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Confederazione Generale Italiana del Lavoro ______________________________________________________________________________ La crisi del sistema sanitario: un nuovo paradigma di organizzazione dei servizi, un nuovo patto di corresponsabilità tra Stato e regioni. di Roberto Polillo Responsabile delle Politiche della salute CGIL Nazionale Premessa: uno sguardo generale I contesti socio-economici dei paesi a capitalismo avanzato sono stati sottoposti, nel corso degli ultimi decenni, ad una serie di trasformazioni che hanno fortemente inciso sui sistemi di protezione sociali ed in modo particolare su quello sanitario. Mutamenti particolarmente significativi hanno infatti investito la struttura produttiva della società portando ad un superamento del modello di produzione seriale tipicamente fordista a cui faceva da contr’altare un sistema di welfare fortemente basato sulla famiglia mononucleare stabile, multicomponente e con rigida suddivisione di ruoli al suo interno. Il processo di globalizzazione dell’economia ha ulteriormente modificato lo scenario post-fordista agendo in profondità non solo sulle basi materiali e strutturali della società, con l’affermazione di una produzione sempre più immateriale e di una economia fortemente orientata in senso cognitivo, (1) ma anche e soprattutto sulla collocazione delle persone (emblematicamente evidenziata dagli incessanti e inarrestabili flussi migratori) e sullo stesso processo di acquisizione e mantenimento dell’identità del singolo con la definizione di nuove tipologie di cittadini globali. Nella società postmoderna sostiene Z. Bauman (2) gli uomini sono alla ricerca continua di un luogo dove ancorare il proprio perché ormai in viaggio perenne stretti come sono in una condizione esistenziale dicotomica che riconosce come possibili due soli ruoli: quello del turista (i fortunati) e quello dei vagabondi perenni (gli sconfitti dalla globalizzazione). Nel nuovo mondo infatti “nessuna occupazione è garantita in eterno, nessuna professione resiste al tarlo del tempo, nessuna capacità professionale ha la certezza di mantenere il suo valore di mercato. L’esperienza accumulata può trasformarsi in un batter d’occhio da atout in zavorra”. I mezzi di sostentamento, la posizione sociale, il riconoscimento della propria utilità e dignità possono venire bruscamente disdetti da un giorno all’altro” Tali trasformazioni aggiungono dunque ulteriori incertezze al già precario spazio sociale in cui muove la post-modernità e costringono a nuovi cambiamenti i sistemi di welfare già duramente provati dal tramonto del rassicurante orizzonte fordista. Il risultato di tutto questo sempre di più appare come un vero cambio di paradigma (Kunh) che si fa strada su vari fronti e che, investendo le faglie profonde della società dei paesi industrializzati, assume le dimensioni di una vera sfida con le potenzialità di mettere in crisi non solo la sostenibilità ma anche la stessa esistenza dei sistemi di welfare. Una sfida a cui bisogna fare fronte introducendo, a nostro giudizio, un altrettanto forte elemento di discontinuità che rompa con l’inerzia e il continuismo che caratterizza lo stato del dibattito attuale e che punti invece ad un profondo cambiamento nella filosofia e nella prassi del servizio sanitario. www.cgil.it

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La crisi del sistema sanitario: un nuovo paradigma di organizzazione dei servizi, un nuovo patto di corresponsabilità tra Stato e regioni.

di Roberto Polillo

Responsabile delle Politiche della salute

CGIL Nazionale

Premessa: uno sguardo generaleI contesti socio-economici dei paesi a capitalismo avanzato sono stati sottoposti, nel corso degli ultimi decenni, ad una serie di trasformazioni che hanno fortemente inciso sui sistemi di protezione sociali ed in modo particolare su quello sanitario. Mutamenti particolarmente significativi hanno infatti investito la struttura produttiva della società portando ad un superamento del modello di produzione seriale tipicamente fordista a cui faceva da contr’altare un sistema di welfare fortemente basato sulla famiglia mononucleare stabile, multicomponente e con rigida suddivisione di ruoli al suo interno.

Il processo di globalizzazione dell’economia ha ulteriormente modificato lo scenario post-fordista agendo in profondità non solo sulle basi materiali e strutturali della società, con l’affermazione di una produzione sempre più immateriale e di una economia fortemente orientata in senso cognitivo, (1) ma anche e soprattutto sulla collocazione delle persone (emblematicamente evidenziata dagli incessanti e inarrestabili flussi migratori) e sullo stesso processo di acquisizione e mantenimento dell’identità del singolo con la definizione di nuove tipologie di cittadini globali.

Nella società postmoderna sostiene Z. Bauman (2) gli uomini sono alla ricerca continua di un luogo dove ancorare il proprio sé perché ormai in viaggio perenne stretti come sono in una condizione esistenziale dicotomica che riconosce come possibili due soli ruoli: quello del turista (i fortunati) e quello dei vagabondi perenni (gli sconfitti dalla globalizzazione). Nel nuovo mondo infatti “nessuna occupazione è garantita in eterno, nessuna professione resiste al tarlo del tempo, nessuna capacità professionale ha la certezza di mantenere il suo valore di mercato. L’esperienza accumulata può trasformarsi in un batter d’occhio da atout in zavorra”. I mezzi di sostentamento, la posizione sociale, il riconoscimento della propria utilità e dignità possono venire bruscamente disdetti da un giorno all’altro”

Tali trasformazioni aggiungono dunque ulteriori incertezze al già precario spazio sociale in cui muove la post-modernità e costringono a nuovi cambiamenti i sistemi di welfare già duramente provati dal tramonto del rassicurante orizzonte fordista.

Il risultato di tutto questo sempre di più appare come un vero cambio di paradigma (Kunh) che si fa strada su vari fronti e che, investendo le faglie profonde della società dei paesi industrializzati, assume le dimensioni di una vera sfida con le potenzialità di mettere in crisi non solo la sostenibilità ma anche la stessa esistenza dei sistemi di welfare. Una sfida a cui bisogna fare fronte introducendo, a nostro giudizio, un altrettanto forte elemento di discontinuità che rompa con l’inerzia e il continuismo che caratterizza lo stato del dibattito attuale e che punti invece ad un profondo cambiamento nella filosofia e nella prassi del servizio sanitario.

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L’obiettivo del nostro lavoro è dunque quello di analizzare questi elementi di criticità che scuotono i sistemi sanitari avanzati per arrivare a formulare delle proposte utili ad uscire dalla crisi in cui versa anche il nostro servizio sanitario.

I mutamenti strutturali dei servizi sanitari nei paesi industrializzati

Le direttrici che nel contesto dei paesi industrializzati hanno dunque assunto questi processi di trasformazione avvenuti nella struttura materiale della società (ma non solo in quanto essi sono fortemente condizionati anche dal paradigma ideologico-sovrastrutturale prevalente) sono ormai una dato ampiamente acquisito dalla letteratura specializzata (3). Una loro ricognizione complessiva, che deve comunque farsi carico di alcune specificità tipiche del nostro modello di sviluppo, deve inevitabilmente ricomprendere questa serie di elementi di seguito analizzati:

a) il mutamento di patocenosi e la transizione epidemiologica: in accordo con S. Luzzi (4) è possibile identificare tre periodi nella patocenosi (termine coniato dal filosofo della scienza M. Grmeck) e nella prevalenza delle malattie che hanno caratterizzato il nostro e gli altri paesi nel corso del ‘900: il periodo delle malattie di antico radicamento (malaria , TBC, tracoma, tifo , epatite, colera e denutrizione) tipiche della società rurale, della carenza di cibo e delle scarse condizioni igienico- ambientali; la fase delle malattie della modernità (diabete, patologie cardiache, tumori, malattie del lavoro, allergie ed incidenti stradali) tipiche del periodo di industrializzazione, cominciato in Italia a partire dagli anni ’50 (la stagione del cosiddetto boom economico) e dell’esposizione a nuovi e più potenti fattori di rischio tossico-industriali ed infine il periodo delle malattie della terza fase (morbo di Alzheimer, Parkinson, diabete) caratterizzate dall’andamento cronico degenerativo in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione. In particolare è proprio la prevalenza di queste malattie a rappresentare uno degli elementi di criticità dei sistemi di welfare in quanto esse pongono con forza una serie di questioni inedite: la necessità di spostare il baricentro dell’intervento sanitario dalla fase dell’acuzie a quello della cronicità; le caratteristiche che devono inevitabilmente assumere gli interventi sanitari impegnandosi sempre di più nella cura e nell’assistenza della persona e nelle pratiche di riabilitazione; il luogo delle cure che deve divenire sempre più prossimo al domicilio del malato; il peso della componente sociale sempre di più intrinsecamente legata all’assistenza ed infine i problemi legati alla non autosufficienza esponenzialmente connessi con l’invecchiamento della popolazione.

b) Il processo di Inflazione medica: i paesi del mondo industrializzato hanno visto un incremento della spesa sostenuta per la sanità ad un ritmo di crescita ben superiore a quello della ricchezza prodotta in termini di PIL, ponendo in essere un problema di sostenibilità economica di non facile soluzione. Tale processo tuttavia mentre è una costante chiaramente visibile nella storia economica di tutti i paesi europei non è rilevabile nel nostro per il verificarsi di alcune condizioni assai peculiari e contingenti: tra queste la crisi della lira dei primi anni ’90 con la conseguente pesante svalutazione della moneta e il declassamento della nazione e gli altrettanto impegnativi obblighi di contenimento del debito pubblico imposti dal trattato di Maastricht per la nostra partecipazione alla UE . Elementi questi che contribuirono largamente all’affermazione nel nostro paese ad una rigida politica restrittiva in termini di spesa pubblica e di investimenti per il welfare densa di conseguenze per gli anni a venire.

A tale riguardo è sufficiente osservare i dati OCSE pubblicati nel 2004(5) , dove risulta chiaramente che in Italia nel periodo 1992-1997 il finanziamento totale per la sanità ha registrato, a

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fronte di una crescita del PIL del 1,2%, una contrazione di segno opposto pari al –0,4%; al raggiungimento di tale risultato tuttavia ha contribuito, in maniera quasi esclusiva, una consistente contrazione del finanziamento pubblico (con un valore di -1,7% ) mentre è risultata aumentata in modo speculare e con effetti sostitutivi-compensatori la quota privata a diretto carico del cittadino. Tale linea di tendenza negativa ha presentato una inversione solo a partire dal 1997 (3,4% versus 1,5%) rendendo così possibile che all’inizio degli anni 2000 il livello di finanziamento pubblico ritornasse almeno ai valori registrati nei primi anni ’90.

Per il nostro Servizio Sanitario tuttavia tale livello di finanziamento si è dimostrato nei fatti assolutamente insufficiente rispetto alle reali necessità per una serie di fattori che è giusto richiamare e che sono in parte comuni con il resto dell’Europa: l’alto grado di industrializzazione raggiunto dal paese e i suoi effetti sulla salute pubblica; la già richiamata modificazione nella composizione della popolazione che ha visto in soli pochi decenni una inversione della piramide demografica con il netto prevalere degli over 65 e i problemi di assistenza già richiamati( grafico 1); l’implementazione continua della tecnologica sanitaria con costi progressivamente crescenti. Elementi questi che se rappresentano per tutti un potente e fisiologico moltiplicatore di spesa, mostrano effetti ancora più vistosi (in termini di sostenibilità e di qualità dell’assistenza) in un paese come il nostro caratterizzato storicamente da una forte disomogeneità nel livello di capacità gestionale di molte delle nostre regioni dove il debito assume una condizione non contingente ma strutturale.

