La divina commedia

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La Divina CommediaLA DIVINA COMMEDIAdi Dante AlighieriINFERNOInferno: Canto INel mezzo del cammin di nostra vitami ritrovai per una selva oscurach la diritta via era smarrita.Ahi quanto a dir qual era cosa duraesta selva selvaggia e aspra e forteche nel pensier rinova la paura!Tant amara che poco pi morte;ma per trattar del ben chi vi trovai,dir de laltre cose chi vho scorte.Io non so ben ridir comi vintrai,tantera pien di sonno a quel puntoche la verace via abbandonai.Ma poi chi fui al pi dun colle giunto,l dove terminava quella valleche mavea di paura il cor compunto,guardai in alto, e vidi le sue spallevestite gi de raggi del pianetache mena dritto altrui per ogne calle.Allor fu la paura un poco quetache nel lago del cor mera duratala notte chi passai con tanta pieta.E come quei che con lena affannatauscito fuor del pelago a la rivasi volge a lacqua perigliosa e guata,cos lanimo mio, chancor fuggiva,si volse a retro a rimirar lo passoche non lasci gi mai persona viva.Poi chi posato un poco il corpo lasso,ripresi via per la piaggia diserta,s che l pi fermo sempre era l pi basso.Ed ecco, quasi al cominciar de lerta,una lonza leggera e presta molto,che di pel macolato era coverta;e non mi si partia dinanzi al volto,anzi mpediva tanto il mio cammino,chi fui per ritornar pi volte vlto.Tempera dal principio del mattino,e l sol montava n s con quelle stellecheran con lui quando lamor divinomosse di prima quelle cose belle;s cha bene sperar mera cagionedi quella fiera a la gaetta pellelora del tempo e la dolce stagione;ma non s che paura non mi dessela vista che mapparve dun leone.Questi parea che contra me venissecon la testalta e con rabbiosa fame,s che parea che laere ne tremesse.Ed una lupa, che di tutte bramesembiava carca ne la sua magrezza,e molte genti f gi viver grame,questa mi porse tanto di gravezzacon la paura chuscia di sua vista,chio perdei la speranza de laltezza.E qual quei che volontieri acquista,e giugne l tempo che perder lo face,che n tutti suoi pensier piange e sattrista;tal mi fece la bestia sanza pace,che, venendomi ncontro, a poco a pocomi ripigneva l dove l sol tace.Mentre chi rovinava in basso loco,dinanzi a li occhi mi si fu offertochi per lungo silenzio parea fioco.Quando vidi costui nel gran diserto,Miserere di me, gridai a lui,qual che tu sii, od ombra od omo certo!.Rispuosemi: Non omo, omo gi fui,e li parenti miei furon lombardi,mantoani per patria ambedui.Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,e vissi a Roma sotto l buono Augustonel tempo de li di falsi e bugiardi.Poeta fui, e cantai di quel giustofigliuol dAnchise che venne di Troia,poi che l superbo Ilin fu combusto.Ma tu perch ritorni a tanta noia?perch non sali il dilettoso montech principio e cagion di tutta gioia?.Or se tu quel Virgilio e quella fonteche spandi di parlar s largo fiume?,rispuosio lui con vergognosa fronte.O de li altri poeti onore e lumevagliami l lungo studio e l grande amoreche mha fatto cercar lo tuo volume.Tu se lo mio maestro e l mio autore;tu se solo colui da cu io tolsilo bello stilo che mha fatto onore.Vedi la bestia per cu io mi volsi:aiutami da lei, famoso saggio,chella mi fa tremar le vene e i polsi.A te convien tenere altro viaggio,rispuose poi che lagrimar mi vide,se vuo campar desto loco selvaggio:ch questa bestia, per la qual tu gride,non lascia altrui passar per la sua via,ma tanto lo mpedisce che luccide;e ha natura s malvagia e ria,che mai non empie la bramosa voglia,e dopo l pasto ha pi fame che pria.Molti son li animali a cui sammoglia,e pi saranno ancora, infin che l veltroverr, che la far morir con doglia.Questi non ciber terra n peltro,ma sapienza, amore e virtute,e sua nazion sar tra feltro e feltro.Di quella umile Italia fia saluteper cui mor la vergine Cammilla,Eurialo e Turno e Niso di ferute.Questi la caccer per ogne villa,fin che lavr rimessa ne lo nferno,l onde nvidia prima dipartilla.Ondio per lo tuo me penso e discernoche tu mi segui, e io sar tua guida,e trarrotti di qui per loco etterno,ove udirai le disperate strida,vedrai li antichi spiriti dolenti,cha la seconda morte ciascun grida;e vederai color che son contentinel foco, perch speran di venirequando che sia a le beate genti.A le quai poi se tu vorrai salire,anima fia a ci pi di me degna:con lei ti lascer nel mio partire;ch quello imperador che l s regna,perchi fu ribellante a la sua legge,non vuol che n sua citt per me si vegna.In tutte parti impera e quivi regge;quivi la sua citt e lalto seggio:oh felice colui cu ivi elegge!.E io a lui: Poeta, io ti richeggioper quello Dio che tu non conoscesti,acci chio fugga questo male e peggio,che tu mi meni l dovor dicesti,s chio veggia la porta di san Pietroe color cui tu fai cotanto mesti.Allor si mosse, e io li tenni dietro.Inferno: Canto IILo giorno se nandava, e laere brunotoglieva li animai che sono in terrada le fatiche loro; e io sol unomapparecchiava a sostener la guerras del cammino e s de la pietate,che ritrarr la mente che non erra.O muse, o alto ingegno, or maiutate;o mente che scrivesti ci chio vidi,qui si parr la tua nobilitate.Io cominciai: Poeta che mi guidi,guarda la mia virt sell possente,prima cha lalto passo tu mi fidi.Tu dici che di Silvio il parente,corruttibile ancora, ad immortalesecolo and, e fu sensibilmente.Per, se lavversario dogne malecortese i fu, pensando lalto effettochuscir dovea di lui e l chi e l quale,non pare indegno ad omo dintelletto;che fu de lalma Roma e di suo imperone lempireo ciel per padre eletto:la quale e l quale, a voler dir lo vero,fu stabilita per lo loco santou siede il successor del maggior Piero.Per questandata onde li dai tu vanto,intese cose che furon cagionedi sua vittoria e del papale ammanto.Andovvi poi lo Vas delezione,per recarne conforto a quella fedech principio a la via di salvazione.Ma io perch venirvi? o chi l concede?Io non Enea, io non Paulo sono:me degno a ci n io n altri l crede.Per che, se del venire io mabbandono,temo che la venuta non sia folle.Se savio; intendi me chi non ragiono.E qual quei che disvuol ci che vollee per novi pensier cangia proposta,s che dal cominciar tutto si tolle,tal mi fecio n quella oscura costa,perch, pensando, consumai la mpresache fu nel cominciar cotanto tosta.Si ho ben la parola tua intesa,rispuose del magnanimo quellombra;lanima tua da viltade offesa;la qual molte fiate lomo ingombras che donrata impresa lo rivolve,come falso veder bestia quandombra.Da questa tema acci che tu ti solve,dirotti perchio venni e quel chio ntesinel primo punto che di te mi dolve.Io era tra color che son sospesi,e donna mi chiam beata e bella,tal che di comandare io la richiesi.Lucevan li occhi suoi pi che la stella;e cominciommi a dir soave e piana,con angelica voce, in sua favella:O anima cortese mantoana,di cui la fama ancor nel mondo dura,e durer quanto l mondo lontana,lamico mio, e non de la ventura,ne la diserta piaggia impeditos nel cammin, che volt per paura;e temo che non sia gi s smarrito,chio mi sia tardi al soccorso levata,per quel chi ho di lui nel cielo udito.Or movi, e con la tua parola ornatae con ci cha mestieri al suo camparelaiuta, s chi ne sia consolata.I son Beatrice che ti faccio andare;vegno del loco ove tornar disio;amor mi mosse, che mi fa parlare.Quando sar dinanzi al segnor mio,di te mi loder sovente a lui.Tacette allora, e poi comincia io:O donna di virt, sola per cuilumana spezie eccede ogne contentodi quel ciel cha minor li cerchi sui,tanto maggrada il tuo comandamento,che lubidir, se gi fosse, m tardi;pi non t uo chaprirmi il tuo talento.Ma dimmi la cagion che non ti guardide lo scender qua giuso in questo centrode lampio loco ove tornar tu ardi.Da che tu vuo saver cotanto a dentro,dirotti brievemente, mi rispuose,perchio non temo di venir qua entro.Temer si dee di sole quelle cosechanno potenza di fare altrui male;de laltre no, ch non son paurose.I son fatta da Dio, sua merc, tale,che la vostra miseria non mi tange,n fiamma desto incendio non massale.Donna gentil nel ciel che si compiangedi questo mpedimento ovio ti mando,s che duro giudicio l s frange.Questa chiese Lucia in suo dimandoe disse: - Or ha bisogno il tuo fedeledi te, e io a te lo raccomando -.Lucia, nimica di ciascun crudele,si mosse, e venne al loco dovi era,che mi sedea con lantica Rachele.Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,ch non soccorri quei che tam tanto,chusc per te de la volgare schiera?non odi tu la pieta del suo pianto?non vedi tu la morte che l combattesu la fiumana ove l mar non ha vanto? -Al mondo non fur mai persone rattea far lor pro o a fuggir lor danno,comio, dopo cotai parole fatte,venni qua gi del mio beato scanno,fidandomi del tuo parlare onesto,chonora te e quei chudito lhanno.Poscia che mebbe ragionato questo,li occhi lucenti lagrimando volse;per che mi fece del venir pi presto;e venni a te cos comella volse;dinanzi a quella fiera ti levaiche del bel monte il corto andar ti tolse.Dunque: che ? perch, perch restai?perch tanta vilt nel core allette?perch ardire e franchezza non hai?poscia che tai tre donne benedettecuran di te ne la corte del cielo,e l mio parlar tanto ben ti promette?.Quali fioretti dal notturno gelochinati e chiusi, poi che l sol li mbiancasi drizzan tutti aperti in loro stelo,tal mi fecio di mia virtude stanca,e tanto buono ardire al cor mi corse,chi cominciai come persona franca:Oh pietosa colei che mi soccorse!e te cortese chubidisti tostoa le vere parole che ti porse!Tu mhai con disiderio il cor dispostos al venir con le parole tue,chi son tornato nel primo proposto.Or va, chun sol volere dambedue:tu duca, tu segnore, e tu maestro.Cos li dissi; e poi che mosso fue,intrai per lo cammino alto e silvestro.Inferno: Canto IIIPer me si va ne la citt dolente,per me si va ne letterno dolore,per me si va tra la perduta gente.Giustizia mosse il mio alto fattore:fecemi la divina podestate,la somma sapienza e l primo amore.Dinanzi a me non fuor cose createse non etterne, e io etterno duro.Lasciate ogne speranza, voi chintrate.Queste parole di colore oscurovidio scritte al sommo duna porta;per chio: Maestro, il senso lor m duro.Ed elli a me, come persona accorta:Qui si convien lasciare ogne sospetto;ogne vilt convien che qui sia morta.Noi siam venuti al loco ovi tho dettoche tu vedrai le genti dolorosechanno perduto il ben de lintelletto.E poi che la sua mano a la mia puosecon lieto volto, ondio mi confortai,mi mise dentro a le segrete cose.Quivi sospiri, pianti e alti guairisonavan per laere sanza stelle,per chio al cominciar ne lagrimai.Diverse lingue, orribili favelle,parole di dolore, accenti dira,voci alte e fioche, e suon di man con ellefacevano un tumulto, il qual saggirasempre in quellaura sanza tempo tinta,come la rena quando turbo spira.E io chavea derror la testa cinta,dissi: Maestro, che quel chi odo?e che gent che par nel duol s vinta?.Ed elli a me: Questo misero modotegnon lanime triste di coloroche visser sanza nfamia e sanza lodo.Mischiate sono a quel cattivo corode li angeli che non furon ribellin fur fedeli a Dio, ma per s fuoro.Caccianli i ciel per non esser men belli,n lo profondo inferno li riceve,chalcuna gloria i rei avrebber delli.E io: Maestro, che tanto grevea lor, che lamentar li fa s forte?.Rispuose: Dicerolti