DIVINA COMMEDIA-PLUS

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Casa editrice G. D’Anna Messina-Firenze Dante Alighieri La Divina Commedia Paradiso presentato e commentato da Angelo Gianni con la collaborazione di Maria Gloria Eschini, Gino Gherardi, Marco Romanelli Edizione riveduta da Carlisa Santini Bassanetti

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Casa editrice G. D’AnnaMessina-Firenze

Dante Alighieri

La Divina Commedia

Paradisopresentato e commentato da Angelo Giannicon la collaborazionedi Maria Gloria Eschini, Gino Gherardi, Marco Romanelli

Edizione riveduta da Carlisa Santini Bassanetti

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Dante Alighieri

La Divina Commedia

Paradisopresentato e commentato da Angelo Giannicon la collaborazionedi Maria Gloria Eschini, Gino Gherardi, Marco Romanelli

Edizione riveduta da Carlisa Santini Bassanetti

© Casa editrice G.D'Anna. VIetate la riproduzione e la diffusione

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Copyright © 2001 G. D’Anna Casa editrice S.p.A.via Dante da Castiglione, 8 - 50125 Firenzetel. 055.233.55.13 - fax 055.22.59.32e-mail [email protected] - internet http://www.danna.it

Proprietà letteraria riservata

Il Sistema Qualità della G. D’Anna Casa editrice S.p.A. è certificato, secondo le normeUNI EN ISO 9001:94, da Cermet (n. 1791).

Prima edizione gennaio 2001

Ristampe 5 4 3 2 1 0 2001 2002 2003 2004 2005

Progetto grafico Ruth Kroeber

Copertina particolari da Dante e il suo poema di Domenico di Michelino (Duomo diFirenze). Foto Scala.

Redazione Linda Giuntini, Lucilla Maddali, Rita Fabbri, Mauro Pezzati

Fotocomposizione AEFFE Aiello Fotocomposizioni - Cinisello Balsamo (Milano)

Grafici Gianna Pascarelli

Stampa e legatura Stabilimento grafico «A. C. Grafiche» - Cerbara di Città di Castello(Perugia)

Si ringraziano la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia per aver concesso l’autorizza-zione a riprodurre le incisioni della Divina Commedia licenziata inVenezia il 3 marzo 1491 da Bernardino Benali e Matthio da Parma

Avvertenza Il testo delle tre cantiche della Divina Commedia è disponibile integral-mente, nel formato RTF, in www.danna.it

La G. D’Anna Casa editrice, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle illustrazioni pre-scelte, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.Fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale) nei limiti del 15% di ciascun volume possono esse-re effettuate negli esercizi che aderiscono all’accordo SIAE - AIE - SNS da una parte e, dall’altra, CNA -Confartigianato - CASA del 18 dicembre 2000, dietro pagamento del compenso previsto in tale accordo.Per riproduzioni ad uso non personale l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurreun numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo diriproduzione devono essere inoltrate a:

Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO)via delle Erbe, 2 - 20121 Milanotel. e fax 02.809.506 - e-mail [email protected]

L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori del proprio catalogo editoriale.La ristampa degli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, non essendo concorrenzia-le all’opera.Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, leopere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche.

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Presentazione

Questa edizione della Divina Commedia, originariamente curata da Angelo Gianni, vie-ne riproposta nella veste editoriale piú classica, con un volume per ciascuna cantica.Il commento del Gianni nasceva dalla profonda conoscenza del testo e dalla grandeesperienza didattica dell’autore. Di qui l’obiettivo, perseguito con costanza, di metter-si «dalla parte degli studenti», tradotto in un modo di concepire l’esegesi del testo diDante chiaro ed efficace, che evita di infittire le note delle stratificazioni critiche accu-mulatesi nei secoli e mira piuttosto a registrare i risultati di un dibattito, garantendosempre la comprensione dell’originale. Tali caratteristiche fondamentali rendono an-cora oggi attuale questa edizione.La revisione che presentiamo è nata dall’intento di perfezionare l’obiettivo originario: aquesto scopo le Premesse ai singoli canti sono state aggiornate, adeguandone la forma ela struttura ai modelli comunicativi di oggi; le note esplicative sono state emendate, pri-vilegiando l’efficacia dell’aspetto informativo piuttosto che la partecipazione emotivadel commentatore; agli apparati che accompagnano ogni canto (Schede linguistiche,Fonti e spunti per l’approfondimento e Letture critiche) sono state aggiunte le Schede diverifica, per un riscontro puntuale e immediato della comprensione del testo.Ogni volume è corredato in appendice: dal Glossario e termini notevoli, che compren-de tutte le voci tecnico-retoriche ed affronta le maggiori questioni critiche e culturalidantesche che, nel corso del lavoro, sono state contrassegnate da un asterisco; dall’In-dice dei personaggi reali o fantastici; da un repertorio bibliografico, che amplia i sug-gerimenti di approfondimento già contenuti nella rubrica specifica di ogni canto.

I primari intenti di Angelo Gianni continuano, dunque, a costituire il motivo condut-tore di questa nuova edizione della Commedia; per questa ragione, ci sembra utile e do-veroso riproporre parte della sua originaria presentazione all’intera opera, da lui inti-tolata «Motivazioni al lavoro».

«Forse non si è meditato a sufficienza sul fatto che un’opera come la Commedia,volta a proporre un rinnovamento totale degli uomini, a profetizzare una nuovaèra, non poteva che presentarsi di per sé oscura, realizzata con una scrittura al-meno in parte arcana. Per tradizione le scritture polemiche e profetiche si eranoammantate da sempre di un velame, e questo aspetto, a partire dai libri sacri delVecchio e del Nuovo testamento, era pervenuto sino all’ultimo di tali libri, cioè al-l’oscurissima Apocalisse dell’apostolo Giovanni, composta per rivelare agli uomi-ni i segreti relativi alle “ultime cose”. Anche ai tempi di Dante le scritture volte al-la condanna dell’età presente e alla promessa di un’epoca diversa erano frequen-ti nell’Occidente cristiano: basti pensare all’abate Giovacchino da Fiore, che ave-va profetizzato l’avvento della terza età del mondo, e aveva suscitato con la suaopera maggiore, la Concordanza dell’Antico col Nuovo Testamento, speranze in-dicibili, e insieme provocato accuse e sospetti di eresia. Non per nulla proprioDante aveva accolto Giovacchino tra gli spiriti piú alti del cielo del Sole. Non di-ciamo ovviamente nulla di nuovo; ma vorremmo richiamare l’attenzione su unaquestione che pare ormai sin troppo evidente: che la Commedia, proponendosicome un’opera di rinnovamento, non poteva non presentarsi in gran parte come

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PresentazioneIV

enigmatica. D’altronde era un principio tra i piú diffusi della scienza letteraria del-l’epoca che nelle scritture profetiche e morali, accanto al significato letterale, do-vesse essere presente un altro significato, sottostante e insieme piú alto, un’alle-goria, come ben presto si disse con una parola di origine greca, cioè un “altro dis-corso”. Dante è perciò illeggibile se il lettore non si avvicina almeno ad alcuni deisignificati che si nascondono al di sotto di quello letterale. Tuttavia non si deve farconsistere troppa parte della lettura nella decriptazione di tali allegorie, di talisensi secondi, anzitutto perché una parte di essi è per sua natura indecifrabile edestinata a rimanere tale. Non vogliamo assumere alcun tono di sufficienza neiconfronti delle discussioni che hanno presieduto e tuttora presiedono ai passi al-legorici, ma semplicemente osservare che la presunta decriptazione delle dottri-ne nascoste non sempre giova a migliorare la conoscenza del poema. La sostanza,il peso positivo delle allegorie, delle «croci» o difficoltà dantesche, va cercato (perdirlo con una proposizione che può suonare eretica) soprattutto nella loro riso-nanza ed efficacia poetica, in quella atmosfera che si genera intorno a tali versi, eaccresce di valenze nuove la lettura (l’oscurità allegorica come chiave di letturapoetica della Commedia, come motivo di fondo, musica interna, tanto piú altaquanto meno è trivializzata e svelata).Ancora (e ci pare questo un elemento essenziale), un’antica consuetudine conDante ha convinto l’autore di questo commento (e con lui altri lettori) di una real-tà di per sé indiscutibile: che la natura del poema è essenzialmente drammatica,non nel significato piú comune del termine “drammatico” (“ricco di tensioneemotiva, di suspense”), ma nel significato che si dà a questa voce sulle scene. Vo-gliamo dire che dall’incontro con gran parte dei personaggi deriva a Dante, e an-che ad essi, un mutarsi, un farsi diversi rispetto a quello che erano prima. Alla fi-ne di ogni singola scena teatrale, sin da quando il teatro è nato, i personaggi sono,per il naturale sviluppo della vicenda, diversi: ogni incontro è un processo, unmomento che li avvia lungo una nuova o diversa direzione. E proprio questo av-viene per la Commedia: che Dante si fa diverso dopo essersi incontrato con Fari-nata, e Farinata dopo essersi incontrato con Dante; e cosí Vanni Fucci dopo averincontrato Dante, cosí Dante dopo avere sostato con Belacqua, cosí dopo l’incon-tro con Oderisi da Gubbio, cosí dopo l’incontro in Paradiso con Cunizza da Ro-mano. Dall’Inferno al Paradiso un incontrarsi e mutarsi, un processo in cui Dantee i personaggi si fanno piú intensi, piú consapevoli di sé. A volte si fa diverso per-sino colui che accompagna il poeta, ad esempio Virgilio, come avviene di fronteall’arca infuocata in cui è immerso Farinata. Quest’aspetto della Commedia èquello che rende altamente mossa tutta l’opera, ciò che introduce la vita, il movi-mento, là dove siamo del tutto fuori del tempo, e induce Dante a svenire (per faresolo un esempio) di fronte alle rivelazioni di Francesca da Rimini. Non solo: a vol-te l’incontro con le anime è drammatico per un’altra e diversa ragione: perché dal-l’incontro Dante deriva una forte emozione o devozione nei confronti di molti deipersonaggi a cui si avvicina, come accade nei riguardi del proprio maestro Bru-netto Latino. Commozione che tuttavia pare contraddirsi con la spietata condan-na di Brunetto tra i peccatori carnali contro natura, i sodomiti, condanna a cuiDante non era in alcun modo costretto, bastando un supposto attimo di penti-mento in extremis a far salvo il maestro: ed è, questo sí, un enigma poetico e mo-rale che appare insolubile, e tuttavia accresce di mille valenze l’episodio. E cosí ilmomento in cui Ulisse è insieme esaltato e dannato, e l’esaltazione dell’eroe è tut-t’uno con il timore (modernissimo) che la volontà di progresso dell’uomo possacondurlo alla perdizione, che possa accadere anche allo spirito piú nobile che la