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Tabella1: OECD Health data 2004

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Tabella 2:

Fonte ISTAT: Italia in cifre 2003

c) il processo di iperspecializzazione del sapere medico; così come si è andato progressivamente modificando il rapporto tra tecnica e scienza con il netto prevalere della prima sulla seconda ( in accordo con Jonas (6) è ormai la tecnica ad imporre le sue scelte, spesso nefaste, in termini di indirizzi di ricerca) così nella medicina clinica si è assistito alla progressiva frammentazione e settoralizzazione delle competenze; il sapere medico sempre più è stato sottoposto ad un processo di parcellizzazione e gli interventi cura sempre meno hanno mantenuto una dimensione olistica; questo processo di progressiva de-umanizzazione della Medicina e di disinvestimento filosofico può essere dunque considerato come uno degli elementi maggiormente responsabile della crisi del modello medico tradizionale e dell’affermazione delle medicine alternative. Le medicine dolci ed in particolare la medicina tradizionale cinese (con i suoi straordinari successi nella terapia di malattie importanti come malaria e neoplasie del sangue )si impongono ormai come una alternativa alla medicina tradizionale. Il contenuto euristico di tali medicine è ancora incerto ma questo destino è ampiamente condiviso anche dalle forme tradizionali di sapere medico che, tuttavia, continuano a mantenere una condizione di monopolio anche in mancanza di chiare dimostrazioni di efficacia clinica; un elemento di rilievo in questo è sicuramente il peso esercitato dal complesso farmaco- industriale con i suoi potenti interessi economici e dalla corporazione medica dimostratasi, sempre, una vigile sentinella interessata esclusivamente alla difesa della ortodossia e della tradizione.

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d) lo sviluppo del consumerismo ; la spinta ad una più intensa partecipazione dei cittadini congiuntamente all’affermarsi di una maggiore contrattualità da parte degli utenti è uno degli elementi di novità che ha caratterizzato l’attuale fase storica. I cittadini singoli o attraverso le loro associazioni di rappresentanza vogliono essere protagonisti informati e consapevoli delle scelte che riguardano la propria salute; si pone ora una inedita attenzione alla qualità e ai diversi profili di cura esistenti resi più accessibili grazie anche allo sviluppo dalla rete e delle informazioni da essa veicolate. Tutto questo pone ai decision mackers problemi nuovi che, in alcune realtà regionali attente a queste problematiche, stanno portato alla elaborazione di interventi specifici effettuati con il concorso dei cittadini come i piani per la salute recentemente adottati in Emilia Romagna. Elemento sicuramente importante questo di chiamare i cittadini alla definizione delle priorità sanitarie ma ancora non sufficiente in quanto altri strumenti devono essere predisposti affinché gli stessi cittadini possano esprimersi in prima persona su questioni ancora di maggiore rilievo; tra queste le problematiche connesse alla bioetica emerse prepotentemente a seguito di quella che Gmerk ha definito la terza rivoluzione scientifica (7) e con l’acquisita capacità di manipolazione del materiale genetico la cui soluzione non può essere demandata ai tecnici o ai politici ma deve avvenire attraverso chiare politiche di condivisione delle scelte;

e) l’affermazione del neoliberismo; a partire dagli anni ’70 con l’avvento al potere della Sign. Tatcher in UK e di D. Reagan negli Usa si è diffusa rapidamente l’idea che tra efficienza ed equità ci fosse un trade- off (8,37), una incompatibilità tra mantenimento degli istituti classici del Welfare, ivi compresi quella della partecipazione e delle tutele giuslavoristiche e la possibilità per una nazione di essere competitiva sul mercato progressivamente più globale. Questo pensiero economico che assumerà poi il nome di neoliberismo, e le cui origini possono essere rintracciate nelle teorie del monetarismo facenti capo alla scuola di Chicago troverà successivamente sistematizzazione nel cosiddetto Whashington consensus che riconosce come pilastri ideologici i tre principi di: austerità, privatizzazione e liberalizzazioni (9, 38); questi principi rapportati in sanità e nelle politiche più generali del welfare hanno subito poi la seguente declinazione:

1. Per il mercato sanitario valgono gli stessi principi posti a base del mercato concorrenziale

2. Il cittadino riveste il ruolo di decisore razionale in grado di selezionare l’offerta tramite la facoltà della libertà di scelta ed in base al principio della massimizzazione dei propri utili.

3. I servizi sanitari devono essere progressivamente privatizzati tramite la netta separazione delle funzioni di tutela o committenza e di produzione impropriamente ora esercitate dallo stesso soggetto, lo Stato e le sue articolazioni (costituzione del o dei mercati interni)

4. Lo Stato non deve interferire nel mercato di competizione, ma limitarsi ad esercitare un ruolo di garanzia stabilendo soltanto le modalità di accreditamento dei soggetti erogatori ed effettuando le opportune verifiche sulla qualità delle prestazioni.

Le teorizzazioni del Washington consensus, elaborate inizialmente per rispondere ai problemi estremamente concreti dell’America Latina, dove perdite accumulate da aziende statali assolutamente inefficienti, avevano l’effetto di aggravare pesantemente i disavanzi, furono applicate poi del tutto impropriamente anche agli altri paesi in via di sviluppo; e fatto più grave

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anche la concessione di presiti finalizzati a potenziare i loro sistemi sanitari fu subordinata alla accettazione di un modello di servizio di tipo neoliberista i cui esiti ancora risultarono ancora più disastrosi per il livello di tutela dei cittadini ( 10, 39).

Queste stesse teorizzazioni, anche se riviste ed edulcorate sono progressivamente e indolentemente entrate a fare parte anche della cassetta degli attrezzi del nostro ceto politico tanto da divenire nei primi anni ‘90 la base ideologica ispiratrice della prima controriforma della sanità targata De Lorenzo ( D.Lgs 502/92). Larga parte delle attuali difficoltà, ivi compreso il cronico sottofinanziamento dei nostri sistemi di protezione, deve il suo costituirsi proprio a questa visione neoliberista società, a questo pregiudizio basato su un fondamentalismo di mercato alieno dalla società civile ed incapace di concepire lo sviluppo in termini di equilibrio sostenibile, coesione sociale, solidarietà, ridistribuzione di ricchezze ed equità.

f) I processi di decentramento amministrativo e di delocalizzazione di funzioni da parte dello Stato: come ultimo elemento di destabilizzazione strutturale del sistema va riportato l’affermarsi di un nuovo paradigma incentrato sul trasferimento di funzioni dagli enti centrali a quelli periferici che, nel nostro contesto specifico, ha assunto la coniugazione di federalismo/devoluzione. Questo lungo processo di trasformazione dello Stato, ancora incerto e largamente incompiuto, ha in realtà preso le mosse da un altrettanto radicale cambiamento avvenuto nella struttura di produzione materiale della società; da molti anni infatti lo sviluppo economico non è più coincidente con l’intero territorio nazionale all’interno dei confini dei vecchi Stati-nazione espressione dell’ordine westfaliano (nato nel 1648 alla fine della guerra dei Trenta anni); al contrario esso appare fortemente legato alla gemmazione di indite realtà territoriali (11, 40) di particolari “regioni economiche” poste all’interno dello Stato (infrastatali) o a cavallo di Stati diversi e caratterizzate dalla loro capacità di crescita economica assolutamente indipendente da quella del restante territorio nazionale.

Alla base degli importanti risultati raggiunti in termini di efficienza economica da queste aree diffusesi rapidamente in tutto il mondo (Bengalore, la regione di confine tra Francia e Germania, la Silicon Walley, il distretto di Taiwan e il nostro Nord Est, divenuto ora, secondo la omonima Fondazione, post-nord est o middle Ue ) vanno ascritte ben determinate peculiarità tra le quali: la capacità di intrattenere intense relazioni economiche con il mercato globale, la transnazionalità come elemento costitutivo e la presenza al loro interno di un tessuto a rete a forte relazionalità e scambio tra operatori economici che rappresenta un vero e proprio valore aggiunto in termini di qualità ed innovazione di prodotti realizzati.

L’affermarsi di questo nuovo “mondo delle regioni” non coincidente con le tradizionali aree geografiche in cui aveva trovato sviluppo fino al ventesimo secolo il capitalismo ha conferito nuova forza alle istanze localiste-federaliste; per lo sviluppo di tali aree infatti sono diventati assolutamente indispensabili adeguamenti strutturali ed infrastrutturali a cui lo Stato centrale per la sua lontananza da territorio non riesce a dare risposte tempestive. Tali adeguamenti invece, a torto o a ragione sono ritenuti più facilmente realizzabili da un governo di tipo federale espressione diretta dei territori e più vicino ai cittadini e a i loro bisogni.

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La natura del processo di trasferimento di funzioni verso gli enti territoriali avviato nel nostro paese tuttavia si presenta con aspetti ben diversi da quelli che caratterizzarono la nascita dei veri stati federali a partire dal secolo precedente in Europa ( Germania, Austria, Svezia) come nel resto del mondo (Canada, Usa, Australia). In questi infatti si è trattato di un vero processo di Federalismo in cui Stati di per sé autonomi si sono uniti volontariamente tra loro al fine di ottenere ben determinati benefici, cedendo per questo parte della loro autonomia ad un governo nazionale federale. In particolare i benefici che gli stati ottennero attraverso tale processo federativo fu nel caso degli Usa e del Canadà l’acquisizione di un efficiente potere difensivo e di deterrenza nei confronti della loro madre patria, l’Inghilterra ,avversa a concedere alle ex colonie l’autonomia richiesta (12). Nel caso del nostro paese invece si è trattato più propriamente di una Devoluzione ovvero della cessione di potere politico ad entità governative sub centrali da parte di uno Stato unitario allo scopo di renderne possibili differenziazioni interne. Mentre nel primo caso a prevalere è stato “l’interesse nazionale” nel caso della devoluzione a prevalere è invece “l’interesse regionale” come tale portatore di una visione di tipo localistico e non universale ( 13). La questione sollevata si badi bene va oltre l’aspetto puramente semantico implicando invece aspetti sostanziali di equità tra i diversi ambiti territoriali e quindi tra i cittadini appartenenti alle diverse aree geografiche del paese.

La “ crisi” del Servizio sanitario nazionale: quattro osservazioni

I mutamenti illustrati hanno investito la globalità del mondo industrializzato e quindi anche il nostro paese; essi pongono con urgenza delle domande relative tanto alla sostenibilità economica del ( nostro ) servizio sanitario che all’equità sostanziale, universalità, efficacia e rispetto delle esigenze di partecipazione dei cittadini; domande che non sono più rinviabili e a cui occorre dare tempestiva risposta.

La questione è dunque valutare in che misura gli effetti derivati dal concorrere di questi fattori abbiano determinato una condizione di difficoltà (o di crisi) del nostro sistema sanitario e quali siano le strategie per invertire questo processo e migliorare il livello di garanzie finora offerto.

Una prima osservazione da fare è che in presenza di un quadro legislativo in via di evoluzione ( è di solo pochi giorni l’approvazione da parte della Camera del nuovo articolo 117 del Capo V della Costituzione che conferisce alle regioni competenza esclusiva in materia di assistenza ed organizzazione sanitaria) è difficile prevedere quale sarà la cornice legislativa definitiva in cui dovranno muoversi i servizi sanitari regionali. E’ del tutto evidente infatti che in presenza di un processo di devoluzione totale in cui ciascuna regione ha competenza esclusiva sulla sanità il servizio sanitario nazionale perderebbe ogni significato in termini di unitarietà e si avvierebbe verso un processo di frammentazione difficilmente reversibile. Non può infatti sfuggire che in questo caso le spinte autonomistiche metterebbe inevitabilmente in crisi i meccanismi di perequazione finanziaria tra regioni a diversa capacità economica, stante anche l’immanente crisi che coinvolge l’intero paese e che appare sempre di più di difficile soluzione; meccanismi di perequazione che hanno finora fortemente aiutato le regioni in condizione di svantaggio (come le meridionali) e che in loro mancanza le porrebbero di fronte all’impossibilità di mantenere anche i già scarsi livelli delle prestazioni erogate.

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Una seconda osservazione riguarda il livello di indebitamento raggiunto dalle regioni al fine di riuscire ad erogare i Livelli essenziali delle prestazioni. Di fatto nonostante che con l’accordo del giorno 8 agosto 2001 fosse stata definitivamente risolta la questione del debito pregresso ( ante 2001) e fosse stato indicato il 2001 come “anno zero” nei rapporti tra stato e regioni ( nel senso che eventuali sforamenti nella spesa sarebbero ricaduti nella responsabilità esclusiva delle regioni) il livello di finanziamento per la sanità si è dimostrato ancora lontano dalle reali necessità inducendo così una nuova e sostenuta stagione debitoria.