molto breve.Questi non hanno speranza di mortee la lor cieca vita tanto bassa,che nvidiosi son dogne altra sorte.Fama di loro il mondo esser non lassa;misericordia e giustizia li sdegna:non ragioniam di lor, ma guarda e passa.E io, che riguardai, vidi una nsegnache girando correva tanto ratta,che dogne posa mi parea indegna;e dietro le vena s lunga trattadi gente, chi non averei credutoche morte tanta navesse disfatta.Poscia chio vebbi alcun riconosciuto,vidi e conobbi lombra di coluiche fece per viltade il gran rifiuto.Incontanente intesi e certo fuiche questa era la setta di cattivi,a Dio spiacenti e a nemici sui.Questi sciaurati, che mai non fur vivi,erano ignudi e stimolati moltoda mosconi e da vespe cheran ivi.Elle rigavan lor di sangue il volto,che, mischiato di lagrime, a lor piedida fastidiosi vermi era ricolto.E poi cha riguardar oltre mi diedi,vidi genti a la riva dun gran fiume;per chio dissi: Maestro, or mi concedichi sappia quali sono, e qual costumele fa di trapassar parer s pronte,comio discerno per lo fioco lume.Ed elli a me: Le cose ti fier contequando noi fermerem li nostri passisu la trista riviera dAcheronte.Allor con li occhi vergognosi e bassi,temendo no l mio dir li fosse grave,infino al fiume del parlar mi trassi.Ed ecco verso noi venir per naveun vecchio, bianco per antico pelo,gridando: Guai a voi, anime prave!Non isperate mai veder lo cielo:i vegno per menarvi a laltra rivane le tenebre etterne, in caldo e n gelo.E tu che se cost, anima viva,prtiti da cotesti che son morti.Ma poi che vide chio non mi partiva,disse: Per altra via, per altri portiverrai a piaggia, non qui, per passare:pi lieve legno convien che ti porti.E l duca lui: Caron, non ti crucciare:vuolsi cos col dove si puoteci che si vuole, e pi non dimandare.Quinci fuor quete le lanose goteal nocchier de la livida palude,che ntorno a li occhi avea di fiamme rote.Ma quellanime, cheran lasse e nude,cangiar colore e dibattero i denti,ratto che nteser le parole crude.Bestemmiavano Dio e lor parenti,lumana spezie e l loco e l tempo e l semedi lor semenza e di lor nascimenti.Poi si ritrasser tutte quante insieme,forte piangendo, a la riva malvagiachattende ciascun uom che Dio non teme.Caron dimonio, con occhi di bragia,loro accennando, tutte le raccoglie;batte col remo qualunque sadagia.Come dautunno si levan le foglieluna appresso de laltra, fin che l ramovede a la terra tutte le sue spoglie,similemente il mal seme dAdamogittansi di quel lito ad una ad una,per cenni come augel per suo richiamo.Cos sen vanno su per londa bruna,e avanti che sien di l discese,anche di qua nuova schiera sauna.Figliuol mio, disse l maestro cortese,quelli che muoion ne lira di Diotutti convegnon qui dogne paese:e pronti sono a trapassar lo rio,ch la divina giustizia li sprona,s che la tema si volve in disio.Quinci non passa mai anima buona;e per, se Caron di te si lagna,ben puoi sapere omai che l suo dir suona.Finito questo, la buia campagnatrem s forte, che de lo spaventola mente di sudore ancor mi bagna.La terra lagrimosa diede vento,che balen una luce vermigliala qual mi vinse ciascun sentimento;e caddi come luom cui sonno piglia.Inferno: Canto IVRuppemi lalto sonno ne la testaun greve truono, s chio mi riscossicome persona ch per forza desta;e locchio riposato intorno mossi,dritto levato, e fiso riguardaiper conoscer lo loco dovio fossi.Vero che n su la proda mi trovaide la valle dabisso dolorosache ntrono accoglie dinfiniti guai.Oscura e profonda era e nebulosatanto che, per ficcar lo viso a fondo,io non vi discernea alcuna cosa.Or discendiam qua gi nel cieco mondo,cominci il poeta tutto smorto.Io sar primo, e tu sarai secondo.E io, che del color mi fui accorto,dissi: Come verr, se tu paventiche suoli al mio dubbiare esser conforto?.Ed elli a me: Langoscia de le gentiche son qua gi, nel viso mi dipignequella piet che tu per tema senti.Andiam, ch la via lunga ne sospigne.Cos si mise e cos mi f intrarenel primo cerchio che labisso cigne.Quivi, secondo che per ascoltare,non avea pianto mai che di sospiri,che laura etterna facevan tremare;ci avvenia di duol sanza martrichavean le turbe, cheran molte e grandi,dinfanti e di femmine e di viri.Lo buon maestro a me: Tu non dimandiche spiriti son questi che tu vedi?Or vo che sappi, innanzi che pi andi,chei non peccaro; e selli hanno mercedi,non basta, perch non ebber battesmo,ch porta de la fede che tu credi;e se furon dinanzi al cristianesmo,non adorar debitamente a Dio:e di questi cotai son io medesmo.Per tai difetti, non per altro rio,semo perduti, e sol di tanto offesi,che sanza speme vivemo in disio.Gran duol mi prese al cor quando lo ntesi,per che gente di molto valoreconobbi che n quel limbo eran sospesi.Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore,comincia io per voler esser certodi quella fede che vince ogne errore:uscicci mai alcuno, o per suo mertoo per altrui, che poi fosse beato?.E quei che ntese il mio parlar coverto,rispuose: Io era nuovo in questo stato,quando ci vidi venire un possente,con segno di vittoria coronato.Trasseci lombra del primo parente,dAbl suo figlio e quella di No,di Mois legista e ubidente;Abram patriarca e Davd re,Isral con lo padre e co suoi natie con Rachele, per cui tanto f;e altri molti, e feceli beati.E vo che sappi che, dinanzi ad essi,spiriti umani non eran salvati.Non lasciavam landar perchei dicessi,ma passavam la selva tuttavia,la selva, dico, di spiriti spessi.Non era lunga ancor la nostra viadi qua dal sonno, quandio vidi un focochemisperio di tenebre vincia.Di lungi neravamo ancora un poco,ma non s chio non discernessi in partechorrevol gente possedea quel loco.O tu chonori scienzia e arte,questi chi son channo cotanta onranza,che dal modo de li altri li diparte?.E quelli a me: Lonrata nominanzache di lor suona s ne la tua vita,grazia acquista in ciel che s li avanza.Intanto voce fu per me udita:Onorate laltissimo poeta:lombra sua torna, chera dipartita.Poi che la voce fu restata e queta,vidi quattro grandombre a noi venire:sembianzavevan n trista n lieta.Lo buon maestro cominci a dire:Mira colui con quella spada in mano,che vien dinanzi ai tre s come sire:quelli Omero poeta sovrano;laltro Orazio satiro che vene;Ovidio l terzo, e lultimo Lucano.Per che ciascun meco si convenenel nome che son la voce sola,fannomi onore, e di ci fanno bene.Cos vidi adunar la bella scoladi quel segnor de laltissimo cantoche sovra li altri comaquila vola.Da chebber ragionato insieme alquanto,volsersi a me con salutevol cenno,e l mio maestro sorrise di tanto;e pi donore ancora assai mi fenno,che s mi fecer de la loro schiera,s chio fui sesto tra cotanto senno.Cos andammo infino a la lumera,parlando cose che l tacere bello,s comera l parlar col dovera.Venimmo al pi dun nobile castello,sette volte cerchiato dalte mura,difeso intorno dun bel fiumicello.Questo passammo come terra dura;per sette porte intrai con questi savi:giugnemmo in prato di fresca verdura.Genti veran con occhi tardi e gravi,di grande autorit ne lor sembianti:parlavan rado, con voci soavi.Traemmoci cos da lun de canti,in loco aperto, luminoso e alto,s che veder si potien tutti quanti.Col diritto, sovra l verde smalto,mi fuor mostrati li spiriti magni,che del vedere in me stesso messalto.I vidi Eletra con molti compagni,tra quai conobbi Ettr ed Enea,Cesare armato con li occhi grifagni.Vidi Cammilla e la Pantasilea;da laltra parte, vidi l re Latinoche con Lavina sua figlia sedea.Vidi quel Bruto che cacci Tarquino,Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;e solo, in parte, vidi l Saladino.Poi chinnalzai un poco pi le ciglia,vidi l maestro di color che sannoseder tra filosofica famiglia.Tutti lo miran, tutti onor li fanno:quivi vidio Socrate e Platone,che nnanzi a li altri pi presso li stanno;Democrito, che l mondo a caso pone,Diogens, Anassagora e Tale,Empedocls, Eraclito e Zenone;e vidi il buono accoglitor del quale,Diascoride dico; e vidi Orfeo,Tulio e Lino e Seneca morale;Euclide geomtra e Tolomeo,Ipocrte, Avicenna e Galieno,Averos, che l gran comento feo.Io non posso ritrar di tutti a pieno,per che s mi caccia il lungo tema,che molte volte al fatto il dir vien meno.La sesta compagnia in due si scema:per altra via mi mena il savio duca,fuor de la queta, ne laura che trema.E vegno in parte ove non che luca.Inferno: Canto VCos discesi del cerchio primaiogi nel secondo, che men loco cinghia,e tanto pi dolor, che punge a guaio.Stavvi Mins orribilmente, e ringhia:essamina le colpe ne lintrata;giudica e manda secondo chavvinghia.Dico che quando lanima mal natali vien dinanzi, tutta si confessa;e quel conoscitor de le peccatavede qual loco dinferno da essa;cignesi con la coda tante voltequantunque gradi vuol che gi sia messa.Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;vanno a vicenda ciascuna al giudizio;dicono e odono, e poi son gi volte.O tu che vieni al doloroso ospizio,disse Mins a me quando mi vide,lasciando latto di cotanto offizio,guarda comentri e di cui tu ti fide;non tinganni lampiezza de lintrare!.E l duca mio a lui: Perch pur gride?Non impedir lo suo fatale andare:vuolsi cos col dove si puoteci che si vuole, e pi non dimandare.Or incomincian le dolenti notea farmisi sentire; or son venutol dove molto pianto mi percuote.Io venni in loco dogne luce muto,che mugghia come fa mar per tempesta,se da contrari venti combattuto.La bufera infernal, che mai non resta,mena li spirti con la sua rapina;voltando e percotendo li molesta.Quando giungon davanti a la ruina,quivi le strida, il compianto, il lamento;bestemmian quivi la virt divina.Intesi cha cos fatto tormentoenno dannati i peccator carnali,che la ragion sommettono al talento.E come li stornei ne portan lalinel freddo tempo, a schiera larga e piena,cos quel fiato li spiriti malidi qua, di l, di gi, di s li mena;nulla speranza li conforta mai,non che di posa, ma di minor pena.E come i gru van cantando lor lai,faccendo in aere di s lunga riga,cos vidio venir, traendo guai,ombre portate da la detta briga;per chi dissi: Maestro, chi son quellegenti che laura nera s gastiga?.La prima di color di cui novelletu vuo saper, mi disse quelli allotta,fu imperadrice di molte favelle.A vizio di lussuria fu s rotta,che libito f licito in sua legge,per trre il biasmo in che era condotta.Ell Semirams, di cui si leggeche succedette a Nino e fu sua sposa:tenne la terra che l Soldan corregge.Laltra colei che sancise amorosa,e ruppe fede al cener di Sicheo;poi Cleopatrs lussuriosa.Elena vedi, per cui tanto reotempo si volse, e vedi l grande Achille,che con amore al fine combatteo.Vedi Pars, Tristano; e pi di milleombre mostrommi e nominommi a dito,chamor di nostra vita dipartille.Poscia chio ebbi il mio dottore uditonomar le donne antiche e cavalieri,piet mi giunse, e fui quasi smarrito.I cominciai: Poeta, volontieriparlerei a quei due che nsieme vanno,e paion s al vento esser leggeri.Ed elli a me: Vedrai quando sarannopi presso a noi; e tu allor li priegaper quello amor che i mena, ed ei verranno.S tosto come il vento a noi li piega,mossi la voce: O anime affannate,venite a noi parlar, saltri nol niega!.Quali colombe dal disio chiamatecon lali alzate e ferme al dolce nidovegnon per laere dal voler portate;cotali uscir de la schiera ov Dido,a noi venendo per laere maligno,s forte fu laffettuoso grido.O animal