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Presentazione V

virtú nol guidi, anzi lo conduca al precipizio. Per non parlare di uno dei piú dram-matici ingorghi poetici (del tutto inattesi) a cui si abbandona Dante in Paradiso,tra gli spiriti amanti, là dove ci attenderemmo solo uno sprofondare nelle luci deibeati, o la soluzione di forti ed aspri dubbi teologici; e ci imbattiamo invece anchein temi come quello che deriva dagli incontri, nel cielo di Venere, con le animeche si sono mostrate troppo indulgenti nei confronti dell’amore sensuale, e non sene rammaricano affatto, anzi indulgono a tale loro natura, come Cunizza da Ro-mano (al c. IX), e si dimostrano disgustate e spietate non per i loro eccessi pas-sionali ma per le bigonce di sangue che gli odi di parte fanno versare tra gli uomi-ni. Ma l’incontro piú drammatico fra tutti è quello con un personaggio che nonparla: Lucifero, la prima creatura di Dio, la piú alta e luminosa fra tutte, di cuiBeatrice svela il segreto al canto XXIX del Paradiso, quando descrive la creazio-ne degli angeli. Dio vuole dar vita ad altre creature, ad esseri immortali, sapienti,bellissimi, consapevoli, gioiosamente lieti di essere, di esistere. Ma tale creazionesi è appena compiuta, non è ancora trascorso da quel momento tanto tempoquanto è necessario per giungere a venti (Né giugneriesi, numerando, a venti ...),che la creatura avverte la sua sudditanza al Creatore, la sua natura straordinaria,cosciente dei doni ricevuti da Dio, eppure costretta a sentirsi dipendente dalCreatore; e si compie, per la prima volta nel cosmo, la ribellione, l’accusa a Dio diaverla creata, e con la ribellione di Lucifero la ribellione di una decima parte de-gli angeli, e il loro precipitare nel profondo. Momento fra tutti drammatico dellastoria, perché ne derivò il bisogno da parte di Dio di surrogare gli angeli mancan-ti, e la necessità di creare gli uomini perché surrogassero quegli angeli, e tutta lastoria successiva, compresa l’incarnazione, crocifissione e morte di Cristo. Ora,ai tempi di Dante, la surrogazione è quasi completa, e pochi sono i seggi rimastivacanti nella “candida rosa” dell’Empireo, e prossima, imminente, la fine dei tem-pi. E Dante stesso, giunto al termine del suo viaggio, avverte la sua capacità di dis-perdersi nel tutto, di porre fine al suo Io pervicace. Dove ognuno vede che Danteaveva già compiuto quel processo mentale che fu proprio di una filosofia dell’Ot-tocento, l’esistenzialismo, anticipato di cinque secoli, la scoperta del significato diquelle crisi generazionali che costituiscono uno dei drammi ricorrenti dei nostritempi. Ma è necessario scavare ancora di piú e porre il dito sul dramma persona-le di Dante, travolto dalle lusinghe del misticismo, dalla volontà di rinunciare alladisperata fatica di comprendere, di abbandonarsi all’uscita della mente da se stes-sa, all’excessus mentis, e l’impegno tutto teso, incapace di requie, volto a sapere, achiarire e ordinare tutto il cosmo con la ragione, a far propria la teologia razionali-stica: dramma che cresce canto su canto nell’ultima parte del poema, e si concludenegli ultimi versi con un estremo atto intellettivo (o con la rinuncia a questo atto,come altri intendono). Ma è fuor di dubbio che nessun atto intellettivo è cosí teso, eche l’ideale dantesco è volto soprattutto a vedere, sapere, capire [...]».

Angelo Gianni

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Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 da Alighiero, o Alagherio di Bellincione, tra la fine dimaggio e i primi di giugno, come testimonia egli stesso in Paradiso, XXII, 112-120. Sua ma-dre, Bella, morirà nel 1270, o forse nel 1278. Trascorre la prima giovinezza tra vita elegante e studi, in particolare di retorica, sotto la gui-da di Brunetto Latini, conosciuto nel 1283. Nello stesso periodo frequenta un gruppo di gio-vani poeti: tra questi, Guido Cavalcanti e Cino da Pistola. Compone alcune liriche, parte del-le quali saranno incluse nella Vita Nuova. Nel 1285 (ma alcuni spostano la data a dieci annipiú tardi) sposa Gemma Donati, figlia di Manetto, promessagli fin dal 1277 con un contrattomatrimoniale stipulato tra le due famiglie, secondo l’uso del tempo. Da lei avrà tre figli, Iaco-po, Pietro e Antonia (e forse un primogenito Giovanni, citato come testimone in un atto del1308; di lui non si ha altra notizia).Nel 1287 è probabilmente a Bologna, dove viene a contatto con la cultura di quella città e conil Guinizelli; due anni dopo prende parte alla battaglia di Campaldino (11 giugno 1289), traLega dei Guelfi da un lato e Aretini e Ghibellini toscani dall’altro. Appartiene a questi anni l’a-more spirituale per una donna, forse Bice figlia di Folco Portinari, la Beatrice della Vita Nuo-va e della Commedia, che muore giovanissima nel 1290.Tra il 1293 e il 1294 compone la parte in prosa della Vita Nuova. Intanto si appassiona aglistudi di filosofia: in particolare, segue lezioni su Aristotele e sugli interpreti cristiani della suadottrina, Tommaso d’Aquino e Alberto Magno; lo interessa, però, anche il pensiero del teolo-go francescano Bonaventura da Bagnoregio. Il tirocinio filosofico avviene, come egli ricorda,nelle «scuole de li religiosi» e attraverso le «disputazioni de li filosofanti» (Convivio, II, XII, 1e segg.).Nel 1295 si iscrive all’Arte dei medici e degli speziali, condizione indispensabile per parteci-pare alla vita politica cittadina, e si schiera con i bianchi, una fazione del partito guelfo che ri-vendica maggior autonomia dal papa, sostenitore invece della parte avversa, i neri.Tra il 1296 e il 1297 fa parte del Consiglio dei Cento e poi del Consiglio del Podestà. Nel 1300viene eletto priore per il bimestre 15 giugno-15 agosto. Il 24 giugno, bianchi e neri si scontra-no violentemente, e i priori decidono di mandare in esilio otto tra i piú accesi rappresentantidi ciascuna fazione. Tra questi è Guido Cavalcanti, amico carissimo di Dante, ma anche unodei bianchi piú settari. Il legato pontificio, cardinal Matteo d’Acquasparta, che aveva sobilla-to le lotte a favore dei neri, chiede ai priori i pieni poteri, che però gli vengono negati. Lasciaallora Firenze, dopo aver lanciato l’interdetto contro la città. Si precisa intanto il disegno po-litico di Bonifacio VIII, il quale, nell’ottobre del 1301, invia a Firenze il principe Carlo di Va-lois, fratello del re di Francia, Filippo IV il Bello. Il principe riveste il ruolo di paciere, ma inrealtà la sua missione nasconde il proposito di appoggiare i neri. Egli entra in Firenze il 1° no-vembre dello stesso anno. Dante, nel frattempo, è partito per Roma, alla guida di un’amba-sceria il cui scopo è quello di chiedere la revoca dell’interdetto e di indagare sulle reali inten-zioni del papa. A Firenze proseguono gli scontri tra fazioni: i neri si impadroniscono del pote-re, vanamente fronteggiati dagli avversari bianchi; i priori in carica vengono rimossi e al loroposto viene eletto podestà Cante de’ Gabrielli da Gubbio, che apre un’inchiesta sull’operatodei priori nei due anni precedenti. Nel gennaio del 1302, nelle vicinanze di Siena, Dante, di ritorno da Roma, viene a sapere diessere stato accusato di vari reati, tra i quali baratteria ed estorsione. Viene citato in giudizio,e, poiché non si presenta, il 27 gennaio è condannato ad una multa di 5000 fiorini da pagareentro tre giorni, a due anni di confino e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Non pagala multa, e poco dopo (il 10 marzo) è colpito da una seconda condanna, in contumacia: la pe-na prevede la confisca dei suoi beni e la morte sul rogo.È l’inizio dell’esilio, dal quale non farà piú ritorno. Nel 1303 i bianchi tentano piú di una volta, ma sempre invano, di rientrare in Firenze. È pro-babile che Dante inizialmente abbia partecipato a queste imprese. A quei primi tentativi fal-

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liti è forse collegato il ricovero presso la famiglia degli Ordelaffi, a Forlí, all’inizio del 1303, epoi presso Bartolommeo della Scala, Signore di Verona, nella seconda metà dell’anno. È di po-co posteriore il distacco definitivo dai fuorusciti: non prende parte, infatti, all’ultimo, sangui-noso tentativo di rientro, che ha luogo alla Lastra, presso Firenze, nel 1304 (di esso fa men-zione in Par., XVII, 70-72). Da oltre un anno era iniziato quel continuo e umiliante peregrinare da una città all’altra, incerca di ospitalità e di rifugio, che si sarebbe concluso solo con la morte. Nel Convivio (I, III,4) Dante ricorda che «per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, qua-si mendicando, sono andato»; in Paradiso, XVII, 58-60, il trisavolo Cacciaguida gli profetizzache dovrà imparare «sí come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ’l sa-lir per l’altrui scale». Tra il 1304 e il 1306 è a Treviso, presso Gherardo da Camino, poi a Pa-dova, e forse a Venezia.Si dedica intanto alla composizione del Convivio, del De vulgari eloquentia (La lingua vol-gare), dell’Inferno. Nell’autunno del 1306 è in Lunigiana, ospite del marchese Francesco Ma-laspina, per conto del quale firma un trattato di pace con il vescovo di Luni. Dal 1308 i suoispostamenti si fanno frequenti e di difficile documentazione. È forse a Lucca, e poi a Poppi, inCasentino, ospite presso il conte Guido di Battifolle. Sempre nel 1308 viene eletto imperatoreArrigo VII di Lussemburgo, nel quale Dante ripone grandissime speranze di giustizia e di paceper l’Italia. Nel 1309 quasi certamente ha finito di comporre l’Inferno. Nell’ottobre del 1310, ilpoeta indirizza un’epistola ai Signori e Comuni e Popoli d’Italia per esaltare la missione di giu-stizia dell’imperatore, che nel frattempo è disceso nella penisola, e nel 1311 si rivolge, conun’altra lettera, allo stesso Arrigo VII, invitandolo a marciare contro Firenze; ma le sue aspet-tative ben presto vengono meno per la morte dell’imperatore, avvenuta a Buonconvento, pres-so Siena, nel 1313. Nel frattempo, Dante lavora al De Monarchia (La monarchia), forse giàconcluso nel 1313, e alla stesura del Purgatorio, ultimata intorno al 1315. Nello stesso anno1313 torna a Verona, presso Cangrande della Scala, fratello di Bartolommeo e suo successore,dove rimane per sei anni: è il soggiorno piú lungo e sereno, grazie alla generosità del suo ospi-te, che verrà ricordato, con nobili parole di riconoscenza, in Paradiso, XVII, 76-92.Nel 1315 Firenze concede agli esiliati un’amnistia, purché facciano pubblica ammenda; unacondizione che il poeta ritiene umiliante (come afferma nell’Epistola ad un amico fiorenti-no). Il rifiuto gli costa però la conferma della condanna già ricevuta nel 1302, con in piú l’e-stensione della pena di morte anche ai figli. Nel 1318 è a Ravenna, ospite di Guido Novello daPolenta, suo ammiratore e poi imitatore in letteratura. Entro il 1320 (o forse 1321) termina lastesura del Paradiso. Nel 1321, durante l’estate, partecipa per conto di Guido da Polenta ad una missione diploma-tica che lo vede a Venezia, impegnato a scongiurare una possibile guerra. Durante il viaggio diritorno viene colpito da febbri, e, rientrato a Ravenna, vi muore: è, come testimonia Giovan-ni Boccaccio, la notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321. A Ravenna viene sepolto «a grandeonore, in abito di poeta e di grande filosofo» (Giovanni Villani, Cronica, IX, 136).

Vita e opere di Dante AlighieriVIII

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Il poema consta di 14 233 versi endecasillabi, in terzine a rima incatenata, suddivisi in 100canti di diversa lunghezza. A loro volta, i canti sono distribuiti in tre parti distinte (Inferno,Purgatorio e Paradiso) dette cantiche, ciascuna delle quali ne comprende 33 (il primo cantodel poema ha carattere introduttivo, per cui l’Inferno è formato da 34 canti). In questa ripar-tizione è già chiara la ricorrenza simbolica del numero 3 (e del suo multiplo 9) che nella cul-tura medievale ha un complesso significato di origine religiosa e magica, di cui è possibile tro-vare molte conferme all’interno dell’opera. Tra queste, la piú evidente è l’avvicendarsi di treguide attraverso i tre regni dell’Oltretomba: Virgilio nell’Inferno e nel Purgatorio (qui, dal XXIcanto, a Virgilio si aggiunge un altro poeta latino, Stazio); Beatrice nel Paradiso fino alla can-dida rosa dei beati, nell’Empireo, e san Bernardo nell’Empireo, fino alla conclusiva contem-plazione di Dio. Nove sono poi i cerchi dell’Inferno, nove le ripartizioni del Purgatorio, nove icieli del Paradiso. Il viaggio è raccontato in prima persona, e s’immagina compiuto all’età di35 anni con l’anima e con il corpo, nel 1300 (anno del giubileo), nei giorni compresi tra il 7aprile, Venerdí Santo (o, secondo altri, il 25 marzo), e il 14 aprile.

