LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016 ......parti e una sintetica valutazione...

172
1 LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016 Avv. Marco Sgroi 1. Nozioni generali. La cornice giuridica nel processo civile (ordinario di cognizione) – una breve rassegna delle principali norme regolatrici (2). 2. La CTU deducente e la CTU percipiente (7). 3. Le situazioni successive al deposito. Le cause di nullità della relazione del CTU (9). 4. La responsabilità / Le responsabilità del CTU. Le sanzioni (45). 5. La risoluzione di questioni insorte nello svolgimento della CTU – l’intervento del giudice (69). 6. La valutazione della CTU da parte del giudice (75). 7. Le perizie di parte e le perizie stragiudiziali (cenni) (80). 8. Le altre sedi in cui può essere svolta una CTU (una brevissima panoramica) (88). 9. L’intervento dell’Esperto nel processo di esecuzione. Brevi cenni sulle principali novità introdotte dalla L. 132/2015 (111). 10. I compensi spettanti al CTU. La normativa (148). 11. I compensi spettanti all’Esperto per l’attività svolta nel processo esecutivo (novità introdotte dalla L. 132/2015) (165). S S t t u u d d i i o o L L e e g g a a l l e e A A s s s s o o c c i i a a t t o o S S G G R R O O I I & & F F R R A A Z Z Z Z I I N N I I - - Via Giuseppe Ferrari, 4 - 00195 Roma Tel. 06.4542.8181-06.4542.6391 - F ax 06.3260.9614 [email protected] - [email protected]

Transcript of LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016 ......parti e una sintetica valutazione...

  • 1

    LA C.T.U. - GLI ASPETTI GIURIDICI Viterbo, 20 maggio 2016

    Avv. Marco Sgroi

    1. Nozioni generali. La cornice giuridica nel processo civile

    (ordinario di cognizione) – una breve rassegna delle principali norme regolatrici (2).

    2. La CTU deducente e la CTU percipiente (7).

    3. Le situazioni successive al deposito. Le cause di nullità della relazione del CTU (9).

    4. La responsabilità / Le responsabilità del CTU. Le sanzioni (45).

    5. La risoluzione di questioni insorte nello svolgimento della CTU – l’intervento del giudice (69).

    6. La valutazione della CTU da parte del giudice (75).

    7. Le perizie di parte e le perizie stragiudiziali (cenni) (80).

    8. Le altre sedi in cui può essere svolta una CTU (una brevissima panoramica) (88).

    9. L’intervento dell’Esperto nel processo di esecuzione. Brevi cenni sulle principali novità introdotte dalla L. 132/2015 (111).

    10. I compensi spettanti al CTU. La normativa (148).

    11. I compensi spettanti all’Esperto per l’attività svolta nel processo esecutivo (novità introdotte dalla L. 132/2015) (165).

    SSttuuddiioo LLeeggaallee AAssssoocciiaattoo SSGGRROOII && FFRRAAZZZZIINNII -- Via G iu seppe Fe r r a r i , 4 - 00195 Roma

    Tel. 06.4542.8181-06.4542.6391 - Fax 06.3260.9614 – info@sgroifrazzini . i t - marcosgroi@sgroifrazz ini . i t

  • 2

    1. NOZIONI GENERALI: un po’ di “architettura” normativa. Come avremo modo di vedere, la disciplina della CTU in sede civilistica costituisce una sorta di paradigma ove sono espressi dei principi applicabili anche altrove, in contesti processuali differenti. I riferimenti normativi principali sono contenuti nella parte dedicata al processo ordinario di cognizione. Non che il legislatore processuale sia stato prodigo. Nel codice di rito le norme in tema di Consulenza tecnica d’ufficio non sono in effetti molte. Si tratta:

    • degli artt. 61-64: siamo nella parte delle “Disposizioni generali” sul processo civile, che si occupa di definire il “profilo” disciplinare degli organi giudiziari e, in particolare, degli “ausiliari” del Giudice; in questi articoli si introduce nello specifico la figura del CTU (61), si spiega sinteticamente cosa fa (62) e si danno indicazioni – diciamo così - sullo status di CTU e sulle possibilità di ricusazione (63), nonché sulla responsabilità civile e penale (64);

    • degli 191-201: questi articoli dettano norme che potremmo definire “operative” (con riferimento alla nomina, al giuramento, alle modalità di astensione e di ricusazione, alle attività, alle modalità di documentazione dell’attività ecc.); l’art. 201 si occupa del Consulente tecnico di parte (CTP).

    • degli articoli 696 e 696bis: qui “l’ambiente” è quello dei procedimenti speciali (si è dunque fuori dal contesto del processo ordinario) e, segnatamente, quello dei cd. procedimenti di “istruzione preventiva” connotati da esigenze di urgenza (696) ovvero di finalità di composizione di una lite (696bis).

  • 3

    UN “OCCHIO” ALLE DISPOSIZIONI D’ATTUAZIONE: Altre norme sono poi collocate fra le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (artt. 13-23, 89-92). Il fatto che alcune norme siano nelle disposizioni d’attuazione non ne sminuisce l’importanza. Tutt’altro. Tali disposizioni non vanno assolutamente trascurate. Gli art. 13 – 19 danno le indicazioni imprescindibili per diventare CTU (albo, formazione, iscrizione ecc.). Gli artt. 19 – 21 si occupano della disciplina, del procedimento disciplinare e delle sanzioni. Gli artt. 22- 23 trattano della distribuzione degli incarichi e della vigilanza sulla distribuzione. Gli artt. 89-92 dettano importanti norme operative.

  • 4

    Chiariti preliminarmente quali siano i principali riferimenti normativi all’interno del codice, cominciamo ad occuparci della “sostanza”.

    COSA È UNA CTU? Certo, la domanda può apparire banale e/o superflua. E forse, almeno in parte, lo è. Proviamo però a non banalizzare (troppo) la risposta. Anzitutto possiamo dire: la CTU è UN PROCEDIMENTO NEL PROCEDIMENTO Dal punto di vista del rito, possiamo poi aggiungere una notazione: la CTU costituisce UN SUB PROCEDIMENTO DI CARATTERE TECNICO, intendendosi con il termine “tecnico” il fatto che esso sarà condotto, nel merito, alla luce di quella particolare “tecnica” alla quale il giudice avrà ritenuto di ricorrere per aver ausilio nella decisione. Tale sotto-procedimento si inserisce nel contesto del procedimento “principale” (quello che, in senso stretto, è il “processo” instaurato dall’attore). È però utile sottolineare che tutto ciò (: il sub procedimento) si svolge soltanto in seguito alla decisione del giudice che abbia ritenuto l’intervento di un siffatto ausiliario utile ed opportuno.

  • 5

    “QUANDO” LA CTU?

    Al CTU il giudice stesso fa ricorso per integrare le proprie conoscenze nell’attività di VALUTAZIONE e APPREZZAMENTO delle prove che le parti HANNO GIÀ OFFERTO. Abbiamo detto prima che l’art. 61 c.p.c. definisce la figura ed il ruolo del Consulente tecnico nel processo. “Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.

    La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma

    delle disposizioni di attuazione al presente codice”. Egli è dunque un ausiliario del giudice, dotato di particolare competenza tecnica, al quale il giudice può ricorrere “quando è necessario”. Diamo una minima notazione marcatamente processualistica (non me ne vogliate; qua e là sarà necessario, ma cercherò di non enfatizzare). La CTU rientra nella piena disponibilità, anche temporale, del giudice. Essendo nella piena disponibilità del giudice, è anche vero che la sua eventuale sollecitazione ad opera delle parti non è soggetta ai termini di preclusione previsti per le attività istruttorie delle parti del giudizio (attore, convenuto, terzi intervenuti). Il corollario è che le parti potranno proporre (ed, eventualmente, riproporre) la relativa istanza fino alla fine del giudizio.

  • 6

    DOVREBBE A QUESTO PUNTO ESSERE CHIARO IL MOTIVO PER IL QUALE LA CTU NON VENGA CONSIDERATA TECNICAMENTE UN “MEZZO DI PROVA”. Il “mezzo di prova” è infatti quello strumento che, dal punto di vista processuale, è a disposizione delle parti. E rientra nella scelta difensiva della parte proporlo o meno (in gergo si dice, più propriamente, “articolare”) purché tempestivamente (entro determinati termini). Come detto, così invece non è per la CTU, anche se normalmente sono le parti a segnalarne al Giudice l’esigenza. D’altra parte è innegabile che la CTU rientri nondimeno tra i mezzi istruttori. È infatti un “mezzo” per la VALUTAZIONE e APPREZZAMENTO delle prove che le parti HANNO GIÀ offerto. Dal punto di vista sistematico, ciò trova conferma nel fatto che, in sede di disciplina operativa, la regolamentazione della CTU sia contenuta negli articoli 191-201 c.p.c. che è la “sezione” dedicata alla “istruzione probatoria”. In ogni caso, la CTU resta quindi uno/lo strumento che consente al giudice di acquisire un bagaglio di conoscenze ed esperienze tecniche che sfuggono all’ordinaria preparazione di un magistrato nella valutazione delle prove che le parti hanno già offerto. Tutto questo parlare della CTU che non è nella disponibilità delle parti serve anche a sottolineare il perché la CTU non possa essere utilizzata dalle parti come via alternativa rispetto all’assolvimento dell’onere probatorio, che è il principio su cui si fonda il processo civile ed è espresso all’art. 2697 c.c., a mente del quale: “Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

  • 7

    ATTENZIONE PERÒ A QUANTO SEGUE

    2. TIPI DI CTU Occorre distinguere La cd CTU deducente, che è un mezzo di valutazione di dati e/o fatti già acquisiti al processo ed è eseguita dopo lo svolgimento delle prove propriamente dette. È questa il linea di massima la CTU di cui abbiamo parlato finora. La cd CTU percipiente, che si ha quando al consulente sia demandato l’accertamento di fatti determinabili solo con ricorso a specifiche cognizioni tecniche. Il fatto che sia ammissibile la CTU Percipiente sembrerebbe smentire quanto detto sul fatto che essa sia un mezzo di valutazione e apprezzamento delle prove che le parti hanno già offerto. Ma non è così e occorre intendere il perché, anche per tentare di definire meglio i confini ed i limiti dell’attività di “percezione” demandata in tali casi al CTU.

