La customer activation nel retail

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Attivare la relazione con il cliente Estratto da Largo Consumo n. 12/2016 © Editoriale Largo Consumo srl Nel contesto omnicanale, il punto vendita è ormai solo uno dei molti touch point attraverso i quali coinvolgere i consumatori. Nasce pertanto l’esigenza di ridefinire i confini della customer journey. RETAIL I FORUM DI LARGO CONSUMO

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Nel contesto omnicanale, il punto vendita è ormai solouno dei molti touch point attraverso i quali coinvolgere i consumatori.Nasce pertanto l’esigenza di ridefinire i confini della customer journey.

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CONSUMATORI

omnicanalità ha rivoluzionato il percorso di coinvol-gimento del consumatore. Sempre di più, nell’attua-le scenario, il punto di vendita rappresenta solamen-te uno dei molteplici touch point attraverso i quali

avvengono la scelta e, sempre più spesso, anche l’acquisto.Ne consegue che una delle complessità oggi cui si trova a fa-re fronte il mondo della distribuzione è la sempre maggioredifficoltà di definire con certezza i confini della customerjourney e per riuscire, di conseguenza, a individuare le moda-lità con cui attivare la relazione con il proprio consumatore.Nell’attuale fase di intensa sperimentazione, una certezza è ilvantaggio offerto dal presidio fisico, come dimostra il molti-

L’

plicarsi dei pure player che decidono di sbarcare nel canale fi-sico, sia creando una propria rete di pick up point sia strin-gendo accordi con altre insegne per attivare un servizio diclick & collect. Altro punto su cui tutti appaiono concordi èche l’odierno modello di punto di vendita fisico – e verrebbeda aggiungere anche quello finora consueto di centro com-merciale – appare inadeguato a gestire con successo sia l’e-commerce, sia un consumatore sempre più volubile e indeci-frabile. Ma se è chiaro che il negozio fisico deve cambiare,quando si tratta di stabilire in che modo l’incertezza regna so-vrana. Alcuni privilegiano il negozio esperienziale, che miraa costruire l’esperienza dell’insegna; altri valutano invecel’ipotesi del negozio leggero che, per esempio nel campo del-l’abbigliamento, presenta i diversi capi della collezione in ununico esemplare e per quanto riguarda la vendita rimanda poiall’on line. Inutile dire, che ogni oscillazione tra queste mo-

dalità ha un impatto significativo, oltre che sull’assorti-mento, anche sul lay out e sulle metrature del negozio.La tavola rotonda “La customer activation nel retail”, or-ganizzata da Largo Consumo e moderata dal nostro gior-nalista Armando Garosci, ha avuto proprio l’obiettivodi fare il punto su come i player del canale fisico stannostrutturando il loro business per costruire su nuove e piùpromettenti basi la relazione con il cliente.

IULM: NUOVE MOTIVAZIONI DA PROPORRELuca Pellegrini, ordinario di Marketing e Retail pres-so l’Università Iulm e presidente di TradeLab ha intro-

Attivare la relazione con il clienteRETAIL

Nel contesto omnicanale, il punto vendita è ormai solo uno dei molti touch point attraverso i qualicoinvolgere i consumatori. Nasce pertanto l’esigenza di ridefinire i confini della customer journey.

di Marilena Del Fatti e Armando Garosci

I FORUM

DI LARGO CONSU

MO

�Percorso di lettura: www.largoconsumo.info/MarketingMulticanale

Guarda la sintesi video degli interventi dei partecipanti allatavola rotonda su: www.youtube.com/largoconsumo

• Come si stanno modificando le modalità di consumo nell’attuale sce-nario di omnicanalità?

• I modelli di clusterizzazione del consumatore basati sull’analisi ditipo socio-demografica appaiono inadeguati: quali allora gli strumen-ti con cui oggi si possono misurare i comportamenti di acquisto?

• In che modo il retail fisico riformula assortimenti, layout e store for-mat per riuscire ad attivare la relazione con il proprio consumatore?

• Quale tipo di contributo è offerto dalle tecnologie digitali e dalmobile per quanto riguarda la costruzione della relazione con ilcliente?

