La dittatura della democrazia

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Analisi della politica e dell'economia del capitalismo

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  • Prima edizione 2014

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  • ENRICO GALAVOTTI

    LA DITTATURADELLA DEMOCRAZIA

    Come uscire dal sistema

    La differenza fra una democrazia e una dittatura che in una democrazia prima voti e dopo prendi ordini;

    in una dittatura non devi perdere tempo a votare.

    Charles Bukowski

  • Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977, docente di storia e filosofia a Cesena, Enrico Galavotti webmaster del sito www.homolaicus.com il cui motto Umanesimo Laico e Socialismo Democratico. Per contattarlo [email protected] pubblicazioni: lulu.com/spotlight/galarico

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  • Introduzione

    Gli esseri umani possono davvero fare quello che vogliono?Se un singolo cerca di opporsi a delle forze collettive, assolutamenteno. E non dimostrerebbe d'essere pi libero neppure se si desse fuo-co, nella speranza di suscitare un generale risentimento verso i potericostituiti.

    Le proteste individuali possono valere appunto come prote-ste, ma valgono assai poco come proposte: sia perch vengono coltempo riassorbite dal sistema, sia perch tendono a sgonfiarsi dasole, in quanto il singolo, obiettivamente, pi di tanto non pu fare.

    Quindi, se lecito protestare da individui isolati, inutilecontinuare a farlo senza associarsi ad altre persone. Le cose, se dav-vero si vuole che cambino, possono cambiare solo se si sta insieme. l'unione che fa la forza. E il numero rende l'unit ancora pi forte.Quanto pi si , tanto pi si ha la possibilit di cambiare le cose. L'u-nica differenza tra una riunione condominiale e uno sciopero genera-le nazionale sta soltanto nell'obiettivo che ci si pone.

    Ma se queste cose le sappiamo, perch siamo cos refrattari aorganizzarci in partiti, movimenti e sindacati? Il motivo semplice:gli italiani, per secoli, han vissuto la politica in senso lato, quella in-tesa come "partecipazione attiva al bene comune", in maniera fru-strante e oppressiva. Sono stati per troppo tempo abituati a obbedire.E anche quando han cercato di alzare la testa, han pagato duramentequesta pretesa.

    Son duemila anni che andiamo avanti cos. Abbiamo iniziatocoi senatori romani latifondisti, poi con gli imperatori militari, poicoi re barbarici, poi coi papi teocratici, poi coi sovrani assolutisticidei principati, infine con lo Stato centralizzato. Non abbiamo maismesso di obbedire. L'abbiamo fatto anche nei confronti di tuttequelle forze straniere che occupavano la nostra penisola col pretestodi liberarci dall'oppressione. L'unico modo di fare politica semprestato quello di conformarsi ai poteri dominanti, eventualmente fin-gendo di assecondarli. Tutte le varie forme di opposizione al sistemasono servite soltanto per passare da una dittatura all'altra: oggi, p.es., abbiamo la dittatura della democrazia parlamentare.

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  • Sono cambiate le forme dell'oppressione, non la sostanza. Ecos gli italiani si trovano ad essere schierati in due campi relativa-mente avversi: i conformisti, che lottano per spartirsi fette semprepi grandi di potere, disposti a compiere qualunque abuso; e gli in-sofferenti, che non sopportano regole troppo rigide, non amano laburocrazia, non accettano la disciplina del partito o del sindacato,sopportano con un certo fastidio le riunioni formali o dovute e, almassimo, si riconoscono nel valore di una piccola comunit o dellafamiglia e di pochi amici e colleghi.

    Gli insofferenti sono individualisti come i conformisti, soloche quest'ultimi, per fare carriera, hanno messo la moralit sotto ipiedi. Tuttavia in entrambi i casi il sistema che vince. Cio quelloche manca agli insofferenti la capacit di aggregarsi, ponendosicome obiettivo il superamento della logica dominante. Vivono rasse-gnati, illudendosi che basti firmare qualche petizione di protesta ovotare un candidato o un partito in luogo di un altro o non votare af-fatto.

    Noi dobbiamo creare un sistema in cui la libert di ognunonon si debba sentire coartata ma potenziata dalla libert degli altri.Cio un sistema in cui, pur sapendo di doversi esprimere entro deter-minati condizionamenti, si sia convinti di poter ottenere di pi inquesta maniera che agendo individualmente.

    Ma un sistema del genere presume una cosa di fondamentaleimportanza: il controllo reciproco. Una qualunque democrazia nonha alcun senso se non localmente autogestita, in cui i controlli sia-no effettivamente possibili e non puramente teorici.

    I poteri che si conferiscono alle persone dovrebbero essereinversamente proporzionali alla distanza territoriale che separa quel-le persone dalle comunit locali di riferimento o di appartenenza.Cio tanto meno forti politicamente quanto pi si fisicamente lon-tani.

    L'unica strada per abbattere il sistema quella di ampliareprogressivamente le prerogative delle comunit locali, riducendo alminimo le forme di dipendenza dai poteri centralizzati, siano essipolitici o economici. Dobbiamo trovare un'alternativa per cui valgala pena vivere e, se necessario, anche morire.

    p.s. I testi qui raccolti in maniera disordinata fanno parte di undiario personale costantemente aggiornato nel sito homolaicus.com

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  • Schiavismo, servaggio e capitalismo

    famoso l'aneddoto di Plinio secondo cui l'imperatore Tibe-rio pun l'inventore di un nuovo tipo di vetro nel timore che la metal-lurgia non riuscisse a sostenerne la concorrenza.

    E anche l'altro di Svetonio, secondo cui l'imperatore Vespa-siano si rifiut di utilizzare una macchina, presentatagli da un inven-tore, che permetteva il trasporto di pesanti blocchi di pietra, soste-nendo ch'essa avrebbe privato del lavoro i salariati impiegati nell'e-dilizia.

    Qui erano preoccupazioni dello Stato, ma gli affaristi privatinon la pensavano molto diversamente. Nel sistema schiavistico ro-mano il rapporto sfruttato/sfruttatore era diretto. Lo schiavo non erasolo alle dipendenze del padrone, che lo aveva acquistato sul merca-to, ma era anche uno degli strumenti del lavoro aziendale, una resparlante.

    Certo, lo schiavo aveva la consapevolezza della libert, so-prattutto perch prima di diventarlo era stato una persona libera, maegli sapeva bene che nel diritto romano la sua figura sociale e giuri-dica non aveva alcun valore autonomo. Il valore di uno schiavo erain relazione alla volont e alla propriet del suo padrone, che lo ave-va acquistato per un certo prezzo sul mercato e che lo aveva adde-strato a fare determinati lavori. La pretesa di diventare libero potevaessere pagata anche con la morte.

    Essendo un oggetto appartenente in toto allo schiavista, loschiavo non poteva nutrire alcun interesse a lavorare per lui, sicch ilpadrone, per poterlo far lavorare come avrebbe dovuto, era costrettoa sorvegliarlo da vicino e a punirlo in caso di necessit, oppure do-veva continuamente incentivarlo (e ci fu reso inevitabile a partiredal momento in cui la scarsit di afflusso di schiavi cominci a farsisentire), promettendogli un aumento progressivo di momenti di li-bert o un ampliamento di sfere di competenze, che comportasserol'acquisizione di determinati privilegi. Di qui la trasformazione delloschiavo in liberto e anche in cittadino libero vero e proprio.

    Nel regime schiavile non aveva senso che il padrone inve-stisse i capitali per perfezionare le tecnologie produttive. Se lo schia-

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  • vista non riusciva ad assicurarsi profitti favolosi, poteva comunquevivere di rendita senza alcun problema.

    Un qualunque miglioramento della tecnologia avrebbe pre-supposto un rapporto di sfruttamento meno diretto: il che, per, a suavolta, avrebbe comportato che lo schiavo, lavorando meglio, potessetrarre un certo beneficio dall'impiego della nuova macchina. Tuttoci non sarebbe mai potuto avvenire senza aumentare la sfera dellalibert, ovvero senza un mutamento di mentalit da parte dello schia-vista. Il che in parte avvenne quando l'impero cess di espandersi equando il cristianesimo cominci a rivendicare la libert di coscien-za nelle questioni religiose, ovvero la separazione di chiesa cristianae Stato pagano.

    Nel mondo romano il rapporto schiavo/padrone non era mol-to diverso dal rapporto salariati/Stato. I salariati erano addetti ai la-vori pubblici, potevano essere cittadini romani nullatenenti che vive-vano del proprio salario. Lo Stato romano doveva semplicemente li-mitarsi a impiegarli in qualche progetto edile, onde evitare cheun'eccessiva disoccupazione sfociasse in forme di ribellione sociale.Non c'era alcun interesse a migliorare la tecnologia per rendere i la-vori pi produttivi.

    Quando crollato l'impero romano il rapporto schiavo/pa-drone s' trasformato in servo/padrone. Tra i due rapporti vi fu quel-lo di colono/padrone, che i romani cominciarono a sperimentare ver-so la fine dell'impero o comunque pi che altro nelle sue zone perife-riche.

    Il servo feudale aveva pi diritti dello schiavo. Ci a testi-monianza che la societ, nel suo complesso, aveva capito quanto fos-se difficile assicurare nel lungo periodo la pratica dello sfruttamentoeconomico della manodopera senza garantire un minimo di libertpersonale. L'uomo non pu essere completamente ridotto a una cosao a un animale.

    La differenza fondamentale tra schiavista e feudatario stavanel fatto che il primo usava lo schiavo per vendere i prodotti sulmercato, ricavando introiti monetari; il secondo invece usava il servoper garantirsi una rendita in prodotti agricoli.

    Nel Medioevo l'uso della moneta era scarsissimo, in quantosostituito dal baratto, e praticamente rester tale fino a quando in Ita-lia, nelle Fiandre, nei territori d'azione della Lega Anseatica non si

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  • svilupperanno i Comuni e i traffici commerciali, cui, ben presto, se-guiranno le crociate, i movimenti ereticali, le lotte di classe ecc.

    Nelle condizioni pre-borghesi lo sviluppo della tecnologiaera limitato, poich non aveva senso sfruttare un lavoratore oltre uncerto livello, n aveva senso usare la tecnologia per sostituire il lavo-ratore meno qualificato. Non c' mai sviluppo della tecnologia senzaaccumulo di capitali e senza che il lavoratore fruisca di una certa li-bert personale. Questo spiega il motivo per cui la tecnologia non s'mai sviluppata n sotto lo schiavismo (dove mancava la secondacosa) n sotto il servaggio (dove mancava la prima).

    Lo sviluppo del macchinismo ha cominciato a imporsi quan-do i traffici hanno reso di nuovo importante l'uso del denaro e quan-do si sono voluti allargare i diritti della libert personale. Infatti,quando il rapporto salariato/imprenditore basato su un contratto(scritto o non scritto), in cui entrambe le parti sono giuridicamentelibere (il che per il salariato vuol dire "formalmente" libero), eccoche per il padrone diventa importante sviluppare la tecnologia per in-tensificare lo sfruttamento dell'operaio.