La struttura dei tre regni ultraterreniPer la struttura dei tre regni ultraterreni, Dante accoglie la visione geocentrica sostenuta daTolomeo e accettata da Tommaso d’Aquino e dalla scolastica, suoi costanti punti di riferi-mento filosofico. Nella rappresentazione tolemaica, la Terra è una sfera divisa in due emisfe-ri, dei quali solo quello settentrionale abitato. Al centro di questo, Dante pone Gerusalemme,e ai suoi antipodi la montagna del Purgatorio, sulla cui cima si trova il Paradiso terrestre. LaTerra è circondata da nove sfere concentriche, ruotanti l’una dentro l’altra, tutte contenuteda una decima, l’Empireo: esso è la dimora di Dio, degli Angeli e dei beati, ed è immobile.

L’InfernoIl viaggio comincia con la discesa nell’Inferno, concepito come una voragine a forma di tron-co di cono rovesciato, una specie di imbuto volto verso il centro della Terra, in cui i dannatisono distribuiti in cerchi sempre piú stretti via via che aumenta la gravità dei peccati. Dopoaver superato, con l’aiuto di Virgilio, l’opposizione di tre fiere – la lupa, la lonza (la lince), illeone –, Dante passa all’Antinferno, dove sono gli ignavi, «che visser sanza ’nfamia e sanza lo-do» (Inf. III, 36) e poi nel primo cerchio, dove è collocato il Limbo; qui si trovano coloro chesono morti senza battesimo e i grandi spiriti dell’antichità vissuti prima di Cristo. Tra il se-condo e il quinto cerchio sono puniti gli incontinenti, ossia coloro che non seppero tenere afreno le passioni (lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi e accidiosi). Il sesto cerchioospita gli eretici e gli epicurei. Nel settimo, diviso in tre gironi, si trovano i violenti contro ilprossimo (omicidi, predoni), contro se stessi (suicidi, scialacquatori), contro Dio, natura, ar-te (bestemmiatori, sodomiti, usurai). L’ottavo cerchio è diviso in dieci bolge, e accoglie queifraudolenti che ingannarono chi non si fidava di loro, ripartiti in diverse categorie. Il nono, in-fine, racchiude in quattro zone i traditori: la peggior specie di fraudolenti, perché hanno fro-dato chi aveva fiducia in loro, ossia i parenti, la patria, gli ospiti, i benefattori. Al fondo delnono cerchio, confitto al centro della Terra, sta Lucifero, traditore di Dio, che con tre bocchemaciulla Giuda, traditore di Cristo e quindi della Chiesa, Bruto e Cassio, traditori di Cesare,cioè dell’Impero.

Il PurgatorioIl secondo regno, il Purgatorio, è una montagna circondata dal mare, suddivisa in sette giro-ni, o cornici, ed è guardato dall’anima di Catone l’Uticense. Prima di entrarvi, però, Dante at-traversa l’Antipurgatorio; qui, coloro che si pentirono nell’ultimo istante di vita attendono ilmomento in cui potranno entrare ad espiare i peccati commessi. Costoro sono suddivisi inscomunicati, pigri, morti di morte violenta, príncipi negligenti. Una volta giunti in Purgatorio,

La struttura della «Divina Commedia»

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i peccatori scontano le colpe in un cammino penitenziale che va dalla base verso il vertice del-la montagna. La purificazione procede partendo dal piú grave dei sette peccati capitali, la su-perbia, secondo un ordine inverso rispetto a quello dell’Inferno (superbia, invidia, iracondia,accidia, avarizia e prodigalità, golosità, lussuria). Inoltre, mentre nell’Inferno i dannati sub-iscono la pena per il piú grave dei loro peccati, qui le anime sostano in ogni cornice, affron-tando una diversa penitenza per ciascuna delle loro colpe: per entrare in Paradiso, infatti, l’e-spiazione e la purificazione devono essere complete. Alla fine, si giunge alla cima del monte,in una selva amena, dove ha sede il Paradiso terrestre. Qui le anime s’immergono nelle acquedel Letè e dell’Eunoè; e sempre qui Virgilio, simbolo della ragione umana, si congeda; egli in-fatti, in quanto non cristiano, non è piú idoneo a guidare Dante nell’ultima parte del viaggio,e per questo a lui subentra Beatrice, simbolo della Grazia. Come nei cerchi dell’Inferno si in-contrano varie figure demoniache con specifiche funzioni, nel Purgatorio ogni girone è guar-dato da un angelo; e come nell’Inferno, anche nel Purgatorio vige la legge del contrapasso,che regola la forma della pena fisica subíta dagli espianti. Il contrapasso (il termine è in Inf.,XXVIII, 142) ricorda la legge biblica del taglione, e prevede una sofferenza commisurata di-rettamente alla colpa. Esso impone un comportamento o analogo o antitetico a quello che ca-ratterizzava il peccato commesso. In ambedue i regni, le anime si presentano a Dante con sem-bianza corporea, ossia con la fisionomia che avevano da vivi, anche se spesso il loro aspetto èstravolto dalla sofferenza. Vi è però qualche eccezione, dovuta a un particolare tipo di pena.

Il ParadisoIl terzo regno, il Paradiso, accoglie i beati. Essi, diversamente dai dannati e dagli espianti, nonrisiedono in luoghi specifici, ma abitano nell’Empireo, il cielo dove si trova Dio; tuttavia, perincontrare Dante, si muovono, e si dispongono nell’arco dei nove cieli. Ogni anima si presen-ta nel cielo che l’ha influenzata di piú durante la vita, determinando le caratteristiche del suocomportamento. In tal modo Dante conferisce al Paradiso una struttura corrispondente aquelle dell’Inferno e del Purgatorio, nel rispetto del principio di simmetria che caratterizzatutta l’opera. Va notato però che le anime assumono sembianza umana solo nel primo cielo epoi nell’Empireo. In tutti gli altri, si presentano sotto forma di luci, di essenze incorporee. Leanime beate, pur godendo tutte della visione di Dio, hanno diversi gradi di beatitudine cosí co-me nell’Inferno e nel Purgatorio si hanno diversi gradi di sofferenza. Gli spiriti del Paradiso sidividono infatti in mondani, attivi e contemplativi. Appartengono al primo gruppo coloro chemancarono ai voti per violenza altrui (cielo della Luna), gli spiriti attivi per conseguire famaterrena (cielo di Mercurio), gli spiriti amanti (cielo di Venere). Nel secondo gruppo, si trova-no gli spiriti sapienti (cielo del Sole), quelli militanti per la fede (cielo di Marte), gli spiriti giu-sti (cielo di Giove). Il terzo è composto dagli spiriti contemplativi (cielo di Saturno), che in vi-ta si dedicarono totalmente alla preghiera e all’immedesimazione con la divinità. Nel cielodelle Stelle fisse, Dante assiste al trionfo di Cristo, di Maria e dei beati. Nel Primo Mobile vedeil trionfo degli Angeli, che in forma di nove cerchi fiammeggianti ruotano attorno ad un Pun-to luminosissimo, Dio. Nell’Empireo i beati sono raccolti in una candida rosa. Dante vi giun-ge sotto la guida di san Bernardo, simbolo del Magistero della Chiesa, al quale è stato affidatoda Beatrice, prima che ella tornasse in mezzo agli altri beati. Il santo prega la Vergine di aiu-tare Dante nell’ultima sublime esperienza: la contemplazione di Dio. La preghiera viene ac-colta e Dante, percosso da un «fulgore», può contemplare, per un attimo, i misteri della Fede:l’Unità e Trinità di Dio, e l’Incarnazione di Dio.

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CANTO I

Il canto presenta la materia del Paradiso, e ledifficoltà sia di memoria sia di capacità espres-siva che attendono il poeta. Segue l’invocazio-ne non piú alle Muse, ma al dio stesso della poe-sia, Apollo. Dante, che aveva dapprima rivoltogli occhi al sole, li volge ora alla sua donna, e daquel momento avverte di farsi diverso, di «tra-sumanare». Beatrice spiega a Dante che egli staascendendo dal Paradiso terrestre al cielo, e chevi ascende con il suo corpo. Meraviglia sarebbese, privo com’è ormai di impedimenti, fosse ri-masto sulla Terra.

* Gli asterischi rimandano al Glossario e termini notevoli.

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emis

fero

austr

ale o delle

acque

emisfero boreale o delle terre

emer

se

INFERNO

TERRA

PURGATORIO

PUN

TO DIO

GERARCHIE ANGELICHE

CANDIDA ROSA DEI BEATI

EMPIREOCIELO METAFISICO

AL DI LÀ DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

EMPIREOCIELO METAFISICO

AL DI LÀ DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

Il piú veloce di tutti i Cieli

Trionfo degli angeli Trionfo di Cristo e Maria

Spiriti contemplanti, con i beatiche ascendono lungo una scala

Spiriti giudicanti, con i beati che appaiono in forma di aquila

Spiriti militanti, con i beatiche appaiono in forma di croce

Spiriti sapienti

Spiriti amanti

Spiriti attivi per la gloria terrena

Spiriti votivi mancanti

SCHEMA DEL PARADISO DANTESCO9

Cielo o Prim

o Mobile

8Ciel

o o delleStelle

fisse

7Ciel

oo di S

aturno

6Ciel

oo di G

iove

5Ciel

o

o di Marte

4Cie

lo

o del Sole

3Cie

lo

o di Venere

2Cie

lo

o di Mercurio

1Cie

lo

o dellaLuna

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PremessaIl canto è estremamente unitario ed af-

fronta pochi temi.Beatrice volge lo sguardo al sole; Dante laimita, ma quella luce è cosí abbagliante cheegli torna, con gli occhi, alla sua donna. Av-verte, allora, di essere divenuto diverso e diandare oltre i limiti della propria natura, ditrasumanar (v. 70).Beatrice gli spiega che egli non si trova piúsulla vetta del Purgatorio, ma sta ascenden-do verso il Paradiso, col suo corpo ormai li-bero da ogni impurità terrena. All’ascesa,però, corrisponde uno sprofondarsi, un per-dersi e quasi dimenticare se stesso (vv. 8-9):è l’excessus mentis, l’uscita della mente daisuoi limiti, da se stessa, per sprofondare inun gorgo, in un abisso di luce.Di questo argomento, nel secolo XIII, avevaparlato non il campione della teologia positi-va e razionale, Tommaso d’Aquino, volto aconquistare Dio con il supporto della logica,bensí Bonaventura da Bagnoregio, campio-ne della teologia mistica, volto a conquistareDio con l’uscita della mente da se stessa. Alla base del canto (e, in sostanza, di tutto ilParadiso) ci sono i versi in cui Dante avver-te di trasumanar, ma subito afferma chenon gli sarebbe stato possibile esprimere aparole (per verba, v. 70) ciò che stava accadendo.Tuttavia, dopo aver sfiorato piú volte nel corso della cantica l’excessus, l’uscita da sé, iltrasumanare, Dante in realtà non rinuncia alla logica, alla sua razionalità, al suo dispera-to bisogno di chiarezza mentale.Il Paradiso si modula, dunque, tra un cedere frequentissimo al *misticismo, alla perditadi sé, al bisogno di naufragare, ed una volontà pervicace di spiegare, di usare la ragione,e sin dal primo canto si impone l’incontro tra la ragione e la rinuncia ad essa.L’attacco del Paradiso è un avvio tra i piú alti, travolto, fin dai primi versi, da un impetonuovo, tale da evidenziare la totalità, la risoluzione in forma *cosmica, universale di ognisingolo elemento.