• Il retail fisico sta realmente valorizzando al meglio il potenziale mes-so a disposizione da strumenti come CRM e fidelity card?

• Personalizzazione ed engagement one-to-one: come si gestisconoquesti aspetti senza trovarsi ad affrontare costi e complessitàeccessive?

I temi della tavola rotonda

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dotto il tema. Internet e e-commerce hanno rivoluzionato gliassetti del settore e la trasformazione è ancora in divenire.«L’e-commerce ha ancora un peso relativo - ha osservato -ma in prospettiva, e in alcuni Paesi è già così, è destinato adiventare un’opzione di default pronta e disponibile per tut-ti». Altro forte cambiamento è la sovrapposizione tra offertafisica e in rete da cui è nato il fenomeno dello showrooming,che in alcuni settori come l’elettronica di consumo, rappre-senta già una grossa criticità, «perché al cliente bastanosmartphone e Ean per verificare, davanti allo scaffale, a cheprezzo quel prodotto è reperibile on line». In un contesto incui «trovare il prodotto non è più un problema», la sfida peril punto di vendita fisico è offrire al consumatore nuovemotivazioni per convincerlo a visitarlo. «Dico subito -tran-quillizza Pellegrini - che è perfettamente possibile. Siamoesseri fisici e interagiamo nel fisico. Ne consegue che il con-sumatore non vuole comprare on line a tutti i costi. Però,bisogna pensare a come rendere ancora più facile l’acquisto,anche valorizzando la componente di entertainment e ladimensione di socialità propria del negozio fisico». Pellegrini crede nel potenziale offerto dal recupero di «unvecchio attributo di base del servizio commerciale: la prese-lezione. Non si offre tutto, ma solo quello che si pensa possaessere di interesse» e lo si fa «enfatizzando la dimensionefisica dell’esperienza di acquisto inserita in una dimensionemulticanale. E questo, per esempio, per consentire al clientedi formalizzare l’acquisto una volta che ci ha ragionatosopra e ha visto anche qualche altro competitor». In sostan-za, secondo Pellegrini, «le leve sono per certi versi quelle disempre. A cambiare sono il mix e i pesi. Occorre montare inchiave innovativa il servizio al cliente. Ci sono il prodotto,inteso come ciò che si offre in termini di beni e servizi,l’ampiezza, la profondità, la specializzazione e l’esclusivitàche è fondamentale per contrastare lo showrooming: perchése ce l’ho soltanto io l’Ean, leggilo pure, tanto torni da me». Tra le tante opzioni da utilizzare per offrire questo di più alcliente Pellegrini cita «l’assortimento aggiuntivo, il rapportoprezzo qualità, tutta la promozione on line e mobile e lagestione della carta fedeltà, che spesso è ancora ottocentesca.Invece, dovrebbe diventare la base per un CRM forte. Racco-gliere i dati ormai è banale, il punto è leggerli. Per farlooccorre avere dei sistemi di lettura forte, investire in softwaree guardare ai competitor nati on line, che vivono di big data».Una necessità creata dal fatto che il «il mass market comeparadigma comincia a dare segni di accelerata caduta e crolloe questo chiede punti di vendita e centri commerciali diversie il passaggio verso un rapporto personalizzato in cui, perevitare un impatto rovinoso sul piano dei costi, si limita l’in-terfaccia one to one alle situazioni che non possono esseregestite in modo automatico utilizzando la tecnologia».

ZODIO: CREARE LA FILIERA DELLA PASSIONE Zodio è un format del Gruppo Adeo nato in Francia, doveè presente con 15 punti di vendita. In Italia dallo scorso otto-bre al punto di vendita di Rozzano (Mi) si è aggiunto quellodi Rescaldina (Mi) e una terza apertura è programmata per laprimavera del 2017. «Ci occupiamo – spiega il direttore ge-nerale Marco Montemerlo – di prodotti e accessori per la ca-sa. La particolarità è che lo facciamo partendo da tre passionifondamentali. La prima è l’italianità della cucina, un momen-to di emozione e di condivisione molto forte e insito nella no-stra cultura come la passione per il bello, che ci vede impe-gnati a costruire un’offerta in grado di trasferire questo mood