    L'operaio moderno riceve un salario da persona giuridica-mente libera, perch lui stesso che vende la propria forza-lavorosul mercato, e lo fa proprio perch non dispone di altro che non siala propria capacit lavorativa. Questo tipo di lavoratore ha ampliatola sfera dei diritti personali, ha diminuito l'importanza dei rapporti didipendenza personale, ma, non avendo beni mobili o immobili, co-stretto a vendersi sul mercato del lavoro.

    La trasformazione del servo contadino in operaio manifattu-riero avvenuta proprio nel momento in cui l'affermata libert per-sonale, derivata dal cristianesimo, serv a negare questa stessa liber-t, ovvero a illudere il lavoratore che avrebbe potuto essere pi libe-ro rinunciando ai rapporti feudali di dipendenza personale. E l'im-prenditore, sulla base di un certo salario pattuito in anticipo, si riser-va la libert di sfruttare l'operaio come gli pare, proprio con l'aiutodella tecnologia. Macchinismo e sfruttamento del lavoro servono peraccumulare capitali, e lo scopo, il senso ultimo di questo sfruttamen-to sta proprio nella continua valorizzazione del capitale, che permet-te un potere sempre maggiore, un potere le cui basi sono sempre pi

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  • astratte, pi immateriali che non sotto lo schiavismo o il servaggio.1Se non c' possibilit di incrementare continuamente i propri

    capitali, l'imprenditore costretto a chiudere l'azienda, a licenziaregli operai, ad abbandonare le macchine, a svenderle o a dislocarle al-trove, dove il costo del lavoro sensibilmente inferiore.

    Il capitalismo, per sopravvivere, ha bisogno di "schiavi" cheaccettino di esserlo liberamente, proprio perch, senza di loro, un ac-cumulo progressivo di profitti impossibile, sia perch esiste unacompetizione tra capitalisti, sia perch gli operai, con le loro rivendi-cazioni, fanno aumentare il costo del lavoro.

    Ora, avere operai che accettino liberamente (in quanto giuri-dicamente liberi) d'essere sfruttati quasi come schiavi non possibilein un ambito ove s' sviluppata una cultura della libert individuale,che risale all'ideologia cristiana, a meno che l'illusione d'essere "spi-ritualmente" liberi non sia molto forte, o non lo sia quella di potersiarricchire come l'imprenditore. Il capitale non pu sfruttare qualcunooltre il livello di coscienza della propria necessit d'essere liberi. Ilavoratori possono sempre ribellarsi.

    Non a caso in questo momento i paesi in cui il capitalismoottiene i migliori risultati sono quelli che non hanno conosciuto losviluppo del cristianesimo, che ha introdotto il concetto di persona edi libert di coscienza. In questi paesi la tecnologia (importata dal-l'occidente) si abbina con uno sfruttamento molto intensivo dellamanodopera, che viene abituata a lavorare senza discutere, comefosse schiava. Un capitalismo di questo genere ha necessariamentebisogno di uno Stato molto forte, capace non solo di reprimere maanche di regolamentare l'economia. indubbio per che se si eredi-tano determinati metodi produttivi, si finisce con l'acquisire anche iprocessi culturali che li hanno generati.

    1 Si noti tuttavia che lo stalinismo (ma anche il maoismo, che la suavariante rurale) inaugur una forma di dipendenza ancora pi immateriale,quella ideologico-politica. Sotto questo aspetto bisogna dire che stalinismoe maoismo fallirono perch non seppero garantire sufficiente liberpersonale.

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  • Feticismo del denaro e delle merci

    La trasformazione del denaro in feticcio tipica del capitali-smo o appartiene ad ogni formazione antagonistica?

    Sotto il capitalismo il denaro viene accumulato non sempli-cemente per acquistare propriet o potere politico, ma per esserereinvestito, cio non soltanto un mezzo ma un fine. In nessun'altraepoca storica s' mai verificato un atteggiamento cos "religioso" neiconfronti del dio quattrino.

    In un certo senso gli strumenti del dominio personale si sonoper cos dire "simbolizzati", rispetto a quelli delle civilt precedenti,ove p.es. si possedevano schiavi, terre, soldati, servi della gleba ecc.Il valore intrinseco del denaro oggi sarebbe quasi nullo se la culturadominante non gliene attribuisse moltissimo.

    La schiavit del danaro una sofisticazione di altre forme dischiavit, molto pi immediate e dirette, come p.es. quella del sesso,del cibo, della forza fisica, della bellezza, del gioco, della droga ecc.Col denaro si pu dimostrare di possedere qualunque cosa, pur nonavendola, oppure si pu dimostrare che, nei suoi confronti, ogni altradipendenza risibile.

    Un potere di astrazione cos forte sarebbe stato impensabilesenza lo stravolgimento degli ideali originari del cristianesimo pri-mitivo. Tutte le altre religioni e filosofie erano troppo ingenue perpermettere un processo cos ambiguo e complesso.

    vero che oggi il capitalismo si trova ad essere diffuso an-che in aree geografiche caratterizzate da religioni non cristiane (p.es.il Giappone o la Cina), ma tale diffusione avvenuta nonostantequelle religioni, non certo per mezzo loro.

    Il capitalismo ha universalizzato la necessit di un atteggia-mento ipocrita da parte delle religioni. Si pu in un certo senso direche l'ipocrisia del cristianesimo borghese ha legittimato l'ipocrisiache qualunque altra religione poteva avere nei confronti del capitali-smo. Ci significa che l dove la religione dominante meglio si pre-stava a un rapporto di strumentalizzazione (politica o economica), l stato pi facile esportare il capitalismo (previo, ovviamente, l'aval-lo dei poteri dominanti, poich l dove forte una tradizione statali-

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  • stica, il capitalismo pu far breccia solo se le autorit costituite lopermettono).

    Viceversa, l dove il capitalismo stato avvertito comeun'imposizione dall'esterno, pi frequenti sono state le rivendicazio-ni (pi che altro "neointegralistiche") di un ritorno alle origini tribalio contadine della religione dominante (p.es. in molte regioni islami-che).

    Che le religioni, globalmente intese, siano oggi impotenti afermare la marcia trionfale del capitalismo, dimostrato anche dalfatto che nei casi di insurrezioni vincenti (p.es. nell'Iran di Khomei-ni) ad un certo punto si stati costretti a ripristinare molti metodi ca-pitalistici, oppure (nelle aree pi arretrate) a reintrodurre le contrad-dizioni antagonistiche pi odiose del feudalesimo (p.es. nell'Afgha-nistan talebano).

    Contro l'uso del denaro

    Noi dobbiamo creare una societ in cui il denaro non abbiaalcun valore e l'unico modo di farlo quello di favorire l'autoconsu-mo. Si devono porre le condizioni affinch il denaro venga rifiutatonon solo come equivalente universale degli scambi, ma anche comemisura del valore dei beni. E ovviamente non si pu operare in que-sta direzione se prima non si reso inutile, insensato, il suo utilizzo.

    Ora, l'unico modo di farlo sempre stato quello di permette-re al produttore di beni di non aver bisogno, per sopravvivere, di unaltro produttore di beni esterno alla propria comunit, ovvero di fa-vorire lo scambio sulla base delle sole eccedenze e non delle cose es-senziali, quelle appunto che permettono la riproduzione del lavorato-re.2

    Se produttore e consumatore coincidessero, il mercato di-venterebbe una realt facoltativa o comunque non assolutamente ne-cessaria alla propria riproduzione. Per eliminare l'uso del denaro bi-sogna eliminare la dipendenza assoluta dal mercato. Ma per elimina-re la dipendenza dal mercato occorre che ogni produttore abbia una

    2 Anche durante le guerre il denaro vale poco e ci si affida al baratto e,quando possibile, all'autoconsumo, ma, in tal caso, i metalli preziosi (oro,argento, platino...) rivestono un'importanza eccezionale, sia come scambiodi equivalenti che come misura del valore.

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  • quota sufficiente di terra per alimentarsi.La terra pu essere trovata tra i campi incolti, abbandonati,

    tra i latifondi e le grandi distese adibite a pascolo, i boschi e le palu-di da bonificare, ma anche tra quei proprietari che mostrano interes-se per il superamento della dipendenza dal mercato.

    Non importante che la quota di terra appartenga al produt-tore individuale, ma che gli permetta di riprodursi. Materialmente ogiuridicamente la terra pu appartenere anche a una comunit, a uncollettivo di produttori associati.

    All'interno di questo collettivo non necessario che tutti la-vorino la terra; per necessario che tutti svolgano delle mansioniutili alla riproduzione del collettivo. Il che significa che il collettivodeve poter respirare aria pulita, mangiare cibi sani, bere bevandesane, deve poter dormire e riposarsi in tranquillit, deve poter vestir-si, coprirsi, ripararsi, deve potersi riprodurre.

    L'utilit dei lavori va decisa dal collettivo stesso. Qualunquecosa inerente al lavoro (tempi, mezzi, modalit) va decisa dallo stes-so collettivo.

    Se le decisioni relative all'uso del lavoro vengono prese dallacomunit, questa sar democratica anche sul piano politico. La de-mocrazia non sar pi delegata, se non in casi molto particolari, madiretta.

    Una volta garantito il soddisfacimento dei bisogni primari ri-produttivi, la comunit pu affidarsi come meglio crede alla creativi-t dei propri componenti (artistica, culturale, scientifica ecc.). Inogni caso qualunque tipologia di lavoro o qualunque esercizio dellacreativit umana deve essere compatibile con le esigenze riprodutti-ve della natura.

    La regola per capire quali siano tali esigenze la seguente:una generazione non pu far pagare in maniera irreversibile a quellasuccessiva le conseguenze della propria attivit, in modo tale che lariproduzione di una generazione sia pi difficoltosa di quella che l'hapreceduta. Cio non si pu tagliare un albero se il tempo che ci im-piega per ricrescere superiore a quello della generazione che ne hausato il legno.

    L'associazione di produttori volontaria. Chi non ne accettale regole, ne viene espulso.

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  • Il feticismo delle merci

    Il feticismo delle merci stato scoperto da Marx come feno-meno reificante della vita sociale e produttiva del capitalismo.

    Marx ha cercato di spiegarne le ragioni da un punto di vistaeconomico, ma non ha saputo spiegare quelle di origine culturale,anche se ne aveva intuito i presupposti nel cristianesimo protestanti-co.

    La domanda cui ancora oggi bisogna trovare una risposta infatti la seguente: per quale motivo, ad un certo punto dell'evoluzio-ne storica dell'Europa occidentale, le merci hanno cominciato ad ac-quisire un carattere feticistico? Quali sono state le ragioni culturaliche hanno favorito questo processo sociale, in grado d'influenzaretanta parte del comportamento umano e persino della psicologia de-gli individui?

    A questa domanda il socialismo potr trovare una rispostadavvero adeguata soltanto quando s'immerger nello studio del feno-meno religioso. Infatti le origini culturali del capitalismo, esattamen-te come quelle della filosofia borghese (da Cartesio a Hegel), vannoricercate nella religione.

    Con Gramsci il socialismo ha appena iniziato il grande lavo-ro di lettura sovrastrutturale della formazione capitalistica. In parti-colare occorre andare oltre l'interpretazione meramente "politica" delfenomeno religioso e accingersi ad affrontare quella pi propriamen-te culturale (che riguarda scienze come l'antropologia, l'ontologia, lapsicologia sociale ecc.).