La macchina cosmica del mondo (la *cosmologia dantesca) sin dall’inizio del Paradi-so si pone con una chiarezza estrema. Non solo la Terra è al centro, e intorno alla Terrasono tutti i cieli; ma intorno al cosmo è un cielo non fisico, metafisico, un cielo che con-tiene il tutto e non è contenuto da altro: una sfera immobile, in sé perfetta e conclusa. E,per passare dalla visione astronomica a quella morale del mondo, vi è un moto inesauri-bile di tutto l’universo, di tutti i cieli, dovuto al bisogno del cosmo di essere sempre e tut-to in contatto con l’eterno, con la pace assoluta. Il concetto è espresso, sin dal primo can-to, in versi dotati di una capacità di sintesi, di una unità di *struttura e poesia che ogni di-stinzione appare non solo assurda, ma totalmente superata.

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a gloria di colui che tutto moveper l’universo penetra, e risplende

3 in una parte piú e meno altrove.

Nel ciel che piú de la sua luce prendefu’ io, e vidi cose che ridire

6 né sa né può chi di là sú discende;

perché appressando sé al suo disire,nostro intelletto si profonda tanto,

9 che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant’io del regno santone la mia mente potei far tesoro,

12 sarà ora materia del mio canto.

O buono Appollo, a l’ultimo lavorofammi del tuo valor sí fatto vaso,

15 come dimandi a dar l’amato alloro.

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Versi 1-156

1-36. Proemio e materia del Paradiso.Se il proemio dell’Inferno all’inizio del canto II fu solodi pochi versi, e il proemio del Purgatorio fu di qual-che terzina, qui, per l’impegno maggiore della mate-ria, il proemio non poteva non svilupparsi in modopiú ampio: dodici terzine, delle quali quattro dedica-te all’argomento vero e proprio e otto all’invocazionead Apollo, dio della poesia.

1-3. La gloria di colui che tutto move. Avvio a pienaorchestra, in esaltazione del motore dell’univer-so, di Dio. I cieli, come canta il salmo XVIII, enar-rant gloriam Dei, cantano la gloria di Dio; gloriaintesa qui non solo come «potenza» e «grandez-za», ma come «luce risplendente», essendo la lu-ce uno degli aspetti caratteristici del Paradiso. inuna parte piú e meno altrove. A seconda della mag-giore o minore capacità di ogni parte ad accoglie-re quella luce. 4-9. Nel ciel che piú de la sua luce prende. L’Empi-reo, la vera e propria sede di Dio e dei beati, i qua-li tuttavia si mostrano a Dante nei primi sette cie-li (della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, diMarte, di Giove, di Saturno), perché egli abbia unsegno concreto del loro diverso grado di beatitu-dine, sebbene tale diverso grado non influisca inalcun modo sulla pienezza della loro beatitudine.fu’io. Avverti il rilievo con cui si pone il pronomepersonale. che ridire / né sa né può. Non sa ridirleperché sfuggono alla capacità della memoria, es-sendo l’anima che è giunta in quel cielo «trasu-

manata», andata oltre le facoltà umane; né può ri-dirle perché, anche essendo capace di ricordare,egli non avrebbe la forza di esprimerle con parole.Un verso, il 6, tutto fitto di accenti, e perentorionella sua capacità conclusiva. appressando sé alsuo disire, ecc. Perché il nostro intelletto, avvici-nandosi a Dio, che è lo scopo di ogni suo deside-rio, si addentra, penetra tanto in Dio, che la me-moria non lo può seguire. Anziché «si addentra»,«penetra», Dante dice si profonda, con un verbocaro ai filosofi mistici come Bonaventura, cheidentificano Dio con un abisso insondabile di co-noscenze.10-12. Veramente, quant’io del regno santo ecc.Tuttavia (lat. verum), sarà ora materia del miocanto quel poco che la mia mente ha potuto rac-cogliere del Paradiso. Non dice «dell’Empireo», dicui è stato affermato che è impossibile ricordarequalcosa, ma del cielo in generale. 13-15. Un’invocazione ad Apollo (anzi ad Appollo,secondo la grafia adottata nell’edizione criticadalla Società dantesca nel 1967), dio delle arti equindi della poesia. Per il Purgatorio aveva invo-cato le Muse, ma ora le Muse gli sembrano insuffi-cienti. sí fatto vaso, / come dimandi ecc. E fammidivenire un ricettacolo (vaso) tale del tuo valorepoetico quale richiedi per dare l’incoronazionecon le foglie di alloro, con la pianta da te amata. Altema dell’incoronazione poetica Dante ritorneràcon commozione maggiore all’inizio del cantoXXV del Paradiso. L’amato alloro accenna al mi-to di Dafne, la ninfa amata dal dio Apollo (Ovidio,Metamorfosi, I, 452-567), che per sfuggirgli chie-

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Versi 16-33 7

se e ottenne di essere trasformata in una pianta dialloro. Con l’alloro si incoronavano nel passato igenerali vittoriosi e i poeti di grande fama.16-18. l’un giogo di Parnaso. Su uno dei gioghi delParnaso, l’Elicona, abitavano le Muse, e alle Musesi era rivolto Dante nelle invocazioni delle altrecantiche (Inf., II, 7; Purg., I, 8). Sull’altro giogo, ilCirra, abitava Apollo, e perciò Dante dice qui che,giunto a questa cantica piú ardua delle altre, nongli è piú sufficiente il primo giogo, sede delle Mu-se, e gli è necessario, per entrare nel campo (nel’aringo) che gli rimane, dove sta per combatterela piú difficile battaglia, l’uno e l’altro dei gioghi.19-21. e spira tue / sí come quando Marsïa ecc. E ispi-rami tu (tue con l’*epitesi della -e) come quandotraesti la pelle al satiro Marsia, che ti aveva sfidatoin una gara. Apollo, dopo averlo sconfitto, gli tras-se la pelle, anzi trasse Marsia dal fodero (de la va-gina) delle sue membra, dalla sua pelle. La fontedel mito è di nuovo Ovidio, nelle Metamorfosi (VI,382-400). Anche nel Purgatorio, invocando lamusa Calliope, il poeta aveva rievocato un’altrapunizione divina, quella delle Piche misere (I, 11).22-27. se mi ti presti ecc. Se mi concedi il tuo aiu-to, tanto che io possa esprimere quel poco d’om-bra del Paradiso che è rimasta in me impressa, mivedrai giungere ai piedi dell’albero diletto (l’allo-ro, in cui si trasformò Dafne quando fu inseguita

dal dio) e coronarmi delle sue foglie. Non chiededi riuscire del tutto nel suo intento, ma che Apol-lo gli presti quella capacità poetica che è necessa-ria per dire qualcosa di quell’ombra del beato re-gno, del cielo (in generale) che è rimasta nella suamemoria. Ancora è protagonista dei versi il dioApollo, e Dante appare come un supplice. che lamateria e tu mi farai degno. Di cui mi renderannodegno la materia e il tuo aiuto. Dante non parladella sua capacità, ma della nuova materia e del-l’ispirazione che riceverà da Apollo.28-33. Sí rade volte, padre, se ne coglie ecc. Dantesi rivolge ancora ad Apollo. Cosí raramente, gli di-ce, si coglie qualche ramo d’alloro per incoronareil trionfo di un condottiero vittorioso (cesare) o diun poeta, colpa e vergogna della corruzione uma-na, che l’alloro, quando suscita desiderio di sé,dovrebbe accrescere la letizia del dio di Delfi,Apollo (di cui si ergeva a Delfi uno splendido tem-pio), già lieto per sua natura. L’alloro è detto fron-da peneia perché Dafne, la ninfa trasformata inalloro, era figlia del fiume Peneo. I ricordi mitolo-gici si accumulano nei versi, ma su tutto domina-no la commozione del poeta e la visione luminosadella lieta delfica deità. Poiché tutto il periodo èrivolto ad Apollo, ci saremmo aspettati, ai vv. 31-32, «in su la tua ... deità», ma il passaggio di co-strutto accentua la commozione di Dante.

Infino a qui l’un giogo di Parnasoassai mi fu; ma or con amendue

18 m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tuesí come quando Marsïa traesti

21 de la vagina de le membra sue.

O divina virtú, se mi ti prestitanto che l’ombra del beato regno

24 segnata nel mio capo io manifesti,

vedra’mi al piè del tuo diletto legnovenire, e coronarmi de le foglie

27 che la materia e tu mi farai degno.

Sí rade volte, padre, se ne coglieper trïunfare o cesare o poeta,

30 colpa e vergogna de l’umane voglie,

che parturir letizia in su la lietadelfica deïtà dovria la fronda

33 peneia, quando alcun di sé asseta.

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34-36. Poca favilla gran fiamma seconda. Una gran-de fiamma può seguire a una piccola favilla. Unadelle frasi dantesche divenute proverbiali. Alcunisi sono meravigliati che Dante, con la viva co-scienza che aveva della sua eccezionalità di poeta(cfr. al canto II, 5-9), abbia ammesso che altri, do-po di lui, possa chiedere l’aiuto di Apollo per com-piere l’opera. Ma ci pare che il poeta in questo luo-go non dica affatto che qualcuno pregherà percompletare l’opera da lui intrapresa, bensí che lasua devozione ad Apollo farà sí che altri poetichiedano l’aiuto del dio per realizzare una loroopera.

37-63. Ascensione di Dante.Solo da questo verso incomincia la descrizione delviaggio di Dante nei cieli. Dante precisa che l’ascesa incielo ebbe inizio nell’equinozio di primavera, quandoil sole entra nella costellazione dell’Ariete, condizionegiudicata la piú favorevole; e che l’ora fu il mezzo-giorno, anch’essa ritenuta propizia come l’equinoziodi primavera. Il poeta scorge Beatrice volta a fissare ilsole, e compie lo stesso gesto; ma deve presto rinun-ciare, perché la luce si accresce a dismisura, come seun altro sole in cielo si fosse aggiunto al primo. Altripongono l’ora all’inizio del mattino, ma il mezzogior-no è accolto dalla maggior parte dei commentatori.

37-42. Surge ai mortali per diverse foci / la lucernadel mondo. Avvio grandioso del tema dell’ascen-sione, con quella musica ampia, avvolgente, chericorre di continuo nel Paradiso. Cosí ai vv. 43-44:Fatto avea di là mane e di qua sera / tal foce, equasi; e ai vv. 55-56: Molto è licito là, che qui nonlece; e ai vv. 64-65: Beatrice tutta ne l’etterne ro-te / fissa con li occhi stava, e cosí di seguito. In

contrasto con l’ampiezza di questa musica, i versisi pongono qui, ad una prima lettura, con un girodi parole un po’ complesso, tuttavia facilmentecomprensibile a chi non pretenda di tradurre coneccessiva esattezza astronomica le parole del poe-ta. Anzi, contro l’opinione comune che il Paradi-so sia piú difficile delle altre cantiche, è da direche, per chi si abbandoni un poco alla musica deiversi e si contenti di afferrare il significato genera-le, di solito chiarissimo, questa cantica è forse piúfruibile, piú cattivante delle altre. Dice qui il poetache il sole (la lucerna del mondo) sorge da diversipunti dell’orizzonte (foci); ma che dal punto in cuiera sorto in quel giorno, l’astro usciva in compa-gnia della migliore costellazione, l’Ariete (la co-stellazione dell’equinozio di primavera) e suggella-va meglio la mondana cera, operava cioè con in-flussi piú benefici sul mondo. Il punto è quello incui quattro cerchi si congiungono, formando trecroci, cioè quello in cui l’orizzonte si incontra conl’Equatore, con l’Eclittica (la linea descritta appa-rentemente dal Sole nel corso dell’anno) e col co-siddetto Coluro equinoziale (un circolo ideale del-la volta celeste, che dai poli passa per gli equinozie i solstizi). Ovviamente un luogo simbolico, mache si ripete solo due volte l’anno, nell’equinoziodi primavera e nell’equinozio di autunno (ma quinon può essere che quello di primavera, tenutoconto della prima indicazione astronomica delpoema: e ’l sol montava ’n sú con quelle stelleecc., Inf., I, 38 e segg.). Ovviamente anche le trecroci hanno un valore simbolico.43-48. Fatto avea di là mane e di qua sera / tal foce,ecc. Tale foce (tale punto dell’orizzonte) avevafatto mattino in Purgatorio (di là) e sera sulla ter-ra abitata (di qua); l’emisfero del Purgatorio eraormai quasi tutto bianco e l’altro, quello di Geru-salemme, nero, oscuro. Quasi tutto ... bianco,

Poca favilla gran fiamma seconda:forse di retro a me con miglior voci

36 si pregherà perché Cirra risponda.