negli ambienti domestici. Infine, la terza passione è la creati-vità, che nella casa è per lo più legata al mondo della donna.La nostra clientela infatti è composta per circa il 90% da don-ne attive di età tra i 25 e i 60 anni. Zodio ha declinato questotarget in base allo stile, al budget disponibile e, in sostanza,alla fase della vita in cui si trova». Il progetto si basa sullacreazione di una sorta di filiera della passione e della compe-tenza che vede addetti e clienti parte di una stessa comunità.«Ogni nostro collaboratore - spiega Montemerlo - è amba-sciatore di quello che vende. Nei diversi reparti ci sono le fo-tografie degli addetti che raccontano in che cosa sono specia-li, quale è la loro passione e in che cosa sono riconosciuti acasa loro e nel loro quartiere. Inoltre, con i nostri clienti piùappassionati instauriamo una relazione e un rapporto di fidu-cia così profondo da indurli ad aprirci letteralmente le porte dicasa loro. Sanno che così ci aiutano a costruire, partendo dalloro punto di vista, piccoli pezzi del negozio, che sia l’offer-ta, un servizio o parti del layout. E proprio basandoci sul-l’adattamento di esperienze dei clienti abbiamo costruito, peresempio, una gamma di cestini di design che tiene conto ditutto quel pezzo di vita che capita nel sotto lavello, nei balco-ni o nei terrazzi». Ogni settimana Zodio propone un fitto ca-lendario di eventi. «Nell’atelier cucina organizziamo da 4 a 6corsi di cucina e il venerdì e il sabato si svolgono 7 eventi didegustazione, di dimostrazione e di savoir faire di oggetti. In-fine, organizziamo annualmente grandi vendite private. Dalle18 in poi il negozio è aperto esclusivamente ai clienti dellacommunity ai quali offriamo un’esperienza di commercio lu-dico». Nel futuro Zodio vuole aiutare i clienti a diventaresempre più veri e propri “makers” in negozio di prodotti crea-ti e realizzati da loro stessi anche attraverso l’uso di tecnolo-gie per non dare confini al concetto di personalizzazione .«Nel mondo della casa - afferma Montemerlo - le marche nonsono importanti. Conta di più offrire i prodotti giusti per tipodi bisogno e target. In prospettiva stiamo pensando di diven-tare una piattaforma, un ecosistema aperto all’esterno, anchecon forme di sharing econonomy. Il che significa aprire ancheal making fatto da terze persone, ma nelle nostre superfici econ nostra competenza. Il punto di arrivo è offrire non il pro-dotto, ma il mezzo e la conoscenza per arrivare a esso».

AUTOGRIILL: LA SEGMENTAZIONE PER TRIBÙ Autogrill è il primo operatore al mondo nei servizi di risto-razione per chi viaggia. Presente in 31 Paesi con oltre 57.000dipendenti, gestisce circa 4.200 punti vendita in circa 1.000location. Alessandra De Gaetano, group concepts directorha spiegato che a consentire al Gruppo di continuare a cre-scere nonostante la crisi è stata la capacità «di riconsiderare lapropria posizione alla luce dei cambiamenti proposti dal

I partecipanti alla tavola rotondaazienda

TradeLab - IulmAutogrillBT ItaliaCamstIGDMulti ItalyPam PanoramaZodio

funzionePresidente - Docente Marketing e Retail Group Concepts DirectorHead of Industry Solutions Sales SpecialistsResponsabile MarketingDirettore Generale alla GestioneMall Management DirectorMarketing ManagerDirettore Generale

nomeLuca PellegriniAlessandra De GaetanoMirko FlorindoMaria Pia LambroDaniele CàbuliFederico CimbelliCarlo FarinatiMarco MontemerloServizio fotografico: Gustavo Venturini - Servizio video: Paolo Vecchi (Phid srl)