  • 8

    LA CTU “PERCIPIENTE” Anzitutto deve dirsi che la CTU “percipiente” è ammessa in casi e contesti processuali particolari. (Alcuni esempi: perizia medico-legale per verificare gli stati di incapacità; perizia per verificare la sussistenza di determinati requisiti necessari per la corresponsione di prestazioni previdenziali; perizia genetica nelle cause di riconoscimento e disconoscimento di paternità; perizia grafologica per verificare l’autografia di una firma; perizia in appalto e vendita, per quantificare il minor valore del bene a seguito della presenza di vizi; perizia in materia di esame bilancio o risultanze bancarie; perizia in tema di immissioni). In generale, si può dire che la CTU finisce per costituire una vera e propria fonte di prova se il fatto non sia percepibile nella sua intrinseca natura se non attraverso cognizioni o strumentazioni tecniche che il giudice non possiede (Cass. 20695/2013). Anche in caso di CTU percipiente, la parte NON si può tuttavia sottrarre all’onere probatorio rimettendosi in toto all’accertamento svolto dal consulente. È infatti necessario che quantomeno vengano dedotte le circostanze e gli elementi specifici posti a fondamento del diritto azionato (Cass. nn. 1181/2014, 26151/2011, 3130/2011, 6155/2009, 24620/2007): la CTU non può infatti mai risolversi nell’accertamento di fatti che non sono stati nemmeno affermati ed allegati in giudizio a sostegno delle proprie domande ed eccezioni.

  • 9

    3. LE SITUAZIONI SUCCESSIVE AL DEPOSITO E LE CAUSE DI NULLITÀ DELLA RELAZIONE DEL CTU.

    Successivamente al deposito della relazione possono verificarsi talune situazioni che sono, in linea di massima, connesse alla qualità della relazione ed alla qualità dell’operato del CTU

    In conseguenza il CTU può anche essere chiamato a rispondere personalmente (ma sul punto, si tornerà avanti).

    Vediamo cosa può accadere, a grandi linee:

    A) si possono chiedere CHIARIMENTI, convocando il CTU all’uopo ad un’apposita udienza;

    B) può essere chiesto un SUPPLEMENTO DI PERIZIA;

    C) si può chiedere la RINNOVAZIONE delle indagini;

    D) possono esser contestate delle mancanze tali da chiedere la SOSTITUZIONE del CTU;

    E) può essere contestato al CTU il compimento di attività non conformi a quanto previsto dalle norme, evidenziando la NULLITÀ della perizia.

  • 10

    I CHIARIMENTI

    Rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la possibilità di richiedere chiarimenti al Consulente.

    I chiarimenti possono essere resi per iscritto.

    Quello che però più frequentemente accade è che anzitutto sia chiesto al CTU di rendere i chiarimenti nel contraddittorio con le parti, convocandolo ad un’apposita udienza.

    In proposito ricordiamo che

    • l’art. 194 c.p.c. prevede che il CTU “assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice”;

    • l’art. 197 c.p.c. stabilisce che il Presidente del Collegio decidente può convocare il CTU “quando lo ritiene opportuno”. Ovviamente, in caso di controversie a decisione monocratica, a convocarlo è il Giudice Unico.

    Motivi della richiesta:

    • quando il giudice ritenga che la relazione peritale non abbia risposto adeguatamente ai quesiti posti;

    • quando risulti necessario chiarire o approfondire certi aspetti o circostanze che lo stesso CTU non ha sviluppato in maniera adeguata o ha trascurato nell’elaborazione della relazione.

  • 11

    L’esigenza di chiarimenti è normalmente rappresentata delle parti, magari per strategia processuale.

    La “procedimentalizzazione” del processo di elaborazione della CTU ha tuttavia ridotto drasticamente la possibilità che la richiesta di chiarimenti sia animata da intento dilatorio.

    Il Legislatore del 2009 ha infatti introdotto il 3° co. dell’art. 195 c.p.c. ove si stabilisce che

    la relazione debba essere “trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all’udienza di cui all’articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il

    quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla

    successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle

    parti e una sintetica valutazione sulle stesse”.

    Prima che sia depositata la relazione definitiva, deve dunque svilupparsi un contraddittorio tecnico.

    Il CTU deve trasmettere la consulenza alle parti costituite (a mio avviso, sicuramente agli avvocati). Va bene ogni forma di comunicazione che garantisca la possibilità di provare la conoscenza legale. In caso siano stati nominati dei CTP, la si può inviare a costoro, previo accordo.

    Al fine di evitare contestazioni, qualora siano ad esempio sorte questioni inerenti alla regolarità della nomina di uno dei CTP, è preferibile inviare comunque la relazione ai procuratori o, se proprio si vuole, inviarla a tutti e due. Nell’epoca delle PEC questo non dovrebbe costituire certo un onere insostenibile.

    NB: Se al Consulente d’Ufficio sono stati richiesti chiarimenti da fornire per iscritto, senza convocazione all’udienza, e tali chiarimenti siano relativi all’indagine già espletata che non comportino l’acquisizione di ulteriori nuovi dati o elementi di valutazione, il Consulente non è tenuto all’obbligo di comunicazione alle Parti, dato che l’art. 90, disp. att. c.p.c. esige questo adempimento (in linea di massima) solo con riferimento all’inizio delle attività peritali.

  • 12

    IL SUPPLEMENTO DI PERIZIA.

    È un’eventualità che può (in ipotesi) far seguito ai chiarimenti.

    Disposto il supplemento, Il CTU è chiamato a compiere ulteriori attività in risposta ad eventuali nuovi quesiti posti dal Giudice.

    Per lo svolgimento di tali attività ulteriori, nel rispetto del principio del contraddittorio, occorrerà fissare nuove riunioni o operazioni, con preventivo avviso alle Parti nella forma prevista dalla norma contenuta all’art. 90 disp. att. c.p.c.

    Riportiamo l’art. 90 disp. att. c.p.c.

    Il consulente tecnico che, a norma dell’articolo 194 del codice, è autorizzato a compiere indagini senza che

    sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni,

    con dichiarazione inserita nel processo verbale d’udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere.

    Il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di

    parte consentite dall’articolo 194 del codice.

    In ogni caso deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti defensionali.

    Suggerimento operativo: se il supplemento di perizia è stato disposto alla fine dell’udienza in cui sono stati resi i chiarimenti, conviene indicare a verbale l’inizio delle operazioni peritali supplementari ai fini della comunicazione. Si eviteranno successivi problemi di comunicazione.

  • 13

    ATTENZIONE:

    Deve essere sottolineato che

    - il supplemento NON FA maturare il diritto ad alcun ulteriore compenso per il CTU, se si imponga per chiarire lacune o inesattezze della perizia; - il supplemento IMPONE la corresponsione di un ulteriore compenso

    � se è volto ad una spiegazione del precedente giudizio tecnico, con illustrazione delle fasi e modalità dell’opera svolta e con ulteriore dispendio di attività utile all’economia della causa;

    � se comporta attività ulteriore ed estranea rispetto a quella già espletata e remunerata.

  • 14

    LA RINNOVAZIONE DELLE INDAGINI E/O LA SOSTITUZIONE DEL CTU La rinnovazione delle indagini e la sostituzione del CTU sono previste all’art. 196 c.p.c. L’art. 196 c.p.c. contiene una norma dal contenuto perentorio. Essa stabilisce che

    il giudice ha sempre la facoltà “di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico”.

    La RINNOVAZIONE delle indagini implica che le indagini siano state ultimate e che vi sia una valutazione del giudice di insufficienza dei risultati raggiunti dalla consulenza espletata ovvero di attività espletata dal CTU

    • per vizi di forma che rendono la consulenza stessa inutilizzabile;

    • per carenze negli accertamenti. È una valutazione discrezionale del giudice, insindacabile in Cassazione, se correttamente motivata.

  • 15

    La SOSTITUZIONE del consulente presuppone invece che le indagini siano ancora in corso. Essa può essere disposta in caso di comportamento inottemperante del consulente.

    Per esempio,

    • con riferimento al rispetto dei termini, ovvero

    • con riferimento all’obbligo di comunicare tempestivamente un motivo di ricusazione, ovvero

    • in caso di grave negligenza o grave imperizia dell’ausiliare (ad esempio, quando il CTU, al quale il Giudice abbia specificamente chiesto di svolgere una determinata attività per espletare l’incarico, senza giustificazione ometta di svolgere tale attività).

    Il provvedimento di sostituzione, pur rientrando tra i poteri discrezionali del giudice, deve essere adeguatamente motivato e preferibilmente preceduto dall’audizione dell’interessato. La sostituzione può discendere anche da una situazione di incompatibilità non tempestivamente rilevata. In generale, l’eventuale situazione di incompatibilità (cfr. art. 51 c.p.c.) che non venga fatta valere entro i prescritti tre giorni prima della comparizione resta definitivamente sanata e non più successivamente deducibile. La giurisprudenza fa tuttavia salva la possibilità di disporre rinnovazione dell’istruttoria o sostituzione del CTU ai sensi dell’art. 196 c.p.c. (Cass. Lav. n. 3105/2004, Cass. n. 3364/2001), anche se va sottolineato che in tali casi la rinnovazione/sostituzione non è un effetto automatico del tardivo rilevamento della situazione di incompatibilità. La giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che di regola la mancata proposizione dell’istanza di ricusazione del CTU nel termine di legge preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità: la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, non rilevando che il consulente tecnico non abbia osservato l’eventuale obbligo astensione (Cass. 12004/2009).