grazioso e benignoche visitando vai per laere personoi che tignemmo il mondo di sanguigno,se fosse amico il re de luniverso,noi pregheremmo lui de la tua pace,poi chai piet del nostro mal perverso.Di quel che udire e che parlar vi piace,noi udiremo e parleremo a voi,mentre che l vento, come fa, ci tace.Siede la terra dove nata fuisu la marina dove l Po discendeper aver pace co seguaci sui.Amor, chal cor gentil ratto sapprendeprese costui de la bella personache mi fu tolta; e l modo ancor moffende.Amor, cha nullo amato amar perdona,mi prese del costui piacer s forte,che, come vedi, ancor non mabbandona.Amor condusse noi ad una morte:Caina attende chi a vita ci spense.Queste parole da lor ci fuor porte.Quandio intesi quellanime offense,china il viso e tanto il tenni basso,fin che l poeta mi disse: Che pense?.Quando rispuosi, cominciai: Oh lasso,quanti dolci pensier, quanto disiomen costoro al doloroso passo!.Poi mi rivolsi a loro e parla io,e cominciai: Francesca, i tuoi martria lagrimar mi fanno tristo e pio.Ma dimmi: al tempo di dolci sospiri,a che e come concedette Amoreche conosceste i dubbiosi disiri?.E quella a me: Nessun maggior doloreche ricordarsi del tempo felicene la miseria; e ci sa l tuo dottore.Ma sa conoscer la prima radicedel nostro amor tu hai cotanto affetto,dir come colui che piange e dice.Noi leggiavamo un giorno per dilettodi Lancialotto come amor lo strinse;soli eravamo e sanza alcun sospetto.Per pi fiate li occhi ci sospinsequella lettura, e scolorocci il viso;ma solo un punto fu quel che ci vinse.Quando leggemmo il disiato risoesser basciato da cotanto amante,questi, che mai da me non fia diviso,la bocca mi basci tutto tremante.Galeotto fu l libro e chi lo scrisse:quel giorno pi non vi leggemmo avante.Mentre che luno spirto questo disse,laltro piangea; s che di pietadeio venni men cos comio morisse.E caddi come corpo morto cade.Inferno: Canto VIAl tornar de la mente, che si chiusedinanzi a la piet di due cognati,che di trestizia tutto mi confuse,novi tormenti e novi tormentatimi veggio intorno, come chio mi movae chio mi volga, e come che io guati.Io sono al terzo cerchio, de la piovaetterna, maladetta, fredda e greve;regola e qualit mai non l nova.Grandine grossa, acqua tinta e neveper laere tenebroso si riversa;pute la terra che questo riceve.Cerbero, fiera crudele e diversa,con tre gole caninamente latrasovra la gente che quivi sommersa.Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,e l ventre largo, e unghiate le mani;graffia li spirti, iscoia ed isquatra.Urlar li fa la pioggia come cani;de lun de lati fanno a laltro schermo;volgonsi spesso i miseri profani.Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,le bocche aperse e mostrocci le sanne;non avea membro che tenesse fermo.E l duca mio distese le sue spanne,prese la terra, e con piene le pugnala gitt dentro a le bramose canne.Qual quel cane chabbaiando agogna,e si racqueta poi che l pasto morde,ch solo a divorarlo intende e pugna,cotai si fecer quelle facce lordede lo demonio Cerbero, che ntronalanime s, chesser vorrebber sorde.Noi passavam su per lombre che adonala greve pioggia, e ponavam le piantesovra lor vanit che par persona.Elle giacean per terra tutte quante,fuor duna cha seder si lev, rattochella ci vide passarsi davante.O tu che se per questo nferno tratto,mi disse, riconoscimi, se sai:tu fosti, prima chio disfatto, fatto.E io a lui: Langoscia che tu haiforse ti tira fuor de la mia mente,s che non par chi ti vedessi mai.Ma dimmi chi tu se che n s dolenteloco se messo e hai s fatta pena,che, saltra maggio, nulla s spiacente.Ed elli a me: La tua citt, ch pienadinvidia s che gi trabocca il sacco,seco mi tenne in la vita serena.Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:per la dannosa colpa de la gola,come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.E io anima trista non son sola,ch tutte queste a simil pena stannoper simil colpa. E pi non f parola.Io li rispuosi: Ciacco, il tuo affannomi pesa s, cha lagrimar mi nvita;ma dimmi, se tu sai, a che verrannoli cittadin de la citt partita;salcun v giusto; e dimmi la cagioneper che lha tanta discordia assalita.E quelli a me: Dopo lunga tencioneverranno al sangue, e la parte selvaggiacaccer laltra con molta offensione.Poi appresso convien che questa caggiainfra tre soli, e che laltra sormonticon la forza di tal che test piaggia.Alte terr lungo tempo le fronti,tenendo laltra sotto gravi pesi,come che di ci pianga o che naonti.Giusti son due, e non vi sono intesi;superbia, invidia e avarizia sonole tre faville channo i cuori accesi.Qui puose fine al lagrimabil suono.E io a lui: Ancor vo che mi nsegni,e che di pi parlar mi facci dono.Farinata e l Tegghiaio, che fuor s degni,Iacopo Rusticucci, Arrigo e l Moscae li altri cha ben far puoser li ngegni,dimmi ove sono e fa chio li conosca;ch gran disio mi stringe di saverese l ciel li addolcia, o lo nferno li attosca.E quelli: Ei son tra lanime pi nere:diverse colpe gi li grava al fondo:se tanto scendi, l i potrai vedere.Ma quando tu sarai nel dolce mondo,priegoti cha la mente altrui mi rechi:pi non ti dico e pi non ti rispondo.Li diritti occhi torse allora in biechi;guardommi un poco, e poi chin la testa:cadde con essa a par de li altri ciechi.E l duca disse a me: Pi non si destadi qua dal suon de langelica tromba,quando verr la nimica podesta:ciascun riveder la trista tomba,ripiglier sua carne e sua figura,udir quel chin etterno rimbomba.S trapassammo per sozza misturade lombre e de la pioggia, a passi lenti,toccando un poco la vita futura;per chio dissi: Maestro, esti tormenticrescerannei dopo la gran sentenza,o fier minori, o saran s cocenti?.Ed elli a me: Ritorna a tua scienza,che vuol, quanto la cosa pi perfetta,pi senta il bene, e cos la doglienza.Tutto che questa gente maladettain vera perfezion gi mai non vada,di l pi che di qua essere aspetta.Noi aggirammo a tondo quella strada,parlando pi assai chi non ridico;venimmo al punto dove si digrada:quivi trovammo Pluto, il gran nemico.Inferno: Canto VIIPape Satn, pape Satn aleppe!,cominci Pluto con la voce chioccia;e quel savio gentil, che tutto seppe,disse per confortarmi: Non ti nocciala tua paura; ch, poder chelli abbia,non ci torr lo scender questa roccia.Poi si rivolse a quella nfiata labbia,e disse: Taci, maladetto lupo!consuma dentro te con la tua rabbia.Non sanza cagion landare al cupo:vuolsi ne lalto, l dove Michelef la vendetta del superbo strupo.Quali dal vento le gonfiate velecaggiono avvolte, poi che lalber fiacca,tal cadde a terra la fiera crudele.Cos scendemmo ne la quarta laccapigliando pi de la dolente ripache l mal de luniverso tutto insacca.Ahi giustizia di Dio! tante chi stipanove travaglie e pene quantio viddi?e perch nostra colpa s ne scipa?Come fa londa l sovra Cariddi,che si frange con quella in cui sintoppa,cos convien che qui la gente riddi.Qui vidi gente pi chaltrove troppa,e duna parte e daltra, con grandurli,voltando pesi per forza di poppa.Percoteansi ncontro; e poscia pur lsi rivolgea ciascun, voltando a retro,gridando: Perch tieni? e Perch burli?.Cos tornavan per lo cerchio tetroda ogne mano a lopposito punto,gridandosi anche loro ontoso metro;poi si volgea ciascun, quandera giunto,per lo suo mezzo cerchio a laltra giostra.E io, chavea lo cor quasi compunto,dissi: Maestro mio, or mi dimostrache gente questa, e se tutti fuor cherciquesti chercuti a la sinistra nostra.Ed elli a me: Tutti quanti fuor guercis de la mente in la vita primaia,che con misura nullo spendio ferci.Assai la voce lor chiaro labbaiaquando vegnono a due punti del cerchiodove colpa contraria li dispaia.Questi fuor cherci, che non han coperchiopiloso al capo, e papi e cardinali,in cui usa avarizia il suo soperchio.E io: Maestro, tra questi cotalidovre io ben riconoscere alcuniche furo immondi di cotesti mali.Ed elli a me: Vano pensiero aduni:la sconoscente vita che i f sozziad ogne conoscenza or li fa bruni.In etterno verranno a li due cozzi:questi resurgeranno del sepulcrocol pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.Mal dare e mal tener lo mondo pulcroha tolto loro, e posti a questa zuffa:qual ella sia, parole non ci appulcro.Or puoi, figliuol, veder la corta buffadi ben che son commessi a la fortuna,per che lumana gente si rabbuffa;ch tutto loro ch sotto la lunae che gi fu, di questanime stanchenon poterebbe farne posare una.Maestro mio, dissio, or mi d anche:questa fortuna di che tu mi tocche,che , che i ben del mondo ha s tra branche?.E quelli a me: Oh creature sciocche,quanta ignoranza quella che voffende!Or vo che tu mia sentenza ne mbocche.Colui lo cui saver tutto trascende,fece li cieli e di lor chi conduces chogne parte ad ogne parte splende,distribuendo igualmente la luce.Similemente a li splendor mondaniordin general ministra e duceche permutasse a tempo li ben vanidi gente in gente e duno in altro sangue,oltre la difension di senni umani;per chuna gente impera e laltra langue,seguendo lo giudicio di costei,che occulto come in erba langue.Vostro saver non ha contasto a lei:questa provede, giudica, e perseguesuo regno come il loro li altri di.Le sue permutazion non hanno triegue;necessit la fa esser veloce;s spesso vien chi vicenda consegue.Quest colei ch tanto posta in crocepur da color che le dovrien dar lode,dandole biasmo a torto e mala voce;ma ella s beata e ci non ode:con laltre prime creature lietavolve sua spera e beata si gode.Or discendiamo omai a maggior pieta;gi ogne stella cade che salivaquandio mi mossi, e l troppo star si vieta.Noi ricidemmo il cerchio a laltra rivasovruna fonte che bolle e riversaper un fossato che da lei deriva.Lacqua era buia assai pi che persa;e noi, in compagnia de londe bige,intrammo gi per una via diversa.In la palude va cha nome Stigequesto tristo ruscel, quand discesoal pi de le maligne piagge grige.E io, che di mirare stava inteso,vidi genti fangose in quel pantano,ignude tutte, con sembiante offeso.Queste si percotean non pur con mano,ma con la testa e col petto e coi piedi,troncandosi co denti a brano a brano.Lo buon maestro disse: Figlio, or vedilanime di color cui vinse lira;e anche vo che tu per certo crediche sotto lacqua gente che sospira,e fanno pullular questacqua al summo,come locchio ti dice, u che saggira.Fitti nel limo, dicon: Tristi fummone laere dolce che dal sol sallegra,portando dentro accidioso fummo:or ci attristiam ne la belletta negra.Questinno si gorgoglian ne la strozza,ch dir nol posson con parola integra.Cos girammo de la lorda pozzagrandarco tra la ripa secca e l mzzo,con li occhi vlti a chi del fango ingozza.Venimmo al pi duna torre al da sezzo.Inferno: Canto VIIIIo dico, seguitando, chassai primache noi fossimo al pi de lalta torre,li occhi nostri nandar suso a la cimaper due fiammette che i vedemmo porree unaltra da lungi render cennotanto cha pena il potea locchio trre.E io mi volsi al mar di tutto l senno;dissi: Questo che dice? e che rispondequellaltro foco? e chi son quei che l fenno?.Ed elli a me: Su per le sucide ondegi scorgere puoi quello che saspetta,se l fummo del pantan nol ti nasconde.Corda non pinse mai da s saettache s corresse via per laere snella,comio vidi una nave picciolettavenir per lacqua verso noi in quella,sotto l governo dun sol galeoto,che gridava: Or se giunta, anima fella!.Flegis, Flegis, tu gridi a