    P.es. sarebbe interessante dimostrare come il feticismo dellemerci tragga in ultima istanza la propria origine da quella concezio-ne trinitaria che a partire da Agostino venuta affermandosi in Euro-pa occidentale, quella secondo cui l'identit delle persone divine, equindi umane, dipende dalla funzione che ricoprono. Il concetto di"persona" in occidente stato ad un certo punto subordinato a quellodi "ruolo". L'unit della natura divina - dicevano i padri occidentalidella chiesa - non che l'organizzazione dei rispettivi ruoli, quindisostanzialmente un consesso di tipo politico-contrattuale.

    Naturalmente ci si potrebbe chiedere il motivo per cui il sor-gere del feticismo delle merci va fatto storicamente risalire al XVIsec, cio a quel secolo che secondo il socialismo scientifico ha visto

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  • generare la civilt capitalistica. La risposta a questa domanda puessere trovata solo in uno studio dei rapporti tra cattolicesimo-roma-no e protestantesimo.

    Infatti il cattolicesimo-romano ha saputo porre soltanto lebasi culturali del feticismo delle merci, ma la vera realizzazionepratica di questa idee, assicurata da una vasta diffusione sociale, avvenuta ad opera del protestantesimo, il quale in un certo senso hasaputo trasferire nella vita quotidiana dei credenti quanto sotto il cat-tolicesimo-romano era patrimonio dei soli ceti clericali e nobiliari.

    *

    Il socialismo scientifico ha mostrato per la prima volta quan-to sia ipocrita quell'atteggiamento borghese che s'illude di considera-re le merci come entit a se stanti, che si rapportano tra loro secondouna logica del tutto avulsa dal contesto sociale. Tale atteggiamentoinfatti torna comodo a chi non vuole scorgere nel nesso di capitale elavoro la principale contraddizione antagonistica del capitalismo.

    Se esiste uno scambio equivalente delle merci - sostenevanogli economisti borghesi -, i difetti del capitalismo non sono struttura-li ma solo congiunturali. Tuttavia, il feticismo delle merci - Marx lodice chiaramente - non solo "personificazione delle cose", ma an-che "reificazione delle persone".

    L'origine di questa deformazione risiede nell'ideologia catto-lico-romana, che attribuisce pi "fede" a quel credente che la barattacon le "opere di salvezza" che gli offre la gerarchia.

    Il culmine di questo processo reificante, nel tipico ambitosuperstizioso del cattolicesimo feudale, lo si pu riscontrare l doves'impose la vendita delle indulgenze, che costituisce, se vogliamo, lospartiacque tra cattolicesimo e protestantesimo. Nel senso che il pro-testantesimo non ha fatto altro che trasferire sul piano economico,legittimandola sul piano sociale, una prassi che la gerarchia cattolicatollerava solo in chiave politica, come emanazione diretta del potereecclesiastico. Le indulgenze per la remissione dei peccati potevanoessere vendute soltanto dalle autorit costituite.

    Il protestantesimo non ha reagito alla reificazione proponen-do l'umanizzazione dei rapporti sociali, ma si limitato a togliere aquella reificazione il suo carattere di esclusivo privilegio (apparte-

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  • nente appunto alla gerarchia), e che rendeva impossibile una veraequivalenza delle merci. Se prima, col cattolicesimo, la fede del cre-dente doveva essere scambiata con le opere ricevute dal clero, ora,col protestantesimo, le opere si scambiano tra di loro, in quanto tuttipossono avere la medesima fede. Il protestantesimo non ha fatto al-tro che estendere la reificazione a tutti i rapporti sociali e quotidianidei credenti. Al punto che, a partire dal calvinismo, i moderni cristia-ni hanno cominciato a porsi pi come "borghesi credenti" che noncome "credenti borghesi" (quest'ultimi sono esistiti, in campo catto-lico, dall'origine dei Comuni sino alla Controriforma, che ha impostoun'inversione di rotta).3

    Il protestantesimo non si opposto al carattere feticisticodelle indulgenze, cos come avrebbe dovuto opporsi (e molte eresiemedievali lo fecero) al carattere feticistico di qualunque altra "operasalvifica" sponsorizzata dal cattolicesimo, ma si opposto al fattoche di quel feticismo l'unico vero soggetto agente era la gerarchiaromana. Esso ha semplicemente trasferito il feticismo dalle cose sa-cre a quelle profane, facendo del mercato l'unico vero tempio di dio,in cui tutti sono virtualmente uguali.

    Nessuno prima di Lutero aveva impostato il problema in ter-mini cos "borghesi", dicendo che nella prassi mercificata delle in-dulgenze non esisteva un vero scambio degli equivalenti. Chi le ac-quistava non lo faceva liberamente e, per di pi, non aveva la certez-za di ottenere una reale contropartita. Doveva fidarci dei poteri costi-tuiti, i quali, quanto a moralit, erano estremamente corrotti.

    Ecco perch diciamo che il cattolicesimo-romano stato unareligione essenzialmente "politica", che ha posto le basi della forma-zione economica capitalistica, senza per avere in s sufficienti ener-gie per negarsi come tale, modernizzandosi in una religione pi laicae individualistica, e nel contempo pi "democratica" nella gestionedell'economia, meno "paternalistica".

    3 Oggi l'esperienza cinese dimostra che si pu essere borghesi anche senzanessuna tradizione cristiana, in quanto i valori di questa cultura sono statiereditati in forma gi laicizzata, grazie appunto al protestantesimo,veicolato dalla cultura borghese e, per quanto riguarda lo Stato,dall'esperienza del cosiddetto "socialismo reale", il cui carattere politico ilgoverno comunista cinese ha voluto in parte conservare.

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  • *

    Dopo aver chiarito la questione culturale bisogna porsi quel-la politica e sociale: come si supera il feticismo delle merci? Qui ilsocialismo scientifico ha dato una risposta che s' rivelata fallimen-tare: la statalizzazione dei mezzi produttivi.

    L'alternativa a tale statalizzazione la socializzazione deimezzi produttivi. La differenza sta nel fatto che per realizzare unaprogressiva socializzazione (senza rischiare d'imporre alcuna stata-lizzazione) occorre promuovere delle comunit basate sull'autocon-sumo, perch solo in questo modo i cittadini possono conoscere l'ori-gine dei prodotti che acquistano o che usano.

    Chi conosce l'origine dei prodotti che usa ne conosce ancheil vero prezzo e quindi il vero valore (prezzo e valore qui coincido-no, seppur sempre in maniera relativa, poich un'esatta coincidenzanon mai esistita e mai esister finch esiste dipendenza dai merca-ti: essi infatti potrebbero coincidere perfettamente se tra produttoreed acquirente non esistesse alcuno scambio, cio se ci fosse totalegratuit o, se si preferisce, una fondamentale preoccupazione collet-tiva a soddisfare anzitutto i bisogni altrui. In tal caso per non esiste-rebbe alcuna teoria del valore). Se non esistono mercati, non esisto-no neanche valori di scambio, n prezzi delle merci; al massimo puesistere un baratto delle reciproche eccedenze.

    Quando nelle societ fondate sull'autoconsumo esisteva soloil valore d'uso, il valore delle cose non era certo misurato in terminimonetari o strettamente economici. Persino nel Medioevo, dove puresisteva sfruttamento attraverso il servaggio, il valore d'uso era con-cepito in termini pi sociali che economici. Una cosa aveva tanto pi"valore" quanto pi aiutava la comunit a sopravvivere e a riprodur-si, in tutti i suoi aspetti.

    Dunque la quantificazione del valore d'uso va sottratta ad uncalcolo di tipo finanziario. Anzi tale valore non andrebbe neppurequantificato. Dovrebbe infatti valere il principio secondo cui il valo-re d'uso di un bene ha tanto meno valore commerciale quanto pi ilsuo valore sociale grande (oggi solo in maniera individuale arrivia-mo a dire che una cosa che per noi ha un grande valore "affettivo",in sostanza non ha prezzo, anche se questo non impedisce certamen-

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  • te al mercato di attribuirle un valore molto diverso da quello che noivorremmo).

    Il valore d'uso di una qualunque cosa (e quindi non solo diun mezzo produttivo) dovrebbe essere il valore che le viene attribui-to dall'intera collettivit (e quindi non solo, come oggi, da quellaparte di collettivit che possiede i mezzi produttivi), cio da un de-terminato gruppo di persone che possiede una certa "memoria stori-ca", una comune "sensibilit individuale e sociale", una condivisatradizione di usi e costumi... Il vero valore delle cose quello cultu-rale o spirituale, quello stabilito da una collettivit che si sente unitain un destino comune. Una cosa di questo genere, se venisse "com-prata", sarebbe oggetto di "simonia": non si comprano le cose "sa-cre", neppure quando queste non hanno nulla di religioso.

    Il socialismo economicistico di Giuda, che si scandalizza nelvedere Maria versare un prezioso profumo sulla testa di Ges, non pi sufficiente per stabilire il vero valore delle cose. Il socialismodeve umanizzarsi maggiormente, per poter vedere nel valore d'uso lagrandezza della libert umana.

    Il valore delle cose

    Il valore di una qualunque cosa dovrebbe essere determinatodal bisogno ch'essa soddisfa. Pi il bisogno grande e pi valore hala cosa che lo soddisfa.

    Quindi i bisogni pi importanti possono essere determinatisolo dalla collettivit e, in seno a questa, dalle menti pi illuminate opi vicine alle reali esigenze della collettivit.

    Perch la comunit possa decidere quali bisogni sono piimportanti di altri, dovrebbe agire in piena autonomia. Dovrebbe an-zitutto poter produrre ci di cui ha bisogno.

    In assenza di questa autonomia materiale, che il presuppo-sto per qualunque altra autonomia, non c' alcun modo di sviluppare,in maniera umana e naturale, i bisogni di tipo extra-economico, cioi bisogni culturali, etici, spirituali.

    Il valore di una qualunque cosa, sia essa materiale o immate-riale, pu essere determinato in maniera relativamente precisa solodall'uso che una determinata collettivit, sulla base dei propri biso-gni, materiali e immateriali, ne fa. Nessuno pu decidere per altri.

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  • Solo la collettivit pu stabilire che un determinato prodotto anzi-tutto un bene per tutti e non solo per chi lo produce.

    Un bene pu addirittura essere prodotto senza il corrispettivoutile personale immediato. Ci che si produce pu tornare utile indi-rettamente, in quanto il produttore fa parte di un collettivo, all'inter-no del quale esistono individui che possono produrre oggetti diversi,aventi per lo stesso scopo: si produce non tanto per s, direttamenteo immediatamente, quanto per gli altri.

    Se ognuno si comportasse cos, nessuno vivrebbe nel biso-gno. Il bisogno verrebbe soddisfatto dalla cooperazione. Questa erala prassi del socialismo utopistico, che fallita perch senza rivolu-zione politica non possibile alcun socialismo nell'ambito del capi-talismo.