  • 16

    “LA” o “LE” NULLITÀ DELLA PERIZIA.

    “La” nullità o “Le” nullità.

    Successivamente al deposito della relazione possono poi verificarsi talune SITUAZIONI che, anche queste come le altre, sono connesse in linea di massima a valutazioni sulla qualità della relazione ovvero a contestazioni che ineriscono in modo specifico all’attività svolta dal CTU.

    Talune ipotesi possono condurre all’annullamento della perizia.

    Può essere utile suddividere le varie ipotesi di nullità in due macrocategorie, in base al tipo di vizio che sta alla base.

    Possono esserci

    • VIZI (cause) di tipo formale

    • VIZI (cause) di tipo sostanziale.

    La nullità può anche essere parziale e riguardare soltanto quella parte della relazione che si fonda su accertamenti/valutazioni viziate da nullità.

  • 17

    Annullamento della consulenza per cause (VIZI) FORMALI

    Le prime ipotesi riguardano l’aspetto formale dell’attività o, se vogliamo, l’esteriorità dell’atto.

    Alcuni esempi:

    - la mancanza della sottoscrizione da parte del tecnico nominato - la sottoscrizione della perizia da altro professionista e non da quello nominato - la sopravvenuta cancellazione del CTU designato dall’albo dei periti.

    L’ultimo caso, però, secondo qualcuno, non determina necessariamente nullità della consulenza, anzitutto poiché rientra nel potere del Giudice, come più volte detto, la facoltà di nominare quale consulente anche un soggetto diverso da quelli iscritti negli appositi albi istituiti presso i Tribunali.

    Ricordiamo infatti che l’art. 22, 3° co., disp. att. c.p.c. stabilisce che: “Le funzioni di consulente presso la corte d’appello sono normalmente affidate agli iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Se l’incarico è conferito ad iscritti in altri albi o a persone non iscritte in alcun albo, deve essere sentito il primo presidente e debbono

    essere indicati nel provvedimento i motivi della scelta”.

  • 18

    Secondo la tesi prevalente, l’individuazione del nominativo fatta nell’ambito degli iscritti all’albo del tribunale a cui appartiene il giudice della controversia non costituirebbe, in particolare, obbligo:

    • nel caso di nomina dell’ausiliario del giudice nelle procedure esecutive immobiliari, parlando la legge in proposito di “esperto” (cfr. artt. 568, 569 e 576 c.p.c., 173 bis disp. att. c.p.c.), non già di vero e proprio “consulente tecnico d’ufficio”;

    • nel caso di nomina dell’ausiliario del giudice nelle procedure fallimentari, sempre in ragione del disposto letterale che parla di “stimatore” (cfr. artt. 172 e 204 L.F.) e non di “consulente tecnico d’ufficio”.

    Si tratta però di situazioni caratterizzate sostanzialmente in modo diverso, visto il diverso contesto in cui le attività peritali dell’esperto e dello stimatore si inseriscono. Sia il processo esecutivo, sia la procedura fallimentare sono preordinate all’obiettivo specifico di liquidare (= rendere liquido) il patrimonio del debitore (esecuzione) e dell’imprenditore fallito (fallimento) al fine di consentire la soddisfazione dei creditori.

  • 19

    Per non incorrere in violazioni di ordine formale, di regola il CTU di regola deve:

    - prestare giuramento (ma sul punto, v. infra);

    - redigere la relazione in lingua italiana;

    - sottoscrivere la relazione;

    - controllare cha la copia da lui sottoscritta coincida perfettamente con quella da lui depositata – sia conforme, si dice.

    La terza ipotesi (conformità della copia all’originale) è stata ridimensionata con l’avvento del processo civile telematico.

    Tralasciando l’ipotesi (di per sé irrealistica - o quantomeno “limite” - della predisposizione di CTU in lingua straniera) cause formali di nullità sono della perizia sono

    • la sopravvenuta cancellazione del CTU designato dall’albo dei periti

    (in quest’ultimo caso, abbiamo appena ricordato quanto dispone l’art. 22 disp. Att. c.p.c.: non si può parlare di vera e propria automatica causa di nullità della consulenza, poiché rientra nel potere del Giudice la facoltà di nominare, motivandolo, quale consulente anche un soggetto diverso da quelli iscritti negli appositi albi istituiti presso i Tribunali. È d’altro canto possibile che la cancellazione rilevi effettivamente, ad esempio quando essa discenda come sanzione da un procedimento disciplinare);

    • il mancato giuramento Il mancato giuramento può essere eccepito anche dalla parte come vizio formale.

  • 20

    Sul mancato giuramento occorre però fare dei distinguo. La giurisprudenza ritiene infatti che il giuramento possa essere eseguito anche dopo l’espletamento dell’incarico, purché al deposito della relazione. Inoltre, anche in caso di mancanza di giuramento, non si potrebbe a stretto rigore parlare di nullità totale dal momento che, secondo un orientamento, il giudice potrebbe comunque valutare le risultanze peritali almeno come argomenti di prova atipica.

    Cos’è la prova atipica? In breve, è una prova non codificata dalla legge. Il discorso si fa più delicato per la CTU cd. percipiente. Qui al CTU è chiesto l’accertamento dei fatti e, quindi, occorrerebbe avere sicuramente un approccio più rigoroso. Ricordiamo infatti che la CTU PERCIPIENTE può costituire una vera fonte oggettiva di prova:

    • ove un fatto non sia percepibile nella sua intrinseca natura se non con cognizioni o strumentazioni tecniche che il giudice non possiede;

    • quando l’accertamento risulti di più agevole, efficace e funzionale, se l’indagine sia condotta da un ausiliario dotato di specifiche cognizioni.

  • 21

    Altre cause di nullità, sotto il profilo formale:

    - la mancata sottoscrizione o conformità delle copie all’originale della CTU depositata

    (ma un problema del genere, con l’avvento, del PCT dovrebbe essere superato)

    - La sottoscrizione della perizia da un professionista diverso dall’incaricato.

    La mancata apposizione della firma nel verbale attestante il giuramento costituisce invece mera irregolarità e non comporta alcun profilo di invalidità.

  • 22

    “ANNULLAMENTO DELLA CONSULENZA PER (VIZI) CAUSE SOSTANZIALI”

    Le cause di nullità sostanziale di regola si realizzano quando la violazione incide sul

    CONTRADDITTORIO E SUL DIRITTO ALLA DIFESA.

    Si può dire che l’intero processo civile sia improntato all’osservanza del cd. principio del contraddittorio.

    Sostanzialmente esso impone il rispetto della parità di facoltà processuali fra le parti.

    Il principio in questione ha matrice costituzionale.

    Nell’art. 111 Cost. si prevede in particolare che il processo si debba svolgere sempre nel pieno rispetto del contraddittorio tra le Parti che si presentano al Giudice, terzo imparziale (2° co.).

    Nessuna attività processuale può essere validamente eseguita se alcuna delle Parti non abbia potuto partecipare a esso in quanto non preventivamente informata.

    Nel contesto del processo civile, il principio del contraddittorio è espressamente previsto all’art. 101 c.p.c.:

    Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la

    quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.

    Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione,

    assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla

    comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.

  • 23

    La legge processuale ribadisce così il diritto alla difesa previsto a livello costituzionale all’art. 24, secondo il quale “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado di procedimento”.

    Dovendo essere rispettato dal Giudice, a maggior ragione l’osservanza del principio del contraddittorio si imporrà ovviamente anche al CTU nello svolgimento dell’attività peritale.

    Ne consegue che, quando il CTU compia le indagini peritali senza l’intervento del magistrato (cioè: nella normalità dei casi), si deve consentire alle Parti di intervenire alle operazioni di persona ovvero a mezzo dei loro difensori, ovvero di consulenti tecnici (di parte, appunto) se nominati nel rispetto di quanto previsto all’art. 201, c.p.c., al fine di poter formulare osservazioni, richieste o presentare memorie ai sensi degli artt. 194 e 195 c.p.c.

    La violazione del principio del contraddittorio può determinare la nullità della perizia.

  • 24

    Ma la legge, si sa, è ispirata a principi che si combinano fra loro e che incarnano esigenze diverse.

    Detto altrimenti, per quanto importante, non esiste soltanto il principio del contraddittorio. O, se vogliamo, anche il principio del contraddittorio ha delle regole attraverso le quali deve essere fatto valere. Le notazioni che seguono ci consentiranno di circoscrivere meglio il concetto/sanzione “nullità” in sede processuale.

    Abbiamo detto infatti che la violazione del principio del contraddittorio “PUÒ” determinare la nullità. Il fatto che la sanzione “nullità” sia eventuale è da ricondurre alla sussistenza di temperamenti, anch’essi di principio, tesi a far prevalere la sostanza sulla forma.

    I temperamenti consistono nel fatto che

    • l’art. 156, commi 2 e 3, c.p.c., prevede che la nullità non possa essere pronunciata se l’atto ha raggiunto il suo scopo; quindi se si dimostra che la parte non ha subito un effettivo pregiudizio al suo diritto di difesa, avendo - ad esempio - avuto comunque notizia dell’inizio delle attività o comunque avendovi partecipato, non può essere pronunciata la nullità;

    • inoltre si tratta di cd. nullità relativa, come peraltro tutte le nullità riguardanti l’espletamento della CTU, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., ne resta precluso il rilievo, e l’invalidità è sanata, se l’eccezione non viene sollevata tempestivamente nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, ovvero, nel caso del contumace, nel suo atto di costituzione.