La Corte dei Conti nella sua relazione del 2004 (14) sulla gestione finanziaria delle regioni ha così contabilizzato il debito di parte corrente del SSN maturato ( differenza tra finanziamento /ricavi versus spesa /costi) nel triennio 2001-2003, successivo all’accordo del giorno 8 agosto

Tabella 3 : Risultati gestione 2001-2003

Finanziamento Totale/ Ricavi

Spesa / Costi

Disavanzi (-) o Avanzi

2001 € 70.748,32 € 75.697,80 -€ 4.949,482002 € 76.838,49 € 80.875,72 -€ 4.037,232003 € 80.105,216+ € 82.172,00 -€ 2.200.835

( detratti gli avanzi di gestione di Toscana,Lombardia,Puglia; il dato è fortemente sottostimato )

Con una avvertenza peraltro di non scarso rilievo: per il 2003 il risultato solo apparentemente segna una flessione positiva rispetto all’anno precedente in quanto esso è al netto della spesa per i contratti del personale del SSN che per il biennio e per gli effetti che avrà sul 2004 è pari a 2,5 miliardi di € al netto di IVA (dei quali 328 milioni a carico dello Stato). Ma non solo! a questo infatti si devono aggiungere i disavanzi degli IRCS, dei Policlinici universitari e delle aziende miste che, a partire dal 2001, non sono automaticamente inclusi nei disavanzi regionali e il cui onere quantificato dalle regioni per gli anni 2001 e 2002 è stimato in circa 1.560 milioni di €. Di fatto dunque il consultivo per il 2003 non presenterà modificazioni di rilievo rispetto agli anni precedenti anche in considerazione delle stime relative al 2004 elaborate dai Presidenti delle regioni che vedono l’indebitamento attestarsi per l’esercizio finanziario corrente intorno ad una cifra di 5 miliardi €.

Gli stessi Presidenti delle regioni inoltre, negli incontri avuti con il Governo in preparazione della legge Finanziaria per il 2005 , hanno richiesto non soltanto le somme necessarie per i contratti, gli IRCS e la regolarizzazione degli immigrati ma anche l’aumento del Fondo sanitario di almeno 10 miliardi di € e lo sblocco dei vecchi finanziamenti e delle erogazioni di cassa (pari ad altri 10 miliardi) trattenuti dallo Stato in virtù della legge 112.

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Le regioni dunque, nonostante gli impegni assunti, hanno continuato ad accumulare debiti per una serie di fattori tra cui quelli di seguito indicati che vanno analizzati singolarmente e che naturalmente richiedono interventi specifici per la loro risoluzione: a) il fondo sanitario continua ad essere sottofinanziato e quindi va adeguato alla media dei paesi europei con identiche caratteristiche; b) i meccanismi di finanziamento e di reporting tra centro e periferia sono ancora inadeguati motivo per cui lo Stato nel tentativo di controllare la spesa, ha fatto ricorso a meccanismi di stretta finanziaria (legge 112 e norme successive) dimostratisi assolutamente controproducenti; c) l’indebitamento è strutturalmente concentrato in 5 regioni ( Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna) nei confronti delle quali dovranno essere assunti impegni specifici e dovranno essere sviluppate strategie mirate ed indirizzate, anche attraverso un sistema di sanzioni, ad implementare la loro capacità gestionale. Completamente fallimentare infatti si è dimostrata finora la politica attuata nei loro confronti dal governo volta ad ottenere un pareggio di bilancio in un solo esercizio finanziario; in queste realtà infatti il debito è una componente storica dipendente da una serie di fattori che possono essere rimossi solo con un piano pluriennale di interventi. Quello che occorre dunque è un programma credibile di rientro dal disavanzo scaglionato in un arco di tempo definito e necessario per procedere a riconversioni e razionalizzazioni dell’offerta sanitaria su modello di quanto hanno ottenuto ( impiegando almeno due decenni) Emilia Romagna, Toscana ed Umbria.

Nella tabella successiva n° 4 viene visualizzato il quadro complessivo delle risorse di competenza delle regioni dall’anno 2000 al 2004 previste dai vari accordi sottoscritti in sede di Conferenza Stato -regioni ed il disavanzo finora accertato

Tabella 4: Quadro complessivo delle risorse di competenza dello stato comprensive di ripiani o somme di riequilibrio previste nell’accordo del giorno 8 agosto 2001 e dei crediti maturati da parte delle regioni

Anno(accordo3 agosto2000)

Finanziamento Totale (accordo 8 agosto 2001 e altro)

Di cui per ripiani* o riequilibrio** o penalizzazioni art. 4 legge 63***

2000(118.000)

124.000 miliardi +2.700

2.700 miliardi* poiché le somme sono state integrate ad esercizio chiuso si configurano come disavanzo e pertanto non sono ricomprese nella tabella allegata dalla Corte dei Conti. Nel corso del 2002 è stato erogato alle regioni solo la metà di detta somma; la rimanente pari a 1.350 miliardi è stata erogata nei primi mesi del 2003 solo a favore delle regioni che hanno assunto provvedimenti a copertura della quota di disavanzo a loro carico; mancano ancora 6 regioni per un importo di 305 miliardi pari a 157 milioni di €

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2001(131.143)

138.000 miliardi + 397 miliardi per il Policlinico Umberto 1°

7.157 miliardi* pari a 3.696 milioni di € di cui posto a carico dello Stato per 6.608 miliardi (la cui utilizzazione è stata definita con la legge 63 convertita in legge 112 che ha iscritto nella tabella B della legge 448/2001 (finanziaria 2002).L’erogazione di tali somme è stato subordinato al rispetto degli obblighi previsti dalla legge 405/2001; la commissione all’uopo costituita ha verificato che le regioni che hanno potuto accedere alle risorse erogate in data 10 febbraio 2003 sono: Piemonte (296 mil €); Lombardia (593); Veneto (293); Emilia Romagna (279); Toscana (248); Umbria (57); Marche (99); Lazio (332); Puglia (236) Basilicata (38); Le regioni non ammesse sono state Abruzzo, Molise, Campania, Calabria;, Sardegna. Di fatto il ritardo nella corresponsione di tale cifre ha comportato una sottodotazione iniziale di 6.608 miliar di cui effettivamente erogati 5.375 miliar. e il ricorso oneroso ad anticipazione a carico delle regioni con conseguenze sugli anni a venire. Il Disavanzo registrato a consuntivo è pari a 4.950 milioni di €

2002(131.843)

146.376 miliardi + 9,7 miliardi legge 448

2.000 miliardi** La ripartizione del finanziamento è avvenuta solo a partire dal 2003; La copertura del fabbisogno si è avvalsa del sistema di anticipazione di cassa commisurata al finanziamento previsto per il 2001 dal 3 agosto e pari a 131.143 mil neppure incrementato del 3,5% (Fin. 2001), con temporanea decurtazione di 3412 mln di€ –. Il riparto è invece avvenuto a gennaio 2003 per un importo complessivo di 2.697 milioni di € . per la mancata assegnazione alle tre regioni inadempienti: Abruzzo (161 mil); Molise ( 57 mil) e Sicilia 496 milioni) Il Disavanzo registrato a consuntivo è pari a 4.037 milioni di €

2003(140.415)

78.569 Mdi di € 2.000 miliardi** La copertura del fabbisogno si è avvalsa anche in questo caso del sistema di anticipazione di cassa commisurata al finanziamento previsto dal 3 agosto e pari a 131.143 mil neppure incrementato del 3,5%, cioè inferiore a quanto stabilito con il precedente e ormai superato accordo del 3 agosto 2000. Il credito è pari a di € per un totale di 16,2 miliardi di € per il biennio 2002/2003A questo va aggiunto il mancato trasferimento di 1,3 miliardi di € necessari a garantire l’assistenza sanitaria ai 700.000 immigrati regolarizzati a seguito della legge Bossi- Fini. Il disavanzo registrato

2004(144.488)

81,287 Mdi € 157.371 miliardi £

1.500 miliardi** Deficit tendenziale stimato in circa 5 miliardi di €

Una terza osservazione, già ampiamente discussa nelle premesse, riguarda la spesa privata direttamente sostenuta dai cittadini (cosiddetta out-off-pocket ) e quella contratta per la stipula di assicurazioni private (valutabile all’incirca nel 4% ) la cui somma rappresenta il 27% della spesa totale a fronte del restante 73% di copertura pubblica. E’ dunque chiaro come anche nel nostro paese, nonostante il ruolo assolutamente marginale svolto dalle assicurazioni private che all’interno dei paesi dell’OCSE assorbono in media il 6,3% della spesa totale, una parte importante dell’onere del servizio sanitario sia stato di fatto trasferito alle tasche dell’utente (15) . Tale fenomeno risulta inoltre in vistosa crescita come evidenziato da un recente studio effettuato dell’ISTAT. Nel suo Rapporto 2003 ( 16) infatti l’Istituto ha fatto notare come nel periodo 1991-

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2001 la spesa sanitaria di competenza pubblica sia passata da 47 miliardi di euro a 74 e come nello stesso periodo la spesa a carico delle famiglie sia cresciuta da 10 a 22 miliardi variando dal 17,3% al 22,6% del totale. A questo si deve aggiungere un ulteriore 4% rappresentato All’aumento della spesa a carico delle famiglie, particolarmente alta nelle regioni del Nord, (la cui quota sul totale della spesa è variata dal 18,7 per cento del 1991 e al 25,5 del 2001) è corrisposto una sensibile diminuzione della quota di spesa pubblica a gestione diretta, diminuita dal 50,3 per cento del 1991 al 46,2 del 2001 ( tabella 5). In conclusione quello che per l’ISTAT emerge con chiarezza dai dati ( in realtà a nostro giudizio ancora sottostimati rispetto alla realtà) è una vera “privatizzazione” del sistema, tanto dal lato dell’erogazione dei servizi che da quello della spesa direttamente sostenuta dagli utenti.

Tabella 5

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Una quarta osservazione riguarda la qualità dell’assistenza riservata alle fasce più deboli della popolazione ed in particolare quella degli anziani; questa tipologia di servizi infatti può essere assunta come indice dell’attenzione rivolta ai problemi sanitari emergenti e a quelli a forte valenza “sociale”, tipici come abbiamo visto dalla attuale patocenosi. Il quadro che è emerso con particolare chiarezza nel corso del 2003 è stato quello una fragilità inattesa nei servizi sanitari di tutto il vecchio continente; decine di migliaia di anziani sono deceduti stroncati dal caldo insopportabile ed ancora di più dall’indifferenza dei servizi pubblici che li hanno abbandonati, nell’incuria, alla loro solitudine. Il fenomeno è stato particolarmente vistoso in Italia ed in Francia, dove rispetto alla prima, sono stati subito disponibili i dati (le morti sono state superiori a 12.000) che hanno a loro volta determinato le tempestive dimissioni del Direttore del ministero della sanità. Nulla di tutto questo è accaduto nel nostro paese che ha registrato più di 7.000 morti e dove invece il Ministro della Sanità si è lanciato in un attacco ai Comuni addossando loro ogni responsabilità, colpevolmente immemore dei tagli dei trasferimenti agli enti locali e regioni perpetrati dal Governo con le Finanziarie degli ultimi due anni. Fatto ancora più grave nessun provvedimento è stato assunto finora per impedire che anche negli anni successivi il fenomeno potesse verificarsi di nuovo ( per decenza non vengono ricordati i suggerimenti del Ministro di trasferire gli anziani nei supermercati climatizzati o nelle caserme dei pompieri) .

La vicenda è stata tuttavia doppiamente triste: per il carico di sofferenze che ha comportato e per la debacle subita dai servizi sanitari francese ed italiano, riconosciuti solo quattro anni fa dalla OMS nella sua indagine (17) condotta sui 191paesi membri come i due migliori del mondo per performance complessiva ( rapporto tra risorse impegnate e risultati) ed ora dimostratisi totalmente inadeguati ad affrontare una emergenza sanitaria che poteva essere controllata se fosse stato presente un efficace sistema di cure primarie.Di tutto quanto verificatosi nel caldo dell’estate non può essere infatti ritenuto responsabile esclusivo il cambiamento, seppur profondo, avvenuto nella società; se è ormai innegabile che nello spazio sociale vi è stata la lacerazione di quelle reti di protezione per così dire di “riserva”, che , tessute in casa a proprie spese dalle comunità familiari o dai vicini, rappresentavano un tempo le trincee di seconda linea dove feriti e contusi si rifugiavano a curare i danni riportati nelle battaglie sul fronte del mercato (18); dall’altro è altrettanto indubitabile che si sono dimostrate parimenti inesistenti le reti di intervento che le istituzioni dovrebbero stendere a sostegno dei soggetti deboli (ed in particolare degli anziani ) sempre più soli in questa società fortemente de-tradizionalizzata (19).