    "Rivoluzione politica" sostanzialmente significa che a go-vernare non ci pu essere una minoranza o un ceto di privilegiati ouna classe sociale che forte solo perch detiene i mezzi produttivi,ma che sul piano numerico irrisoria, debolissima. A governare cideve essere il popolo, cio quella parte di cittadini che vive del pro-prio lavoro, senza sfruttare quello altrui.

    La produzione per il consumo

    Se si scegliesse la strada della produzione per il consumo enon per il mercato, tutta l'economia politica diverrebbe di colpo inu-tile, e con essa il socialismo scientifico.

    Il marxismo infatti ha dimostrato che il capitalismo intrin-secamente ingiusto e che, per questo, non ha futuro, e la variante piimportante del marxismo, il leninismo, ha anche mostrato il modocome superare il capitalismo in direzione del socialismo.

    Tuttavia gli errori compiuti in un senso - l'analisi economica- e nell'altro - la rivoluzione politica - oggi devono farci riflettere.Oggi abbiamo capito che non ha senso perdere tempo nel dimostrarele contraddizioni del capitalismo: sono sotto gli occhi di tutti. E nonha nemmeno senso operare delle rivoluzioni che non mettono in di-scussione i presupposti anche tecnologici e soprattutto scientifici sucui si basa il capitalismo.

    Il capitalismo non va superato solo perch crea una divisionetra capitale e lavoro, ma anche perch distrugge l'ambiente, ha un

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  • rapporto devastante nei confronti della natura, supportato dai con-cetti di "progresso" e di "produttivit" che sono deleteri per i rapportiinterumani e per i rapporti dell'uomo con la natura.

    Il socialismo non deve porsi il compito di dimostrare d'esse-re migliore del capitalismo usando gli stessi mezzi. Anche perch,per riuscire in questo tentativo, costretto ad accentuare aspetti cheneppure sotto il capitalismo sono presenti, come p.es. l'ideologia sta-talistica o l'identificazione di Stato e partito.

    Il socialismo deve essere democratico e per poterlo esserenon bastano le soluzioni politiche, occorrono anche quelle umane, ela prima soluzione umana che va presa in considerazione quella digarantire la libert di coscienza, che si traduce nella libert di pen-siero, di parola, di associazione...

    Raramente ci si rende conto che non c' modo di garantiretale libert se prima non si mette l'uomo in condizioni di poterla ge-stire. Tali condizioni sono l'autonomia nella gestione di una vita ba-sata su un collettivo.

    La vita sociale non pu essere eterodiretta da forze estranee.I collettivi (di vita e di lavoro) devono potersi autogestire. In altreparole la produzione dei beni utili alla sopravvivenza va lasciata ingestione autonoma ai collettivi.

    Lo scambio dei prodotti deve diventare un'espressione dellaspontaneit dei collettivi, non pu essere regolamentato da forzeesterne, siano esse economiche (i monopoli, le borse, gli istituti fi-nanziari), o politiche (lo Stato, i partiti, i sindacati).

    ovvio che se tra i collettivi domina la spontaneit delloscambio, solo il surplus o il bene che, tra quelli ritenuti indispensabi-li, non si riesce a produrre in maniera sufficiente, sar oggetto discambio. Questo dovrebbe essere il vero senso del mercato.

    L'uomo un ente di natura e, come tale, non dovrebbe usarela propria intelligenza contro le esigenze della natura, in quanto que-sta rappresenta il confine entro cui la sua libert pu muoversi. Ed un confine che, data la sua importanza, si pu aggettivare con parolesignificative: ontologico o deontologico, assiologico, epistemologi-co... un confine invalicabile, se si vuole restare umani e naturali.

    La natura provvede ai bisogni dell'uomo, ma per soddisfarequesti bisogni in maniera naturale l'uomo deve usare gli strumentiche salvaguardano l'integrit della natura stessa, ovvero quelli che le

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  • permettono facilmente di riprodursi, poich la "riproduzione" inassoluto il momento pi importante della "produzione".

    Se la produzione meccanica, tipica della rivoluzione indu-striale, impedisce la riproduzione naturale, le conseguenze di questaanomalia si faranno prima o poi sentire, poich la natura tende sem-pre a riprendersi ci che le appartiene; e a tali conseguenze non siriuscir a porre rimedio proponendo soluzioni di riproduzione artifi-ciale. Quest'ultima infatti non fa che allargare il fossato che ci separada un'esistenza a misura d'uomo.

    Valori di scambio tra schiavismo e capitalismo

    I

    Quando si fa un'analisi meramente strutturale (economica), enon la si mette in rapporto con la sovrastruttura (una determinatacultura), al massimo si arriva a dire una mezza verit, cio una veritesteriore, fenomenica, ma non sostanziale, ontologica.

    Prendiamo p. es. questa frase tratta dalla rivista "n+1" (n.35/2014, interamente dedicato all'Italia nell'Europa feudale): nelmondo greco il denaro "era s equivalente universale, ma non raf-frontava valori di scambio bens valori d'uso" (p. 14). Questo perchil "capitalismo antico" per diventare moderno "ha bisogno di un'ac-cumulazione originaria abbinata a una liberazione sistematica di for-za-lavoro. Solo cos il Denaro diventa Capitale" (ib.).

    Queste frasi, prese in s, non spiegano nulla. Infatti l doveesiste un mercato con una moneta liberamente circolante e assoluta-mente necessaria per gli scambi, l esiste un'astrazione (il denarocome equivalente universale, che pu essere accumulato in manieraindefinita), e quindi esiste valore di scambio. Cio gli oggetti hannotanto pi valore quanto pi sono richiesti, quanto pi sono rari, pre-ziosi, ecc. e la compravendita non pu essere fatta senza denaro.Qualunque bene "comprato" sul mercato merce, indipendentemen-te dall'uso che se ne fa. E in ogni caso nessuno compra dei valori discambio che non abbiano anche un valore d'uso. Le merci non acqui-stano un valore di scambio solo nei mercati capitalistici, e in ognimercato hanno inevitabilmente un loro valore d'uso.

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  • Se esistesse solo un mercato ove gli oggetti vengono scam-biati tra loro, non ci sarebbe l'astrazione di un equivalente universa-le: ci sarebbe soltanto valore d'uso. Il mercato dei valori d'uso quello del baratto, cio quello dello scambio alla pari delle rispettiveeccedenze (il surplus delle varie comunit che s'incontrano sul mer-cato, i cui contraenti possono essere liberi o sottoposti a rapportischiavili o servili). L dove esiste "denaro", l esiste possibilit d'ac-cumularlo in maniera indefinita, proprio perch nulla pu impedirlo.Anche le derrate alimentari si possono accumulare, ma non in ma-niera indefinita, perch la cosa sarebbe materialmente impraticabile,per quanto storicamente s'incontri un accumulo eccessivo di derrate,quello ben oltre lo stretto necessario, proprio in concomitanza conl'uso della moneta.

    Quindi perch il valore d'uso si trasformi in valore di scam-bio sufficiente il mercato con la presenza del denaro, ma per far di-ventare questo valore di scambio inerente al sistema capitalistico civuole altro, qualcosa che lo schiavismo non aveva, appunto la "libe-razione di forza-lavoro", la cui natura per va spiegata.

    Nell'antichit, quella dove esisteva l'uso del denaro, si face-vano le stesse cose di oggi: p. es. si accumulava l'oro per tesaurizzar-lo o per investirlo, ovvero per dimostrare la propria potenza attraver-so i forzieri o attraverso i propri investimenti produttivi. In quelle so-ciet schiavistiche generalmente gli scambi non avvenivano attraver-so l'oro, se non per le merci pi rare e pregiate, a meno che la societnon fosse ricchissima. Di regola, per la compravendita o per pagareprestazioni di lavoro, si usavano argento, bronzo e rame (o, in que-st'ultimo caso, una lega di rame e zinco, detta dai Romani, a partireda Nerone, oricalco). Ovviamente oro e argento si potevano deposi-tare presso le banche per ottenere degli interessi. A loro volta le ban-che, sulla base di determinate garanzie, prestavano oro e argento perottenere altri interessi. Poi c'erano i cambiavalute, che speculavanosulle oscillazioni di valore delle varie monete usate nei mercati.

    Era tutto come oggi, in forme ovviamente molto diverse. Chisi limitava a tenere l'oro nei propri forzieri, come oggi chi si tiene ilingotti in casa, non contribuiva allo sviluppo dell'economia. Per au-mentare i propri "capitali" bisognava fare degli investimenti, ancherischiosi, facendo bene attenzione a non sperperarli.

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  • Oggi non abbiamo bisogno di depositare oro e argento nellebanche affinch lo investano: sufficiente usare delle semplici ban-conote. La banca immediatamente le reinveste in maniera capitalisti-ca. Da questo denaro si pu ottenere addirittura una rendita a vita,ma, se investito male, si pu anche perderlo, in parte o del tutto.Queste cose succedevano anche nell'antichit, seppur le banche pre-tendessero oro o argento: non questo che, nella sostanza, ci diffe-renzia. La differenza stava altrove.

    L'investimento del denaro, nelle societ schiaviste, avvenivasulla base di condizioni non materiali ma immateriali diverse daquelle di oggi. Era impossibile non tenerne conto. Ora per quale mo-tivo oggi diciamo che non pu esistere "capitalismo" senza "libera-zione della forza-lavoro", cio senza la presenza di "manodoperagiuridicamente libera"? Se una manodopera del genere fosse esistitanel mondo antico, che utilizzava i mercati e conosceva la monetacome equivalente universale, se fosse esistita non come eccezionema come regola, ci sarebbe stato il capitalismo? Non lo sappiamo,cio non possiamo dirlo con sicurezza. Sappiamo soltanto che il ca-pitalismo fa fatica a svilupparsi l dove domina lo schiavismo.

    Prendiamo la situazione delle colonie americane, del nord edel sud del continente, al tempo del colonialismo europeo. L esiste-va indubbiamente lo schiavismo. I negri lavoravano nelle piantagio-ni e producevano per il mercato. Producevano soprattutto per i mer-cati europei, che erano gi capitalistici. In Europa si aveva bisognodi determinati prodotti (p.es. il cotone) e non ci si preoccupava affat-to se a produrli fossero dei lavoratori liberi, schiavizzati, salariati oservi della gleba. Lo schiavismo agricolo americano era produttivoproprio perch l'acquirente europeo era gi capitalista.

    Tuttavia nell'Europa moderna non s'impose affatto lo schia-vismo. Si era da tempo capito che lo schiavo era meno produttivodell'operaio salariato. Gi i Romani del tardo impero avevano com-preso che molto meglio dello schiavo era il colono, specie nelle peri-ferie pi lontane. Gli schiavi erano produttivi quando le guerre vitto-riose permettevano di acquistarne tanti a poco prezzo, e comunquebisognava sempre pagare dei sorveglianti che li obbligassero a lavo-rare. Era troppo rischioso per uno schiavista non punire duramenteuno schiavo ribelle. I rapporti cambiano, tra schiavo e schiavista,

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  • quando le guerre smettono d'essere vittoriose e ci si pone sulla difen-siva.