    Tradotto in pratica: la violazione del contraddittorio deve essere accertata in concreto e non in astratto.

    Ad esempio, anche in assenza di avvisi alle Parti, la relazione non può essere dichiarata nulla quando risulti chiaro che la Parte non raggiunta dall’avviso ha avuto comunque la possibilità di partecipare alle operazioni.

  • 25

    ATTENZIONE:

    il mancato rispetto del termine assegnato per il deposito della perizia NON determina la nullità della consulenza, ferma ovviamente restando la possibilità per il giudice di procedere a) alla sostituzione del perito ex art. 196 c.p.c. ovvero b) alla riduzione del compenso ex art. 52 DPR n. 115/2002. Occorre tuttavia considerare che l’art. 81bis, ultimo comma, disp. att. c.p.c., introdotto dalla L. 69/2009 e poi modificato dal D.L. 138/2011, n. 138 (convertito con Legge 148/2011), ove è

    stabilito che l’inosservanza dei termini fissati nel calendario processuale dal Giudice PUÒ costituire una violazione disciplinare da parte del CTU e PUÒ dunque essere considerata ai finì della nomina o della valutazione dello stesso.

    Nel rito del lavoro invece, l’art. 424, 3° co., c.p.c., prevede che il termine fissato dal giudice non sia superiore a venti giorni e non sia prorogabile. Inoltre, nelle controversie di appello soggette al rito del lavoro, l’art. 441 c.p.c. impone al consulente di depositare l’elaborato almeno dieci giorni prima dell’udienza di rinvio. In questi ultimi casi, l’inosservanza di tali termini comporta la nullità della CTU.

  • 26

    Rassegna delle principali cause di annullamento (per violazioni di carattere sostanziale)

    Le cause più frequenti di nullità (totale o parziale) della relazione sono rappresentate da:

    • la mancata comunicazione dell’inizio delle operazioni peritali alle parti;

    • la mancata comunicazione di ripresa delle operazioni peritali;

    • la mancata partecipazione delle Parti alle operazioni peritali;

    • la partecipazione alle operazioni peritali di consulenti tecnici di parte non regolarmente nominati;

    • la partecipazione di persone non autorizzate alle operazioni peritali;

    • l’acquisizione e valutazione di documenti non ritualmente prodotti in causa;

    • l’espletamento di indagini o compiti non consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente.

    Possiamo quindi trattare le ipotesi di nullità elencate suddividendole in tre gruppi organizzati in ragione del fatto che il difetto riguardi la comunicazione – la partecipazione – l’effettuazione di attività non consentita.

  • 27

    Difetto di comunicazione alle Parti

    La comunicazione che più rileva è quella con cui le parti vengono avvisate dell’inizio delle operazioni peritali.

    Sempre meglio comunicare quale sia la data in cui cominceranno le operazioni peritali a verbale in udienza, dopo il giuramento.

    Altrimenti il CTU ha l’obbligo di dare l’avviso di inizio delle operazioni peritali, comunicando alle Parti il giorno, l’ora e il luogo di inizio (si veda l’art. 90, 1° co., disp. att. c.p.c.).

    Le modalità con cui il CTU provvederà ad avvisare le Parti possono essere:

    • mediante comunicazione da parte del CTU al Cancelliere, che a propria volta informerà le Parti;

    • con comunicazione personale ai legali delle Parti o ai Consulenti di Parte eventualmente nominati, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con altro sistema che sia in grado di dimostrare l’avvenuta ricezione da parte del destinatario (ovviamente, anche per PEC).

    Da evitare - per ovvi motivi - l’avviso tramite telefonata, per l’intuitiva inidoneità del mezzo a fornire la prova dell’avviso nell’ipotesi in cui il destinatario neghi di aver ricevuto la telefonata.

  • 28

    D’altra parte, dopo che le operazioni peritali siano avviate, l’avviso relativo al compimento di attività ulteriori non è sempre necessario. Ad esempio nel caso in cui si sia stabilito che le operazioni debbano proseguire in altra data specifica e successiva.

    Della data di “prosieguo” occorre invece dare comunicazione se il consulente rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda.

    La giurisprudenza ha statuito che, ove il CTU rinvii le operazioni ad una data determinata comunicando ciò alle parti, ma successivamente, prima della data indicata, esegua un’ulteriore operazione peritale omettendo di darne avviso alle parti, l’inosservanza dell’obbligo di avviso può dar luogo a nullità della consulenza, sempre che ciò abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa (Cass. 18598/2008).

    Il perito poi non è obbligato alle comunicazioni alle parti nei casi in cui compia attività meramente acquisitiva di elementi emergenti da pubblici registri e quella di semplice valutazione di dati in precedenza acquisiti. Queste attività non integrano vere e proprie indagini tecniche e, quindi, possono essere compiute senza preventivo avviso.

    Questo riguarda anche informazioni reperibili dal Giudice, a meno che non si tratti di richiesta di chiarimenti che comportino esigenze di ulteriori indagini e accertamenti poiché, in tal caso, vi sarebbero i presupposti per il supplemento di consulenza e l’esigenza di definire, nel contraddittorio delle parti, l’ampliamento o, in ogni caso, i limiti delle operazioni supplementari.

  • 29

    ATTENZIONE: La comunicazione di avvio delle operazioni peritali NON deve poi essere effettuata con riguardo al CONTUMACE. Tale atto non rientra tra quelli che tassativamente l’art. 292 c.p.c. prevede debbano esser notificati al predetto contumace (Cass. n. 16143/2012).

    Ovviamente, fa eccezione il caso in cui la collaborazione del contumace sia indispensabile per l’espletamento del mandato peritale. Si pensi al caso in cui la CTU consista nell’incarico di ispezione sulla persona del contumace o su beni nella disponibilità del contumace.

    Brevemente, per chi non lo sapesse, CHI È IL CONTUMACE? È colui che, pur evocato correttamente in giudizio, abbia scelto di non costituirsi e di non difendersi nel processo, restando inerte. La sentenza che sarà emessa farà stato anche nei suoi confronti. Ma la legge stabilisce che, fin tanto che il processo è in corso, dovranno essergli notificati soltanto un numero limitato di atti (l’elenco è contenuto, appunto, all’art. 292 c.p.c.).

  • 30

    L’avviso previsto all’art. 90, disp. att. c.p.c., deve essere obbligatoriamente dato alle parti altresì

    • nel caso di rinnovazione della consulenza disposta dal Giudice ;

    • una volta chiuse le operazioni peritali, qualora il CTU ritenga che sia necessario procedere ad altre indagini.

    A parte i casi appena evidenziati, la regola vuole invece che incomba sulle Parti l’onere di informarsi sul proseguimento delle indagini al fine di parteciparvi.

    Nel caso in cui il consulente, pur essendovi tenuto, non abbia avvisato le Parti o qualora l’avviso sia stato comunicato in forma non idonea, la consulenza tecnica è nulla per la violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa. A meno che i legali o i CTP non siano, in qualche modo, intervenuti lo stesso nonostante l’omesso avviso.

    Si ribadisce che la nullità della consulenza tecnica, nel caso in cui questa presenti vizi inerenti alle comunicazioni sulle operazioni peritali, ha carattere relativo. Essa quindi può essere sanata se la sussistenza del vizio non sia dedotto nella prima difesa o udienza successiva al deposito della stessa.

    Ricordiamo infatti che l’omessa comunicazione dell’inizio delle operazioni dà luogo a nullità solo se ciò determina un concreto pregiudizio del diritto di difesa e se sia stata eccepita dalla parte interessata entro la prima udienza o istanza successiva al deposito della relazione (Cass. 5775/2001).

  • 31

    Difetto di partecipazione delle Parti

    L’ipotesi è stata in parte già trattata.

    Suggerimento:

    Se all’avvio delle operazioni peritali mancano TUTTI i legali delle Parti o dei CTP eventualmente nominati, anche se il CTU abbia effettuato regolare comunicazione, potrebbe essere opportuno per il CTU verbalizzare l’assenza e fissare una nuova data per l’inizio delle operazioni, dandone nuovo avviso alle Parti.

    Se siano presenti solo i difensori o i legali di una parte o di alcune delle parti, ma gli avvisi sono stati regolarmente inviati a tutti, il CTU può invece senza indugio avviare le indagini e non è tenuto a dare alcun avviso alle Parti ingiustificatamente assenti.

  • 32

    Altre cause di nullità che attengono a difetti inerenti alla “partecipazione”.

    • La partecipazione alle operazioni peritali di consulenti tecnici di parte non regolarmente nominati

    • La partecipazione di persone non autorizzate alle operazioni peritali.

    La legge è perentoria.

    Alle operazioni possono partecipare soltanto le parti in causa, i loro procuratori legali, i rispettivi consulenti tecnici, nonché persone in rappresentanza delle parti e legali mediante idonea procura.

    Non possono in alcun modo intervenire invece alle operazioni i soggetti estranei al processo e/o coloro che non ne abbiano comunque titolo.

    L’art. 201, 1° co., c.p.c., statuisce: “Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico.

    La nomina del CTP, quindi, va fatta con deposito di atto in cancelleria (o con modalità diverse stabilite nell’ordinanza, ovvero depositando la nomina a mezzo PCT. Se la nomina avviene in modo diverso, essa sarà viziata da irregolarità).

    L’art. 91, 2° co., disp. att. c.p.c., prevede, infatti, che

    “Il cancelliere deve dare comunicazione al consulente tecnico di parte, regolarmente nominato, delle indagini predisposte dal consulente d’ufficio, perché vi possa assistere a norma degli articoli 194 e 201 del Codice”

    In caso di sopravvenuto impedimento del CTP nominato a partecipare alle operazioni deve ritenersi ammessa la sostituzione con altro soggetto, debitamente dotato di poteri (conferiti con apposita procura). Ricordiamo che la partecipazione alle operazioni peritali di un CTP irregolarmente nominato può comportare nullità della relazione peritale, in quanto in concreto potrebbe violare il diritto di difesa dell’altra parte (Cass. 9231/2001).