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mercato e dai consumatori. Cisiamo subito resi conto che itradizionali strumenti di anali-si per target sociodemograficonon erano più applicabili aquesto consumatore totalmen-te volubile e non identificabi-le. Questo ci ha spinto a trova-re una nuova modalità di seg-mentare in base alle esigenze eall’esperienza nel momentodel viaggio. Siamo così arriva-ti a definire 6 tribù in cui l’ap-partenenza è data dal momen-to in cui si trova il consumato-re, ma soprattutto, a costruirenuovi format di offerta, chesoprattutto nel caso di Villore-si e di Bistrot hanno avuto grande successo». Oggi Autogrillha in portafoglio oltre 300 brand. Alcuni sono in franchising,perché, sottolinea De Gaetano, «quando rispondono alle esi-genze dei nostri clienti, per noi non è un problema gestire larelazione con il cliente con format di altre aziende». Vero ele-mento innovativo della strategia Autogrill è l’implementazio-ne di tecnologie digitali che ha portato a creare una struttura adhoc che si occupa anche del coordinamento di progetti a livel-lo globale: «Le opportunità offerta dal digitale sono davverotantissime. In primo luogo permette di rafforzare, orientare osupportare il brand. Nel nostro caso la costruzione del brandriguarda Autogrill, ma soprattutto i format con i quali ci pro-poniamo. Inoltre, e questo è forse l’aspetto più qualificante,consente di dialogare con il cliente durante tutta la customerjourney e apre la strada all’introduzione di nuovi servizi. Miriferisco per esempio alle nuove modalità di pagamento. È diquesti giorni la notizia dell’accordo con PayPal per abilitare ilpagamento via smartphone su tutti i nostri punti di vendita. In-fine, nell’area di back end la digitalizzazione dei processi con-sente di velocizzarli ed efficientarli e di contenere i costi». Giàdallo scorso luglio è attiva l’app MyAutogrill «che ci consen-tirà di dialogare costantemente con il consumatore e proporredelle promozioni – afferma De Gaetano –. Da questa app ciaspettiamo soprattutto risultati in termini di fidelizzazione». Equesto perché, rispetto ai precedenti tentativi di carta fedeltà,«ci consente di superare i problemi di triangolazione dei dati,molto forti in un business in concessione come il nostro, e ciabilita a interagire direttamente con il potenziale cliente dalmomento in cui inizia a programmare il viaggio fino a dopoche la sosta è stata effettuata. Questo ci aiuterà a garantirgliuna risposta migliore anche a livello di dimensionamento delservizio di ristorazione. D’altra parte PayPal sarà attivo comeservizio inserito tra le funzioni della nostra app».

BT ITALIA: CENTRALI SUPPLY CHAIN E CRM Oltre che ricoprire la carica di head of industry solutionsche da due anni include un team dedicato di R&D in BT Ita-lia, Mirko Florindo è anche nel Board del Global Retail Pro-gram che ha raggruppato i team verticali esistenti nei 196Paesi in cui il gruppo è presente con l’obiettivo di cogliere einterpretare al meglio le istanze della clientela sul fronte del-la digitalizzazione. «L’idea – ha spiegato – è quella di portarea fattor comune le attività progettuali richieste dai singoliclienti». Il retail si muove sempre di più in un’ottica di omni-canalità. In questo contesto «la supply chain è un elemento

chiave, perché il problemanon è la disponibilità del pro-dotto, che c’è per definizione,ma piuttosto il sapere sempredove esattamente si trova.Una gestione ottimale dellasupply chain non solo garanti-sce la disponibilità di questodato, ma apre anche la stradaa quell’ottimizzazione dei co-sti di spedizione che in futurodiventerà sempre di più unakiller application». Florindorileva che, a differenza diquanto accade all’estero, «inItalia questa logica di ottimiz-zazione del processo di deli-very ancora non c’è. Siamo