    Se gli acquirenti delle merci americane fossero state dellesociet schiavistiche, le piantagioni americane non si sarebbero svi-luppate cos tanto. La domanda sarebbe stata molto pi bassa e diconseguenza anche l'offerta, poich un'offerta eccessiva comportasempre un abbassamento dei prezzi delle merci.

    Dunque il moderno schiavismo americano, che dur quasisino alla fine dell'Ottocento, era una forma imperfetta di capitalismo.Era una forma di economia analoga a quella greco-romana, ma conpi possibilit di sviluppo, in quanto gli Stati acquirenti erano gicapitalistici e la loro domanda di beni era enorme.

    Senonch, nella misura in cui cominci a svilupparsi il mo-derno capitalismo anche negli Usa, ecco che lo schiavismo venneconsiderato ideologicamente intollerabile. Perch? E soprattutto per-ch gli schiavisti piantatori del sud non lo consideravano affatto tale,e furono persino disposti a difendere con le armi il loro razzismo?Per quale motivo si fece una sanguinosa e lunga guerra civile tranordisti e sudisti? Che bisogno avevano i nordisti di obbligare i sudi-sti a "liberare" i loro schiavi?

    Oggi il motivo, col senno del poi, ci appare molto semplice:l'industria capitalistica ha bisogno di manodopera giuridicamentelibera. Lo schiavo schiavo a tempo pieno nelle mani del latifondi-sta, dell'agrario capitalista, padrone di terre immense. Uno schiavo atempo pieno, che lavora su piantagioni enormi, non induce il capita-lista agrario a fare una cosa che invece diventa inevitabile quandonon si dispone della medesima terra: costruire macchine per il lavo-ro. Per un grande latifondista che usa manodopera schiavile, la pro-duttivit pu essere messa soltanto in rapporto all'estensione delleterre e al numero degli schiavi; il resto correlato: l'intensit dellosfruttamento, la fertilit del suolo, le competenze necessarie, la scel-ta delle colture...

    Per tutto il mondo greco-romano lo sviluppo della tecnologialavorativa stato molto scarso, proprio per la presenza massiccia de-gli schiavi, cio per l'assenza, in un numero significativo, di lavora-tori liberi. Di conseguenza la ricchezza generale non ha mai potutoraggiungere livelli molto elevati: i veri ricchi erano molto pochi. Seun lavoratore era "libero", perch proprietario dei suoi mezzi pro-

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  • duttivi, non era mai sul libro-paga di qualcuno; e se diventava schia-vo perch rovinato dai debiti, continuava a non essere sul libro-pagadi nessuno: lavorava gratis, in cambio del solo vitto e alloggio. Esi-stevano i salariati, ma per lavori occasionali o stagionali; in genere,l dove non esisteva propriet dei mezzi produttivi, il lavoro erasvolto da schiavi, fossero essi "schiavi privati" o "schiavi statali".

    Sul piano lavorativo, in agricoltura, ci sono stati pi progres-si tecnologici nel Medioevo "povero" che non nel "ricchissimo" im-pero romano (p.es. nella tipologia dell'aratro, nella trasformazionedel giogo da traino, nella rotazione delle colture, ecc.). Eppure nelMedioevo (almeno in quello che va dalla caduta dell'impero romanod'occidente al Mille) dominava il valore d'uso e il baratto. Lo dimo-stra il fatto che l'usura era inesistente e rarissima la circolazione del-la moneta, che generalmente veniva usata per articoli lussuosi prove-nienti dall'Asia, da Bisanzio, dalla Russia...

    Come si spiega questa stranezza? La si spiega considerandoche il servo della gleba era solo per met servo, per l'altra met eraabbastanza libero, cio non era schiavo al 100 per cento. Il contadinoaveva interesse a migliorare la propria esistenza personale e familia-re, ovviamente per la parte di lotto di sua competenza, o nella partedi tempo a sua disposizione, quella libera dalle corves.

    Nel Medioevo, fino a quando non sono rinati i mercati ove siusava la moneta, il capitalismo non ha potuto mettere radici. Le sueradici sono potute entrare tanto pi in profondit quanto pi diminui-va la percentuale del servaggio. Per poter avere la meglio sul nobileagrario, padrone d'immensi latifondi, l'imprenditore borghese privodi terra, ma dotato di capitali e di una certa competenza nell'uso de-gli strumenti produttivi di propriet del contadino, il primo dei qualiera il telaio per tessere, non aveva altra possibilit che convincere lafamiglia contadina a dedicare una parte del proprio tempo libero asuo favore, affinch i capitali potessero fruttare dei profitti economi-ci veri e propri e non soltanto delle rendite finanziarie.

    I capitali li aveva ottenuti dai commerci e ora poteva inve-stirli sulla forza-lavoro di famiglie contadine sparse nei grandi lati-fondi: lui forniva la materia prima che loro lavoravano a domiciliocoi loro semplici telai. Col tempo sar lui stesso a creare nuovi telai,pi sofisticati e concentrati in opifici, dove avveniva tutta la lavora-zione del tessuto, invitando i contadini-servi a lasciare per sempre il

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  • feudo e a trasferirsi in citt lavorando come operai salariati giuridi-camente liberi. I contadini devono arrivare a capire che per ottenereuna migliore condizione di vita, devono abbandonare la terra e lacasa in cui vivono, trasformandosi in artigiani specializzati o in ope-rai salariati di una manifattura urbana. Questo trasferimento di resi-denza e di sede lavorativa sar decisivo per lo sviluppo del capitali-smo, tant' che un qualunque ritorno alla vita di campagna rappre-senter un sintomo di "regresso" (come quello che capiter in Italiadurante la Controriforma).

    Questo per dire che non era assolutamente necessario, per lanascita del capitalismo, un fenomeno devastante come quello dellerecinzioni praticate in Inghilterra nel XVI secolo, cos ben descrittonel Capitale di Marx. In Italia le basi dell'accumulazione originariadel capitalismo sono di molto anteriori a quel secolo.

    Ma che cos'era che poteva indurre il contadino servo a di-ventare operaio salariato giuridicamente libero? Doveva esserciun'idea a convincerlo, una specie d'illusione, di ideologia ingannevo-le. Questa ideologia poteva essere una sola, che nell'impero greco-romano non esisteva: il cristianesimo. Il capitalismo non pu nasceresenza cristianesimo, o comunque ha bisogno del cristianesimo, comelegittimazione teorica, per svilupparsi materialmente. Certo il capita-lismo pu nascere anche da un evento drammatico, violento, comeappunto quello delle enclosures inglesi, ma il modo pi sicuro peraffermarsi quello indolore, quello ideologico. Tant' che in Inghil-terra, dopo quell'evento, si fu costretti a esportare le gravi contraddi-zioni del sistema verso le colonie e con una efferatezza inusitata. Pe-raltro le recinzioni furono la risposta a un capitalismo olandese giin atto, in cui il ruolo degli ebrei espulsi da Spagna e Portogallo fuenorme. Anzi, prima ancora, le Fiandre erano uno dei luoghi privile-giati, all'estero, degli affari dei mercanti italiani, proprio a motivodella loro particolare posizione geografica (esattamente come Bisan-zio, le citt anseatiche, ecc.).

    Ora, com' possibile che una religione cos profondamenteumanistica abbia potuto produrre o favorire la nascita di un sistemasociale cos disumano? E per quale motivo ci avvenuto nell'Euro-pa occidentale e non in quella orientale e neppure in quella bizanti-na? impossibile capire le motivazioni pi profonde che hanno fatto

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  • nascere il capitalismo se non si comprende l'evoluzione del cristiane-simo, da quello cattolico-romano a quello protestante.

    In Europa orientale il capitalismo inizia a svilupparsi quandoi paesi della parte occidentale, impostisi a livello mondiale, primacol colonialismo, poi, a fine Ottocento, con l'imperialismo, erano ingrado di condizionare pesantemente lo sviluppo economico dei paesiagrari est-europei. Molto probabilmente il passaggio dal feudalesimodi stato al capitalismo si sarebbe verificato anche nell'impero bizan-tino, gi abituato da secoli ad ampi commerci, se esso non fosse sta-to conquistato da una popolazione, quella turca, la cui cultura eraancora molto feudale. L'impero ottomano abbracci decisamente ilcapitalismo solo quando si trasform in repubblica borghese sottoMustaf Kemal (Atatrk).

    Il capitalismo dell'Europa occidentale trov la sua legittima-zione teorica anzitutto nella teologia scolastica, la quale, riflettendole ambiguit della pratica ecclesiastica (soprattutto nei suoi livelli di-rigenziali), nettamente opposta ai valori umanistici che predicava,non poteva che fare progressive concessioni alla pratica borghese.Quando queste ambiguit diventano insostenibili, al punto da richie-dere la trasformazione del cattolicesimo-romano in protestantesimo,ecco che il capitalismo diventa pi radicale, pi risoluto, si trasformaanche materialmente, sottraendosi ai controlli dell'etica e della politi-ca (per quanto, nella loro fase iniziale, i protestanti dicessero di volerriportare il cristianesimo alla sua purezza originaria). Le motivazioniideali sembravano tanto pi forti quanto pi si voleva affermare l'in-dividualismo in campo economico.

    Il cristianesimo in veste protestantica diventa pi aggressivoe tende a dare molta pi importanza al macchinismo. Ovviamentenelle colonie, esistendo terre sconfinate da sottrarre con la forza ainativi, il macchinismo cominci ad avere importanza solo verso lamet dell'Ottocento, quando ormai la conquista delle terre era statacompiuta. In ogni caso il capitalismo protestante, soprattutto quellocalvinista, fosse esso sviluppato in Europa occidentale attraverso leaziende industriali o in America attraverso le piantagioni schiavili,aveva moralmente molti meno scrupoli del cattolicesimo nel perse-guire i propri fini. E il capitalismo industrializzato, privo di qualun-que religione, ne avr ancora meno.

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  • Oggi siamo arrivati al punto che lo sviluppo culturale dell'a-teismo, generalmente associato allo sviluppo del socialismo, fa inrealt da supporto a un capitalismo molto avanzato, in cui addiritturagli elementi speculativi della finanza prevalgono su quelli produttividell'economia, mentre l, come in Cina, dove si vuole invece svilup-pare una enorme produzione materiale dei beni, il diritto totalmen-te subordinato alle esigenze del profitto, senza neppure aver bisognodi salvare le apparenze. D'altra parte in Cina l'ateismo non si svi-luppato ponendosi in contraddizione al formalismo della religionecristiana, ma come naturale prosecuzione di due filosofie di vita, lataoista e la confuciana, che nei confronti dei poteri costituiti hansempre manifestato una certa piaggeria.

    In altre parole si sviluppata in occidente una forma di atei-smo che, invece di avere le caratteristiche positive di emancipazionedalla religione, ha le caratteristiche negative del cinismo e della cor-ruzione pi vergognosa, tant' che con la religione pu intrattenererapporti affaristici di reciproco interesse. Questo a testimonianza chel'ateismo in s non favorisce affatto la transizione politica ed econo-mica al socialismo. Anzi, non da escludere che, a fronte di un peg-gioramento della crisi del capitalismo, si formino nuove religioni.Cosa che invece non potr accadere in Cina, in quanto il potere poli-tico esercitato in una maniera dittatoriale e la stragrande maggio-ranza degli abitanti non ritiene di dover usare la religione per oppor-visi.