  • 33

    Il discorso è diverso per i COLLABORATORI DEL CTU.

    In linea generale il CTU deve procedere direttamente alle indagini che gli sono demandate, in quanto l’incarico ha l’importanza dell’ufficio pubblico ed è a carattere strettamente personale. Nulla tuttavia esclude che egli possa avvalersi di collaboratori, dell’operato dei quali assume comunque ogni responsabilità. È peraltro pacificamente ammesso che ciò possa avvenire anche senza che vi sia stata un’espressa autorizzazione del giudice in tal senso. Il CTU può infatti avvalersi dell’ausilio di collaboratori e specialisti per il compimento di particolari indagini o l’acquisizione di elementi di giudizio (per tutte, Cass. n. 16471/2009). Vi sono tuttavia delle ragioni pratiche che suggeriscono di richiedere comunque al giudice l’autorizzazione e ciò massimamente quando la collaborazione di prestatori ulteriori comporti un aggravio di spesa. La ragione è facilmente comprensibile ed è tesa ad evitare che, in sede di liquidazione delle spettanze, tale spesa non venga riconosciuta al CTU come rimborsabile ex art. 56 DPR n. 115/2002. In ogni caso, ove si avvalga di collaboratori, il CTU deve valutare la loro opera, assumendone la responsabilità giuridica, scientifica e morale, laddove trasfonda i risultati di tali collaborazioni nella propria relazione. Resta ovviamente inteso che l’attività del collaboratore non possa sostituire integralmente quella del CTU (Cass. n. 21728/2006).

  • 34

    È POSSIBILE LA DELEGA DI FUNZIONI? Sulla possibilità che il CTU deleghi la propria funzione, bisogna intendersi. È possibile che sia prevista, ma è in concreto assai raro. Normalmente l’incarico al CTU è affidato in considerazione di una particolare e specifica competenza. Ne consegue che il consulente debba svolgere personalmente l’incarico e non possa delegarlo ad altri (Cass. 412/1989). Diversa è invece l’ipotesi in cui il CTU chieda al giudice di essere affiancato da altro consulente specialista in altra disciplina. La Cassazione avverte tuttavia che non deve esservi un’integrale “traslazione dell’incarico giudiziario del perito d’ufficio allo specialista”, ma il consulente deve elaborare il proprio documento peritale contenente anche autonome considerazioni (nella specie, si trattava di considerazioni medico legali), sicché l’operato dello specialista non risulti integralmente sostitutivo di quello del consulente (Cass. 21728/2006). Nel caso di affiancamento del CTU con uno specialista, è peraltro possibile che il giudice, valutate le circostanze, conferisca apposito incarico di consulenza anche allo specialista. In tale eventualità, si sarà ovviamente in presenza di due distinte consulenze tecniche d’ufficio. Resta da aggiungere che, anche per le spese relative alle attività strumentali svolte dai prestatori d’opera di cui il CTU sia stato autorizzato ad avvalersi, trovano applicazione le misure degli onorari previsti dagli artt. 50-56 DPR n. 115/2002 (Cass. n. 10978/2012).

  • 35

    Arriviamo al terzo gruppo di difetti “sostanziali” che possono determinare la nullità della CTU: il gruppo di difetti che ha a che fare con attività non consentite.

    Ricordiamo anzitutto che l’art. 194 c.p.c. dispone che il CTU “compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all'articolo 62, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere autorizzato a

    domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.

    Anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle

    operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori e possono presentare al consulente, per

    iscritto o a voce, osservazioni e istanze”.

    Qui di seguito, in particolare, un aspetto assai rilevante:

    la valutazione di atti e documenti non ritualmente prodotti in causa.

    Si deve preliminarmente ribadire che gli elementi sui quali si fonda il giudizio tecnico del CTU devono essere gli stessi su cui il Giudice potrebbe fondare la propria decisione nella sentenza. L’ovvia conseguenza è che l’esperto non potrà giungere a conclusioni basandosi sui fatti o circostanze che non siano già state ritualmente dedotte o provate in giudizio (è il cd. principio dispositivo, cfr. art. 99 c.p.c.).

    Di regola, quindi, il CTU può esaminare soltanto documenti ritualmente prodotti dalle Parti e validamente acquisiti agli atti del processo. Ci sono delle eccezioni: ad esempio, per quanto riguarda la perizia contabile, per la quale la legge prevede espressamente che il CTU possa esaminare anche documenti non prodotti in causa e menzionarli nella relazione (art. 198 c.p.c.).

  • 36

    Istanze e/o osservazioni delle parti

    È poi altrettanto certo che, ai sensi dell’art. 194, 3° co., c.p.c., i legali ed i Consulenti di Parte, nel corso delle operazioni peritali, possano produrre istanze e/o osservazioni, anche oralmente (cioè a prescindere dal contraddittorio formalizzato all’art. 195 c.p.c.).

    La valutazione delle istanze e/o osservazioni delle parti

    Anche tali istanze/osservazioni devono essere oggetto di adeguata valutazione da parte del CTU. Va però anche chiarito che le osservazioni, le consulenze di parte e le note critiche redatte dai CTP, costituiscono semplici allegazioni difensive di tipo tecnico, prive di autonomo valore probatorio.

    Il valore delle istanze e/o osservazioni delle parti

    I chiarimenti resi dalle parti al CTU o le informazioni da lui assunte da terzi non hanno valore confessorio, né negoziale; le informazioni in particolare non possono essere considerate vere e proprie prove testimoniali. La giurisprudenza li ritiene infatti elementi aventi valore meramente indiziario di argomento di prova, rientranti nelle cosiddette prove atipiche (Cass. n. 14652/2012).

  • 37

    Sulla base di quanto appena sottolineato torniamo sulla (possibilità di)

    valutazione di atti e documenti non ritualmente prodotti in causa.

    Il principio-base è: “Se non vi è consenso delle parti, l’acquisizione di documenti non ritualmente prodotti configura una causa di nullità che vizia l’attività del consulente e determina la nullità della sentenza” (Trib. Roma, 23/11/2005).

    Anche questa affermazione ha a che fare con il rispetto del principio del contraddittorio.

    Ma la problematica involge anche la materia dei “Poteri del CTU” e dei limiti a questi poteri.

    In proposito, la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione ampia dei poteri del CTU, forzando in parte l’art. 194, 1° co., c.p.c., secondo il quale il consulente “può essere autorizzato dal giudice a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni dai terzi”.

    Il concetto è stato precisato e si è così ritenuto che il CTU, senza bisogno di autorizzazione del giudice, possa in particolare assumere dalle parti informazioni, MA SOLTANTO quando le richieste di informazioni tendono ad accertare fatti strettamente accessori, costituenti presupposti tecnici necessari per rispondere ai quesiti posti. L’oggetto della richiesta del CTU alle parti non può determinare invece l’integrazione di accertamento sui fatti e sulle statuizioni posti a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti, che come tali devono essere dedotti e provati dalle parti. Qualora gli accertamenti del CTU sconfinassero da tali limiti, essi sarebbero nulli e privi di qualunque valore probatorio, neppure indiziario. Tutto chiaro in astratto; meno in concreto.

  • 38

    Sicuramente, dal punto di vista pratico, il problema non si pone ove la CTU sia stata disposta prima dello spirare dei termini di preclusione previsti nel processo (si fa riferimento alle memorie di precisazione od istruttorie di cui all’art. 183 c.p.c.). È anche bene ricordare in proposito che, nello svolgimento delle operazioni il CTU è un pubblico ufficiale: pertanto ha fede privilegiata quanto verbalizzato ed avvenuto innanzi a lui e le verbalizzazioni fanno piena prova fino a querela di falso per attestare le informazioni ricevute e fatti accaduti in sua presenza (cfr. Cass. n. 14652/2012). Il problema si pone invece quando le “informazioni” a cui fa riferimento l’art. 194 c.p.c. provengano, ad esempio, da documenti non prodotti dalle parti in giudizio. Quali sono i limiti di acquisizione e quali i limiti di utilizzo? Secondo la giurisprudenza, tali documenti possono essere utilizzati dal CTU, solo

    • se ciò avviene nel contraddittorio tra le parti

    • se è indicata la fonte di acquisizione

    • se sono utili ai fini della decisione

    • se si tratta di documenti rilevanti dal punto di vista strettamente tecnico al fine di dimostrare fatti accessori e secondari, non direttamente posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.

    Il principio è consolidato: Cass. n. 19816/2013, Cass. n. 14577/2012, Cass. n. 14549/2010, fra le tante. Ad esempio, secondo Cass. n. 14577/2012, il CTU può acquisire la “documentazione relativa alla certificazione catastale ed alla regolarità urbanistica dell’immobile oggetto di divisione”. Nell’applicazione pratica c’è qualche discordanza. Secondo la dottrina, ad esempio, potrebbero essere acquisite anche le “cartelle cliniche, radiografie e mappe catastali”.

  • 39

    Vi sono casi particolari, tuttavia, in cui la legge prevede che il CTU sia autorizzato ad utilizzare documentazione non agli atti.

    Una disciplina specifica in tema è stabilita:

    - (come già accennato) dall’art. 198 comma 2 c.p.c. in tema di consulenza contabile, ove è previsto che il consulente “sentite le parti, e previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi, tuttavia, senza il consenso di tutte le parti, non può fare menzione nei processi verbali o nella

    relazione”;

    - dall’art. 121 comma 5 D.Lgs. n. 30/2005, cd. codice della proprietà industriale, che statuisce come “nella materia di cui al presente codice il consulente tecnico d’ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti

    dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti. Ciascuna parte può nominare

    più di un consulente”.