più avanti nel digital marketing e nella comunicazione, anchese forse un po’ in ritardo nello sviluppo dei progetti one toone». Una delle cause è che «nella maggior parte dei casi nelretail il CRM non raccoglie tutte le informazioni che potreb-be collezionare». E questo nonostante la percentuale di ac-quisti collegati alla carta fidelity sia altissima: tra l’80 e il95%. «Chi di voi ha mai ricevuto un messaggino in cui l’in-segna della gdo di cui ha la carta gli segnala quanti punti man-cano al raggiungimento di un premio e, magari, prova a farepush proponendo un’offerta specifica?», è la domanda a ri-sposta chiusa di Florindo. Questo ritardo nel consolidare ilrapporto con il consumatore potrebbe costare caro al retailtradizionale visto che «chi è partito dal digital con un buon li-vello di successo sta dimostrando di saper trovare dei model-li di business efficaci ed efficienti per entrare nel fisico. Unsolo accordo commerciale è sufficiente per avere istantanea-mente 1.000 punti di vendita con in più il vantaggio della va-riabilizzazione dei costi, visto che non sono di sua proprietà.Quello che si osserva è che chi ha bisogno di stimolare il traf-fico è più propenso a legarsi a processi di collect. Tra gli altriqualcuno comincia a dire “la mia rete ha un valore. Per usar-la devi riconoscermi un fee”». Parallelamente a questo, per ilretail si vanno evidenziando i segnali di un rischio disinter-mediazione. «I vendor hanno sempre fatto attività di brandawareness; la differenza è che prima non era concepibile unaloyalty card abbinata a un vendor. Oggi all’estero ce ne sonogià molte digitali e fisiche. Questo dovrebbe far pensare, per-ché di fatto si arriva oltre alla creazione del brand: si arriva al-la potenziale disintermediazione del canale dove l’utente ac-quista. In passato già Nokia aveva provato a identificare ilproprio cliente finale per averne poi un rapporto diretto, manon ci riuscì. Allora furono forse un po’ troppo precursori.Oggi questo è uno dei temi principali».

PAM: IL VALORE DELLA PRESELEZIONEPam Panorama ha 135 punti di vendita tra cui 94 sono su-permercati con una superficie media di circa 1.200 mq. «Par-liamo di un format di prossimità – ha affermato Carlo Fari-nati, marketing manager di Pam Panorama – con una fre-quenza di spesa sopra le 2 visite a settimana». Oggi nel mon-do del grocery e dei freschi si registra la nascita di speciali-sti. Il lavoro che Pam sta facendo da tempo è fondato «sullacapacità di preselezionare. E, quindi, di capire esattamentequali sono le esigenze della clientela in modo da proporre, nelgrocery, un’equilibrata e corretta selezione di marche proprie

Da sinistra, Marco Montemerlo (Zodio), Alessandra De Gaetano(Autogrill) e Luca Pellegrini (TradeLab - Iulm).

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e industriali e, nei freschi,un livello di qualità che puòvenire solo da un’esperien-za di decenni». E propriosul mestiere di selezionato-ri di prodotti di qualità èstata incentrata una campa-gna nella quale si raccontain diversi filmati attraversolo sguardo del selezionato-re alcuni dei momenti diquesti esperti di prodotto,che Pam «ha diffuso sulweb e nei punti di vendita.In questi ultimi due anninei nostri ipermercati ab-biamo organizzato dei Ma-ster del fresco per dimo-strare che qualsiasi processo, per quanto industrializzato, inrealtà richiede solide esperienze e competenze, in particolarenei reparti freschi». La sfida per un format di prossimità è svi-luppare un approccio al proprio bacino di utenza che gli con-senta di conquistare la maggiore quota di spesa. Per «riuscirea sviluppare un’offerta capace di soddisfare una clientela cheesprime molteplici bisogni e ha modelli di alimentazione emodalità di consumo sempre più variegati, una lettura più ar-ticolata del consumatore diventa fondamentale». Pam è statatra le prime a strutturarsi per acquisire e leggere il dato. Que-sto le ha consentito di arrivare a disporre, spiega Farinati, «diun CRM che vede la carta fidelity al 70% di penetrazione. Sucirca 1,5 milioni di carte attive oltre 1 milione ha espresso ilconsenso anche all’interazione con delle proposte commer-ciali, consentendoci di segmentare la clientela tenendo contodei consumi e delle modalità di acquisto in modo da fornire ri-sposte precise in termini di reward e di proposte promoziona-li e di ingaggio dei clienti e di erogare benefici molto più con-creti e mirati rispetto ad alcuni anni fa, basati sulle abitudini diacquisto». Uno degli strumenti con cui Pam ha provato a crea-re nuove meccaniche di promozione è lo smartphone: «Da cir-ca un anno e mezzo abbiamo avviato una collaborazionecon DoveConviene, una app da più di 8 milioni di utenti inItalia. Ci ha convinto che sarebbe stato un buon canale il fattoche moltissime persone, i dati sono certificati, vadano alla ri-cerca di offerte con tempi di visualizzazione delle pagine e deiprodotti di un certo tipo». E questo dopo una diffidenza lega-ta non tanto alla possibilità di confronto o all’esporsi, quantoal tema della sostituzione o meno del costosissimo volantinocartaceo, «un’analisi più puntuale del bacino e l’individuazio-ne delle zone più o meno interessanti in termini di ritorno sul-la spesa ci ha permesso di ridurre il numero delle copie distri-buite: ne stampiamo tra i 2,5 e i 3,4 milioni ogni 10 o 14 gior-ni». In prospettiva, per Farinati, «potrebbe essere utile anchedare la possibilità di scaricare dai volantini dei contenuti extramultimediali sul proprio smartphone a chi vuole capire qual-cosa di più del prodotto o del fornitore».