    Ecco perch chi lavora per una transizione radicale al socia-lismo, deve preoccuparsi anche di dimostrare che il proprio ateismo moralmente migliore di quello borghese e di qualunque fede reli-giosa.

    II

    Per uscire dal sistema in cui domina il valore di scambio sufficiente convincersi di due cose: non l'individuo che ha bisognodel mercato, ma il contrario; non l'individuo che ha bisogno delloStato, ma il contrario.

    Stato e mercato sono tuttavia due realt sociali: per poterleeliminare o ridurre al minimo o trasformarle radicalmente occorrono

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  • esperienze sociali. L'individuo, al di fuori di un collettivo di riferi-mento, cui organicamente appartiene, solo un'astrazione.

    Si tratta quindi di costruire una realt sociale democratica,egualitaria, da opporre a due realt sociali la cui democraticit soloapparente. Nell'ambito dello Stato la democrazia indicata dalle ele-zioni, con cui si scelgono i parlamentari (poi vi sono i referendum,quando si tratta di scegliere tra due opzioni).

    Nell'ambito del mercato la democrazia sta nello scambio diequivalenti, nell'uso del denaro come mezzo astratto di scambio uni-versale. Nessuno obbligato ad andare a comprare merci, ma se nonlo fa, non riesce a vivere. Come nello Stato comandano i poteri forti(politici, burocratici e militari), cos nel mercato comandano i mono-poli, gli speculatori, gli affaristi, i mercanti.

    Non c' mercato senza Stato, poich questo garantisce la di-fesa dei produttori, che vivono sulle spalle dei soggetti deboli (i con-sumatori). Non c' Stato senza mercato, poich il mercato garantiscericchezza, di cui una parte significativa, attraverso le tasse e il plu-svalore estorto ai lavoratori, serve a mantenere le classi parassitarie(politici, burocrati e militari), le quali devono assicurare l'ordine afavore dei ceti possidenti.

    Uscire dal sistema significa saper dimostrare a se stessi, or-ganizzati in maniera collettiva, che si pu fare a meno sia dello Statoche del mercato. I modi per dimostrarlo sono due: democrazia diret-ta e autoconsumo. Questi due aspetti vanno considerati preliminari atutto, cio a qualunque dibattito, a qualunque lettura e scrittura. Edessi non possono in alcun modo svilupparsi nell'ambito del capitali-smo. Mentre la trasformazione dello schiavo in colono potuta av-venire nell'ambito dello schiavismo, e quella da colono o servo dellagleba a operaio salariato potuta avvenire nell'ambito del feudalesi-mo, quella da operaio produttore libero non pu avvenire nell'ambitodel capitalismo, se non come eccezione che conferma la regola: losfruttamento del lavoro altrui.

    Questa regola cos tassativa, nel capitalismo, che anche lostesso lavoratore diventa a sua volta, di necessit, uno sfruttatore dellavoro altrui: sufficiente infatti che depositi i suoi risparmi in unabanca o che riceva uno stipendio statale o che produca una merce peril mercato ed ecco che la sua esistenza si lega a una prassi "borghe-se". Perch tutti i lavoratori siano liberi occorre uscire dal sistema.

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  • Nell'ambito del capitalismo non c' nulla che possa anticipare qual-cosa del socialismo democratico. Se lo si pensa perch ingenua-mente si crede di poter fare a meno della responsabilit di una rivo-luzione: non sono pochi i soggetti pseudo-rivoluzionari che non vo-gliono combattere politicamente il sistema, ma limitarsi semplice-mente ad attendere ch'esso imploda da solo, a causa delle proprie in-terne contraddizioni, com' successo in Russia.

    L'abbattimento del sistema preliminare a qualunque altracosa. Si pu farlo attraverso la cultura - come voleva l'impostazionegramsciana -, o entrando direttamente in politica, ma l'obiettivo deverestare la conquista del potere per il rovesciamento del sistema. Enon si pu far questo come se fosse un semplice colpo di stato: oc-corre un'autentica rivoluzione di popolo. Sono due cose completa-mente diverse, l'una opposta all'altra. Se si tenta di creare delle "isoledi socialismo", dove vige la democrazia diretta e l'autoconsumo, siripeteranno gli stessi errori del "socialismo utopistico", i cui esperi-menti alternativi sono stati tutti riassorbiti dal sistema.

    Il sistema infatti ha il potere di condizionare in tutti i modi,materiali e culturali, l'intera vita sociale, e dispone inoltre della for-za militare per porre fine, come e quando vuole, a ci che pu osta-colarlo democraticamente. Ecco perch bisogna convincersi che, inultima istanza, il sistema pu essere abbattuto solo con la forza, ciocon una rivoluzione politica, capace di usare gli stessi strumenticoercitivi del sistema per fronteggiare l'eventuale reazione violentadelle classi che non vogliono lasciarsi espropriare di nulla.

    Solo quando la controrivoluzione ha avuto termine, si posso-no porre le basi della progressiva estinzione dello Stato, a favore del-la democrazia diretta, e, in virt del primato del valore d'uso, si pupensare a una progressiva eliminazione del mercato, che basato sulprimato del valore di scambio. Bisogna porre le comunit locali incondizioni di difendersi da sole da chiunque possa minacciarle di di-struzione.

    Che ci voglia una dura e lunga transizione dal capitalismo alsocialismo democratico e autogestito, pacifico. Il capitalismo nonha solo sconvolto tutti i rapporti umani, ma anche i rapporti conl'ambiente, e l'ha fatto in un periodo lunghissimo, praticamente mil-lenario. L'importante per aver chiaro che l'alternativa al capitaledeve essere radicale: qualunque concessione venga fatta anche a uno

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  • solo degli aspetti del sistema da abbattere, andr a influire su tutto ilresto. Il fallimento del cosiddetto "socialismo reale", che pretendevadi poggiare su basi "scientifiche", un esempio da tenere semprepresente.

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  • Fare sistema o uscire dal sistema?

    "Fare sistema" o "uscire dal sistema" sono espressioni chesembrano non voler dire nulla al singolo cittadino.

    Generalmente tutti noi "facciamo sistema", pur senza volerloo pur senza saperlo. Noi tutti esistiamo ereditando un sistema di vitaprecedente e ne riproduciamo le condizioni della sua sopravvivenza.In tal senso, p.es., anche il proletariato occidentale co-responsabiledello sfruttamento delle periferie neocoloniali da parte dell'imperiali-smo statunitense, nipponico ed euroccidentale (a questo imperiali-smo ora bisogna aggiungere anche quello cinese, che tiene in condi-zioni sub-umane i propri lavoratori, i cui prodotti possono esserevenduti in tutto il mondo a prezzi stracciati).

    Per "uscire dal sistema" c' solo un modo: conquistare il po-tere politico e condizionare con lo strumento della politica l'attiviteconomica. Il problema come farlo, cio non solo come "conqui-stare" il potere, ma anche - ed ancora pi importante - come "con-dizionare" l'economia, evitando di ripetere tutti gli errori del passato.

    La storia della sinistra ha dimostrato che, sul problema della"conquista", i metodi generalmente sono due: o si conquista politica-mente lo Stato dopo aver conquistato culturalmente la societ civile,oppure questa si conquista "dopo" aver conquistato quello.

    La prima soluzione detta "gramsciana", la seconda "lenini-sta". La prima non mai arrivata a conquistare alcuno Stato; la se-conda vi riuscita in pi Stati, ma poi sempre stata tradita da unagestione autoritaria del potere.

    Dov' che si sbaglia quando si creano alternative al sistema,ovvero quando la politica vuole condizionare l'economia?

    Intanto bisogna dire che la via gramsciana sbaglia nel pensa-re che il passaggio dalla conquista della societ alla conquista delloStato possa avvenire in maniere indolore, cio in maniera automati-ca, come una logica conseguenza, una inevitabile necessit. addi-rittura un errore pensare di poter conquistare una societ di tipo"borghese" in maniera "progressiva", per determinazioni quantitati-ve, senza traumatiche rotture.

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  • Il capitale ha mezzi molto potenti per "imborghesire" la po-polazione, al punto che in una societ "borghese" si tutti "corrotti",inevitabilmente. Per convincersene, sufficiente vedere quante voltesi venuti meno, proprio durante le rivoluzioni, agli ideali di giusti-zia sociale.

    Da quando nato il socialismo, i "momenti forti" in Italiasono stati soltanto il "Biennio rosso", la Resistenza e il Sessantotto, eogni volta gli ideali sono stati traditi. E gli altri paesi europei han fat-to lo stesso: dalla Comune di Parigi alla Repubblica di Weimar, ecc.

    Nell'Europa occidentale non solo fallita la strategia gram-sciana, ma anche quella pre- o filo-leninista di conquista dello Stato,che in genere si presenta quando le crisi sociali sono gravissime e in-sostenibili, di regola correlate a disastri bellici.

    Il socialismo europeo non mai riuscito ad approfittare dellesituazioni favorevoli a una "fuoriuscita dal sistema", quelle in cui lecontraddizioni del sistema esplodono. Nelle societ borghesi avanza-te, opulente, il socialismo non riesce a spuntarla n in situazioni pa-cifiche n in quelle disastrate.

    Al massimo il socialismo riesce a imporsi nei paesi perifericipi arretrati, nei cosiddetti "anelli deboli" del sistema, dove la pover-t regna sovrana. Solo che in questi paesi, dopo aver compiuto la ri-voluzione, nasce immancabilmente una dittatura. Sicch non si capi-sce dove stia l'errore.

    In occidente il socialismo, nel migliore dei casi, rischia di di-ventare un puntello del sistema borghese; altrove rischia di negarepi libert di quante ne neghi il capitalismo.

    Le strade da percorrere sono altre. "Uscire dal sistema" nonpu voler dire soltanto attendere passivamente che la sua crisi strut-turale giunga a esplodere, ma non pu neppure voler dire aiutare ilsistema a sopravvivere compiendo singoli aggiustamenti o parzialiriforme.

    A livello di societ civile bisogna uscire progressivamentedalla logica del mercato, entrando in quella dell'autoconsumo, e ilgiorno in cui s'imporr l'esigenza di una rivoluzione politica, occor-rer da subito porre le condizioni perch lo Stato venga sostituito dalgoverno politico della societ civile, la quale deve essere messa ingrado di autogestirsi.

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  • In Russia la rivoluzione venne tradita nel momento stesso incui si svuotarono i "soviet" del loro effettivo potere. Non si pu affi-dare a uno "Stato socialista" il compito di abbattere la borghesia,perch poi, dopo che l'avr fatto, esso non avr piet neppure delproletariato.

    Bisogna demandare immediatamente alla societ civile ilcompito di liberarsi della mentalit borghese al proprio interno,smantellando progressivamente tutte le funzioni dello Stato.

    Come uscire dal circolo vizioso del sistema

    Il capitalismo funziona bene quando il tasso di sfruttamentodel lavoro molto elevato. Esattamente come lo schiavismo funzio-nava bene quando, in seguito alle guerre vittoriose, era molto elevatoil numero degli schiavi sul mercato (questo spiega perch i Romanicrearono la loro ricchezza sotto la Repubblica senatoriale e si limita-rono a gestirla sotto l'Impero dittatoriale).