Surge ai mortali per diverse focila lucerna del mondo; ma da quella

39 che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stellaesce congiunta, e la mondana cera

42 piú a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di là mane e di qua seratal foce, e quasi tutto era là bianco

45 quello emisperio, e l’altra parte nera,

Versi 34-458

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quando Beatrice in sul sinistro fiancovidi rivolta e riguardar nel sole:

48 aguglia sí non li s’affisse unquanco.

E sí come secondo raggio suoleuscir del primo e risalire in suso,

51 pur come pelegrin che tornar vuole,

cosí de l’atto suo, per li occhi infusone l’imagine mia, il mio si fece,

54 e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.

Molto è licito là, che qui non lecea le nostre virtú, mercé del loco

57 fatto per proprio de l’umana spece.

Io nol soffersi molto, né sí poco,ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,

60 com’ ferro che bogliente esce del foco;

e di súbito parve giorno a giornoessere aggiunto, come quei che puote

63 avesse il ciel d’un altro sole addorno.

Beatrice tutta ne l’etterne rotefissa con li occhi stava; e io in lei

66 le luci fissi, di là sú rimote.

cioè illuminato; quasi perché è ormai trascorsoun po’ di tempo dal momento in cui Dante ha be-vuto l’acqua dell’Eunoè, e si è sentito puro e dis-posto a salire a le stelle (Purg., XXXIII, ultimoverso). aguglia sí non li s’affisse unquanco. Maiun’aquila (la cui vista e per tradizione acutissimae tale da tollerare la luce del sole) si era affissa intal modo sull’astro. 49-54. secondo raggio. Raggio riflesso. pur comepelegrin che tornar vuole. Anche Dante è un pelle-grino volto al ritorno a casa, essendo il cielo la ve-ra patria dell’uomo (altri ha inteso non un pelle-grino terreno, ma il «falco pellegrino», togliendotuttavia alla similitudine gran parte della sua effi-cacia poetica). cosí de l’atto suo, ecc. Cosí il mioatto derivò da quello di Beatrice. e fissi li occhi alsole oltre nostr’uso. Anche questo verso concorrealla identificazione dell’ora con il mezzogiorno.55-57. mercé del loco ecc. Per merito del luogo,creato di proposito per la specie umana. Ovvia-mente il Paradiso terrestre, nel quale si trovanoancora Dante e Beatrice, non essendo incomin-ciata la vera e propria ascesa al cielo.

58-63. Io nol soffersi molto, ecc. Io non sopportai alungo la luce del sole, ma neppure tanto poco danon poter vedere da ogni lato uno sfavillare, comese un altro sole si fosse aggiunto al primo. O sitratta di una luce generica, oppure Dante accennaqui alla sfera del fuoco, che la cosmologia del suotempo poneva prima del cielo della Luna.

64-99. Il trasumanare di Dante.Dante, rimossi gli occhi dal sole, li figge negli occhi diBeatrice. A questo punto comincia la sua ascesa, dellaquale il poeta si avvede avvertendo un profondo mu-tamento in se stesso, il suo trasumanar, l’andare oltrel’umano, l’excessus mentis, l’andare della mente al dilà da sé, come aveva teorizzato san Bonaventura nel-l’opera piú alta della teologia mistica, l’Itinerariummentis in Deum (Itinerario della mente verso Dio, del1259).

64-66. ne l’etterne rote. Cosí sono chiamati i cieliin questa terza cantica.

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Versi 46-66 9

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67-69. tal dentro mi fei, ecc. Divenni tale dentro dime, diverso dagli uomini comuni, come divenneGlauco (ancora un mito tratto dalle Metamorfosidi Ovidio), il pescatore che, essendosi accortoche i pesci da lui pescati ritornavano a vivere do-po essere giaciuti sopra una certa erba, vollemangiarla, sentí di divenire diverso dagli uomini efu tramutato in un dio marino, partecipe dellasorte (consorto) degli altri dei. Una similitudineperfetta in ogni sua parte, e indispensabile perspiegare ciò che in altro modo non era esprimibi-le. Quanto al ricorrere continuo delle similitudinie immagini mitologiche in un canto di ascesa ver-so il cielo cristiano, non v’è nei versi la minimaombra di dubbio, tale è la certezza in Dante che lamitologia classica sia stata una simbologia incon-sapevole delle verità celesti, un umbrifero prefa-zio del vero (Par., XXX, 78).70-72. Trasumanar ecc. Parole davvero centrali perla comprensione del Paradiso. Trasumanare, cioèandare al di là dell’umano, non si può evidente-mente spiegare per mezzo di parole (per verba); eperciò basti l’esempio di Glauco per coloro ai qualila grazia di Dio riserba di farne esperienza diretta.73-75. S’i’ era sol di me quel che creasti / novella-mente, ecc. Stando alla lettera, qui Dante doman-da a Dio (all’amore che governa i cieli) se egli salíin cielo solo con l’anima, cioè con la parte che Id-dio infuse per ultima (novellamente) nel suo cor-

po, dopo l’anima vegetativa e l’anima sensibile(secondo la spiegazione di Stazio, nel canto XXVdel Purgatorio, 61-78). Ma in questo stesso cantosi afferma in forma perentoria, per bocca di Bea-trice (ai vv. 97-142), che Dante è salito in cieloanche con il corpo, e perciò l’espressione S’i’ erasol di me ecc. è da intendersi non come un dub-bio, ma come un’affermazione solenne dell’ascesacorporea di Dante, come se il poeta dicesse: lo sabene Iddio se io salii solo con la mia anima oppu-re con tutto me stesso (cioè con quella unità dicorpo e di spirito che era essenziale per Aristote-le, come anche per la teologia cristiana, comeconferma il dogma cristiano della Resurrezionedei corpi, di cui al canto XIV del Paradiso, 34-60). Gli studiosi richiamano a questo luogo l’at-tenzione sulle parole di san Paolo che, nell’Epi-stola II ai Corinzi, narra del suo rapimento sino alterzo cielo, ed espone il dubbio («se ciò fu in cor-po o senza corpo»): nescio, Deus scit, io non lo so,lo sa Dio; parole di cui si avverte l’eco in questiversi di Dante.76-81. Quando la rota che tu sempiterni ecc. Quan-do il moto rotatorio dei cieli che tu rendi eternoper il desiderio che essi hanno di te attrasse la miaattenzione. Che tu sempiterni desiderato: detta-glio teologico che va ben al di là della teologia, edè capace di sintetizzare in un verso solo il moto ditutto l’universo. con l’armonia che temperi e di-

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,qual si fé Glauco nel gustar de l’erba

69 che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verbanon si poria; però l’essemplo basti

72 a cui esperïenza grazia serba.

S’i’ era sol di me quel che creastinovellamente, amor che ’l ciel governi,

75 tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiternidesiderato, a sé mi fece atteso

78 con l’armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo accesode la fiamma del sol, che pioggia o fiume

81 lago non fece alcun tanto disteso.

Versi 67-8110

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scerni. È qui evidente una traccia della teoria del-l’armonia delle sfere celesti, propria dei pitagoricie di Platone, ma respinta piú tardi da Aristotele.Qui l’armonia delle sfere celesti sembra accoltada Dante secondo ciò che ne scrisse Cicerone nelSomnium Scipionis. Ma Dante non ne fa espres-samente parola in tutto il Paradiso. Temperi, di-stingui nei vari suoni; e discerni, e poi accordi, ar-monizzi tra loro. È forse implicito nella distinzio-ne tra i due verbi un accenno alla tecnica con-trappuntistica medioevale. parvemi tanto allorecc. Mi apparve allora tanta parte del cielo accesadalla fiamma del sole che la pioggia o un fiume,straripando, non fece mai un lago cosí grande. Unlago che pare non avere fine, tanto il verso è scan-dito e pare proseguire in modo inesauribile di sil-laba in sillaba.82-84. di lor cagion m’accesero un disio ecc. Mi ac-cesero un tale desiderio di conoscerne la causa,che non lo patii mai in modo cosí acuto. 85-93. sí com’io. Che leggeva nei miei pensieri co-me vi leggevo io stesso. l’animo commosso. L’ani-mo agitato, stupito. ti fai grosso / col falso imagi-nar. Ti rendi ottuso, incapace di comprendere,

perché credi quello che non è, di essere ancorasulla terra. Dante non si era ancora accorto delsuo ascendere. se l’avessi scosso. Se tu avessi ri-mosso la tua falsa opinione. fuggendo il propriosito. Era allora opinione comune che il fulmine,quando cadeva sulla terra, contravvenisse allalegge naturale che voleva ogni fuoco destinato asalire verso il proprio sito, cioè verso la sfera delfuoco (posta al di sopra della sfera dell’aria e al disotto del cielo della Luna). Il fulmine, fuggendo illuogo suo proprio, non corse cosí velocemente co-me corri tu che ritorni (riedi) ad esso, cioè al luo-go tuo proprio, al Paradiso.94-99. per le sorrise parolette brevi. Se io fui libera-to dal dubbio per il breve discorso che Beatrice mifece sorridendo. Ma la parafrasi mortifica del tut-to il verso dantesco, in cui il sorriso è tutt’uno conl’animo di Beatrice. Il verbo «sorridere» è usatocome transitivo, e il suo participio passato sorriseconcorda con parolette. requïevi. Mi sono del tut-to acquietato riguardo alla mia meraviglia; ma orami meraviglio di come io possa salire al di sopra diquesti corpi leggeri, come sono l’aria e il fuoco(leggeri, ma sempre corpi).

La novità del suono e ’l grande lumedi lor cagion m’accesero un disio

84 mai non sentito di cotanto acume.

Ond’ella, che vedea me sí com’io,a quïetarmi l’animo commosso,

87 pria ch’io a dimandar, la bocca aprio

e cominciò: «Tu stesso ti fai grossocol falso imaginar, sí che non vedi

90 ciò che vedresti se l’avessi scosso.

Tu non se’ in terra, sí come tu credi;ma folgore, fuggendo il proprio sito,

93 non corse come tu ch’ad esso riedi».

S’io fui del primo dubbio disvestitoper le sorrise parolette brevi,

96 dentro ad un nuovo piú fu’ inretito

e dissi: «Già contento requïevidi grande ammirazion; ma ora ammiro

99 com’io trascenda questi corpi levi».

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Versi 82-99 11

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100-142. Perché Dante, corpo grave, può salire neicieli.La risposta al quesito è non tanto scientifica quantomorale, tale da risolvere con argomenti metafisici unproblema fisico e da accogliere nell’unità la comples-sità totale del cosmo, la natura intera della creazione.