Una società, la nostra, dove l’area della fragilità è progressivamente cresciuta a partire dalle condizioni di povertà che non investono ora soltanto i senza lavoro, ma al contrario si estendono minacciose a quote crescenti di salariati; perché questo è il quadro che emerge con chiarezza dal rapporto ISTAT che stima gli individui in condizione di povertà assoluta in oltre tre milioni di unità e quelli in povertà relativa in sette milioni (20).

La serie di elementi finora considerati, assolutamente parziale rispetto all’insieme dei problemi che investono la sanità e che non sono stati richiamati per brevità ( gli altri soggetti deboli abbandonati, lo stato di degrado della prevenzione, la scarsa appropriatezza delle prestazioni, la qualità delle cure etc.) ci portano alla conclusione che il Sistema sanitario del paese attraversa una fase di grandi difficoltà i cui esiti sono incerti e che si potrebbe tradurre in un fortissimo arretramento dei livelli di salute con tanta fatica raggiunti.

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Prendere atto di questa crisi strisciante, aggravata da una condizione generale del paese di altrettanto significativa difficoltà, significa anche farsi carico di proposte specifiche orientate al cambiamento, rinunciando alla condizione comoda di chi avanza esclusivamente critiche senza indicare o tentare di indicare soluzioni ai problemi.

Uscire dalla crisi dunque è possibile, ma solo introducendo elementi di grande discontinuità che sappiano rompere con quel conformismo culturale che spesso domina nel paese e che è sorretto dagli altrettanti forti interessi di grande parte degli attori coinvolti nel mercato sanitario .

Un nuovo paradigma per il Servizio Sanitario Nazionale

Se fosse possibile utilizzare una figura geometrica per illustrare gli snodi e le correlazioni che devono caratterizzare un servizio sanitario di qualità, dovremmo dire che esso è immaginabile come il centro di un quadrivio; il punto di incontro e di convergenza di queste quattro direttrici: risorse ( intese come livello di finanziamento realmente sufficiente e come investimento progettuale e culturale al contempo), organizzazione ( intesa come definizione di un modello basato su un nuovo rapporto tra cure primarie e secondarie e su una integrazione stretta tra intervento sanitario e socioassistenziale) saperi ( intesi come la buona medicina basata sulle prove e le evidenze scientifiche) etica ( intesa come etica pubblica delle scelte condivise e partecipate e etica del rapporto duale tra la struttura/operatore e il paziente/cittadino).

La definizione di un nuovo paradigma per il servizio sanitario può nascere, a nostro giudizio, solo da un sapiente mix di queste quattro componenti, spesso conflittuali tra loro, ma assolutamente indispensabili per affrontare con successo le sfide poste da una società fortemente trasformata. Scopo del nostro lavoro è ora concentrarci sulle prime due direttrici: risorse ed organizzazione, rimandando coloro che fossero interessati ad un’analisi complessiva ad un altro testo facilmente disponibile in rete (21)

Finanziamento e perequazione

Punto prioritario per segnare una inversione di rotta è quello di definire un sistema coerente di finanziamento delle regioni che superi lo stato di incertezza che ha finora caratterizzato il rapporto con lo Stato centrale. Questo è possibile dando immediata applicazione alle disposizioni contenute nell’articolo 119 del novellato capo V della costituzione che risponde a due esigenze : ridefinisce i meccanismi di finanziamento degli enti territoriali e indica gli strumenti atti a realizzare la perequazione tra territori diversi.Le disposizioni contenute nell’articolo 119 delineano infatti un modello normativo articolato su tre piani di intervento:

• Modalità di finanziamento delle attività degli Enti territoriali ( primi 4 commi)

• Definizione delle attività di intervento finanziario dello Stato a integrazione delle risorse ordinarie degli Enti territoriali ( fondo perequativo nazionale e risorse aggiuntive comma 4 e 5)

• Normazione della capacità di indebitamento “autonomo” degli Enti territoriali limitatamente alle spese di investimento. (aspetto quest’ultimo che non sarà considerato nel nostro lavoro)

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Nello specifico i primi 4 commi dell’articolo 119 individuano chiaramente che il modello di finanziamento degli Enti territoriali deve essere articolato nei: a) tributi ed entrate proprie, b) compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio dell’Ente c) fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante. La chiusa del 4° comma aggiunge al quadro così delineato un concetto di che assume per noi una importanza particolare: esso infatti pone come vincolo preciso che “ le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni a loro attribuite”. Con tale norma dunque il legislatore vuole chiaramente intendere come proprio ed esclusivamente attraverso i meccanismi finanziari a), b) e c) ciascuno degli Enti territoriali debba essere messo nelle condizioni di fornire alla comunità locale amministrata l’intera gamma dei servizi e delle prestazioni propri delle funzioni delegate (22 28). Viene dunque chiaramente superata ogni ipotesi che vede di scarso rilievo il ruolo dello stato nell’allocazione delle risorse verso gli enti territoriali in quanto la norma imputa proprio alla responsabilità diretta dello Stato centrale l’intero finanziamento necessario ad assicurare le funzioni delegate e quindi la funzionalità piena del servizio sanitario.

Altrettanto importante è il contenuto del comma 5 che stabilisce invece come “ per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

Questo significa che da un lato gli interventi previsti devono essere considerati del tutto estranei alla logica del finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite esulando dal normale esercizio delle loro funzioni a cui si deve provvedere con gli strumenti previsti da a), b) e c); dall’altro che detti interventi devono essere intesi come “speciali” e che le risorse da impiegare per la loro realizzazione sono “ aggiuntive” e non riguardano la generalità degli enti territoriali ma soltanto “determinati Comuni Province, Città metropolitane e Regioni”. Va dunque definitivamente rigettata l’ipotesi che tali risorse possano essere considerate come un elemento integrativo ai fini della gestione per così dire corrente delle funzioni delegate agli enti territoriali

Nel contempo occorre a nostro giudizio che tale intervento sia chiaramente configurato come:

• eccezionale

• limitato nel tempo

• soggetto a chiara definizione di obiettivi strumentali misurabili

• monitorabile e monitorato, alla stregua dei progetti finanziati da fondi europei

• cofinanziato da Stato e regioni

Il quadro legislativo realizzato con la riforma del titolo V è dunque già sufficientemente chiaro; lo Stato mantiene la responsabilità nel reperimento delle risorse necessarie agli Enti territoriali e la solidarietà tra territori diversi diventa un vero valore costituzionale che mette fuori gioco ogni

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tentativo di tipo secessionista e che consente di trovare una soluzione negoziata ai problemi relativi alle regioni in condizioni di svantaggio.

Se dunque viene assunto come compito dello stato garantire le risorse necessarie per finanziare integralmente le funzioni attribuite agli enti territoriali, questo tuttavia non può più avvenire sulla base della spesa storica, dimostratasi inadeguata a rappresentare le vere necessità economico-finanziario della sanità del nostro paese.

In accordo con ASTRID (23) riteniamo che la definizione del livello di risorse necessarie debba invece avvenire attraverso la valutazione dei costi unitari delle prestazione e dei servizi ( rispondenti ovviamente a criteri di efficacia ed appropriatezza) in un processo ( sicuramente lungo e difficile) di monitoraggio e di comparazione dei costi e dei risultati tra i diversi enti che costituiscono il servizio sanitario, in una negoziazione che deve poi coinvolgere congiuntamente lo Stato e gli Enti territoriali stessi.

Nell’ambito della stessa negoziazione e previa presentazione di specifici progetti devono inoltre essere definiti con chiarezza gli interventi a favore degli enti svantaggiati previsti dal comma 5 dello stesso articolo 119 nonché le procedure di monitoraggio e di valutazione dei risultati.

E’ nostra convinzione che solo in questo modo e solo dopo avere garantito un livello di finanziamento effettivamente adeguato alle necessità del servizio sanitario dei diversi territori sarà possibile intervenire efficacemente, anche con riduzione dei trasferimenti dovuti, nei confronti di quelle regioni i cui costi risultino disalineati rispetto a quanto atteso.

Quello che si propone è dunque un percorso inverso rispetto a quello attuato finora dal governo e basato esclusivamente sulla stretta finanziaria indifferenziata per tutti gli enti territoriali. Lo Stato infatti, preso atto della impossibilità di effettuare un tempestivo monitoraggio della spesa, ha erogato alla regioni solo il 90% di quanto convenuto ( aumentato al 95% per il 2004) ed ha attribuito le somme restanti solo a consuntivo ( con intollerabili ritardi) e soltanto alle regioni in regola con il patto di stabilità. A questo poi si deve aggiungere che il trasferimento di risorse è avvenuto con il meccanismo dei dodicesimi parametrate su un importo del fondo sanitario 2001 assolutamente sottodimensionato rispetto alle necessità. Il risultato di tali ritardi è stata una crisi di liquidità per tutte le regioni ( anche quelle risultate poi in regola) che si sono viste costrette ad accendere mutui per riuscire a sostenere la spesa corrente da cui sono derivati ulteriori disavanzi causa gli interessi bancari dovuti.

Con la definizione dei costi unitari e con la predisposizione di un sistema di monitoraggio efficiente basato su pochi ma chiari e tempestivi indicatori, noi siamo in conclusione convinti che il problema del livello di finanziamento e di controllo della spesa potrebbe trovare il giusto inquadramento e forse una adeguata soluzione.

L’appropriatezza delle prestazioni

La definizione dei costi unitari delle prestazioni che il SSN ritiene indispensabile erogare ai propri cittadini non può essere disgiunta da una altrettanto accurata valutazione delle priorità che si intendono perseguire e dell’appropriatezza dei servizi offerti.

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E’ chiaro infatti che in un sistema sanitario che riconosca come obiettivi prioritari l’erogazione di servizi e prestazioni basati sulla programmazione, sulla verifica dei risultati e sull’implementazione continua della qualità, un posto centrale occupa tanto il primo processo di identificazione delle priorità ( valutazione di tipo tecnico- politico sulla scelta dei target ritenuti strategici ai fini della realizzazione della specifica mission della tutela della salute) e sia quello di definizione di “appropriatezza” degli interventi sanitari ( gli strumenti e le modalità operative attraverso i quali i target identificati come prioritari vengono compiutamente realizzati).

Nello specifico campo sanitario inoltre l'“appropriatezza” degli interventi non può essere disgiunta da una valutazione sia dell’efficacia clinica e sia dalla efficienza organizzativa (assi fondamentali del circolo della qualità) in quanto, (stante il particolare “contesto” integrato in cui deve realizzarsi la promozione e il mantenimento della salute), questi elementi sono di fatto in un rapporto di strettissima interdipendenza funzionale.

Definizione dei criteri di “appropriatezza”

Entrando più nel merito della questione ( in relazione anche alle considerazioni finora svolte) si può assumere che un’azione o una prestazione sanitaria presenti criteri di appropriatezza, (intesa in senso significante come il possesso di proprietà corrispondenti a quelle specifiche che definiscono una classe come tale) qualora questa risulti capace di garantire, con ragionevole probabilità, più beneficio che danno al paziente. Si preferisce dunque un taglio “minimalista” nella definizione in quanto l’appropiatezza è strettamente dipendente da altri due elementi la cui validità scientifica pecca ancora di grande indeterminatezza e presenta ampie oscillazioni: a) il grado di conoscenza relativo alla reale efficacia clinica di quanto praticato e alla sua validità scientifica calibrati non sulla base delle opinion leader ma sulle prove cliniche disponibili; b) il “gold standard” attualizzato e costantemente aggiornato sui dati della letteratura delle procedure diagnostico-strumentale ed erogative da attuarsi in relazione ad ogni specifico contesto clinico assistenziale. Inoltre, assunto che il raggiungimento di tale condizione di beneficio per il paziente non può essere ricondotto alla fruizione di prestazioni singole ed isolate, essendo dipendente dalla qualità complessiva del sistema, ne deriva che l’appropriatezza è strettamente vincolata al contesto generale; essa dunque può essere valutata esclusivamente in funzione della corrispondenza a quei criteri (valore qualitativo) e standard (valore quantitativo) attraverso i quali possono essere raggiunti efficacia clinica ed efficienza organizzativa.