    Se le guerre non sono pi vittoriose o se ci si deve limitare auna mera strategia difensiva, oppure se gli schiavi si ribellano, o secominciano a rendersi autonome le colonie (che i Romani chiamava-no province), rivendicando sempre pi diritti, le cose smettono difunzionare come prima.

    Oggi dobbiamo dire lo stesso nei confronti delle rivendica-zioni salariali degli operai e degli impiegati o nei confronti della vo-lont di emergere dei paesi del Terzo mondo. Il capitale non riescepi a sfruttare le cose come prima, al punto che qualcuno comincia arimpiangere i tempi in cui c'era pi dittatura.

    D'altra parte quando c' antagonismo sociale non si pu vin-cere in due: uno deve per forza perdere. Darwin, quando pensava almondo animale, chiamava questo processo "selezione naturale" e ladefinizione, applicata poi agli "umani", ha avuto molta fortuna.

    Gli imprenditori oggi sono come i generali romani di unavolta, che coi loro eserciti andavano in guerra per fare fortuna. Poi,quando l'avevano fatta, diventavano senatori, ricchi latifondisti, go-vernatori di province, alti funzionari, oppure addirittura imperatori.

    Oggi non si ha bisogno di fare guerre di tipo militare: suf-ficiente farle con le armi dell'economia e della finanza. Tra i Romanie noi ci sono di mezzo le tecnologie, l'uso capitalistico del denaro e

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  • anche il fatto che il lavoratore gode della libert personale, quellaformale di tipo giuridico.

    Le ferite che ci lecchiamo non sono pi quelle procurate dauna spada, ma dall'aumento dei prezzi, delle tariffe, dei tassi sui mu-tui, delle imposte dirette e indirette, delle perdite in borsa, dei debiti,degli affitti esosi e soprattutto sono procurate dal fatto che i salari egli stipendi non riescono a tenere il passo del carovita.

    Oggi un imprenditore sa bene che se la sua manodopera nonviene sfruttata al massimo, rischia di dover chiudere (eventualmentetrasferendosi in quei paesi dove il costo del lavoro irrisorio). Que-sto perch deve sostenere spese sempre pi ingenti per i macchinari,per la burocrazia, per le tangenti al potere politico e persino crimina-le, per le strategie di marketing, ecc.

    La concorrenza obbliga i capitalisti a uno stress insostenibi-le, a dei rischi inaccettabili. La legge della caduta tendenziale delsaggio del profitto - che Marx elabor nel III libro del Capitale e chenon ebbe mai il tempo di approfondire - li spaventa, perch, pur nonconoscendola, la possono constatare abbastanza facilmente. Eccoperch tendono a dislocare le loro ricchezze dai paesi pi avanzati aquelli meno, oppure dall'economia alla finanza, dove hanno proble-mi pi facili da affrontare.

    Il capitalismo ha bisogno di avere situazioni di precariet so-ciale, in cui la gente disposta a lavorare per un salario minimo. Si-tuazioni del genere si verificano quando un paese entra in guerra,cio quando parte della ricchezza sociale di una nazione viene di-strutta molto velocemente. Le guerre infatti sono periodiche in que-sto sistema. D'altra parte quando i debiti sono talmente grandi cheper potervi in qualche modo far fronte bisogna per forza impoverirsi, relativamente facile che da una situazione del genere si passi all'e-sigenza di dichiarare guerra a qualcuno, magari anche solo per scon-giurare il rischio di una guerra civile interna.

    Purtroppo il sistema ci ha insegnato che solo quando le cosesono sufficientemente devastate, si pu ricominciare a sperare che lasituazione migliori. Si arriva a un punto oltre il quale non si pu an-dare avanti e, se si vuole sopravvivere con i medesimi criteri e meto-di, bisogna prima distruggere buona parte della ricchezza collettiva.

    come passare da un mazzo di 104 carte a uno di 52 per po-ter continuare a giocare. Ci vuole una specie di peste bubbonica, che

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  • azzeri tutto il surplus e ci riporti all'essenzialit, come quella che nelTrecento elimin un terzo della popolazione europea. Fu proprio lapeste che acceler la trasformazione delle Signorie italiane in Princi-pati: cosa resa possibile, naturalmente, anche a motivo della scarsacombattivit dei lavoratori, il cui apice in Italia fu raggiunto col Tu-multo dei Ciompi a Firenze nel 1378.

    Questo meccanismo infernale che ha il capitalismo, di auto-distruggersi parzialmente per poi rinascere come l'Araba fenice, an-drebbe superato una volta per tutte. L'unico modo per poterlo fare noto da molto tempo: togliere agli imprenditori e a tutti i gestori del-l'economia finanziaria il potere di decidere da soli quali debbano es-sere i criteri con cui vivere la vita.

    Bisognerebbe per precisare, a scanso di equivoci, che nonpu pi essere considerato sufficiente togliere al capitale la proprie-t degli strumenti produttivi e finanziari, senza ripensare completa-mente gli stili di vita. E, in tal senso, non dobbiamo dare per sconta-to l'utilizzo delle stesse tecnologie del capitalismo, seppur gestite dalavoratori-proprietari.

    Dobbiamo tenerci pronti o a far saltare tutto il sistema (e nonsolo una sua parte), o ad approfittare delle sue debolezze quandosar costretto a saltare da solo per potersi autorigenerare. Se non ap-profitteremo di quel momento favorevole, stiamo pur certi che il ca-pitale far pagare al lavoro le conseguenze della propria crisi e dellapropria ristrutturazione, partendo ovviamente dai ceti pi deboli. Lacrisi infatti non di crescita (quella che permette ai lavoratori, coltempo, di migliorare le loro condizioni), ma piuttosto di autoconser-vazione. Sar un bagno di sangue soprattutto per chi ha gi il corpopiagato.

    Ecco perch sin da adesso dovremmo chiederci come uscireda questo inferno - che in fondo un assurdo circolo vizioso -, par-tendo dai criteri di soddisfazione dei bisogni primari quotidiani. Senon recuperiamo un rapporto stretto, diretto, con la natura, se non ciriappropriamo di ci che costituisce la base materiale della nostraesistenza, sottraendola a una gestione anonima, eterodiretta, incon-trollabile (quale quella che si verifica negli attuali mercati di beni eservizi), noi saremo condannati in eterno a ripetere i nostri errori.

    Solo con l'autogestione completa di un territorio ha sensoparlare di democrazia. "Esta selva selvaggia e aspra e forte, / che

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  • nel pensier rinnova la paura", non pu essere vinta coi metodi e mez-zi tradizionali. Bisogna fare una rivoluzione copernicana del pensie-ro, in virt della quale l'uomo possa finalmente camminare coi pro-pri piedi e non al guinzaglio di qualcuno.

    Il fatto purtroppo che noi occidentali, cos abituati a sentir-ci onnipotenti, non riusciremo mai ad accettare un rapporto pariteti-co con la natura, a meno che delle gravissime catastrofi non ci co-stringano a farlo. Forse l'unico momento in cui in Europa siamo staticapaci di questo, da quando sono sorte le civilt antagonistiche, quello che i manuali scolastici definiscono col termine di "epocabuia", e cio l'alto Medioevo. Ma in Europa son dovuti entrare i co-siddetti "barbari" per insegnarci a recuperare con la natura un rap-porto equilibrato.

    Tuttavia, gi a partire dal Mille si era ripreso, in Italia, unrapporto di sfruttamento delle risorse naturali, analogo a quello diepoca greco-romana. A partire dal Mille sono state tantissime le ca-tastrofi che l'Europa ha subto (innumerevoli guerre, terribili epide-mie, carestie, devastazioni ambientali...), eppure non s' mai avuta laforza per invertire la marcia.

    In un millennio la borghesia non solo diventata potentissi-ma, approfittando spesso proprio di quelle catastrofi, ma, quel che peggio, riuscita a diffondersi in tutto il pianeta, come un gigante-sco virus. Lo sviluppo della borghesia capitalistica - che ha avuto ilsuo esordio proprio in Italia - stata la pi grande catastrofe dell'u-manit. E ora che il testimone sta per essere preso da colossi numeri-ci come Cina e India, il peggio, molto probabilmente, deve ancoravenire. E nuovi "barbari" che tornino a insegnarci a vivere non se nevedono all'orizzonte...

    Programma minimo per uscire dal mercato

    Porsi contro il denaro oggi vuol dire porsi contro il sistemain cui il denaro, nella sua forma di principale mezzo di scambio, diinvestimento e di accumulazione, il fulcro di ogni forma di esisten-za, nessuna esclusa. Un tempo il denaro era cosa che riguardava solola citt, non la campagna n la montagna: oggi investe il mondo inte-ro.

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  • Contro il sistema basato sul denaro, sia esso nella forma delcapitale o nella forma di semplice mezzo di scambio, esiste un'unicasoluzione: l'autoconsumo, cio consumare direttamente ci che siproduce, senza passare attraverso l'intermediazione del mercato.

    Sul mercato infatti il produttore prevale sul consumatore;nell'autoconsumo invece si equivalgono o addirittura coincidono, el dove si diversificano solo per cose non essenziali alla propria ri-produzione, e quand'anche fossero cose essenziali, il bisogno diaverle, tra produttore e consumatore, sarebbe reciproco. Questo per-ch in luogo del denaro domina il baratto, sulla base del quale en-trambi i contraenti conoscono bene il valore delle merci che si scam-biano. Sanno bene che il valore di un bene stabilito dal tempo dilavoro necessario a produrlo da parte sia dell'uomo che della natura,senza interferenze di prezzi stabiliti dal mercato.

    Nell'autoconsumo l'interdipendenza solo fra produttore econsumatore, mentre quella che ci propone l'attuale sistema una di-pendenza unilaterale del consumatore nei confronti del mercato(nonch quella del produttore minore nei confronti di quello maggio-re). Una delle componenti fondamentali del mercato la borsa valorie cambi, che ancor meno del mercato pu essere tenuta sotto control-lo. Non solo la finanza marcia per conto proprio rispetto all'econo-mia, ma ha anche il potere di distruggerla, in quanto fa della renditaun valore superiore alla stessa produzione capitalistica.

    La comunit locale deve tornare a controllare l'uso dei mezziproduttivi locali, che le permettono di esistere e di riprodursi. Perpoter controllare questo uso occorre ch'essa ne sia proprietaria esclu-siva. I mezzi di produzione devono appartenere alla comunit locale.

    Tutti i componenti della comunit locale devono chiedersi dicosa hanno bisogno per sopravvivere, senza dipendere dalle offertedel mercato. La produzione va finalizzata alle esigenze locali. E de-vono anche chiedersi, nel caso in cui avessero bisogno di qualcosache non riescono a produrre, se sia davvero essenziale averla, o qua-le sia il modo migliore per ottenerla, senza arrecare danno alla natu-ra, o quale sia il prezzo che l'autonomia pu essere disposta a pagareper ottenerla, senza arrecare danno a se stessa.