100-105. appresso d’un pïo sospiro. In quel sospiro èla consapevolezza di Beatrice (e perciò di Dante)della pochezza degli uomini, sempre volti dalla lo-ro materialità a una visione terrestre, bassa, dellarealtà superiore, e perciò incapaci di comprende-re, di adeguarsi a un mondo del tutto diverso qua-le è quello affrontato dal poeta. Di fatto Beatricequi non spiega, non chiarisce perché il corpo diDante sia capace di trascendere i corpi lievi, madomanda a Dante perché mai egli non dovrebbeascendere, ora che il suo animo è libero da appe-titi terreni. È qui implicita la coscienza di Dantedi essere approdato a una poesia del tutto nuova,senza rapporti con quella tradizionale, e la co-scienza delle difficoltà che egli ha dovuto supera-re per giungere a tali espressioni. Perciò al sorrisodi Beatrice si è aggiunto un sospiro per la pochez-za della mente umana. sovra figlio deliro. Comeuna madre sopra il figlio che delira per la febbre.Le cose tutte quante. È il consueto avvio cosmico,che già abbiamo incontrato nei versi precedenti. equesto è forma ecc. Il tutto ordinato, organico del-

le cose è il principio essenziale che rende il cosmosimile a Dio (il quale è ordine per eccellenza).Forma, nel linguaggio della filosofia *scolastica si-gnifica «essenza, elemento costitutivo» (perciòl’aggettivo formale vale «essenziale» e tale signifi-cato non va confuso con quello che ha oggi di «re-lativo alla forma esterna, non essenziale»).106-108. Qui veggion l’alte creature ecc. In questoordine di tutto l’universo le creature piú alte (cioègli angeli e gli uomini nel loro complesso, per al-cuni; per altri, gli angeli e gli uomini dediti allateologia e alla filosofia) scorgono l’orma, il segnodi Dio (de l’etterno valore), il quale è il fine ultimoper cui è stato realizzato l’ordine a cui abbiamoaccennato (la toccata norma). Il discorso di Bea-trice si propone di nuovo come una spiegazionetotale, assume un valore universale, perviene aquella reductio ad unum (riduzione all’unità), aquella visione unitaria a cui tendevano la filosofiae la scienza nel Medioevo.109-114. Ne l’ordine ch’io dico ecc. Verso l’ordine dicui parlo sono inclinate, volte (accline) tutte lecreature, secondo le condizioni che hanno avutoin sorte, piú o meno vicine al loro principio, matutte ugualmente inserite in quest’ordine. Un im-menso mare (lo gran mar de l’essere) in cui cia-scuna è mossa verso diversi porti con un istinto,una tendenza naturale che la spinge. Si noti la*metafora del mare che continua con quella deiporti, e la *rima equivoca tra porti sostantivo delv. 112 e porti voce verbale del v. 114.

Ond’ella, appresso d’un pïo sospiro,li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante

102 che madre fa sovra figlio deliro,

e cominciò: «Le cose tutte quantehanno ordine tra loro, e questo è forma

105 che l’universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l’alte creature l’ormade l’etterno valore, il qual è fine

108 al quale è fatta la toccata norma.

Ne l’ordine ch’io dico sono acclinetutte nature, per diverse sorti,

111 piú al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi portiper lo gran mar de l’essere, e ciascuna

114 con istinto a lei dato che la porti.

Versi 100-11412

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115-120. Questi ... questi ... questi. Avverti il battitodegli accenti, l’intensità con cui è resa la forza diquesto istinto. Questo fa salire il fuoco verso l’alto(la sfera del fuoco era immaginata sotto il cielodella Luna), questo negli esseri irrazionali (mor-tali, perché la loro anima sensitiva è mortale) èprincipio motore di ogni azione, questo aduna estringe in sé la terra, è la forza di gravità che ren-de compatta la terra. né pur le creature ecc. E que-sto arco, questo istinto, non colpisce (saetta) sol-tanto le creature prive di intelligenza, ma anchequelle dotate di un animo razionale (quelle per lacui ascesa Dante ha posto la domanda). Dalla vi-sione intera del cosmo siamo giunti infine agli uo-mini, volti per legge universale verso Dio, verso ilmotore immobile.121-126. che cotanto assetta, ecc. La provvidenza,che ha ordinato in tal modo tutto l’universo, appa-ga e acqueta con la sua luce il cielo Empireo, sededi Dio e dei beati, dentro il quale si volge quelloche gira piú velocemente di tutti, il Primo Mobile;e ora lí, verso l’Empireo, ci porta, come a una sede

stabilita da sempre, la forza della corda di quell’ar-co che volge sempre al bene ciò che scocca. L’Em-pireo, motore immobile al di sopra dei nove cieliastronomici (dal cielo della Luna al Primo Mobile)è, nella cosmografia dantesca, un cielo metafisico,sede di Dio e dei beati. Entro di esso si muovonoperennemente i nove cieli, per il loro desiderio ar-dente di essere sempre presenti a Dio. Si noti, al v.123, l’espressione nel qual riferita all’Empireo,un’espressione fisica usata per una realtà del tuttoestranea al mondo fisico, fuori dello spazio. Nelcanto II (112) troveremo: Dentro dal ciel de la di-vina pace, dentro l’Empireo, come se una realtàmetafisica potesse avere un fuori e un dentro. Altentativo continuo di esprimere il metafisico contermini fisici, sensibili, si riferisce chiaramente unluogo del canto IV (40-42): Cosí parlar conviensial vostro ingegno, / però che solo da sensato ap-prende / ciò che fa poscia d’intelletto degno.127-135. Vero è che, come forma non s’accorda ecc.Vero è che, come in un’opera d’arte la forma noncorrisponde talvolta all’intenzione dell’artista, per-

Questi ne porta il foco inver’ la luna;questi ne’ cor mortali è permotore;

117 questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fored’intelligenza quest’arco saetta,

120 ma quelle c’hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto

123 nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;

e ora lí, come a sito decreto,cen porta la virtú di quella corda

126 che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s’accordamolte fïate a l’intenzion de l’arte,

129 perch’a risponder la materia è sorda,

cosí da questo corso si dipartetalor la creatura, c’ha podere

132 di piegar, cosí pinta, in altra parte;

e sí come veder si può caderefoco di nube, sí l’impeto primo

135 l’atterra torto da falso piacere.

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Versi 115-135 13

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ché la materia in cui l’opera è realizzata è sorda arispondere, cosí talvolta la creatura umana si volgeverso un’altra meta (verso il male), perché ha il po-tere, per la sua intrinseca libertà, pur cosí indiriz-zata, di volgersi altrove; e come si può vedere unfulmine (foco di nube) cadere a terra, cosí l’impul-so primo, sviato (torto) da falsi piaceri, dirige versoil basso la creatura.136-138. Non dei piú ammirar, ecc. Non devi dunquemeravigliarti del tuo ascendere, cosí come non timeravigli che l’acqua di un ruscello discenda ver-so il basso. Gli accenti si fanno sempre piú lieti,felicemente conclusivi. Lo stupore di Dante eradovuto solo alle incrostazioni della vecchia men-talità, a quel modo di ragionare che spesso gli im-pediva di comprendere, nell’ultima sosta nelParadiso terrestre, le parole di Beatrice: perché

tanto sovra mia veduta (tanto al di sopra dellamia capacità di comprendere) / vostra paroladisïata vola...? (Purg., XXXIII, 82-83).139-141. Maraviglia sarebbe in te ecc. Conclusioneinoppugnabile. Di tutt’altro dovrebbe stupirsi,Dante, non del suo salire, essendo privo di impe-dimenti. giú ti fossi assiso. Se tu fossi rimasto fer-mo giú, sulla terra. Ancora una similitudine, quel-la della quiete in fuoco vivo, cioè di un assurdo, diuna contraddizione in termini. Ciò che apparivaassurdo a una logica umana appare inoppugnabi-le a chi abbia superato i limiti della scienza terre-na e sia approdato a una scienza diversa.142. Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. Poi Beatricerivolse lo sguardo (il viso) verso il cielo (perchéDante avvertisse il dovere di volgersi di nuovo alei e proseguire il suo volo).

Non dei piú ammirar, se bene stimo,lo tuo salir, se non come d’un rivo

138 se d’alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privod’impedimento, giú ti fossi assiso,

141 com’a terra quïete in foco vivo».

142 Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.

Versi 136-14214

Scheda di verificaCanto I

A quale cielo si riferisce Dante al verso 4?� alla Luna� al Sole� all’Empireo

Parafrasa l’invocazione ad Apollo (vv. 13-36).

«amato alloro» (v. 15), «diletto legno» (v. 25): a quale mito fanno riferimento questeespressioni?

Numerosi sono nel canto i riferimenti mitologici che il poeta deriva da:� Virgilio.� Ovidio.� Tibullo.

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Apparati 15

Al di sotto della sua apparente tripartizione (l’invocazione, il trasumanare del poeta, lespiegazioni di Beatrice) il canto è fortemente unitario e assume una struttura circolare im-perniata sul concetto della centralità di Dio. La prima terzina contiene già in sé le parole ele immagini chiave per una interpretazione unitaria del canto: move (1), per l’universo (2),in una parte piú e meno altrove (3). Vediamo come, procedendo, questi concetti sianocontinuamente riproposti: appressando sé al suo disire (7), si profonda (8), risalire (50),tornar (51), mi levasti (75), a sé mi fece atteso (77), riedi (93), si muovono a diversi porti(112), drizza (126), salir (137), rivolse (142). Si tratta, come si vede, di un *campo semanticodistribuito lungo tutto l’arco del canto, al fine di mettere in evidenza il moto provviden-ziale che anima l’insieme dell’universo e lo spinge verso Dio. Il linguaggio, in piena sinto-nia con i contenuti, si innalza a toni di nobile sostenutezza, modellandosi sul latino non so-lo nel lessico (i *latinismi del Paradiso sono piú numerosi di quelli dell’Inferno e del Purga-torio sommati insieme) ma anche nella struttura sintattica: vedi per esempio la terzina 70-72, in cui oltre al latinismo essemplo (da exemplum) e all’inserzione per verba, si può no-tare un carattere latineggiante nella posizione finale del verbo serba, e soprattutto nellaeliminazione degli articoli (solo uno in tre versi).

Scheda linguistica

Ricostruisci l’atteggiamento di Beatrice nei confronti di Dante in un testo non superio-re alle 8 righe.

Nella parte finale del canto si allude al libero arbitrio; perché? (Testo di 3 righe).6

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� Come abbiamo osservato nella Scheda linguistica, l’influenza del modello latino è molto in-tensa sulla lingua di questo canto (come del resto su quella del Paradiso nel suo complesso).Sarà illuminante porre in evidenza gli elementi lessicali latineggianti e definirne la funzione.Si veda sull’argomento il saggio di E. Paratore, Il canto I del Paradiso”, in Nuove letture dan-tesche, vol. V, Le Monnier, Firenze, 1972. Per altri importanti contributi all’interpretazione diquesto canto, si vedano: C. F. Goffis, in Lectura Dantis scaligera, vol. III, Le Monnier, Firenze,1971; U. Bosco, Il proemio del Paradiso, in Dante vicino, Sciascia, Caltanissetta, 1975; A. Chiari,Preludio al Paradiso, in Saggi danteschi, Le Lettere, Firenze, 1991. Sulla metafisica della luce nelParadiso, M. Corti, Percorsi dell’invenzione, Einaudi, Torino, 1993.

