il prodotto. Se un’azienda è una Corporate, ogni elemento del Gruppo è stazione appaltante o c’è una struttura acquisti che serve tutte le aziende del gruppo? Quante aziende del gruppo fanno gli stessi prodotti che possono essere realizzati da una sola? Quante Aziende del Gruppo fanno attività complementari alle altre, per cui il ciclo completo si accentra o almeno sono poste in posizioni logistiche tali da operare in un sistema olonico virtuale? Tutte le Aziende del Gruppo sono collegate in rete, indipendentemente da dove sono localizzate, in genere in tutto il mondo, essendo per lo più multinazionali? Queste analisi sono fatte per razionalizzare i processi, lavorare in ciclo completo di prodotto e fare in modo che la razionalizzazione organizzativa e operativa produca semplificazione dei processi e riduzione dei costi a qualità sempre crescenti. Queste le azioni che vanno fatte anche nelle strutture della Pubblica Amministrazione. Analisi sono fatte, studi e ricerche sono molteplici, ma poi tutto si ferma e diventa un fiume carsico che si affonda e non si sa, dove scorre e dove va a finire. Vorrei tentare una checklist, non completa certo, delle azioni che io vedo possano produrre notevoli riduzioni di costi e aumenti di performance e riduzione dei tempi dei procedimenti.

1) Verificare che tutte le Amministrazioni centrali e periferiche abbiano strutture informatiche collegate in rete;

2) Pretendere che ogni Amministrazione detenga solo le Banche dati del servizio di business. Ogni Amministrazione detiene, oggi, tutti i dati che riguardano il soggetto trattato. Questo comporta che le stesse informazioni, quelle personali, siano detenute da ogni Amministrazione o Ente pubblico, per cui si duplicano moltissime banche dati che, razionalizzate, ridurrebbero fortemente i loro costi. I dati, patrimonio di ogni Amministrazione che, si ritiene sia la proprietaria, devono essere messi a disposizione delle altre Amministrazioni che le utilizza semplicemente per la definizione del servizio che deve rendere. In tal caso un Comitato etico deve decidere a priori e con cadenza quali siano i dati circolabili e quelli sensibili coperti da privacy;

3) Unificare le Amministrazioni e gli Enti che fanno le stesse cose per soggetti diversi o che svolgono attività complementari per le stesse persone. Far lavorare insieme le Agenzie per l’impiego con le strutture Inps produrrebbe forme di razionalizzazione con risparmi di costi fissi di struttura e sinergie che determinano aumento della qualità percepita del servizio proprio dai soggetti più deboli della società: gli inoccupati e i disoccupati in cerca di lavoro o di ammortizzatori sociali. Unificare gli Enti Previdenziali, già avviati recentemente, con la fusione di Inps, Inpdap ed Enpals;

4) Accentrare in un solo Ente, richieste di servizio che prevedono fasi di procedimento oggi affidati a più Enti o Amministrazioni pubbliche. L’invalidità civile è un esempio, oggi divisa tra Regioni e Inps o l’istruttoria del diritto alla pensione per gli esodati, il cui iter burocratico è diviso tra Ufficio del Lavoro e Inps. In entrambi i casi, i tempi di definizione delle domande si allungano e si rimpallano le responsabilità tra Ente ed Ente, non sapendo dove s’intoppi il procedimento, anche qui con disservizio proprio per le fasce più disagiate della popolazione. I procedimenti riguardanti il fenomeno immigratorio richiedono un urgente intervento. Gli esempi sono molteplici e sappiamo quante volte il cittadino girovaghi tra un’Amministrazione e un’altra per avere la definizione della stessa pratica la cui competenza è frammentata.

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Quantomeno facciamo girare l’informazione per via telematica, non i cittadini.