  • 40

    Qualora il CTU utilizzasse documenti al di fuori delle limitazioni sopra esposte, l’elaborato peritale sarebbe viziato da nullità. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di nullità relativa ex art. 157, 2° co., c.p.c., con la conseguenza che il difetto dovrebbe ritenersi sanato ove non tempestivamente fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale. C’è poi la diversa questione del valore probatorio degli accertamenti e delle risposte fornite dal consulente, OLTRE I LIMITI DEFINITI DAL PERIMETRO DEI QUESITI AFFIDATIGLI, ma in materia attinente o comunque non estranea all’oggetto dell’indagine peritale. In tali ipotesi si parla di argomenti di prova, ed in particolare di prova atipica, non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio che travalica i limiti del mandato, purché non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta (cfr. Cass. n. 11594/2006, Cass. n. 5965/2004).

  • 41

    Sull’acquisizione e valutazione di documenti non ritualmente prodotti in causa, è tuttavia utile evidenziare quanto recentemente ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 12921 del 23 giugno 2015) con approccio rigoroso alla materia.

    I consulenti tecnici d’ufficio non possono acquisire dati e documenti che non facciano parte del processo non essendo stati prodotti nei termini dalle parti. I Consulenti del giudice non si possono infatti sostituire alle parti

    perché ciò andrebbe a violare i termini previsti per il deposito di documenti (Cass. 12921/2015). Nella fattispecie la Corte ha confermato la sentenza che aveva dichiarato nulla la consulenza tecnica d’ufficio, poiché il CTU aveva acquisito autonomamente una serie di documenti comprovanti i costi di alcuni lavori perduti e i relativi quantitativi. È stata respinta la tesi secondo cui "al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari per svolgere l’accertamento affidatogli (Cass. n. 1901 del 2010 ed altre)". La Corte di cassazione, pur ricordando che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere "aliunde" notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni

    formanti oggetto del suo accertamento” ha chiarito che ciò sia ammissibile soltanto “quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purché ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del

    2008; Cass. n. 1901 del 2010).

    L’esercizio di tale facoltà è legittimo se ispirato al “criterio guida” per cui l’acquisizione si presenti “funzionale all’espletamento dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto

    al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio”.

  • 42

    Riassumendo, il potere di attingere al di fuori del processo viene riconosciuto legittimo quando sia funzionale a portare a termine l’indagine e sia necessario. In sostanza, l’attività è ammissibile

    • per acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a

    termine l’indagine

    • per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi,

    esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di

    locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati

    per verificare che l’indennità di esproprio sia stata correttamente quantificata)". Anche in tali casi il principio del contraddittorio deve essere rispettato. Così il CTU potrà anche acquisire documenti non prodotti se indispensabili all’accertamento di una situazione di comune interesse: ad esempio gli atti di frazionamento che servono ad individuare il confine tra due fondi. Tuttavia anche quando può acquisire dati tecnici di riscontro rispetto “alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, il CTU deve “indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire loro di verificarne l’esatto e pertinente prelievo". In buona sostanza, sicuramente l’acquisizione da parte del CTU di dati e documenti che non si trovano nei fascicoli di parte può avere la funzione di riscontro e di verifica rispetto alle allegazioni delle parti.

    Se invece i predetti presupposti sono violati, la perizia è nulla e, sollevata tempestivamente l’eccezione, la conseguenza che ne scaturisce è l’inutilizzabilità della CTU e di tutto il materiale con essa acquisito.

  • 43

    Ulteriori brevi notazioni sugli accertamenti aggiuntivi (non sull’acquisizione di documenti, su cui v. sopra)

    Quando opera senza la presenza del Giudice (cioè, si ripete, nella normalità dei casi), il CTU può compiere tutti gli accertamenti che ritenga necessari per rispondere ai quesiti del magistrato collegati con l’oggetto della perizia.

    Come già visto, egli può

    • attingere a notizie non rilevabili dagli atti processuali

    • ottenere copie di documenti da enti e uffici pubblici

    • assumere informazioni da terzi o acquisire dalle Parti o da terzi documenti che non siano stati prodotti in giudizio, previo consenso della controparte.

    Sarebbe però opportuno che il Giudice, al momento di affidare l’incarico al CTU, chiarisse i compiti che lo stesso è chiamato ad assolvere, visto che una volta introdotti nel processo quei fatti che le Parti non avevano contemplato, risulterà difficile per il Giudice non tenerne conto in sede di decisione.

    Riguardo al potere d’indagine del CTU, va inoltre precisato che qualora sia stato affidato il compito di svolgere indagini per ricostruire determinati fatti o situazioni, il CTU può raccogliere notizie e informazioni anche senza specifica autorizzazione ed i risultati di tali indagini costituiscono elementi probatori acquisiti al processo e utilizzabili dal Giudice per il proprio convincimento.

  • 44

    Considerazioni conclusive.

    Si può dunque concludere il discorso sulla/sulle nullità della consulenza tecnica, confermando che essa è in qualche modo sempre legata alla violazione del principio del contraddittorio. Si badi in proposito che il vizio, da questo punto di vista, può invalidare il lavoro del consulente anche se lo stesso sia scientificamente ineccepibile.

    Si ribadisce d’altro canto che di regola la nullità è relativa ed è sanabile: può essere rilevante soltanto se fatta valere tempestivamente, alla prima udienza successiva al deposito della relazione, ovvero nella prima attività processuale comunque successiva al deposito, restando il vizio altrimenti sanato.

    L’ulteriore conseguenza è che dunque non è consentito in sede di legittimità far valere la nullità della consulenza non tempestivamente eccepita precedentemente, nel corso giudizio di merito. La nullità, poi, non può in ogni caso essere pronunciata se la violazione non ha impedito il raggiungimento dello scopo previsto (art. 156, c.p.c.) (Cass. 5312/2004).

    Si ricordi infine che la nullità della CTU ne comporta la rinnovazione con spese a carico del CTU e relativo (possibile) risarcimento dei danni eventualmente causati alle Parti ai sensi degli artt. 162 e 64 c.p.c.

  • 45

    4. LA RESPONSABILITÀ / LE RESPONSABILITÀ DEL CTU. LE SANZIONI.

    Nello svolgimento della propria attività, quale ausiliario del Giudice nell’ambito del processo, IL CTU SVOLGE UNA FUNZIONE PUBBLICA che comporta assunzione di responsabilità e conseguenze che possono rilevare a livello:

    • disciplinare;

    • civile;

    • penale.

    Nel compimento dell’incarico il CTU deve in particolare

    • manifestare indipendenza professionale e intellettuale

    • avere la competenza specifica per l’incarico

    • comportarsi con l’obiettività, la correttezza e la trasparenza richieste dall’incarico

    • svolgere l’incarico con diligenza e scrupolo.

    • inoltre rispettare le norme deontologiche proprie dell’ordine professionale di appartenenza.

  • 46

    LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

    La responsabilità disciplinare del CTU opera sia sul piano professionale, poiché egli è iscritto ad un albo professionale, sia specificamente ai sensi degli artt. 19 e ss. disp. att. c.p.c., in quanto professionista iscritto all’Albo dei CTU.

    In proposito, l’art. 19, disp. att. c.p.c., stabilisce che

    il Presidente del Tribunale, d’ufficio o su istanza del Procuratore della Repubblica o del Presidente dell’ordine professionale di appartenenza, esercita un’attività di controllo e vigilanza sull’operato dei CTU e può promuovere procedimenti disciplinari contro i consulenti

    • che non hanno tenuto una condotta morale specchiata

    • che non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti.

  • 47

    Abbiamo già visto che il mancato rispetto dei termini processuali da parte del CTU può costituire illecito disciplinare (art. 81bis, disp. att. c.p.c.).

    Hanno rilevanza di carattere disciplinare:

    • i casi di condanne penali e civili

    • le sanzioni disciplinari e amministrative per fatti anche non inerenti al mandato del CTU (queste ultime anche se non di grave entità possono comunque incidere sull’esercizio della professione dell’esperto, in quanto denotano mancanza di senso civico e sfregio della legalità).

    D’altro canto, relativamente ai fatti di astratta rilevanza penale, occorre intendersi:

    il Consiglio di Stato ha ritenuto, per esempio, che l’iscrizione all’Albo dei CTU non possa essere legittimamente negata al consulente tecnico se nei suoi confronti sono siate sporte denunzie senza che sia seguita la relativa condanna (Cons. di St. 1550/1996).

  • 48

    Esemplificazione di ipotesi che possono condurre a RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE.

    Nei confronti del CTU il Presidente del Tribunale può adottare provvedimenti disciplinari qualora, in seguito al conferimento d’incarico, l’esperto:

    • rifiuti, ingiustificatamente, di prestare il proprio ufficio (si v. in proposito, l’art. 63 c.p.c.)

    • non compaia all’udienza per il giuramento senza giustificato motivo;

    • non depositi la relazione nel termine previsto senza giustificato motivo;

    • non avvisi le parti dell’inizio delle operazioni peritali con conseguente nullità e/o rinnovo della consulenza;

    • mostri negligenza nell’espletamento dell’incarico;

    • assuma il mandato senza avere una adeguata e specifica preparazione.