vto,disse lo mio segnore a questa volta:pi non ci avrai che sol passando il loto.Qual colui che grande inganno ascoltache li sia fatto, e poi se ne rammarca,fecesi Flegis ne lira accolta.Lo duca mio discese ne la barca,e poi mi fece intrare appresso lui;e sol quandio fui dentro parve carca.Tosto che l duca e io nel legno fui,segando se ne va lantica prorade lacqua pi che non suol con altrui.Mentre noi corravam la morta gora,dinanzi mi si fece un pien di fango,e disse: Chi se tu che vieni anzi ora?.E io a lui: Si vegno, non rimango;ma tu chi se, che s se fatto brutto?.Rispuose: Vedi che son un che piango.E io a lui: Con piangere e con lutto,spirito maladetto, ti rimani;chi ti conosco, ancor sie lordo tutto.Allor distese al legno ambo le mani;per che l maestro accorto lo sospinse,dicendo: Via cost con li altri cani!.Lo collo poi con le braccia mi cinse;basciommi l volto, e disse: Alma sdegnosa,benedetta colei che n te sincinse!Quei fu al mondo persona orgogliosa;bont non che sua memoria fregi:cos s lombra sua qui furiosa.Quanti si tegnon or l s gran regiche qui staranno come porci in brago,di s lasciando orribili dispregi!.E io: Maestro, molto sarei vagodi vederlo attuffare in questa brodaprima che noi uscissimo del lago.Ed elli a me: Avante che la prodati si lasci veder, tu sarai sazio:di tal disio convien che tu goda.Dopo ci poco vidio quello straziofar di costui a le fangose genti,che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.Tutti gridavano: A Filippo Argenti!;e l fiorentino spirito bizzarroin s medesmo si volvea co denti.Quivi il lasciammo, che pi non ne narro;ma ne lorecchie mi percosse un duolo,per chio avante locchio intento sbarro.Lo buon maestro disse: Omai, figliuolo,sappressa la citt cha nome Dite,coi gravi cittadin, col grande stuolo.E io: Maestro, gi le sue meschitel entro certe ne la valle cerno,vermiglie come se di foco uscitefossero. Ed ei mi disse: Il foco etternochentro laffoca le dimostra rosse,come tu vedi in questo basso inferno.Noi pur giugnemmo dentro a lalte fosseche vallan quella terra sconsolata:le mura mi parean che ferro fosse.Non sanza prima far grande aggirata,venimmo in parte dove il nocchier forteUsciteci, grid: qui lintrata.Io vidi pi di mille in su le porteda ciel piovuti, che stizzosamentedicean: Chi costui che sanza morteva per lo regno de la morta gente?.E l savio mio maestro fece segnodi voler lor parlar segretamente.Allor chiusero un poco il gran disdegno,e disser: Vien tu solo, e quei sen vada,che s ardito intr per questo regno.Sol si ritorni per la folle strada:pruovi, se sa; ch tu qui rimarraiche li ha iscorta s buia contrada.Pensa, lettor, se io mi sconfortainel suon de le parole maladette,ch non credetti ritornarci mai.O caro duca mio, che pi di settevolte mhai sicurt renduta e trattodalto periglio che ncontra mi stette,non mi lasciar, dissio, cos disfatto;e se l passar pi oltre ci negato,ritroviam lorme nostre insieme ratto.E quel segnor che l mavea menato,mi disse: Non temer; ch l nostro passonon ci pu trre alcun: da tal n dato.Ma qui mattendi, e lo spirito lassoconforta e ciba di speranza buona,chi non ti lascer nel mondo basso.Cos sen va, e quivi mabbandonalo dolce padre, e io rimagno in forse,che s e no nel capo mi tenciona.Udir non potti quello cha lor porse;ma ei non stette l con essi guari,che ciascun dentro a pruova si ricorse.Chiuser le porte que nostri avversarinel petto al mio segnor, che fuor rimase,e rivolsesi a me con passi rari.Li occhi a la terra e le ciglia avea rasedogne baldanza, e dicea ne sospiri:Chi mha negate le dolenti case!.E a me disse: Tu, perchio madiri,non sbigottir, chio vincer la prova,qual cha la difension dentro saggiri.Questa lor tracotanza non nova;ch gi lusaro a men segreta porta,la qual sanza serrame ancor si trova.Sovressa vedest la scritta morta:e gi di qua da lei discende lerta,passando per li cerchi sanza scorta,tal che per lui ne fia la terra aperta.Inferno: Canto IXQuel color che vilt di fuor mi pinseveggendo il duca mio tornare in volta,pi tosto dentro il suo novo ristrinse.Attento si ferm comuom chascolta;ch locchio nol potea menare a lungaper laere nero e per la nebbia folta.Pur a noi converr vincer la punga,cominci el, se non... Tal ne sofferse.Oh quanto tarda a me chaltri qui giunga!.I vidi ben s comei ricoperselo cominciar con laltro che poi venne,che fur parole a le prime diverse;ma nondimen paura il suo dir dienne,perchio traeva la parola troncaforse a peggior sentenzia che non tenne.In questo fondo de la trista concadiscende mai alcun del primo grado,che sol per pena ha la speranza cionca?.Questa question fecio; e quei Di radoincontra, mi rispuose, che di noifaccia il cammino alcun per qual io vado.Ver chaltra fiata qua gi fui,congiurato da quella Eritn crudache richiamava lombre a corpi sui.Di poco era di me la carne nuda,chella mi fece intrar dentra quel muro,per trarne un spirto del cerchio di Giuda.Quell l pi basso loco e l pi oscuro,e l pi lontan dal ciel che tutto gira:ben so l cammin; per ti fa sicuro.Questa palude che l gran puzzo spiracigne dintorno la citt dolente,u non potemo intrare omai sanzira.E altro disse, ma non lho a mente;per che locchio mavea tutto trattover lalta torre a la cima rovente,dove in un punto furon dritte rattotre furie infernal di sangue tinte,che membra feminine avieno e atto,e con idre verdissime eran cinte;serpentelli e ceraste avien per crine,onde le fiere tempie erano avvinte.E quei, che ben conobbe le meschinede la regina de letterno pianto,Guarda, mi disse, le feroci Erine.Quest Megera dal sinistro canto;quella che piange dal destro Aletto;Tesifn nel mezzo; e tacque a tanto.Con lunghie si fendea ciascuna il petto;battiensi a palme, e gridavan s alto,chi mi strinsi al poeta per sospetto.Vegna Medusa: s l farem di smalto,dicevan tutte riguardando in giuso;mal non vengiammo in Teseo lassalto.Volgiti n dietro e tien lo viso chiuso;ch se l Gorgn si mostra e tu l vedessi,nulla sarebbe di tornar mai suso.Cos disse l maestro; ed elli stessimi volse, e non si tenne a le mie mani,che con le sue ancor non mi chiudessi.O voi chavete li ntelletti sani,mirate la dottrina che sascondesotto l velame de li versi strani.E gi venia su per le torbide ondeun fracasso dun suon, pien di spavento,per cui tremavano amendue le sponde,non altrimenti fatto che dun ventoimpetuoso per li avversi ardori,che fier la selva e sanzalcun rattentoli rami schianta, abbatte e porta fori;dinanzi polveroso va superbo,e fa fuggir le fiere e li pastori.i occhi mi sciolse e disse: Or drizza il nerbodel viso su per quella schiuma anticaper indi ove quel fummo pi acerbo.Come le rane innanzi a la nimicabiscia per lacqua si dileguan tutte,fin cha la terra ciascuna sabbica,vidio pi di mille anime distruttefuggir cos dinanzi ad un chal passopassava Stige con le piante asciutte.Dal volto rimovea quellaere grasso,menando la sinistra innanzi spesso;e sol di quellangoscia parea lasso.Ben maccorsi chelli era da ciel messo,e volsimi al maestro; e quei f segnochi stessi queto ed inchinassi ad esso.Ahi quanto mi parea pien di disdegno!Venne a la porta, e con una verghettalaperse, che non vebbe alcun ritegno.O cacciati del ciel, gente dispetta,cominci elli in su lorribil soglia,ondesta oltracotanza in voi salletta?Perch recalcitrate a quella vogliaa cui non puote il fin mai esser mozzo,e che pi volte vha cresciuta doglia?Che giova ne le fata dar di cozzo?Cerbero vostro, se ben vi ricorda,ne porta ancor pelato il mento e l gozzo.Poi si rivolse per la strada lorda,e non f motto a noi, ma f sembiantedomo cui altra cura stringa e mordache quella di colui che li davante;e noi movemmo i piedi inver la terra,sicuri appresso le parole sante.Dentro li ntrammo sanzalcuna guerra;e io, chavea di riguardar disiola condizion che tal fortezza serra,comio fui dentro, locchio intorno invio;e veggio ad ogne man grande campagnapiena di duolo e di tormento rio.S come ad Arli, ove Rodano stagna,s coma Pola, presso del CarnarochItalia chiude e suoi termini bagna,fanno i sepulcri tuttil loco varo,cos facevan quivi dogne parte,salvo che l modo vera pi amaro;ch tra gli avelli fiamme erano sparte,per le quali eran s del tutto accesi,che ferro pi non chiede verunarte.Tutti li lor coperchi eran sospesi,e fuor nuscivan s duri lamenti,che ben parean di miseri e doffesi.E io: Maestro, quai son quelle gentiche, seppellite dentro da quellarche,si fan sentir coi sospiri dolenti?.Ed elli a me: Qui son li eresiarchecon lor seguaci, dogne setta, e moltopi che non credi son le tombe carche.Simile qui con simile sepolto,e i monimenti son pi e men caldi.E poi cha la man destra si fu vlto,passammo tra i martiri e li alti spaldi.Inferno: Canto XOra sen va per un secreto calle,tra l muro de la terra e li martri,lo mio maestro, e io dopo le spalle.O virt somma, che per li empi girimi volvi, cominciai, coma te piace,parlami, e sodisfammi a miei disiri.La gente che per li sepolcri giacepotrebbesi veder? gi son levatitutti coperchi, e nessun guardia face.E quelli a me: Tutti saran serratiquando di Iosaft qui tornerannocoi corpi che l s hanno lasciati.Suo cimitero da questa parte hannocon Epicuro tutti suoi seguaci,che lanima col corpo morta fanno.Per a la dimanda che mi faciquincentro satisfatto sar tosto,e al disio ancor che tu mi taci.E io: Buon duca, non tegno ripostoa te mio cuor se non per dicer poco,e tu mhai non pur mo a ci disposto.O Tosco che per la citt del focovivo ten vai cos parlando onesto,piacciati di restare in questo loco.La tua loquela ti fa manifestodi quella nobil patria natioa la qual forse fui troppo molesto.Subitamente questo suono uscoduna de larche; per maccostai,temendo, un poco pi al duca mio.Ed el mi disse: Volgiti! Che fai?Vedi l Farinata che s dritto:da la cintola in s tutto l vedrai.Io avea gi il mio viso nel suo fitto;ed el sergea col petto e con la frontecomavesse linferno a gran dispitto.E lanimose man del duca e prontemi pinser tra le sepulture a lui,dicendo: Le parole tue sien conte.Comio al pi de la sua tomba fui,guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,mi dimand: Chi fuor li maggior tui?.Io chera dubidir disideroso,non gliel celai, ma tutto glielapersi;ondei lev le ciglia un poco in suso;poi disse: Fieramente furo avversia me e a miei primi e a mia parte,s che per due fiate li dispersi.Sei fur cacciati, ei tornar dogne parte,rispuosio lui, luna e laltra fiata;ma i vostri non appreser ben quellarte.Allor surse a la vista scoperchiataunombra, lungo questa, infino al mento:credo che sera in ginocchie levata.Dintorno mi guard, come talentoavesse di veder saltri era meco;e poi che l sospecciar fu tutto spento,piangendo disse: Se per questo ciecocarcere vai per altezza dingegno,mio figlio ov? e perch non teco?.E io a lui: Da me stesso non vegno:colui chattende l, per qui mi menaforse cui Guido vostro ebbe a disdegno.Le sue parole e l modo de la penamavean di costui gi letto il nome;per fu la risposta cos piena.Di subito drizzato grid: Come?dicesti elli ebbe? non vivelli ancora?non fiere li occhi suoi lo dolce lume?.Quando saccorse dalcuna dimorachio facea dinanzi a la risposta,supin ricadde e pi non parve fora.Ma quellaltro magnanimo, a cui postarestato mera, non mut aspetto,n mosse collo, n pieg sua costa:e s continuando al primo detto,Selli han quellarte, disse, male appresa,ci mi tormenta