5) Analizzare per ogni Amministrazione quale sia la percentuale delle attività abilitanti e di ottimizzazione, cioè quale sia la percentuale delle risorse impegnate per il funzionamento della struttura, rispetto al complessivo. Un Ente o Amministrazione che abbia più del 20% delle attività di struttura e non di servizio al cittadino, è da riorganizzare;

6) Operare in logica di Corporate, indipendentemente dal settore pubblico di appartenenza, centrale, regionale, provinciale o comunale. Imporre i costi standard a tutti, realizzare centrali acquisti per tutte le Amministrazioni o fissare i costi standard obbligatori per tutti quelli che decidono di rinunciare a utilizzare la centrale acquisti. A tale proposito ho verificato, su mia esperienza, che non è sempre vero che i costi Consip, l’Agenzia ministeriale degli acquisti, siano sempre inferiori, tutt’altro. A volte le stazioni appaltanti trovano conveniente utilizzare Consip per non correre rischi nell’appalto alternativo, pur sapendo che sul loro mercato locale si possono spuntare condizioni migliori. Affiancare agli acquisti con Consip acquisti in rete, con il lancio di appalti telematici, che possono dare sorprese positive con spunti di prezzo veramente convenienti.

Quella che viene fuori da questa provvisoria checklist, che io vorrei fosse arricchita dai contributi di chi vorrà accedere al blog, come una sorta di wikipedia, è un’Amministrazione pubblica “integrata”, tale da apparire un’unica azienda dislocata sul territorio, vicina ai cittadini, un’azienda amica cui rivolgersi in caso di necessità, in virtù di un costo sostenuto con il pagamento delle imposte. E’ un’azienda che potrà sfruttare convenientemente gli esuberi del personale e dei dirigenti in un Ente attivando processi di mobilità verso Enti che abbiano carenze. E’ un’Azienda che, razionalizzata, avrà bisogno senz’altro di un organico inferiore a quello attuale dopodiché è possibile attivare i ricambi generazionali, con sblocco del turnover. E’ un’operazione che richiede del tempo e quello concesso al nuovo Commissario, nominato dal Consiglio dei Ministri, Carlo Cottarelli, è di tre anni, che corrisponde alla durata del suo contratto. E’ un tempo giusto, nella speranza che gli facciano attuare le sue proposte e non vi siano lobby che si frappongano ai progetti attuativi. L’operazione avrà successo se i primi risultati si potranno avere nei prossimi mesi. In tale caso, il Progetto andrà in discesa rapida per la sua completa realizzazione.

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IL NOSTRO ORGANIGRAMMA COMITATO ESECUTIVO Coordinatore: Carmelo PELLE Vice: Rocco FERRI Giuseppe SPINELLI Amministrazione: Rosario PROCOPIO Organizzazione: Silvana COSTA Relazioni Pubbliche: Scipione GIOFFRE’ Segretario: Alberto CECI

COMITATO DI REDAZIONE

Coordinatore: Carmelo PELLE Redattore Capo: Silvana COSTA Redattori: Antonio PILLUCCI Mario ANTONINI Giuliana COSTANTINI RESPONSABILI DI SETTORE:

Giuseppe BEATO problematiche CIDA

Giuliana COSTANTINI cinema Antonio DE CARLO questioni sociali Antonio DE CHIARO musica classica Giorgio LO FERMO teatro Adriano LONGHI poesia in vernacolo Claudia PELLE spiritualità Giulio SORDINI poesia in romanesco Rosario ZIINO sport e turismo

RAPPRESENTANTI PERIFERICI:

Attilio AGHEMO (Torino) - Gaetano BARTOLI (Palermo) - Rosario BONTEMPI (Regione Piemonte) - Lillo BRUCCOLERI (Genova) - Bruno DE BIASI (Oristano) - Paola DURANTI (Livorno) - Marino FABBRI (Reggio Emilia) -Giuseppe GIGLIOTTI (Cosenza) - Massimo IANNICELLI (Lametia Terme) - Mario LOMONACO (Campobasso) - Armando LO PUMO (Genova) - Mario MIRABELLO (Catanzaro) - Elio PELAGGI (Catanzaro) - Salvatore PINTUS (Genova) - Gesuino SCANO (Sassari) - Mario SCOCCHIERI (Locri) - Enrico VIGNES (Latina) - Vincenzo VITRANO (Trapani) - Pietro ZAPPIA (Reggio Calabria).

L’adesione è libera. L’auspicio è di garantire la presenza di rappresentanti del Gruppo in ogni provincia d’Italia.

Associati: a) di diritto gli iscritti al Sindacato; b) per libera scelta il personale dell’INPS in servizio o in pensione e le persone appartenenti ad altri ambienti di lavoro su presentazione di un associato.