IGD: RIMODULARE SPAZI E ASSORTIMENTO Fanno capo a Igd 21 centri commerciali distribuiti in 11 re-gioni. «La dimensione media – ha spiegato Daniele Càbuli,direttore generale alla gestione di Igd - è pari a un numero dinegozi che oscilla tra i 50 e i 60. Naturalmente ci sono le ec-cezioni, come il Centro Sarca a Milano, il Centro Com-merciale Tiburtino (Guidonia) a Roma e Forlì, dove ci sono

tra i 90 e i 120 punti di vendi-ta. Il confronto fra noi e i retai-ler si sviluppa essenzialmentesull’affitto degli spazi, sui re-lativi canoni e sulle spese digestione. Le occasioni in cuiabbiamo visibilità delle strate-gie marketing che fanno capoalle aziende sono davvero po-che e nostro compito è anchequello di rendere loro un ser-vizio relativamente al marke-ting della galleria commercia-le. Per esempio, in questa otti-ca si pone il servizio Prenota eRitira appena partito al Cen-tro Esp di Ravenna e al qualehanno aderito circa 40 nego-

zi». Càbuli è convinto «che oggi potrebbe forse essere utileestendere lo scambio di informazioni anche alle politichemarketing delle aziende in modo da avere una visione comu-ne». E questo perché negli ultimi anni «abbiamo assistito amolti e significativi cambiamenti, la crisi degli ipermercati,iniziata 12 anni fa e ancora in corso, e su tutto la crisi econo-mica. I consumi sono fortemente calati negli ultimi annie, nonostante l’afflusso ai centri commerciali abbia nel tem-po tenuto, siamo stati costretti a rivedere la i rapporti com-merciali con i nostri tenant ridefinendo di conseguenza, ri-spetto agli anni pre-crisi, le redditività al metro quadro. Infi-ne l’e-commerce, che per noi è una minaccia, anche se dob-biamo cercare di capire come trasformarla, equilibrarla e far-la diventare un’opportunità». Le ripercussioni della rivoluzio-ne multicanale dei retailer sulle meccaniche contrattuali sonogià evidenti: «È già capitato che ci chiedessero di escludere levendite on line dal fatturato per il variabile», riconosce Càbu-li, prima di elencare le 4 aree di intervento individuate da Igdper adeguare il centro commerciale ai nuovi scenari creatidall’omnicanalità, «rimodulazione degli spazi e del mix mer-ceologico, innovazione tecnologica e socialità. Nelle nostreattività di ristrutturazione e di refurbishment abbiamo comin-ciato a prevedere interventi atti a rendere più flessibile lastruttura in modo da poter, per esempio, rimodulare i singolilocali a seconda delle necessità. Si tratta, però, di interventicostosi. Quello appena realizzato al Centro Sarca di Milano,per esempio, ha richiesto un investimento di circa 11 milionidi euro». La modifica del mix merceologico passa attraversol’apertura ad attività non coperte dall’e-commerce. «Stiamolavorando – ha affermato Càbuli - per dare più spazio ai ser-vizi, agli studi dentistici o medici, ai poliambulatori e alla ri-storazione. Il problema, e la sfida, riguarda la ricerca di unnuovo equilibrio economico dato dall’inserimento di un mag-gior numero di attività (servizi) in grado di sostenere canoniinferiori alla media». Innovazioni come l’introduzione delwi-fi su tutti i centri commerciali sono ormai un must; insie-me agli eventi e alla socialità contribuiscono a trasmettere «achi lo frequenta la sensazione di trovarsi in una piazza, in unquartiere dove può vivere un momento piacevole al di là del-lo shopping o dell’usufruibilità del servizio offerto».