    Per mettere in piedi una comunit del genere vi sono solodue strade di carattere generale: o si attende che l'attuale sistemacrolli rovinosamente, e allora saranno gli eventi che, in qualche ma-

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  • niera, costringeranno a compiere la scelta dell'autoconsumo (e que-sta una strada molto dolorosa, gi sperimentata, p.es., col crollodell'impero romano); oppure si comincia subito a riflettere su comecreare un'alternativa concreta, uscendo progressivamente dal merca-to. Quest'ultima una strada pedagogica, sicuramente molto menodolorosa, in quanto ci si educa lentamente ma con decisione consa-pevole, senza particolari traumi (se non quelli artificiosi e pretestuosidella coscienza), nella convinzione che i tempi di realizzo degliobiettivi, a causa di abitudini collettive profondamente sbagliate, sa-ranno sicuramente molto lunghi.

    Bisogna partire da una riflessione culturale sui valori dellavita, cercando per, nel contempo, di realizzare quelle piccole coseche modificano in maniera tangibile il nostro stile di vita. Noi nondobbiamo comportarci bene per far star meglio il sistema: dobbiamouscirne, per il bene anche di chi non consapevole della sua disuma-nit o della sua incapacit strutturale a risolvere i conflitti di classe,gli antagonismi sociali. un lavoro continuativo, verso obiettivisempre pi importanti, in rapporto anche al numero di persone che siriescono a coinvolgere.

    Per partire bisogna chiedersi anzitutto da dove provengono inostri alimenti, come vengono prodotti e quante possibilit abbiamod'intervenire sulla loro produzione e distribuzione. Il consumatoredeve cercare il pi possibile di stabilire un rapporto organico, nonoccasionale, coi produttori locali e organizzare, con questi, la produ-zione e lo smercio dei beni per la comunit locale. Il produttore devesapere in anticipo ci di cui la comunit locale ha bisogno. Produrreesclusivamente per realizzare profitti immorale e chi lo fa va estro-messo dalla comunit locale, o comunque va biasimato pubblica-mente e sollecitato a cambiare atteggiamento.

    Bisogna inoltre verificare se tutto quello che in questo mo-mento stiamo usando di fondamentale importanza per la nostra esi-stenza e se non assolutamente sostituibile da nient'altro. Bisognainformarsi sulle possibili alternative praticabili. noto infatti che, aparit di qualit, costa di pi un prodotto reclamizzato o di marca. Ese anche la qualit non identica, bisogna abituarsi a considerare ivantaggi sociali, che non sono immediatamente quantificabili. Sia-mo p.es. abituati a mangiare frutta senza imperfezioni esterne, pur

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  • sapendo che una frutta del genere stata trattata con sostanze cance-rogene.

    Pensiamo soltanto all'uso dei dispenser che sostituiscono icontenitori di plastica o di vetro che ogni volta acquistiamo quandoil loro contenuto finito: dall'acqua al vino, dal latte all'olio e all'a-ceto, dai saponi ai detersivi. Non solo una questione di risparmio: anche un modo per dire basta ai produttori di contenitori usa e getta,all'inquinamento dell'ambiente. un modo per far capire al sistemache il consumatore vuole interagire col produttore, obbligandolo afare scelte ecologiche e socialmente compatibili. La raccolta diffe-renziata dei rifiuti non ha senso se, a monte, non si modificano delleabitudini sbagliate, dettate da logiche di mercato.

    Ma pensiamo anche all'uso dei medicinali, in cui la chimicaha completamente sostituito la fitoterapia, una scienza durata nonmigliaia ma milioni di anni. E che dire di quella incredibile tragediache abbiamo arrecato alla natura sostituendo l'energia prodotta dallasingola persona con quella prodotta dalle pile (si pensi, p.es., allascomparsa degli orologi a carica manuale)? Cos' pi umiliante: di-pendere dalla natura o da cose che, finito il loro ciclo, non si sa picome riutilizzare?

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  • Corruzione, paura e coraggio

    I

    Gli intellettuali vivono un'esistenza separata da quella deglialtri cittadini. Lo sanno tutti. Se si chiede loro di rendersi utili, pen-sano sempre a qualcosa di "intellettuale". Lo stesso concetto di "cul-tura" che hanno, coincide praticamente con quello di "nozione". Pen-sano di avere tanta pi cultura quante pi nozioni sanno. E poi si la-mentano che, rispetto alla loro "cultura", non vengono sufficiente-mente valorizzati. Di qui la loro costante frustrazione, il loro male divivere. Sono convinti che basti "sapere" per ottenere consenso, cre-dibilit. Sotto questo aspetto non sono neppure capaci di "comunica-re". Infatti si servono perlopi di strumenti che sono adatti soltantoper altri intellettuali come loro.

    Non a caso tendono a formare delle nicchie isolate, autorefe-renziali, in cui il dibattito serve soltanto per confermarsi a vicenda.In queste piccole comunit vi poi sempre la mistica del capo, ciol'atteggiamento ossequioso verso chi mostra d'avere pi conoscenzedi tutti.

    A scuola o all'universit si servono di manuali. Generalmen-te usano lo strumento della parola scritta, che possono divulgare at-traverso l'editoria o anche attraverso delle conferenze. Il rapportoper sempre sbilanciato: nelle conferenze dicono molte cose e ri-spondono a poche domande. Non c' tempo per un confronto allapari, per un approfondimento di ci che si detto. L'intellettuale fala sua conferenza (spesso a un pubblico che non conosce personal-mente) e poi se ne va, lasciando ognuno da solo, col libro appenacomprato. L'intellettuale considera il proprio scritto come una sortadi Bibbia per i suoi lettori. Per comprendere veramente il suo pensie-ro, bisogna prima leggersi almeno alcune sue pubblicazioni: chi nonlo fa, sar sempre in torto.

    Non per questo il modo di fare cultura. Paradossalmentene fanno di pi i politici, che in genere sono molto meno acculturati,ma possono vantarsi d'avere un rapporto pi diretto con la popola-zione, attraverso p.es. la quotidianit della televisione, oppure parte-

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  • cipando a tutte quelle iniziative locali e nazionali in cui vengono in-vitati (mostre, inaugurazioni, premiazioni, seminari, convegni...).

    Inoltre i politici, nei vari luoghi di governo, hanno il grandevantaggio di poter disporre delle tasse dei cittadini, con le quali de-vono progettare cose per il presente, per soddisfare esigenze o inte-ressi. questo che li fa sentire importanti, talmente importanti che,spesso, non hanno scrupoli nel frodare la fiducia che in loro statariposta. I politici si sentono pi vicini alla popolazione di quanto nonlo siano gli intellettuali, ma non cos vicini da ritenere del tutto anor-male che il loro mestiere serva per arricchirsi.

    Gli intellettuali detestano i politici anche per questa ragione:li vedono molto meno acculturati di loro, ma molto pi potenti e be-nestanti. Gli intellettuali possono aspirare a dei ruoli di comandosolo se i loro meriti vengono riconosciuti dai politici. Tutti gli altridevono arrangiarsi con la libera professione, cio devono cercare diottenere il pi possibile dalle loro conoscenze (economisti, avvocati,manager...).

    Un caso a parte sono i giornalisti, che rappresentano una sor-ta di via di mezzo tra i politici, gli intellettuali e i liberi professioni-sti. I giornalisti non sono dei politici, anzi, in genere, sono degli anti-politici, in quanto, avendo in mano i mass-media, si arrogano il dirit-to di rappresentare gli interessi dei cittadini, di tutti i cittadini, quindinon solo di quelli che hanno dato il loro voto a determinati politici.

    Tuttavia i giornalisti non potrebbero sussistere col contributoeconomico volontario dei cittadini, neppure con gli introiti dovutialla pubblicit. Hanno necessariamente bisogno di leggi parlamentariche prevedano uno storno delle tasse dei cittadini a favore dei mass-media. Quindi da un lato i giornalisti devono essere anti-politici perdimostrare che fanno gli interessi dei cittadini; dall'altro per hannobisogno degli stessi politici per sopravvivere economicamente.

    I giornalisti, in genere, non hanno la cultura degli intellettua-li, perch sono troppo schiacciati sul presente, che dominato da lo-giche politiche ed economiche. I giornalisti hanno bisogno di rincor-rere l'attualit, esattamente come i politici, ed questo che li rendeimportanti. Gestiscono potenti mezzi di comunicazione, pagati conle tasse dei cittadini, e si spartiscono coi politici il potere istituziona-le, anche se in maniera particolare, in quanto non fanno le leggi, nonle fanno eseguire, al massimo controllano se vengono eseguite.

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  • Un giornalista deve soltanto dimostrare che ha diritto adavere sovvenzioni statali: deve per forza creare una certa audience.Di qui la tendenza a esagerare, a fare di ogni caso particolare una re-gola. I giornalisti sono i principali responsabili dell'allarmismo so-ciale. Dicono che, senza di loro, non esisterebbe neppure la demo-crazia, ma il diritto di parola dovrebbero averlo tutti: non dovrebbeessere concesso da chi dispone di mezzi di comunicazione.

    II

    Tuttavia il mondo delle parole staccate dalla vita rappre-sentato anzitutto e soprattutto dai politici di professione, che i citta-dini eleggono periodicamente, assegnando loro una sorta di delega inbianco, poich, per tutto il tempo in cui esercitano il mandato, sonopraticamente liberi di fare ci che vogliono. vero che i cittadinipossono votarne altri alle elezioni successive, ma anche vero che sitratta di un "teatrino della politica": cambiano gli attori, ma la parteche recitano sempre la stessa.

    Il massimo della democrazia che la classe politica riesce adesercitare quella di controllarsi a vicenda, accusando l'avversario diqualunque cosa, soprattutto della rovina del paese. Tuttavia, di fronteall'anti-politica del paese, la casta di questi privilegiati assoluti ritro-va subito la propria unit.

    I politici sono padroni dell'arte oratoria e generalmente lausano per ingannare le masse. In teoria, nelle cosiddette "democrazieformali", dovrebbero essere tenuti sotto controllo, pi che dai cittadi-ni o dai loro elettori, dai giornalisti, ma - come gi detto - questi ge-neralmente vengono definiti dei lacch, in quanto dipendono, econo-micamente, dalla benevolenza dei politici, che fanno determinateleggi per sovvenzionare i loro mezzi di comunicazione. E se non di-pendono da queste sovvenzioni pubbliche, i giornalisti dipendonosempre da quelle private, le quali, dati i grandi costi dei loro mezzicomunicativi, non possono certo basarsi sugli abbonamenti dei sin-goli cittadini: occorre sempre l'intervento finanziario dei grandigruppi monopolistici. Questo quindi significa che se un giornalistanon un lacch di qualche politico o di qualche governo, lo sem-pre di qualche impresa o banca.

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  • Esiste un altro gruppo di intellettuali che dovrebbe controlla-re l'operato dei politici, rientrando nei propri compiti quello di con-trollare il comportamento di chiunque: la magistratura. I magistratinon fanno le leggi, ma le fanno applicare e comminano sanzioni epene quando non vengono rispettate. Il loro un mestiere curioso,perch, indicativamente, sanno come le leggi dovrebbero essere fat-te, perch le cose funzion