pi che questo letto.Ma non cinquanta volte fia raccesala faccia de la donna che qui regge,che tu saprai quanto quellarte pesa.E se tu mai nel dolce mondo regge,dimmi: perch quel popolo s empioincontra miei in ciascuna sua legge?.Ondio a lui: Lo strazio e l grande scempioche fece lArbia colorata in rosso,tal orazion fa far nel nostro tempio.Poi chebbe sospirando il capo mosso,A ci non fu io sol, disse, n certosanza cagion con li altri sarei mosso.Ma fu io solo, l dove soffertofu per ciascun di trre via Fiorenza,colui che la difesi a viso aperto.Deh, se riposi mai vostra semenza,prega io lui, solvetemi quel nodoche qui ha nviluppata mia sentenza.El par che voi veggiate, se ben odo,dinanzi quel che l tempo seco adduce,e nel presente tenete altro modo.Noi veggiam, come quei cha mala luce,le cose, disse, che ne son lontano;cotanto ancor ne splende il sommo duce.Quando sappressano o son, tutto vanonostro intelletto; e saltri non ci apporta,nulla sapem di vostro stato umano.Per comprender puoi che tutta mortafia nostra conoscenza da quel puntoche del futuro fia chiusa la porta.Allor, come di mia colpa compunto,dissi: Or direte dunque a quel cadutoche l suo nato covivi ancor congiunto;e si fui, dianzi, a la risposta muto,fate i saper che l fei perch pensavagi ne lerror che mavete soluto.E gi l maestro mio mi richiamava;per chi pregai lo spirto pi avaccioche mi dicesse chi con lu istava.Dissemi: Qui con pi di mille giaccio:qua dentro l secondo Federico,e l Cardinale; e de li altri mi taccio.Indi sascose; e io inver lanticopoeta volsi i passi, ripensandoa quel parlar che mi parea nemico.Elli si mosse; e poi, cos andando,mi disse: Perch se tu s smarrito?.E io li sodisfeci al suo dimando.La mente tua conservi quel chuditohai contra te, mi comand quel saggio.E ora attendi qui, e drizz l dito:quando sarai dinanzi al dolce raggiodi quella il cui bellocchio tutto vede,da lei saprai di tua vita il viaggio.Appresso mosse a man sinistra il piede:lasciammo il muro e gimmo inver lo mezzoper un sentier cha una valle fiede,che nfin l s facea spiacer suo lezzo.Inferno: Canto XIIn su lestremit dunalta ripache facevan gran pietre rotte in cerchiovenimmo sopra pi crudele stipa;e quivi, per lorribile soperchiodel puzzo che l profondo abisso gitta,ci raccostammo, in dietro, ad un coperchiodun grandavello, ovio vidi una scrittache dicea: Anastasio papa guardo,lo qual trasse Fotin de la via dritta.Lo nostro scender conviene esser tardo,s che sausi un poco in prima il sensoal tristo fiato; e poi no i fia riguardo.Cos l maestro; e io Alcun compenso,dissi lui, trova che l tempo non passiperduto. Ed elli: Vedi cha ci penso.Figliuol mio, dentro da cotesti sassi,cominci poi a dir, son tre cerchiettidi grado in grado, come que che lassi.Tutti son pien di spirti maladetti;ma perch poi ti basti pur la vista,intendi come e perch son costretti.Dogne malizia, chodio in cielo acquista,ingiuria l fine, ed ogne fin cotaleo con forza o con frode altrui contrista.Ma perch frode de luom proprio male,pi spiace a Dio; e per stan di sottoli frodolenti, e pi dolor li assale.Di violenti il primo cerchio tutto;ma perch si fa forza a tre persone,in tre gironi distinto e costrutto.A Dio, a s, al prossimo si pnefar forza, dico in loro e in lor cose,come udirai con aperta ragione.Morte per forza e ferute dogliosenel prossimo si danno, e nel suo avereruine, incendi e tollette dannose;onde omicide e ciascun che mal fiere,guastatori e predon, tutti tormentalo giron primo per diverse schiere.Puote omo avere in s man violentae ne suoi beni; e per nel secondogiron convien che sanza pro si pentaqualunque priva s del vostro mondo,biscazza e fonde la sua facultade,e piange l dovesser de giocondo.Puossi far forza nella deitade,col cor negando e bestemmiando quella,e spregiando natura e sua bontade;e per lo minor giron suggelladel segno suo e Soddoma e Caorsae chi, spregiando Dio col cor, favella.La frode, ondogne coscienza morsa,pu lomo usare in colui che n lui fidae in quel che fidanza non imborsa.Questo modo di retro par chincidapur lo vinco damor che fa natura;onde nel cerchio secondo sannidaipocresia, lusinghe e chi affattura,falsit, ladroneccio e simonia,ruffian, baratti e simile lordura.Per laltro modo quellamor sobliache fa natura, e quel ch poi aggiunto,di che la fede spezial si cria;onde nel cerchio minore, ov l puntode luniverso in su che Dite siede,qualunque trade in etterno consunto.E io: Maestro, assai chiara procedela tua ragione, e assai ben distinguequesto bartro e l popol che possiede.Ma dimmi: quei de la palude pingue,che mena il vento, e che batte la pioggia,e che sincontran con s aspre lingue,perch non dentro da la citt roggiasono ei puniti, se Dio li ha in ira?e se non li ha, perch sono a tal foggia?.Ed elli a me Perch tanto delira,disse lo ngegno tuo da quel che sle?o ver la mente dove altrove mira?Non ti rimembra di quelle parolecon le quai la tua Etica pertrattale tre disposizion che l ciel non vole,incontenenza, malizia e la mattabestialitade? e come incontenenzamen Dio offende e men biasimo accatta?Se tu riguardi ben questa sentenza,e rechiti a la mente chi son quelliche s di fuor sostegnon penitenza,tu vedrai ben perch da questi fellisien dipartiti, e perch men crucciatala divina vendetta li martelli.O sol che sani ogni vista turbata,tu mi contenti s quando tu solvi,che, non men che saver, dubbiar maggrata.Ancora in dietro un poco ti rivolvi,dissio, l dove di chusura offendela divina bontade, e l groppo solvi.Filosofia, mi disse, a chi la ntende,nota, non pure in una sola parte,come natura lo suo corso prendedal divino ntelletto e da sua arte;e se tu ben la tua Fisica note,tu troverai, non dopo molte carte,che larte vostra quella, quanto pote,segue, come l maestro fa l discente;s che vostrarte a Dio quasi nepote.Da queste due, se tu ti rechi a mentelo Genes dal principio, conveneprender sua vita e avanzar la gente;e perch lusuriere altra via tene,per s natura e per la sua seguacedispregia, poi chin altro pon la spene.Ma seguimi oramai, che l gir mi piace;ch i Pesci guizzan su per lorizzonta,e l Carro tutto sovra l Coro giace,e l balzo via l oltra si dismonta.Inferno: Canto XIIEra lo loco ova scender la rivavenimmo, alpestro e, per quel che veranco,tal, chogne vista ne sarebbe schiva.Qual quella ruina che nel fiancodi qua da Trento lAdice percosse,o per tremoto o per sostegno manco,che da cima del monte, onde si mosse,al piano s la roccia discoscesa,chalcuna via darebbe a chi s fosse:cotal di quel burrato era la scesa;e n su la punta de la rotta laccalinfamia di Creti era distesache fu concetta ne la falsa vacca;e quando vide noi, s stesso morse,s come quei cui lira dentro fiacca.Lo savio mio inver lui grid: Forsetu credi che qui sia l duca dAtene,che s nel mondo la morte ti porse?Prtiti, bestia: ch questi non veneammaestrato da la tua sorella,ma vassi per veder le vostre pene.Qual quel toro che si slaccia in quellacha ricevuto gi l colpo mortale,che gir non sa, ma qua e l saltella,vidio lo Minotauro far cotale;e quello accorto grid: Corri al varco:mentre che nfuria, buon che tu ti cale.Cos prendemmo via gi per lo scarcodi quelle pietre, che spesso moviensisotto i miei piedi per lo novo carco.Io gia pensando; e quei disse: Tu pensiforse a questa ruina ch guardatada quellira bestial chi ora spensi.Or vo che sappi che laltra fiatachi discesi qua gi nel basso inferno,questa roccia non era ancor cascata.Ma certo poco pria, se ben discerno,che venisse colui che la gran predalev a Dite del cerchio superno,da tutte parti lalta valle fedatrem s, chi pensai che luniversosentisse amor, per lo qual chi credapi volte il mondo in casso converso;e in quel punto questa vecchia rocciaqui e altrove, tal fece riverso.Ma ficca li occhi a valle, ch sapprocciala riviera del sangue in la qual bollequal che per violenza in altrui noccia.Oh cieca cupidigia e ira folle,che s ci sproni ne la vita corta,e ne letterna poi s mal cimmolle!Io vidi unampia fossa in arco torta,come quella che tutto l piano abbraccia,secondo chavea detto la mia scorta;e tra l pi de la ripa ed essa, in tracciacorrien centauri, armati di saette,come solien nel mondo andare a caccia.Veggendoci calar, ciascun ristette,e de la schiera tre si dipartirocon archi e asticciuole prima elette;e lun grid da lungi: A qual martirovenite voi che scendete la costa?Ditel costinci; se non, larco tiro.Lo mio maestro disse: La rispostafarem noi a Chirn cost di presso:mal fu la voglia tua sempre s tosta.Poi mi tent, e disse: Quelli Nesso,che mor per la bella Deianirae f di s la vendetta elli stesso.E quel di mezzo, chal petto si mira, il gran Chirn, il qual nodr Achille;quellaltro Folo, che fu s pien dira.Dintorno al fosso vanno a mille a mille,saettando qual anima si svelledel sangue pi che sua colpa sortille.Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:Chirn prese uno strale, e con la coccafece la barba in dietro a le mascelle.Quando sebbe scoperta la gran bocca,disse a compagni: Siete voi accortiche quel di retro move ci chel tocca?Cos non soglion far li pi di morti.E l mio buon duca, che gi li eral petto,dove le due nature son consorti,rispuose: Ben vivo, e s solettomostrar li mi convien la valle buia;necessit l ci nduce, e non diletto.Tal si part da cantare alleluiache mi commise questofficio novo:non ladron, n io anima fuia.Ma per quella virt per cu io movoli passi miei per s selvaggia strada,danne un de tuoi, a cui noi siamo a provo,e che ne mostri l dove si guadae che porti costui in su la groppa,ch non spirto che per laere vada.Chirn si volse in su la destra poppa,e disse a Nesso: Torna, e s li guida,e fa cansar saltra schiera vintoppa.Or ci movemmo con la scorta fidalungo la proda del bollor vermiglio,dove i bolliti facieno alte strida.Io vidi gente sotto infino al ciglio;e l gran centauro disse: E son tiranniche dier nel sangue e ne laver di piglio.Quivi si piangon li spietati danni;quivi Alessandro, e Dionisio fero,che f Cicilia aver dolorosi anni.E quella fronte cha l pel cos nero, Azzolino; e quellaltro ch biondo, Opizzo da Esti, il qual per verofu spento dal figliastro s nel mondo.Allor mi volsi al poeta, e quei disse:Questi ti sia or primo, e io secondo.Poco pi oltre il centauro saffissesovruna gente che nfino a la golaparea che di quel bulicame uscisse.Mostrocci unombra da lun canto sola,dicendo: Colui fesse in grembo a Diolo cor che n su Tamisi ancor si cola.Poi vidi gente che di fuor del riotenean la testa e ancor tutto l casso;e di costoro assai riconobbio.Cos a pi a pi si facea bassoquel sangue, s che cocea pur li piedi;e quindi fu del fosso il nostro passo.S come tu da questa parte vedilo bulicame che sempre si scema,disse l centauro, voglio che tu crediche da questaltra a pi a pi gi premalo fondo suo, infin chel si raggiungeove la tirannia convien che gema.La divina giustizia di qua pungequellAttila che fu flagello in terrae Pirro e Sesto; e in etterno mungele lagrime, che col bollor diserra,a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,che fecero a le strade tanta guerra.Poi si rivolse, e ripassossi l guazzo.Inferno: Canto XIIINon era ancor di l Nesso arrivato,quando noi ci mettemmo per un boscoche da neun sentiero era segnato.Non fronda verde, ma di color fosco;non rami schietti, ma nodosi e nvolti;non pomi veran, ma stecchi con tsco:non han s aspri sterpi n s foltiquelle fiere selvagge che n odio hannotra Cecina e Corneto i luoghi clti.Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,che cacciar de le Strofade i Troianicon tristo annunzio di futuro danno.Ali hanno late, e colli e visi umani,pi con artigli, e pennuto l gran ventre;fanno lamenti in su li alberi strani.E l buon maestro Prima che pi entre,sappi che se nel secondo girone,mi cominci a dire, e sarai mentreche tu verrai ne lorribil sabbione.Per riguarda ben; s vederaicose che torrien fede al mio sermone.Io sentia dogne parte trarre guai,e non vedea persona che l facesse;per chio tutto smarrito marrestai.Credio chei credette chio credesseche tante voci uscisser, tra quei bronchida gente che per noi si nascondesse.Per disse l maestro: Se tu tronchiqualche fraschetta duna deste piante,li pensier chai si faran tutti monchi.Allor porsi la mano un poco avante,e colsi un ramicel da un gran pruno;e l tronco suo grid: Perch mi schiante?.Da che fatto fu poi di sangue bruno,ricominci a dir: Perch mi scerpi?non hai tu spirto di pietade alcuno?Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:ben dovrebbesser la tua man pi pia,se state fossimo anime di serpi.Come dun stizzo verde charso siada lun decapi, che da laltro gemee cigola per vento che va via,s de la scheggia rotta usciva insiemeparole e sangue; ondio lasciai la cimacadere, e stetti come luom che teme.Selli avesse potuto creder prima,rispuose l savio mio, anima lesa,ci cha veduto pur con la mia rima,non averebbe in te la man distesa;ma la cosa incredibile mi feceindurlo ad ovra cha me stesso pesa.Ma dilli chi tu fosti, s che n vecedalcunammenda tua fama rinfreschinel mondo s, dove tornar li lece.E l tronco: S col dolce dir madeschi,chi non posso tacere; e voi non graviperchio un poco a ragionar minveschi.Io son colui che tenni ambo le chiavidel cor di Federigo, e che le volsi,serrando e diserrando, s soavi,che dal secreto suo quasi ognuom tolsi:fede portai al glorioso offizio,tanto chi ne perde li sonni e polsi.La meretrice che mai da lospiziodi Cesare non torse li occhi putti,morte comune e de le corti vizio,infiamm contra me li animi tutti;e li nfiammati infiammar s Augusto,che lieti onor tornaro in tristi lutti.Lanimo mio, per disdegnoso gusto,credendo col morir fuggir disdegno,ingiusto fece me contra me giusto.Per le nove radici desto legnovi giuro che gi mai non ruppi fedeal mio segnor, che fu donor s degno.E se di voi alcun nel mondo riede,conforti la memoria mia, che giaceancor del colpo che nvidia le diede.Un poco attese, e poi Da chel si tace,disse l poeta a me, non perder lora;ma parla, e chiedi a lui, se pi ti piace.Ondio a lui: Domandal tu ancoradi quel che credi cha me satisfaccia;chi non potrei, tanta piet maccora.Perci ricominci: Se lom ti faccialiberamente ci che l tuo dir priega,spirito incarcerato, ancor ti piacciadi dirne come lanima si legain questi nocchi; e dinne, se tu puoi,salcuna mai di tai membra si spiega.Allor soffi il tronco forte, e poisi convert quel vento in cotal voce:Brievemente sar risposto a voi.Quando si parte lanima ferocedal corpo ondella stessa s disvelta,Mins la manda a la settima foce.Cade in la selva, e non l parte scelta;ma l dove fortuna la balestra,quivi germoglia come gran di spelta.Surge in vermena e in pianta silvestra:lArpie, pascendo poi de le sue foglie,fanno dolore, e al dolor fenestra.Come laltre verrem per nostre spoglie,ma non per chalcuna sen rivesta,ch non giusto aver ci chom si toglie.Qui le trascineremo, e per la mestaselva saranno i nostri corpi appesi,ciascuno al prun de lombra sua molesta.Noi eravamo ancora al tronco attesi,credendo chaltro ne volesse dire,quando noi fummo dun romor sorpresi,similemente a colui che veniresente l porco e la caccia a la sua posta,chode le bestie, e le frasche stormire.Ed ecco due da la sinistra costa,nudi e graffiati, fuggendo s forte,che de la selva rompieno ogni rosta.Quel dinanzi: Or accorri, accorri, morte!.E laltro, cui pareva tardar troppo,gridava: Lano, s non furo accortele gambe tue a le giostre dal Toppo!.E poi che forse li fallia la lena,di s e dun cespuglio fece un groppo.Di rietro a loro era la selva pienadi nere cagne, bramose e correnticome veltri chuscisser di catena.In quel che sappiatt miser li denti,e quel dilaceraro a brano a brano;poi sen portar quelle membra dolenti.Presemi allor la mia scorta per mano,e menommi al cespuglio che piangea,per le rotture sanguinenti in vano.O Iacopo, dicea, da Santo Andrea,che t giovato di me fare schermo?che colpa ho io de la tua vita rea?.Quando l maestro fu sovresso fermo,disse Chi fosti, che per tante puntesoffi con sangue doloroso sermo?.Ed elli a noi: O anime che giuntesiete a veder lo strazio disonestocha le mie fronde s da me disgiunte,raccoglietele al pi del tristo cesto.I fui de la citt che nel Batistamut il primo padrone; ondei per questosempre con larte sua la far trista;e se non fosse che n sul passo dArnorimane ancor di lui alcuna vista,que cittadin che poi la rifondarnosovra l cener che dAttila rimase,avrebber fatto lavorare indarno.Io fei gibbetto a me de le mie case.Inferno: Canto XIVPoi che la carit del natio locomi strinse, raunai le fronde sparte,e rendele a colui, chera gi fioco.Indi venimmo al fine ove si partelo secondo giron dal terzo, e dovesi vede di giustizia orribil arte.A ben manifestar le cose nove,dico che arrivammo ad una landache dal suo letto ogne pianta rimove.La dolorosa selva l ghirlandaintorno, come l fosso tristo ad essa:quivi fermammo i passi a randa a randa.Lo spazzo era una rena arida e spessa,non daltra foggia fatta che coleiche fu da pi di Caton gi soppressa.O vendetta di Dio, quanto tu deiesser temuta da ciascun che leggeci che fu manifesto a li occhi miei!Danime nude vidi molte greggeche piangean tutte assai miseramente,e parea posta lor diversa legge.Supin giacea in terra alcuna gente,alcuna si sedea tutta raccolta,e altra andava continuamente.Quella che giva intorno era pi molta,e quella men che giacea al tormento,ma pi al duolo avea la lingua sciolta.Sovra tutto l sabbion, dun cader lento,piovean di foco dilatate falde,come di neve in alpe sanza vento.Quali Alessandro in quelle parti caldedIndia vide sopra l suo stuolofiamme cadere infino a terra salde,per chei provide a scalpitar lo suolocon le sue schiere, acci che lo vaporemei si stingueva mentre chera solo:tale scendeva letternale ardore;onde la rena saccendea, comescasotto focile, a doppiar lo dolore.Sanza riposo mai era la trescade le misere mani, or quindi or quinciescotendo da s larsura fresca.I cominciai: Maestro, tu che vincitutte le cose, fuor che demon duricha lintrar de la porta incontra uscinci,chi quel grande che non par che curilo ncendio e giace dispettoso e torto,s che la pioggia non par che l marturi?.E quel medesmo, che si fu accortochio domandava il mio duca di lui,grid: Qual io fui vivo, tal son morto.Se Giove stanchi l suo fabbro da cuicrucciato prese la folgore agutaonde lultimo d percosso fui;o selli stanchi li altri a muta a mutain Mongibello a la focina negra,chiamando Buon Vulcano, aiuta, aiuta!,s comel fece a la pugna di Flegra,e me saetti con tutta sua forza,non ne potrebbe aver vendetta allegra.Allora il duca mio parl di forzatanto, chi non lavea s forte udito:O Capaneo, in ci che non sammorzala tua superbia, se tu pi punito:nullo martiro, fuor che la tua rabbia,sarebbe al tuo furor dolor compito.Poi si rivolse a me con miglior labbiadicendo: Quei fu lun di sette regichassiser Tebe; ed ebbe e par chelli abbiaDio in disdegno, e poco par che l pregi;ma, comio dissi lui, li suoi dispettisono al suo petto assai debiti fregi.Or mi vien dietro, e guarda che non metti,ancor, li piedi ne la rena arsiccia;ma sempre al bosco tien li piedi stretti.Tacendo divenimmo l ve spicciafuor de la selva un picciol fiumicello,lo cui rossore ancor mi raccapriccia.Quale del Bulicame esce ruscelloche parton poi tra lor le peccatrici,tal per la rena gi sen giva quello.Lo fondo suo e ambo le pendicifattera n pietra, e margini dallato;per chio maccorsi che l passo era lici.Tra tutto laltro chi tho dimostrato,poscia che noi intrammo per la portalo cui sogliare a nessuno negato,cosa non fu da li tuoi occhi scortanotabile com l presente rio,che sovra s tutte fiammelle ammorta.Queste parole fuor del duca mio;per chio l pregai che mi largisse l pastodi cui largito mavea il disio.In mezzo mar siede un paese guasto,disselli allora, che sappella Creta,sotto l cui rege fu gi l mondo casto.Una montagna v che gi fu lietadacqua e di fronde, che si chiam Ida:or diserta come cosa vieta.Rea la scelse gi per cuna fidadel suo figliuolo, e per celarlo meglio,quando piangea, vi facea far le grida.Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,che tien volte le spalle inver Dammiatae Roma guarda come suo speglio.La sua testa di fin oro formata,e puro argento son le braccia e l petto,poi di rame infino a la forcata;da indi in giuso tutto ferro eletto,salvo che l destro piede terra cotta;e sta n su quel pi che n su laltro, eretto.Ciascuna parte, fuor che loro, rottaduna fessura che lagrime goccia,le quali, accolte, foran quella grotta.Lor corso in questa valle si diroccia:fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;poi sen van gi per questa stretta docciainfin, l ove pi non si dismontafanno Cocito; e qual sia quello stagnotu lo vedrai, per qui non si conta.E io a lui: Se l presente rigagnosi diriva cos dal nostro mondo,perch ci appar pur a questo vivagno?.Ed elli a me: Tu sai che l loco tondo;e tutto che tu sie venuto molto,pur a sinistra, gi calando al fondo,non se ancor per tutto il cerchio vlto:per che, se cosa napparisce nova,non de addur maraviglia al tuo volto.E io ancor: Maestro, ove si trovaFlegetonta e Let? ch de lun taci,e laltro di che si fa desta piova.In tutte tue question certo mi piaci,rispuose; ma l bollor de lacqua rossadovea ben solver luna che tu faci.Let vedrai, ma fuor di questa fossa,l dove vanno lanime a lavarsiquando la colpa pentuta rimossa.Poi disse: Omai tempo da scostarsidal bosco; fa che di retro a me vegne:li margini fan via, che non son arsi,e sopra loro ogne vapor si spegne.Inferno: Canto XVOra cen porta lun de duri margini;e l fummo del ruscel di sopra aduggia,s che dal foco salva lacqua e li argini.Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,temendo l fiotto che nver lor savventa,fanno lo schermo perch l mar si fuggia;e quali Padoan lungo la Brenta,per difender lor ville e lor castelli,anzi che Carentana il caldo senta:a tale imagine eran fatti quelli,tutto che n s alti n s grossi,qual che si fosse, lo maestro felli.Gi eravam da la selva rimossitanto, chi non avrei visto dovera,perchio in dietro rivolto mi fossi,quando incontrammo danime una schierache venan lungo largine, e ciascunaci riguardava come suol da seraguardare uno altro sotto nuova luna;e s ver noi aguzzavan le cigliacome l vecchio sartor fa ne la cruna.Cos adocchiato da cotal famiglia,fui conosciuto da un, che mi preseper lo lembo e grid: Qual maraviglia!.E io, quando l suo braccio a me distese,ficcai li occhi per lo cotto aspetto,s che l viso abbrusciato non difesela conoscenza sua al mio ntelletto;e chinando la mano a la sua faccia,rispuosi: Siete voi qui, ser Brunetto?.E quelli: O figliuol mio, non ti dispiacciase Brunetto Latino un poco tecoritorna n dietro e lascia andar la traccia.I dissi lui: Quanto posso, ven preco;e se volete che con voi masseggia,farl, se piace a costui che vo seco.O figliuol, disse, qual di questa greggiasarresta punto, giace poi centannisanzarrostarsi quando l foco il feggia.Per va oltre: i ti verr a panni;e poi rigiugner la mia masnada,che va piangendo i suoi etterni danni.I non osava scender de la stradaper andar par di lui; ma l capo chinotenea comuom che reverente vada.El cominci: Qual fortuna o destinoanzi lultimo d qua gi ti mena?e chi questi che mostra l cammino?.L s di sopra, in la vita serena,rispuosio lui, mi smarri in una valle,avanti che let mia fosse piena.Pur ier mattina le volsi le spalle:questi mapparve, tornandio in quella,e reducemi a ca per questo calle.Ed elli a me: Se tu segui tua stella,non puoi fallire a glorioso porto,se ben maccorsi ne la vita bella;e sio non fossi s per tempo morto,veggendo il cielo a te cos benigno,dato tavrei a lopera conforto.Ma quello ingrato popolo malignoche discese di Fiesole ab antico,e tiene ancor del monte e del macigno,ti si far, per tuo ben far, nimico:ed ragion, ch tra li lazzi sorbisi disconvien fruttare al dolce fico.Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;gent avara, invidiosa e superba:dai lor costumi fa che tu ti forbi.La tua fortuna tanto onor ti serba,che luna parte e laltra avranno famedi te; ma lungi fia dal becco lerba.Faccian le bestie fiesolane stramedi lor medesme, e non tocchin la pianta,salcuna surge ancora in lor letame,in cui riviva la sementa santadi que Roman che vi rimaser quandofu fatto il nido di malizia tanta.Se fosse tutto pieno il mio dimando,rispuosio lui, voi non sareste ancorade lumana natura posto in bando;ch n la mente m fitta, e or maccora,la cara e buona imagine paternadi voi quando nel mondo ad ora ad oraminsegnavate come luom setterna:e quantio labbia in grado, mentrio vivoconvien che ne la mia lingua si scerna.Ci che narrate di mio corso scrivo,e serbolo a chiosar con altro testoa donna che sapr, sa lei arrivo.Tanto voglio che vi sia manifesto,pur che mia coscienza non mi garra,che a la Fortuna, come vuol, son presto.Non nuova a li orecchi miei tal arra:per giri Fortuna la sua rotacome le piace, e l villan la sua marra.Lo mio maestro allora in su la gotadestra si volse in dietro, e riguardommi;poi disse: Bene ascolta chi la nota.N per tanto di men parlando vommicon ser Brunetto, e dimando chi sonoli suoi compagni pi noti e pi sommi.Ed elli a me: Saper dalcuno buono;de li altri fia laudabile tacerci,ch l tempo sara corto a tanto suono.In somma sappi che tutti fur chercie litterati grandi e di gran fama,dun peccato medesmo al mondo lerci.Priscian sen va con quella turba grama,e Francesco dAccorso anche; e vedervi,savessi avuto di tal tigna brama,colui potei che dal servo de servifu trasmutato dArno in Bacchiglione,dove lasci li mal protesi nervi.Di pi direi; ma l venire e l sermonepi lungo esser non pu, per chi veggiol surger nuovo fummo del sabbione.Gente vien con la quale esser non deggio.Sieti raccomandato il mio Tesoronel qual io vivo ancora, e pi non cheggio.Poi si rivolse, e parve di coloroche corrono a Verona il drappo verdeper la campagna; e parve di costoroquelli che vince, non colui che perde.Inferno: Canto XVIGi era in loco onde suda l rimbombode lacqua che cadea ne laltro giro,simile a quel che larnie fanno rombo,quando tre ombre insieme si partiro,correndo, duna torma che passavasotto la pioggia de laspro martiro.Venian ver noi, e ciascuna gridava:Sstati tu cha labito ne sembriesser alcun di nostra terra prava.Ahim, che piaghe vidi ne lor membriricenti e vecchie, da le fiamme incese!Ancor men duol pur chi me ne rimembri.A le lor grida il mio dottor sattese;volse l viso ver me, e: Or aspetta,disse a costor si vuole esser cortese.E se non fosse il foco che saettala natura del loco, i dicereiche meglio stesse a te che a lor la fretta.Ricominciar, come noi restammo, eilantico verso; e quando a noi fuor giunti,fenno una rota di s tutti e trei.Qual sogliono i campion far nudi e unti,avvisando lor presa e lor vantaggio,prima che sien tra lor battuti e punti,cos rotando, ciascuno il visaggiodrizzava a me, s che n contraro il collofaceva ai pi continuo viaggio.E Se miseria desto loco sollorende in dispetto noi e nostri prieghi,cominci luno e l tinto aspetto e brollo,la fama nostra il tuo animo pieghia dirne chi tu se, che i vivi piedicos sicuro per lo nferno freghi.Questi, lorme di cui pestar mi vedi,tutto che nudo e dipelato vada,fu di grado maggior che tu non credi:nepote fu de la buona Gualdrada;Guido Guerra ebbe nome, e in sua vitafece col senno assai e con la spada.Laltro, chappresso me la rena trita, Tegghiaio Aldobrandi, la cui vocenel mondo s dovra esser gradita.E io, che posto son con loro in croce,Iacopo Rusticucci fui; e certola fiera moglie pi chaltro mi nuoce.Si fossi stato dal foco coperto,gittato mi sarei tra lor di sotto,e credo che l dottor lavra sofferto;ma perchio mi sarei brusciato e cotto,vinse paura la mia buona vogliache di loro abbracciar mi facea ghiotto.Poi cominciai: Non dispetto, ma dogliala vostra condizion dentro mi fisse,tanta che tardi tutta si dispoglia,tosto che questo mio segnor mi disseparole per le quali i mi pensaiche qual voi siete, tal gente venisse.Di vostra terra sono, e sempre mailovra di voi e li onorati nomicon affezion ritrassi e ascoltai.Lascio lo fele e vo per dolci pomipromessi a me per lo verace duca;ma nfino al centro pria convien chi tomi.Se lungamente lanima conducale membra tue, rispuose quelli ancora,e se la fama tua dopo te luca,cortesia e valor d se dimorane la nostra citt s come suole,o se del tutto se n gita fora;ch Guiglielmo Borsiere, il qual si duolecon noi per poco e va l coi compagni,assai ne cruccia con le sue parole.La gente nuova e i sbiti guadagniorgoglio e dismisura han generata,Fiorenza, in te, s che tu gi ten piagni.Cos gridai con la faccia levata;e i tre, che ci inteser per risposta,guardar lun laltro comal ver si guata.Se laltre volte s poco ti costa,rispuoser tutti il satisfare altrui,felice te se s parli a tua posta!Per, se campi desti luoghi buie torni a riveder le belle stelle,quando ti giover dicere I fui,fa che di noi a la gente favelle.Indi rupper la rota, e a fuggirsiali sembiar le gambe loro isnelle.Un amen non saria potuto dirsitosto cos come fuoro spariti;per chal maestro parve di partirsi.Io lo seguiva, e poco eravam iti,che l suon de lacqua nera s vicino,che per parlar saremmo a pena uditi.Come quel fiume cha proprio camminoprima dal Monte Viso nver levante,da la sinistra costa dApennino,che si chiama Acquacheta suso, avanteche si divalli gi nel basso letto,e a Forl di quel nome vacante,rimbomba l sovra San Benedettode lAlpe per cadere ad una scesaove dovea per mille esser recetto;cos, gi duna ripa discoscesa,trovammo risonar quellacqua tinta,s che n pocora avria lorecchia offesa.Io avea una corda intorno cinta,e con essa pensai alcuna voltaprender la lonza a la pelle dipinta.Poscia chio lebbi tutta da me sciolta,s come l duca mavea comandato,porsila a lui aggroppata e ravvolta.Ondei si volse inver lo destro lato,e alquanto di lunge da la spondala gitt giuso in quellalto burrato.E pur convien che novit rispondadicea fra me medesmo al novo cennoche l maestro con locchio s seconda.Ahi quanto cauti li uomini esser diennopresso a color che non veggion pur lovra,ma per entro i pensier miran col senno!El disse a me: Tosto verr di sovraci chio attendo e che il tuo pensier sogna:tosto convien chal tuo viso si scovra.Sempre a quel ver cha faccia di menzognade luom chiuder le labbra fin chel puote,per che sanza colpa fa vergogna;ma qui tacer nol posso; e per le notedi questa comeda, lettor, ti giuro,selle non sien di lunga grazia vte,chi vidi per quellaere grosso e scurovenir notando una figura in suso,maravigliosa ad ogne cor sicuro,s come torna colui che va giusotalora a solver lncora chaggrappao scoglio o altro che nel mare chiuso,che n s si stende, e da pi si rattrappa.Inferno: Canto XVIIEcco la fiera con la coda aguzza,che passa i monti, e rompe i muri e larmi!Ecco colei che tutto l mondo appuzza!.S cominci lo mio duca a parlarmi;e accennolle che venisse a prodavicino al fin di passeggiati marmi.E quella sozza imagine di frodasen venne, e arriv la testa e l busto,ma n su la riva non trasse la coda.La faccia sua era faccia duom giusto,tanto benigna avea di fuor la pelle,e dun serpente tutto laltro fusto;due branche avea pilose insin lascelle;lo dosso e l petto e ambedue le costedipinti avea di nodi e di rotelle.Con pi color, sommesse e sovrapostenon fer mai drappi Tartari n Turchi,n fuor tai tele per Aragne imposte.Come tal volta stanno a riva i burchi,che parte sono in acqua e parte in terra,e come l tra li Tedeschi lurchilo bivero sassetta a far sua guerra,cos la fiera pessima si stavasu lorlo ch di pietra e l sabbion serra.Nel vano tutta sua coda guizzava,torcendo in s la venenosa forcacha guisa di scorpion la punta armava.Lo duca disse: Or convien che si torcala nostra via un poco insino a quellabestia malvagia che col si corca.Per scendemmo a la destra mammella,e diece passi femmo in su lo stremo,per ben cessar la rena e la fiammella.E quando noi a lei venuti semo,poco pi oltre veggio in su la renagente seder propinqua al loco scemo.Quivi l maestro Acci che tutta pienaesperienza desto giron porti,mi disse, va, e vedi la lor mena.Li tuoi ragionamenti sian l corti:mentre che torni, parler con questa,che ne conceda i suoi omeri forti.Cos ancor su per la strema testadi quel settimo cerchio tutto soloandai, dove sedea la gente mesta.Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di l soccorrien con le maniquando a vapori, e quando al caldo suolo:non altrimenti fan di state i canior col ceffo, or col pi, quando son morsio da pulci o da mosche o da tafani.Poi che nel viso a certi li occhi porsi,ne quali l doloroso foco casca,non ne conobbi alcun; ma io maccorsiche dal collo a ciascun pendea una tascachavea certo colore e certo segno,e quindi par che l loro occhio si pasca.E comio riguardando tra lor vegno,in una borsa gialla vidi azzurroche dun leone avea faccia e contegno.Poi, procedendo di mio sguardo il curro,vidine unaltra come sangue rossa,mostrando unoca bianca pi che burro.E un che duna scrofa azzurra e grossasegnato avea lo suo sacchetto bianco,mi disse: Che fai tu in questa fossa?Or te ne va; e perch se vivo anco,sappi che l mio vicin Vitalianoseder qui dal mio sinistro fianco.Con questi Fiorentin son padoano:spesse fiate mi ntronan li orecchigridando: Vegna l cavalier sovrano,che recher la tasca con tre becchi!.Qui distorse la bocca e di fuor trassela lingua, come bue che l naso lecchi.E io, temendo no l pi star crucciasselui che di poco star mavea mmonito,tornami in dietro da lanime lasse.Trova il duca mio chera salitogi su la groppa del fiero animale,e disse a me: Or sie forte e ardito.Omai si scende per s fatte scale:monta dinanzi, chi voglio esser mezzo,s che la coda non possa far male.Qual colui che s presso ha l riprezzode la quartana, cha gi lunghie smorte,e triema tutto pur guardando l rezzo,tal divennio a le parole porte;ma vergogna mi f le sue minacce,che innanzi a buon segnor fa servo forte.I massettai in su quelle spallacce;s volli dir, ma la voce non vennecomio credetti: Fa che tu mabbracce.Ma esso, chaltra volta mi sovvennead altro forse, tosto chi montaicon le braccia mavvinse e mi sostenne;e disse: Gerion, moviti omai:le rote larghe e lo scender sia poco:pensa la nova soma che tu hai.Come la navicella esce di locoin dietro in dietro, s quindi si tolse;e poi chal tutto si sent a gioco,l vera l petto, la coda rivolse,e quella tesa, come anguilla, mosse,e con le branche laere a s raccolse.Maggior paura non credo che fossequando Fetonte abbandon li freni,per che l ciel, come pare ancor, si cosse;n quando Icaro misero le renisent spennar per la scaldata cera,gridando il padre a lui Mala via tieni!,che fu la mia, quando vidi chi erane laere dogne parte, e vidi spentaogne veduta fuor che de la fera.Ella sen va notando lenta lenta:rota e discende, ma non me naccorgose non che al viso e di sotto mi venta.Io sentia gi da la man destra il gorgofar sotto noi un orribile scroscio,per che con li occhi n gi la testa sporgo.Allor fu io pi timido a lo stoscio,per chi vidi fuochi e senti pianti;ondio tremando tutto mi raccoscio.E vidi poi, ch nol vedea davanti,lo scendere e l girar per li gran maliche sappressavan da diversi canti.Come l falcon ch stato assai su lali,che sanza veder logoro o uccellofa dire al falconiere Om, tu cali!,discende lasso onde si move isnello,per cento rote, e da lunge si ponedal suo maestro, disdegnoso e fello;cos ne puose al fondo Gerioneal pi al pi de la stagliata roccae, discarcate le nostre persone,si dilegu come da corda cocca.Inferno: Canto XVIIILuogo in inferno detto Malebolge,tutto di pietra di color ferrigno,come la cerchia che dintorno il volge.Nel dritto mezzo del campo malignovaneggia un pozzo assai largo e profondo,di cui suo loco dicer lordigno.Quel cinghio che rimane adunque tondotra l pozzo e l pi de lalta ripa dura,e ha distinto in dieci valli il fondo.Quale, dove per guardia de le murapi e pi fossi cingon li castelli,la parte dove son rende figura,tale imagine quivi facean quelli;e come a tai fortezze da lor soglia la ripa di fuor son ponticelli,cos da imo de la roccia scoglimovien che ricidien li argini e fossiinfino al pozzo che i tronca e raccogli.In questo luogo, de la schiena scossidi Gerion, trovammoci; e l poetatenne a sinistra, e io dietro mi mossi.A la man destra vidi nova pieta,novo tormento e novi frustatori,di che la prima bolgia era repleta.Nel fondo erano ignudi i peccatori;dal mezzo in qua ci venien verso l volto,di l con noi, ma con passi maggiori,come i Roman per lessercito molto,lanno del giubileo, su per lo pontehanno a passar la gente modo colto,che da lun lato tutti hanno la fronteverso l castello e vanno a Santo Pietro;da laltra sponda vanno verso l monte.Di qua, di l, su per lo sasso tetrovidi demon cornuti con gran ferze,che li battien crudelmente di retro.Ahi come facean lor levar le berzea le prime percosse! gi nessunole seconde aspettava n le terze.Mentrio andava, li occhi miei in unofuro scontrati; e io s tosto dissi:Gi di veder costui non son digiuno.Per chio a figurarlo i piedi affissi;e l dolce duca meco si ristette,e assentio chalquanto in dietro gissi.E quel frustato celar si credettebassando l viso; ma poco li valse,chio dissi: O tu che locchio a terra gette,se le fazion che porti non son false,Venedico se tu Caccianemico.Ma che ti mena a s pungenti salse?.Ed elli a me: Mal volentier lo dico;ma sforzami la tua chiara favella,che mi fa sovvenir del mondo antico.I fui colui che la Ghisolabellacondussi a far la voglia del marchese,come che suoni la sconcia novella.E non pur io qui piango bolognese;anzi n questo luogo tanto pieno,che tante lingue non son ora appresea dicer sipa tra Svena e Reno;e se di ci vuoi fede o testimonio,rcati a mente il nostro avaro seno.Cos parlando il percosse un demoniode la sua scuriada, e disse: Via,ruffian! qui non son femmine da conio.I mi raggiunsi con la scorta mia;poscia con pochi passi divenimmol vuno scoglio de la ripa uscia.Assai leggeramente quel salimmo;e vlti a destra su per la sua scheggia,da quelle cerchie etterne ci partimmo.Quando noi fummo l dovel vaneggiadi sotto per dar passo a li sferzati,lo duca disse: Attienti, e fa che feggialo viso in te di questaltri mal nati,ai quali ancor non vedesti la facciaper che son con noi insieme andati.Del vecchio ponte guardavam la tracciache vena verso noi da laltra banda,e che la ferza similmente scaccia.E l buon maestro, sanza mia dimanda,mi disse: Guarda quel grande che vene,e per dolor non par lagrime spanda:quanto aspetto reale ancor ritene!Quelli Iasn, che per cuore e per sennoli Colchi del monton privati fne.Ello pass per lisola di Lenno,poi che lardite femmine spietatetutti li maschi loro a morte dienno.Ivi con segni e con parole ornateIsifile ingann, la giovinettache prima avea tutte laltre ingannate.Lasciolla quivi, gravida, soletta;tal colpa a tal martiro lui condanna;e anche di Medea si fa vendetta.Con lui sen va chi da tal parte inganna:e questo basti de la prima vallesapere e di color che n s assanna.Gi eravam l ve lo stretto callecon largine secondo sincrocicchia,e fa di quello ad un altrarco spalle.Quindi sentimmo gente che si nicchiane laltra bolgia e che col muso scuffa,e s medesma con le palme picchia.Le ripe eran grommate duna muffa,per lalito di gi che vi sappasta,che con li occhi e col naso facea zuffa.Lo fondo cupo s, che non ci bastaloco a veder sanza montare al dossode larco, ove lo scoglio pi sovrasta.Quivi venimmo; e quindi gi nel fossovidi gente attuffata in uno stercoche da li uman privadi parea mosso.E mentre chio l gi con locchio cerco,vidi un col capo s di merda lordo,che non parea sera laico o cherco.Quei mi sgrid: Perch se tu s gordodi riguardar pi me che li altri brutti?.E io a lui: Perch, se ben ricordo,gi tho veduto coi capelli asciutti,e se Alessio Interminei da Lucca:per tadocchio pi che li altri tutti.Ed elli allor, battendosi la zucca:Qua gi mhanno sommerso le lusingheondio non ebbi mai la lingua stucca.Appresso ci lo duca Fa che pinghe,mi disse il viso un poco pi avante,s che la faccia ben con locchio attinghedi quella sozza e scapigliata fanteche l si graffia con lunghie merdose,e or saccoscia e ora in piedi stante.Taide , la puttana che rispuoseal drudo suo quando disse Ho io graziegrandi apo te?: Anzi maravigliose!.E quinci sien le nostre viste sazie.Inferno: Canto XIXO Simon mago, o miseri seguaciche le cose di Dio, che di bontatedeon essere spose, e voi rapaciper oro e per argento avolterate,or convien che per voi suoni la tromba,per che ne la terza bolgia state.Gi eravamo, a la seguente tomba,montati de lo scoglio in quella partecha punto sovra mezzo l fosso piomba.O somma sapienza, quanta larteche mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,e quanto giusto tua virt comparte!Io vidi per le coste e per lo fondopiena la pietra livida di fri,dun largo tutti e ciascun era tondo.Non mi parean men ampi n maggioriche que che son nel mio bel San Giovanni,fatti per loco di battezzatori;lun de li quali, ancor non moltanni,ruppio per un che dentro vannegava:e questo sia suggel chognomo sganni.Fuor de la bocca a ciascun soperchiavadun peccator li piedi e de le gambeinfino al grosso, e laltro dentro stava.Le piante erano a tutti accese intrambe;per che s forte guizzavan le giunte,che spezzate averien ritorte e strambe.Qual suole il fiammeggiar de le cose untemuoversi pur su per la strema buccia,tal era l dai calcagni a le punte.Chi colui, maestro, che si crucciaguizzando pi che li altri suoi consorti,dissio, e cui pi roggia fiamma succia?.Ed elli a me: Se tu vuo chi ti portil gi per quella ripa che pi giace,da lui saprai di s e de suoi torti.E io: Tanto m bel, quanto a te piace:tu se segnore, e sai chi non mi partodal tuo volere, e sai quel che si tace.Allor venimmo in su largine quarto:volgemmo e discendemmo a mano stancal gi nel fondo foracchiato e arto.Lo buon maestro ancor de la sua ancanon mi dipuose, s mi giunse al rottodi quel che si piangeva con la zanca.O qual che se che l di s tien di sotto,anima trista come pal commessa,comincia io a dir, se puoi, fa motto.Io stava come l frate che confessalo perfido assessin, che, poi ch fitto,richiama lui, per che la morte cessa.Ed el grid: Se tu gi cost ritto,se tu gi cost ritto, Bonifazio?Di parecchi anni mi ment lo scritto.Se tu s tosto di quellaver sazioper lo qual non temesti trre a ngannola bella donna, e poi di farne strazio?.Tal mi fecio, quai son color che stanno,per non intender ci ch lor risposto,quasi scornati, e risponder non sanno.Allor Virgilio disse: Dilli tosto:Non son colui, non son colui che credi;e io rispuosi come a me fu imposto.Per che lo spirto tutti storse i piedi;poi, sospirando e con voce di pianto,mi disse: Dunque che a me richiedi?Se di saper chi sia ti cal cotanto,che tu abbi per la ripa corsa,sappi chi fui vestito del gran manto;e veramente fui figliuol de lorsa,cupido s per avanzar li orsatti,che s lavere e qui me misi in borsa.Di sotto al capo mio son li altri trattiche precedetter me simoneggiando,per le fessure de la pietra piatti.L gi cascher io altres quandoverr colui chi credea che tu fossiallor chi feci l sbito dimando.Ma pi l tempo gi che i pi mi cossie chi son stato cos sottosopra,chel non star piantato coi pi rossi:ch dopo lui verr di pi laida opradi ver ponente, un pastor sanza legge,tal che convien che lui e me ricuopra.Novo Iasn sar, di cui si leggene Maccabei; e come a quel fu mollesuo re, cos fia lui chi Francia regge.Io non so si mi fui qui troppo folle,chi pur rispuosi lui a questo metro:Deh, or mi d : quanto tesoro volleNostro Segnore in prima da san Pietrochei ponesse le chiavi in sua bala?Certo non chiese se non Viemmi retro.N Pier n li altri tolsero a Matiaoro od argento, quando fu sortitoal loco che perd lanima ria.Per ti sta, ch tu se ben punito;e guarda ben la mal tolta monetachesser ti fece contra Carlo ardito.E se non fosse chancor lo mi vietala reverenza delle somme chiaviche tu tenesti ne la vita lieta,io userei parole ancor pi gravi;ch la vostra avarizia il mondo attrista,calcando i buoni e sollevando i pravi.Di voi pastor saccorse il Vangelista,quando colei che siede sopra lacqueputtaneggiar coi regi a lui fu vista;quella che con le sette teste nacque,e da le diece corna ebbe argomento,fin che virtute al suo marito piacque.Fatto vavete Dio doro e dargento;e che altro da voi a lidolatre,se non chelli uno, e voi ne orate cento?Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella doteche da te prese il primo ricco patre!.E mentrio li cantava cotai note,o ira o coscienza che l mordesse,forte spingava con ambo le piote.I credo ben chal mio duca piacesse,con s contenta labbia sempre atteselo suon de le parole vere espresse.Per con ambo le braccia mi prese;e poi che tutto su mi sebbe al petto,rimont per la via onde discese.N si stanc davermi a s distretto,s men port sovra l colmo de larcoche dal quarto al quinto argine tragetto.Quivi soavemente spuose il carco,soave per lo scoglio sconcio ed ertoche sarebbe a le capre duro varco.Indi un altro vallon mi fu scoperto.Inferno: Canto XXDi nova pena mi conven far versie dar matera al ventesimo cantode la prima canzon ch di sommersi.Io era gi disposto tutto quantoa riguardar ne lo scoperto fondo,che si bagnava dangoscioso pianto;e vidi gente per lo vallon tondovenir, tacendo e lagrimando, al passoche fann