L’efficacia clinica a sua volta non deve essere intesa soltanto come Efficacy termine inglese intraducibile che sta a significare “Capacità (molto teorica) di conseguire risultati clinici auspicati in condizioni ottimali” ma al contrario come Effectivennes ovvero come “ Capacità (strettamente correlata allo specifico contesto e quindi concreta) di conseguire risultati attesi in condizioni reali”; questa specificazione infatti richiama la nostra attenzione sul rapporto di congruenza che sempre deve sussistere tra aspettativa di outcomes e condizioni di partenza delle strutture.

L’Efficienza organizzativa va invece intesa come la capacità di massimizzare i risultati erogativi ed organizzativi in relazione alle risorse finanziarie assegnate” e rimanda quindi strettamente a quella che può essere definita come qualità gestionale (24).

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Nell’ambito della appropriatezza in conclusione si può nettamente differenziare l’appropriatezza clinico- terapeutica (riferita come già detto alla scelta in linee con le evidenze disponibili delle procedure e delle terapie in grado di massimizzare i benefici per ciascun paziente ) dall’appropriatezza organizzativa che è invece dipendente dal modello di servizio sanitario realizzato nello specifico contesto sia in riferimento alla dimensione macro (rapporto tra cure primarie e secondarie; ospedale e territorio) che alla dimensione micro ( la scelta del luogo e del livello di complessità assistenziale più idoneo per la massimizzazione dei benefici attesi in rapporto ad ogni singolo paziente trattato).

Adeguare il modello organizzativo per implementare appropriatezza e qualità

E’ nostra convinzione che per un servizio sanitario che voglia affrontare con successo le sfide poste dalle società post- moderne, il raggiungimento dell’appropriatezza e della qualità degli interventi è possibile solo se si assume come asse portante del cambiamento una radicale modifica nel rapporto tra cure primarie e cure secondarie ( tabella 6 ) e se in ambito distrettuale si realizza la piena integrazione tra assistenza sanitaria e socio assistenziale.

Tabella 6 :Sistema ospedaliero e sistema cure primarie

a confronto

Intensività assistenziale Estensività assistenziale

“Technology-intensive “Labor-intensive

Orientato alla produzione di prestazioni

Orientato alla gestione di processi assistenziali

Presidia soprattutto l’efficienza Presidia soprattutto l’efficacia e i risultati di salute

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SISTEMA

OSPEDALERO

SISTEMA DELLE

CURE PRIMARIE

Tende all’accentramento

(Economie di scala)

Tende al decentramento (Partecipazione

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Punta all’eccellenza Punta all’equità

Bisogna dunque rompere con il paradigma ospedalocentrico che ha dominato grande parte della 1° modernità e che, identificando nell’ospedale il cuore del sistema adibito alla tutela della salute, relegava il territorio ad una funzione meramente residuale. Lo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie infatti insieme alle modifiche della patocenosi e della composizione demografica della popolazione impongono che all’ospedale siano attribuite esclusivamente le funzioni di cura degli episodi morbosi richiedenti intensività assistenziale altrimenti non realizzabile e che invece il territorio si faccia carico di tutto il resto: dalla prevenzione alla diagnostica per i pazienti non ricoverati ( che va sottratta progressivamente agli ospedali) dalle cure portate a domicilio del paziente alla gestione delle strutture a minore intensità assistenziale.

Per realizzare questo dunque occorre non solo ristabilire i rispettivi ambiti di competenza tra i due sistemi, ma soprattutto immaginare una strutturazione delle cure primarie radicalmente diversa da quella esistente, comprensiva ovviamente di una gestione delle risorse umane disponibili totalmente diversa a partire dal medico di medicina generale e dagli altri operatori impegnati nel distretto.

Imparare dagli altri:un confronto tra Kaiser permanente (USA) ed NHS

Nell’ambito delle tre tipologie di servizio sanitario esistente ( a finanziamento pubblico come in UK ed Italia, a sistema assicurativo obbligatorio come in Francia e Germania e a sistema assicurativo privato come in USA) (25) questo ultimo è universalmente considerato essere il più costoso ed il meno equo per quanto riguarda universalità di accesso ed uniformità di cura dei cittadini.

E’ noto infatti come in rapporto al PIL il costo complessivo della sanità targata USA abbia raggiunto il valore del 14% e come nonostante questo il 15% della popolazione ( circa 40 milioni di abitanti prevalentemente appartenenti a quel che resta della middle class) sia completamente privo di assistenza sanitaria.(26)

Il sistema sanitario americano

Il sistema sanitario USA è basato su un complesso di assicurazioni private fortemente differenziate al loro interno per quanto concerne i costi della polizza, le tipologie di servizi e prestazioni offerte, la compartecipazione alla spesa e le modalità di accesso alle cure specialistiche ed ospedaliere. Il sistema inoltre nel tentativo, peraltro non coronato da successo, di porre un limite al progressivo lievitare dei costi dell’assistenza ha subito nel corso del tempo importanti modificazioni in senso restrittivo che hanno determinato altrettanto forti conseguenze sulla accessibilità e qualità dei servizi (27,28) ( nella tabella 7 viene delineato un breve profilo storico del sistema sanitario americano ).

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Tabella 7: Il modello USA in sintesi

• Fino agli inizi degli anni ’70 il sistema sanitario americano era basato sulla Indennity Insurance, un modello assicurativo fortemente penalizzante per i finanziatori: I pazienti infatti erano liberi di scegliere il medico e l’ospedale a cui rivolgersi, i professionisti potevano stabilire in piena autonomia prezzi, tipologie e volumi di prestazioni con il solo limite posto dal rispetto di criteri “usual and custumary”,le assicurazioni potevano fare lievitare liberamente i costi delle polizze, ma gli oneri(progressivamente crescenti e sempre indotti dalle decisioni altrui) erano ad esclusivo carico delle imprese prive di qualsiasi potere decisionale

• Le HMO (Health Maintenance org.) nascono nel corso degli anni ‘70 proprio al fine di superare tale asimmetria e contenere i costi progressivamente crescenti .Le HMO forniscono una serie di prestazioni ( Amb.,H., Spec.) a fronte di una quota fissa prepagata da parte dell’utente. Le tariffe sono vantaggiose, prive di franchigie e con compartecipazione assente o minima. L’utente può rivolgersi solo a medici e strutture convenzionate tramite primary care phisician ( p.c.p di solito dipendente).Elementi caratteristici del sistema sono: finalità non profit, enfasi posta su prevenzione, mancanza di selezione avversa e incentivi ai medici, integrazione tra servizi e valorizzazione dell’assistenza di base.Il sistema, laddove introdotto, risulta nel suo complesso bene accetto Con le HMO sembra finalmente a portata di mano il sogno tanto accarezzato di riuscire ad introdurre anche negli USA un sistema di tipo Binsmarkiano (german-style ) con caratteristiche di universalità.Il processo riformatore tuttavia si arresta e non trova attuazione perché la destituzione del presidente Nixon impedisce di portare a termine quei compromessi necessari a vincere le più che numerose resistenze al progetto

Nel corso dei successivi anni ’80 la spesa sanitaria continua a registrare una crescita ancora più sostenuta passando dal 8,9% al 12,2% del PIL ( da $ 1.067 a 2.738 pro capite.Ad essere messo al centro delle accuse è proprio il vecchio sistema assicurativo basato sul meccanismo del rimborso delle spese sostenute ( Indemnity insurance) Le compagnie assicurative lo abbandonano e introducono un nuovo sistema basato, come le HMO, sulla quota annuale prepagata, a fronte della quale l’assicurato viene curato esclusivamente da medici convenzionati o dipendenti dall’assicurazione. Ma non solo!. Le nuove strutture le Managed care organizations (MCO) non si limitano a commercializzare polizze; esse contrattano direttamente con i provider, offrono tipologie di piani assistenziali diversificati e personalizzati, sono in grado di erogare direttamente tutti i servizi compresi quelli ospedalieri e si quotano in borsa essendo strutture for profit. Le MCO si costituiscono sulla base di diverse tipologie assistenziali: le tradizionali HCO, le PPO ( preferred provider org.) le POS ( point of service plan): polizze assai diverse tra di loro sia per il ruolo in esse svolto dal p.c.p e sia per le modalità di accesso alle cure di 2° livello.Nel corso dei successivi anni ’90 le MCO conquistano rapidamente l’intero mercato lasciando al precedente sistema assicurativo meno del 6% del fatturatoLe MCO si diffondono in tutti gli stati e diventano gestori anche dei piani assicurativi pubblici finanziati dallo Stato e facenti capo ai programmi di assistenza medicare e medicaid. Le MCO offrono con il tempo prodotti sempre più personalizzati e diversificati in termini di costi, di prestazioni erogate, libertà di accesso alle cure 2 ° e livelli di compartecipazione alla spesa. Il risultato complessivo derivante dall’affermazione delle MCO è stato però disastroso per una serie di eventi fortemente pregiudizievoli: perdita di potere dei medici e degli H. a seguito della introduzione di un mercato interno gestito dalle MCO ( esse contrattano tipologie e volumi di prestazioni direttamente con i fornitori che vengono messi in competizione tra

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loro); modificazioni nel comportamento clinico dei prescrittori con l’introduzione di termini densi di opacità come :case disease e demand management; introduzione anche sulle prescrizione del p.c.p. di un secondo livello di Gatekeepeking nel sistema delle cure primarie. da parte delle assicurazioni finalizzato a limitare ulteriormente i costi dell’assistenza (utilization review); Il p.c.p. viene ora pagato a quota capitaria, è sottoposto a rigidi controlli e viene penalizzato in caso di spesa eccessiva (specialty withholds per eccesso di referral); istituzione della nuova figura del medico Hospitalist con il compito specifico di favorire le dimissioni del paziente e di ridurre quanto più possibile i tempi della degenza. Risultato finale perdita di equità e riduzione di universalità del sistema in quanto anche i poveri e non assicurati perdono definitivamente l’assistenza ospedaliera precedentemente offerta benevolmente da ospedali non profit pubblici o universitari.

Nonostante questi dati, assolutamente desolanti per un paese civile che nel campo della salute umana dovrebbe rifiutare la dominazione del mercato, esistono tra i diversi soggetti erogatori made in USA delle organizzazioni che, pur essendo assicurazioni private, operano sulla base di principi tipici dei sistemi universalistici : il rifiuto della logica mercantilistica con l’adesione ad una visione profondamente etica della tutela salute e la ricerca continua della qualità con il raggiungimento di risultati particolarmente importanti. Tra queste organizzazione alternative un posto di rilevo viene rivestito dalla HMO “Kaiser permanente”, una organizzazione assolutamente non profit che rifiuta i meccanismi di selezione dei pazienti ed arruola anche soggetti poveri assistiti dai programmi medicaid e madicare riservati agli over 65 e agli indigenti.

Il modello Kaiser permanente

La Kaiser permanente, grazie alla sua natura giuridica di soggetto senza fine di lucro e al suo peculiare modello organizzativo è in grado di offrire ai propri assicurati un livello di cure estremamente avanzato dal punto di vista tecnologico e una serie di servizi territoriali ad alto grado di integrazione tra cure primarie e secondarie; il sistema inoltre riserva una particolare attenzione ai temi della prevenzione tanto di tipo primario che secondario impegnando ingenti risorse nella educazione del paziente. La Kaiser, fondata nel 1945, ( grosso modo lo stesso anno di nascita del NHS) assiste circa 8,2 milioni di persone, di cui 6,2 milioni residenti in California e i restanti in altri stati come Georgia, Hawaii, Maryland, Ohio, Oregon, Virginia, Washington ( un bacino di utenza dunque paragonabile a quello di una nostra regione ). Il principale strumento operativo nei confronti dei propri assistiti è rappresentato dai cosiddetti piani di salute (Health Plans) che comprendono un ventaglio di prestazioni da quelle di tipo ospedaliero a quelle ambulatoriali affidati per la loro gestione ed effettuazione ai Permanente Medical Groups.

Nel Kaiser sistema i medici ( sia delle cure primarie che gli specialisti) sono soci, partners o dipendenti dai medical groups che prestano il proprio servizio in strutture ambulatoriali ed ospedaliere in larghissima misura di proprietà della stessa Kaiser e che, essendo a rapporto esclusivo, non possono esercitare altre attività esterne o libera professione verso gli assicurati.