� La risposta con cui Beatrice risolve il dubbio di Dante sulla capacità del poeta di ascendere alCielo col suo corpo terreno, vuole essere non solo una dimostrazione teologica, ma anche

Fonti e spuntiper l’approfondimento

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Anziché dare un brano di cri-tica semantica (volta all’a-nalisi dei significati), oppuredi natura psicologica del te-sto, diamo qui un brano dianalisi stilistica, in un camporaramente studiato dai criti-ci: il rapporto tra sintassi emetrica, in particolare tra lasintassi e la *terzina, che in

genere, in Dante, coincide conun organismo sintattico compiuto. È propriodalla deroga a questa norma (la norma perla quale la fine di una terzina coincide quasisempre con la compiutezza di un organismosintattico) che il critico trae elementi di giu-dizio estetico, che vanno oltre quelli relativial canto d’apertura del Paradiso.

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Apparati16

La terzina dantesca è costruita inmaniera da costituire per lo piúun’unità sintattica completa. Non è

stato notato sufficientemente, a mio pa-rere, che di solito ogni terzina corrispon-de a un periodo concluso, che dopoognuna di esse sussiste una pausa checorrisponde alla fine esatta di un χωλον[membro, *sintagma, proposizione]. Inogni canto, è raro il caso (che potremmoconsiderare l’allargamento dell’*enjam-bement) che due, e ancor piú raramentetre terzine si trovino saldate assieme daun giro di frase che le abbraccia unita-mente, che si snoda dall’una all’altra[...]. Nel canto I del Paradiso il fenome-no si registra ben nove volte, ai vv. 22-27, ai vv. 28-33, ai vv. 37-42, ai vv. 43-48,ai vv. 49-54, ai vv. 76-81, ai vv. 85-90, aivv. 94-99, ai vv. 100-105. Come si vede,di questi nove casi ben sette rientranonel caso in cui l’enjambement si verificain due coppie consecutive di terzine: è ilcaso dei vv. 22-33, 37-54 e 94-105; pergiunta di queste tre successioni le dueprime sono molto vicine l’una all’altra,in quanto la prima termina al v. 33 e la

seconda comincia al v. 37, e inoltre af-fianca di seguito tre coppie di terzine;parimenti, mentre un enjambement sichiude al v. 81 il successivo si apre pocodopo, al v. 85, e il successivo ancora siapre al v. 94, a uguale distanza di quellaintercorsa fra i due precedenti enjam-bentents, cioè una sola terzina in sé con-clusa. Se confrontiamo questo canto conl’altro canto iniziale che piú gli somigliain fatto d’osservanza della norma che facombaciare ogni χωλον con una terzina,il canto I del Purgatorio, ci accorgiamoche lí i cosiddetti casi di enjambementsono di meno, sono soltanto sei, di cuidue, anche lí, verificantisi in coppie con-secutive di terzine, la prima da v. 7 a v.18, la seconda da v. 121 a v. 129. Ma la se-

«scientifica». Evidentemente, per il concetto stesso di *summa nella cultura medioevale, nonv’era né poteva esservi opposizione tra scienza teologica e scienza naturale. Si possono vede-re a questo proposito: A. Maier, Scienza e filosofia nel Medioevo, Jaca Book, Milano, 1983; E.Agazzi, Storia delle scienze, Città Nuova, Roma, 1984; T. S. Kuhn, La rivoluzione copernicana,Einaudi, Torino, 1972.

Terzinae significato

Ettore ParatoreIl canto I del «Paradiso»,

in Nuove letture dantesche, vol. V

Le Monnier, Firenze, 1972

Lettura critica

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Apparati 17

conda costituisce addirittura un enjam-bement che abbraccia tre terzine senzasoluzione di continuità, tant’è vero chenoi abbiamo calcolato questo caso comesingolo: il che finisce per far considerarele irregolarità del canto I del Purgatorioal medesimo livello di quelle del canto Idel Paradiso. Per giunta, trascurando icasi dei vv. 28-33 e 76-81, l’ultimo caso,quello dei vv. 133-136, è di particolare ri-lievo, perché lega l’ultimo verso alla ter-zina precedente, e con un enjambementmolto marcato (cotal si rinacque / sub-itamente), mentre nel canto I del Para-diso l’ultimo verso si scandisce in tutta lasua lapidaria potenza, grazie anche allapausa che lo separa dalla terzina prece-dente, con cui ha termine il discorso diBeatrice, mentre nell’ultimo verso lacontempliamo di nuovo nella fermaebrietà della sua beatifica visione. Pergiunta in ben tre dei casi del canto I delParadiso dobbiamo notare un enjambe-ment di tipo speciale, in quanto le dueterzine si collegano fra loro medianteuna formula introduttiva di discorso: ecominciò al v. 88; e dissi al v. 97; e dinuovo e cominciò al v. 103. Se la con-giunzione copulativa che introduce letre formule non spingesse tutti gli edito-ri a un tipo continuativo d’interpunzio-ne, cioè a porre la virgola [o nulla] fra ciòche precede e la formula stessa, potrem-mo anche considerare queste coppie diterzine appartenenti al tipo consueto incui ogni terzina corrisponde ad un perio-do concluso in sé.Soffermandoci sulle caratteristiche oranotate in merito alla legge che abbiamoformulata, dobbiamo anzi notare che ildistacco netto dell’ultimo verso del cantodalla terzina precedente, in maniera cheanch’esso forma un χωλον a sé, è casomolto raro nella Commedia: nell’Infernolo s’incontra ai canti I, VI, VII, XII, XIII,XVIII, XIX, XX, XXIV, XXV, XXVIII, e po-tremmo riscontrarlo anche ai canti III,IV, V, XXI, XXII e XXXIV, se considerassi-mo, com’è legittimo fare, la frase forman-te il verso come elemento a sé stante,

benché introdotta da un e: quindi incomplesso, compresi i casi dubbi, il feno-meno s’incontra 17 volte su 34, la metàesatta. Nel Purgatorio i casi certi sonosolo quelli dei canti II, XI, XIII, XIV, XV,XVI, XX, XXVI, XXVII, XXVIII e il casoincerto, del medesimo tipo di quelli del-l’Inferno, è quello del canto XIX: in totale11 casi su 33, il terzo esatto. Proprio nelParadiso i casi si restringono ancor piúdi numero: sono solo quelli dei canti I,VIII, XIII, XXII (il piú affine a quello delcanto I: Poscia rivolsi li occhi a li occhibelli), XXXII come casi certi, e quelli deicanti III, XII, XV e XXVII come casi in-certi: in totale 9 casi su 33. Quindi nelcanto I il procedimento obbedisce a unpreciso, vigile criterio di rigorosa scan-sione, consono al tipico slancio con cuitutta la visione è squadrata in larghemasse incandescenti. [...] I tre casi [...]del canto I del Paradiso [...] caratterizza-ti dalle formule e cominciò, e dissi, e co-minciò, si stipano nel momento culmi-nante in cui Beatrice rivela a Dantech’essi stanno volando verso la sede diDio, e sono preceduti da un altro caso, incui si esprime la prima piena sensazionedi Dante della nuova facies [del nuovoaspetto] del mondo circostante, dall’in-consueta estensione «de la fiamma delsol» all’inaudita armonia delle sfere cele-sti. Restano altri tre casi: ebbene, essi siverificano in immediata successione, co-me abbiamo già rilevato, al momento ini-ziale dell’azione [...], come nel canto I delPurgatorio, a sottolineare la maggior am-piezza di respiro dello slancio decisivocon cui Beatrice s’affisa nel sole e Dantein lei, determinando il miracoloso impul-so da cui ha inizio il volo. Possiamo quin-di dedurre, da quanto abbiamo notato,che tutte le variazioni strutturali del can-to relative al rapporto fra le terzine e lecompagini sintattiche sono dettate dauno scrupoloso senso del ritmo assecon-dante con magica duttilità tutte le fasidell’azione mercé la quale l’uomo pene-tra nel regno esaltante dell’illuminazionesovrumana.

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CANTO II

La Luna non appare uniformemente luminosaallo stesso modo. Forse per la maggiore o mino-re densità dell’astro? Beatrice dimostra che l’o-pinione di Dante è contraddittoria. La vera cau-sa della diversa luminosità degli astri è da ricer-care nelle diverse intelligenze motrici dei cieli,da cui derivano le varie influenze che discendo-no sulla Terra.

* Gli asterischi rimandano al Glossario e termini notevoli.

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emis

fero

austr

ale o delle

acque

emisfero boreale o delle terre

emer

se

INFERNO

TERRA

PURGATORIO

PUN

TO DIO

GERARCHIE ANGELICHE

CANDIDA ROSA DEI BEATI

EMPIREOCIELO METAFISICO

AL DI LÀ DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

EMPIREOCIELO METAFISICO

AL DI LÀ DEL TEMPO E DELLO SPAZIO

Il piú veloce di tutti i Cieli

Trionfo degli angeli Trionfo di Cristo e Maria

Spiriti contemplanti, con i beatiche ascendono lungo una scala

Spiriti giudicanti, con i beati che appaiono in forma di aquila

Spiriti militanti, con i beatiche appaiono in forma di croce

Spiriti sapienti

Spiriti amanti

Spiriti attivi per la gloria terrena

Spiriti votivi mancanti

SCHEMA DEL PARADISO DANTESCO9

Cielo o Prim

o Mobile

8Ciel

o o delleStelle

fisse

7Ciel

oo di S

aturno

6Ciel

oo di G

iove

5Ciel

o

o di Marte

4Cie

lo

o del Sole

3Cie

lo

o di Venere

2Cie

lo

o di Mercurio

1Cie

lo

o dellaLuna

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All’inizio del canto è presente una sortadi nuovo proemio al Paradiso: un invito ailettori a non affrontare l’ultima canticasenza la dovuta preparazione. Infatti nonpotranno piú seguire Dante coloro che so-no in piccioletta barca, ma soltanto coloroche possono mettere in mare un’imbarca-zione ben solida, coloro che da tempo han-no drizzato il collo al pan de li angeli (allascienza divina), il solo pane di cui si possaveramente vivere sulla Terra, anche se nonsarà mai possibile saziarsene.Quelli che avranno la forza e la capacità diseguirlo si stupiranno piú di quanto si stu-pirono gli Argonauti, i Greci che per primiavevano sfidato il mare aperto, quando vi-dero il loro capo, uomo di mare, trasfor-marsi in contadino ed arare un campo.

Il canto offre un primo esempio della nuova materia dottrinale e del modo di affron-tarla. L’argomento, alquanto ostico, è quello delle macchie lunari su cui Dante chiede de-lucidazioni a Beatrice, essendo ormai salito con lei al cielo della Luna. Questo tema hasempre fatto favoleggiare gli uomini, e Beatrice, cosciente dei limiti della scienza, sorridee s’appresta ad illuminare il poeta, confutando come falsa anzitutto l’opinione espressada Dante nel II libro del Convivio.La confutazione dell’errore è compiuta con stringenti argomentazioni logiche: l’opinionedantesca per cui le macchie lunari sarebbero derivate dalla materia dell’astro piú o menodensa nei vari luoghi è ripudiata appunto perché terrena, di natura fisica: se cosí fosse,anche le innumerevoli luci che derivano dal cielo delle Stelle fisse, piú o meno vivide, de-riverebbero da materia stellare piú o meno densa; invece, come ben sapeva anche Dante,dalle stelle giungono agli uomini influenze molteplici e diverse delle gerarchie angeliche,non provenienti dalla densità della materia astrale, bensí da essenze superiori, avendoquegli influssi conseguenze non materiali ma spirituali.Nell’*Empireo, il cielo metafisico che è sede di Dio, eternamente si aggira il Primo Mobi-le, il piú alto dei cieli fisici, quello che, per essere piú vicino all’oggetto del suo desiderio,cioè a Dio, è il piú veloce di tutti. Dal suo moto deriva il moto degli altri cieli che si aggi-rano, l’uno dentro l’altro, con sempre minore velocità.Dai cieli derivano sulla Terra le influenze degli astri che non sono esercitate direttamen-te da essi, bensí dalle intelligenze celesti che presiedono ad ognuno dei cieli: come nelprimo canto era la tensione verso l’alto, l’ascesa, cosí in questo secondo canto è l’irradia-zione luminosa di tutto il cosmo dall’alto verso il basso.La spiegazione fisica delle macchie lunari, basata nel Convivio su argomentazioni esclu-sivamente terrene, è qui, pertanto, rigorosamente ripudiata, essendo alla scienza sensi-bile ed empirica preclusa la possibilità di raggiungere il Vero.Se soltanto con argomenti morali, teologici, si può comprendere il mondo degli astri, que-sto è da considerarsi, dunque, l’esempio iniziale di quel passaggio dalla scienza alla sa-pienza, dalla fisica alla metafisica, che è proprio di tutto il Paradiso.È evidente, a questo punto, che a Dante non interessa tanto concludere una spiegazioneminuta intorno alle macchie lunari, quanto offrire un esempio del nuovo modo di affron-tare i problemi.