  • 49

    SANZIONI

    Contro i consulenti che non hanno tenuto una condotta morale specchiata o che non hanno ottemperato agli obblighi derivati dagli incarichi ricevuti, il Presidente del Tribunale può promuovere il procedimento disciplinare, d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del Presidente dell’associazione professionale d’appartenenza (art. 19 disp. att. c.p.c.). L’azione disciplinare può comportare l’applicazione delle seguenti sanzioni (art. 20 disp. att. c.p.c.):

    • l’avvertimento (un rimprovero formale al CTU per la mancanza commessa o per il comportamento tenuto, con esortazione a non ricadervi);

    • la sospensione dall’albo per un tempo non superiore ad un anno (essa incide ovviamente sulla professione del Consulente sospeso, dal momento che, come conseguenza, A) non potrà essere nominato, B) non potrà accettare l’incarico se nominato C) e, qualora abbia già prestato giuramento e/o intrapreso operazioni peritali, non potrà proseguire nell’espletamento del mandato affidatogli per tutta la durata della sospensione. Resta inteso che, alla fine di tale periodo, il Consulente potrà riprendere l’esercizio delle sue funzioni senza ulteriori provvedimenti da parte del Comitato, su cui infra);

    • la cancellazione dall’albo (è la sanzione più grave; trattasi di sanzione espulsiva definitiva che impedisce al professionista di esercitare ulteriormente il proprio ruolo).

  • 50

    COMPETENZA NEL GIUDIZIO DISCIPLINARE

    La competenza nel giudizio disciplinare spetta al Comitato disciplinare (art. 19 e 14 disp. att. c.p.c.).

    Esso è formato

    • dal Presidente del Tribunale

    • dal Procuratore della Repubblica

    • da un professionista iscritto all’Albo professionale designato dal Consiglio dell’ordine o dal Collegio di categoria a cui appartiene il Consulente Tecnico sottoposto al giudizio disciplinare.

    Vi è anche un Comitato disciplinare di secondo grado (art. 21 e successivi rinvii agli artt. 15 e 5 disp. att. c.p.c.) che decide sui giudizi d’impugnazione avverso le decisioni adottate dal Comitato disciplinare. Esso è composto

    • dal Primo Presidente della Corte di Appello,

    • dal Procuratore generale della Repubblica

    • dal Presidente dell’ordine forense

    • dal Presidente dell’ordine professionale a cui l’interessato appartiene.

  • 51

    BREVEMENTE SUL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE (art. 21 disp. Att. c.p.c.):

    L’avvio coincide con la comunicazione della contestazione al CTU.

    Se il Presidente del Tribunale ritenga necessario promuovere il procedimento disciplinare nei confronti del Consulente, comunica formalmente al CTU la contestazione dell’addebito disciplinare e “raccoglie” la risposta scritta del consulente.

    Se la risposta scritta non chiarisce la posizione, il CTU viene invitato con biglietto di Cancelleria a presentarsi personalmente per l’audizione davanti al Comitato disciplinare previsto dall’art. 14 disp. att. c.p.c..

    Dopo l’audizione, il Comitato

    • può disporre di non procedere, richiedendo l’archiviazione del caso, qualora le risposte alle contestazioni fornite dal tecnico risultino soddisfacenti;

    • può decidere di applicare le sanzioni dell’avvertimento, della sospensione e della cancellazione dall’Albo, qualora ritenga che il CTU non abbia tenuto una condotta morale specchiata o non abbia ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti, ai sensi dell’art. 20 disp. att. c.p.c..

    Trattandosi di organo collegiale, la decisione del Comitato sarà presa a maggioranza di voti.

    IMPUGNAZIONE: Entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento di “primo grado”, il Consulente può presentare reclamo al Comitato disciplinare di secondo grado. Il collegio d’appello, decidendo nel merito, può anche riesaminare i fatti e valutare se confermare o meno la sanzione. La decisione del Comitato in sede di Appello non è ulteriormente impugnabile (salvo quanto previsto dall’art. 111 Cost.).

  • 52

    LA RESPONSABILITÀ CIVILE

    Qualora il perito nominato dal Giudice violi i propri doveri di diligenza e correttezza o svolga in modo non conforme ed adeguato o ingiusto il proprio incarico e con la propria condotta abbia recato danni alle Parti ha l’obbligo di risarcire il danno così cagionato.

    Dal punto di vista civilistico, la responsabilità del CTU è disciplinata dall’art. 64 c.p.c. e dagli artt. 1218, 1176, 2043 e segg. c.c.

    Recita l’art. 64 c.p.c. (rilevante anche sotto il profilo penalistico; lo vedremo tra poco):

    • “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti.

    In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono

    richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con la ammenda fino a € 10.329,00. Si applica l’articolo

    35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.

    La natura della responsabilità è extracontrattuale e l’ingiustizia del danno (richiesta dall’art. 2043 cc) è riguardata analizzando il comportamento del CTU alla stregua delle leges artis della professione di appartenenza.

    I presupposti perché il CTU risarcisca i danni alle parti del giudizio nel corso del quale ha operato come consulente non sono però di facile verificazione.

  • 53

    Occorre infatti che il CTU abbia violato i suoi doveri con dolo o colpa grave nei casi di particolare difficoltà (art. 2236 c.c.) o con colpa semplice negli altri casi (art. 1176 comma 2 c.c.) che tale violazione abbia causato un danno. Da questo ultimo punto di vista, perché ciò possa dirsi effettivamente accaduto occorre, quindi,

    • che l’errore sia fatto proprio dal giudice

    • che sia provato che la soccombenza è stata causata dalla attività illecita del consulente

    • che la sentenza sia passata in giudicato

    • che la stessa sia stata revocata ex art. 395 n. 2 c.p.c. (“se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della

    sentenza”) o ex art. 395 n. 4 c.p.c. (“se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto

    non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”).

    QUESTIONE DIVERSA: la domanda diretta ad ottenere dal consulente tecnico la restituzione di somme corrispostegli in relazione ad una consulenza poi dichiarata nulla. Qui si fa valere il diritto della parte alla ripetizione di un indebito oggettivo; una controprestazione in danaro per una prestazione che è mancata, in quanto la relazione, viziata per qualche aspetto, è stata annullata. Tale domanda non trova preclusione, diretta o indiretta, nelle disposizioni dell’art. 64 c.p.c. - che concernono la responsabilità aquiliana del consulente per i danni cagionati con fatto illecito (Cass. 11474/1992).

  • 54

    Nonostante quanto appena detto sulle difficoltà dell’azione civile di responsabilità, esemplifichiamo lo stesso talune ipotesi in cui, al ricorrere di tutti i presupposti richiesti dalla legge, si potrebbe lamentare la responsabilità civile del CTU. Si tratta di negligenze in ambito civile. Ci occupiamo delle situazioni in cui rileva la colpa (non parliamo di situazioni di dolo per l’ovvia considerazione che il dolo presuppone l’intenzionalità).

    Le più frequenti possono essere:

    • la perdita o distruzione da parte del CTU, anche involontariamente, della cosa controversa o dei documenti affidatigli;

    • la mancata esecuzione di accertamenti o indagini irrepetibili;

    • l’inadeguata preparazione nell’espletamento del mandato conferitogli dal Giudice;

    • il rifiuto o il ritardo nel deposito della relazione peritale, senza giustificato motivo;

    • le ipotesi di sostituzione del CTU e di rinnovo della consulenza dovute all’imperizia dello stesso, con conseguente annullamento dell’attività espletata.

    • Infine, tutti i casi in cui la negligenza del CTU abbia comportato

    � una eccessiva durata del processo; � la soccombenza di una delle parti; � l’esborso di spese di una delle parti per dimostrare l’erroneità delle conclusioni della consulenza

    tecnica; � la percezione da parte del CTU di un compenso per una prestazione poi risultata inutile.

  • 55

    RESPONSABILITÀ PENALE DEL CONSULENTE

    Anzitutto va nuovamente sottolineato che il CTU ha la veste di Pubblico Ufficiale e pertanto, ai sensi dell’art. 357, c.p., in qualità ausiliario del Giudice, può incorrere in una serie di reati direttamente a ciò collegati. Fra essi, il peculato, la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio.

    Come già segnalato, anche sotto questo profilo rileva quanto prevede l’art. 64 c.p.c. che, al 1° co., c.p.c., per le consulenze in ambito processuale civilistico: “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti”.

    Per effetto dell’estensione al CTU delle norme penali dettate per il perito, il CTU risponde penalmente per:

    • esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.);

    • rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), che dovrebbe prevalere per specialità sul delitto di omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.);

    • falsa perizia (art. 373 c.p.)

  • 56

    Al 2° co., l’art. 64 c.p.c. prevede poi un’autonoma fattispecie contravvenzionale per il CTU che incorra in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti.

    In base al citato art. 64, 2° co., c.p.c., infatti, il consulente tecnico “che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con la ammenda fino a € 10.329,00. Si applica

    l’articolo 35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.

    La colpa grave si verifica non in caso di semplici errori od omissioni, ma quando il CTU incorre in violazioni od omissioni apprezzabili non già secondo il parametro della diligenza propria del buon consulente, ma secondo la diligenza richiesta secondo comune esperienza (es.: evidenti vizi logici, inosservanza palese del contraddittorio, distruzione o perdita della cosa affidata per mancanza di diligenza, ecc.).

  • 57

    Posto che alcune ipotesi di colpa grave le abbiamo già segnalate in tema di responsabilità civile, si può qui aggiungere che si può configurare la colpa grave se:

    • il CTU smarrisce documenti originali e non più riproducibili dal contenuto dei fascicoli di parte;

    • il CTU perde o distrugge la cosa controversa o documenti affidatogli;

    • il CTU omette di eseguire accertamenti irripetibili;

    • il CTU non avvisa le parti sulla data d’inizio delle operazioni peritali provocando l’annullamento della consulenza su istanza di parte;

    • il CTU redige una consulenza non idonea o incompleta con conseguente innovazione della stessa;

    • il CTU assume l’incarico conferitogli dal Giudice pur non avendo un’adeguata e specifica conoscenza tecnica nel settore oggetto della consulenza richiesta e redige pertanto un elaborato viziato da errori.