I precetti che informano la loro partecipazione all’organizzazione sono fondamentalmente tre (29):

1. Group responsibility: ogni medico ha la piena responsabilità nei confronti dei propri pazienti; questa responsabilità segue i precetti Ippocratici ma il lavoro del team estende l’accountability nei confronti di qualità delle cure e uso appropriato delle risorse all’intera popolazione assistita

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2. Self Governance: I medici della Kaiser gestiscono questo duplice livello di responsabilità attraverso il Self Governance che porta ad elezioni democratiche per scegliere i propri leader e decision making

3. Self-management: i medici della Kaiser sono responsabili in modo esclusivo della gestione delle risorse loro assegnate e necessarie all’erogazione di cure di qualità.

In termini di outcomes di salute e di efficienza gestionale i livelli raggiunti dalla Kaiser sono stati giudicati come particolarmente importanti in ambito internazionale, dove molta attenzione viene dedicata alla valutazione della performance complessiva dei diversi modelli e sistemi sanitari; i risultati conseguiti dalla Kaiser sono stati oggetto di numerosi studi tra i quali alcuni basati sul raffronto con il servizio sanitario inglese, una istituzione gloriosa che ha sempre rappresentato un modello da imitare, specie nel nostro paese, e che tuttavia nel corso degli ultimi anni è stata sottoposta ad una serie di trasformazione ( anche esse fatte oggetto di trasposizioni) dimostratesi non sempre migliorative ( una sintesi dei cambiamenti intercorsi viene tratteggiata nella successiva tabella 8).

Tabella 8: I tre periodi storici del glorioso NSH (29)

• La fase precedente il governo Tatcher ( 1948-1991): (il Servizio sanitario finanziato dallo Stato ). Gli ospedali e gli altri servizi sanitari sono direttamente finanziati e gestiti dalle Health Authorities; le Health Authorities sono agenti del Departement of health

• La fase del governo Tatcher ( 1991-1997): (l’introduzione del mercato interno e della competizione) Le Health Authorities diventano purchasers che contrattano con i produttori le cure per la propria popolazione; gli erogatori di prestazioni providers si costituiscono in trusts; i trusts sono corpi semi-indipendenti responsabili del budget che in teoria viene determinato dalla loro capacità di attrarre clienti;i G.P. possono costituirsi in fund-holders e gestire un proprio budget con cui contrattare con i providers un range limitato di cure secondarie Nel caso in cui i GP non assumono il ruolo di providers sono le Health Authorities a contrattare l’insieme delle cure 2°per la propria popolazione.Gli obiettivi della riforma erano quelli di implementare efficiency e responsiveness attraverso la competizione dei providers. Nel complesso i risultati furono assolutamente fallimentari sia dal punto di vista della capacità di offerta e della competizione di mercato che da quello della qualità delle prestazioni erogate

• La riforma del labour party del 1997. ( il ripudio del mercato interno)Il servizio sanitario ereditato dal governo Blair era profondamente mutato rispetto a quello istituito nell’immediato dopoguerra dal primo ministro Atlee e Lord Beveridge; ; il principio della competizione, tipico del modello basato sul mercato interno, viene sostituito dalla cooperazione; in realtà continua a rimanere la

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divisione tra purchasers ora chiamati commisioners e providers ( ospedali e trust di comunità) con l’unica differenza che la durata del contratto viene allungato a tre anni invece di uno .Il modello di organizzazione dei GP viene abrogato; vengono costituite le Primary Care Trust a cui però devono aderire obbligatoriamente tutti i GP insieme agli altri professionisti delle cure 1° ( specialisti, farmacisti e dentisti); le PCT dispongono di un proprio budget e sono responsabili del commissioning delle cure per la propria popolazione; le PCT servendo una popolazione di circa 100.000 persone sostituiscono di fatto le Health authorities; esse gestiscono il 75% del budget della sanità. Viene di nuovo posto l’accento sulla necessità di garantire uniformemente servizi e prestazioni di alta qualità attraverso strategie volte al miglioramento continuo; ed attraverso un robusto piano di investimenti; per il governo Blair si imponeva di procedere ad una immediata opera di modernizzazione accompagnata da un nuovo impegno a rimuovere le forti diseguaglianze presenti nella società inglese.Nei primi 5 anni di governo il labour party ha puntato su un modello command and control in cui le strutture del NHS erano riorganizzate per produrre chiare linee di accountability dalla periferia al centro. Il Governo centrale istituiva a sua volta il NICE, la Commission for health improvement e National Service Frameworks con funzioni di indirizzo produzione di linee guida e vigilanza sui trust; veniva ulteriormente rafforzato il sistema incentivante con la introduzione di nuovi target (fino a quota 300) il cui raggiungimento è la base per l’attribuzione ai trust delle stelle di qualità (1,2 o 3 ) da cui dipendono premi o penalità. Lo star rating viene attribuito in funzioni di 5 tipologie di indicatori: 1) riduzione dei tempi di attesa 2)indicatori clinici 3) indicatori etici dello staff 4)indicatori sul trattamento dei pazienti 5) score assegnato direttamente dagli ispettori dalla Commision for health improvement Nei primi mesi del 2003 Il segretario di Stato A.Milburg annuncia la svolta “ i target di servizio, i regimi ispettivi e gli standard nazionali sono ormai una pletora e il NHS non può sopravvivere ad un tale monolitico sistema organizzativo di tipo top-down”Il fulcro centrale del cambiamento è la proposta di trasformare gli attuali trusts in Foudations trust concepiti come strutture dotate di grandi libertà nella gestione del personale e nella acquisizione di finanziamenti dal mercato. La proposta incontra una opposizione durissima che ne muta le caratteristiche iniziali ma il governo non rinuncia al progetto. Di fatto i “three star trust” selezionati per acquisire il foundation status sono nella fase di avvio in numero di 30 ma nelle intenzioni del governo tutti i trust ivi comprese le PCT possono aspirare ad assumere tale titolo La principale differenza tra vecchi e nuovi trust consiste nel fatto che i dirigenti dei secondi sono nominati dalle comunità locali ed rispondono non al segretariato di stato ma ad un regolatore indipendente

Questi ultimi studi di comparazione, (aldilà ovviamente del nostro giudizio estremamente negativo sulla modalità di arruolamento dei pazienti tramite polizza assicurativa ) hanno dimostrato una assoluta superiorità del modello Kaiser proprio in virtù della forte integrazione, anche di tipo gestionale, in esso presente tra cure primarie e secondarie e del ruolo riservato all’ospedale, considerato come una parte del tutto assolutamente non scorporabile dal territorio, al contrario di quanto perseguito in UK o nel nostro paese con la loro trasformazioni in fondazioni(31) . I risultati di tali studi ( che saranno ora richiamati) sono dunque doppiamente interessanti perché possono essere utilizzati anche per una analisi del nostro contesto dove , come già detto, il NHS continua a rappresentare un modello da studiare e da imitare; essi dunque possono offrirci degli elementi di valutazione in merito a diversi progetti di riforma attualmente in cantiere tra cui quello che prevede la istituzione delle unità territoriali di assistenza primaria (UTAP ); un progetto, anche esso fortemente ispirato al modello inglese che è stato recentemente approvato in sede di Conferenza

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Stato e regioni e che viene considerato uno strumento assai utile per dare nuovo impulso a tutto il sistema delle cure delle cure primarie ed extraospedaliere (32).

Faecham e coll (33) sono i principali autori dello studio comparativo citato ( Kaiser versus NHS) che è stato pubblicato sul British medical journal dal titolo “Getting more for their dollar: a comparison of the NHS with California's Kaiser Permanente”e a cui hanno fatto seguito numerosi commenti da parte di altri studiosi qualificati che hanno ulteriormente arricchito il dibattito.

Una prima valutazione contenuta nello studio di Faecham riguarda le differenze riscontrate nel modello organizzativo adottato ( cure primarie, personale e N° di letti ospedalieri illustrati nella tabella successiva) nei due sistemi Kaiser/ NHS; aspetto questo che a nostro giudizio è di grande rilievo in quanto è proprio dal diverso contesto organizzativo che dipendono in larga misura i differenti risultati ottenuti

Tabella 8. Comparison of inputs and use in NHS and Kaiser, 2000

Inputs NHSKaiser,

California

Specialists per 100 000 people

Pediatricians 4.9* 12.3

Obstetricians-gynaecologists 4.1* 8.3

Oncologists 0.9* 1.7

Radiologists 4.3* 6.0

Cardiologists 0.8 2.4

Primary care facilities

Percentage of primary care physicians in single handed practices 9%

0%

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Average No of primary care physicians per office3-5

20-40

Percentage of primary care physicians with laboratory, imaging, or pharmacy on site

25%-pharmacy (few with other services)

>95%

Percentage of primary care physicians connected to clinical IT system

100% by 2002 >95% today

Use

Average acute length of stay (days) 5.0§ 3.9

Acute bed days per 1000 per year 1000 270

Sources: NHS plan,1 OECD,6 HEDIS,8 unpublished Kaiser data, Department of Health,23 24 Office of Health Economics.25

* 1999 Includes registrars as well as consultants for England.

1998 Consultants for England.

1998 data.

§ 1996 latest OECD data.

¶ 1997 latest OECD data.

Le principali differenze (chiaramente evidenziabili dalla tabella ) riguardano sia il livello di complessità assistenziale garantito dalle strutture territoriali erogatici delle cure primarie ( facilities) e sia il numero di medici di base che vi operano all’interno; mentre infatti negli ambulatori inglesi i medici GP sono mediamente in un numero di tre e dispongono, e solo nel 25 % dei casi, di pochi servizi aggiuntivi, nelle strutture territoriali Kaiser sono in un numero medio di 20- 40 e dispongono, (nel 95% dei casi) , di laboratori , imaging e farmacie e sono inseriti in un sistema a rete con l’insieme delle altre strutture sanitarie. Altrettanto diverso risulta il numero di specialisti presenti all’interno delle strutture che nel caso delle facilities Kaiser è 2 – 3 volte superiore rispetto al NHS.

Le ricadute sul livello di assistenza per il paziente sono immediate ( tabella 9): nelle Kaiser i tempi di attesa sono migliori tanto per usufruire di una visita urgente presso il GP ( inferiori a 24h) che per accedere alle varie visite specialistiche ( inferiori nel 80% dei casi alle due settimane); lo stesso dicasi per i tempi di attesa per interventi di chirurgia ambulatoriale che risultano inferiori alle 3 settimane nel 80 % dei casi ( rispetto al 43% del NHS). Decisamente migliore è anche la facilità di accesso dei cittadini ai servizi delle Kaiser dove è attivo 24 ore al giorno e sette giorni a settimana un servizio telefonico per prenotazioni di visite e accertamenti e per consulti con gli operatori. Nelle stesse strutture Kaiser è significativamente superiore il tempo di durata della visita medica ( 20m’ contro 8 m’) nel corso della quale ampio spazio è riservata alle educazione sanitaria

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del paziente e all’insegnamento delle pratiche di autogestione nelle malattie ad andamento cronico, un altro dei punti di forza del sistema Kaiser.

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Tabella 9 Comparing responsiveness of NHS and Kaiser to consumers, 2001

Measure NHS Kaiser, California

Primary care

Time to see a primary care doctor

2001: average 3 days; <48 hour by 2004

Urgent: <24 hours; routine: 80% <7 days

Telephone helpline and associated services

NHS Direct helpline available. By 2004, NHS Direct will provide one stop gateway to advice, appointments, and out of hours care

24 hour hotline available for advice and appointments. Appointments can also be made on line

Repeat prescription available without calling or visiting a doctor

Available nationwide by 2004 Available today

Time spent with primary care doctor

8.8 minutes* Medical: 20 minutes; obstetrics/gynaecology: 15 minutes; paediatrics: 10 minutes

Specialist referral

Waiting time to see specialist

2001: 36% <4 weeks, 20% >13 weeks, 4% >6 months; by 2005, average 5 weeks and maximum 3 months

2001: 80% <2 weeks

Waiting time for inpatient treatment or surgery

2001: 41% <13 weeks, 33% >5 months, 7% >12 months; by 2005: average 7 weeks and maximum 6 months

2001: 90% <13 weeks

Patient convenience

Patients' ability to book appointments and admissions to suit own schedule

2001: minimal; by 2005: universal To a high degree

Availability of translation services

By 2003: available by telephone Available on site and by telephone

Sources: NHS Plan,1 Office of Health Economics,25 Department of Health,28 and unpublished Kaiser data.

* 1992/93 survey.