MULTI ITALY: I VANTAGGI DEL DIGITALEMulti Italy è un’azienda leader nella gestione, sviluppo eproprietà di centri commerciali di alta qualità in tutta Europae Turchia che, spiega Federico Cimbelli, mall management

Da sinistra, Mirko Florindo (BT Italia), Marco Montemerlo (Zodio) eAlessandra De Gaetano (Autogrill).

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director, «in Italia è presentecon 8 centri commerciali, perun valore di circa 600 milionidi euro e circa 600 punti di ven-dita». E proprio l’esperienzamaturata in questo ambito por-ta Cimbelli ad affermare cheper favorire il dialogo tra «re-tailer e operatori del settore an-che nella fase post contrattua-le», potrebbe essere utile mu-tuare dagli outlet che, notoria-mente, «hanno una comparteci-pazione nell’attività e nel busi-ness con i retailer, la figura delretail manager che a mio pareredovrebbe essere introdotta al-meno nei centri di fascia alta. La sua funzione è quella di rap-presentare la proprietà presso i retailer che gli riconoscono lafunzione di intervenire per dettare alcune politiche nell’inte-resse comune». Il suo ruolo potrebbe rivelarsi fondamentalein un momento in cui i centri commerciali «stanno cercandodi conciliare la necessità di andare verso una diversificazionecon quella di polarizzarsi su alcuni generatori di traffico, co-me H&M o Zara che, anche se hanno cominciato a lavoraresul digitale, stanno comunque aumentando lo spazio fisico co-me testimonia il caso Valecenter, centro commerciale leaderin provincia di Venezia gestito da Multi». Per Cimbelli questoè un segnale da non sottovalutare visto che «per citare unesempio fra i tanti, quando in America Gap ha eliminato glispazi fisici ha visto contemporaneamente calare drasticamen-te le vendite on line». La sua convinzione è che «si debba lavorare in parallelo contutte le opportunità offerte dal digitale». Un’ipotesi potrebbeessere quella di affiancare al centro commerciale anche unavetrina virtuale, come ha già fatto, per esempio, Westfield ne-gli USA. «Va da sé – ha precisato Cimbelli –, che nel contrat-to deve essere inserito l’obbligo per il retailer di popolare an-che il negozio on line. L’opportunità è data dal fatto che, men-tre il centro commerciale fisico è composto da 200 brand, ilnegozio on line può arrivare anche a includere le start up o lepiccole attività di nicchia che diversamente non sono presen-ti». Come altri player del settore, anche Multy Italy ha sceltodi intraprendere un’attività di trasformazione dei propri centriche tra le prime misure ha previsto la revisione degli spazi edel mix merceologico. «I centri commerciali – ha spiegatoCimbelli – vanno ridisegnati per mettersi in condizione di te-nere conto dei cambiamenti dimensionali dei retailer e con-temporaneamente cogliere le opportunità che in questo mo-mento sono offerte dai temporarys store e in generale dalle at-tività di temporary legate al mondo del food, come per esem-pio il food track». Il problema è che la scalabilità dei progettirisulta fortemente inficiata dalla «necessità di confrontarsicon l’infinita varietà di leggi e ordinanze regionali e comuna-li e con l’elevato livello di discrezionalità concesso ai refe-renti operanti nei diversi comuni italiani». Questa situazione influenza anche la capacità dei centricommerciali di competere con i pure player che «per ovvimotivi non sono costretti a gestire situazioni di questo tipo».