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Premessa

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voi che siete in piccioletta barca,desiderosi d’ascoltar, seguiti

3 dietro al mio legno che cantando varca,

tornate a riveder li vostri liti:non vi mettete in pelago, ché forse,

6 perdendo me, rimarreste smarriti.

L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;Minerva spira, e conducemi Appollo,

9 e nove Muse mi dimostran l’Orse.

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Premessa22

1-18. Secondo proemio alla cantica: Dante ammoni-sce i lettori perché non affrontino la lettura dellaterza cantica senza la necessaria preparazione.Soltanto coloro che da tempo si sono dedicati allascienza delle cose celesti sono infatti in grado di se-guirlo. Assicura tuttavia questi pochi che troverannomeraviglie inaudite, non ancora esposte da alcuno.

1-6. seguiti/dietro al mio legno ecc. Seguiti ha il si-gnificato attivo del latino secuti: che avete segui-to il mio legno, la mia nave. Contrappone alla pic-cioletta barca la voce solenne legno, che indicauna grande nave; e dice di quel legno che cantan-do varca, con un tono ancor piú solenne, persinoorgoglioso, proprio di una nave che affronta acquesinora non solcate. tornate. L’esortazione suonaimperiosa. in pelago. Sempre in Dante la voce pe-lago ha il significato di «mare profondo» (insolca-to, periglioso).7-9. già mai non si corse. Nella terzina che qui co-mincia è la consapevolezza del poeta di affrontareper primo la trattazione dei problemi propri della

terza cantica. Se gli autori popolari e semipopola-ri che lo avevano preceduto, come Giacomino daVerona, erano riusciti a derivare dall’Inferno alcu-ne immagini grottesche e corpulente, erano poifalliti quando avevano affrontato la materia deicieli (né si erano avvicinati in alcun modo ad ar-gomenti filosofici o teologici). Alla consapevolez-za della novità della materia, che è fuori discus-sione, si aggiunge l’orgogliosa coscienza di essereaiutato non solo da Apollo, invocato al v. 13 delprimo canto, ma da Minerva, protettrice delle ar-ti, e dalle Muse: da Minerva che fa soffiare (spira)i venti favorevoli, dalle Muse che guidano la rotta,indicando al nocchiero l’Orsa maggiore e l’Orsaminore (è innegabile, in questo trasferimento deipropri meriti all’assistenza avuta non solo daApollo, ma da Minerva e dalle Muse, un’orgogliosacertezza delle proprie capacità: il che non dispia-ce ai lettori, anzi concorre all’eccellenza della sta-tura di Dante). Quanto alle nove Muse, alcuni in-tendono nove non come numerale, ma come«nuove», cioè diverse, Muse del cristianesimo enon della paganità. Si noti che Dante non fa paro-la di san Paolo, che pure aveva descritto la sua

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Per tale assunzione e traduzione del fisico nel metafisico, il poeta non trascura gli argo-menti dell’esperienza sensibile, come dimostra la confutazione fatta da Beatrice della te-si della maggiore o minore densità della materia lunare con l’appoggio di due elementiscientifici: ciò che accade durante le eclissi solari (vv. 73-81) e ciò che dimostra l’espe-rienza ottica compiuta con specchi piú o meno distanti (vv. 85-105): addirittura una sen-sata esperienza, quasi di tipo galileiano (come qualcuno ha scritto), ma piegata in tuttoalle esigenze metafisiche.Da questa tensione nasce l’entusiasmo che circola in gran parte del canto, da questa dottri-na derivano i versi finali, in cui è offerta ai lettori la luminosità nuova, diversa, che provie-ne dalle stelle, e la letizia che anima il cielo cosí come anima le pupille umane sulla Terra.Non dalla diversa densità della materia, ma dalla diversa natura delle aeree intelligenzecelesti, mista con gli splendori delle stelle, vien ciò che da luce a luce / par differente,non da denso e raro (vv. 145-146).

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Versi 10-24 23

ascesa al terzo cielo nella Seconda epistola ai Co-rinzi, sia per la brevità della relazione paolina, siaper il suo carattere prosastico.10-15. che drizzaste il collo ecc. Che vi dedicaste pertempo agli studi della vera scienza, della scienzadivina (il pan de li angeli), studi per i quali sol-tanto la vita pare degna di essere vissuta, ma deiquali non si riesce ad essere mai sazi. metter po-tete ben ecc. Potete ben mettere in mare il vostronaviglio, seguendo la mia scia (servando mio sol-co). Si notino i vocaboli dotti e i *latinismi che ri-corrono in questi versi per rendere piú solenne ildiscorso: da pelago e sale per «mare», a navigio,che si contrappone anch’esso, come il precedentelegno, alla piccioletta barca. dinanzi a l’acqua cheritorna equale. Dinanzi al punto in cui la scia ces-sa e l’acqua ritorna liscia, piana.16-18. Que’ glorïosi che passaro al Colco. Quei glo-riosi eroi greci che giunsero nella Colchide (Col-co, nome dell’abitante al singolare, al posto delnome della regione, la Colchide): gli Argonauti,guidati da Giasone, che navigarono per primi allaconquista del vello d’oro. Nella Colchide Giasonedovette sottoporsi a varie prove, fra le quali quel-la di arare un campo con buoi spiranti fuoco dallenarici (e seminare denti di serpente, da cui nac-quero uomini armati). Dante si è ispirato a Ovi-dio, la sua fonte abituale per i racconti mitologici.Ma in Ovidio a stupirsi non sono i compagni diGiasone, bensí gli abitanti della Colchide. La va-riazione è tutta in favore di Dante: i compagni dinavigazione dovettero stupirsi assai piú dei Col-

chi vedendo l’audacissimo navigatore divenutobifolco.

19-51. Beatrice, guardando in alto, e Dante, guar-dando in lei, giungono al cielo della Luna. L’astro sipresenta come una nube spessa e lucida.Dante, che ha in mente le favole popolari sulle mac-chie lunari (considerate tracce di Caino lassú relegatoe condannato a portare sulle spalle un fascio di spi-ne), chiede a Beatrice quale sia la vera natura di queisegni bui (oscuri).

19-21. La concreata e perpetüa sete / del deïformeregno ecc. La sete dell’Empireo (del regno che haricevuto da Dio la sua forma), sete che nasce conl’uomo, e mai si estingue (perpetüa), portava Bea-trice e Dante verso l’alto, quasi con la stessa velo-cità con cui vediamo ruotare il cielo sopra di noi.Dai versi seguenti si deduce con chiarezza che sitratta di un moto velocissimo, ma il v. 21 non è af-fatto perspicuo.22-30. e io in lei guardava. I due sguardi, di Beatri-ce al cielo e di Dante a Beatrice, dai quali derivaogni volta l’ascesa di Dante nella terza cantica.forse in tanto in quanto un quadrel posa ecc. Perindicare il tempo impiegato per salire al cielo del-la Luna, Dante si riferisce al tempo necessario alvolo di una freccia (un quadrel) dal momento incui si distacca (si dischiava) dalla noce (il puntodell’arco su cui si appoggia la freccia) a quello in

Voialtri pochi che drizzaste il colloper tempo al pan de li angeli, del quale

12 vivesi qui ma non sen vien satollo,

metter potete ben per l’alto salevostro navigio, servando mio solco

15 dinanzi a l’acqua che ritorna equale.

Que’ glorïosi che passaro al Colconon s’ammiraron come voi farete,

18 quando Iasón vider fatto bifolco.

La concreata e perpetüa setedel deïforme regno cen portava

21 veloci quasi come ’l ciel vedete.

Beatrice in suso, e io in lei guardava;e forse in tanto in quanto un quadrel posa

24 e vola e da la noce si dischiava,

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cui colpisce il bersaglio. Ma l’indicazione è pro-prio al contrario, dal momento in cui la freccia siferma a quello in cui è stata lanciata, con la figuraretorica per cui si anticipa ciò che deve seguire,l’* ysteron próteron, tale da esprimere una grandevelocità, anzi quasi un’immediatezza tra le dueazioni. giunto mi vidi ecc. Mi vidi giunto in un luo-go ove una cosa mirabile attrasse a sé il mio sguar-do. quella / cui non potea mia cura essere ascosa.Beatrice, a cui non poteva essere nascosto alcunmoto del mio animo. sí lieta come bella. Semprealla bellezza di Beatrice si raggiunge una letiziainteriore. con la prima stella. Con il primo dei cie-li, il piú basso, il cielo della Luna, e qui la Lunastessa. Dante raggiunge ciascuno dei cieli proprionel luogo in cui si trova l’astro.31-33. che nube ne coprisse. Dante e Beatrice si tro-vano involti nella sostanza lunare che si presentacome luminosa, densa, compatta. Quanto all’at-tributo pulita, i lettori intendono «senza mac-chie», senza impurità che offuscassero quella nu-be in cui Dante e Beatrice erano penetrati.34-36. l’etterna margarita. Quella gemma eterna,incorruttibile, la Luna. Sulla incorruttibilità del

Sole, della Luna e di tutti gli astri fu concorde lascienza prima di Galilei. com’acqua recepe / rag-gio di luce ecc. Come l’acqua riceve un raggio diluce senza dividersi. Dunque una nube densa, manon tanto da impedire che il corpo vivo di Dantevi penetrasse. Non si pone ancora in questi versi ilproblema delle macchie lunari, ma quello dellaimpenetrabilità dei corpi. Si notino i latinismimargarita e recepe, come concepe e repe nei ver-si successivi.37-42. S’io era corpo, e qui non si concepe ecc. Seio ero in cielo anche col corpo (cosa che è indub-bia, come è spiegato alla nota 73-75 del I canto),e qui in terra non si concepisce come una dimen-sione ne sopportò, patio, un’altra, cosa che acca-de quando un corpo penetra, repe, in un altro,come il mio in quello della Luna, quale mai desi-derio dovremmo avere di scorgere quella essen-za, Cristo, in cui la natura umana, si uní alla na-tura divina? Una delle difficoltà maggiori dellateologia, nella quale Dante figgerà lo sguardo solonell’ultimo canto (vv. 126 e segg.). Patio e unio,per «patí» e «uní», con l’*epitesi in -o, già piú vol-te incontrata.

giunto mi vidi ove mirabil cosami torse il viso a sé; e però quella

27 cui non potea mia cura essere ascosa,

volta ver’ me, sí lieta come bella,«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,

30 «che n’ha congiunti con la prima stella».

Parev’a me che nube ne coprisselucida, spessa, solida e pulita,

33 quasi adamante che lo sol ferisse.

Per entro sé l’etterna margaritane ricevette, com’acqua recepe

36 raggio di luce permanendo unita.

S’io era corpo, e qui non si concepecom’una dimensione altra patio,

39 ch’esser convien se corpo in corpo repe,

accender ne dovria piú il disiodi veder quella essenza in che si vede

42 come nostra natura e Dio s’unio.

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