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Quello che emerge dunque con chiarezza è che le facilites Kaiser consentono una gestione completa, polispecialistica e tempestiva dei pazienti i quali, a differenza di quanto succede in UK e nel nostro paese, possono ricevere in tali sedi e in tempi estremamente contenuti tutti gli accertamenti necessari per la formulazione diagnostica senza dovere ricorrere inevitabilmente all’ospedale. Questo determina a sua volta significativi miglioramenti sul fronte dell’assistenza ospedaliera in quanto l’ospedale viene sollevato da quei compiti impropri di diagnostica ambulatoriale che compromettono l’efficacia e la tempestività nei confronti dei pazienti ricoverati; è chiaro infatti che l’utilizzo dei servizi diagnostici ospedalieri anche per prestazioni esterne si traduce in una sorta di collo di bottiglia, in una strettoia che dilata i tempi per potere fruire di questi esami da parte dei pazienti ricoverati portando ad un ritardo nella diagnosi e un allungamento ( in modo assai oneroso ) nella durata delle degenze. L’esito finale è quello di un vero snaturamento della mission della struttura ospedaliera che dovrebbe invece essere esclusivamente rivolta alla gestione dell’acuzie clinica e delle grandi patologie altrimenti non trattabili.

Nel sistema Kaiser l’abolizione di questa specie di cortocircuito ha un effetto straordinario nell’ottimizzazione nell’uso dell’ospedale con il risultato che il numero delle giornate di ricovero per anno risulta nel NHS ( dove questo non avviene essendo la diagnostica concentrata prevalentemente negli ospedali) superiore del ben 75% ( 1000 versus 270 rispetto a Kaiser) e la durata media di ogni episodio risulta pari a 5,9 giornate contro le 3,9 delle Kaiser.

L’ottimizzazione del ruolo dell’ospedale non significa tuttavia un uso minore da parte di Kaiser delle tecnologie e degli interventi di alta chirurga propri a tale contesto assistenziale. Nello studio di Faecham e coll infatti ampio spazio viene dedicato all’analisi delle differenze riscontrate nei due sistemi anche per quanto concerne l’impiego di tecnologia ed alta specializzazione come cardiochirurgia e trapianti di organo ( tabella successiva n° 10)

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Tabella 10 . Comparison of quality in the NHS and Kaiser, 1999

Measure NHS Kaiser, California

Vaccination

Children who received various immunisations by age 2 years

DTP=95%; MMR=88%; Hib=94%

DTP=91%*; polio=93%*; MMR=94%*; Hib=91%*; hepatitis B=86%*; chicken pox 83%*

Cancer screening

Breast 69% of women aged 50-64 years had mammogram in past 3 years

78% of women aged 52-69 years had 1 mammograms in past 2 years*

Cervical 84% women aged 25-64 years screened at least once in past

5 years

80% of women aged 21-64 years screened at least once in past 3 years*

Diabetic care

People with diabetes who received annual retinal examination

60% 70% for <65 years; 80% for 65 years

Cardiovascular care

Patients with acute myocardial infarction who received blockers

42%93%

Coronary revascularisation procedures per 100 000:

Angioplasty 38§ 116

Bypass graft 47§ 127

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Transplantation per 100 000

Heart 0.5 0.5

Kidney 2.7 4.8

Sources: OECD,6 HEDIS,8 Department of Health,23 Barakat,33 NHS,34 CCHRI,35 Ayanian and Quinn,36 and unpublished Kaiser data.

* Data from Kaiser US (not California).

2000, England.

1997, England.

§ 1998, England.

La Kaiser risulta superiore in ognuno dei blocchi di prestazioni considerati: nell’uso delle pratiche vaccinali per la profilassi delle malattie, dove viene garantita una copertura più ampia agli assistiti; negli screening per i tumore del seno e della mammella; nella prevenzione delle complicanze nei pazienti diabetici ed infine nell’uso dei farmaci cosiddetti cardioprotettori. Per quanto concerne il ricorso ai trattamenti ad alta tecnologia (interventi di angioplastica, by pass aortocoronarici e trapianti di cuore e reni) anche in tale settore la Kaiser appare in netto vantaggio dimostrando di non impiegare meccanismi di selezione delle prestazioni in funzione di costi.

Nello studio di Faecham, un ultimo aspetto a venire attentamente studiato è quello relativo all’analisi e al raffronto dei costi che mostrano, come risultato decisamente sorprendente, una sostanziale parità tra i due sistemi; l’autore infatti dopo avere calcolato la spesa sanitaria procapite in ciascuna delle due monete (pari £ 876 per il NHS e a $1951 per Kaiser) e operato una serie di correzioni in funzioni del PPP (Purchasing power parity), dell’età media degli assistiti (riduzione dei costi del NHS del 12.2%) e della condizione socio economica degli stessi (riduzione dei costi del NHS 5%) ottiene come risultato finale che il costo medio procapite è in UK di $1764 e nelle Kaiser $1951. Una differenza questa, del solo 10%, che viene ritenuta assai poco significativa e che porta l’autore a giudicare la performance del sistema Kaiser superiore rispetto a NHS sia per quanto riguarda l’accesso alla diagnosi specialistica e sia per quanto riguarda i tempi di attesa per trattamenti ospedalieri “ healthcare costs per capita in Kaiser and the NHS are similar to within 10% and that Kaiser's performance is considerably better in certain respects, particularly access to specialist diagnosis and treatment and hospital waiting times”.

Lo studio di Faecham e le conclusioni a cui esso è pervenuto ha dato luogo, come immaginabile, ad un ampio dibattito e alla successiva pubblicazione di una serie di contributi che ne hanno largamente confermato i risultati; tra i tanti, particolarmente interessante è il lavoro di Light e Dixon (34) pubblicato sullo stesso BMJ in cui le ragioni della migliore performance del modello Kaiser versus NHS vengono ordinate e declinate a partire dall’analisi di quattro variabili strutturali: governance, assetti finanziari, organizzazione e ruolo degli specialisti.

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Per quanto riguarda la governance determinante è per Light e Dixon il ruolo svolto dai medici ai quali, nel sistema Kaiser, viene affidata la responsabilità diretta della programmazione e organizzazione dei servizi e della gestione del budget; viene giudicato invece negativamente (in quanto complesso e contraddittorio) il mix di direttive ad emanazione centrale (ministero) e gestione affidata a livello locale presente in UK a cui si accompagna una forte gerarchizzazione dei ruoli professionali.

Per quanto concerne gli aspetti finanziari, elemento di rilievo del sistema Kaiser è considerata la modalità di costituzione e formazione del budget che non viene suddiviso tra i diversi centri di spesa (ospedale e strutture territoriali) e la cui implementazione è in funzione del numero di assistiti; la gestione del budget è di competenza dei dottori e questi a loro volta hanno un salario fisso con solo modeste quote di incentivi per obiettivi prestazionali o per la partecipazione del team a meeting; i dottori hanno un rapporto esclusivo con la struttura e non possono svolgere libera professione verso i propri assistiti; all’opposto in UK il budget è fortemente suddiviso tra i vari servizi e soprattutto in base a direttive che sono elaborate centralmente; i dottori hanno un salario fortemente differenziato ed i GP hanno un contratto di lavoro specifico e diverso da quello degli altri professionisti; è consentita ed incoraggiata la libera professione verso i propri assistiti.

Per quanto riguarda il terzo elemento ovvero il modello organizzativo, Light e Dixon ritengono che le caratteristiche che conferiscono superiorità al sistema Kaiser siano da individuare nella presenza di grossi centri ambulatoriali (facilities) dove operano team multispecialistici e dove sono disponibili laboratori di analisi e di diagnostica per immagini; in tali centri si concentrano la maggior parte delle funzioni specialistiche che vengono anche svolte a domicilio del paziente; al contrario in UK le strutture ambulatoriali sono povere di servizi e le funzioni specialistiche rimangono appannaggio quasi esclusivo dell’ospedale.

Infine per quanto attiene l’ultimo elemento di valutazione concernente il ruolo svolto dagli specialistici, Light e Dixon evidenziano come nel sistema Kaiser, a differenza di quanto avviene in UK, questi professionisti rappresentino una interfaccia diretta con i GP e svolgano una funzione prioritaria nella elaborazione di protocolli, linee guida e percorsi assistenziali. Gli specialisti inoltre, in numero assai superiore rispetto all’UK, vengono coinvolti nella cura dei pazienti spesso e precocemente, contribuendo in questo modo ad un uso più razionale dell’assistenza ospedaliera.

Le considerazioni svolte da Light e Dixon sono , a nostro giudizio, particolarmente interessanti perché esse riescono a cogliere con precisione il vero problema dei sistemi sanitari maturi alle prese con la ineludibile necessità di riequilibrare il rapporto tra cure primarie e secondarie (da tutti a parole sostenuto ma da pochi concretamente perseguito). Un riequilibrio che non appare più rimandabile e la cui necessità, è bene ricordarlo, era stata intuita dalla O.M.S. fin dalla storica Dichiarazione di Alma Ata del 1978 che considerava come obiettivo centrale lo sviluppo dell’assistenza sanitaria di base ovvero di “quella assistenza sanitaria essenziale, fondata su metodi pratici e tecnologie appropriate, scientificamente valide e socialmente accettabili, resa universalmente accessibile agli individui e alle famiglie nella collettività, attraverso la loro piena partecipazione, a un costo che la collettività e i paesi possono permettersi ad ogni stadio del loro sviluppo nello spirito di responsabilità e di autodeterminazione”

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Il modello Kaiser in conclusione rappresenta una soluzione valida alla definizione di un nuovo ed efficace setting assistenziale in virtù del fatto che esso affida concretamente alle cure primarie la completa gestione della salute dei cittadini: dalla prevenzione ed educazione sanitaria alla diagnostica specialistica e di base, dalla chirurgia ambulatoriale alla assistenza domiciliare; in questo sistema l’assistenza ospedaliera (ad altissima espressione tecnologica) svolge un funzione altrettanto importante ma esclusivamente riservata a quei casi che richiedono una complessità assistenziale non realizzabile altrove; l’ospedale inoltre lungi dall’essere una realtà separata, come si vorrebbe fare anche nel nostro paese con la loro trasformazione in fondazioni, è totalmente inserito nel circuito assistenziale ed il personale che vi opera utilizza percorsi di cura elaborati collegialmente con i professionisti che operano nelle struttura ambulatoriali. L’ospedale partecipa dunque senza fratture e discontinuità tra operatori diversi alla realizzazione di obiettivi comuni, identificati come prioritari dalla organizzazione, sia in riferimento ai livelli assistenziali da garantire agli assistiti e sia in rapporto alla corretta gestione delle risorse e all’equilibrio finanziario complessivo. Un ulteriore elemento altrettanto importante ai fini della realizzazione di una effettiva continuità terapeutica tra fase dell’acuzie e post acuzie (un altro dei problemi che caratterizza in negativo il nostro sistema sanitario) è rappresentato dallo stretto collegamento esistente tra l’ospedale e altre strutture sanitarie Kaiser con un minore livello di intensità assistenziale (spesso gestite da infermieri professionali altamente qualificati); in queste strutture di tipo intermedio il paziente che ha superato la fase acuta viene immediatamente trasferito prima di essere affidato al domicilio o alle strutture di riabilitazione continuando così il suo percorso terapeutico programmato senza subire interruzioni o vane ricerche di un luogo dove essere trattato.

Il progetto di istituzione delle Unità territoriali delle cure primarie (UTAP)

Nel nostro paese questo problema, da noi ampiamente dibattuto nelle pagine precedenti, della necessità di pervenire ad un riequilibrio tra cure primarie e secondarie, è stato finora ampiamente trascurato; di fatto questi due diversi livelli assistenziali hanno vissuto una condizione di assoluta separatezza con una netta preminenza delle cure secondarie basate come noto su un’assistenza ospedaliera peraltro fortemente disomogenea all’interno del paese. Tale condizione di disequilibrio inoltre è risultata ancora più penalizzante per la assenza di integrazione professionale reale tra medico di medicina generale (MMG), medico della continuità assistenziale (MCA) e specialistica ambulatoriale, ivi compresa la diagnostica di laboratorio e per immagini, che invece poteva essere almeno parzialmente realizzata; tutto questo si è tradotto in una pratica professionale fortemente routinaria con scarsa capacità di gestione di problematiche di maggiore complessità. Assolutamente di scarso rilievo è poi quanto finora realizzato con le varie forme di medicina associativa riservate ai MMG il cui stile di lavoro non è cambiato nella sostanza e ha continuato a svolgersi in studi privi di ogni reale possibilità diagnostica. Ugualmente mancante è risultata inoltre l’integrazione dei medici con altre figure professionali attive sul fronte socio assistenziale con ricadute negative sulla capacità di erogare quei servizi integrati di cui necessitano prevalentemente le persone anziane. A questa condizione ha continuato ovviamente a corrispondere un uso inappropriato della struttura ospedaliera (gravata da almeno un 25% di accessi totalmente inutili) ma giustificata dal fatto che il livello assistenziale territoriale è ritenuto dal cittadino inadeguato a dare risposte a problemi acuti e scarsamente preparato anche ad affrontare le cronicità bisognose di un’assistenza domiciliare multiprofessionale.