CAMST: RIVISITARE L’ESPERIENZA IN STORE«Camst – esordisce Maria Pia Lambro, responsabilemarketing – opera nei due mercati della ristorazione collettiva

e commerciale, che rappresen-tano rispettivamente circal’80% e il 20% del giro di affa-ri annuo, pari a circa 500 mi-lioni di euro». Anche se è stato impattatopiù degli altri dalla crisi cheha colpito diversi settori delbusiness, il segmento della ri-storazione aziendale restamolto importante per Camst,che lo presidia con un ampioventaglio di proposte che spa-zia dal ristorante gestito in lo-co fino alla consegna presso ilcliente anche di singole por-zioni. Il gruppo Camst è una

cooperativa in cui i circa 13.000 dipendenti sono per il 70%anche soci. «Per questo motivo – prosegue Lambro – il coin-volgimento anche personale nella gestione dell’attività èsempre stato molto molto elevato, come dimostra il fatto che,a un certo punto, avevamo 150 esercizi che proponevano cir-ca 150 menù diversi. Negli ultimi quattro o cinque anni ab-biamo cercato di porre le basi per passare a una vera gestio-ne a catena che, ovviamente, partisse dall’uniformità dei pro-cessi prima ancora che del marketing. In particolare, lo sfor-zo più importante è stato quello di cercare di conservare alnostro business la caratteristica della personalizzazione del-l’assortimento, andando contemporaneamente a implemen-tare un processo di ingegnerizzazione per uniformare le pro-poste dei ristoranti, partendo dall’analisi della tipologia dibisogno servito». Il che ha voluto dire, per esempio, distin-guere tra location destinate al pubblico multi funzione tipicodei centri commerciali e quelle che hanno come funzioned’uso specifica la pausa pranzo. Appartengono a questa se-conda categoria i circa 50 self service a insegna Tavolamica. «Nell’ultimo anno abbiamo cominciato a rivedere questoformat con l’obiettivo di rinnovare l’esperienza in store di unpubblico che non acquista, ma consuma quotidianamente instore e che ha un tempo medio di permanenza compreso tra i35 e i 40 minuti. In questa rivisitazione abbiamo implementa-to soluzioni di digital signage che hanno sostituito tutta la co-municazione interna e sono state individuate come funziona-li al percorso di acquisizione di informazioni sul menù da par-te del cliente. Questa era una priorità emersa nell’ambito del-l’indagine di customer satisfaction condotta preventivamentecon l’obiettivo di segmentare gli stili alimentari di un targetprevalentemente maschile come il nostro. La relazione con il cliente prosegue anche fuori dal loca-le attraverso l’App Tavolamica che permette di consultare imenu della settimana e le relative informazioni nutrizionali». Il digital signage è stato utilizzato anche nel format Dal1945 Gustavo Italiano lanciato lo scorso anno in occasionedei settanta anni di Camst. «Si tratta - spiega Lambro - di unmarchio ombrello che si ispira ai valori della tradizione e ge-nuinità e al quale fanno riferimento diversi formati del seg-mento della ristorazione commerciale. In questo caso, stanteil diverso tipo di fruizione da parte del consumatore, tutta lacomunicazione di prodotto viene fatta utilizzando il digital si-gnage. Stiamo anche sperimentando una profilazione del-l’utenza attraverso il riconoscimento automatico del profilodell’utente nel pieno rispetto della privacy che, tra l’altro, ciconsente di acquisire informazioni su quante persone si avvi-cinano al locale». �

CONSUMATORI

Da sinistra, Carlo Farinati (Pam Panorama), Daniele Càbuli (IGD),Federico Cimbelli (Multi Italy) e Maria Pia Lambrano (Camst).

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