    ATTENZIONE: Per l’integrazione del reato previsto dall’art. 64, comma 2, c.p.c., è peraltro “necessario che la colpa grave del consulente conduca ad un risultato erroneo degli accertamenti richiestigli, rimanendo invece prive di rilievo le eventuali erronee scelte metodologiche od operative che non influiscono sull’esito degli stessi” (Cass. pen. 29506/2014).

    L’applicazione dell’art. 35 c.p. – richiamato nella seconda parte del 2° co. Dell’art. 64 c.p.c. - impone infine la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte.

  • 58

    Vediamo brevemente qualche ipotesi di reato rilevante anche se, per evidenti limiti nella presente trattazione, circoscriveremo rigorosamente i riferimenti, riportando nella sostanza unicamente la fattispecie:

    art. 366 c.p. - Rifiuto di uffici legalmente dovuti

    Si punisce con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da 30 euro fino a 516 euro,

    � il CTU, nominato dal Giudice, che ottenga con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o prestare il suo ufficio

    � il perito che rifiuti o di dare le proprie generalità o di prestare il giuramento richiesto o di assumere o di adempiere le proprie funzioni.

    La condanna comporta inoltre l’interdizione dalla professione o dall’arte.

    ATTENZIONE: Va chiarito che il perito nominato per l’espletamento di un incarico che non compaia all’udienza fissata per il giuramento senza giustificare il motivo dell’assenza con tale comportamento non viola, tuttavia, l’art. 366 cp.

    La mancata comparizione non può essere equiparata al rifiuto di assumere l’incarico. Né, in concreto, ostacola il funzionamento della giustizia.

  • 59

    Art. 373 c.p. – Falsa perizia o interpretazione

    Si punisce con la reclusione da 2 a 6 anni il perito che, nominato dall’autorità giudiziaria,

    � dà pareri o interpretazioni mendaci � afferma fatti non conformi al vero.

    È stato precisato che il delitto di falsa perizia “non è configurabile, per difetto del carattere offensivo della condotta, quando le affermazioni non conformi al vero vertono su circostanze irrilevanti e, come tali, inidonee a fuorviare la

    decisione e, quindi, il corretto funzionamento dell’Autorità giudiziaria” (Trib. Milano, 20 aprile 2007).

    In questo caso la condanna comporta l’interdizione dai pubblici uffici, oltre che dalla professione o dall’arte.

    La ritrattazione: Per evitare la condanna per falsa perizia è possibile ritrattare, purché il CTU – in sede civile - lo faccia prima che sia pronunciata una sentenza di merito definitiva (art. 376 c.p.), anche se non irrevocabile. In sede penale la non punibilità per il colpevole si ha se il CTU ritratti il falso e manifesti il vero non oltre la chiusura del dibattimento.

    Esclude la punibilità anche la sussistenza di alcune ipotesi descritte all’art. 384 c.p. (stati di necessità et similia).

  • 60

    Visto che si parla qui di “falsa perizia”, bisogna intendersi sul significato di falso. Incidentalmente deve perciò essere ricordato che, ai sensi dell’art. 195, c.p.c., la relazione del CTU, pur contenendo tutti gli accertamenti e i risultati delle indagini tecniche compiute dallo stesso, non ha carattere di prova privilegiata, ma è soggetta al libero e discrezionale apprezzamento del Giudice come tutti gli altri mezzi di prova. Ne consegue che non è ammissibile querela di falso per il contenuto della consulenza tecnica, la quale non fa pubblica fede delle affermazioni o contestazioni o giudizi in essa contenuti.

    Attenzione invece, da questo punto di vista, al verbale redatto dal CTU.

    In qualità di Pubblico Ufficiale, il verbale costituisce atto pubblico, anche riguardo ai fatti che il CTU asserisca essersi verificati in sua presenza, per cui nei suoi confronti, sotto questo profilo, si può procedere con querela di falso.

  • 61

    Art. 374 c.p. - Frode processuale

    Reato punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni

    È questa la fattispecie in cui il perito, nell’esecuzione di una perizia, modifichi artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone su cui si deve svolgere la consulenza.

    Va precisato che la modifica dello stato dei luoghi non integra questo reato quando essa sia talmente evidente e percepibile a prima vista da non poter indurre in errore nessuno.

    Al contrario, il reato di frode processuale sussiste invece, ogni qual volta la modifica possa risultare percepibile soltanto dopo un esame non superficiale ma ben dettagliato e possa, quindi, sfuggire a un occhio non particolarmente esperto.

    Ovviamente, la parte che abbia subito un concreto pregiudizio in conseguenza dell’operato dell’esperto, anche in sede processo penale, potrà far valere il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. innanzi al Giudice competente per valore e territorio.

    Il danno è normalmente quantificabile sommando tutte le spese sostenute per l’adozione di provvedimenti ritenuti necessari in conseguenza di un errata consulenza, nonché le spese affrontate per dimostrare l’erroneità della consulenza d’ufficio.

  • 62

    Il codice penale, in relazione agli artt. 373 e 374 c.p., prevede anche delle aggravanti oggettive (art. 375 c.p.), imponendo

    • la pena della reclusione da 3 a 8 anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a 5 anni;

    • la pena della reclusione da 4 a 12 anni se dal fatto deriva una condanna superiore a 5 anni;

    • la pena con reclusione da 6 a 20 anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.

    Il riferimento è – evidentemente - a perizie svolte in sede penale.

    Va sottolineato come al perito si possano applicare, pur in assenza di uno specifico richiamo, le norme incriminatrici relative al delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.),

    “Il patrocinatore o il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a

    cinquecentosedici euro.

    La pena è aumentata:

    1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;

    2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

    Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a milletrentadue euro, se il fatto è

    commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina [la pena di morte o]

    l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni”.

  • 63

    Possono essere applicate altresì le disposizioni relative alle altre infedeltà del patrocinatore o Consulente Tecnico (art. 381 c.p.),

    “Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti

    contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e

    con la multa non inferire a lire duecentomila.

    La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da lire centomila a un milione, se il patrocinatore o il

    consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello

    stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria”.

    Un po’ di giurisprudenza.

    “Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 381 c.p. (Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico), per stabilire l’identità o la diversità del procedimento, deve farsi non astratto riferimento ai criteri utilizzati per

    individuare la identità o diversità delle cause nel processo civile (parti, petitum, causa petendi . ..), bensì concreto

    riferimento allo "stesso procedimento" nel quale si polarizzano interessi contrapposti tra le parti avverse. Alla luce del

    bene tutelato dalla norma, l’opposizione agli atti esecutivi appare un mero incidente all’interno del procedimento di

    esecuzione, cosicché deve considerarsi un segmento dello "stesso procedimento", irrilevante essendo a questi fini la

    natura del giudizio (esecutivo o di cognizione)” (Cass. pen. 11424/1995).

  • 64

    “La fattispecie prevista dall’art. 381 comma 2 c.p. (Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico) configura un reato istantaneo, in quanto la condotta vietata è la assunzione del patrocinio o della consulenza, non

    già l’attività di patrocinio o di consulenza che, in conseguenza di tale condotta, viene successivamente esplicata. Ne

    consegue che il momento consumativo del reato va individuato nella assunzione dell’incarico, ossia nel momento in

    cui viene conferito e accettato il mandato professionale” (Cass. pen. 11424/1995).

    “Per la sussistenza dei delitti di patrocinio o di consulenza infedele (art. 380 c.p.) e le altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381 c.p.), è strutturalmente necessaria la instaurazione di un procedimento dinanzi

    all’autorità giudiziaria, quale elemento costitutivo del reato, cosicché ritenere compresa nella previsione legislativa

    anche "le attività prodromiche" alle cause poi instaurate tra le parti integra una violazione del principio di tipicità del

    precetto penale” (Cass. pen. 4668/1995).

    Tali fattispecie quindi presuppongono, quale elemento costitutivo del reato, la sussistenza di un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria.

  • 65

    In conclusione, occorre sottolineare che il CTU sia soggetto sovente a tentativi di corruzione e subornazione (art. 377 c.p.), attuati con diverse modalità. Il suggerimento banale è di prestare assoluta attenzione a non rimanere coinvolto e mostrarsi sempre pronto a denunciare al Giudice ogni sospetto tentativo da parte di chiunque.

    Come detto al principio del discorso in tema di responsabilità penale del CTU, assumendo il consulente tecnico la funzione di Pubblico Ufficiale in qualità ausiliario del Giudice, egli può incorrere in una serie di reati direttamente collegati a tale ruolo.

    Fra essi, il peculato, la corruzione, la concussione, l’abuso d’ufficio.

    Questa non può essere la sede per affrontare sistematicamente l’analisi di tali fattispecie, anche perché ci troverebbe di fronte a delle problematiche significative che esulano dalla presente trattazione. Mi limito quindi a riportare qui le fattispecie per come previste dal codice penale.

    Anzitutto il codice penale prevede diverse Ipotesi di corruzione:

    Art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d’ufficio) Il pubblico ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno.

    Art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni.

  • 66

    La pena è aumentata se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene. La pena è aumentata (art. 319bis c.p.) se il fatto di cui all’art. 319 c.p. ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.

    Art. 319ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari) Se i fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p. sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni.

    Art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio) Le disposizioni dell’art. 319 si applicano anche all’incaricato di un pubblico servizio; quelle di cui all’art. 318 c.p. si applicano anche alla persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato. In ogni caso, le pene sono ridotte in misura non superiore ad un terzo.

    Art. 321 c.p. (Pene per il corruttore) Le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’art. 319, nell’art. 319-bis, nell’articolo 319-ter e nell’art. 320 c.p. in relazione alle suddette ipotesi degli artt. 318 e 319 c.p., si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro o altra utilità.

  • 67

    Art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione) Chiunque offre o promette denaro od altra utilit