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A fronte di questa situazione la risposta data dagli organi istituzionali del nostro paese è stata quella di siglare il giorno 29 luglio 2004 in sede di Conferenza Stato e regioni un accordo con il Ministro della salute con cui, in applicazione del Piano Sanitario Nazionale 2003-2005, si identificano tra le cinque priorità da perseguire in campo sanitario la istituzione di una nuova forma aggregativa delle cure primarie chiamata Unità territoriale di assistenza primaria (UTAP)

La UTAP viene concepita come un presidio integrato per le cure primarie che “prevede l’associazione di più medici convenzionati che operino in una unica sede garantendo un elevato livello di integrazione tra le medicina di base e la specialistica consentendo il soddisfacimento della più comune domanda specialistica di elezione”

Il processo di integrazione inoltre può interessare altre figure professionali (specialisti di altre discipline, infermieri , personale amministrativo) fino a d arrivare a modelli socio – sanitari che contemplino la presenza anche di operatori sociali e che sia in grado anche di dare una risposta integrata al bisogno sociale.

Dal punto di vista organizzativo le UTAP dovrebbero aggregare un numero medio di 6-8 MMG e PLS e un numero di specialisti in funzione alle code di attesa insistenti in quell’ambito territoriale; la sede dovrebbe essere unica ed essere dotata di alcune strumentazioni diagnostiche ed eventualmente di locali per lo svolgimento di prestazioni di pronto soccorso con l’obiettivo di pervenire ad una attività continuativa di sette giorni su sette e h 24 .

Per la realizzazione di tali progetti viene stabilita la possibilità di utilizzo di quota parte delle risorse riservate alla realizzazione di obiettivi di carattere prioritario o di rilievo nazionale (fino ad un 25%), senza che tuttavia nulla di concreto venga detto circa i tempi di realizzazione del progetto né di una eventuale sperimentazione da effettuare in realtà campione.

Le UTAP non rappresentano una soluzione al problema delle cure primarie

Il progetto di istituzione delle UTAP, così come definito, non sembra capace a nostro giudizio di imprimere quella svolta necessaria ad un reale rilancio delle cure primarie. Le UTAP infatti appaiono una risposta minimalista, assolutamente non vincolante per le regioni, e destinata come tale a restare priva di reale efficacia. Per una vera inversione di marcia occorre realizzare una integrazione concreta tra MMG MCA specialistica di base e diagnostica, ma non solo. L’odierna patocenosi ed il progressivo invecchiamento della popolazione rendono indispensabile una forte integrazione tra componente sanitaria e sociale che non trova riscontro alcuno nella proposta organizzativa delle UTAP. Un sistema realmente integrato comporta una cambiamento di ben maggiore portata che può essere realizzato solo progettando una nuova struttura, anche fisica, dove allocare le cure primarie; una struttura che sul modello delle Kaiser abbiamo definito casa della salute e che deve essere posta all’interno del distretto e delle sue aree subdistrettuale

La casa della salute e il distretto come area-sistema

Il punto centrale per operare una cambio di paradigma nell’intero sistema delle cure primarie è quello di conferire al distretto una centralità che ora non ha ; esso deve essere connotato come il punto di incontro tra domanda di salute dei cittadini ed offerta di cure, benessere e nuova socialità; esso deve potersi configurare come una vera Area –sistema e ricomprendere quella serie di presidi e servizi, ora dispersi, che sono finalizzati a dare risposte territoriali ai problemi

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di salute e di cura dei cittadini rendendo finalmente possibile interventi di prevenzione individuale e collettiva e la piena integrazione tra le attività sanitarie e quelle di tipo sociale. Le attività che devono essere garantite nell’area- distretto sono quelle che riguardano i bisogni reali dei cittadini e che possono incidere favorevolmente sulla capacità per ognuno di riuscire a sviluppare il proprio progetto esistenziale, recuperando così una visione olistica della salute umana.

Per soddisfare queste necessità il distretto deve divenire anche il punto di ricomposizione delle competenze ora affidate a diversi soggetti istituzionali ai cu la Costituzione ha assegnato precise prerogative e responsabilità nel campo della tutela dei cittadini: Regioni e gli Enti locali. Questi soggetti dunque devono sviluppare sinergie che si devono concretizzare solo nell’assunzione di ben precisi atti legislativi tra loro coordinati tra cui:

1. Recepimento dei principi contenuti nella legge 229/99 e nella legge 328/2000, sviluppandone appieno le potenzialità per assegnare un ruolo e una responsabilità ai Comuni nel Piano Attuativo locale (PAL) e nel programma delle attività territoriali (PAT) intesi entrambi come strumenti di programmazione e di pianificazione degli interventi da realizzare attraverso specifici “accordi di programma” tra le amministrazioni

2. Realizzazione del Piano Sanitario Regionale in modo coordinato rispetto al Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali con la piena condivisione delle strategie atte a realizzare l’integrazione tra attività sanitarie e sociali.

3. Assegnazioni al distretto di “risorse definite” anche al fine di riequilibrare la spesa tra attività ospedaliera e attività sanitarie territoriali.

L’emanazione coordinata di questi atti è dunque finalizzata a definire una corrispondenza funzionale e sostanziale tra il distretto (D.Lgs. 229/99) e la zona sociale (D.Lgs. 328/2000) (la cui esatta definizione è ovviamente demandata alle regioni) su cui possano insistere, in parallelo alle competenze proprie delle Regioni, le capacità di programmazione dei Comuni, a cui compete l’approvazione dei piani di zona, dei piani delle attività territoriali, degli accordi di programma e la valutazione dei risultati ottenuti.

Dal punto di vista organizzativo il modello più consono per affrontare queste esigenze è quello della rete integrata dei servizi che pone l’utente al centro del contesto sanitario e che richiede, proprio per rendere effettiva questa prossimità al cittadino, una idonea strutturazione dello spazio distrettuale a partire dalla costituzione di aree elementari corrispondenti ad uno o più comuni o a un quartiere urbano. Nelle aree elementari devono essere ricomprese, in un assetto organizzativo a matrice, tutte le funzioni costitutive della medicina territoriale: assistenza medica di base (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, guardia medica e continuità assistenziale); assistenza specialistica ambulatoriale extraospedaliera; assistenza domiciliare (ADI, ADP, assistenza sociale, assistenza a malati oncologici e a persone con infezione da HIV); assistenza extra-ospedaliera, residenziale e semiresidenziale; assistenza consultoriale, familiare e pediatrica; programmazione degli accessi all’ospedale di comunità.

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All’interno delle aree elementari l’elemento effettivamente in grado di erogare l’insieme delle cure primarie e di garantire così la piena continuità assistenziale distrettuali è a nostro giudizio quella struttura polivalente e polifunzionale che abbiamo definito casa della salute . Essa è il punto di irraggiamento dell’insieme delle prestazioni e dei servizi e per questo in essa deve essere presente tutto il personale in forza al distretto da quello tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale ai medici di base (che vi eleggeranno il proprio studio associato) e agli specialisti ambulatoriali. Nella casa della salute dovrà essere possibile effettuare gli accertamenti diagnostico- strumentali necessari ad una precisa formulazione diagnostica e la gestione informatizzata dei dati sanitari con il ricorso al teleconsulto e alla telemedicina. L’accesso al web, tramite gli opportuni strumenti messi a disposizione dalla moderna tecnologia, aprirà la possibilità di comunicare con le altre strutture, di stabilire connessioni in rete con altri centri di pari o superiore livello e di realizzare la formazione continua online per tutto il personale. Nella casa della salute dovrà essere presente inoltre lo sportello unico per tutte le attività sociali ed assistenziali e sarà quindi possibile effettuare la presa in carico del paziente superando la precedente frammentarietà negli interventi. La casa della salute inoltre deve diventare il centro di organizzazione dell’assistenza domiciliare che non può essere limitata alla attuale ADI o ADP ma deve essere un servizio organizzato in team e capace di una effettiva e reale domiciliarizzazione dell’insieme delle cure necessarie alla persona.

Nella casa della salute dovranno inoltre trovare completa attuazione le attività di prevenzione non solo relative all’ambiente di vita, ma anche quelle connesse al controllo e alla sorveglianza degli ambienti di lavoro ed al contrasto delle tecnopatie e degli infortuni sul lavoro invertendo quella linea di tendenza ormai prevalente, che vede l’intervento pubblico come non necessario e residuale e considera le attività di prevenzione e sorveglianza un ostacolo allo sviluppo industriale e alla competitività.

La costituzione di una rete distrettuale omogenea sul territorio e la creazione delle case della salute è dunque per noi l’unica possibilità di effettivo rilancio delle cure primarie e di superamento della attuale condizione ancora imperniata sulla prevalenza dell’ospedale. E’ questa la sfida che i servizi sanitari regionali hanno davanti e a questa sfida non possono sottrarsi se vogliono coniugare qualità, appropriatezza, efficacia clinica ed efficienza gestionale.

Conclusioni

Il servizio sanitario del nostro paese grazie alle sue caratteristiche di universalità (attraverso le quali sono state mitigate le differenze di uniformità storicamente presenti nei diversi ambiti territoriali) è riuscito a cogliere a 25 anni dalla sua costituzione risultati importanti in termini di outcomes e di salute guadagnata. Questo brillante risultato tuttavia non può nascondere le attuali difficoltà, rese ancora più acute dal profilarsi di una crisi economica del paese simile a quella degli anni’90 (quando la nostra moneta, sotto i colpi della speculazione finanziaria, su costretta ad una pesante svalutazione).Una crisi che tuttavia non è soltanto di natura economica, ma che affonda le sue radici in un conflitto politico-ideologico che oppone concezioni tra loro alternative della forma- Stato ; differenze concernenti da un lato la diversa tipologia di decentramento di funzioni che deve investire il nostro paese e i meccanismi di perequazione che devono essere messi in atto tra territori diversi; dall’altro il peso che alcuni valori come universalità e uniformità e giustizia devono continuare ad avere all’interno del nostro welfare state. Nel nostro lavoro abbiamo tentato di analizzare gli elementi di criticità che scuotono i sistemi sanitari avanzati e di enumerare le problematiche che ancora oggi restano insolute; abbiamo cercato di avanzare delle proposte per

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uscire dalla crisi in cui versa anche il nostro servizio sanitario per scongiurare il pericolo che i cittadini possano abituarsi all’idea di un servizio sanitario dequalificato e progressivamente meno esteso.

Aldilà di tali considerazioni rimangono tuttavia irrisolti due problemi strettamente intrecciati tra loro ; da un verso urge pervenire alla definizione di un livello di finanziamento del SSN in linea con le necessità reali del paese ed in particolare delle regioni gravate da deficit strutturali (che rappresentano attualmente un ostacolo difficilmente superabile per avviare una politica di risanamento rispettosa della coesione sociale); dall’altro bisogna predisporre un set di strumenti in grado di implementare il corretto uso delle risorse da parte degli enti territoriali. Occorre dunque una nuova politica orientata alla qualità gestionale ed alla ricerca della appropriatezza sia per quanto riguarda l’ottimizzazione del modello organizzativo prescelto (con particolare riguardo al rapporto tra cure primarie e secondarie) e sia per i livelli di erogazione delle prestazioni.

E’ questa dunque la vera sfida che coinvolge e sconvolge i nostri sistemi di protezione e da questa sfida bisogna partire per adeguare il nostro welfare state alla seconda modernità e a quell’inedito mix tra localismo e globalizzazione che ne è un tratto portante.

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